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Tiggiano, 20 gennaio - Corsano, 1 febbraio Taurisano, 20 aprile - Ruffano, 23 aprile 2013 a cura di STEFANO T ANISI presentazione MASSIMO RATANO GIORGIO ROCCO DE MARINIS S.E. mons. VITO ANGIULI introduzione GIOVANNI GIANGRECO DOMUS DEI Ugento 2013

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Tiggiano, 20 gennaio - Corsano, 1 febbraio

Taurisano, 20 aprile - Ruffano, 23 aprile

2013

a cura di

STEFANO TANISI

presentazione

MASSIMO RATANO

GIORGIO ROCCO DE MARINIS

S.E. mons. VITO ANGIULI

introduzione

GIOVANNI GIANGRECO

DOMUS DEIUgento 2013

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Testi:Vito AngiuliAntonella ChiarelloStefano CorteseGiorgio Rocco De MarinisGiovanni GiangrecoCarlo Vito MorcianoMargherita PasqualeMassimo RatanoSalvatore RoccaStefano TanisiVincenzo Vetruccio

Referenze fotografiche:dove non segnalato,le foto appartengono agli autoridelle relazioni

Impaginazione e stampa:Tipografia Marra - Ugento (Lecce)

Cura editoriale:Stefano Tanisi

ISBN 978-88-909037-0-0

© 2013 Associazione Domus DeiTutti i diritti riservati.

Vietata la riproduzione con qualsiasimezzo effettuata, senza autorizzazionedell’Editore e di altri avente diritto.

Associazione Domus DeiPiazza S. Vincenzo, 2173059 Ugento (Lecce)www.domusdei-bizantini.it

Per la buona riuscita del progetto si ringraziano:

- la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimentodella Gioventù

- la Diocesi di Ugento - Santa Maria di Leuca,- l’Ufficio Diocesano per i Beni Culturali,- l’Ufficio Diocesano per l’Ecumenismo,- il Museo Diocesano, le Parrocchie e le Confraternite,- il Vicariato per la Puglia della Sacra Arcidiocesi Ortodossa

d’Italia e Malta- le Amministrazioni Comunali- le Associazioni di Volontariato- la Soprintendenza per i BAP per le provincie BAT

e Foggia- la Soprintendenza per i BAP per le provincie di Lecce,

Brindisi e Taranto- l’Amministrazione Provinciale di Lecce- la Regione Puglia - Assessorato Agricoltura

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Presentazione (M. RATANO - G. R. DE MARINIS) .............................................................................. pag. 5

Presentazione (+ V. ANGIULI) .................................................................................................................. » 11

Introduzione (G. GIANGRECO) ................................................................................................................ » 13

S. CORTESE, L’iconografia di sant’Ippazio nel Salento ......................................................................... » 19

S. TANISI, Saverio Lillo e il dipinto del Martirio di sant’Ippazio di Tiggiano ................................. » 27

S. CORTESE, L’iconografia di san Biagio nel Salento............................................................................ » 39

A. CHIARELLO, Il culto di san Biagio a Corsano .................................................................................. » 47

M. PASQUALE, La facciata di Santa Maria della Strada a Taurisano in Terra d’Otranto ........... » 59

S. CORTESE, Santa Maria della Strada dal XIII al XVI secolo........................................................ » 93

S. TANISI, Saverio Lillo e il dipinto della Madonna della Strada di Taurisano .............................. » 101

S. ROCCA, L’affresco dell’Annunciazione e il culto del Sacro Cordonein Santa Maria della Strada in Taurisano ............................................................................................ » 109

C.V. MORCIANO, Un esempio di illustrazione libraria bizantinanell’affresco di San Marco della cripta della chiesa del Carmine di Ruffano ..................................... » 123

S. CORTESE, La cripta bizantina di San Marco a Ruffano ................................................................. » 135

S. TANISI, Aspetti storico-artistici della chiesa del Carmine di Ruffano ............................................ » 145

V. VETRUCCIO, Il tempio di san Marco in Ruffano: un culto dimenticato ......................................... » 159

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Presentazione

L’associazione culturale Domus Dei, costituita nel 2003, ha svolto negli annidiverse attività rivolte alla promozione della storia e della cultura locale, alla ge-stione dei musei e del patrimonio ecclesiastici, ha curato una serie di pubblicazioniinformative storico artistiche sul territorio salentino ed ha organizzato campagneinformative e di sensibilizzazione per la salvaguardia delle opere d’arte.

L’esperienza acquisita insieme alle risorse umane disponibili, le reti di relazioneintessute, le capacità organizzative e attuative raggiunte, la verifica del possessodei requisiti, hanno incoraggiato nel 2009 a partecipare al bando denominato“I Giovani Protagonisti” promosso dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri -Dipartimento della Gioventù con un progetto dal titolo “I Bizantini del XXI se-colo” a valere sull’Area tematica D) “Attività ricreative, del tempo libero e del tu-rismo” ovvero progetti destinati a migliorare ed incrementare le opportunità disvago, di intrattenimento e di socializzazione destinate in particolare ai giovanied alle categorie svantaggiate, e volte ad incentivare stili di vita sani e modellicomportamentali positivi, nonché iniziative volte ad affermare il ruolo del turismoquale strumento di coesione sociale e nazionale e di educazione non-formale.

Il progetto è arrivato dodicesimo in graduatoria su diciotto aggiudicatari a li-vello nazionale e finanziato con decreto del 16/12/2010 dalla Presidenza del Con-siglio dei Ministri - Dipartimento della Gioventù. Le attività hanno avuto inizioil 07/02/2012 e si sono concluse in data 07/05/2013.

Il Progetto “I BIZANTINI DEL XXI SECOLO” nasce per incentivare il pro-tagonismo giovanile e favorire l’incontro e la socializzazione. Il progetto supera laconcezione di una dimensione giovanile legata alle politiche del disagio stimo-lando azioni che hanno visto “la gioventù” come l’ambito dell’esistenza in cui, inmodo privilegiato, possono crescere ed affermarsi terreni quali il protagonismo,l’auto-organizzazione, la produzione culturale e la cittadinanza attiva. Il progetto“I Bizantini del XXI secolo” si è proposto come un campo aperto di sperimenta-zione in cui l’arte, lo spettacolo, la musica e i mestieri tradizionali si offrono comestrumento di intervento nel territorio in relazione a specifici obiettivi di gover-nance. Attraverso questo progetto si è offerto uno spazio di incontro, scambio econfronto in cui i giovani hanno avuto e continueranno ad avere la possibilità diritrovarsi e di “fare insieme”, di aggregarsi intorno ad attività artistiche, multi-mediali e culturali, favorendo percorsi di benessere e di promozione della creativitàed in cui i giovani possano continuare ad esprimere il proprio protagonismo par-

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tecipando attivamente all’organizzazione ed alla gestione delle attività.L’obiettivo generale del progetto “I Bizantini del XXI secolo” consisteva nel-

l’accrescere la capacità dei giovani, di valorizzare in chiave di sviluppo locale (cul-turale, economico e occupazionale) il ricco patrimonio culturale ereditato in epocabizantina nel Salento. In particolare, l’obiettivo generale del progetto riguardavasia i beni culturali “sacri” e i luoghi di culto presenti sul territorio, sia il patrimo-nio culturale immateriale (ritualità religiose e civili legate alle feste patronali, ere-dità culturale nella storia locale risalente all’epoca bizantina).

Da tale obiettivo generale discendevano poi altri specifici come quello di:

• promuovere il protagonismo e la partecipazione giovanile ai diversi mo-menti della vita cittadina (da quello economico a quello culturale, daquello sociale a quello politico e civile);

• migliorare il senso di inclusione dei giovani all’interno della comunità lo-cale;

• promuovere l’espressione artistico-culturale giovanile nelle sue diverseforme, dall’arte grafica e pittorica a quella musicale, dal teatro al cinema,ecc.;

• sviluppare un’informazione continua rivolta ai giovani su questioni riguar-danti i corretti stili di vita e le opportunità di socializzazione e di lavoro,poiché il rapido mutamento di abitudini, di modelli di riferimento e valoriporta a ritenere che informazioni e conoscenze devono essere messe in con-tinua discussione e mai date per acquisite;

• costruire una rete tra i centri giovanili, parrocchie, periferie, centri diurni,gruppi sportivi, luoghi di ritrovo, per assicurare una corretta comunica-zione tra i vari comuni e i vari luoghi di socializzazione;

• promuovere la cultura dell’impresa sociale, quale scelta professionale oggipossibile e praticabile;

• migliorare le possibilità e le opportunità di fare rete tra i giovani del ter-ritorio, anche attraverso la creazione di occasioni di confronto e dialogo(una sorta di gemellaggio) con giovani di altre realtà urbane pugliesi, na-zionali ed internazionali.

Il progetto ha previsto la realizzazione di un percorso integrato di formazionee accompagnamento progettuale rivolto ad un gruppo di operatori delle associa-zioni giovanili no profit (religiose e laiche) già impegnate nel campo della tutelae valorizzazione dei beni culturali (materiali ed immateriali), nonché l’ideazione e

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organizzazione di eventi artistici legati ai medesimi beni (associazioni socio-cul-turali e artistiche, comitati feste, cooperative di servizi, ecc.). Punto di partenza èstato il concetto di “festa patronale” intesa come momento di socializzazione po-polare, tra riti, tradizioni, usanze e nuovi modelli di fruizione. Il progetto ha offertoai giovani l’opportunità di partecipare nella realizzazione e fruizione di un’offertaculturale coerente con l’identità storica del territorio e proiettata verso nuove formedi espressione, socializzazione, produzione artistico-culturale, tempo libero. Haprevisto un partenariato interregionale con giovani selezionati da Associazionidella Parte orientale della Sicilia (Catania), la cui conformazione storica e culturale,alla pari di quella salentina, è stata profondamente segnata dalla civiltà bizantina.

Nel dettaglio, il progetto si è articolato attraverso le seguenti fasi di attività:

• indagine preliminare sui beni storico-culturali (materiali e immateriali)legati alla cultura bizantina;

• selezione delle organizzazioni giovanili no profit (attive nel settore del-l’arte, la cultura, lo spettacolo e il tempo libero) da coinvolgere nell’idea-zione e realizzazione di nuovi eventi artistico-culturali ispirati alla culturabizantina;

• selezione delle organizzazioni (pubbliche e private) interessate ad ospitarele produzioni e gli eventi ideati e realizzati nel corso del progetto;

• percorsi formativi-laboratoriali rivolti ai giovani individuati dalle orga-nizzazioni giovanili selezionate, nell’ambito dei quali sono stati ideati eprogettati nuovi prodotti ed eventi (creazioni ed esposizioni di pitturaiconografica, scultura, piccolo artigianato e monili, restauro opere librarie,ecc...); i prodotti progettati e realizzati hanno costituito un cartellone dieventi e manifestazioni che si sono tenute su tutto il territorio del BassoSalento;

• accompagnamento all’attuazione dei progetti creati durante i laboratori;• promozione dell’offerta culturale e turistica creata con il progetto: portale

di progetto, social network tra le associazioni coinvolte, offerta di pacchettituristici “convenzionati” rivolti al pubblico giovanile per la partecipazioneagli eventi realizzati nel progetto.

Nel corso del progetto sono stati organizzati n. 11 Laboratori tematici sullastoria, l’arte e la cultura Bizantina. Ai Laboratori hanno partecipato 53 giovani,alcuni dei quali provenienti dalla Sicilia (provincia di Catania) che hanno presoparte alla visita di studio organizzata nel Salento.

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Laboratori realizzati nel progetto e loro prodotti

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Laboratorio

Strumenti e centri scrittori “basiliani” nelSalento meridionale

Bizantini a Hollywood: relazione tracinema e arte

Civiltà bizantina in Terra d’Otranto

Le armature nel Salento Bizantino

Affreschi “basiliani” del Salento:dall’iconografia alla tecnica

L’oreficeria bizantina al tempo deibasiliani, studio e reinterpretazione

La decorazione libraria “basiliana” nellaPuglia meridionale

Prima catalogazione e studio dello stato diconservazione del materiale archivisticod’epoca bizantina

Influssi della musica bizantina nelcanto gregoriano e nella musica organisticadalle origini ai nostri giorni

Prodotto

• Riproduzione di antichi strumenti scrittori bizan-tini: Calamo, Inchiostro Ferro-Gallico; Compassoa punta di piombo in ferro battuto e punte dipiombo dolce; Roncolina in ferro battuto e legnod’ulivo; Squadre e regoli in legno di faggio; Tavo-letta cerata in legno di faggio e cera d’api

• Realizzazione di segnalibri in vera pergamena, raf-figuranti illustrazioni di soggetti faunistici, flo-reali e folkloristici del Salento meridionale condidascalia in greco corsivo

• Video sul mondo bizantino nel cinema

• Candele “segnatempo”• Giochi di epoca alto medievale

• Manuale della “Lorica Squamata” secondo leantiche tecniche bizantine

• “Cotta di maglia” secondo le antiche tecnichebizantine e normanne

• Spatha bizantina• Decorazione di uno scudo bizantino

• Sezioni decorative bizantine• Reportage fotografico dei soggetti provenienti

dalle cripte bizantine del Salento meridionale

• Reinterpretazione della gioielleria bizantina,in particolare legata al Salento

• Riproduzione di particolari miniaturistici bizan-tini per la realizzazione di segnalibri artistici giàprodotti nel laboratorio “Strumenti e centri scrit-tori basiliani”

• Classificazione del materiale pergamenaceoe papiraceo

• Ascolti musicali guidati sulle interazioni trala musica bizantina ed il canto gregorianooccidentale

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Uno degli aspetti centrali dei Laboratori è stato il coinvolgimento attivo dei gio-vani partecipanti. Infatti, le attività applicative e realizzative hanno avuto un ruolopreponderante, pur integrate con parti introduttive di tipo storico e teorico. Il ruolodi tutor ed esperti, quindi, è consistito in prevalenza nel guidare i giovani parteci-panti ad assumere un ruolo capace di integrare quello di ricerca storica e riprodu-zione artigianale di manufatti storici secondo le tecniche dell’epoca. I Laboratori,inoltre, hanno interagito tra loro nel corso della loro implementazione. Ad esempio,il laboratorio n. 11 “Alla scoperta dell’arte Bizantina nel Capo di Leuca” ha realizzatoun reportage fotografico sull’arte bizantina nel Salento meridionale, quale base perla realizzazione di sezioni decorative nel laboratorio n. 5 “Le armature nel Salento Bi-zantino”, nel laboratorio n. 6 “L’oreficeria bizantina al tempo dei “basiliani”, studio ereinterpretazione” e n. 1 “Strumenti e centri scrittori “basiliani” nel Salento Meridionale”.

Nel complesso, le attività svolte nei Laboratori hanno realizzato una collezionedi piccole opere e manufatti sull’arte e la cultura bizantina. Tali produzioni sonostate presentate in occasione delle mostre organizzate all’interno del progetto.

I convegni e le mostre sono documentati con foto e video caricati sul portaledel progetto (http://www.domusdei-bizantini.it).

Eventi organizzati nel progetto: convegni e mostre

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Laboratorio

Storia della Chiesa Bizantina nel Salento

Alla scoperta dell’arte Bizantinanel Capo di Leuca

Prodotto

• Il laboratorio ha prodotto le basi conoscitive perla realizzazione della celebrazione-rappresenta-zione pubblica della messa bizantina

• Realizzazione di visite guidate: scatti fotograficiper la realizzazione di una mostra e i laboratorimanuali

Titolo evento

Sant’Ippazio: dalla tradizionebizantina al XXI secolo

San Biagio: dalla tradizionebizantina al XXI secolo

Santa Messa in Rito Ortodosso

Contenuti

• Convegno• Mostra Multimediale “Il culto

di sant’Ippazio a Tiggiano”

• Convegno

• Liturgia

Data e luogo

18 gennaio 2013, Tiggiano,chiesa di S. Ippazio ePalazzo Baronale

1 febbraio 2013, Corsano,chiesa di Santa Sofia

13 aprile 2013, Taurisano,Santuario S. M. della Strada

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A conclusione del progetto, quindi, grazie ai Laboratori è stata realizzata dai gio-vani una mostra di opere, manufatti e installazioni (fisiche e multimediali).Le attività di convegno e mostre continuano ad essere richieste dalle amministra-zioni Comunali e dalle Parrocchie in occasione di ricorrenze e feste patronali del-l’area territoriale del Salento. Inoltre, un gruppo di giovani partecipanti aiLaboratori hanno formalizzato la loro collaborazione nella promozione e sviluppodi tali attività. Infatti, 17 giovani hanno aderito formalmente all’associazioneDomus Dei come soci tesserati proprio per continuare a collaborare nella valoriz-zazione e promozione del territorio con le attività create nell’ambito del progetto“I Bizantini del XXI secolo”.

MASSIMO RATANO GIORGIO ROCCO DE MARINIS

Associazione INNOVAMENTI Associazione DOMUS DEI

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Titolo evento

Il tuo volto, Signore, io cerco

Tradizione Bizantina a Tauri-sano: Santuario MadonnadellaStrada

Bizantini nel Cinema

Il Culto di San Marco. Tradi-zione bizantina a Ruffano

Contenuti

• Mostra di icone sacre

• Convegno

• Mostra multimediale

• Convegno

Data e luogo

13-20 aprile 2013,Taurisano, Sala PolivalenteTecnorestauro

20 aprile 2013,Taurisano, Santuario S. Mariadella Strada

7 aprile 2013,Ugento, Museo Diocesano

23 aprile 2013,Ruffano, chiesa del Carmine

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Presentazione

Il Salento per secoli è stato crocevia di popoli e culture diverse. Tra queste, lapresenza del culto italo-greco ha lasciato una traccia indelebile non solo nell’espres-sione della fede ma anche nell’aspetto storico-artistico e nei comportamenti dellapietà popolare. Attraverso le molteplici attività promosse dal progetto “I Bizantinidel XXI secolo”, l’Associazione Domus Dei ha posto all’attenzione del pubblicoil patrimonio storico e antropologico di ispirazione orientale presente nel territoriodiocesano, organizzando significativi incontri di studio e riflessione nelle comunitàlocali.

Aspetto lodevole che ha caratterizzato l’iniziativa è stato il forte impegno neldialogo ecumenico. Infatti, ancora una volta, il nostro territorio ha testimoniatoil ruolo di ponte con l’Oriente, proponendo nei diversi incontri uno scambio cul-tuale e culturale fra le tradizioni cristiane delle due Chiese.

Per la prima volta si registra un coinvolgimento diretto delle comunità localisu temi che riguardano direttamente le tradizioni e la fede delle nostre popolazioniviste con la lente degli studi di giovani ricercatori anch’essi appartenenti alle stessecomunità. Questo lascia ben sperare per un futuro foriero di ulteriori realizzazioniche aiutino i fedeli ad avere una coscienza religiosa sempre più chiara ed ancorataagli insegnamenti della Chiesa e alla tradizione dei padri.

Le mie felicitazioni vanno a tutti i giovani della Domus Dei e delle altre asso-ciazioni, i quali con il loro impegno sono riusciti a valorizzare alcuni tasselli fon-damentali della nostra tradizione religiosa e culturale.

+ VITO ANGIULI

Vescovo di Ugento - S. Maria di Leuca

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Introduzione

Da quando gli studi sul Salento sono stati ampliati e le conoscenze generali e

particolari sul territorio sono state approfondite, grazie soprattutto alla presenza

dell’Università e di tanti studiosi attivi anche fuori del mondo accademico, la co-

scienza dell’identità dei salentini ha raggiunto una maturità più accentuata e il

livello delle conoscenze si è esteso anche tra quanti non frequentano gli ambienti

della ricerca.

Questo dato positivo contrasta, però, con l’ostentata azione di valorizzazione

dei beni culturali da parte delle amministrazioni pubbliche locali - talvolta anche

degli enti ecclesiastici - che, gelose del loro ruolo e delle loro prerogative derivanti

dalla proprietà dei monumenti, non avvertono sempre l’urgenza di collaborare con

gli studiosi e tendono a perpetuare comportamenti ed iniziative che non tengono

sempre conto delle più recenti acquisizioni scientifiche sulle opere di loro proprietà

con danno per la diffusione della sensibilità nei confronti dei monumenti.

Il proliferare di opuscoli divulgativi, di dépliants, di brochures, risente di una

qualche disinformazione rispetto alle novità scientifiche e continua a divulgare

nozioni superate o leggendarie perché a redigere queste notizie sono dei non ad-

detti ai lavori e, in qualche caso, volenterosi amministratori i quali, con l’idea di

far risparmiare le casse comunali, si improvvisano storici, archeologi o critici d’arte.

