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]osEPH RATZINGER QPERA OMNIA I Edizione Tedesca A cura di S.E.R. Mons. GERHARD LUDWIG MULLER in collaborazione con l'Istituto « Papa Benedetto XVI», Ratisbona: Rudolf Voderholzer, Christian Schaller, Gabriel Weiten Edizione Italiana A cura di: EDMONDO CARUANA - PIERLUCA AzzARo Traduzione A cura di: INGRID STAMPA Volume XI TEOLOGIA DELLA LITURGIA IOSEPH RATZINGER ' LITURGIA del1'esìstenza cristiana /', \\v \ \. ,I - 1/ I \ ,.,› -1 Q . .:, . ë3`i'.Jn›}ff~1 LIBRERIA EDITRICE VATICANA §40š ~ ›-«-*I TEOLOGIA DELLA La fondazione sacramentale _,=_«_ .;__ `\ . El; 500* fw I 1 A t, V,,.- 3 :H . .I le ` 1 \ I

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]osEPH RATZINGER

QPERA OMNIA IEdizione Tedesca

A cura di S.E.R. Mons. GERHARD LUDWIG MULLER

in collaborazione conl'Istituto « Papa Benedetto XVI», Ratisbona:

Rudolf Voderholzer, Christian Schaller, Gabriel Weiten

Edizione Italiana

A cura di:EDMONDO CARUANA - PIERLUCA AzzARo

TraduzioneA cura di:

INGRID STAMPA

Volume XI

TEOLOGIA DELLA LITURGIA

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I11 collaborazione con InCASA EDITRICE HERDER, FREIBURG - BASEL - WIEN

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PREFAZIONE AL VOLUME INIZIALEDEI MIEI SCRITTI

:[1 Concilio Vaticano II iniziò i suoi lavori con la discussionedello «Schema sulla sacra liturgia ››, che fu poi solenne-

mente varato il 4 dicembre 1963 come primo frutto della gran-de assise ecclesiale con il livello di Costituzione apostolica. Ilfatto che il tema della liturgia si sia trovato proprio all'iniziodei lavori conciliari e che la Costituzione che ne tratta sia di-venuto il suo primo risultato fu - se visto dall'esterno - piut-tosto un caso. Papa Giovanni aveva convocato l'Assembleadei Vescovi nel desiderio, da tutti condiviso con gioia, di riba-dire la presenza del Cristianesimo in un'epoca di profondicambiamenti, ma senza proporle un programma determinato.Dalle commissioni preparatorie era stata messa insiemeun'ampia serie di progetti. Mancava però una bussola per po-ter trovare la strada in questa abbondanza di proposte. Fratutti i progetti, il testo sulla sacra liturgia sembrò quello menocontroverso. Così esso apparve il più adatto a servire quasicome una specie di esercizio con il quale i Padri potessero ap-prendere i metodi del lavoro conciliare. Ciò che, visto appun-to dall'esterno, potrebbe sembrare un caso, si rivela, guardan-do alla gerarchia dei temi e dei compiti della Chiesa, come lacosa anche intrinsecamente più giusta. Cominciando con l'ar-gomento della liturgia, si poneva inequivocabilmente in luceil primato di Dio, la priorità assoluta del tema << Dio ››, Primadi tutto Dio: questo ci dice l'iniziare con la liturgia. Là dove lo

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V. FORMA E CONTENUTO DELLACELEBRAZIONE EUCARISTICA

1. POs1zIONE DEL PROBLEMA: LA CATEGORIA DELLA « FORMA»

chi vuole comprendere i problemi odierni della riformaliturgica, deve richiamare alla memoria una controver-

sia degli anni fra le due guerre, nel frattempo già quasi di-menticata; in essa era racchiuso il punto centrale delle que-stioni attuali. Nel suo libro sulla Messa, nel quale le profondeesperienze ed attese dei due decenni precedenti avevano tro-vato un'espressione classica, Romano Guardini aveva con-centrato completamente l'attenzione sulla questione circa la«forma» essenziale della santa Messa.1 Questo orientamentocorrispondeva alla nuova coscienza liturgica che nel frattem-po si era sviluppata. Quel che premeva ai giovani di queglianni non erano i classici problemi dogmatíci della dottrinaeucaristica, ma la celebrazione liturgica come forma viva. La«forma ›> venne scoperta come una realtà teologica e spiritua-le con una propria importanza. Ciò che precedentemente erastato il campo dei rubricisti e, come semplice forma cerimo-niale, era rimasto al di fuori della considerazione dogmatica,appariva ora come parte della stessa res, come sua manifesta-zione, in cui soltanto essa può rendersi veramente visibile. Io-seph Pascher ne dava qualche anno più tardi questa formula-zione: finora, per quanto riguarda la forma, si era prestata at-tenzione solo alle << rubriche ›>, a ciò che è stampato in rosso;era tempo, ormai, proprio a tale proposito, di guardare nonsolo alle rubriche, ma anche a ciò che è stampato in nero:<<L'attenzione rivolta allo stampato in rosso non deve far di-

* ROMANO GUARDIN1, Besiimung vor der Feíer der heílígen Messe, 2 voll.,Mainz 1939.

