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Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente

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(L. 22.04.1941/n. 633)

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Indice

1 Il materialismo storico ------------------------------------------------------------------------------------ 3

2 La teoria delle classi --------------------------------------------------------------------------------------- 9

3 Il “Capitale” ---------------------------------------------------------------------------------------------- 12

4 L’alienazione alla base del sistema capitalista ----------------------------------------------------- 15

Riferimenti bibliografici -------------------------------------------------------------------------------------- 17

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1 Il materialismo storico

Una delle figure che ha segnato maggiormente la storia della sociologia, per

l’influenza che ha avuto sulle vicende culturali e politiche successive, è stata quella del

filosofo tedesco Karl Marx (1818- 1883). Pur non considerandosi affatto un sociologo in

molte delle sue opere ha affrontato problemi economici, politici e sociali con un’intuizione e

una penetrazione sociologica tale da essere stato un termine di confronto inevitabile per

generazioni e generazioni di sociologi.

La filosofia di Marx sta all’origine della teoria sociologica del conflitto. La società

consiste, secondo Marx, in un equilibrio stabile di forze contrapposte, che, attraverso le loro

lotte e le loro tensioni, generano il mutamento sociale. Marx assume come punto di partenza

una concezione di tipo evolutivo; egli pose alla base del processo non lo sviluppo pacifico

ma la lotta e, all’origine di tutto, la tensione tra opposti, considerando il conflitto sociale, in

particolare, come l’elemento determinante del processo storico.

Tale modo di pensare, che non si accordava con la maggior parte delle dottrine dei

suoi predecessori del secolo precedente, era però in sintonia con gran parte del pensiero del

diciannovesimo secolo.

La formazione filosofica di Marx è segnata soprattutto da G.W.F. Hegel e da L.

Feuerbach.

Da Hegel, Marx derivò quella concezione olistica della società, in base alla quale

essa appare come un tutto strutturalmente interrelato, ed egli ritenne, conseguentemente, che

qualsiasi aspetto dell’insieme, sia esso il sistema giuridico, l’istruzione, la religione o l’arte,

non potesse essere compreso se considerato isolatamente. Aggiunse inoltre che le società

non sono soltanto insiemi strutturati, ma anche totalità in divenire. In ordine ad esse il modo

di produzione, che nel sistema hegeliano svolgeva soltanto un ruolo secondario, agisce,

secondo Marx, come variabile indipendente. Proprio in questa precisazione risiede il suo

contributo specifico.

Sebbene i fenomeni storici fossero il risultato di un’interazione di molteplici fattori,

tutti, tranne quello economico, erano, in ultima analisi, variabili dipendenti.

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Il sistema filosofico di Marx fonda le sue basi su un assunto di partenza: non è la

coscienza degli uomini a determinare la loro condizione sociale, ma è la loro condizione

sociale a determinarne la coscienza; ovvero, la condizione sociale influisce in modo

determinante sul tipo di giudizi che si formano nella mente, lo stesso contenuto della mente,

le idee, i desideri, le aspettative, sono condizionate in modo preminente dall'ambiente

sociale in cui l'uomo si trova a vivere. Il mondo empirico e contingente dei rapporti sociali

ma, soprattutto e come vedremo meglio in seguito, dei rapporti economici, vengono a

determinare e ad essere la prima e vera causa del modo in cui l’uomo pensa la realtà.

Questo punto di vista è già una critica importante al sistema filosofico di Hegel, per

il quale la coscienza determina ed è essa stessa la realtà; in effetti, la posizione di Marx

inverte i termini della questione e concede la preminenza alla realtà rispetto alla coscienza.

Anche la posizione di Feuerbach viene criticata: se è vero che riconducendo tutto all’uomo,

Feuerbach aveva posto il problema della natura umana di ogni entità eterna presente alla

coscienza (prima fra tutte quella di Dio), Marx avverte che in Feuerbach, come in tutti i

pensatori precedenti, l'errore vuole essere superato solamente nella coscienza, per cui basta

cambiare il modo di pensare per eliminare l'errore, mentre Marx mette in risalto che l’errore

può venire superato solo con un cambiamento sostanziale della stessa realtà in cui gli uomini

si trovano a vivere, così che, una volta cambiata la realtà, questa determini in modo nuovo

anche la coscienza.

