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UUNN PPOONNTTEE TTRRAA AARRTTEE EE SSCCIIEENNZZAA

I.S.I.S. “GIULIO NATTA” , BERGAMO

A.S. 2013/2014

Classe 5ª B LST

Francesca Moscaritolo

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LA MUSICA: un ponte tra arte e scienza 2

INDICE

1. INTRODUZIONE

2. IL PROBLEMA DELLE ORIGINI DELLA MUSICA

3. LA MUSICA NELLA PREISTORIA

4. RILEVANZA DELLA MUSICA NELLE CIVILTA’ ANTICHE E NELLA

MITOLOGIA GRECA

5. ANALISI FILOSOFICA DELLA MUSICA

5.1 SCHOPENHAUER

5.2 NIETZSCHE ED IL SUO RAPPORTO CON WAGNER

6. WAGNER E L’IDEOLOGIA NAZISTA

7. MUSICA E POLITICA DAL FASCISMO ALLA SECONDA GUERRA

MONDIALE

7.1 LA CANZONE POPOLARE

7.2 I CANTI DEL FRONTE INTERNO

8. LA MUSICA NELLA LETTERATURA ITALIANA NEI PRIMI ANNI

DEL NOVECENTO: D’ANNUNZIO E LA PIOGGIA NEL PINETO

8.1 LA STRUTTURA MUSICALE

8.2 GLI STRUMENTI FORMALI

9. THE MUSIC IN ENGLISH LITERATURE OF XX CENTURY: JOYCE

AND DUBLINERS

10. MUSICA E SCIENZA

10.1 LE ONDE SONORE

10.2 LA BIOCHIMICA DELLA MUSICA

11. CONCLUSIONE

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1. INTRODUZIONE:

“Una vita senza musica è come un corpo senz'anima.”

(Marco Tullio Cicerone)

Personalmente credo che l’aforisma sopra citato racchiuda in sé una grande verità.

Attraverso questo percorso vorrei provare a porre la vostra attenzione sull’importanza della

musica illustrandovi, fino dove mi è possibile, l'immediatezza e l'emozione che l'arte dei

suoni suscita nel nostro animo. D’altronde, chi può negare che il mondo sia un’orchestra di

infiniti strumenti che, fondendosi insieme, creano innumerevoli sinfonie?

Lungo questo percorso analizzerò brevemente le origini della musica dalla preistoria fino

ad arrivare alle antiche civiltà. Dopo di che guarderò alla concezione di alcuni dei più

importanti filosofi come Schopenhauer e Nietzsche e la sua relazione con uno dei maggiori

esponenti della musica tedesca: Wagner. Di seguito l’attenzione si sposterà dall’analisi

musicale nel periodo fascista (fortemente influenzato dalle idee nazionaliste di Wagner),

all’influenza della musica sulla letteratura italiana e straniera nel periodo del novecento, in

particolare sull’analisi di uno scritto di D’Annunzio e Joyce. Infine, dopo aver considerato

l’aspetto umanistico della musica, farò dei brevi cenni anche dell’aspetto scientifico di tale

fenomeno soffermandomi sulla fisica delle onde e la percezione della musica all’interno del

corpo umano.

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2. IL PROBLEMA DELLE ORIGINI DELLA MUSICA

La musica ha origini antichissime sulle quali, durante il corso del tempo, sono state

proposte diverse teorie. Tra le prime ipotesi possiamo ricordare quella di Tito Lucrezio

Caro, poeta e filosofo romano che fu il primo ad interessarsi alla questione; egli associò le

origini della musica a eventi sonori naturali come il tuono e la pioggia. Dopo di lui altre

teorie furono quelle elaborate da Spencer, che collegò la musica al linguaggio parlato, da

Darwin, che mise in relazione la nascita della musica al canto degli uccelli e degli animali,

e infine da Bücher, che sottolineò l’importanza di attività ritmiche e ripetitive durante

l’esecuzione del lavoro in popolazioni primitive. Durante la discussione sull’origine della

musica, tuttavia, sono state avanzate critiche poiché molte di queste teorie erano state

sviluppate su un rapporto causa-effetto. Inoltre nessuna di esse riusciva a spiegare in

maniera completa le origini delle prime forme espressive attraverso i suoni (anche perché è

estremamente difficile definire in termini oggettivi un fenomeno così complesso che tiene

conto delle abilità e delle variabili interiori dell’uomo) .

Altra problematica che insorge durante questo percorso è riuscire a stabilire ciò che è o non

è musica e decidere quando una sequenza di attività sonore possano essere chiamate

‘musicali’. Questa è una questione molto discussa in quanto la definizione non è unica, ma

ne esistono svariate in base anche al contesto in cui essa viene utilizzata; anche se molto

genericamente la musica si può definire come un’intenzionalità nell’organizzazione dei

suoni nel corso del tempo e nello spazio.

Visto il caso ancora aperto dell’ origine della musica gli studiosi più che discutere la

validità delle singole teorie cercano di concentrarsi maggiormente sulla musica come

conseguenza agli stimoli sonori dell’ambiente circostante all’uomo che possono averlo

indotto all’elaborazione delle prime forme espressive con i suoni.

3. LA MUSICA NELLA PREISTORIA

Le prime forme sonore espressive probabilmente risalgono al Paleolitico o periodo della

pietra antica, iniziato circa due milioni di anni fa e dove l’uomo viveva organizzato in tribù

nomadi. Esse possono essere collegate alla necessità degli esseri umani di svolgere attività

espressive. Curt Sachs etnomusicologo tedesco dell’ ultimo ventennio del 1800 ha rivelato

che è abbastanza complesso capire con precisione quando l’uomo abbia iniziato a creare

queste attività espressive. Si può solo immaginare che prima di dedicarsi ad esse l’uomo

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abbia dovuto soddisfare i propri bisogni primari ed essenziali, come quelli legati alla

sopravvivenza; solo successivamente è ipotizzabile che egli si sia impegnato in altre

attività. Le prime forme espressive sono probabilmente nate quando l’uomo ha

incominciato a guardarsi intorno e quindi sono state influenzate dall’ambiente. Tra le prime

forme possiamo riconoscere i graffiti, raffiguranti scene di vita quotidiana, e le attività

sonore (quasi sicuramente vocali) poiché le cause iniziali di questi sfoghi ed impulsi erano

appunto l’emotività e l’irrazionalità.

Nel Neolitico l’arte ha tratto sempre più stimoli dal mondo circostante ed inoltre le tribù

iniziarono a coltivare la terra ed a suddividere il lavoro: questi avvenimenti portarono alla

stabilizzazione e ad una migliore organizzazione sociale delle popolazioni così da poter

usufruire al meglio del loro tempo. In tale fase il suono inizia ad avere un peso sempre

maggiore nell’esistenza degli esseri viventi fino ad influenzarne le prime concezioni

religiose.

4. RILEVANZA DELLA MUSICA NELLE CIVILTA’ ANTICHE E NELLA

MITOLOGIA GRECA

La musica ed il suono appartengono all’esperienza della vita umana fin dalle sue origini;

basti pensare agli uomini preistorici che ricercavano la comunicazione tra individui non

solo attraverso la gestualità, ma anche attraverso forme sonore prodotte da loro stessi

oppure attraverso degli strumenti.