La recente notorietà del Salento ha colto un po’ tutti di sorpresa, non soltanto gli

operatori turistici ma gli stessi amministratori locali i quali hanno creduto di ri-

spondere alle esigenze manifestate dai numerosi ospiti – turisti senza attrezzarsi

tecnicamente e soprattutto, culturalmente.

È emersa l’antica vocazione dei salentini ad arrangiarsi per risolvere problemi

nuovi e sconosciuti senza rendersi conto che le novità, stavolta, erano ben più com-

plesse del previsto e non bastava più far leva sull’esperienza storica e sulle cono-

scenze culturali della classe dirigente del territorio o sull’orgoglio delle Comunità;

occorreva quel tanto di umiltà che consentisse di chiedere aiuto agli specialisti

dei diversi settori dei beni culturali per offrire un servizio adeguato alle nuove esi-

genze di visitatori colti giunti nel Salento attrezzati con le formidabili guide rosse

del touring.

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In una realtà culturale di tale spessore e tenendo conto del contesto sociale ed

antropologico come quello salentino, l’Associazione Domus Dei ha redatto il pro-

getto I Bizantini del XXI secolo con cui ha voluto affrontare alcuni dei temi più

noti e condivisi della religiosità popolare del Capo di Leuca e ha voluto studiarli

alla luce delle metodologie scientifiche più appropriate ed aggiornate offrendone

i risultati alla riflessione delle Comunità locali interessate.

Obiettivo di tale iniziativa era quello di aiutare il territorio a conoscere meglio

la propria cultura e a riannodare più saldamente i fili del rapporto con la memoria

dei padri alla luce della moderna scienza.L’articolazione del progetto si sviluppava

intorno al culto di alcuni dei Santi più diffusi nella religiosità popolare del Capo

di Leuca come: Sant’Ippazio, San Biagio, Santo Stefano, San Marco.

Accanto a questo tema quello relativo alla cultura e alle testimonianze artistiche

del rito greco, per secoli problema molto spinoso in tutta l’area di Terra d’Otranto,

la cui scomparsa ha lasciato tracce profonde e indelebili nel carattere originario

dei Salentini ancora oggi riscontrabili nello spessore della loro religiosità e nel-

l’attaccamento alle tradizioni antiche (come, ad esempio le feste patronali) assunte

e vissute anche con valore civile.

La novità del progetto ha avuto un fortissimo impatto nelle Comunità coinvolte

dalle diverse manifestazioni, riscontrabile nelle numerosissime partecipazioni di

fedeli e di pubblico in genere ai singoli incontri.

E la ragione di tanto coinvolgimento va individuata, oltre che nella popolarità

dei temi trattati, anche nella presenza di giovani studiosi - tutti provenienti dal

territorio - i quali hanno saputo coinvolgere nelle loro studiose riflessioni il pub-

blico per la passione con cui hanno svolto le ricerche e la capacità di comunicarne

i risultati con semplicità e correttezza scientifica.

Questa esperienza quasi interamente laica, dimostratasi positiva sul piano scien-

tifico, ha offerto diversi spunti di riflessione anche sotto l’aspetto religioso. Proprio

l’intensa e numerosa partecipazione da parte dei fedeli ci è parsa utile considera-

zione da offrire a riflessioni successive per eventuali iniziative che potrebbero esten-

dersi in contesti diversi con l’obiettivo di affrontare altri argomenti legati alle

profonde tradizioni popolari condivise dell’area del Capo di Leuca.

La ricchezza del patrimonio culturale custodito nella memoria della Terra di

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Leuca va culturalmente affrontata e scientificamente scandagliata perché potrebbe

offrire ancora tanti elementi conoscitivi ignoti o malnoti con giovamento per la

cultura salentina e non solo. Quello che ancora attendono le popolazioni dei nostri

piccoli centri abitati è conoscere il valore e il senso della loro subalternità che da

troppi secoli le ha relegate ad un ruolo di periferia dello stivale, che non è sempre

stato geografico, con danni e pregiudizi per l’immaginario collettivo locale quando

sogna il futuro dei suoi figli.GIOVANNI GIANGRECO

Soprintendenza per i B.A.P. di Lecce

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Convegno

Sant’Ippaziodalla tradizione bizantinaal XXI secolo

Tiggiano, 20 gennaio 2013

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Sant’Ippazio. Caprarica del Capo, chiesa S. Andrea (foto S. Tanisi)

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STEFANO CORTESE

L’iconografia di sant’Ippazionel Salento

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Sant’Ippazio. Casarano, chiesa matrice (foto S. Tanisi)

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Prima di addentrarmi sull’argomento della serata,mi è stato chiesto dagli organizzatori di aprire una pa-rentesi per analizzare brevemente sant’Eligio emersoproprio in questa chiesa di Tiggiano [fig.1], in occa-sione dei recenti lavori di restauro.

L’affresco è posto sul pilastro destro della navatacentrale, poco prima del transetto. Sembra potersi da-tare alla prima metà del XVI secolo, periodo nel qualeil santo vescovo francese conosce una enorme fortuna.Basti pensare al ’500-’600 per poter annoverare nume-rosi affreschi del santo, tra cui Casaranello, Calimera,Martignano, Calimera, Ruffano e Muro1. A questi ciaggiungerei anche Supersano [fig.2]: nella cripta dellaMadonna Coelimanna, sul pilastro destro dove è cam-pito il santo diacono Stefano (da alcuni erroneamenteidentificato come Lorenzo, nonostante l’iscrizione ese-getica greca non comporti dei dubbi), compare il santovescovo di datazione cinquecentesca, dall’identità ano-nima. Confrontandolo con i casi sopra citati, in parti-colare con il dittico di Casaranello e con Ruffano,emergono le straordinarie analogie somatiche del gio-vane santo2. Ritenuto protettore degli orefici e soprat-

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1 Si tratta del dittico pensile nella chiesa di santa Maria della Croce a Casaranello (1537), dell’affresconella cappella omonima tra Calimera e Melendugno, dell’affresco nella cappella Madonna delle Graziea Melendugno, dell’affresco della Madonna di Costantinopoli nella cappella omonima a Calimera, del-l’affresco nella cripta del Crocefisso della Macchia a Ruffano (1615), dell’affresco absidale nella chiesadi santa Marina a Muro Leccese.2 Durante la preparazione della stampa di questi atti, ho potuto riscontrare la prova inconfutabile del-l’identità del santo: in basso, sulla sinistra, è presente un animale da stalla accucciato (asino?), mentrea destra si intravede la committente, in atteggiamento orante.

Fig. 1. Sant’ Eligio.Tiggiano, chiesa S. Ippazio

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tutto dei fabbri, viene raffigurato con deglianimali da stalla o con degli attrezzi in ferroin basso, tra cui le staffe.

Ma ora approfondiamo il discorso su s. Ip-pazio. Un vero problema che attanaglia gliappassionati di storia dell’arte, riguardal’identità di alcuni santi vescovi, in assenzadi iscrizioni esegetiche o di simboli. È questoil caso che, per esempio, riguarda diverse sta-tue poste su alcuni altari del ’600-’700, comenel caso della matrice di Vitigliano.

Nella tela ubicata nel transetto dellachiesa madre di Tiggiano infatti, il santo, lacui identità viene svelata solo dall’iscrizioneesegetica in basso, viene ritratto con i son-tuosi abiti vescovili, nel momento in cuiviene posata la mitria vescovile da due angeli.

Forse potremmo considerare la tela (di au-tore anonimo) qui presente, del 1626, comel’iniziativa iconografica dalla quale poi si èdesunta l’immagine del santo, così come losarà la settecentesca statua qui custodita.

È immaginato come anziano, con pochicapelli e con barba, caratteristiche che lo distinguono da sant’Eligio e da san Do-nato (entrambi rappresentati giovani, anche se non sempre). Mancano altri segnidistintivi, così come nella versione tardo-cinquecentesca della statua lignea di Tig-giano [fig.3], oggi in corso di restauro. Solo dal ’700 compare l’attributo maggiore,che consente in alcuni casi di riconoscere il santo: il drago (entrando nelle schieradei santi sauromachi). È questo anche l’animale associato a san Donato, ma que-st’ultimo ha un repertorio di simboli più ampio, come il crescente lunare o co-munque, quasi sempre, l’identità del santo viene riconosciuta dalla giovane età3.

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Fig. 2. Sant’ Eligio.Supersano, cripta Madonna Coelimanna

3 Ad Ugento, nel santuario Madonna della Luce, è però affrescato il santo con le sembianze da anziano.

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Soltanto nella seconda metà del ‘700, Saverio Lillo crea una diversa iniziativaiconografica: non più stante e con gli attributi, ma una dinamica scena di martirio.

Il pittore ruffanese si sarà informato sulla agiografia, ponendo l’ambientazione-culmine in primo piano, con dei carnefici intenti a lanciare le pietre (anche da

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Fig. 4. Sant’Ippazio, part. Ugento, santuario Santi Medici

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S. LILLO (attr.), Martirio di sant’Ippazio, part. Tiggiano, chiesa S. Ippazio

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STEFANO TANISI

Saverio Lillo e il dipinto del Martiriodi sant’Ippazio di Tiggiano

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S. LILLO (attr.), Sant’Ippazio. Presicce, chiesa matrice

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Il pittore settecentesco ruffanese Saverio Lillo è da considerarsi come il diffusoredei modelli della pittura napoletana in Terra d’Otranto nel XVIII secolo.

Le recenti ricerche condotte negli archivi, nelle diverse chiese e palazzi del Sa-lento, hanno permesso di ricostruire la vicenda biografica e artistica del pittore1.

Francesco Saverio Donato Lillo, terzogenito di Angelo e Anna Maria Micoccio,nasce a Ruffano il 14 maggio 17342.

Dal matrimonio con la ruffanese Margherita Stefanelli, celebrato il 30 aprile17553, nascono dieci figli dei quali sopravvivono solo tre: Moyses (Ruffano 1766ca. - ivi 1789), pittore; Maria Rachele (Ruffano 1768 - Lecce 1845), pittrice; Gio-suè (Ruffano 1776 - Lecce 1849), musicista.

Il pittore muore a Ruffano il 12 ottobre 17964 all’età di 62 anni, assistito dallamoglie Margherita e dai due figli superstiti, Maria Rachele e Giosuè.

L’impegno pittorico di Saverio Lillo più importante e documentato è quellocompiuto per la chiesa matrice di Ruffano: nel 1765 realizza i dipinti del coro raf-figuranti La Cacciata di Eliodoro dal Tempio5, Mosè e il castigo di Core, La visita della

regina di Saba a Salomone; nel 1767 la tela della controfacciata di Gesù scaccia i mer-

canti dal Tempio6. Proprio queste grandi opere “d’esordio”, che espongono, nel loropiccolo, il rinnovamento della tradizione pittorica locale verso i nuovi modelli na-poletani (opere di Solimena, de Matteis, Malinconico), il pittore riceverà vasti con-sensi dalla committenza salentina e diventerà uno dei protagonisti nell’ultimotrentennio del ’700.

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1 Il presente studio è tratto dalla mia tesi “Il Sacro nella sintassi pittorica di Saverio Lillo” discussa pressol’Accademia di Belle Arti di Lecce, a.a. 2004-2005, relatore prof. Franco Contini.2 ARCHIVIO STORICO PARROCCHIALE NATIVITÀ BEATA MARIA VERGINE RUFFANO (d’ora in avanti ASPN);Liber Baptizatorum, atto n. 946 del 15 maggio 1734. 3 ASPN, Liber Matrimonium, atto n. 231 del 30 aprile 1755.4 ASPN, Liber Mortuorum, atto del 12 ottobre 1796.5 Firmato e datato: “Xaverius Lillo P. 1765”.6 Firmato e datato: “Xaverius Lillo A’ Ruffano P. 1767”.

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Fig. 1. S. LILLO, Sant’Alessandro Sauli, 1780. Tiggiano, chiesa S. Ippazio

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Fig. 2. S. LILLO, (attr.), Martirio di sant’Ippazio. Tiggiano, chiesa S. Ippazio

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In primo piano si svolge la scena del cruento martirio: a sinistra una donna si

affaccia da un balcone per lanciare una pietra al santo, mentre diversi uomini si

accingono anche loro a lanciargli dei sassi; a destra un altro uomo si appresta a

raccogliere delle pietre. I volti dei malfattori sono tutti caratterizzati da sguardi

furiosi e malvagi. Tanta è la rabbia che traspare dai loro volti che i muscoli facciali

sono fortemente tesi: vi è la contrazione fortemente energica del muscolo corru-

gatore del sopracciglio; le pupille sembrano fuoriuscire dalle orbite, e le labbra

concorrono a dare alle facce l’espressione di disprezzo.

Al centro vi è in piedi sant’Ippazio, vestito in abiti prelatizi, ha le mani incro-

ciate sul petto. Lo sguardo è rivolto verso il cielo a implorare l’aiuto divino: il cor-

rugatore del sopracciglio è contratto; gli occhi lucidi e gonfi sembrano trattenere

un pianto a dirotto. La commessura delle labbra è portata in basso, imprimendo

sulle stesse, un’espressione di tristezza. Sulla tempia sinistra è ben visibile una fe-

rita sanguinante, mentre ai piedi compaiono la mitra e il pastorale.

In alto planano i due angeli che reggono in mano la palma del martire, il giglio

e la corona di alloro13.

Le anatomie dei volti e dei corpi, soprattutto quelli del santo e dell’angelo in

alto a destra, possono trovare riscontro in diverse opere autografe del Lillo (cfr.

figg. 4 - 6 - 8).

Compositivamente il pittore ruffanese si è ispirato in parte a una nota opera di

Pietro da Cortona, Il martirio di santo Stefano, conservato nel Museo Hermitage di

San Pietroburgo [fig. 9], del quale dipinto, probabilmente, all’epoca circolava

un’incisione14: il Lillo, infatti, nella tela di Tiggiano ha riproposto i due uomini

che lanciano le pietre e l’angelo che compare in alto a sinistra.

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13 Al centro tra i due angeli vi è un ripensamento del pittore: è ben visibile una mitra vescovile proba-bilmente venuta fuori durante la fase di restauro.14 A ribadire la notorietà del dipinto Il martirio di Santo Stefano di Pietro da Cortona, nella chiesa del-l’Immacolata di Manduria vi troviamo una grossolana copia.

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Fig. 3. S. LILLO, (attr.)Martirio di sant’Ippazio, part.

Fig. 5. S. LILLO, (attr.)Martirio di sant’Ippazio, part.

Fig. 6. S. LILLO, Fede, part.Ruffano, chiesa matrice

Fig. 8. S. LILLO, Carità, part.Ruffano, chiesa matrice

Fig. 7. S. LILLO, (attr.)Martirio di sant’Ippazio, part.

Fig. 4. S. LILLO, San Paolo, 1769, part.Tricase, chiesa S. Domenico

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Convegno

San Biagiodalla tradizione bizantinaal XXI secolo

Corsano, 1 febbraio 2013

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Affresco di San Biagio, part. Carpignano Salentino, cripta di S. Cristina

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STEFANO CORTESE

L’iconografia di san Biagionel Salento

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Fig. 1. Affresco dell’Immacolata. Corsano, chiesa SS. Medici

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Colgo l’occasione di questo convegno aCorsano, nell’ambito della rassegna sui Bizan-tini, per segnalare quanto già espresso nel se-rata introduttiva della magnifica rassegnaestiva “Ti racconto a Capo”. È questo un paesedalla forte matrice italo-greca, testimoniataancora oggi dai culti presenti: santa Maura,santa Sofia e san Biagio, la cui venerazione èoggetto del personale intervento. Ma, prima diaddentrarmi sulla questione devozionale-ico-nografica, vorrei concentrare le attenzioni suun bene di Corsano semi-sconosciuto e che po-trebbe avere origini bizantine. Si tratta della cappella oggi identificata come santiMedici, in piazza Caduti, segnalata dalle fonti come chiesa santa Maria de Laudoo dell’Alto, esistente già nel 1628, all’epoca della visita del Perbenedetti1. Nellacitata visita viene riportata l’esistenza dell’affresco oggi dipinto nell’abside, ovverouna Immacolata (dentro una mandorla iridata), ritoccata poi nel ’700 quando fuampliata la stesura pittorica, corredando la Vergine degli attributi delle litanielauretane [fig. 1]. Ma l’attenzione del sottoscritto si è concentrata su tracce assailabili poste sullo spiccato dell’abside, sul lato sinistro: quelle tracce quasi invisibili,fotografate e potenziate con appositi software al pc, hanno rivelato un viso con ri-chiami bizantini. A personale avviso, vista la capigliatura del santo, potrebbe iden-tificarsi come san Giuliano [fig. 2], santo militare dipinto in altri contesti comenella cripta S. Maria degli Angeli a Poggiardo e Centopietre di Patù.

1 Cfr. A. JACOB - A. CALORO (a cura di), Luoghi, chiese e chierici del Salento meridionale in età moderna,Congedo Editore, Galatina, 1999, p. 59. Fu probabilmente il barone di Corsano annoverato nella stessavisita, Nicola Antonio Cicala, a far ricostruire la chiesetta (oggi la copertura della zona presbiteriale ri-sulta essere seicentesca) e contestualmente far affrescare la Vergine Immacolata. All’epoca della visita,inoltre, la chiesa era ancora priva di pavimentazione. Nella seconda metà dell’800, il sacro tempiosubisce un profondo rimaneggiamento con un allungamento del vano.

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Fig. 2. Affresco di San Giuliano (?).Corsano, chiesa SS. Medici

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Altri casi di attestazione del santo, nel Salento, li riscontriamo nella visita pa-storale nella diocesi di Nardò di mons. Ludovico De Pennis (1452): qui vengonoannoverate due chiese medievali, a Casarano grande e Parabita; al santo è inoltreintitolata la chiesa madre di Specchia Gallone, all’epoca della visita del De Capuanel 15225. Tra l’altro, il culto di san Biagio è attestato, in zona prima nella vicinaTiggiano, come ricorda la visita ad limina del 16286, dove viene riportato cheuna cappella posta in mezzo alla campagna (in direzione Corsano?) era intitolataa san Biagio con il santo titolare dipinto sulla parete, mentre il resto delle muraerano imbiancate.

Con il passaggio al rito latino, san Biagio cambia iconografia e conosce una ra-pida diffusione, attestata già nei secoli XVI-XVII. La tradizione, riportata dalMarciano7, ma in parte ispirato dagli scritti del Ferrari8, annovera addirittura sanBiagio come nativo di Lecce e poi rifugiato a Sebaste per scampare dalle persecu-zioni di Diocleziano.

A testimonianza dell’antichità del culto, il Marciano narra che la famiglia delsanto a Lecce si impose il cognome Sanbiase e per nuovo emblema si creò unoscudo bianco e un monte azzurro, sopra il quale si pose un pettine a forma di ra-strello insanguinato. Inoltre, sempre secondo la tradizione, la porta orientale diLecce assunse il nome di san Biagio perché da lì scappò il futuro vescovo. Un ar-tificioso tentativo di “leccesizzare” il santo9, ma che è segno perentorio della fortediffusione del culto. La presenza del segno distintivo del pettine da cardatore,viene sempre chiosato dal Marciano: «Arrivato in Sebaste, e dispregiando gl’idoliin presenza del tiranno Agricolao, fu legato e battuto più volte con verghe e pettinidi ferro, graffiato per tutto il corpo…».10 Proprio questo attributo viene abbinatopiù frequentemente al santo in età moderna. Alcune tele infatti, come quelle cu-

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5 A. CALORO - A. JACOB, Luoghi, chiese e chierici del Salento meridionale in età moderna, Congedo, EditoreGalatina, 1999, p. 56.6 V. BOCCADAMO, Terra d’Otranto nel Cinquecento, Congedo, Editore Galatina, 1990; CAPUTO - CENTONZE

- DE LORENZIS, Le visite pastorali nella diocesi di Nardò, Congedo, Editore Galatina, 1989.7 Cfr. G. MARCIANO, Descrizioni, origini e successi della provincia d’Otranto, Cap. XXXII.8 Cfr. G. A. FERRARI, Apologia paradossica della città di Lecce, 1707.9 Tra XVII e inizi del XVIII secolo a Lizzanello, Campi, Novoli, Surbo e San Cesario sono affermati iculti per san Biagio. 10 G. MARCIANO, Idem.