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V. FORMA E CONTENUTO DELLA CELEBRAZIONE EUCARISTICA

menticare lo stampato in nero [...]››. << Nella forma dei testi edell'intera celebrazione c'è un'esigenza ben maggiore chenelle rubriche ››.2

La forma in cui la Messa si presentava non appariva piùora come un accumulo più o meno casuale di cerimonie, dacostruire secondo criteri puramente giuridici, su un centrodogmatico che in definitiva non ne veniva toccato, ma comel'intima espressione della realtà spirituale che qui accadeva.Occorre, quindi, riconoscere dietro la casualità dei singoli ritila generale struttura portante che, come tale, è al contempo lachiave per raggiungere l'essenza dell'evento eucaristico. Que-sta struttura generale poteva poi diventare anche la leva dellariforma: sulla base di essa bisognava chiedersi quali preghieree gesti fossero da considerare come accessori secondari, cheprecludevano piuttosto che aprire l'accesso alla forma, che co-sa quindi fosse da togliere e che cosa da rafforzare. Con il con-cetto di «forma ›› era così entrata nel dialogo teologico una ca-tegoria fino ad allora sconosciuta, la cui dinamica riformatriceera inconfondibile. Anzi, si può dire che con la scoperta diquesta categoria era nata la scienza liturgica nel senso moder-no della parola. Solo con ciò si era manifestato il livello speci-fico dell'elemento liturgico rispetto a quello dogmatico e ca-nonistico; e da ciò derivò che qui si trattava di teologia e diuna riforma teologicamente motivata, senza che la dogmaticavenisse immediatamente messa in gioco. La forza dirompentedel processo, però, si rende del tutto chiara solo se ci chiedia-mo ora in che modo la struttura fondamentale ricercata siastata circoscritta dal punto di vista contenutistico. Per trovarlasi presentava una via molto semplice: la Celebrazione eucari-stica esemplare, l'istituzione dell'Eucaristia da parte di Gesùstesso, ci è stata descritta in modo relativamente dettagliato

2 IOSEPH PASCI-IER, Elzclmristia. Gestalt und Vollzug, Münster/Krailling1947, 8 (trad. it. ID. L'Eucnristin e In comunità dei fedeli, Milano 1959).

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C. LA CELEBRAZIONE DELL'EUCAR1srIA

nel Nuovo Testamento; essa avvenne il Giovedì Santo nel con-testo dell'Ultima Cena. Ne sembrava derivare, con una univo-cità pienamente inconfutabile, che la forma fondamentale del-l'Eucaristia è il convito. Indubbiamente, Gesù stesso l'ha cele-brata così; davanti a questo dato, come sembra, deve tacereogni critica. «La forma portante è quella del convito ››, affermòIoseph Pascher? Guardini ed altri l'avevano preceduto con af-fermazioni simili. Da battaglieri sostenitori della riforma leparole «Fate questo ›› vennero ora riferite espressamente allaforma del convito. Un accento sarcastico c'era nell'osservazio-ne ripetuta con piacere secondo cui Gesù, in fondo, avrebbedetto: «Fate questo ››, e non: « Fate ciò che volete ››.

Formulazioni del genere dovevano suscitare un'attenzio-ne guardinga nell'ambito della teologia dogmatica. Non eraquesta forse la posizione di Lutero condannata dal Tridenti-no? Non veniva qui negato il carattere sacrificale della Messaa favore della teoria del convito? A rimproveri di questo gene-re, da parte dei liturgisti si rispose che in questo modo si mi-sconosceva il livello della problematica. La caratterizzazionedella Messa come sacrificio sarebbe un'affermazione dogmati-ca riguardante la nascosta essenza teologica dell'evento; l'affer-mazione della forma di convito, invece, mirerebbe alla formavisibile dello svolgimento liturgico e non negherebbe affatto ilcontenuto teologico descritto dal Tridentino. Ciò che si pre-senta liturgicamente nella forma del convito potrebbe, dalpunto di vista dogmatico, molto bene portare in sé il contenu-to del sacrificio. Certo, un semplice accostamento come questonon poteva alla lunga risultare una risposta soddisfacente.Proprio se la forma non è una struttura cerimoniale semplice-mente casuale, ma una manifestazione sostanziale dello stessocontenuto, immutabile nel suo nucleo, la loro separazionesenza alcun riferimento non può chiarire nulla. La mancanza