Queste affermazioni traggono origine dalla volontà di Marx di attenersi

principalmente ai dati empiricamente osservabili in modo tale da fondare un sistema

filosofico che abbia in sé i caratteri scientifici propri della fisica. Il materialismo di Marx si

sviluppa quindi entro l'affermazione che è nella realtà empirica che scaturisce la verità della

coscienza, poiché la coscienza è determinata dai dati empirici.

Iniziando un’amicizia che durerà tutta la vita, nel 1844 incontrò Engels (1820-1895),

il quale gli sarà di conforto intellettuale, morale e materiale. La collaborazione dei due fu

politica e teorica. In via preliminare, Marx e Engels dovevano sgombrare definitivamente il

campo dagli equivoci dei giovani hegeliani, che si erano illusi di trasformare la società

tramite l'attività puramente teorica della critica: per questo motivo essi provvidero con «La

Sacra Famiglia».

La punta più avanzata del movimento filosofico (hegeliano) contemporaneo era

tuttavia rappresentata da Feuerbach: con lui bisognava fare i conti. Ciò avvenne nelle «Tesi

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su Feuerbach» (1845) di Marx, e soprattutto, nell' «Ideologia tedesca» (1845/46 pubblicata

postuma), opera di entrambi, anche se Engels ne attribuì il merito principale a Marx, nella

quale vengono poste le basi della “concezione materialistica della storia”( che spiega la

storia a partire dalle strutture concrete). Feuerbach aveva smascherato il mondo rovesciato

della religione, ravvisandone la radice antropologica, ma non aveva colto in modo adeguato

il carattere storico della natura umana e le condizioni storiche che rendono possibile il

costituirsi della religione stessa. Il problema per Marx ed Engels consiste nell'abolire, più

che la religione, le condizioni storiche che la rendono possibile. Marx non si è limitato a

descrivere la realtà sociale, ma ne ha denunciato i mali e le ingiustizie, dichiarando la

necessità di cambiarla attraverso una rivoluzione. Nella filosofia di Feuerbach é ancora forte

un’eredità di stampo illuministico, specialmente nella sua concezione della natura umana

come essenza priva di storia e nell'interpretazione materialistica di tale essenza. Il

materialismo di Feuerbach, concepisce l'uomo come entità naturale dotata di corporeità e

sensibilità e quindi fondamentalmente passiva, non come prassi attiva trasformatrice della

natura; di conseguenza egli considera la realtà sensibile come oggetto già costituito, non

prodotto dall'attività sensibile umana. Da questo punto di vista, Hegel risulta superiore a

Feuerbach, in quanto ha individuato il carattere autoproduttivo dell'attività umana, anche se

solamente in quanto spirito e non come attività sensibile.

In realtà, gli uomini si distinguono dagli animali non perché dotati di pensiero, bensì

quando iniziano a produrre i loro mezzi di sussistenza. Ciò che gli individui sono, dipende

dalle condizioni materiali della loro produzione: questo é il presupposto basilare della

concezione materialistica della storia. Secondo Marx, infatti la storia umana non è altro che

lo sviluppo di forme di produzione della vita materiale e corrispondenti modi di

organizzazione sociale. Marx non adopera più il concetto di “essenza umana”, ma parte

dagli uomini caratterizzati dai bisogni e dai mezzi per soddisfarli. Marx rifiuta una

concezione della storia come pura raccolta di fatti senza connessioni, ma anche quella della

storia speculativa, che attribuisce le vicende storiche all’azione di soggetti immaginari, come

l’autocoscienza hegeliana.