Con la progressione della storia evolutiva dell’uomo e la nascita delle civiltà, la musica non

è stata messa da parte, anzi essa ne è rimasta parte integrante affiancandola a miti di

guarigione e di rinnovamento come linguaggio per la comunicazione con l’anima. Proprio

per questo motivo il suono è considerato come un linguaggio universale infinitamente più

efficiente del linguaggio verbale in quanto costituito da vibrazioni che si irradiano con

ritmi e frequenze innumerevoli producendo così profonde mutazioni nell’uomo ed in ogni

organismo che le percepisca. Le antiche civiltà erano consapevoli di questo potere

straordinario e “magico” della musica e quindi la considerarono al pari dell’arte, della

poesia e della medicina, rendendola inseparabile dai riti religiosi e dal mito. Nell’antico

Egitto, come in Mesopotamia, nel Medio ed estremo Oriente, la musica fu usata nel culto

religioso e come scienza divina per evocare, attraverso inni sacri e canti, l’energia

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guaritrice della natura ed il potere degli dei. Numerose furono le civiltà che accentuarono

l’importanza della musica:

In Cina. I Cinesi ebbero una capacità straordinaria nell’applicare quest’arte alla cura

delle malattie ed instaurarono una fitta rete di analogie e di simboli che collegava il

sistema delle note musicali alle immagini della natura e della vita civile. Alle note

musicali, inoltre furono associati i cinque elementi fondamentali: legno, terra,

fuoco, acqua e metallo.

In Israele. Per gli Ebrei la musica era un’arte che aveva come scopo l’ascesa dello

spirito umano verso il cielo; infatti si sviluppò molto l’utilizzo della musica sacra

come forma di preghiera. Ad essa fu attribuita una doppia valenza ossia ottenere

l’aiuto e la protezione di Dio, ma allo stesso tempo come tecnica esorcistica contro

gli attacchi delle forze del male.

In India. Nel Tibet ed in India la musica veniva utilizzata per pratiche terapeutiche,

per la vocalizzazione, il sacrificio e la meditazione. Questa popolazione è la madre

di forme di vocalizzazione terapeutica: i cosiddetti mantra. Questa parola tradotta

vuol dire "espressione sacra" utilizzata per la purificazione dell’anima e del

subconscio; essa ha origine dalle credenze religiose indiane ed è proprio delle

culture religiose che fanno capo principalmente alla scrittura sacra del Veda.

Un’analisi particolare viene dedicata alla musicalità all’interno della cultura greca; in essa

la musica godeva di una tale considerazione da essere impiegata nelle leggi e nelle

istituzioni civili come garanzia dell’ordine civile e politico e come segno di armonia tra

mente e corpo. Altro aspetto importante della cultura greca era l’importanza delle divinità e

degli eroi alle cui figure venivano attribuite conoscenze terapeutiche: Apollo, per esempio,

era considerato il dio della luce, della razionalità e della medicina sacra. Spesso tale

divinità era rappresentata con in mano una lira ed un arco, a personificare la forza

sovraumana irradiata dall’arte. Ma perché tra gli strumenti proprio la lira doveva avere il

privilegio di essere posta tra le mani di una divinità di tale importanza?. Bisogna sapere che

nell’antica Grecia gli strumenti musicali erano considerati opera degli dei ed ogni

strumento veniva associato a precise divinità. Ad esempio l’aulus, strumento ad aria

importato dall’oriente, era legato al culto di Dioniso; mentre la lira era considerata dai greci

lo strumento privilegiato per esprimere il potere terapeutico della musica a causa della

dolcezza del suo suono. Nonostante ciò la forma più alta della musicalità per la cultura

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greca era la musica vocale e questo lo si può evincere anche da come venivano narrate le

leggende degli dei, dell’Iliade e dell’Odissea: esse infatti venivano recitate da rapsodi con

l’accompagnamento di strumenti musicali.

5. ANALISI FILOSOFICA DELLA MUSICA

5.1 SCHOPENHAUER

Molti filosofi greci e non, antichi o meno concordano sull’importanza della musica per

l’esistenza dell’uomo; uno dei primi fu Aristotele (300 a.C.) il quale affermava che la

“sacra rappresentazione” del teatro greco aveva l’intento principale di una terapia collettiva

grazie all’intensa catarsi che essa generava sia negli attori che negli spettatori. Altro

filosofo che esaltava l’arte musicale fu Arthur Schopenhauer uno dei maggiori pensatori

del XIX secolo (nonché del pensiero occidentale moderno) che prese spunto per la sua

filosofia da numerose correnti di pensiero tra cui: il materialismo illuminista, la filosofia

delle idee di Platone ed il criticismo kantiano fondendoli con le dottrine orientali buddhiste

ed induiste che facevano capo agli scritti religiosi Veda e Purana. Il risultato di questa

sintesi è una filosofia denotata dal pessimismo e che si basa sulla distinzione kantiana tra

fenomeno e noumeno: il fenomeno però prende il nome di rappresentazione che viene

influenzata dallo Spazio, dal Tempo e dalla Causalità. Schopenhauer espone la sua

filosofia della musica in due dei suoi scritti più significativi dove essa trova la sua

centralità ponendosi al vertice dell’estetica e del pensiero del filosofo: “Il mondo come

volontà e rappresentazione” (1818) e “Parerga e Paralipomena” (1851).

Nel passo qui di seguito tratto da “Il mondo come volontà e rappresentazione” il filosofo

spiega la sua filosofia della musica:

“L’oggettivazione adeguata della volontà sono le idee (platoniche); suscitare mediante

rappresentazione di oggetti particolari (le opere d’arte non sono infatti mai altro) la

conoscenza di queste (e ciò è possibile solo con una adeguata modificazione nel soggetto

conoscente) è il fine di tutte le altre arti. Tutte, infatti, oggettivano la volontà

mediatamente, cioè per mezzo delle idee; e dato che il nostro mondo non è se non il

fenomeno delle idee nella pluralità, attraverso le forme del principium individuationis (la

forma della conoscenza possibile all’individuo in quanto tale); ne deriva che la musica, la

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quale oltrepassa le idee, è del tutto indipendente anche dal mondo fenomenico,

semplicemente lo ignora, e in un certo modo potrebbe continuare ad esistere anche se il

mondo non esistesse piú: cosa che non si può dire delle altre arti. La musica è infatti

oggettivazione e immagine dell’intera volontà, tanto immediata quanto il mondo, anzi,

quanto le idee, la cui pluralità fenomenica costituisce il mondo degli oggetti particolari.

La musica, dunque, non è affatto, come le altre arti, l’immagine delle idee, ma è

invece immagine della volontà stessa, della quale anche le idee sono oggettività: perciò

l’effetto della musica è tanto più potente e penetrante di quello delle altre arti: perché

queste esprimono solo l’ombra, mentre essa esprime l’essenza.[...]In tutta questa

trattazione intorno alla musica mi sono sforzato di mostrare che essa esprime, con un

linguaggio universalissimo, l’intima essenza, l’in sé del mondo, che noi, partendo dalla

sua più limpida manifestazione, pensiamo attraverso il concetto di volontà, e l’esprime in

una materia particolare, cioè con semplici suoni e con la massima determinatezza e verità

del resto, secondo il mio punto di vista, che mi sforzo di dimostrare, la filosofia non è

nient’altro se non una completa ed esatta riproduzione ed espressione dell’essenza del

mondo, in concetti molto generali, che soli consentono una visione, in ogni senso

sufficiente e applicabile, di tutta quell’essenza; chi pertanto mi ha seguito ed è penetrato

nel mio pensiero, non troverà tanto paradossale, se affermo che, ammesso che si potesse

dare una spiegazione della musica, completamente esatta, compiuta e particolareggiata,

riprodurre cioè esattamente in concetti ciò che essa esprime, questa sarebbe senz’altro

una sufficiente riproduzione e spiegazione del mondo in concetti, oppure qualcosa del tutto

simile, e sarebbe così la vera filosofia.”