3 Ibm., 27.

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V. FORMA E CONTENUTO DELLA CELEBRAZIONE EUCARISTICA

di chiarezza nel rapporto tra livello dogmatico e livello litur-gico, che è rimasta poi anche durante il Concilio, deve forseessere qualificata come il problema centrale della riforma li-turgica; in base a questa ipoteca si spiega gran parte dei singo-li probleini con i quali, da allora, abbiamo a che fare.

Il nostro compito deve pertanto essere quello di mirare, inquesta riflessione, ad un chiarimento di tale rapporto. Occorreperò svolgerlo non mediante un ragionamento puramente for-male, bensì attraverso un'analisi critica della tesi contenutisti-ca di fondo circa il carattere di convito dell'Eucaristia. Questatesi che riguarda il contenuto, infatti, è caratterizzata dal fattodi compiere una separazione priva di passaggi tra contenutodogmatico e forma liturgica, ammesso che riconosca la tesidogmatica che afferma il carattere sacrificale della Messa. Seperò non esiste e non può esistere la separazione tra questidue ambiti, allora anche questa tesi deve apparire problemati-ca. Ciò è stato riconosciuto molto presto; cerchiamo ora di se-guire le diverse tappe della mediazione, che nel corso della di-sputa sono state elaborate, e di chiarire in tal modo il proble-ma oggettivo.

Un primo tentativo di mediazione si trova in Ioseph Pa-scher, che parla di una forma conviviale in cui è inscritto ilsimbolismo sacrificale. La separazione dei doni del pane e delvino, che simbolicamente alluderebbe al mortale spargimentodel sangue di Gesù, inserirebbe il segno del sacrificio nellafondamentale forma conviviale. Di più ampia portata, anchese sostenuta sommessamente, fu la limitazione de1l'idea, che illiturgista Iosef Andreas Iungmann propose proprio sulla basedelle stesse fonti liturgiche. Iungmann mostra che già nelleprimissime forme liturgiche l'Eucharistia - la preghiera delmemoriale formulata come ringraziamento - prese il soprav-vento sul convito come tale. Secondo lui, la forma fondamen-tale è Comunque fin dalla fine del primo secolo non il convito,ma l'Eucharistia; già in Ignazio d'Antiochia questa è diventata

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anche la denominazione per l'intera celebrazionef* In uno stu-dio successivo Iungmann, a completamento, ha mostrato chelinguisticamente fu una novità rispetto a tutta la tradizione ilnome di << Santa Cena ›› che Lutero diede alla celebrazione: do-po quanto è detto in 1 Cor 11,20, fino al XVI secolo non si trovapiù la denominazione di convito per l'Eucaristia, eccetto chenella diretta citazione di 1 Cor 11,20 e per indicare il pasto conlo scopo di sfamarsi (che è da distinguere dall'Eucaristia).5 Latesi dell'Eucharistia come contenuto fondamentale è senz'altroaperta ad una mediazione interna tra il livello dogmatico equello liturgico. La tarda antichità aveva, infatti, sviluppatol'idea del sacrificio a modo di parola, che è entrata anche nelCanone Romano con la formula della oblatio ratioaabilis: il sa-crificio alla Divinità non si compirebbe mediante l'offerta dicose, ma mediante l'auto-offerta dello spirito, che trova formanella parola. Questo pensiero aveva potuto essere facilmenteadattato al cristianesimo. La preghiera eucaristica è un entrarenella preghiera di Gesù Cristo stesso; è così un entrare dellaChiesa nel Logos, la Parola del Padre, nell'auto-offerta del Lo-gos al Padre, che sulla croce è divenuta al tempo stesso offertadell'intera umanità a Luifi L'elemento formale di Eucharistía

4 Cf. ]osEF ANDREAS IUNGMANN, Missarum sollemnia, 2 voll., Wien 1948[ristampa Bonn 2004; edizione italiana: Ancora 2004] a questo proposito cf.I, 327ss.

5 ID., «Abendmahl ›› als Name der Eucharistie, in: ZI(Th 93 (1971), 91-94,qui 93: « Si ha dunque la conferma che la denominazione <Abendmahl› nelsedicesimo secolo era un'assoluta novità ››.