Per Marx, il modo con cui gli uomini stabiliscono rapporti tra loro nella incessante

lotta per strappare alla natura i mezzi di sussistenza era la forza motrice della storia. «La

prima azione storica è…la produzione della vita materiale stessa, e questa è precisamente

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un’azione storica, una condizione fondamentale di qualsiasi storia»1. Il soddisfacimento

delle esigenze fa nascere «nuovi bisogni: e questa produzione di nuovi bisogni è la prima

azione storica»2. Quando i mezzi per appagare i bisogni avvertiti in precedenza sono stati

reperiti, nascono nuove necessità. Il problema é di spiegare i fatti nella loro successione,

senza pretendere di dedurli da un principio filosofico astratto. Per Marx la base della società

é economica ed é data dal modo di produzione (che comprende l’intera struttura economica

della società ad es. feudalesimo, capitalismo) che la caratterizza. Dopo aver superato il

primitivo stadio comunitario di sviluppo, gli uomini, nello sforzo di soddisfare i bisogni

primari e quelli secondari, danno vita a rapporti di cooperazione di tipo antagonista. La

soddisfazione di un bisogno ne genera altri e, per rispondere a questi nuovi bisogni, gli

uomini costruiscono rapporti sociali sempre più complessi. I crescenti bisogni impongono la

divisione del lavoro (soprattutto tra lavoro manuale e lavoro intellettuale), la conseguente

divisione degli uomini in classi sociali e l’instaurazione della proprietà. Il grado di sviluppo

delle forze produttive é quindi indicato dal grado di sviluppo della divisione del lavoro:

questa ha assunto storicamente varie forme, dando luogo in particolare alla separazione tra

città e campagna, cioè tra agricoltura, da una parte, e commercio e industria, dall'altra, e

successivamente anche tra industria e commercio.

Il modo di produzione non coincide con la società nella sua totalità, ne é solamente la

base; infatti la “società civile” é costituita da tutto l'insieme delle relazioni materiali tra

individui entro un determinato grado di sviluppo delle forze produttive. Ai gradi di sviluppo

del lavoro corrispondono forze produttive diverse e diverse forme della proprietà. Marx ed

Engels distinguono 4 tipi di proprietà: 1) la proprietà tribale, in cui predominano la caccia, la

pesca e la pastorizia e dove, in un secondo tempo, interviene anche l'agricoltura: in essa la

divisione del lavoro é ancora scarsa; 2) la forma di proprietà caratteristica della comunità

antica, in cui ormai si é costituito lo Stato e in cui la principale forza produttiva di cui si

avvalgono i proprietari é costituita in gran parte da schiavi: in questa forma già compare la

divisione del lavoro tra città e campagna e, quindi, tra agricoltura, industria e commercio; 3)

la proprietà feudale, in cui predomina l'agricoltura: in essa la società é organizzata

gerarchicamente in ordini e corporazioni e incominciano a generarsi le prime forme di

1 K. Marx, F. Engels, L’ideologia tedesca. Critica della più recente filosofia tedesca nei suoi rappresentanti Feuerbach,

B. Bauer e Stimer, e del socialismo tedesco nei suoi vari profeti, Opere, Roma, Editori Riuniti, 1972, vol. V, p.27 2 Ibid., p. 28

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capitale; 4) la proprietà caratteristica del modo di produrre capitalistico, in cui predomina

l'industria. In questo quadro, la natura stessa non appare più come qualcosa di statico; infatti

anch’essa ha una storia, legata ai processi dell’ industria e ai rapporti umani: una natura

scissa dalle vicende delle società umane non esiste. La storia umana, a sua volta, non viene

più concepita come lo svolgimento dell'essenza umana in generale, ma come sviluppo di

forme di produzione della vita materiale e corrispondenti modi di organizzazione sociale.