Secondo Schopenhauer infatti l’arte consiste nella prima forma di liberazione dalla

schiavitù della volontà e quindi da dolore. Egli si appresta quindi a comporre la sua scala

gerarchica delle arti a seconda del modo in cui esse rappresentano la volontà: l’architettura

sarà al gradino più basso perché in essa la volontà si manifesta "come oscuro, incosciente,

meccanico impulso della massa” poi ci saranno la scultura, la pittura, la poesia, la tragedia

ed infine la musica. C’è infatti una differenza sostanziale fra quest’ultima e le altre arti

perché, se queste colgono dei gradi di oggettivazione della volontà, la musica ne è invece

la più diretta rappresentazione; potremmo dire che se le arti oggettivano la volontà in modo

mediato la musica lo fa in modo immediato. La musica è al di sopra di tutto, è un

linguaggio assoluto ed universale che solo il genio può esprimere perché egli è l’unico che

può catturare l’essenza della realtà. Ma come si può parlare questo linguaggio privilegiato?

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Il filosofo dice che, essendo le idee e la musica allo stesso modo oggettivazione della

volontà, per poter parlare di musica ci si potrà servire delle metafore. In questo modo

Schopenhauer dà vita ad un parallelismo tra la musica e il mondo in modo tale che

quest’ultimo possa essere visto come lo svolgersi fenomenico della prima, rendendoli così

come due facce della stessa medaglia. Il filosofo continua su questo punto affermando che

se si potesse “riprodurre cioè esattamente in concetti ciò che essa [la musica] esprime,

questa sarebbe senz’altro una sufficiente riproduzione e spiegazione del mondo in

concetti”. Inoltre vengono forniti negli scritti prima citati delle analogie che legano il

mondo e la musica; ad esempio rintraccia nella musica i quattro regni in cui la realtà si

articola, associando ad essi le quattro voci dell’armonia: basso, tenore, contralto e soprano.

Il regno inferiore è composto dalla materia inerte, alla quale corrisponde nella musica la

nozione di basso; al tenore corrisponde il mondo vegetale, al contralto il mondo animale ed

al soprano il mondo umano.

“[...] quattro voci di ogni armonia, ossia basso, tenore, contralto e soprano, ovvero nota

fondamentale, terza, quinta ed ottava, [...] il basso deve rimanere ad una distanza molto

più grande sotto le tre voci superiori, che queste non abbiano fra di loro; sì che esso non si

può avvicinare a loro che di un'ottava al massimo, ma per lo più riamane ancora al di

sotto, per cui allora la triade regolare ha il suo posto nella terza ottava della nota

fondamentale. [...] l'effetto dell'armonia larga, in cui il basso resta lontano, è molto più

potente e bello di quello dell'armonia stretta, in cui è avvicinato, e che è adoperata solo

per il campo limitato degli strumenti".

Nel brano tratto dai “Supplementi”, Schopenhauer analizza le composizioni musicali

dicendo che il basso non dovrebbe svolgere un ruolo melodico perché il movimento è

indice di una forma naturale più evoluta che solo lo strumento principale (quello che

possiede il tema) può rappresentare; mentre il basso si deve muovere invece per unità

lentissime com’è caratteristico del grado naturale cui si riferisce.

5.2 NIETZSCHE ED IL SUO RAPPORTO CON WAGNER

Dopo Schopenhauer un altro filosofo di grande rilevanza che si riallaccia all’analisi

dell’importanza della musica per l’uomo è Friedrich Wilhelm Nietzsche il quale in un

primo periodo della sua vita (che va dal 1872 al 1876) uno degli aspetti caratterizzanti è

proprio la grande influenza di Schopenhauer e del grande compositore tedesco Wilhelm

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Richard Wagner; mentre in un secondo periodo, che inizia nel 1878 e si conclude nel 1882,

viene segnato da un netto e brusco distacco da suddetti personaggi. Nella prima fase degli

scritti giovanili la sua filosofia viene definita come “Metafisica dell’artista” e le principali

opere sono: “La nascita della tragedia” (1872) e “4 Considerazioni inattuali” (1873-1876).

Nella prima opera il filosofo si oppone fermamente al razionalismo della cultura

Occidentale mentre esalta, come già aveva fatto Aristotele, la tragedia attica (del V sec.

a.C.) di Eschilo e Sofocle affermando che essa è un miracolo. Per arrivare a questa

conclusione Nietzsche inizia il suo percorso filosofico individuando due impulsi sui quali si

basano lo spirito e l’arte greci: l’apollineo ed il dionisiaco. I nomi dati a questi due impulsi

derivano dalle due divinità greche Dioniso ed Apollo: il primo dio della vitalità,

dell’ebbrezza e del caos impersona l’irrazionalità che viene espressa attraverso la musica e

che rappresenta il vero volto della realtà e quindi l’accettazione della vita nella sua totalità.

Il secondo invece è il dio della serenità, della pacatezza, dell’ordine che incarna la

razionalità espressa attraverso l’arte della scultura e rappresentante la fuga dal divenire

attraverso la creazione di una maschera che si pone sul volto della realtà. La filosofia di

Nietzsche si basa sul presupposto che la vita sia profondamente irrazionale e quindi

dionisiaca, infatti afferma che l’apollineo nasce dalla necessità dell’uomo di avere ordine

nella propria vita per renderla vivibile ed accettabile. La tragedia Attica è frutto di una

perfetta sintesi tra l’impulso apollineo, rappresentato all’interno della tragedia dai dialoghi

e dall’azione drammatica, e quello dionisiaco, rappresentato dalla musica e dal coro, che

grazie alla loro unione in perfetto equilibrio sono in grado di mostrarci la vita così come è,

senza pretendere di spiegarla. Per questo lo spettatore una volta finita la rappresentazione

della tragedia era consapevole dell’irrazionalità della vita, ma nonostante ciò pronto a

viverla a pieno; nella vita quotidiana invece l’elemento apollineo prevale su quello

dionisiaco uccidendo così lo spirito tragico. Per Nietzsche la tragedia muore suicida con

Euripide il quale introduce in essa elementi eccessivamente razionali che pretendono di

spiegare la vita eliminandone quindi l’originaria contraddittorietà; alcuni elementi inseriti

furono: il prologo, il deus ex machina, l’epilogo e soprattutto la marginalità del coro. Il

filosofo attribuisce la colpa di questa decadenza della tragedia, e più in generale della

società, alla diffusione sempre più repentina e veloce della cultura razionale occidentale di

cui Socrate fu padre; a questo si deve la sua frase:

“ […] dietro Euripide si nasconde il demone di Socrate […] ”.

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L’unica occasione che l’arte tragica ha per rinascere secondo Nietzsche è attraverso la

musica di Wagner il quale fu uno straordinario innovatore del linguaggio musicale. Al

posto delle forme melodrammatiche della tradizione italiana e francese (che prevedevano la

distinzione tra arie e recitativi), le sue opere mature presentano un declamato melodico

continuo ( Sprachgesang: più o meno “cantar parlando”), sorretto da un flusso musicale

ininterrotto ( la “melodia infinita”), nel quale sono intessute frasi melodiche ricorrenti (i

cosiddetti Leitmotiven, “motivi conduttori”), le quali sono associate ad un personaggio, ad

una situazione tipica o ad un sentimento.

L’amicizia tra Nietzsche e Wagner però finisce quando quest’ultimo gli manda una delle

sue opere: il “Parsifal”. Il misticismo cristiano all’interno dell’opera, che consente a

Parsifal (personaggio folle) di essere riportato alla realtà, induce il filosofo a considerare il

compositore un conformista ed un borghese cristianizzato. Nietzsche infatti disprezza

profondamente il cristianesimo in quanto porta alla negazione della vita e dei suoi piaceri

perché chi è sottomesso a questa religione prova risentimento verso chi si gode la vita.