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stodite e Gagliano, Melendugno, Galatina, Para-bita [fig. 4], Nardò [fig. 5] e Galatone [fig. 6] 11,consentono di identificare il santo proprio grazieal pettine da cardatore. Inoltre, una delle tele piùimportanti della zona, ovvero quella di Pacecco DeRosa (oggi custodita al Museo provinciale Castro-mediano), riproduce una scena di martirio delsanto (morì poi decollato), ma con dei carnefici chehanno in mano il pettine, forse al fine di far iden-tificare il santo. La statuaria in pietra invece, nonsembra prendere in considerazione il distintivo delpettine, limitandosi all’iscrizione esegetica postain basso, come nei casi di Ugento, Lecce e Salve12,mentre fa eccezione l’opera posta a sinistra dell’al-tare della Misericordia nella chiesa matrice di Ruf-fano del 1722 [fig. 7].Ma il miracolo più conosciuto, che lo ha designato

come santo taumaturgo protettore della gola (dando inizio ad una nuova icono-grafia più recente), è un altro: «… e mentre lo conducevano nella città fè moltiprodigi per la strada, e fra gli altri trasse miracolosamente la spina di un pesce at-traversata nella gola di un fanciullo»13. Ed è tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900che aumentano in misura esponenziale le statue del santo di Sebaste, anche a causadella rapida diffusione dell’uso della cartapesta. Quasi tutte le riproduzioni hannola consueta iconografia, ormai consolidata, tratta dal miracolo della lisca del pescecon bambino [fig. 8]. È l’iconografia che richiama più strettamente l’intercessionedel santo per la guarigione della gola, il motivo in cui viene ancora oggi di fre-quente chiamato in causa dai fedeli e che ha fatto conoscere, in provincia, il paesedi Corsano, la cui comunità si onora di avere tale santo come patrono.

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11 Si tratta delle tele custodite nella chiesa di san Rocco a Gagliano del Capo, nella chiesa della SS. As-sunta a Melendugno, nella chiesa di san Biagio a Galatina, nella chiesa dell’Immacolata di Parabita,nella chiesa dell’Immacolata a Nardò e nel santuario del Crocefisso a Galatone.12 Si tratta della cattedrale di Ugento, della porta s. Biagio a Lecce e della chiesa di s. Biagio a Salve.13 G. MARCIANO, idem.

Fig. 8. San Biagio.Melissano, chiesa matrice

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Gruppo scultoreo di San Biagio e il miracolo del bambino, inizi XX sec. Corsano, cappella Bleve

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ANTONELLA CHIARELLO

Il culto di san Biagioa Corsano

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Fig. 11. G. GALATI, San Biagio e il miracolo della lisca di pesce. 1981, cartapesta.Corsano, cappella del Sacro Cuore

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“A Sebaste, in Armenia la passione di S. Biagio vescovo e martire, il quale, operatore

di molti miracoli, sotto il preside Agricolao, dopo essere stato lungamente battuto e sospeso

ad un legno, ove con pettini di ferro gli furono lacerate le carni, dopo aver sofferto un’orrida

prigione ed essere stato sommerso in un lago, da dove uscì salvo, finalmente fu decapitato1.”

Pochissimo sappiamo sulla vita di San Biagio. Le poche storie sulla biografia

del santo sono state tramandate prima oralmente e poi raccolte in agiografie, come

in quella famosa di Camillo Tutini. La più antica citazione scritta sul santo è con-

tenuta nei Medicinales di Ezio di Amida, vissuto nel VI secolo.

Le vicende storiche relative a San Biagio si collocano tra la metà del III e gli

inizi del IV secolo d. C., ultimi anni degli attacchi perpetrati dall’Impero Romano

nei confronti del cristianesimo, prima della pace di Costantino del 313.

Secondo la tradizione agiografica, Biagio nacque a Sebaste da nobili genitori,

e divenne medico e curatore di anime. La sua fama lo portò ben presto a diventare

vescovo della sua città. Il suo culto è uno dei più diffusi sia in Oriente che in Oc-

cidente, tanto che numerose sono le chiese e i luoghi sacri a lui dedicati in ogni

parte del mondo cristiano.

A Corsano il culto di questo santo orientale probabilmente risale al IX-X secolo

d. C., epoca della colonizzazione bizantina nel Salento, anche se non ci sono notizie

storiche circa l’origine e il motivo della devozione per questo santo. Dai registri

parrocchiali, che partono dal 1576, non risulta nessuna notizia in proposito: la

data del 3 febbraio non è riportata come una solennità ed è del tutto assente il

nome Biagio, che comincia a comparire solo verso la metà del 16002.

Non sono molte le tradizioni legate alla festa di San Biagio a Corsano. La più

importante è sicuramente l’antica usanza della “focaredda” (falò) nel giorno della

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1 Dal Martirologio Romano.2 Da opuscolo “Novena in onore di S. Biagio Vescovo e Martire”, Parrocchia S. Sofia Vergine e Martire, 2011.

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vigilia, che ha luogo ormai da qual-che anno in piazza [fig. 1]. In ori-gine, invece, i falò venivano allestitinei vari rioni del paese, e vi era unavera e propria gara nel realizzare ilfalò più grande. Mentre un’altratradizione, ormai scomparsa, eraquella della rappresentazione della“tragedia” del santo che avevaluogo all’aperto, in piazza.

Riguardo i miracoli attribuitiall’intercessione del santo, ne risul-tano alcuni che si tramandano oral-mente e altri che risultano dairegistri parrocchiali. Il primo sto-ricamente documentato è quellodell’anno 1718, conservato nelLibro dei Battezzati, comprendentegli anni dal 1707 al 1755, e riportato dall’allora arciprete di Corsano don LeonardoGriso de Conte, il quale così annotava:

“Nell’anno 1718 addì 12 aprile Giacomo Venuti di Matino, accasato in Corsano,e comorante in detto loco fu assalito dal male della gola, e fu con molti rimedi aggiustatoda medici, e non giovandole nessuno rimedio, correva alla morte, ed essendosi dati li SantiSacramenti, si vedea di punto in punto esser vicina la detta morte, ed io avendole pro-cessionalmente passata la santa reliquia del glorioso san Biagio nostro protettore, appenal’infermo Giacomo baciandola, e toccandolo ad quella alla gola subito fu sano, e salvo.Don Leonardo Griso arciprete”3.

Un altro miracolo, ricordato e annotato da don Ernesto Valiani nel 1953, ri-guarda ancora la guarigione da un male alla gola di un bambino di 5 o 6 anni chestava in fin di vita. I genitori, disperati, chiesero l’aiuto del parroco affinché la-sciasse la reliquia del santo in casa loro tutta la notte, e don Ernesto acconsentì.

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3 ARCHIVIO STORICO PARROCCHIALE CORSANO, Libro dei Battezzati, 1707-1755.

Fig. 1. “Focaredda” in piazza S. Biagio, Corsano

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Fig. 2. Busto di san Biagio, XVII sec.,legno policromato. Corsano, chiesa S. Sofia

Fig. 3. San Biagio, 1911, gesso policromato.Corsano, chiesa S. Biagio

Fig. 4. Gruppo scultoreo di San Biagioe il miracolo del bambino, inizio XX sec.Corsano, cappella Bleve

Fig. 5. D. ABBRACCIAVENTO, San Biagio tratigri e leoni, 1906, olio su tela.Corsano, cappella Bleve

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La cappella dal 1932, quando crollò la vecchia Matrice di Santa Sofia, fino al

1939, venne utilizzata per celebrare le funzioni liturgiche (infatti molti corsanesi

ricordano di aver ricevuto alcuni sacramenti proprio in questa cappella).

L’opera scultorea in questione, realizzata in legno, raffigura San Biagio insieme

ad un angelo e al bambino protagonista del suo miracolo più conosciuto.

Quest’ultimo è in ginocchio e indica con un dito la propria gola, rivolgendo lo

sguardo verso il santo in segno d’aiuto. Un particolare, però, lo allontana dall’epoca

in cui visse il santo e lo riporta all’epoca di realizzazione della cappella: gli abiti

che indossa, tipici del XX secolo.

È come se lo scultore avesse voluto creare un legame tra presente e passato.

L’angelo, invece, è posizionato immediatamente dietro il bambino, sulla destra

del santo. Ha, anche questo, uno sguardo pietoso rivolto verso il taumaturgo, e

una mano sul petto, mentre con l’altra mano sostiene la palma del martirio. Indossa

un perizoma e ha le ali policromate con un colore diverso per ogni piuma. San

Biagio, invece, ha lo sguardo rivolto in alto, indossa abiti vescovili e la mitria sul

capo, con la mano destra benedice alla latina, mentre con la sinistra sostiene il pa-

storale.

L’opera è di buona fattura, ma non si conosce purtroppo l’autore che l’ha ese-

guita. Poggia su un alto basamento al cui centro campeggiano i simboli del mar-

tirio: i pettini di ferro e la palma. Nella teca in cui è custodita sono appesi, inoltre,

degli ex-voto.

Nella stessa cappella, sull’altare maggiore, una tela firmata e datata “D. Ab-

bracciavento 1906” ritrae s. Biagio tra tigri e leoni fuori da una caverna [fig. 5].

Nel sinassario armeno (una raccolta di agiografie), infatti, si legge che nel tempo

della persecuzione di Licinio, Biagio fuggì ed abitò sul monte Argias dove tutte

le bestie dei boschi si avvicinavano a lui ed egli guariva tutte le infermità con il

nome di Cristo.

In un altro dipinto, conservato nella chiesa di Santa Sofia, firmato e datato

“Ginus Brogna - Pinxit-R. 8-8-1951” [fig. 6], San Biagio è raffigurato mentre

esegue il rito della benedizione della gola al bambino tenuto in braccio dalla madre

in ginocchio prostrata davanti al santo. Il rito, ancora oggi in uso in alcune parti

del mondo in cui si festeggia San Biagio, prevede l’imposizione di due candele in-

crociate sulla gola dei fedeli per liberarli da ogni malanno. Nella tela, il rito si

svolge ai piedi di un altare in marmo rosso che richiama la veste del santo.

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Fig. 8. Statua di San Biagio, 1967, bronzo.Corsano, chiesa di S. Biagio

Fig. 9. Porta laterale sx, XXI sec.Corsano, chiesa di S. Biagio

Fig. 6. G. BROGNA, San Biagio e il miracolodella lisca di pesce, 1951, olio su tela.Corsano, chiesa di S. Sofia

Fig. 7. N. PEPE, San Biagio e il miracolo dellalisca di pesce, 1967, olio su tela.Corsano, chiesa di S. Biagio

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Convegno

Tradizione bizantina a TaurisanoSantuario Madonna della Strada

Taurisano, 20 aprile 2013

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Taurisano, chiesa di S. Maria della Strada: particolare del portale

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MARGHERITA PASQUALE

La facciata di Santa Maria della Stradaa Taurisano in Terra d’Otranto.

Note di iconografia e iconologia medievale

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Fig. 1. Taurisano, chiesa di S. Maria della Strada: facciata

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Premessa

L’aspetto più affascinante del meraviglioso mondo delle immagini medievali

consiste nel significato riposto che ciascuna possiede e che, decodificato, riapre col

riguardante un dialogo da tempo interrotto. Pertanto, restituire la voce alla facciata

della chiesa più nota di Taurisano1, piccolo, delizioso centro dell’entroterra salen-

tino, rivela che quella voce fa parte di un coro e che ha avuto fin da principio un

impegno ben preciso: segnalare alcuni principi fondamentali della fede, e non solo,

per mezzo delle immagini, scelte con cura, perché arrivano più facilmente alla

mente e al cuore, e aiutano a ricordare2.

Durante il medioevo, ed in Puglia3 soprattutto a partire dalla seconda metà

del XII secolo e fino alla metà del successivo, in età normanno-sveva, quando le

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1 Con qualche precisazione, il presente contributo ripropone il testo pubblicato in “Rivista di ScienzeReligiose”, a. XVI, n. 2/2002, pp. 373-396. Il tema è stato trattato da chi scrive nel III Convegno:Sulle tracce della Memoria: Rito, Credenza e Tradizione (Taurisano, Sala Consiliare, 10 settembre 2001);nel III Convegno Internazionale di Studio: La Puglia tra Gerusalemme e Santiago di Compostella, (Bari-Brindisi, Università degli Studi di Bari, 4-7 dicembre 2002; Brindisi, ex convento di S. Teresa dei Car-melitani Scalzi, 6 dicembre), Intervento: S. Maria della Strada a Taurisano. Omelie in pietra lungo le stradedella Puglia medievale; nel Convegno: Tradizione bizantina a Taurisano, (Taurisano, Santuario di S. Mariadella Strada, 20 aprile 2013).2 Testi fondamentali sull’iconologia medievale: L. CHARBONNEAU-LASSAY, Il Bestiario del Cristo, EdizioniArkeios, Roma 1994 (I Ediz. Parigi 1940); L. RÈAU, Iconographie de l’art chrétien, Presses Universitairesde France, Parigi 1955-59; E. MALE, Le origini del Gotico. L’iconografia medievale e le sue fonti, Jaca Book,Milano 1981; G. DE CHAMPEAUX - S. STERCKX, I Simboli del Medioevo, Jaca Book, Milano 1981; M.ELIADE, Immagini e Simboli, Jaca Book, Milano 1984; F. NORDSTROM, Medieval Baptismal Fonts. An ico-nographical study, P. G. RABERG, Umea 1984; C. GAIGNEBET - J. D. LAJOUX, Arte profana e religione po-polare nel Medio Evo, Fabbri Editori, Milano 1986; H. e M. SCHMIDT, Il linguaggio delle immagini.Iconografia cristiana, Città Nuova ed., Roma 1988; J. PLAZAOLA, Arte cristiana nel tempo. Storia e significato.I. Dall’Antichità al Medioevo, Ed. San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2001; T. VERDON, L’Arte Sacra inItalia, Mondadori, Milano 2001; G. PASSARELLI, Iconostasi. La teologia della bellezza e della luce, Mondadori,Milano 2003.3 Per approfondire la conoscenza del significato dei complessi scultorei medievali pugliesi, spesso citatinelle pagine seguenti, cfr., con le relative bibliografie: M. PASQUALE, Una pagina di pietra: il portale dellaCattedrale di Bisceglie. Note di iconologia romanica, in Studi in onore di Michele D’Elia. Archeologia Arte Re-stauro e Tutela, Archivistica, R&R Editrice, Matera/Spoleto 1996, pp.122-129; Eadem, Immagini ludiche

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nostre architetture, già notevoli per le nitide apparecchiature murarie, si anima-

rono di sculture, spesso concepite in elaborati complessi sulla scorta della grande

produzione scultorea d’oltralpe, del magnifico materiale didattico, costituito dalle

immagini, si fece larghissimo uso; il bisogno di decorare la casa di Dio, perché

fosse adeguatamente preziosa, si congiunse a quello di rendere l’operazione prati-

camente efficace per chi quella casa frequentava.

Lentamente, si era venuto costituendo un linguaggio cifrato, diffuso per tutto

l’orbe cristiano, fatto di simboli, allora pianamente comprensibili perché ogni

tempo ha i suoi codici di lettura: oggi tutti sanno cosa siano www, @, &, $, segni

che lascerebbero interdetto qualche uomo del passato, anche recente.

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di età medievale e loro contesti iconologici in Terra di Puglia, in Società Cultura e Sport. Immagini e modelli inPuglia dall’antichità al XX secolo, Catalogo della Mostra a cura di D. PORCARO MASSAFRA, Adda, Bari1997, pp.109-131; Eadem, I grandi temi dell’arte romanica nella scultura pugliese del XII-XIII secolo, inCastelli e Cattedrali di Puglia a cent’anni dall’Esposizione Nazionale di Torino, Catalogo della Mostra a curadi C. GELAO E G. M. JACOBITTI, Adda, Bari 1999, pp.106-113; Eadem, Note di iconologia romanica: ilportale di San Leonardo a Siponto, in Siponto e Manfredonia nella Daunia, Atti del V Convegno di Studi(Manfredonia 9-10 aprile 1999), Ed. Del Golfo, Manfredonia 2000, pp.122-141; Eadem, L’Apologiadella Parola: un’omelia impressa nel marmo e nel bronzo. Lettura iconologica del portale e della porta della Cat-tedrale di Trani, in Vescovi, disciplinamento religioso e controllo sociale. L’arcidiocesi di Trani fra medioevo ed etàmoderna, Atti del Convegno (Trinitapoli, 20-21 ottobre 2000), Società di Storia Patria per la Puglia,Bari 2001, pp.353-365; Eadem, Note sull’apparato decorativo delle chiese brindisine di S. Giovanni al Sepolcroe di S. Benedetto, in S. Giovanni al Sepolcro e S. Benedetto a Brindisi, a cura di G. MATICHECCHIA, Adda,Bari 2001, pp.37-56; Eadem, Le Marie al Sepolcro nell’arte medievale pugliese, in Il cammino di Gerusalemme,Atti del Convegno Internazionale di Studio (Bari.Brindisi-Trani, 18-22 maggio 1999), Adda, Bari2002, pp.417-430; Eadem, Iconologia medievale dell’Eucaristia nella scultura pugliese e Iconologia medievaledella Resurrezione nella scultura pugliese, in L’Eucaristia nell’Arte in Puglia, Catalogo della Mostra (Bitonto2005) in occasione del XXIV Congresso Eucaristico Nazionale a cura di R. GNISCI - M. MILELLA-F.RUSSO, Edizioni Romanae, Capurso (BA) 2005, pp.24-30; Eadem, “Deus Caritas est”. L’amore cristianonell’arte in Puglia, in “Studi Bitontini. Centro Ricerche di Storia e Arte - Bitonto”, n. 85-86 (2008),Edipuglia, Bari/S.Spirito 2008, pp. 33-60; Eadem, La chiesa templare di Ognissanti a Trani. Note di ico-nologia romanica, “Quaderni Tranesi” n. 2, Associazione “Obiettivo Trani” Territorio Cultura Turismo,Landriscina Editrice, Trani 2009; Eadem, Acqua lustrale.1. Fonti istoriati e percorsi battesimali nel medioevopugliese. Note di iconologia, in “Rivista di Scienze Religiose”, a. XXIII, n.1/2009, pp. 199-223; Eadem,Le antiche facciate della cattedrale di Altamura. Note di iconologia, in La cattedrale di Altamura fra restauriscoperte interpretazioni, a cura di BIANCA TRAGNI, Adda, Bari 2009, pp. 20-81; Eadem, La vite e il vinonelle decorazioni sacre e profane del medioevo pugliese, in Storia regionale della vite e del vino. Le Puglie: Daunia,Terra di Bari, Terra d’Otranto, a cura di A. CALÒ e L. BERTOLDI LENOCI, Accademia Italiana della vite edel vino - Centro Studi Storici e Socio religiosi in Puglia, Edizioni Pugliesi, Martina Franca (TA) 2010,pp. 417-450; Eadem, La Cattedrale di Bitonto. Note di iconologia romanica, in “Studi Bitontini. CentroRicerche di Storia e Arte - Bitonto”, n. 89 (2010), Edipuglia, Bari/S.Spirito 2010, pp. 5-22; Eadem,

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Fig. 2. Taurisano, chiesa di S. Maria della Strada: protiro e portale

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funge da architrave e che raffigura l’An-nunciazione; un protiro cuspidato, sorrettoda colonne su alti basamenti, enfatizza ilnobile accesso; la zona superiore della fac-ciata è campita da un ampio rosone concornice a tre registri: il giro più internoè un intreccio che fa eco al sottostanteportale, l’intermedio è punteggiato daidodici busti degli Apostoli schierati ailati del Cristo, l’esterno è un sopraccigliodalle estremità evidenziate dall’aggettodi due protomi, l’uomo alato dell’evan-gelista Matteo e l’aquila dell’evangelistaGiovanni; la decorazione del rosone è cor-relata al più vistoso complesso sotto-stante.

Santa Maria della Strada è assegnatadalla critica più recente ai primi decennidel XIV secolo, in particolare considera-

zione di alcune iscrizioni trecentesche, apposte in greco sul bassorilievo e riportantiil dialogo tra la Vergine e l’arcangelo, e di una meridiana ad esse coeva, che corredala chiesa. In realtà, ferma restando la datazione degli elementi suindicati, sembraa chi scrive che la lettura iconologica del complesso scultoreo possa fornire diffe-renti coordinate e suggerire un’altra possibile datazione.