Questo non significa che sia possibile dedurre dal modo di produzione la totalità delle forme

e delle relazioni sociali, ma solo che esso é la condizione necessaria per spiegare il carattere

delle istituzioni sociali e politiche e i loro condizionamenti reciproci. I modi di produzione

determinano il carattere dei rapporti sociali e politici e la stessa produzione delle idee: non la

coscienza determina la vita, ma la vita determina la coscienza e i suoi prodotti. Questo é il

nucleo della distinzione tra struttura e sovrastruttura. Con la prima si intende la base

economica di una determinata società, ossatura da cui dipende la sovrastruttura. L’insieme

dei rapporti di produzione, cioè i rapporti che gli uomini stabiliscono tra loro quando, per il

perseguimento dei loro fini produttivi, utilizzando le materie prime e le tecnologie (mezzi di

produzione più importante) esistenti, costituisce «la “base reale” che la definisce e la

distingue da un’altra, fondando e determinando tutti gli altri aspetti della vita sociale e su

questa si eleva una sovrastruttura, insieme delle istituzioni giuridico-politiche e delle teorie

morali, religiose, filosofiche ecc. che dipendono da una determinata struttura economica,

alla quale corrispondono forme determinate della coscienza sociale. Il modo di produzione

della vita materiale condiziona, in generale, il processo sociale, politico e spirituale della

vita. Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro

essere sociale che determina la loro coscienza»3.

In altri termini, è la struttura economica che determina le leggi di uno Stato, le forme

artistiche, le religioni, la filosofia e non viceversa.

Questo significa che per comprendere il processo storico bisogna partire dai modi in

cui gli uomini producono la loro vita materiale, più che da ciò che essi dicono o pensano di

essere.

Ecco il materialismo storico: le forze motrici della storia sono di natura materiale,

cioè socio-economica e non spirituale o astratta.

3 K. Marx, Per la critica dell’economia politica, Roma, Editori Riuniti, 1971, p.4

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Secondo Marx, la cui concezione storica è dunque relativistica, tutte le relazioni

sociali poste in essere dagli uomini così come tutti i sistemi di pensiero affondano in modo

specifico le loro radici nei diversi periodi storici. Per esempio, mentre gli economisti classici

avevano considerato la tripartizione tra proprietari fondiari, capitalisti e salariati come un

dato eterno dell’ordine naturale delle cose, Marx riteneva tali categorie come espressione

specifica di determinati periodi storici, come prodotto di uno stato di cose storicamente

transitorio.

La specificità storica è la connotazione essenziale del pensiero di Marx: quando, ad

esempio, sosteneva che tutti i periodi storici del passato erano stati caratterizzati dalla lotta

tra le classi, subito dopo aggiungeva che a seconda dei periodi storici tali lotte avevano

assunto caratteri diversi. Mentre i suoi predecessori avevano inteso considerare la storia

come una monotona successione di lotte tra i ricchi e i poveri, tra i detentori e i non detentori

del potere, Marx, differenziandosi nettamente da essi, sosteneva che certamente le lotte di

classe avevano contrassegnato l’intero corso della storia, ma di volta in volta le parti in lotta

erano diverse.

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2 La teoria delle classi

La teoria delle classi di Marx si fonda sulla premessa che «La storia di ogni società

sinora esistita è storia di lotte di classi»4. Secondo tale concezione, sin da quando la società

umana è uscita dal suo stadio primitivo e relativamente indifferenziato, essa ha continuato a

reggersi sulla base di una fondamentale divisione in classi in lotta tra loro per il

perseguimento dei rispettivi interessi.

Il destino dell’uomo nella storia è quello di vivere una contraddizione che nasce nella

struttura economica. I rapporti di produzione in cui si è trovato l’uomo durante l’intero

sviluppo della sua storia si manifestano palesemente nei rapporti di proprietà, ovvero nel

modo in cui si possiedono i mezzi che servono a produrre le cose necessarie alla sua

sussistenza. Nella struttura economica vengono a crearsi due classi di uomini: una che

detiene i mezzi di produzione e una che rappresenta la forza lavoro, la classe che produce i

beni utilizzando mezzi di produzione che non sono di loro proprietà.

Durante il corso della storia, nel periodo schiavistico dell’antichità, le classi

egemoni, i cittadini e i patrizi rappresentavano la classe dominante, la classe che deteneva i

mezzi di produzione, mentre gli schiavi, e in diversa misura i plebei, erano la forza lavoro.