6. WAGNER E L’IDEOLOGIA NAZISTA

Abbiamo già visto, nel paragrafo precedente, la figura di Richard Wagner a confronto con

la figura di Nietzsche; un altro aspetto particolarmente interessante della sua persona è l’

influenza che egli ha avuto sul movimento nazionalsocialista e soprattutto su Adolf Hitler

anche se visse decenni prima (si ricordi infatti che il noto compositore visse nell’ 800,

mentre il nazismo si diffuse a partire dal XX secolo in Italia e poi nel resto dell’Europa).

Nel suo trattato “Das Judenthum in der Musik”, pubblicato la prima volta nel 1850 sotto

uno pseudonimo, Wagner scrisse che la musica ebraica è priva di ogni espressione,

caratterizzata da freddezza e indifferenza. L’ebreo secondo Wagner non ha una vera

passione dentro di sé che possa spingerlo alla creazione artistica di canzoni o di

composizioni musicali in quanto non è in grado di parlare le lingue europee in maniera

corretta e la sua parola ha un carattere confuso (qualcosa che assomiglia a “scricchiolii,

cigolii, ronzii”) incapace di esprimere passione e qualsiasi sentimento. In opposizione a tale

cultura Wagner eleva l’arte tedesca (in particolare in “Deutsche Kunst und Politik

Deutsche”) e sottolinea l’influenza nociva degli ebrei sulla moralità della nazione tedesca.

Queste idee, insieme al carattere ultranazionalistico delle sue opere, che si possono

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riscontare facilmente nei drammi musicali facenti parte de “L’Anello del Nibelungo”,

fornirono un terreno fertile all’alimentazione del pensiero antisemita nazista.

7. MUSICA E POLITICA DAL FASCISMO ALLA SECONDA GUERRA

MONDIALE

Molte sono le domande che ci potrebbe porre sull’argomento, ma cercherò di riassumerlo

brevemente, mentre per chi volesse approfondirlo si consiglia la lettura del libro “Musica e

regime” dell’etnomusicologo Harvey Sachs pubblicato nel 1995.

Per affrontare la tematica della musica in questo particolare periodo storico è necessario

fare un breve excursus degli anni precedenti ad esso. All’epoca in cui Verdi stava

componendo l’ultima opera della sua carriera: “Falstaff” (1890-1893), vi erano

compositori molto più giovani che avevano già ottenuto grandi successi sia in Italia che

all’estero: Pietro Mascagni (“Cavalleria rusticana”), Ruggero Leoncavallo (“Pagliacci”),

Giacomo Puccini (“Manon Lescaut” e “La bohème”) e Umberto Giordano (“Andrea

Chénier”). All’inizio del regime fascista, questi celebri compositori italiani erano all’apice

del loro successo, anche perché essi si prestavano per composizione di opere a favore di

esso: Puccini, per esempio, si prestò a scrivere “Inno a Roma” nel 1919 che, nonostante

fosse poco apprezzato persino dall’autore stesso, divenne una sorta di secondo inno

nazionale dopo la “Marcia Reale” e “Giovinezza”. Nello stesso periodo, nei maggiori teatri

italiani, riscuotevano grande successo le opere di Wagner, e successivamente si sarebbero

fatte conoscere anche le opere di Ciaikovskij, Musorskij, Richard Strauss e Debussy. Allo

scoppio della prima guerra mondiale, nacquero nuove tendenze compositive, con una

maggiore proposta di musica strumentale, in opposizione al genere del melodramma

dell’ottocento. Questo era, a grandi linee, il quadro che si presentava in Italia nel 1922,

anno in cui Mussolini salì al potere. Egli tentò di assumere il controllo di ogni aspetto della

vita sociale e culturale italiana, e così anche in ambito musicale visto il suo grande amore

per la musica (egli stesso suonava il violino). D’altronde, pur volendo essere considerato un

modernista, nel 1931 inviò le direttive perché fossero favorite più che le esibizioni di

solisti, quelle di “orchestre sinfoniche la cui esecuzione dà un’idea anche della disciplina

collettiva della massa.” Per la prima volta con Mussolini la musica venne utilizzata per

trasformare gli italiani in un popolo rude e militaresco, allontanandolo da ogni forma di

sentimentalismo a proprio vantaggio politico. Nel dicembre 1932, il Corriere della Sera, Il

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LA MUSICA: un ponte tra arte e scienza 13

Popolo d’Italia e La Stampa pubblicarono “un manifesto di musicisti italiani per la

tradizione dell’arte romantica dell’Ottocento”. Questo documento, scritto dal critico

musicale Alceo Toni e firmato da molti musicisti fra cui Respighi, Mulè, Pizzetti, voleva

promuovere tendenze più conservatrici in ambito musicale, espressione di una mentalità

xenofoba e artisticamente provinciale. Essi ponevano la loro “fede collettiva” nei “valori

romantici” (da Verdi a Puccini) con l’intento di contrastare i compositori più innovativi

dell’epoca (come Casella e Malipiero). Alcuni musicisti, pur avendo idee tradizionaliste,

non aderirono al manifesto scatenando una scontro fra intellettuali conservatori e

progressisti; mentre i vertici politici evitarono di prendere una posizione ben precisa. Ma

come e da chi era governata la vita culturale italiana? A capo del Ministero della pubblica

istruzione, da cui dipendevano anche i conservatori musicali, era stato posto inizialmente

(dal 1922 al 1924) il filosofo Giovanni Gentile, che pur essendo di ideologia fascista non

esitò ad assumere intellettuali contrari alla politica di governo. Egli tentò di varare un

programma di riforma della scuola che però fu presto abbandonato per preferire una sempre

maggiore educazione dei giovani nella fede del fascismo. Tuttavia era il il Ministero della

cultura popolare (Minculpop), divenuto tale nel 1935 (prima si chiamava Ministero della

stampa e della propaganda) ad esercitare l’influenza più profonda sulla vita musicale

italiana. Questo dimostra anche quanto fosse considerata importante la musica, in tutte le

sue espressioni, per la propaganda di regime. Furono istituiti il Sindacato nazionale fascista

dei musicisti, con ampie competenze a livello nazionale e la Corporazione dello spettacolo,

posta sotto la giurisdizione del Ministero delle corporazioni. Il fascismo giunse a governare

le attività di tutte le istituzioni musicali, dalle scuole ai conservatori, ai teatri, ai festival ed

ai concorsi. La politica fascista non modificò sostanzialmente i programmi di istruzione

scolastica e professionale dei musicisti, ma l’autarchia e l’antisemitismo influenzarono

certamente tutto il sistema.

7.1 LA CANZONE POPOLARE

Il genere musicale della canzone diventò un fenomeno di massa dall’inizio del novecento

grazie al diffondersi del più importante ed innovativo mezzo di comunicazione dell’epoca:

la radio. Fu proprio con la seconda guerra mondiale che le trasmissioni radiofoniche

vennero utilizzate ampiamente per la propaganda, non solo attraverso i notiziari ed i

bollettini ufficiali, ma anche per mezzo delle canzoni. In Italia, alla vigilia della guerra, i

possessori di apparecchi radiofonici erano circa 1.200.000, mentre in Germania addirittura

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12.000.000. La radio assunse un ruolo fondamentale nella propaganda di guerra in quanto

annunciava alla folla radunata nelle piazze, ai reparti militari ed alle fortunate famiglie che

possedevano un apparecchio, le principali tappe politico-militari del conflitto. Con l’entrata

dell’Italia in guerra, la trasmissione radiofonica dedicata alle forze armate diventò sempre

più frequente e, con il progredire del conflitto, lo spazio dedicato alla guerra e ai

combattenti aumentò ulteriormente fino a raggiungere il loro numero massimo alla fine del

1942. Le canzoni trasmesse inizialmente alimentarono euforia e false speranze che si

trasformarono, con il protrarsi del conflitto, in dubbio e incertezza. I testi delle canzoni

furono via via sempre più retorici per mascherare o minimizzare gli insuccessi e le sconfitte

militari. Il regime cercò con ogni mezzo di sostenere il morale delle truppe al fronte e per

assicurarsi l’appoggio della popolazione nella produzione bellica, sia ricorrendo ad

immagini patriottiche sia diffondendo canzonette di svago.