Protiro e portale

La cuspide del protiro [fig. 2], elemento caratterizzante dei portali romanicipugliesi, è sorretta da un toro e da un leone mordicante un lungo serpente che gliavvolge il corpo con le sue spire; toro e leone sono a loro volta sostenuti da sontuosicapitelli che alternano protomi umane a boccioli; un Agnus Dei sigla lo spazio cen-trale, sotto la cuspide.

L’impiego del toro [fig. 3] ci introduce nella prassi sacrificale ebraica, sancitadal Levitico (4,14), laddove il toro è designato quale vittima sacrificale d’espia-

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Fig. 3. Taurisano, chiesa di S. Mariadella Strada, particolare del protiro:toro e capitello con Davide e Isaia

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Col significato che gli abbiamo riconosciuto, il toro compare in alcuni impor-tanti complessi scultorei del XII secolo, numerosi soprattutto in terra di Bari,lungo la costa punteggiata di approdi e l’Appia che ne percorre l’immediato en-troterra: una coppia di tori sostiene il protiro nella facciata della basilica di SanNicola a Bari, si affaccia mansueta a latere dei finestroni absidali delle cattedralidi Bisceglie e Trani, ma è anche oppressa dal peso del protiro di santa Maria delleCerrate, presso Squinzano [fig.5]; un vivace torello si dibatte tra gli artigli di ungrifo - simbolo di Cristo grazie alla sua duplice natura ed ai gloriosi trascorsi diattributo di divinità solari quali Apollo e Nemesi - nel portale della cattedrale diBitonto.

In quanto ai leoni, essi abitualmente combattono e sconfiggono rettili, un dragonel finestrone absidale della cattedrale di Bitonto, una coppia monocefala di attortiserpenti in un finestrone del transetto della cattedrale di Bari [fig .6], un aspideed un drago nel portale della cattedrale di Trani [fig. 7], in ossequio al salmo 90(91), 13: Camminerai su aspidi e vipere, schiaccerai leoni e draghi.

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Fig. 5. Squinzano, chiesa di S. Maria delle Cerrate: archivolto del protiro

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Nel XII secolo, Onorio d’Autun, nel Sermone della Domenica delle Palme nelsuo Speculum Eclesiae (Migne 172, coll 913-916), parafrasando il testo, avrebbeidentificato nel drago il demonio, nell’aspide il peccato, nel leone - quando assumeun significato negativo, come nella lunetta marmorea della cattedrale di Troia,dove è calpestato dal Signore - l’Anticristo.

A Taurisano, al simbolismo cristologico del toro e del leone, che sintetizza imomenti fondamentali della vicenda del Cristo, passione e morte in espiazionedei peccati degli uomini e resurrezione, vicende vittoriose sul demonio e sullamorte, si associano i due capitelli sottostanti; nell’ornamentazione di ciascunosono impiegate coppie di teste virili, una delle quali coronata, particolare che au-torizza a riconoscervi due personaggi, profeti e re d’Israele, Davide e Salomone;di conseguenza, anche le altre due si propongono come immagini di profeti: ilnesso con gli animali che sono destinati a sorreggere suggerisce trattarsi rispetti-vamente di Isaia e di Daniele.

Ai profeti e alle loro profezie, che la sua venuta ha compiuto, Gesù stesso facontinuo riferimento, inaugurando la dottrina tipologica, che nei personaggi delVecchio Testamento riconosce ‘tipi’, prefigurazioni, degli ‘antitipi’, protagonistidel Nuovo.

Nel capitello che sostiene il toro, e che esplicita la natura umana del Messia,possono identificarsi Isaia e Davide: di Isaia sono i drammatici riferimenti al-l’Uomo dei dolori, che prende su di sé le colpe di tutti, e i penosi presagi dellaPassione: Ho offerto la schiena a chi mi batteva, la faccia a chi mi strappava la barba.Non ho sottratto il mio volto agli sputi e agli insulti (Is 53, 1-12; 50,6); in quanto a

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Fig. 6. Bari, cattedrale, testata sud deltransetto: leone in lotta con serpente

Fig. 7. Trani, cattedrale, portale maggiore:leone in lotta con serpente e drago

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All’Agnus Dei, retrospiciente e croci-

fero, è sempre assegnata una posizione

eminente, sia che compaia da solo (porta

sud del duomo vecchio di Molfetta, rosone

nord della chiesa di S. Margherita a Bisce-

glie), sia accompagnato dai simboli degli

Evangelisti (portale della chiesa di Ognis-

santi a Trani, della cattedrale di Ruvo); pe-

renne come la Croce, presente nelle chiese

paleocristiane come nelle più moderne,

non ha un momento storico favorito, è un

segno eccellente che unifica l’Antico ed il

Nuovo Testamento.

Nel libro dell’Esodo (12,1-14), nella

notte in cui gli Israeliti lasciano l’Egitto,

la notte in cui l’Angelo di Dio passa per

mettere in atto l’ultima piaga, l’uccisione

dei primogeniti, verranno evitate le porte

degli Ebrei, riconoscibili perché segnate col

sangue dell’agnello che essi debbono man-

giare quella notte, in fretta e in piedi, prossimi come sono alla partenza; all’agnello

della Pasqua ebraica fa riscontro, nel vangelo di Giovanni (1,29), la presentazione

che il Battista fa di Gesù: Ecco l’Agnello di Dio, che prende su di sé il peccato del mondo;

nell’Apocalisse, l’ultimo Libro del Nuovo Testamento, nella visione di Giovanni,

tra le immagini straordinarie che si offrono alla vista del grande discepolo, si ma-

nifesta un agnello come sgozzato ma ritto in piedi, nel sangue del quale hanno

bagnato le loro vesti i martiri per la fede e a cui rendono omaggio i quattro Esseri

Viventi (Ap 5, 6.8; 7, 9-14); infine, nella liturgia della notte del Sabato Santo,

durante la benedizione dell’acqua, si fa esplicito riferimento al Cristo immolato,

vero agnello che col suo sangue consacra le porte dei fedeli: Ille Agnus occiditur,

cuius sanguine postes fidelium consecrantur. Con la sovrapposizione degli eletti della Gerusalemme Celeste al popolo cri-

stiano ed al popolo ebraico, salvati tutti dal sangue dell’agnello, si sancisce la per-fezione di un simbolo che, con un unico tratto, in quanto immagine del Cristo

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Fig. 8. Bisceglie, cattedrale: capitellodel protiro

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L’Annunciazione

L’immagine più importante, nella facciata della chiesa di Taurisano, è proprioil segno dell’avvento del Figlio di Dio nella storia del mondo, della sua personale,volontaria partecipazione alla vita del creato: per questo l’Annunciazione [fig. 9] ècollocata in luogo privilegiato, focalizza l’attenzione di chi guarda, posticipandol’osservazione degli altri componenti e tuttavia intimamente collegandoli. La stessatecnica esecutiva asseconda la nobiltà del concetto: la lastra su cui la scena è scol-pita svolge la sua funzione di architrave non incastrata a forza nella compaginedel portale, ma lavorata tutt’uno con le sezioni contigue della cornice, di cui sicostituisce, anche fisicamente, parte integrante.

Nei complessi scultorei di Puglia, l’Annunciazione compare spesso, a volte citata,sempre per prima, nelle sequenze di scene narranti episodi della vita di Gesù o inpiù elaborati contesti in cui è correlata ad altri episodi tratti dalle Sacre Scritture,a volte da sola, bastando a definire la sacralità e unicità della vicenda terrena delFiglio di Dio, nato da una Vergine; la collocazione preminente assegnatale o lasua possibilità di sussistere in autonomia sono dovute al fatto che non si tratta diuno dei momenti basilari della vita della Madonna, ma del primo atto della storiadella Salvezza, coincidendo con l’incarnazione del Signore e l’inizio della sua espe-rienza terrena, sottolineando quindi, ancor più che la perenne purezza della giovaneMadre e le sue esemplari umiltà e spirituale grandezza, che la pongono al di sopra

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Fig. 9. Taurisano, chiesa di S. Maria della Strada: l’Annunciazione

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di ogni creatura, l’attimo supremo dell’ingresso di Dio nella storia degli uomini,rimarcando l’aspetto cristologico della raffigurazione rispetto a quello ‘mariano’.

Sebbene l’Annunciazione sia tra le immagini universalmente più note ed im-mediatamente riconoscibili, tuttavia un tema così diffuso e formalmente cano-nizzato non è immune da significative varianti; un rapido excursus nella sculturamonumentale pugliese permette di assistere al graduale mutare degli atteggia-menti dei due protagonisti, cui solo di rado si aggiunge lo Spirito Santo, in formadi colomba.

Il tema compare, come primo e fondamentale capitolo della storia sacra, nar-rata in scene successive, scisso alla base dell’archivolto della chiesa di Santa Mariadelle Cerrate presso Squinzano [fig. 5], nell’architrave del portale della cattedraledi Bitonto [fig. 10], in quello del portale della chiesa del SS. Rosario a Terlizzi[fig. 11], in uno stipite del portale della chiesa matrice di Bitetto [fig. 12] e,ancora una volta diviso in due parti, in quelli del portale della cattedrale diAltamura [figg. 13-14].

Collegato da una trama di relazioni, è presente nel fonte battesimale dell’ab-bazia di Santa Maria di Pulsano, ora nel Lapidario del santuario di San Michelea Monte Sant’Angelo, ed in quel che resta della loggia federiciana, nel cortile

Fig. 10. Bitonto, cattedrale, particolare dell’architrave del portale: l’Annunciazione

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Fig. 11. Terlizzi, chiesa del SS. Rosario, par-ticolare dell’architrave: l’Annunciazione

Fig. 12. Bitetto, chiesa matrice, particolaredel portale: l’Annunciazione

Figg. 13-14. Altamura, cattedrale, particolari degli stipiti: l’Annunciazione

Fig. 15. Trani, castello svevo, cortile centrale mensole raffiguranti l’arcangelo Gabrielee la Vergine Annunziata

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Fig. 16. Bitonto, cattedrale, finestroneabsidale: l’Annunciazione

Fig. 17. Trani, chiesa di Ognissanti, portalemaggiore: l’Annunciazione

Fig. 19. Rutigliano, chiesa matrice, part. del portale: l’Annunciazione, Cristo e gli Apostoli

Fig. 18. Barletta, cattedrale, facciata: l’Annunciazione

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aneddotica dei vangeli canonici, relati-vamente alla vita della Madonna e al-l’infanzia di Gesù, indusse a trarredagli apocrifi i fatti meravigliosi di cuiavevano bisogno la sensibilità e l’im-maginazione popolari. Essi sono narratisoprattutto nel Protovangelo di Giacomo,oltre che nel Vangelo della Natività dellaVergine e nel Libro armeno dell’Infanzia.

La Vergine bambina, la cui nascita,annunziata da un angelo ad entrambi igenitori, poneva fine alle pene della

sterile Anna e dell’infelice consorte, donata a Dio e condotta piccolissima al Tem-pio, vi visse nutrita dagli angeli finché, dodicenne, fu affidata dai sacerdoti al ma-turo e vedovo Giuseppe perché la custodisse; avendo il consiglio sacerdotalestabilito di far tessere un nuovo velo per il Tempio dalle vergini della tribù di Da-vide e distribuito a sorte i diversi filati tra le fanciulle, alla vergine Maria essendotoccati la porpora e lo scarlatto, ella era appunto intenta al lavoro, in casa di Giu-seppe, allorché l’angelico annunzio la colse, dopo un primo tentativo presso unafonte, che non sortì altro effetto che spaventarla6:

Maria, intanto, preso lo scarlatto, lo filava. Quindi uscì con la brocca ad attingereacqua. Ed ecco ode una voce: “Salve, o piena di grazia: il Signore è con te, o benedetta trale donne!”. Ella si volgeva a destra e a sinistra per vedere donde mai venisse la voce. Presada timore, tornava a casa, dove, deposta la brocca, prendeva la porpora e, seduta sul suosgabello, continuava a filare. D’improvviso un angelo le stette innanzi e le disse: “ Non te-mere più, Maria: tu hai trovato grazia innanzi al Signore di tutti e concepirai dal suoVerbo”. Maria però, udita la voce, ne fu perplessa nel suo intimo: “Se io concepirò per operadel Signore, Dio vivente, partorirò come partorisce ogni donna?”. L’angelo del Signore ledisse: “Non così, o Maria: la potenza di Dio ti coprirà con la sua ombra; e così anche l’essereche dovrà nascere sarà chiamato santo, figlio dell’Altissimo. Tu gli darai nome Gesù: eglidifatti salverà il suo popolo dai suoi peccati”. Maria rispose: “Ecco, io sono la schiava delSignore alla sua presenza; sia di me conforme alla tua parola!”.

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6 Il Protovangelo di Giacomo, in Gli Apocrifi. L’altra Bibbia che non fu scritta da Dio, a cura di E. WEIDIN-GER-E. JUCCI, Ed. Piemme, Casale Monferrato 1992, pp.542-543.

Fig. 20. Manfredonia, castello: bassorilievoerratico raffigurante l’Annunciazione

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È un racconto che, nonostante il ri-svolto umano delle preoccupazioni dellafanciulla, non è senza sottili connessionicon i testi canonici, se si considera che ilvelo del Tempio, in nuce al momento del-l’incarnazione, si sarebbe lacerato al mo-mento della morte di Gesù.

La scelta di questa attitudine per laVergine fu diffusissima in area bizantinae, nella nostra regione e nel XII secolo,particolarmente tenace, sia in scultura,come attestano gli esempi riportati, chein pittura, come avviene nel citato ciclo diaffreschi della chiesa rupestre di S. Biagioa San Vito dei Normanni [fig. 21], cheun’iscrizione data al 1196; unica ecce-zione, l’episodio barlettano, in una catte-drale dove tutto l’apparato decorativorisente di una freschissima vena oltralpina.

Solo più tardi l’attitudine acquisita,propria della ‘domina’ romana, matronal-mente intenta a lanam facere7, venne sop-piantata dalla nuova versione, chepresenta la Vergine stante, recante unlibro, come avviene in alcuni affreschi tre-centeschi della chiesa di santa Maria delCasale a Brindisi [fig. 22], o assorta nellalettura e nella meditazione delle SacreScritture, assisa davanti ad un leggio, inuna positura che meglio ne esalta il rangosuperiore e le doti spirituali; contestual-mente, l’arcangelo Gabriele, che ha sem-

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Fig. 21. San Vito dei Normanni,chiesa rupestre di S. Biagio: l’Annunziata

Fig. 22. Brindisi, chiesa di S. Maria delCasale: l’Annunciazione

7 A. LUISI, Le donne di Roma antica, Landriscina Editrice, Trani 2007, p.5.

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Non sorprende, pertanto, che Lenormant, uno dei primi ad essere affascinatodall’arte medievale pugliese, abbia potuto definirla ‘bizantina’, cogliendone l’in-tonazione generale ed assegnandola all’XI secolo8. Ma è evidente che, quando lanostra Annunciazione, col corredo di immagini che le si squaderna d’intorno, fuscolpita, anche i lapicidi più ‘all’antica’, sia pure radicati ad un sostrato romanico- bizantino irrinunciabile, principiavano a considerare le innovative formule d’Oc-cidente, dietro proposta di una committenza più aperta ed aggiornata.

Due stelle si collocano agli angoli estremi della composizione: è molto proba-bile che si limitino a colmare lo spazio vuoto in una sorta di horror vacui di arcaicosapore, ma è parimenti possibile che un’allusione ci sia e che coinvolga, come av-viene scopertamente nel portale del san Leonardo a Siponto, i due astri che an-nunciano la nascita del Messia nel Vecchio e nel Nuovo Testamento, quello ‘visto’da Balaam sorgere dal popolo di Giacobbe (Nm 24, 17) e quello che avrebbe gui-dato i Magi nel loro viaggio dall’Oriente fino al luogo dell’evento (Mt 2, 1-10).

Si impone a questo punto un’ultima osservazione, relativa ad un dettaglio checostituisce la vera singolarità dell’Annunciazione di Taurisano: ai lati della scena,due grandi uccelli la osservano; si tratta di due aquile, come attestano la poderosatornitura del petto e del collo, breve e non flessuoso, il forte becco, ancorché nonvistosamente adunco, e la perfetta definizione del piumaggio, minuto e fitto sulcorpo e all’innesto delle ali, ma a lunghe penne affilate e allineate nelle ali stesse enella coda, sprovvista di terminazioni evidenziate, come suole accadere invece peri pavoni, nel portale del castello di Bari o in una sopraporta del castello di Trani.

La presenza delle aquile è possibile sia stata determinata da simbolismi antichie profondi; uccello regale sacro agli dei maggiori di tutte le mitologie, l’aquilaconservò eccellenti qualità simboliche in ambito cristiano. Associata all’immaginedell’Annuncio alla Vergine, potrebbe rinviare all’idea di rigenerazione, ispiratadal fenomeno stagionale della muta del piumaggio, confortata da un versetto deiSalmi (102,5) - La tua giovinezza sarà rinnovata come quella dell’aquila - e da unaprerogativa dell’aquila, enunciata dal Fisiologo: quando l’aquila sente prossima lamorte, si eleva fino al sole che ne brucia le ali e si lascia cadere in un fonte, in cuisi immerge per tre volte, risorgendo ringiovanita.

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8 F. LENORMANT, Notes Archéologique sur la Terre d'Otranto, in “Gazette archeologique”, VII, 1881-82,p. 122, citato in M. CAZZATO, La chiesa di S. Maria della Strada a Taurisano e l'architettura medievale inPuglia, in Architettura Medievale..., cit., p. 11, nota 2.

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Quel fonte di giovinezza, assimilato al fontebattesimale, in cui, mediante la triplice immer-sione, il cristiano è purificato e rinnovato, è a suavolta immagine, secondo sant’Agostino e sanLeone Magno, del grembo della Vergine, madredi Cristo e quindi madre della Chiesa, corpo diCristo (Ef 1,23): come il Figlio di Dio fu conce-pito dalla Vergine per opera dello Spirito Santo,così, per opera dello stesso Spirito, il credente ri-nasce, dall’acqua battesimale, figlio di Dio9.

Ciononostante, a Taurisano, le aquile chemontano la guardia ai lati dell’Annunciazione, laloro dimensione innaturalmente imponente el’araldica positura attirano l’attenzione su un fattore che va al di là del significatoreligioso cui potrebbero, come si è rilevato, agganciarsi, sia pure forzosamente,datosi che mai aquile compaiono nelle Annunciazioni, e che sembra piuttosto col-legarne l’enigmatica presenza a quella di altre aquile, collocate con altrettanta evi-denza in altri contesti di nota cronologia.

Nella facciata della cattedrale di Bisceglie, il protiro ostenta, sulla sommità,un’aquila [fig. 24] che ha rapito un cervo: Tu che abiti al riparo dell’Altissimo e dimoriall’ombra dell’Onnipotente.. Ti coprirà con le sue penne, sotto le sue ali troverai rifugio (Sal90 (91), 1,4), in consonanza con gli altri elementi scultorei e con la decorazionedel sottostante portale, di cui si pone in continuità iconologica, sebbene sia data-bile, proprio grazie alla presenza del piccolo capitello della casta Susanna, cui si èaccennato - capitello di indubitabile marca federiciana e prossimo per conforma-zione ai capitelli di Taurisano - al quarto decennio del XIII secolo, mezzo secolopiù tardi del portale che correda.

Sul prospetto della chiesa matrice di Rutigliano10, il protiro unifica, nello spazioche incornicia, brani di recupero, una severa serie di apostoli ai lati del Cristo euna vivace Annunciazione [fig. 19], in un contesto iconologico assai simile a quello

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9 AGOSTINO, Discorso 119, 3-4, in Discorsi III/I, ed. Città Nuova, Roma 1990, p.35; più esplicitamenteS. LEONIS MAGNI, Sermo XXIV, cap.III (Patr.Lat., LIV, 206) e Sermo XXV, cap. V (ivi, 211); cfr. L. REAU,op. cit., Parigi 1955, Tomo I, pp. 84-85; F. NORDSTROM, op. cit., p. 89.10 G. BORACCESI, La decorazione lapidea, in G. BORACCESI - F. DICARLO, Santa Maria della Colonna. Unacommittenza artistica nell’ultimo Medioevo, Capone ed., Cavallino di Lecce 1992, pp.101-103.

Fig. 24. Bisceglie, cattedrale,particolare del protiro: aquila

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di Taurisano; il sottarco del protiro, che alterna protomi umane a motivi fitomorfidiffusi in cantieri svevi, quali i castelli di Trani e di Bari, è marcato in chiaved’arco da un’aquila, cui possiamo riconoscere la stessa allusione alla rinascita, aduna messianica palingenesi, al creato rinnovato e redento che in altri modi abbiamovisto proporsi nella chiesa di Taurisano.