Nel periodo medioevale, allo stesso modo, i signori della nobiltà feudale detenevano la

proprietà di quei mezzi che i servi della gleba utilizzavano per produrre i beni di cui non

erano naturali possessori. Anche nel periodo contemporaneo a Marx, il periodo dello

sviluppo industriale, si assiste alla divisioni in classi: da un lato la borghesia, la classe di

moderni capitalisti, che detengono il capitale e le industrie, ovvero i mezzi di produzione e

assuntori di salariati, e dall’altro i proletari, la classe di moderni salariati, che, non avendo

mezzi di produzione propri, sono ridotti a vendere la loro forza-lavoro per vivere.

Non si deve credere che Marx e Engels trattino la classe borghese in modo

esclusivamente negativo. Alla borghesia vengono riconosciuti meriti di grande portata

storico-politica: è essa che ha abbattuto le rigide barriere del feudalesimo e ha permesso uno

sviluppo economico universale e razionalizzato, ma il suo destino è quello di generare una

classe avversa (il proletariato) destinata a soverchiarla. Il progresso della grande industria

4 K. Marx, F. Engels, Manifesto del partito comunista, Opere, 1973, vol. VI, pp. 495-496

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crea unioni di operai organizzati e coscienti della propria forza e missione. La borghesia

produce, dunque, i suoi seppellitori. Ma non è col rompere le macchine, ammoniscono Marx

e Engels, che il proletariato rovescerà il dominio borghese. Per rimuovere questa ingiustizia,

vera e propria contraddizione interna al sistema economico di ogni epoca, non è possibile

intervenire per via puramente mentale, ma occorre intervenire nella struttura stessa del

sistema economico in modo da rimuovere concretamente e materialmente le cause di tale

contraddizione. Tale rimozione avviene nella storia nei periodi di rivoluzione, ovvero in

quelle epoche in cui gli uomini delle classi sfruttate sono in grado di comprendere la loro

situazione e di cambiare i rapporti di forza all’interno della struttura economica.

Soltanto la lotta politica potrà avere ragione dell’oppressione capitalistica. E dovrà

inevitabilmente trattarsi di una lotta violenta, gestita da un proletariato autenticamente

rivoluzionario e organizzato; il proletariato è destinato a realizzare una rivoluzione, tale da

portare alla soppressione di tutti gli antagonismi di classe e ad una società senza classi.

Nel sistema capitalista i borghesi che detengono la proprietà dei mezzi di produzione

rappresentano la classe che intende impedire lo sviluppo della storia conservando la struttura

socio-economica esistente. Il mutamento, nel sistema capitalista, è rappresentato dai

proletari, la forza lavoro nelle fabbriche, che, essendo, in posizione di svantaggio, premono

per un cambiamento dello stato di cose esistente.

Sono i proletari che nel sistema di produzione moderno garantiscono la dialettica del

processo storico e tendono a distruggere il sistema di produzione borghese. Per Marx il

successivo sviluppo della società borghese porta a una forma socio-economica nuova e

definitiva, in cui la rivolta della classe dominata porterà alla definitiva eliminazione delle

classi e della stessa lotta di classe, annullando di fatto anche la proprietà privata (la proprietà

privata dei mezzi di produzione è infatti connaturata alla classe dominante).

Pertanto, la soluzione al capitalismo, la nuova tappa dello sviluppo storico promossa

dalle classi subordinate, è il comunismo. Esso si configura estremità opposta al sistema di

produzione capitalista: nella società capitalista non esisteranno più classi e lotta di classe,

separazione tra oggetto prodotto e produttore (alienazione), i mezzi di produzione saranno di

proprietà comune. Da questo ne deriva che anche la sovrastruttura ideologica della società,

da sempre espressione del sistema economico guidato dalle classi dominanti, verrà

definitivamente smantellata, per cui non saranno più necessari ne lo Stato ne la religione, ne

qualsiasi altra espressione del dominio di una classe sull’altra. «Il comunismo è cioè la

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sintesi suprema in cui viene rimossa ogni contraddizione sociale e, insieme, è la liberazione

concreta dell’individuo umano»5.