7.2 I CANTI DEL FRONTE INTERNO

L’entrata in guerra venne vista tutto sommato con ottimismo e la convinzione generale era

che si trattasse di un conflitto breve e vittorioso: nessuno si rendeva ancora conto ancora

che era appena iniziata una nuova guerra mondiale. L’Inghilterra, sola a combattere contro

le potenze dell’Asse, sembrava non avere alcuna possibilità di successo quando le truppe

italiane attaccarono la Francia sulle Alpi Occidentali e l’Inghilterra in Africa. La

propaganda di regime svolse un enorme lavoro per guadagnare l’appoggio entusiastico

delle masse e la radio ebbe un ruolo determinante anche attraverso l’uso della canzone.

Immediatamente la censura iniziò una vera e propria campagna di epurazione della canzone

da qualunque genere melodico di provenienza straniera, in particolare americana.

L’E.I.A.R. (Ente Italiano Audizioni Radiofoniche) era strettamente sorvegliato dal

Ministero per la cultura il quale aveva fatto in modo che ogni sera alle ore 20 venissero

trasmesse, insieme ai bollettini di guerra, canzonette che inneggiavano all’eroismo, alla

lotta ed alla vittoria. L’idea della morte era sempre rappresentata o come un evento remoto

difficilmente realizzabile, in modo da sottolineare l’invincibilità del soldato italiano, o

come l’estremo e glorioso sacrificio per il trionfo della Patria. I compositori italiani, posti

sotto strettissimo controllo dal regime, facevano a gara nel comporre brani per eccitare

l’animo sia dei civili sia dei militari al fronte. La canzone più nota di questo periodo era

Vincere (datata proprio 10 giugno 1940), chiaro esempio dell’esaltazione generale dei

primi mesi di guerra.

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Testo della canzone:

VINCERE

Temprata da mille passioni

la voce d'Italia squillò!

"Centurie, coorti, legioni,

in piedi che l'ora suono"!

Avanti gioventù!

Ogni vincolo, ogni ostacolo superiamo,

spezziamo la schiavitù

che ci soffoca prigionieri del nostro Mar!

Vincere! Vincere! Vincere!

E vinceremo in terra, in cielo, in mare!

E' la parola d'ordine

d'una suprema volontà!

Vincere! Vincere! Vincere!

Ad ogni costo, nessun ci fermerà!

I cuori esultano,

son pronti a obbedir,

son pronti lo giurano:

o vincere o morir!

Elmetto, pugnale, moschetto,

a passo romano si va!

La fiamma che brucia nel petto

ci sprona ci guida si va!

Avanti! Si oserà l'inosabile,

l'impossibile non esiste!

La nostra volontà è invincibile,

mai nessun ci piegherà!

Vincere! Vincere! Vincere!

E vinceremo in terra, in cielo, in mare!

E' la parola d'ordine

d'una suprema volontà!

Vincere! Vincere! Vincere!

Ad ogni costo, nessun ci fermerà!

I cuori esultano,

sono pronti a obbedir,

sono pronti lo giurano:

o vincere o morir!

Nel testo si trovavano richiami alla Roma imperiale, simboli di riscossa e di rivincita

dell’Italia in campo internazionale. Lo scopo di questo motivo era evidente: esaltare

l’animo del popolo e la figura di Mussolini, cui veniva attribuito un alone divino. Non solo

la parola “Vincere” era ripetuta tre volte nel ritornello, ma venivano riproposte anche

alcune frasi significative del Duce in occasione della dichiarazione di guerra del 10 giugno

1940. Il discorso iniziava con: “Combattenti di terra, di mare e dell’aria!”, e la canzone

riecheggiava così: “E vinceremo in cielo, terra e mare!”. Veniva poi ripresa anche la parte

finale del discorso: “La parola d’ordine è una sola…. Vincere!”, e la canzone: “È la parola

d’ordine d’una suprema volontà”. Questa fu la prima vera canzone della seconda guerra

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mondiale; le parole della canzone preannunciavano la vittoria totale anche grazie alla

strabiliante innovazione tecnologica dell’aviazione. L’idea di una eventuale sconfitta non

era neppure concepibile. All’inizio del conflitto gli italiani si fidarono ciecamente delle

parole di Mussolini: egli sembrava non poter commettere alcun errore in politica estera,

alimentando false speranze nel popolo e in molti militari. D’altra parte, anche per chi si

trovava già sotto le armi, il conflitto si preannunciava breve e vittorioso, grazie

all’inarrestabile avanzata dei tedeschi in tutta Europa. Questa è solo una delle numerose

canzoni, tra le più importanti si ricordano Giovinezza (1922), All’armi, Inno a Roma

(1930), Faccetta nera (1935), Inno de giovani fascisti, Caro Papà, Lilì Marlen e Bombe

sull’Inghilterra.

8. LA MUSICA NELLA LETTERATURA ITALIANA NEI PRIMI ANNI

DEL NOVECENTO: D’ANNUNZIO E LA PIOGGIA NEL PINETO

Dopo aver analizzato l’arte musicale dal punto di vista sia filosofico sia storico non

possiamo ignorare ovviamente l’influenza che essa ha avuto nell’ambito della letteratura. I

legami tra la letteratura e la musica sono antichissimi, tanto che, potremmo dire, la

distinzione dei generi artistici è sentita maggiormente solo da noi moderni, mentre secoli fa

spesso non si pensava ad alcuni generi letterari senza richiamarsi automaticamente alla

musica. In particolare, nel periodo dei primi anni del Novecento e con l’affermazione della

corrente artistico-letteraria del Decadentismo, i poeti e gli scrittori si sentono estranei da un

mondo che considerano materialista. Essi avvertono un senso di decadenza morale della

loro epoca e ne colpevolizzano lo sviluppo di quegli anni; sostenendo che solo l'intuizione,

la sensibilità ed il sentimento, possano farli penetrare nei misteri della vita e farli distaccare

dal materialismo. Per questo la loro poesia è libera leggera, carica di significato e

simbologie. I principali autori italiani di questo periodo sono: Giovanni Pascoli, Gabriele

D'Annunzio, Italo Svevo e Luigi Pirandello.

Gabriele D’Annunzio nell’opera “Laudi del cielo, del mare, della terra, degli eroi”

(realizzata solo in parte) prevedeva la produzione di sette raccolte poetiche; in particolare

“Alcyone” (scritto tra il giugno 1899 e il novembre 1903) contiene il meglio del

D'Annunzio poeta. La struttura dell’opera è divisibile in cinque sezioni, per un totale di 88

testi. La prima sezione è ambientata nel paesaggio agricolo tra Fiesole e Firenze nel mese

di giugno; i sette testi che la compongono costituiscono lodi di vari luoghi e piante, nonché

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delle diverse ore del giorno nell’attesa dell’inizio estate. La seconda sezione sposta

l’ambientazione in Versilia; a questo punto l’estate è esplosa: i diciannove testi che

formano questa sezione contengono la prima celebrazione del rapporto panico con la

natura, con la quale il soggetto tende ad identificarsi. La terza sezione contiene sedici testi

segnati dall’estate piena e dal tentativo di dare solidità all’esperienza individuale attraverso

il ricorso al mito classico. La quarta è formata da ventisei testi dedicati ancora all’estate

culminante, ma anche i primi presagi autunnali. La quinta ed ultima sezione comprende

diciassette testi nei quali emergono i sentimenti del ripiegamento e della perdita che si

accompagnano alla fine dell’estate e alla impossibilità di resuscitare il mito nel mondo

moderno. Famoso esempio della musicalità d’annunziana è “La pioggia nel pineto”

(contenuta nella seconda sezione).