Signore di Rutigliano fu Filippo Cinardo, egregio funzionario della corte diFederico II, progettista delle fortificazioni duecentesche dei castelli di Trani e diBari, laddove non sorprende trovare un’aquila, emblema federiciano, rispettiva-mente in una mensola del cortile ed in cima al portale d’accesso al castello.

Al di là della motivazione religiosa, la presenza enfatizzata dell’aquila, in con-testi d’ambito ecclesiale di stesura duecentesca, sembra configurarsi come sigladei tempi: un segno della presenza imperiale diffusa per il tutto o della imperialeprotezione, un gesto di omaggio, un’allusione intrisa di rispetto, o di piaggeria,alla messianica concezione del potere provvidenziale dell’imperatore, promossa edivulgata dalla Corte, conferendo sfumature politiche ad un soggetto intimamentesacro, ovvero sacralizzando, fagocitandolo in un contesto di valenza religiosa, unsimbolo politico qual’ è l’aquila degli Svevi.

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Fig. 25. Taurisano, chiesa di S. Maria della Strada: il rosone

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Il rosone

Sebbene costituisca un elemento a se stante, il rosone forma col portale un im-prescindibile insieme; se il protiro e il portale appena esaminati raccontano come,preannunziato dai profeti e a conferma dei loro vaticini, il Cristo si sia incarnatoin una Vergine, abbia patito e sia morto e tuttavia abbia trionfato sulla morte eportata a compimento la sua missione redentrice, entrando nella storia del mondo,santificandola ed incanalandola verso una conclusione gloriosa, il rosone mette aconoscenza degli strumenti adottati dal Signore per partecipare agli uomini tuttiil suo ruolo salvifico: il Vangelo e i suoi propagatori [fig. 25].

Per questo è fondamentale la scelta di decorarne la cornice intermedia con lasequenza dei busti degli Apostoli, ciascuno munito del rotolo delle Scritture cheè chiamato a diffondere, ai lati del busto del Cristo Pantocrator, riconoscibile dalnimbo crocesignato e recante il libro aperto della Parola rivelata; la formula dellemezze figure allineate è debitrice delle decorazioni miniate attestate, ad esempio,così da un’opera arcaica, l’Exultet della cattedrale di Bari, come da una tarda, adaffresco ma ispirata alle miniature, l’Albero della Croce, nella chiesa brindisinadel Casale.

La presenza degli apostoli non è rara sulle facciate delle chiese pugliesi: finoagli esempi trecenteschi dei portali della chiesa matrice di Bitetto e di Santa Ca-terina a Galatina, essi si allineano, oltre che nel citato portale di Rutigliano, doveè riutilizzato un reperto più antico, lungo la ghiera dell’arco nel protiro della cat-tedrale di Ruvo, in un’impostazione di ascendenza oltralpina comune a quelladegli episodi dell’Infanzia a Santa Maria delle Cerrate, e sul cupolino del citatofonte di Pulsano, dove si schierano a gruppi di tre, ancorché corrosi, alle spalledei simboli degli Evangelisti, in corrispondenza degli spigoli dei quattro frontidel monumentale manufatto.

Di particolare interesse si rivela un altorilievo smembrato (XII secolo), attual-mente erratico ma proveniente, sulla scorta di analoghi esempi sulla via di pelle-grinaggio per Compostela [fig. 26], come la coeva facciata rettilinea di Santiagode la Riva a Carrion de los Condes11, dal distrutto portale del duomo vecchio di

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11 R. OURSEL, La via Lattea. I luoghi, la vita, la fede dei pellegrini di Compostela, Jaca Book, p.149 e fig. 69.

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registri sovrapposti - sheol, terra, volta celeste con i quattro segni zodiacali fon-damentali, acque al di sopra del firmamento, cesura nel corso degli astri per se-gnalare l’ingresso di Dio nel tempo umano - sormontati in controfacciata e infiligrana dalla Traditio Legis, che all’interno fronteggia, a perenne monito, il ve-scovo celebrante.

A Trani, gli stipiti marmorei del portale, dedicati all’Antica e alla Nuova Al-leanza introducono alla porta bronzea, apoteosi del Verbo incarnato.

Sulla nostra facciata, ai lati del rosone con il Cristo e gli apostoli, si collocanosolo due dei quattro simboli degli evangelisti costituenti il Tetramorfo, propria-mente i due che furono discepoli di Gesù. Associati da sant’Ireneo (Adversus hae-reses, III, 11) ai quattro Esseri che nelle visioni di Ezechiele e Giovanni attornianoil trono di Dio, essi sono generalmente raffigurati dotati di ali, ma non sempre: lafacciata della chiesa di sant’Adoeno, a Bisceglie, li presenta, ovviamente ad ecce-zione dell’aquila, sprovvisti di ali, disposti intorno al rosone; meno frequente diquella tradizionale, la versione aptera, più che l’escatologica visione dei Cieliaperti, intende comunicare un messaggio di più umano coinvolgimento, in quantosi tratta di un’interpretazione cristologica dei quattro Viventi, che vede rappre-sentati in essi i quattro momenti principali della vita terrena di Gesù: Nascita,Morte, Resurrezione, Ascensione; propriamente, secondo la lapidaria definizionedi Onorio di Autun (sec.XII): Christus erat homo nascendo, vitulus moriendo, leo resur-gendo, aquila ascendendo13.

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13 HONORII AUGUSTODUN, Speculum Ecclesiae, De AscensioneDomini, in Patr. Lat. CLXXII, col. 956; cfr.L. REAU, op. cit., tomo II, vol. II, pp. 44-45.

Fig. 27-28. Molfetta, duomo vecchio: altorilievo frammentario raffigurante Cristo, gli apostoli,vescovo e diacono

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Il privilegio assegnato, a Taurisano, all’uomo alato di s. Matteo [figg. 29-30]

e all’aquila di s. Giovanni si associa alla necessità tutta estetica di evitare ripeti-

zioni, essendo gli altri due simboli, il toro di s. Luca e il leone di s. Marco, già

adottati nel sottostante protiro, con le varianti imposte dal dettato iconologico.

Inoltre, Matteo e Giovanni forniscono un superbo commento all’intera com-

pagine della facciata: E Gesù disse loro: “Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra.

Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre,

del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono

con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28, 18-20) e un riepilogo esem-

plarmente incisivo, in cui insistono con limpida evidenza le linee essenziali del

tema trattato: Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi (Gv

20, 21), stabilendo un saldo legame fra l’Annunciazione e il Cristo e gli Apostoli.

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Fig. 29. Taurisano, chiesa di S. Maria della Strada, rosone e simboli di s. Matteo e s. Giovanni

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Osservazioni conclusive

Inaspettatamente, nell’estremo lembo del Salento, dove per tutto il medioevola sensibilità cromatica prevarica quella plastica e, nell’ambito di quest’ultima, alsapiente e nitido intaglio della docile pietra locale vengono di solito affidati ruoliornamentali ed aniconici, la facciata della chiesa di Santa Maria della Strada si pre-senta perfettamente consapevole del ricco patrimonio iconografico romanico dellaPuglia centrale; è tanto più straordinaria in quanto isolata, e tuttavia collegabileai grandi complessi scultorei più celebri, spesso inerenti a chiese cattedrali, dislo-cati lungo le vie più famose di Puglia, a loro volta in collegamento con i più im-portanti percorsi che interessavano l’Europa e la Terrasanta, e databili agli ultimidecenni del XII secolo, con integrazioni che, come a Bisceglie e a Rutigliano, nonsuperano la prima metà del successivo.

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Fig. 30. Taurisano, chiesa di S. Maria della Strada, rosone e simbolo di s. Matteo

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In una terra in cui il persistere del rito ortodosso sarà documentato ancoramolto a lungo, la nostra piccola chiesa, dotata di un apparato scultoreo di unaperentoreità sproporzionata alle sue dimensioni, sembra porsi, al suo sorgere,come un avamposto, una postazione del rito latino, solo in seguito recuperataalla sensibilità, sempre preminente nel Salento, di marca bizantina con l’apposi-zione delle iscrizioni in lingua greca e l’incasso della meridiana, datate all’inol-trato XIV secolo15 e che hanno condizionato, con la loro palese evidenza, ladatazione della chiesa.

La visione ravvicinata del bassorilievo svela, però, l’ingegnoso espediente adot-tato per realizzare i cartigli su cui vennero incise le iscrizioni, non immediatamentepercepibile per un fenomeno di prospettiva da parte di chi guardi, come di normaavviene, il portale dal basso; i piccoli pannelli rettangolari, non perfettamente coe-renti con l’immagine e non previsti in origine, sono stati ottenuti scalpellando ilfondo e arretrandolo, con una inclinazione progressiva che parte dal filo della lastraalla base e, abilmente scontornando le sagome delle figure, raggiunge circa settecentimetri lungo il bordo superiore, permettendo di lasciare, rilevate, le brevi se-zioni destinate ad accogliere le iscrizioni; non essendo risultati sufficienti i cartigli,parte di queste interessò la novella superficie di fondo.

L’immagine, intesa come scrittura decifrabile, deve la sua possibilità di letturaalle chiavi d’accesso di cui sia munito il lettore, senza le quali d’altronde ogni lin-gua resterebbe morta: quando il contesto iconologico della facciata di santa Mariadella Strada fu elaborato e commissionato, esso doveva possedere innanzitutto unrequisito: la comprensibilità; doveva corrispondere ad una effettiva necessità, senzacorrere il rischio inconcepibile che un così oneroso manufatto riscontrasse soltantouno sterile moto di epidermica ammirazione.

Presto dappertutto la catechesi delle immagini sarebbe divenuta appannaggioesclusivo delle forme narrative, sull’onda dell’esigenza della capillare diffusionedi una cultura religiosa divulgata, promossa in prima istanza dagli ordini mendi-canti e predicatori: emblematico è il caso di Santa Maria del Casale presso Brindisi,luogo eminente di devozione sia popolare che colta, già eretta al limitare del ’200

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15 A. JACOB, L’orologio solare “Bizantino” di Taurisano in Terra d’Otranto, in Architettura Medievale inPuglia, cit., pp. 57-72.

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Pertanto, l’onesto vicario capitolare De Rossi è persona degna di fede; quando,nel 1711, compì a Taurisano la sua diligente visita pastorale, che ci illumina sul-l’aspetto della chiesa di Santa Maria della Strada al suo tempo, si dimostrò attentonell’osservare, avveduto nell’identificare e corretto nell’annotare; segnalò le im-magini del Salvatore e degli Apostoli nella cornice del finestrone circolare, rico-nobbe i simboli degli evangelisti che ancora vediamo, coinvolgendo nel noverodei quattro anche il toro e il leone, dei quali l’antica lettura era ormai desueta; ri-portò quindi, lealmente, notizia di una tradizione raccolta sul posto e, si aggiunga,attendibile, che la chiesa, cioè, fosse stata eretta intorno al 1250 con pubblico de-naro; nulla vieta di credergli quando afferma di aver tentato di decifrare una dataduecentesca16:

Visitavi ecclesiam S. Mariae della strada, antiquitus erectam aere Universitatis... Sup-ponitur ex traditione istam ecclesiam fuisse aedificatam de anno 1250 circiter ex antiquainscriptione parum hodie apparenti in frontispitio ecclesiae in quo adest imago Annuncia-tionis B. V. litteris grecis expressa angelica salutatione. Ibi adest speculum magnum lucisintroeuntis cum symbolis evangelistarum, et in circulo speculi adsunt figurae Salvatoris etApostolorum lapide sculptae. Quella data misteriosa doveva essere ancora visibile epassibile di interpretazione un secolo più tardi o, comunque, presente alla memoriadi chi dipinse l’iscrizione datata 1825, emersa dagli ultimi restauri17, che farebberisalire al 1225 la fondazione della chiesa.

In base a quanto si è detto, la chiesa di santa Maria della Strada, indipenden-temente dalle sue successive vicende, che esulano dalla presente trattazione, si ri-volge serena, allorché ne viene ornata la facciata, a viandanti che possano sostarvidavanti riflettendo su divini misteri che sa loro rammentare, in età federiciana,entro il secondo quarto del XIII secolo, in armonia, sulla scorta dei riferimentiiconografici ed iconologici proposti, con la variegata temperie culturale che ne haprodotto, consapevolmente, l’apparato scultoreo.

Referenze fotografiche: Archivio fotografico delle Soprintendenze B.A.P. e B.S.A.E. della Puglia. Le fotografie relative

alla chiesa di Santa Maria della Strada sono: Archivio Ufficio Beni Culturali Ecclesiastici Diocesi di Ugento- S. Maria

di Leuca, Roberto Rocca, Antonio Ciurlia e Stefano Tanisi.

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16 Visita Pastorale di Monsignor De Rossi, Appendice a A. LAPORTA, S. Maria della Strada: Storia ed Arte,in Architettura .. cit., p.85.17 A. CIURLIA, I restauri della chiesa di S. Maria della Strada, in S. Maria della Strada.. cit., p.110.

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Affresco Madonna di Costantinopoli, part. Taurisano, santuario Madonna della Strada

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STEFANO CORTESE

Santa Maria della Stradadal XIII al XVI secolo

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Taurisano, santuario Madonna della Strada: interno

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Le origini del sacro edificio sono controverse. Se la visita pastorale di mons. De

Rossi1 (1711) autorizza ad una datazione vicina al 1250, alcuni confronti artistici

(degli elementi oggi visibili) spostano la datazione tra la fine del XIII e gli inizi

del XIV secolo.

Convincenti sembrano essere, a tal proposito, gli accostamenti con alcune chiese

coeve del romanico salentino, tra cui quella della Madonna della Lizza ad Alezio,

san Francesco a Specchia Preti, Madonna del Casale ad Ugento2 e le chiese taran-

tine di santa Maria della Giustizia e san Domenico; proprio in quest’ultima, nelle

prima metà del XIV secolo, è sepolto un tale Giovanni de Taurecsano, a personale

avviso il probabile committente dell’edificio (o eventuale rimaneggiamento) di

Taurisano. È noto infatti che la famiglia De Hugot, assunse la denominazione De

Taurecsano dopo la calata angioina; il sacro edificio inoltre, come nel caso anche di

Alezio, presenta elementi architettonici tipici del gotico di derivazione francese,

tra cui l’arco ogivale. Non si esclude tuttavia, una origine più antica del tempio,

con il portale superstite della primitiva chiesa.

Altri indizi inoltre fanno propendere per una volontà da parte di una commit-

tenza di rango, tra cui l’assenza di conci di reimpiego e soprattutto le ampie di-

mensioni dell’edificio per l’epoca: per avere una chiara idea, si confronti il santuario

in questione con l’ex chiesa -a personale avviso coeva alle vicende del santuario- di

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1 AVU (Archivio Vescovile Ugento) 1711, ff. 9-10. «supponitur ex traditione istam ecclesiam fuisseaedificatam de anno 1250 circiter ex antique inscriptione parum hodie apparenti in frontispitio ecclesiaein quo adest imago Annunciationis B. V. litteris grecis expressa angelica salutazione». Il Tasselli propone (Antichità di Leuca, 1693, pp. 136-137; 204-205) una data, ovvero quella del miracolodel 1008, quando l’apparizione mariana mise in fuga i due malintenzionati e salvò il mercante; que-st’ultimo fece erigere la chiesa, facendola cingere con una cintola. Il rituale viene svolto ogni anno, l’8settembre (giorno della Natività di Maria).2 La poco conosciuta chiesa del Casale di Ugento, presenta forti analogie con la chiesa di san GiovanniBattista a San Cesario. Con il santuario Madonna della Strada condivide, inoltre, la presenza degli ar-chetti pensili e la presenza dell’Agnus Dei sulla facciata, elemento comune all’epoca.

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Tralascio in questa sede l’analisi della facciata che sarà oggetto di uno studiodecisamente più esauriente e significativo da parte della dott.ssa Pasquale. Voglioinnanzitutto soffermarmi su alcuni particolari del muro meridionale. Come rile-vato in un saggio scritto a più mani nel 20055, sono ancora visibili le buche pon-taie, indizio pesante per immaginare una copertura a doppia falda del primitivotempio; la zona presbiteriale però, separata all’interno da una iconostasi rinvenutadurante gli scavi, era coperta da una volta in muratura, tanto che proprio nel puntodi separazione tra bema e naos la parete inizia ad ispessirsi (come è visibile anchein altre chiese, tra cui quella di san Francesco a Specchia). Sempre sul muro me-ridionale, nella zona est, è visibile un orologio solare [fig. 1], secondo Jacob6 unicoesemplare in Italia con caratteri greci. Incassato a circa 6,35 m dal suolo, è ricavatoda un unico blocco di pietra a forma di cerchio dal diametro di 59 cm con gno-mone metallico moderno. La prima parte dell’iscrizione primitiva è costituita dallaben nota formula Ίησοϋς Χριστός νικα, i cui quattro gruppi di lettere, deli-mitati da punti, sono collocati alle estremità della croce. Tale iscrizione è attestataanche ad Acquarica (in santa Maria della Grotta) e sullo stampo eucaristico tre-centesco di Ugento7, con caratteri abbastanza tipici del XIV secolo salentino. Alleestremità dei raggi furono poi aggiunte altre lettere. Il lato meridionale, oltrealla scansione in alto degli archetti pensili, presenta l’ingresso minore, sormontatoda una bifora cieca ad arco trilobo [fig. 2] e che ricorda gli identici motivi deco-rativi presenti in alcune chiese, come per le cornici dei santi Stefano ed Elia adAlezio. Proprio il motivo dell’arco trilobo, comunissimo all’epoca, potrebbe esserela quinta pittorica dei santi e scene di gusto bizantino che si dipanavano all’internodel sacro tempio, purtroppo oggi non più presenti8.

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5 P. ARTHUR e altri, op. cit.6 A. JACOB, “L’orologio solare bizantino di Taurisano in terra d’Otranto”, in M. CAZZATO - A. DE BERNART,Architettura medievale in Puglia. S. Maria della Strada a Taurisano, Congedo, Galatina, 1992, pp. 57-71.7 Cfr. R. JURLARO, “Nuovi stampi eucaristici dal Salento in contributo per la storia della liturgia euca-ristica e greca in Italia”, in Bollettino della Badia greca di Grottaferrata n. 17, 1963 p. 155.8 La soluzione ad arco trilobo è presente nel santuario della Lizza ad Alezio (sant’Elia e santo Stefano)come intaglio nella pietra, ma anche dipinto; altri esempi dipinti sono nella cripta sant’Antonio Abatedi Nardò, Centopietre di Patù, cripta di san Marco a Ruffano e nella chiese Madonna dei Panetti e sanNicola in Celsorizzo ad Acquarica del Capo. All’epoca si sviluppa anche una particolare forma di cornice,a piccole fasce con all’interno delle croci dipinte, tipico della pittura tarda-bizantina: alcuni esempisono visibili nell’affresco Madonna in trono con Bambino nella cripta del Crocefisso di Ugento, chiesaS. Maria di Miggiano a Muro e nella santa Marina nel santuario della Lizza di Alezio.

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gine e san Leonardo (con committente di piccolo taglio), un’Annunciazione conl’impaginazione di richiamo quattrocentesco (Beato Angelico) e sant’AntonioAbate.

Infine, vorrei soffermare la vostra attenzione, su un dittico affrescato sul murodi fondo est. Nel lontano 2004 proposi una identificazione con i santi Stefano eLorenzo [fig. 4]11, in quanto indossano la dalmatica e, da quanto si può intravedere,uno dei due ha la pelle olivastra e regge un cofanetto; a causa della presenza diquest’ultimo attributo, non si può escludere l’identificazione del dittico con i santiMedici, così come può emergere dai confronti con gli affreschi presenti nella chiesadi san Nicola in Celsorizzo ad Acquarica (1283) e la coeva chiesa di santa Mariadi Miggiano a Muro Leccese, quale attributo di san Damiano. Ad oggi nessun stu-dioso ha avuto modo di argomentare in merito: spero che quanto prima l’operapossa essere studiata, al fine di dispensare nuovo lustro alla storia di questo ma-gnifico tempio.

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11 S. CORTESE, Cappella dell’Annunciazione. Gli affreschi, Targetcom, 2004.