Marx parte, quindi, da un comunismo primitivo, “straccione”, perché le “forze

produttive”, con cui egli intende le condizioni tecnico-materiali della produzione (es.

macchine, materie prime), erano molto modeste, un momento storico in cui non c’erano la

proprietà privata, non c’erano classi, conflitti, disuguaglianze, ma la natura non era dominata

dall’uomo. Ad un certo punto si verifica un evento che cambia la storia: nasce la proprietà

privata.

Per Marx la proprietà privata è una colpevole caduta delle altezze morali della

civiltà primitiva alle barbarie borghesi.

La tragedia della storia si concluderà con il comunismo finale, a cui si giungerà

attraverso la rivoluzione proletaria, dopo una breve fase di dittatura del proletariato, che

userà il suo dominio per accentrare tutti gli strumenti di produzione nelle mani dello stato,

cioè del proletariato organizzato come classe dominante. Le prime misure da prendere nella

fase della conquista del potere saranno: 1) espropriazione della proprietà fondiaria; 2)

abolizione del diritto di eredità; 3) accentramento del credito finanziario in mano dello Stato;

4) accentramento di tutti i mezzi di trasporto in mano dello Stato; 5) sviluppo delle fabbriche

e degli strumenti di produzione; 6) uguale obbligo di lavoro per tutti; 7) istruzione pubblica

e gratuita di tutti i fanciulli.

Quanto alla conduzione della cosa pubblica, essa verrà realizzata non più dallo stato

(che viene soppresso), ma dalla partecipazione diretta dei membri della comunità secondo la

forma della democrazia diretta e dell’autogoverno popolare. Quella che Marx sogna è una

società di uomini liberi e eguali, in cui la libertà di tutti coincide con la libertà di ognuno e

che realizzi il benessere collettivo.

5 E. Severino, La filosofia contemporanea, Rizzoli, Milano, 1986

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3 Il “Capitale”

L’indignazione per la situazione sociale esistente, la fede nella realizzazione di un

mondo migliore furono gli stimoli, senza dei quali non vi sarebbe stato alcun Capitale (I

edizione 1867), che spinsero Marx ad un esame sempre più minuzioso e particolareggiato

del funzionamento del sistema capitalista. È l’opera in cui Marx ha dato l’esposizione più

ampia e organica delle sue analisi dei rapporti di produzione, del loro sviluppo storico e

delle loro conseguenze politiche e sociali.

Marx riconosce il debito verso gli economisti classici (Smith e Ricardo), che hanno

colto con acutezza alcuni caratteri costitutivi dell’economia capitalistica e hanno elaborato

alcune categorie (come quella del valore) e leggi con significato scientifico. Il loro grave

limite sta, invece, in una carenza di prospettiva storica. L’intento di Marx è quello di

trasformare la scienza dell’economia politica, storicizzandola.

Il concetto da cui parte il discorso de Il Capitale è quello di merce (ossia beni

prodotti dal sistema economico), forma elementare della ricchezza nella società capitalistica,

che viene definita oggetto utile che soddisfa bisogni umani di qualunque specie. In tale

senso essa è utile e ha quindi un “valore d’uso”: un bene ha un valore indicato dall’uso che

se ne può fare (utilità che un dato bene ha per chi lo possiede). Ma ogni merce è depositaria

anche di un “valore di scambio” (quantità di bene o di moneta che si da in cambio di un altro

bene o servizio), che permette il suo scambio con certe quantità di altre merci. Dunque, una

determinata merce ha insieme un valore d’uso, in relazione alla sua qualità, e un valore di

scambio, in relazione alla sua quantità; il primo, valutato in funzione del consumo, il

secondo in funzione dello scambio.