LA PIOGGIA NEL PINETO

Taci. Su le soglie

del bosco non odo

parole che dici

umane; ma odo

parole più nuove

che parlano gocciole e foglie

lontane.

Ascolta. Piove

dalle nuvole sparse.

Piove su le tamerici

salmastre ed arse,

piove su i pini

scagliosi ed irti,

piove su i mirti

divini,

su le ginestre fulgenti

di fiori accolti,

su i ginepri folti

di coccole aulenti,

piove su i nostri volti

silvani,

piove su le nostre mani

ignude,

su i nostri vestimenti

leggieri,

su i freschi pensieri

che l'anima schiude

novella,

su la favola bella

che ieri

t'illuse, che oggi m'illude,

o Ermione.

Odi? La pioggia cade

su la solitaria

verdura

con un crepitío che dura

e varia nell'aria

secondo le fronde

più rade, men rade.

Ascolta. Risponde

al pianto il canto

delle cicale

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LA MUSICA: un ponte tra arte e scienza 18

che il pianto australe

non impaura,

né il ciel cinerino.

E il pino

ha un suono, e il mirto

altro suono, e il ginepro

altro ancóra, stromenti

diversi

sotto innumerevoli dita.

E immersi

noi siam nello spirto

silvestre,

d'arborea vita viventi;

e il tuo volto ebro

è molle di pioggia

come una foglia,

e le tue chiome

auliscono come

le chiare ginestre,

o creatura terrestre

che hai nome

Ermione.

Ascolta, ascolta. L'accordo

delle aeree cicale

a poco a poco

più sordo

si fa sotto il pianto

che cresce;

ma un canto vi si mesce

più roco

che di laggiù sale,

dall'umida ombra remota.

Più sordo e più fioco

s'allenta, si spegne.

Sola una nota

ancor trema, si spegne,

risorge, trema, si spegne.

Non s'ode voce del mare.

Or s'ode su tutta la fronda

crosciare

l'argentea pioggia

che monda,

il croscio che varia

secondo la fronda

più folta, men folta.

Ascolta.

La figlia dell'aria

è muta; ma la figlia

del limo lontana,

la rana,

canta nell'ombra più fonda,

chi sa dove, chi sa dove!

E piove su le tue ciglia,

Ermione.

Piove su le tue ciglia nere

sì che par tu pianga

ma di piacere; non bianca

ma quasi fatta virente,

par da scorza tu esca.

E tutta la vita è in noi fresca

aulente,

il cuor nel petto è come pesca

intatta,

tra le pàlpebre gli occhi

son come polle tra l'erbe,

i denti negli alvèoli

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con come mandorle acerbe.

E andiam di fratta in fratta,

or congiunti or disciolti

(e il verde vigor rude

ci allaccia i mallèoli

c'intrica i ginocchi)

chi sa dove, chi sa dove!

E piove su i nostri vólti

silvani,

piove su le nostre mani

ignude,

su i nostri vestimenti

leggieri,

su i freschi pensieri

che l'anima schiude

novella,

su la favola bella

che ieri

m'illuse, che oggi t'illude,

o Ermione.

8.1 LA STRUTTURA MUSICALE

La poesia ha un’evidente struttura musicale. Grazie al suo straordinario virtuosismo

verbale, D’Annunzio mira a trasformare la parola in musica, in linea con la concezione

della poetica decadente (Verlaine, “Arte poetica”, v.1: “Della musica innanzi ad ogni

cosa…”). Ma la partitura musicale della lirica vuole essere a sua volta una riproduzione, o

la traduzione in linguaggio umano di un’altra musica, quella composta dalla pioggia. Vi è

infatti, secondo la metafisica decadente, una rispondenza profonda tra la parola poetica e la

realtà oggettiva; la parola è collegata con l’essenza stessa, misteriosa e segreta, delle cose, è

come la formula magica in grado di svelarla. Le quattro strofe della poesia sono

organizzate come i movimenti di una sinfonia. La prima strofa inizia con un breve preludio

(vv.1-7), che segna il passaggio dai discorsi "umani" tra il poeta e la donna, alle "parole"

della natura. Vi è poi la proposizione generale del tema musicale: la caduta della pioggia

sulle varie presenze della natura vegetale. In questo movimento si propone il tema panico

dell'identificazione del soggetto umano con la vita vegetale, dove le presenze umane

figurano come un semplice elemento alla pari con gli altri. La seconda strofa riprende la

tematica della pioggia, specificandola musicalmente: il poeta distingue nella sinfonia

generale della pioggia il suono diverso delle gocce a seconda delle foglie più o meno rade,

potremmo dire la voce diversa dei singoli strumenti nel "pieno" dell'orchestra. Nella

partitura musicale, a quest'ultima si unisce anche uno strumento solista, la voce delle cicale,

con cui "dialoga". Al termine, si ha la ripresa del motivo panico: il poeta e la donna sono

viventi di "arborea vita", il volto della donna è molle di pioggia come una foglia, i capelli

profumato come ginestre; Ermione è una creatura "terrestre", che scaturisce dalla terra

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come la vegetazione. Nella terza strofa allo strumento delle cicale giunge in

contrapposizione una canto dal timbro più roco: quello delle rane. Il motivo panico è

presente anche alla chiusura di questa strofa: le ciglia di Ermione si collocano alla pari

rispetto alle varie foglie su cui scroscia la pioggia. Nell'ultima strofa si sviluppa pienamente

il motivo panico che nelle precedenti era accennato solo in sordina: la donna è quasi

"virente", come una creatura vegetale, e sembra uscire dalla scorza degli alberi, come le

ninfe antiche.

8.2 GLI STRUMENTI FORMALI

La partitura "musicale" della poesia è costituita da strumenti sofisticati.

Innanzitutto la metrica, che è estremamente libera, non soggetta ad alcuno schema

tradizionale. Si succedono versi brevi, senari, settenari, ottonari, novenari, ma persino versi

trisillabi, composti di una sola parola. Questa estrema frammentazione dei versi ha un

valore ironico, cioè intende riprodurre la pluralità di presenze e di voci che si affollano

nella pineta sotto la pioggia.

Altro strumento per eccellenza del virtuosismo musicale di D'Annunzio è la rima, che

ricorre anche essa molto liberamente, senza alcuno schema fisso. Particolarmente musicali

sono le coppie di versi a rima baciata, ma vi sono anche rime al mezzo e rime o

consonanze all'interno di un unico verso.

Alla qualità musicale del discorso poetico da' un contributo fondamentale anche la

modulazione fonica. Basti osservare la variazione tra i toni chiari delle a e i toni cupi delle

o toniche in questi versi: «e varia nell'aria / secondo le fronde / più rade men rade», che

pare avere quasi un'intenzione mimetica della varietà dei suoni delle gocce sulle foglie.

Ancora il canto limpido delle cicale che si diffonde nella vastità dell'aria è reso con la

predominanza della vocale a nelle sedi toniche: «al pianto il canto / delle cicale / che il

pianto australe...»; mentre il suono più cupo e roco del canto delle rane è reso con il

predominio delle più oscure vocali o e u: «dall'umida ombra remota», «nell'ombra più

fonda». Così il tremolio del canto delle cicale è reso con la frequenza vibrante della r:

«ancor trema, risorge».

A questo virtuosismo metrico e timbrico si unisce anche l'uso scaltrito di numerosi

procedimenti retorici. In primo luogo l'anafora, come la serie insistita dei «piove» nella

prima strofa; ma anche l'epifora, come la triplice ripetizione a fine verso della clausola «si

spegne»; inoltre ci sono allitterazioni (spirito silvestre, ciel cinerino..) e paronomasie

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(ombra / fronda); vi è poi la ripetizione a distanza di certe clausole con minime variazioni,

con un gusto da ritornello di canzone popolare.