Fig. 4. Dittico. Taurisano, santuario Madonna della Strada

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S. LILLO (attr.), Madonna della Strada, part. Taurisano, chiesa matrice

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STEFANO TANISI

Saverio Lillo e il dipintodella Madonna della Strada

di Taurisano

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Fig. 1. S. LILLO (attr.), Madonna della Strada. Taurisano, chiesa matrice

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Nella chiesa matrice di Taurisano vi è un dipinto devozionale raffigurante laMadonna della Strada o delle Grazie [fig. 1].

La grande tela, di cm 213 x 137, a centina mistilinea, è posta nell’ala sinistradel transetto, sulla porta d’accesso alla scala che conduce al campanile.

La composizione è sobria e classicheggiante e si articola secondo un comuneschema piramidale: in alto, seduta su seggio di nuvole, è la Vergine avvolta da unampio manto blu e da una veste rosa; essa guarda lo spettatore ed indica il Bam-bino [fig. 2] posto sul suo ginocchio. Intorno si affacciano gli angeli, di cui unoin alto al centro con la corona sembra scendere per incoronare Maria; a sinistra unangelo inginocchiato osserva lo spettatore e indica la Vergine.

In basso a destra, in primo piano, un uomo in ginocchio offre un cordone doratoad un’immagine del volto di una Madonna col Bambino [fig. 3], che, rinchiusain una cornice ovale, risalta su di un’edicola votiva; leggermente arretrato è invecel’altro uomo, appena smontato da cavallo, che osserva la scena e diventarne testi-mone.

La scenetta, secondaria rispetto all’iconografia mariana predominante, alludeal miracolo della Madonna della Strada, che secondo la tradizione riferisce di unmercante carico di merce preziosa che, passando davanti ad una chiesetta, fu assa-lito da briganti saltati fuori dalla boscaglia. Il malcapitato chiese repentino l’in-tercessione della Vergine per sopravvivere all’agguato e, ottenuta la grazia, volledimostrare la propria gratitudine facendo fondere gli oggetti preziosi trasportatiper farne un cordone di fili d’oro, con il quale recinse il piccolo tempio1.

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*Il presente saggio, già edito nel 2010, è stato presentato il 06.09.2010 in un convegno tenutosi a Tau-risano presso il Santuario della Madonna della Strada.1 Cfr. G. RUOTOLO, Ugento-Leuca-Alessano, Siena 1969, terza edizione, p. 266; A. DE BERNART, La chiesadi S. Maria della Strada a Taurisano e i pellegrinaggi nel basso Salento, in A. LOTTI - A. DE BERNART - R.ORLANDO - A. CIURLIA, S. Maria della Strada, Taurisano 2000, pp. 31-32. Ora, in ricordo del miracolo,la recinzione della chiesa avviene con una corda ricoperta di cera rossa.

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noto per aver eseguito tra il 1765 e il 1776 le numerose tele della chiesa matrice

di Ruffano, presente in tutta la Terra d’Otranto e, dunque, anche a Taurisano con

l’inedito dipinto di nostro interesse5.

Vi ritroviamo, infatti, i suoi peculiari tratti stilistici dal ductus narrativo al-

quanto semplice, la solita armonia e pacatezza nella gamma cromatica, le dolci

espressioni dei volti.

Il dipinto taurisanese, inoltre, rivela l’uso dei disegni preparatori e dei cartoni

impiegati dal Lillo in altri dipinti, evidenziando chiare analogie con le altre au-

tografe esperienze pittoriche dell’artista: l’angelo svolazzante che incorona la Ver-

gine è presente nella tela della Natività di Maria della chiesa matrice di Ruffano.

Simile è il Bambino con l’altro raffigurato sulla tela della Madonna del Carmine e

santi (1778)6 conservata nella chiesa matrice di Gagliano del Capo. Ed ancora,

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5 Per il pittore ruffanese e il dipinto in questione confronta il mio lavoro di tesi Il “Sacro” nella sintassipittorica di Saverio Lillo, Accademia di Belle Arti di Lecce, a.a 2004\05, relatore prof. Franco Contini.6 Il dipinto è firmato e datato “LILLO P. 1778”

Fig. 3. S. LILLO (attr.), Madonna della Strada, part. del mercante. Taurisano, chiesa matrice

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a) S. LILLO, Natività della Vergine, part. Ruffano, chiesa matrice

c) S. LILLO, Madonna del Carmine e santi, part. 1778. Gagliano del Capo, chiesa matrice

e) S. LILLO, Immacolata, part. Gagliano del Capo, chiesa S. Francesco da Paola

g) S. LILLO (attr.), Madonna col Bambino e san Giovannino. Leuca, basilica

b - d - f - h) S. LILLO (attr.), Madonna della Strada, part. Taurisano, chiesa matrice

h)

d)

b)a)

c)

e)

g)

f)

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FRA. TEMPESTA, Madonna della Strada. Taurisano, santuario Madonna della Strada (foto S. Tanisi)

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SALVATORE ANTONIO ROCCA

L’affresco dell’Annunciazionee il culto del Sacro cordone

in Santa Maria della Strada a Taurisano

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Cappella dell’Annunciazione. Taurisano, santuario Madonna della Strada (foto S. Tanisi)

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Entrando nel Santuario di Santa Maria della Strada in Taurisano, notiamo subitosul lato sinistro della navata principale una bassa arcata ogivale sorretta da duepilastri in muratura, dalla quale si accede alla cappella dell’Annunciazione deltutto affrescata.

La sorpresa e la meraviglia colgono il visitatore dopo i lavori di restauro del-l’anno 2004. È un tripudio decorativo che si articola in due cicli pittorici realizzatida diverse maestranze, e lo si capisce dalla similitudine di intonaco per lo stato diconservazione, e soprattutto dalla iconografia, la prima di derivazione artisticaquasi sicuramente della fine del XV secolo, dalla iconografia bizantineggiante, laseconda invece di derivazione molto più modesta, ma con scelte iconografiche chesi stringono al pensiero teologico francescano.

Rimanendo sul primo ciclo di affreschi, possiamo notare sulla parete che guardaad ovest, l’icona più importante della cappelletta, icona, alla quale è dedicata lastessa, sicuramente la più preziosa, questo è un esempio di culto derivato, ossiaripreso da quella che è la scultura esterna posta sulla facciata principale del San-tuario stesso. L’Annunciazione dell’Arcangelo Gabriele a Maria SS. “Ecco concepiraiun figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù”. Facendo un’attenta analisi delle SacreScritture possiamo ritenere che in quell’attimo abbia avuto luogo l’incarnazionedi Gesù. La festa dell’Annunciazione cade il 25 marzo esattamente nove mesiprima della natività. L’assidua presenza di questo tema nell’arte religiosa denunciala sua importanza dottrinale.

Gli ordini monastici e le confraternite laiche erano spesso intitolati all’Annun-ciazione e, poiché ad essa erano dedicate molte chiese, cappelle ed altari, il soggettosi diffuse nei luoghi di culto. I tre elementi essenziali della sua iconografia sonol’Arcangelo, la Vergine e la colomba dello Spirito Santo che discende su di lei,come nella rappresentazione scultorea posta all’esterno del Santuario, nell’icono-grafia interna invece la colomba dello Spirito Santo non è rappresentata.

Sembra che in occidente, il tema abbia fatto la sua prima comparsa nell’artereligiosa gotica. È raro che non si accompagni ad elementi simbolici supplemen-tari, tratti dai Vangeli apocrifi e dalla legenda Aurea. San Bernardo ed altre auto-

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revoli figure religiose, hanno dato risalto al fatto che l’evento ebbe luogo in pri-mavera; di qui il motivo del fiore nel vaso, che più tardi fu il giglio, simbolo dipurezza di Maria; dall’altra parte, lo stesso vaso, attraversato dalla luce, era unsimbolo dell’Incarnazione, non diversamente le finestre attraversate dai raggi lu-minosi che compaiono in tante raffigurazioni del tema, così come a Taurisano,dove l’Arcangelo Gabriele e la Vergine Maria sono inquadrati in due arcate condelle colonne con capitelli in stile corinzio dove si vedono ben quattro finestre.

Nelle raffigurazioni dell’Annunciazione spesso vi è il letto, che compare nellastanza della Beata Vergine, è il simbolico Thalamus Virginis della sua unione conDio. La rocca e il cesto di lana raffigurati in certe opere medievali alludono alla le-genda secondo cui la Vergine Maria fu allevata nel Tempio di Gerusalemme, dovefilò e tesse per i sacerdoti. Nelle iconografie classiche l’attributo più frequente èil libro in mano della Vergine, a Taurisano è rappresentato sulla scultura esternain mano alla vergine, mentre nell’iconografia interna è appoggiato in modo apertosulle ginocchia della Vergine, esso secondo San Bernardo riporta la famosa profeziadi Isaia, tra l’altro scolpito sul capitello esterno del santuario, “Ecco la Vergine con-cepirà e partorirà un Figlio”. Anche il libro chiuso in mano a Maria era consideratoun’allusione a Isaia (Isaia 29,11-12): “Per voi ogni visione sarà come le parole di unlibro sigillato”.

Le scritte sui cartigli o fogli di pergamena sono frequenti nell’iconografia del-l’Annunciazione, soprattutto nella pittura olandese. Dalla bocca dell’Arcangeloescono le parole “Ave Maria” o “Ave gratia plena Dominus tecum” (Luca 1,28) daquella della Vergine l’espressione: “Ecce ancilla Domini” (Luca 1,58). Queste ultimeparole a volte sono rappresentate rovesciate in quanto a leggere deve essere DioPadre che compare in cielo, e in altri casi come possiamo notare sulla sculturaesterna del santuario di Taurisano sono scolpite in lingua greca. La Vergine è raf-figurata in piedi o seduta si volge lateralmente in un gesto di turbamento. Mal’Arcangelo le disse: “Non temere Maria …”.

L’Arcangelo Gabriele è alato e nell’iconografia tradizionale porta una vestabianca. Può essere raffigurato mentre scende verso Maria, ma più spesso è dinanzia lei, in piedi o in ginocchio. Nella pittura italiana del XVI secolo sta su una nu-voletta, il che allude alla sua provenienza dal cielo. Nell’iconografia più anticaregge uno scettro sormontato dal giglio araldico, che è un suo attributo; più tardiquesto si tramuterà nel fiore del giglio. Nella pittura senese invece, a causa del-l’inimicizia tra Siena e Firenze, l’Arcangelo Gabriele regge un ramo d’ulivo in

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Affresco dell’Annunciazione. Taurisano, santuario Madonna della Strada (foto S. Tanisi)

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inaugurò un’ambientazione completamentenuova. A partire dal XVI secolo viene pro-gressivamente abbandonata ogni raffigura-zione di strutture architettoniche: il fondova stemperandosi in un cielo percorso danubi dal quale scende in una luce abba-gliante la colomba, per ricordare allo spetta-tore che esiste una diretta comunicazione trala terra e il cielo.

A questo punto considerate le varie sfac-cettature delle immagini dell’Annunciazioneposte sia sulla facciata esterna che all’internodella cappelletta, possiamo indicare conmolta probabilità che originariamente lachiesa di Taurisano aveva il titolo canonicodell’Annunciazione, in seguito tramutatocon la Natività di Maria, successivamentecon Santa Maria delle Grazie, infine SantaMaria della Strada.

Sicuramente possiamo considerare che inquesto luogo i taurisanesi da secoli veneranocon molta devozione il culto mariano, cultoaccresciuto dai francescani in quanto conmolta probabilità già nel 1534, i Francescaniofficiavano in Taurisano e potevano apparte-nere ai Francescani dell’Ordine dei MinoriOsservanti. Tale supposizione viene fatta inquanto nella chiesa di Santa Maria dellaStrada vi è un affresco in cui è raffigurataSanta Maria di Costantinopoli, il quale sitrova nella cappelletta detta dell’Annuncia-zione, edificata affianco alla chiesa di SantaMaria della Strada nel Cinquecento. Si puòpensare che la cappelletta in questione pro-babilmente fu edificata per via devozionale,

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poteva assolutamente portare tale culto in Taurisano, in quanto era sconosciutonella loro città di provenienza, ed inoltre, lo possiamo dedurre dai riti sacri cheessi fecero celebrale nella chiesa da loro costruita in Galatina titolata a Santa Ca-terina. A questo punto possiamo credere con molta probabilità in quanto anchein questo caso non esistono dei documenti storici da confrontare, ma crediamo didover ragionare con logica, crediamo che il culto del Sacro cordone in Taurisanosia stato importato sicuramente da altri paesi stranieri molto più vicini alle regionimeridionali dell’Italia, paesi che ebbero una grande influenza religiosa sulle po-polazioni salentine, considerando ancora che nel 1250, in molte chiese della nuovaDiocesi di Ugento, si celebrava il Rito Ortodosso.

Le prime forme di “peregrinatio Mariae” sono attestate nel XI secolo e il santua-rio di Santa Maria della Strada è stato costruito probabilmente nel 1250, come sievince dagli atti della visita pastorale del 14 giugno 1711 di Mons. Tommaso deRossi, conservati presso l’Archivio storico della Diocesi di Ugento.

L’ipotesi più verosimile è quella che il culto del sacro cordone sia coevo allacostruzione della chiesa, poiché un’analogia è riscontrata in Francia e precisamentead Arres a circa 50 Km da Valenciennes, la cui Cattedrale custodisce un presunto“Sacro Cordone”. Anche in questo caso la data di costruzione della chiesa varia tral’XI e il XII secolo. Tale cordone è stato donato alla Città di Arres come ex votoper il miracolo riguardante la guarigione da una paurosa epidemia di peste nera.Si tratta di un miracolo attribuito alla Santa Vergine.

Sempre in Francia, a Contes, vicino a Nizza, è venerata la Vergine della Cinturae anche in questo caso nella prima decade di settembre. Tale culto non è diffusosolo in Francia, ma anche in alcune zone dell’Italia settentrionale, la cui origine,anche in questo caso, risale ai secoli XIII-XVI e viene festeggiata ancora nellaprima decade di settembre.

Il culto del Sacro Cordone deriva perché mancando le reliquie temporali dallaSanta Vergine, a causa della Sua Assunzione in Cielo, ci si è accontentati d’altritipi di reliquie, come vesti, cimeli, capelli o il latte.

Ma le origini della fede sono da ricercare, o meglio da rintracciare, nel-l’Oriente ed in modo particolare in un capitolo di un Vangelo apocrifo e soprat-tutto a Bisanzio.

Si tratta di un capitolo del Vangelo apocrifo definito “il transito della VergineMaria”; nel capitolo XVII troviamo scritto: «Allora anche il beatissimo Tommasovenne trasportato all’improvviso sul monte degli ulivi e vide il Beatissimo corpo della Vergine

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della Strada in Taurisano porta a considerare un culto e una devozione a tuttocampo, sull’intero ciclo della vita terrena di Maria che parte dall’Annunciazionesino ad arrivare con il culto del Sacro Cordone all’Assunzione della Beata VergineMaria in cielo.

Nel concludere vorrei citare l’inno dedicato a Santa Maria della Strada dovenella strofa iniziale si può leggere:

“Quando penso alla mia sorte che son figlio tuo, Maria, ogni affanno,o Madre mia, s’allontana allor da me.Se la Madre mia Tu sei, sei la Madre del mio Dio, che temer dunqueposs’io, o Maria se m’ami Tu?”.

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Statua lignea ottocentesca del mercante. Taurisano, santuario Madonna della Strada (foto S. Tanisi)

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Convegno

San Marcotradizione bizantinaa Ruffano

Ruffano, 23 aprile 2013

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Affresco di San Marco, part. Ruffano, cripta di S. Marco (foto S. Tanisi)

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CARLO VITO MORCIANO

Un esempio di illustrazione libraria bizantinanell’affresco di San Marco della criptadella chiesa del Carmine di Ruffano

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Affresco di San Marco. Ruffano, cripta di S.Marco (foto S. Tanisi)

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Nella seconda metà dell’Ottocento, Johan Jacob Tikkanen individuava la rela-zione artistica tra il duecentesco ciclo musivo delle Storie della Genesi, rappresentatonell’atrio della basilica di S. Marco in Venezia, e le illustrazioni dell’antico codiceminiato Cotton Genesis, manufatto di scuola siro-palestinese del tardo V secolo.Successivamente, grazie anche all’impulso del celebre storico Kurt Weitzmann,nel Novecento si apriva un’importante fase di studi, nella quale si mise a fuoco ilrapporto tra l’illustrazione libraria bizantina e la pittura monumentale1.

Per quanto concerne le interazioni tra miniatura e pittura parietale, la Terrad’Otranto rappresenta un interessante campo d’indagine, in particolare per la per-sistenza nei secoli della cultura bizantina riscontrabile sia nel campo cultuale chenella produzione artistica. Il cospicuo patrimonio pittorico conservato in numerosecripte del Salento meridionale, circoscrivibile nel fenomeno del culto italo-greco,offre ampia testimonianza dello stretto legame stilistico che ha unito per lunghisecoli le due sponde dell’Adriatico. Charles Diehl, durante la prima fase di studisull’arte bizantina nel Salento, ha individuato un nesso tra alcuni affreschi e le il-lustrazioni librarie bizantine2.Lo scrive negli anni trenta anche Alba Medea, laquale rileva le interazioni di «alcuni affreschi di Poggiardo o di altre cripte comequella di San Nicola a Faggiano con noti monumenti della miniatura bizantina»3;a richiamare l’attenzione della studiosa è la «minuta e precisa rappresentazionedelle stoffe dei paramenti sacri»4 e la tipologia di colori utilizzati «più vicini allatecnica della miniatura»5.

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1 K. WEITZMANN, Various aspects of Byzantine influence on the Latin Countries from the Sixth to the TwelfthCentury, in «Dumbarton Oaks Paper», XX, (1966), pp. 1-24; K. WEITZMANN, L’illustrazione del libronell’antichità, Spoleto, 2004; E. KITZINGER, «La miniatura nella pittura monumentale», in Uomini, Librie Immagini: Per una storia del libro illustrato dal tardo antico al Medioevo (a cura di L. SPECIALE), Liguori,Napoli 2000; O. PÄCHT, La miniatura medievale, Bollati Boringhieri, Torino 2004.2 Cfr. C. DIEHL, L’art byzantin dans l’Italie Méridionale, Librarie de l’Art, Paris 1894.3 A. MEDEA, Osservazioni sugli affreschi delle cripte eremitiche pugliesi, in «Japigia», VIII, (1937), p. 9.4 C. D. FONSECA (a cura di), Gli insediamenti rupestri medioevali nel Basso Salento, Congedo Editore, Galatina1979, p. 165.5 A. MEDEA, Osservazioni sugli affreschi delle cripte eremitiche pugliesi, op. cit., p. 9.

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che nel suo insieme rappresenta un caso di «migrazione»9: ovvero del trasferimentoin ambito monumentale di un modello utilizzato soventemente per la decorazionelibraria.

L’affresco di San Marco [fig. 1], in mediocre stato di conservazione, è dipintosul pilastro centrale della struttura ipogea della chiesa del Carmine di Ruffano.Un arco trilobato, a sua volta inscritto in una cornice rossa, racchiude la figuradel santo: il quale è intento a vergare le pagine di un codice aperto; la legenda ingreco MAPK, quasi del tutto erosa, presenta il nome dell’evangelista. Scendendonei dettagli [fig. 2], le pagine del codice riportano chiaramente i segni rettilineidella rigatura: operazione che nella produzione libraria precede la vergatura. I ca-ratteri capitali greci riconducono all’incipit del Vangelo di Marco, ivi si legge:

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Fig. 2. Affresco di San Marco, part. Ruffano, cripta di S. Marco

AP[.]HT

OV EV

AᴦᴦE

ᴧ[.]OV

I V X[.]

VIOV T

OV ΘV

ΩC Γ E

Γ P A

9 L’espressione è coniata dal Weitzmann in Illustration in Roll and Codex, Princeton University Press,Princeton 1947, cfr. E. KITZINGER, «La miniatura nella pittura monumentale», op. cit., p. 78.

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Gli evangelisti12, considerando le peculiarità stilistiche di ogni realtà geogra-fica, verranno così raffigurati nella maggior parte degli scriptoria medievali: dallecoste d’Irlanda sino alle sponde del mar Nero13.

Proponendo un confronto stilistico, l’iconografia dell’affresco di Ruffano dif-ferisce dalle altre rappresentazioni parietali salentine14.