Tale valore di scambio è dato dalla quantità di lavoro socialmente impiegato

per produrle, lavoro inteso indipendentemente dalla sua qualità specifica, lavoro come

dispendio di energia, lavoro astratto6. La grandezza di valore di una merce è allora

6 Secondo altre interpretazioni del concetto di merce in Marx il lavoro astratto non sta ad indicare lavoro inteso

indipendentemente dalla sua qualità specifica, ma il fatto che ogni merce contiene oltre al lavoro concreto, lavoro

impiegato di fatto per produrre una merce, anche il lavoro astratto, quello cioè che la società riconosce socialmente

utile, utile ai suoi fini. Proprio quest’ultimo elemento spiega perché due prodotti che a parità d'abilità hanno la stessa

quantità di lavoro concreto, poi non abbiano lo stesso prezzo, non vengano cioè scambiati alla pari. Per il prodotto a

prezzo minore la società gli riconosce minore utilità sociale, cioè in quella merce il lavoro astratto era inferiore alla

quantità di lavoro concreto necessario a produrla. La produzione capitalistica ha proprio questo di caratteristico che essa

orienta la produzione in vista dei prodotti che la società.

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determinata dalla quantità di lavoro astratto racchiuso in essa e la quantità di lavoro è data

dal tempo di lavoro impiegato per produrla, tempo di lavoro necessario in media,

socialmente necessario.

Per la maggiore comodità degli scambi, allo scambio diretto si è sostituita la moneta

(gli scambi avvengono attraverso il denaro, la merce-denaro, la merce equivalente di ogni

altra). Ma sia che lo scambio sia diretto, sia attraverso la moneta, una merce non si può

scambiare con un’altra, se il lavoro che ci vuole per produrre la prima non è uguale al lavoro

necessario per la seconda. Le merci sono perciò “soltanto misure determinate di tempo di

lavoro coagulato”. I beni rappresentano lavoro umano cristallizzato. Il lavoro è il minimo

comune denominatore dei beni, e quindi ciò che consente di realizzare gli scambi secondo

certe regole.

Ma anche il lavoro (forza-lavoro) è una merce che il proprietario (il proletario)

vende, in cambio del salario, al proprietario del capitale (il capitalista). Il capitalista acquista

materie prime, macchinari, combustibile ecc., denaro investito nella forma di capitale

costante C, e forza-lavoro, che è una merce come un’altra, nella forma del salario,

calcolando il valore necessario a produrla; tale quantità di lavoro è traducibile nel valore dei

mezzi di sussistenza (alimentari, vestiario, spese varie sostenute dall’operaio mediamente,

per es. in un giorno) necessari a far lavorare e a tenere in vita il lavoratore con la sua

famiglia, come capitale variabile V.

La forza-lavoro di un operaio sarà dunque impiegata giornalmente per otto ore ma

pagata secondo il suo valore di scambio che corrisponde, per esempio, a sei ore di lavoro:

può bastare il salario percepito per sei ore di lavoro perché l'operaio acquisti quei mezzi di

sussistenza che gli consentono di riprodurre giornalmente la sua forza-lavoro, la sua capacità

lavorativa. Ma la forza-lavoro è una merce speciale perché produce a sua volta merci, altri

valori, che non vengono compensati a chi li produce. Sono essi a produrre quel «plusvalore»

che consente al capitalista di arricchirsi in modo ingiusto in rapporto al proletario.

Le altre due ore lavorate dall'operaio, e per le quali egli di fatto non percepisce

salario, costituiscono il pluslavoro che si traduce in plusvalore di cui il proprietario della

forza-lavoro, il capitalista, si appropria legittimamente, in quanto egli ha acquistato, con

regolare contratto, la merce forza-lavoro per il suo valore d'uso, consistente nel produrre

lavoro per otto ore. E la merce prodotta in otto ore dall'operaio contiene il valore della

materia prima e il valore corrispondente al consumo in otto ore dei mezzi di produzione, C,

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il valore di sei ore di lavoro retribuito V e il plusvalore corrispondente a due ore non

retribuite, PV.

Se nella circolazione avverrà lo scambio delle merci prodotte in quel giorno

col denaro, il capitalista avrà recuperato il Capitale investito C + V e avrà realizzato il

plusvalore PV. Lo sviluppo del capitale si otterrà reinvestendo il plusvalore. Il capitale, non

avendo senso se non come fonte di profitto, tende ad una continua accumulazione a

concentrarsi nella struttura del monopolio, determinando un crescente impoverimento del

proletariato a fronte di un aumento incessante delle quantità di merci prodotte; egli vede

ridurre sempre di più il suo mercato e il suo salario, è costretto quindi a lavorare per

aumentare sempre di più un plusvalore di cui non sarà mai il beneficiario.