9. THE MUSIC IN ENGLISH LITERATURE OF XX CENTURY: JOYCE

AND DUBLINERS

One of the most important author that put the music on the first place in his works is surely

James Joyce. As a matter of fact in his work he seems to have used not only his talents as

an author, but also his expertise as a musician. Joyce, having an extensive musical

background, was able to skillfully infuse his broad knowledge of music into his portrait of

Irish society. Joyce uses music for purposes of symbolism, characterization, including the

suggestion that characters “mature” over the course of several stories, and to expound upon

the themes, motifs, and tones expressed in the work as a whole. The author uses musical

allusions in many stories for purposes of characterization. One of his most important work

is Dubliners.

Published in 1914 in London, it is a collection of fifteen stories in which he portrays the

lives of different people living in Dublin. Joyce uses an external narrator, but the stories are

told from the point of view of the main character. All the events take place in Dublin,

which is not simply a setting. The spirit of the city acts as a link between all the characters

and the unity of experiences is underlined by the fact that a character from one story may

happen to mention a character from another story, so creating an inter-connecting web in

the narrative. The fifteen stories which make up Dubliners follow the four phases of human

life from childhood through to adolescence, maturity and public life (political, artistic and

religious). The protagonists come from all walks of life: maids, music teachers, clerks,

students… Joyce focuses on specific moments in their lives that, at first, seem to belong to

the mundane, everyday activities, but they become special to the characters as they

correspond to important moments of self awareness. The last story in the collection, “The

Dead”, deserves a special mention. It is the longest story and usually considered one of the

finest short stories of the 20th

century, where Joyce displays acute psychological insight and

ability to render human emotions and relationships, also in relation with music. In this story

in fact Gretta starts crying because of a song she heard at the party, which sparks off her

‘epiphany’.

The Dubliner’s stories focus on two recurrent themes: paralysis and epiphany.

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LA MUSICA: un ponte tra arte e scienza 22

Paralysis can be described as a condition which is characteristic to modern man; the

consequence of a frenetic and impersonal city life which affects many of us and may have

different sources; the frustrating and stifling circumstances of an unfulfilling job, the

unhappiness and loneliness cause by an unsuccessful marriage or lack of friendship; a life

which many do not like but which few are able to change. In most of the stories the

protagonists have some desire they would like to fulfill, they attempt to do so but they are

forced to give up because of their circumstances (family, culture, religion) something

within them makes it impossible to react.

The second theme, epiphany, describes a sudden revelation in the everyday life of the

characters, of an emblematic truth or reality. It results in the character having a more

profound understanding of themselves and the situation in which they live, even if, in the

end, they do not act upon this realisation but passively continue with their lives as before.

10. MUSICA E SCIENZA

Fino ad ora si è osservata l’attinenza della musica con varie materie umanistiche; ciò però

non vuol dire che essa non abbia collegamenti con quelle scientifiche come possono essere

la fisica e la chimica. Infatti la musica rappresenta quel concetto che racchiude in sé, forse

più di tutti, sia l'arte che la scienza.

L'acustica è la scienza che studia il suono, inteso sia come agente fisico, cioè come onda

prodotta da una sorgente ed in grado di stimolare l'orecchio umano. Oltre a coinvolgere la

fisica, il suono coinvolge anche scienze quali la biologia (con l’apparato uditivo), la

psicologia (l’effetto che essa può avere sulla mente umana) e la chimica (all’ascolto della

musica il corpo produce varie sostanze chimiche che influenzano l’attività metabolica).

10.1 LE ONDE SONORE

Il suono è formato da onde, ossia da perturbazioni che si propagano nello spazio

trasportando energia, longitudinali. Per onde longitudinali si intende che la loro direzione

di perturbazione è parallela alla direzione di propagazione dell’onda. Esse vengono

generate da un oggetto vibrante e si possono propagare solo in un mezzo materiale come

può essere i gas, i liquidi ed i solidi; ma mai nel vuoto. Il corpo vibrante che fa da sorgente

del suono, causa una compressione dello strato d’aria davanti ad esso provocando un

leggero aumento di pressione dell’aria in questa regione. Questa regione di aria compressa

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LA MUSICA: un ponte tra arte e scienza 23

è chiamata compressione e si allontana dalla sorgente con la velocità del suono. Dopo la

compressione, viene prodotto una regione chiamata rarefazione, in cui la pressione dell’aria

è leggermente minore di quella normale. Continuando a vibrare la sorgente genera una

successione di zone in cui l’aria è alternativamente compressa e rarefatta: questa è l’onda

sonora.

Fig. 1: raffigurazione della compressione e della rarefazione dell’onda acustica.

La lunghezza d’onda (λ - lambda) è uguale alla distanza tra i centri di due compressioni

successive o di due rarefazioni successive. E’ importante ricordare che il suono non è

generato dal trasporto di masse d’aria, ma dalla loro oscillazione che poi si va a placare una

volta che la sorgente smette di vibrare.

Fig. 2 lunghezza d’onda caratteristica dell’onda acustica

Ogni ciclo di un’onda sonora oltre ad essere composto da una compressione e una

rarefazione, ha anche una frequenza dell’onda: il numero di cicli che passano in un

secondo in uno stesso punto del mezzo in cui l’onda si propaga. Un suono si dice puro

quando le particelle investite dall’onda sonora oscillano con moto armonico (A): la

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LA MUSICA: un ponte tra arte e scienza 24

frequenza di oscillazione delle particelle è la frequenza del suono puro. Quando le

particelle oscillano di moto periodico ma non armonico (B), il suono si dice complesso:

anche in questo caso, si può individuare una frequenza che caratterizza il suono, detta

frequenza fondamentale.

Fig. 3 differenza tra l’andamento di un’onda armonica e non armonica.

Una persona giovane riesce a sentire suoni che hanno frequenze comprese tra 20 Hz e

20000 Hz (cioè 20 kHz). La capacità di sentire i suoni con frequenza maggiore diminuisce

con l’età: una persona di mezz’età non riesce più a percepire suoni con frequenze superiori

a 12-14 kHz. È possibile generare suoni che hanno frequenze minori o maggiori dei limiti

di udibilità, anche se normalmente questi suoni non vengono percepiti dall’orecchio

umano. I suoni con frequenza minore di 20 Hz sono chiamati infrasuoni, mentre quelli con

frequenza maggiore di 20 kHz sono chiamati ultrasuoni. Un suono puro può essere

generato con un diapason, mentre gli strumenti musicali non emettono suoni puri ma suoni

complessi caratterizzati da forme d’onda molto differenti tra loro. Nella figura seguente

sono indicati in rosso gli intervalli di frequenze che vengono emessi dai vari soggetti presi

in considerazione; mentre in blu sono evidenziati gli intervalli di suoni udibili.

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LA MUSICA: un ponte tra arte e scienza 25

Fig. 4 schema rappresentante le frequenze emesse ed udibili da vari esseri viventi.

La frequenza è una caratteristica oggettiva del suono perché può essere misurata con un

apposito strumento. Invece, il modo in cui la frequenza viene percepita cambia da un

ascoltatore all’altro. Il nostro cervello, infatti, interpreta le frequenze rilevate dall’orecchio

in termini di una qualità soggettiva detta altezza: un suono con una frequenza

fondamentale alta è interpretato come un suono alto o acuto, mentre un suono con una

frequenza fondamentale bassa è interpretato come un suono basso o grave. Per esempio, un

ottavino produce suoni acuti, mentre una tuba produce suoni gravi. Le note della scala

musicale corrispondono a ben precise frequenze sonore (come è mostrato nella prima

immagine sottostante). Nel complesso, il nostro udito è uno strumento assai raffinato.