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12 Differisce in alcuni casi la raffigurazione di S. Giovanni, la quale viene accompagnata dal discepoloProchoros in veste di scriba.13 Cfr. H. BUCHTHAL, A Byzantine Miniature of the Fourth Evangelist and Its Relatives, in «DumbartonOaks Papers», XV, (1961), p. 127-139.14 L’affresco di Ruffano è dissimile dalle raffigurazioni salentine di altri santi ed evangelisti, come ilcaso del S. Giovanni a Poggiardo e il S. Giovanni in Favana di Veglie, cfr.: C. D. FONSECA (a cura di),Gli insediamenti rupestri medievali nel Basso Salento, op. cit., p. 160, p. 247.

Fig. 4. Affresco di San Marco (XIV sec.)Sannicola, chiesa di S. Mauro(foto S. Cortese)

Fig. 5. Part. di San Marco nello studiodell’Evangeliario prodotto a Bisignano (Cs).Napoli, Biblioteca Nazionale, Ms. Nap. gr. 9

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Fig. 6. San Marco nello studio, part. Glasgow, University Library, ms. Hunter 475

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theca atramentarum; in ugual modo la manica lascia nuda la medesima parte di

avambraccio, formando così un angolo acuto. Analizzando le similitudini con i

panneggi si riscontrano le affinità cromatiche: il rosso per la veste, seppur con to-

nalità differente, e l’azzurro per il manto. Scendendo nel dettaglio, il mantello

sulla parte destra della spalla è proposto nella stessa finezza: nelle medesime forme

scende dal lato sinistro realizzando identiche masse e pieghe.

Anche il leggio presenta tratti comuni, in particolare l’apertura angolare del

piano superiore. Scompaiono le strutture architettoniche dal fondale e si riducono

i dettagli delle mobilie, nonché degli strumenti scrittori20. Rimane però viva la

raffinatezza dei panneggi, delle masse e l’accuratezza del volto, tanto da entusia-

smare il Diehl, il quale giudica l’affresco «loin d’étre une oeuvre médiocre»21, e

Medea che ne segnala la «bellezza di colorito», «nobiltà di disegno e sicurezza di

composizione»22.

L’affresco ruffanese di S. Marco, insieme alla raffigurazione di S. Pietro, venne

probabilmente realizzato agli inizi del sec. XIV23, negli anni in cui il Salento mag-

giormente visse la «rinascenza -e resistenza- culturale» bizantina. Infatti, «tra l’ul-

timo venticinquennio del XIII secolo e l’inizio del XIV» è il periodo «che segna

il momento più intenso della produzione dei libri greci in Terra d’Otranto»24.

I manoscritti italo-greci vergati dai copisti salentini sono la testimonianza di

un’intensa attività intellettuale animata dalla cultura bizantina, che vede il Salento

come crocevia tra l’Italia meridionale e l’Oriente.

Pur considerando i vari problemi di metodo, legati in particolar modo alla per-

dita e alla dispersione del patrimonio librario prodotto nella Terra d’Otranto25, è

appurata l’ampia circolazione di manoscritti italo-greci nei paesi ad occidente

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20 Negli evangeli bizantini miniati, sono frequenti i casi in cui la quinta architettonica è totalmente as-sente ed il fondale è completamente decorato a foglia oro.21 C. DIEHL, L’art byzantin dans l’Italie Méridionale, op. cit., p. 87.22 A. MEDEA, Gli affreschi delle cripte eremitiche pugliesi, I, Collezione meridionale, Roma 1939, p. 148.23 M. G. FALLA-CASTELFRANCHI, Pittura monumentale bizantina in Puglia, Electa, Milano 1991, p. 25724 G. CAVALLO, «Libri greci e resistenza etnica in Terra d’Otranto», in Libri e Lettori nel mondo bizantino:guida storica e critica, (a cura di) G. CAVALLO, Laterza, Bari 1990, p. 170.25 Cfr. P. CANART, «Aspetti materiali e sociali della produzione libraria italo-greca tra normanni e svevi»,in Libri e Lettori nel mondo bizantino: guida storica e critica, op. cit.

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dell’asse Maglie - S. Maria di Leuca26: fenomeno particolarmente connesso all’at-tività culturale della Biblioteca del monastero di Casole. Inoltre, la trasmissionee la copia dei testi avveniva specialmente in ambiente intellettuale-religioso, peropera di chierici e sacerdoti.

A Ruffano, centro dove il culto italo-greco è per molti secoli fiorente27, è pos-sibile che sia avvenuta una migrazione iconografica dall’illustrazione libraria alladecorazione parietale; l’ipotesi è suffragata non solo dalla sopradetta analisi com-parativa delle immagini, ma anche dalla significativa presenza in loco di copistiitalo-greci28.

Un proseguimento delle indagini comparative tra modelli illustrativi librari eraffigurazioni parietali, circoscritto al Salento meridionale, può aggiungere ulte-riori tasselli conoscitivi sia in ordine alla storia dell’arte medievale che nei riguardidella coeva produzione e circolazione libraria italo-greca.

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26 G. CAVALLO, «Libri greci e resistenza etnica in Terra d’Otranto», op. cit.: p. 165.27 Mons. Giuseppe Ruotolo, scrivendo del culto greco a Ruffano, riporta le parole del vicario capitolaredi Ugento mons. De Rossi (1711): «La chiesa parrocchiale di questa terra era troppo angusta e costituitaa stile greco; il rito greco era osservato quasi fino ai nostri tempi e i rettori erano anche greci comeancora si ricorda D. Gabriele Capasso, sacerdote greco e prozio del signor Beniamino Carozzo, nobiledi questa terra […]», p. 246: G. RUOTOLO, Ugento-Leuca-Alessano, Cantagalli, Siena 1969.28 Esempio noto è Giorgio di Ruffano copista di un manoscritto greco (Brix. Quirin. A IV 3) conservatopresso la Quiriniana di Brescia, cfr. A. JACOB, «Culture Grecque et Manuscripts en Terre d’Otrante»,in Atti del III^ Congresso Internazionale di Studi Salentini e del I^ Congresso Storico di Terra d’Otranto, (a curadi) PIER FAUSTO PALUMBO, Centro di Studi Salentini, Lecce 1980, p. 74.

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Affresco dell’Annunciazione. Ruffano, cripta di S. Marco (foto S. Tanisi)

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STEFANO CORTESE

La cripta bizantinadi San Marco a Ruffano

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Ruffano, cripta di s. Marco (foto S. Tanisi)

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La funzione taumaturgica di alcuni santi sembra conoscere una nuova stagionenei secoli XVIII-XIX quando, a una serie di culti di origine orientale vengonoabbinati alla guarigione di determinati parti anatomiche. Così come dimostranole ricerche effettuate nei registri in alcune parrocchie, diversi nomi di personaquali Biagio o Ippazio, prendono piede solo a partire dalla fine del ’600 in poi: èsegno evidente che solo da quell’epoca ritornano in auge culti bizantini come sanBiagio (gola), sant’Ippazio (virilità maschile ed ernia), santa Marina (ittero), santa

Lucia (occhi), i ss. Medici (santi invocati per le prestazioni mediche). All’internodi questa schiera, potremmo includere anche san Marco, un culto meno diffuso,ma che viene invocato per la protezione dell’orecchio. Tre le probabili ipotesi perle quali il santo viene identificato come il protettore dell’udito:

1- i versi iniziali del vangelo di Marco, gli stessi dipinti sull’affresco della criptadi Ruffano, recitano: «Ecco, io mando il mio messaggero davanti a te, egli ti pre-parerà la strada. Voce di uno che GRIDA nel deserto». È chiaro il riferimento alBattista, personaggio che veniva immaginato con la pelle di leone (in altri casi di

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Nelle cripte, a valenza soprattutto funeraria, i privati (ovvero coloro che si sonofatti seppellire nelle tombe oggi esistenti) ci facevano campire i santi “più getto-nati” dell’epoca, oltre che agli immancabili Cristo Pantocratore e serie di Madonnacon Bambino; tranne per il caso dell’Annunciazione, scena compendiaria del Mi-stero del Cristo, sono assenti nella cripta le scene cristologiche (dodekaorton), comecontrariamente avviene nelle chiese sub divo.

Purtroppo oggi della cripta di san Marco conosciamo ben poco: sita sotto lachiesa Madonna del Carmine, probabilmente presentava due ingressi: il primo,sito sotto l’attuale altare maggiore, è stato tamponato; il secondo, l’unico attual-mente accessibile, si trova sul lato nord nel punto mediano della navata unicadella chiesa settecentesca (1713).

Oggi si presenta con una pianta irregolarissima. Lungo la scalinata di accessoalla cripta, compaiono tracce di affreschi lungo le due pareti, costruite con blocchi.

Sulla parete sinistra è a malapena visibile quello che a personale avviso sarebbeun Cristo Pantocratore [fig. 1], in quanto recante un nimbo crucigero su un pocodiffuso sfondo di colore porpora. A seguire, si scorge una figura femminile introno, con al centro un nimbo più piccolo sempre crucigero, presumibilmente,secondo la personale interpretazione, una Vergine con Bambino. Sul lato destrodel dromos di accesso alla cripta, le tracce sono ancora più labili e di difficilissimainterpretazione, ma si intravede una figura maschile2.

Questo vano, con copertura a botte, potrebbe avere una datazione che, a perso-nale avviso, non dovrebbe essere anteriore alla seconda metà del XIII secolo. Nondeve meravigliare la presenza di un corridoio di ingresso alla cripta, quasi sempredipinto: un caso simile lo si può ravvisare nella cripta di sant’Onofrio a Castrignanodei Greci. Una volta avuto accesso nell’invaso, l’attenzione è catturata dalla pre-senza di un pilastro centrale con affrescato il santo titolare, san Marco [fig.2].

Inquadrato in un arco trilobo dipinto, il santo è riprodotto di tre quarti colcapo piegato; la figura si staglia su uno sfondo blu intento a scrivere i versi inizialidel suo vangelo, piegandovisi sopra3.

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2 Devo la segnalazione all’amico dott. Stefano Tanisi. Già Alba Medea (1939, 147) ci tramanda che «asinistra dell’ingresso si notano tracce confuse di un affresco, in basso resti d’iscrizione non più decifrabile:MATN//// APE/// HCTOVKV».3 Cfr. A. MEDEA, Gli affreschi delle cripte eremitiche pugliesi, Roma, 1939, p. 257

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Sono leggibili alcune lettere greche delpasso principiante il suo vangelo. È unariproduzione desueta, tratta probabil-mente da un repertorio librario (cfr. la re-lazione di Carlo Vito Morciano), mentrein altre pitture coeve il santo veniva ri-prodotto sottoforma di leone ed associatoagli altri tre evangelisti, come nel casodella parete est della stupenda chiesa disan Nicola in Celsorizzo ad Acquarica delCapo. La sensazione è che nel caso di Ruf-fano sia stata estrapolata una iconografiaconsolidata da secoli per adattarla all’in-terno di una cornice allora in voga.

Frontalmente a san Marco, è posizio-

nato l’affresco di san Pietro [fig. 3], opera

ascrivibile ai primi anni del ’3004, grazie

anche all’utilizzo dell’impaginazione ad

arco trilobo dipinto che porta a dei con-

fronti con la cripta di sant’Antonio Abate di Nardò e con la chiesa di santa Maria

della Lizza ad Alezio; all’esterno dell’arco inoltre, sono qui visibili alcuni motivi

decorativi fitomorfi a tralci. Il santo è qui riprodotto anziano, senza i consueti ca-

pelli ricciuti e benedicente alla greca; l’iscrizione esegetica greca conferma inoltre

l’identificazione. L’ubicazione di san Pietro che fronteggia san Marco non è un

caso: già in san Mauro a Sannicola i due santi ripetono la stessa collocazione, in

quanto l’ispiratore del vangelo di Marco fu proprio san Pietro. Un’altra raffigura-

zione di san Pietro in zona è riscontrabile nel sott’arco della cripta di santo Stefano

a Cursi. Affianco a san Pietro, lungo una parete ricostruita a conci squadrati, è presente

un’Annunciazione [fig. 4] di datazione posteriore, tanto che Fonseca5 propone

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4 Cfr. M. FALLA Castelfranchi, Pittura monumentale bizantina in Puglia, Electa, 1991, p. 257.5 Cfr. C. D. FONSECa, Gli insediamenti rupestri medievali nel basso Salento, Congedo, Galatina, 1979, pp.171-173.

Fig. 3. Affresco di San Pietro.Ruffano, cripta di S. Marco

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Nel pannello destro, palinsesto, nello strato ori-ginario, si scorge un personaggio femminile con ilmaphorion, forse databile al primo ciclo decorativodella cripta; lo strato superiore, da datarsi entro laprima metà del ‘400, è visibile solo nella parte inalto, dove si nota una figura dalla lunga barba biancae benedicente alla greca, secondo me molto simileal sant’Elia presente in Nardò e Alezio o sant’Anto-nio Abate, allora culto già diffuso.

È estremamente difficile riconoscere l’individuodi sinistra, apparentemente non palinsesto: colloca-bile al primo ciclo pittorico, si riconosce un cartiglioin basso a destra con alcune lettere greche [fig.6],forse san Giovanni Battista a causa del riconosci-mento delle lettere “KV” finali, anche se il conte-nuto del cartiglio sembra essere più pieno rispettoalla consueta iscrizione di san Giovanni Battista6.

Infine, a risaltare il preminente ruolo privatodelle cripte, sono visibili alcune tombe con cuscinolitico [fig. 7], di orientamento diverso, databili alperiodo basso medievale. Colgo l’occasione conces-sami in questo convegno, per poter illustrare bre-vemente due vestigia bizantine importanti inRuffano.

Oltre alle due cripte (san Marco e del Crocefisso)e all’antica presenza della chiesa di san Foca oggiscomparsa (dove è sita la chiesa Madonna del BuonConsiglio), Ruffano custodisce tracce archeologichesemisconosciute.

Alle spalle della zona industriale, in localitàVarna [fig.8], in prossimità della masseria omonimacon inclusa cappella san Michele, è presente una ne-

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6 Si veda l’affresco del Battista nella chiesa Madonna dei Panetti ad Acquarica del Capo.

Fig. 5. Dittico.Ruffano, cripta di S. Marco

Fig. 6. Part. delle lettere greche.Ruffano, cripta di S. Marco

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cropoli medievale7, sita a qualche chilometro di distanza da un’altra necropoli postatra i feudi di Specchia e della stessa Ruffano, sempre da datare all’età medievale.

Infine, durante i lavori di qualche anno fa presso la chiesa matrice Nativitàdella Vergine, sono stati rinvenuti alcuni oggetti antichi. Undici monete bizantinesono state recuperate nei sotterranei della chiesa, ospitate in poco più di una ven-tina di tombe superstiti, tra cui quelle all’interno di un vano voltato a botte inepoca successiva. Ad una prima analisi, le monete sono dei follis [fig. 9] tutti daattribuire all’epoca di Basilio II (X secolo): l’identica datazione delle monete inbronzo, consente di avanzare l’ipotesi di unadatazione originaria del sacro edificio al Xsecolo, oppure di un ripopolamento di Ruf-fano nello stesso periodo. I frammenti in ce-ramica risultano essere più tardi, come laceramica a bande strette di colore bruno(XV-XVI secolo) e la ceramica da mensa in-vetriata RMR (età angioina).

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7 Devo la segnalazione, ancora una volta, al carissimo amico dott. Stefano Tanisi.

Fig. 9. Monete bizantine.Ruffano, chiesa matrice (foto S. Tanisi)

Fig. 7. Tomba.Ruffano, cripta di S. Marco

Fig. 8. Necropoli medievale.Ruffano, contrada Varna (Zona industriale)

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G. CARRONE (attr.), Altare maggiore, 1713, part. Ruffano, chiesa del Carmine

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STEFANO TANISI

Aspetti storico-artisticidella chiesa del Carmine di Ruffano

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Fig. 3. G. CARRONE (attr.), Portale, 1713, part. Ruffano, chiesa del Carmine

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La chiesa della Madonna del Carmine

La chiesa del Carmine1 fu eretta nel 1713 sullefondamenta di quella di san Marco, la più impor-tante a Ruffano tra le chiese di rito greco nei secoliXV e XVII.

Dell’antico chiesa tuttavia resta parte del muroperimetrale della facciata laterale nord (in corri-spondenza dell’ultimo pilastro esterno di spinta),dove compare un tratto di cornice lapidea, conmensole e decorazioni trilobate, di fattura quattro-cinquecentesca [figg. 1-2].

L’edificio è stato allungato verso ovest neglianni ’60 del secolo scorso, con lo spostamento dellasettecentesca facciata e del pregevole portale in pie-tra leccese [fig. 3] attribuibile allo scultore cori-glianese Gaetano Carrone (1656-1733)2.

Appartiene all’ampliamento della chiesa, il fi-nestrone circolare e una statua della Madonna delCarmine in pietra inserita in una nicchia sopra ilportale [fig.4]3.

L’interno ad una sola navata, ha l’altare mag-giore del 1713 in pietra leccese, attribuibile al

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1 La presente relazione è un estratto di un mio lavoro più ampio, in corso di preparazione, dal titolo LaConfraternita SS. Trinità e Carmine di Ruffano. Parte del lavoro è stato pubblicato in S. TANISI, La chiesadel Carmine di Ruffano. Guida alla visita e all’immagine, prefazione di A. DE BERNART, Ugento 2008.2 Le due colonne e i relativi capitelli del portale -da come si può vedere da foto che ritraggono la facciataprima dell’ampiamento degli anni ’60 del secolo scorso- sono state rifatte.3 Cfr. A. DE BERNART, Pagine di storia ruffanese, Parabita 1965, pp. 21-24.

Figg. 1-2. Facciata nord dellachiesa; part. della cornicea decorazione trilobata.

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Due dipinti su tela sono incastonati negli altari laterali edificati nell’800: quellodi sinistra rappresenta la Morte di san Giuseppe [fig. 7], opera autografa della pittriceMaria Rachele Lillo (1768 - 1745) del 18325; l’altro, attribuibile sempre alla Lillo,è datato 18266 e raffigura la Madonna del Buon Consiglio [fig. 8].

Al 1855 risalgono gli affreschi di Francesco Bove7, raffiguranti gli Apostoli, di-pinti in una cornice ovale in stucco [fig. 9] e disposti a gruppi di sei nelle paretilaterali. Sulla cantoria vi è l’organo del 1851 del magliese Vincenzo De Micheli8.Interessanti sono la piccola settecentesca statua lignea della Madonna del Carmine

con il confratello in ginocchio che attende di ricevere lo scapolare9, l’ottocentescogruppo scultoreo in cartapesta della Santissima Trinità [fig. 10], una statua-mani-chino della Madonna Addolorata (che viene portata in processione con grande de-vozione nella sera del Venerdì Santo) e un Cristo morto (sec. XIX-XX) in cartapesta.

La cappella di san Marco

La cappella di san Marco è stata voluta ne 1997 dall’allora padre spirituale donNicola Santoro. Nella nicchia centrale è inserita la statua in cartapesta di SanMarco10 [fig. 11], mentre in quelle laterali sono esposti i numerosi ex voto in oroe argento e la reliquia del santo [fig. 12]. Il culto di san Marco a Ruffano è moltoantico: abbiamo infatti, nella cripta sottostante la chiesa, un affresco che è stato

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5 Il dipinto è firmato: “M[ari]a Rachele Lillo pitt[ric]e 1832”. L’artista è figlia del noto pittore ruffaneseSaverio Lillo (1734-1796). Le prime importanti opere autografe di questa pittrice sono conservate nellachiesa dell’Immacolata di Cutrofiano, trattano scene della vita di Maria e sono datate 1794. Cfr. S. TA-NISI, I dipinti di Maria Rachele Lillo (1768-1845) nella chiesa dell’Immacolata di Cutrofiano, in V. LIGORI

- A. CALÒ - S. TANISI, La congrega dell’Immacolata un gioiello del barocco leccese a Cutrofiano, Cutrofiano2009, pp. 44-59.6 Il dipinto è datato nella parte inferiore A.D. 1826.7 L’affresco di S. Matteo è firmato e datato “Francesco Bove P. 1855”.8 Cfr. A. DE BERNART, Pagine di storia ruffanese, pp. 21-22 e ARCHIVIO STORICO CONFRATERNITA SS. TRI-NITÀ E CARMINE RUFFANO, Libro delle conclusioni della Venerabile Congrega SS.ma Trinità e Beata Verginedel Carmine, atto del 2 novembre 1851. La conclusione ci informa che il presente organo è stato aquistatoper compra-vendita “che il prezzo dello stesso si fosse fissato per docati cento quaranta, donandosi anche l’organo,e che il fabricante De Micheli si riaveva a titolo di anticipazione docati cento”.9 Fino a qualche tempo fa si portava in processione poiché l’altra statua lignea era pesante da trasportare.10 Prima la statua di S. Marco si custodiva nella nicchia della parete destra nei pressi dell’altare maggiore.