È su questa contraddizione che si fonda la crisi del capitalismo: chi detiene i

mezzi di produzione esaspera sempre di la ricerca del plusvalore così da minimizzare i salari

e massimizzare il profitto.

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4 L’alienazione alla base del sistema capitalista

La storia dell’umanità presentava, secondo Marx, un duplice aspetto: era ad un

tempo la storia dell’uomo che realizza un controllo crescente sulla natura e la storia della sua

progressiva alienazione. L’alienazione si può definire come una condizione nella quale gli

uomini sono dominati da forze che essi stessi hanno create e che si contrappongono loro

come forze alienate.

Marx riteneva che tutte le principali istituzioni della società capitalistica, come la

religione, lo stato, l’economia politica avessero alla base una condizione di alienazione, i cui

molteplici aspetti erano inoltre tra loro interdipendenti. Tuttavia l’alienazione sul luogo del

lavoro ha, per Marx, un’importanza fondamentale, giacchè egli considerava l’uomo

soprattutto come homo faber, l’uomo in quanto produttore.

Nel mondo del lavoro l’alienazione si sostanzia in quattro aspetti. L’uomo si aliena:

a) dagli oggetti che produce , b) dal processo di produzione, c) da se stesso, d) dalla

comunità dei propri simili.

Gli uomini producono beni per soddisfare i propri bisogni. Tali beni hanno quindi un

valore d’uso, ovvero hanno un significato in rapporto all’uso che se ne fa. Nel sistema

capitalista il valore d’uso viene trasformato in valore di scambio, per cui il bene non è più

prodotto solamente per soddisfare bisogni, ma viene prodotto per essere scambiato.

In questo meccanismo si avverte una separazione tra l’oggetto prodotto e l’uso per

cui è stato costruito. Chi lo produce non è più nemmeno proprietario dell’oggetto stesso, in

quanto il lavoratore vende la propria capacità lavorativa al datore di lavoro (il lavoratore

vende le sue capacità al capitalista, il quale risulta il vero proprietario dell’oggetto prodotto

dai suoi dipendenti).

Non solo il produttore reale di un oggetto non è più il suo proprietario, ma non è

nemmeno proprietario dei mezzi che servono a produrre l’oggetto.

Questa separazione tra l’oggetto prodotto e la sua proprietà è l’alienazione, per cui

l’oggetto acquista vita propria e autonoma rispetto al produttore: il prodotto non ha più la

sua funzione originaria di soddisfare direttamente e in modo immediato il bisogno che lo

produce. Il lavoratore, poi, non è nemmeno in grado di ricevere l’esatto e diretto compenso

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derivante dalla sua produzione ma riceve invece in cambio un salario definito dal

proprietario del suo lavoro.

L’alienazione è quindi la separazione tra proprietario e bene prodotto che genera

disinteresse per la cosa prodotta e iniquità, poiché sarebbe equo che il produttore di un bene

ne ricevesse in cambio il pieno valore di scambio invece di ricevere una parte minore di quel

valore sottoforma di salario.

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Riferimenti bibliografici

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Dognin P., Introduzione a Karl Marx, Città Nuova, Roma, 11977

Lefebvre H., La sociologia in Marx, Milano, Il Saggiatore, 1978.

Marx K., Engels F., L’ideologia tedesca. Critica della più recente filosofia tedesca nei suoi

rappresentanti Feuerbach, B. Bauer e Stimer, e del socialismo tedesco nei suoi vari profeti, Opere,

Roma, Editori Riuniti, 1972

Marx K, Engels F., Manifesto del partito comunista, Opere, 1973

Marx K., Per la critica dell’economia politica, Roma, Editori Riuniti, 1971

Merker N., (a cura di), La concezione materialistica della storia, Editori Riuniti, Roma, 1986

Rosdolsky R., Genesi e struttura del “Capitale” di Marx, Laterza, Bari, 1971

Severino E., La filosofia contemporanea, Rizzoli, Milano, 1986