Infatti, quando ascoltiamo una stessa nota musicale suonata da strumenti diversi, siamo in

grado di distinguerli anche se gli strumenti stanno emettendo suoni con la stessa frequenza

fondamentale. Questa diversa percezione è legata a una caratteristica del suono, chiamata

timbro, che dipende dalla particolare legge periodica con cui oscillano le particelle quando

sono investite dall’onda sonora.

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LA MUSICA: un ponte tra arte e scienza 26

Fig. 5 schema dell’andamento dell’onda in base alla pressione dell’aria che lo strumento emette quando vibra

Fig. 6 esempi di frequenze in base alla diverse note effettuate da un pianoforte

Le onde sonore trasportano energia che può essere usata per compiere lavoro, per esempio

quello di far vibrare il timpano del nostro orecchio. La quantità di energia trasportata in un

secondo da un’onda è chiamata potenza dell’onda e nel Sistema Internazionale si misura in

joule al secondo (J/s), cioè watt (W).

Quando si allontana dalla sorgente che l’ha emessa, un’onda sonora si propaga

attraversando superfici di area sempre maggiore e nelle quali: passerà la stessa potenza, ma

l’intensità del suono sarà minore nella superficie più lontana, ossia quella più ampia.

L’intensità sonora I è definita come rapporto tra la potenza sonora media P che attraversa

perpendicolarmente una data superficie e l’area A di suddetta superficie:

I = P/A e l’unità di misura sarà W/m2

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LA MUSICA: un ponte tra arte e scienza 27

La nostra percezione del suono non è direttamente proporzionale alla sua intensità: se,

partendo da un certo valore base, l’intensità aumenta di dieci, cento, mille volte, noi

percepiamo un suono due, tre o quattro volte più «forte». Per queste ragioni è utile

introdurre una misura della sensazione sonora, che si chiama livello di intensità sonora.

Il livello di intensità sonora, che misura la nostra percezione dell’intensità del suono, si

misura in decibel (dB). Ogni volta che l’intensità sonora aumenta di 10 volte, il livello di

intensità sonora cresce di 10 dB. Si assegna il valore di 0 dB al livello di intensità sonora

che corrisponde alla soglia di udibilità, cioè alla minima intensità che è normalmente

percepibile (figura 7). A 130 dB corrisponde la soglia del dolore. Suoni e rumori con

livello di intensità superiore a 100 dB possono danneggiare l’udito in modo permanente.

DOMANDA

Fig. 7 scala dei livelli d’intensità sonora

10.2 LA BIOCHIMICA DELLA MUSICA

Una volta generata un’onda sonora essa viene recepita dall’uomo attraverso l’organo

dell’udito: l’orecchio.

L’orecchio degli esseri umani comprende in realtà due organi separati, uno per l’udito e

l’altro per il mantenimento dell’equilibrio. Entrambi gli organi si fondano sullo stesso

principio di base, ossia la stimolazione di lunghe proiezioni simili a microvilli presenti

sulle cellule ciliate (meccano-recettori) all’interno di canali riempiti di liquido.

L’orecchio è un organo complesso che comprende tre regioni: l’orecchio esterno,

l’orecchio medio e l’orecchio interno.

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Fig. 8 illustrazione dell’anatomia dell’orecchio

L’orecchio esterno è costituito dal padiglione auricolare e dal condotto uditivo. Essi

raccolgono le onde sonore e le fanno convergere sul timpano, una membrana di tessuto che

separa l’orecchio esterno da quello medio.

Quando la pressione delle onde sonore arriva al timpano, esso vibra con la loro stessa

frequenza, e trasmette le vibrazioni a tre ossicini: il martello, l’incudine e la staffa. La

staffa è connessa con la finestra ovale, un foro nell’osso del cranio, ricoperto da una

membrana attraverso la quale le vibrazioni sono trasmesse all’orecchio interno.

Nell’orecchio medio si apre la tromba di Eustachio, un canale comunicante con la faringe

che ci permette di far entrare ed uscire l’aria, equilibrando così la pressione sui due lati del

timpano.

L’orecchio interno consiste di canali pieni di liquido alloggiati nell’osso temporale del

cranio e le vibrazioni sonore o i movimenti della testa mettono in moto il fluido. Uno di

questi canali, la coclea, è un lungo tubo avvolto su se stesso a spirale. Dapprima le

vibrazioni si trasmettono dalla finestra ovale al liquido presente nel canale superiore della

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coclea; quindi si propagano dal canale superiore all’apice della coclea ed infine entrano nel

canale inferiore dove gradualmente si smorzano.

fig. 9 sezione trasversale della coclea e organo di Corti

La sezione trasversale della coclea mostra che al suo interno si trovano tre canali riempiti

di liquido. Il nostro organo dell’udito, l’organo di Corti, è localizzato all’interno del canale

mediano ed è costituito da un insieme di cellule ciliate sorrette dalla membrana basilare (il

pavimento del canale mediano). Le cellule ciliate sono i recettori sensoriali dell’orecchio.

Gli apici di queste cellule ciliate sono in contatto con la membrana tettoria, la membrana

che, come si può osservare, sporge dalla parete del canale mediano. Quando un’onda di

pressione passa attraverso il canale superiore della coclea, preme verso il basso sul canale

mediano, facendo vibrare la membrana basilare. Essa, vibrando, fa alternativamente

avvicinare ed allontanare le cilia dalle cellule ciliate della membrana tettoria. Questo

movimento stimola il rilascio di neurotrasmettitori a livello di sinapsi con i neuroni

sensoriali (i quali sono connessi con la base delle cellule ciliate), trasportando gli impulsi

all’encefalo ed alla corteccia uditiva attraverso il nervo acustico.

Dal nervo acustico poi l’impulso arriva al cervello il quale produce come

neurotrasmettitore la dopamina che servirà poi per propagare l’impulso a tutto il corpo.

Robert Zatorre, neuroscienziato cognitivista che lavora al Neurological Institute della

Mcgill University di Montreal, sostiene che i brividi (o "chills", che generalmente

chiamiamo "pelle d'oca") causati dall'ascolto di un brano musicale particolarmente

emozionante dipendono da questa particolare sostanza chimica. Egli ritiene che vi siano 2

fasi in cui vengono rilasciate le molecole di dopamina nel cervello: la prima durante

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l'esecuzione e l’ascolto di una melodia, la seconda prima del massimo picco di piacere

generato dall'ascolto del brano.

Cosa è la dopamina?

La dopamina è una sostanza chimica sintetizzata per la prima volta nel 1910 da George

Barger e James Ewens presso i laboratori Wellcome a Londra. Essa fa parte del gruppo

delle catecolamine, ossia composti chimici che derivano dall’amminoacido tirosina; esse

sono idrosolubili e sono legate per il 50% alle proteine del plasma, cosicché possono

circolare nel sangue. Alcune delle più importanti, oltre alla dopamina, sono:

l'adrenalina (epinefrina) e la noradrenalina (norepinefrina).

La dopamina (la cui formula bruta è C6H3(OH)2CH2CH2NH2) è una sostanza formata da un

anello benzenico, con due gruppi ossidrilici, al quale poi è legato un gruppo etilamminico.

Fig. 10 struttura molecolare della dopamina 2D e 3D

11. CONCLUSIONE

Durante il percorso illustrato in questo lavoro, abbiamo visto come la musica influenzi

molti ambiti della vita umana, non limitandosi all’ambito artistico come molti possono

pensare. Il mio intento era quello di evidenziare il ruolo poliedrico della musica, e pertanto

auspico che nella scuola italiana venga data la giusta importanza a questa materia in vista

anche del ruolo educativo e terapeutico che essa esercita.

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