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Fig. 5. G. CARRONE (attr.), Altare maggiore, 1713. Ruffano, chiesa del Carmine

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Fig. 7. M. R. LILLO, Morte di San Giuseppe,1832. Ruffano, chiesa del Carmine

Fig. 8. M. R. LILLO (attr.), Madonna del BuonConsiglio, 1826. Ruffano, chiesa del Carmine

Fig. 6. Statua lignea dellaMadonna del Carmine, XVIII sec.Ruffano, chiesa del Carmine

Fig. 9. F. BOVE, San Matteo, 1855. Ruffano,chiesa della Madonna del Carmine

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Oggetti liturgici. Ruffano, chiesa del Carmine

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I confratelli hanno la loro tipica divisa: mozzetta celeste, cappuccio, tunica e

cordone rossi [fig. 16]. Legata a sinistra dalla mozzetta vi è un medaglione in rame

a forma romboidale con a sbalzo l’immagine della Madonna del Carmine [fig. 17].

Significativa era ed è la presenza della confraternita alla processioni che si fanno

nel corso dell’anno.

Durante la processione del Venerdì Santo, la Confraternita del Camine porta

per le strade del paese la statua della Madonna Addolorata, mentre l’altra Confra-

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Fig. 14. Ruffano 25.04.1963: Distributrice di ovatta benedetta in occasione della festa di sanMarco (foto tratta da Annabella Rossi e la fotografia. Vent’anni di ricerca visiva nel Salento in Campania,a cura di V. ESPOSITO, Napoli 2003)

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La chiesa del Carmine (ex S. Marco) in un bozzetto di Pasquale Ricchiuto (2012)

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VINCENZO VETRUCCIO

Il tempio di san Marco in Ruffano:un culto dimenticato

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Ruffano 24.04.1963: Fedeli all’uscita della chiesa della Madonna del Carmine (foto tratta da An-nabella Rossi e la fotografia. Vent’anni di ricerca visiva nel Salento in Campania, a cura di V. ESPOSITO,Napoli 2003)

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Nel delineare la storia della chiesa del Carmine, non si può ignorare la Con-

fraternita omonima né trascurare la cripta bizantina del XII secolo, intitolata a

San Marco.

Fu intorno a quella cripta che cominciò a svilupparsi il casale di Ruffano,

quando i contadini, per sottrarsi alle devastazioni, ai saccheggi, alle incursioni fre-

quenti di branchi selvaggi che infestavano le nostre campagne, abbandonarono le

casupole rurali sparse nel territorio per trovare rifugio e protezione presso i monaci

orientali, che a loro volta avevano trovato riparo nelle nostre contrade per sfuggire

alle persecuzioni cui erano soggetti durante la lotta iconoclastica.

Ad essi si deve l’introduzione del rito greco, che resisterà sino ai primi del

1700, e ad essi l’impulso che ebbero l’agricoltura, l’artigianato, i mercati e la fiera

che ancora oggi si celebra ogni anno il 25 aprile, rinomata in tutto il Salento,

tanto da indurre i forestieri a credere che il protettore di Ruffano sia S. Marco.

Nacque così quel nucleo abitato che dette origine al borgo S. Marco, traendo

il nome dall’eccelso evangelista, la cui effigie, in via di continuo deteriora-

mento, è affrescata sul pilastro centrale che pare regga la volta rocciosa dell’an-

tico ipogeo.

A S. Marco si intitolò il tempio edificato, sul piano della cripta sottostante,

nella seconda metà del 1500 e ampliato un secolo dopo dal sacerdote don Onofrio

Memmi.

S. Marco si denominarono il largo antistante e la via che, passando al lato della

chiesa, si congiungeva alla “via di mezzo”, che portava all’altro rione del paese:

quello di S. Foca.

Nel borgo S. Marco furono edificate le cappelle dell’Addolorata, di Sant’Anto-

nio Abate1, di Santa Maria di Costantinopoli2 e molte civili abitazioni.

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1 Demolita nella seconda metà del secolo scorso (1958).2 Oggi sede dell’Ufficio di Polizia Municipale.

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Il suo tempio, prima della ricostruzione avvenuta nel 1713, era la chiesa piùimportante di Ruffano, tant’è che accolse la confraternita del Carmine, quando ilsodalizio, nella seconda metà del 1600, si staccò dalla chiesa di S. Foca, ed ebbefunzioni di parrocchia durante i lavori di costruzione della nuova chiesa della Na-tività, dal 1706 al 1713: in essa si amministrava il battesimo, si celebravano i ma-trimoni e si seppellivano i morti, per esaudire le ultime volontà dei fedeli iscrittialla Congregazione.

Quindi, S. Marco era il santo più conosciuto e, di sicuro, molto venerato nellenostre contrade, come protettore dell’udito.

Ma perché poi il suo nome fu ripudiato e la sua chiesa cambiò titolo? Cerchiamo di spiegarne le ragioni.Da tempo remoto esiste in Ruffano una confraternita, in origine, aggregata

alla chiesa di S. Foca. Essa è intitolata alla B.V. del Carmine, il cui culto, molto sentito, risale a tempo

antichissimo, come può dedursi dalla presenza dei Carmelitani nella frazione diTorrepaduli e dalla testimonianza, nella chiesa matrice, dell’altare di S. Elia (fon-datore dell’Ordine), istituito nel 1722 dal carmelitano Domenico Salvatore Cirillo.

In verità, il sodalizio si fregia anche del titolo di “SS. Trinità”, derivandogliper tradizione dalla chiesa cripta omonima3, grancia della parrocchiale di S. Foca. Il santo portato dall’oriente, era titolare della chiesa e protettore di Ruffano.

Egli rimase in carica sino ai primi del 1600, quando, perdutasi da tempo ladevozione per la vecchia chiesa, fu sostituito da San Francesco, che tenne il pa-tronato sino alla fine del secolo e lo cedette poi a Sant’Antonio da Padova, quandola nostra gente, suggestionata dalla fama del Santo gigliato, volle affidarsi allasua protezione.

All’abbandono della chiesa di rito greco, seguì il trasferimento della confrater-nita nella chiesa di S. Marco.

Questi passaggi si devono certamente all’adesione ai principi tridentini, al tra-monto del vecchio rito, all’affermazione di quello latino e alla fama di nuovi santiausiliatori, diffusa dalla predicazione cristiana.

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3 La cripta della Trinità si trova poco distante da quella del Crocifisso (o di Santa Costantina), nellacontrada Manfio, nel feudo di Ruffano.

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Fig. 1. Regio Assenso di Ferdinando IV del 1776. Ruffano, chiesa del Carmine (foto S. Tanisi)

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Si tratta di missive inviate dai priori pro tempore di Ruffano al Padre Spirituale

di quella Congregazione negli anni dal 1821 al 1824, per comunicare i nominativi

dei Fratelli deceduti.

Quanto all’origine della nostra confraternita, la sua istituzione, come quella di

molte altre, risale certamente al tempo in cui le genti, oppresse dalla miseria, col-

pite dalla scarsità delle annate e spesso vessate dai Baroni, avevano bisogno di so-

lidarietà, di conforto e di aiuto concreto, soprattutto, in mancanza di qualsiasi

forma di assistenza pubblica e delle più elementari garanzie, specialmente per la

parte più disagiata del corpo sociale.

Queste le ragioni che indussero i cristiani ad associarsi per aiutarsi reciproca-

mente, dando luogo a quelle associazioni laicali che hanno assunto nel corso dei

tempi diverse finalità, di culto e di beneficenza: l’assistenza ai propri membri e

agli infermi, la sepoltura degli associati, la devozione per un santo protettore o la

Santa Madre Celeste, la cura e la gestione di una chiesa.

Nel corso degli anni, tuttavia, tra i confratelli si scorsero anche galantuomini,

proprietari e persone di famiglie ragguardevoli, indubbiamente presenti per ra-

gioni di culto più che di opportunità.

Per le finalità assunte, e soprattutto per la necessità di distinguersi tra loro,

ogni confraternita adottò un saio (o cappa), solitamente, costituito da un camice

con cappuccio, una mantellina, un cordone da allacciare in vita e un medaglione

come segno distintivo.

Il cappuccio veniva calato sul volto per nascondere l’identità della persona e

lasciare nell’anonimato le opere di carità, in ossequio all’esortazione di Gesù:

“Guardatevi dal fare le vostre opere buone per essere visti dagli uomini, il Padre vostro che

vede nel segreto vi ricompenserà”.

Inoltre, era segno di umiltà perché annullava le differenze di classe sociale.

Dalla natura autenticamente spirituale delle confraternite, derivarono, poi, al-

cuni movimenti mistici, come quelli dei Battenti e dei Disciplinati, che alla fede

e alla carità aggiunsero l’umiliazione fisica, l’autoflagellazione, cioè l’inflizione di

pene corporali, a castigo dei peccati commessi o, in senso più ampio, ad espiazione

dei peccati del mondo.

A questo scopo, si dotarono di strumenti adeguati: frustini con frange metal-

liche, corde con pietre legate, cingoli con flagelli intrecciati.

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Statua lignea settecentesca della Madonna del Carmine e confratello in ginocchio.Ruffano, chiesa del Carmine (foto S. Tanisi)

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Allora, fu molto facile con-fondere il nome della confra-ternita con quello della chiesae identificare l’una nell’altra,sicché pian piano S. Marco per-dette il ruolo di titolare e lasua chiesa finì col chiamarsidefinitivamente Madonna delCarmine, in coincidenza con laricostruzione dell’antico tem-pio avvenuta nel 1713, comegià detto.

A quell’epoca, risalgonol’altare maggiore e il portale difattura barocca, mentre gli al-tari addossati alle pareti late-rali sono stati edificati neglianni successivi.

Su di essi si ammirano ipregevoli dipinti raffigurantiuno la Madonna del Carmine,datato 1826, e l’altro la mortedi S. Giuseppe, datato 1832,

che reca la firma di Rachele Lillo, figlia del già citato Francesco Saverio. In seguito,nella seconda metà dello stesso secolo, la chiesa si dotò della cantoria per l’organoe si arricchì con le immagini degli apostoli, effigiati nelle ogive allineate in altolungo le pareti laterali.

Poi, nel corso degli anni, per lo zelo dei priori, sono stati eseguiti vari interventidi manutenzione, ristrutturazione e restauro, tra i quali si ricordano il rinnova-mento dell’altare maggiore, il ritocco dei dipinti delle tele, l’allungamento dellanavata, la nuova pavimentazione, il rifacimento della cantoria ed altri ancora, ese-guiti nella seconda metà del secolo scorso.

Si deve, però, riconoscere che col passare degli anni, S. Marco è passato in se-condo ordine, quasi degradato a inquilino nella chiesa che fu sua, la cui titolaritàda tre secoli ormai appartiene alla Madonna del Carmelo.

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Statua di S. Marco sulla sommità dell’altare maggiore.Ruffano, chiesa del Carmine (foto G. Nuzzo)

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Del resto, la devozione al protettore dell’udito si è affievolita e ridotta quasi

alla sola unzione dell’orecchio con l’olio benedetto, come si esprime ancora oggi,

in occasione della festa in suo onore.

Tuttavia, la chiesa del Carmine, erede diretta del tempio di S. Marco, è stata

sempre sotto la giurisdizione della chiesa Madre (antica Ricettizia - Collegiata)

e in essa molti sacerdoti si sono avvicendati nella celebrazione di Sante Messe e

Sacre Funzioni, tra i quali si ricordano i più recenti: don Renato Giaccari e don

Aniceto Inguscio.

Sembrava che tutto dovesse continuare come ormai col tempo s’era consolidato,

invece, a pochi lustri dalla fine del secolo, si apre una nuova pagina di storia.

Nell’ottobre del 1982, si schiude un nuovo orizzonte per l’antica chiesa di

San Marco.

Trascorso un periodo alquanto travagliato per la parrocchia della Natività6,

viene nominato parroco e padre spirituale della confraternita del Carmine e SS.

Trinità don Nicola Santoro, originario di Specchia Preti.

Egli, sensibile ai problemi della chiesa, animato da vivo entusiasmo nell’as-

sunzione dell’incarico sacerdotale, incline alle iniziative culturali (come dimostrerà

in seguito, curando la pubblicazione di varie opere di carattere storico), conosciuta

la storia del paese e della parrocchia affidatagli, non emargina l’interesse per le vi-

cende della chiesa del Carmine, ricadente sotto la sua giurisdizione.

Non dimentica l’effigie di S. Marco affrescata sul pilastro centrale della cripta

sottostante; pensa al tempio edificato in suo onore, alla vitalità dell’antico borgo,

alla devozione popolare, ai mercati e alla fiera istituita in ricorrenza della sua festa.

Tutti pensieri che sostengono il suo intento di ripristinare il culto per il Santo

Evangelista e fanno nascere nella sua mente un progetto molto ambizioso, che in-

veste non solo l’aspetto religioso, ma anche quello architettonico della chiesa, come

già accaduto in passato: sogna di farne un santuario.

Rende noto il suo programma al Consiglio della confraternita e, trovandone

l’unanime consenso, nonché la garanzia di un sostegno economico, assicurato dal-

l’alienazione di alcuni beni, dà l’avvio al progetto.

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6 Il riferimento è al tempo in cui il parroco don Vittorio Petese fu sostituito per un breve periodo dalprete ortodosso don Lino Yoan, missionario della Verità.

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Poco tempo dopo, però, per un malinteso, come si dirà più avanti, la chiesa delCarmine e la confraternita passeranno sotto la giurisdizione della nuova parrocchia.

Il progetto si interromperà e con esso anche il sogno di don Nino.Spieghiamo l’evolversi della vicenda.Nel secondo dopoguerra, sono cambiate le condizioni economiche e sociali della

popolazione e ad esse sono seguiti notevoli mutamenti. La crescita demografica ha comportato la diffusione delle scuole, la formazione

di nuove famiglie, l’aumento dei servizi, della produzione, dei consumi e, soprat-tutto, un rilevante ampliamento del territorio urbanizzato. Si è edificata buonaparte delle zone di completamento e il paese si è esteso in tutte le direzioni, madecisamente verso Sud, senza considerare le nuove case di abitazione che hannoanimato diverse contrade e occupato numerose zone agricole in tutto il feudo.

Pertanto, le periferie si sono allontanate dai vecchi confini, il centro storico haperduto la vitalità del passato e l’antica parrocchiale della Natività, nata nel cuoredel paese, ricca di memorie, d’arte e di storia, pur conservando la devozione po-polare, è risultata troppo lontana dai nuovi rioni e, forse, insufficiente per la curadelle anime, notevolmente cresciute nel numero.

Da ciò, l’esigenza di una nuova parrocchia.In passato, dei benefattori hanno offerto notevoli contributi per la realizzazione

degli edifici sacri, come è stato per la chiesa di S. Marco, per quella dei Cappuccinie infine per la chiesa della Natività.

Ebbene, anche in questa occasione, una persona, ben nota in paese, ha offertoun terreno dell’estensione di circa due ettari, per la costruzione della nuova par-rocchia, delle opere necessarie al ministero pastorale e dell’oratorio “per la forma-zione religiosa e morale della gioventù di Ruffano”.

Quanto sopra si apprende da una missiva, datata 22 sett. 1971, inviata dal-l’Amministratore Apostolico della Diocesi di Ugento al Sindaco dell’epoca, conla quale si pregava il Primo Cittadino di tener conto, in sede di programmazionedel piano di fabbricazione, delle buone intenzioni del benefattore.

La ricerca di un riscontro a tale comunicazione non ha avuto buon esito e tuttolascia pensare che la generosità del nostro concittadino non sia stata presa in con-siderazione.

Nove anni dopo, il nuovo Vescovo erige canonicamente, con sua bolla, la nuovaParrocchia di S. Francesco (l’antica chiesa dei cappuccini) e nomina il parroco,conferendogli “l’annesso beneficio con l’ufficio pastorale, gli oneri e i relativi diritti”.

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Ruffano, interno della chiesa del Carmine: Altare maggiore - Cantoria (foto G. Nuzzo)

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La comunicazione al sacerdote promosso parroco reca la data 1 aprile 1980.

Due anni dopo, l’8 giugno 1982, sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Ita-

liana viene pubblicato il decreto n. 613 del Presidente della Repubblica (Sandro

Pertini), così sintetizzato: “Riconoscimento, agli effetti civili, della erezione della Par-

rocchia di “S. Francesco d’Assisi” in Ruffano (Lecce)”.

Dopo l’istituzione della nuova parrocchia, è stato necessario procedere alla di-

visione del territorio per un’equa distribuzione delle anime tra le due chiese par-

rocchiali di Ruffano e quella della frazione, Torrepaduli.

Tale divisione è stata definita, per Ruffano, con una traiettoria tracciata in di-

rezione Est-Ovest, passando per il centro delle strade interessate, secondo la quale

tutte le famiglie residenti a Sud di tale linea si sarebbero affidate alla parrocchia

S. Francesco, mentre tutte quelle residenti a Nord di essa avrebbero continuato

l’appartenenza alla chiesa Madre.

Lo stesso criterio per la parrocchia di Torrepaduli: avrebbero fatto parte di essa

tutte le famiglie residenti ad Est della linea tracciata in direzione Nord-Sud.

Certamente, per molti cittadini è stato doloroso il distacco dalla chiesa Madre

per entrare nella nuova comunità parrocchiale; ma ben presto, salvo qualche con-

testazione o resistenza di carattere preferenziale, gli animi si sono quietati e tutto

è rientrato nella normalità, si presume, grazie anche alle rassicurazioni dei parroci.

Successivamente, il nuovo Vescovo, Mons. Domenico Caliandro, il 23 gennaio

1997, affrontando il problema delle Messe domenicali, ribadiva il principio per il

quale le Celebrazioni Eucaristiche del giorno festivo dovrebbero essere a favore

dell’intera Comunità, mentre quelle a favore di gruppi, in specie quelle per le

Confraternite, dovrebbero effettuarsi, per quanto possibile, nei giorni feriali.

Ovviamente, la fedeltà a tale principio sarebbe scaturita, in linea di massima,

da una corretta distribuzione della popolazione tra le chiese parrocchiali, per cui,

ad un’attenta valutazione consigliata dall’Autorità Diocesana, (non si sa se dietro

segnalazioni o lamentele ricevute o per spontanea riconsiderazione della divisione

territoriale), è balzata un’evidente discordanza, per il fatto che il parroco di Tor-

repaduli aveva l’onere di una confraternita, quello di Ruffano, della parrocchia S.

Francesco, nessun onere simile, mentre quello della chiesa Madre, aveva un impe-

gno più oneroso per la presenza di due confraternite ricadenti sotto la sua giuri-

sdizione: quella del Buon Consiglio e quella del Carmine, che, pur congiunta alla

chiesa omonima, dipendeva dalla chiesa della Natività.

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Oggi, per lo sviluppo scienti-fico e tecnologico, per i muta-menti sociali delle popolazioni,per il relativismo dominante, perun malinteso senso del laicismo,si è indebolito il sentimento reli-gioso; molte devozioni si sonoperdute e varie forme di assistenzapubblica hanno offuscato le fina-lità delle confraternite, alcunedelle quali sono state sciolte,mentre molte altre sopravvivonoper l’impegno dei priori e per lavolontà di pochi confratelli, forsecon poca devozione, forse anchecon riluttante partecipazione e alsolo scopo di avere la sicurezza

dell’ultima dimora. Così sarà per la nostra Confraternita del Carmine e, forse, comeè accaduto per altre di Ruffano, in un tempo non lontano, si concluderà anche lasua travagliata storia, salvo che non tragga nuovo vigore dal trasferimento in altrachiesa.

Per questa ragione, forse, S. Marco, sicuro di non dispiacere alla Madonna delCarmelo, anela tornare titolare della sua chiesa, che, a sua volta, forse, attende ilricongiungimento all’antica parrocchiale e il ritorno del suo evangelista.

Bibliografia:

- Aldo de Bernart - E. Inguscio, L’antico assetto urbanistico di Ruffano e la chiesa di S. Marco,Tipografia Inguscio, Ruffano 1996;

- A. de Bernart - M. Cazzato - A. Lupo - E. Inguscio, La cripta del Crocifisso di Ruffano, Congedo Editore, Galatina 1998.

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La chiesa del Carmine di Ruffano, oggi(Coll. Privata - 10 giugno 208 - In corso i lavoridi rifacimento della piazza IV Novembre)

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