6 Cf. in proposito ODO CASEL, Die Aoyucñ frusta der antiken Mystík inchristlích-liturgischer Llmdeutung, in: ]LW 4 (1924), 37-47; JOSEPH PASCHER, Eu-charistia. . ., (come in nota 2), 94-98. Approfondita in base a nuovi punti di vi-sta, questa visione appare in LOUIS BOUYER, Eaclzaristíe. Théologie et spiritua-lité de la prière eucharístique, Tournai 1966. Bouyer mostra le radici giudaichedi una concezione del sacrificio come parola, e può elaborare così un ipotesiconvincente dell'intima unità tra Gesù e la Chiesa proprio sotto il concettodi « Eucharistia ››. Cf. su questo anche HANS URs VON BALIHASAR, Die Messe,ein Opfer der Kirche?, in: ID., Spiritus Creator, Einsiedeln 1967, 166-217.

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V. FORIVLA E CONTENUTO DELLA CELEBRAZIONE EUCARISTICA

metteva così a disposizione, da una parte, il ponte verso le pa-role di benedizione pronunciate da Gesù nell'Ultima Cena,nelle quali Egli aveva anticipato interiormente la morte sullacroce;7 d'altra parte, offriva il ponte verso la teologia del Logos,e così verso un approfondimento trinitario della teologiadell'Ultima Cena e della Croce; ed infine offriva il passaggioad una categoria spiritualizzata del sacrificio, che era partico-larmente adatta ad interpretare la peculiarità del sacrificio diGesù, in cui un evento di morte era stato trasformato in unaparola di accettazione e di offerta, in cui, anzi, l'illogicità dellamorte era diventata una cosa riguardante il Logos: il Logos eramorto, e in tal modo la morte era diventata vita.

Ormai dovrebbe essersi chiarito che, se la forma fonda-mentale della Messa non si chiama << convito ››, ma Eucharístia,rimane, sì, la necessaria e feconda differenza tra livello liturgi-co (riferito all'aspetto formale) e livello dogmatico, ma i duecampi non divergono, l'uno anzi converge verso l'altro ed am-bedue si determinano a vicenda. Del resto, l'elemento del con-vito non è così semplicemente escluso, perché Eucharistia è an-che (ma non solo) preghiera conviviale della Santa Cena; inquesto modo, tuttavia, il simbolismo del convito è subordina-to ed inserito in qualcosa di più ampio. Contro questa sintesi,però, Viene anzitutto sollevata ancora una volta una graveobiezione. A questo punto si poteva dire: la liturgia dellaChiesa, da quando si è concretizzata, è caratterizzata ancheper quel che riguarda la forma non primariamente dal convi-to, ma dalla prevalenza dell'elemento verbale Eucharistia - co-sì, del resto, già in 1 Cor 11; ma questo dato cambia forse qual-

7 Cf. su questo particolarmente HEINZ SCHURMANN, [esa ureigeaer Tod.Exegetische Besimmngen and Ausblíck, Freiburg 1975; inoltre, KARL KERTELGE(a cura di), Der Tod Iesa. Deatzmgen im Neuen Testament (= QD 74), Freiburg1976; ivi in modo particolare il contributo di RUDOLF PESCI-I, Das Abendmahland [esa Todesverstimdiiís, 137-187.

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cosa al fatto che l'Ultima Cena di Gesù fu proprio una cena?Non si deve forse allora individuare lo hiatus del distacco dal-la forma originaria già nella prima generazione cristiana? Puòesserci un punto di riferimento diverso da Gesù stesso, perquanto possano essere antiche usanze contrarie nella Chiesa?Come si vede, questa domanda introduce nel problema fon-damentale dell'attuale teologia in genere, posta sotto il segnodel dissenso tra storia e dogma: introduce, cioè, nella questio-ne del passaggio da Gesù alla Chiesa. In questo senso, la no-stra questione è identica a tale problematica fondamentale delcattolicesimo e permette di esemplificarla in un punto preciso.Il fatto che i tentativi esegetici più recenti tendano in gran par-te a scindere sempre di più la Cena di Gesù dal Sacramentodella Chiesa ed a tagliare il nodo dell'« Istituzione ›› non ha bi-sogno di essere appositamente trattato; in processi del generesi esprime solo in modo sintomatico il problema fondamenta-le, che è sempre lo stesso?

3 Per la caratterizzazione dell'attuale problematica si potrebbe rinviareper esempio a RUPERT FENEBERG, Christliche Passaƒeier and Abendmahl. Eine bi-blisch-liermeneutische Llntersucliung der neutestamentlichen Einsetzungsberichte(= StANT 27), München 1971. Nel frattempo si può trovare un riassunto del-1'attuale stato della ricerca nell'articolo Abemlmahl II (GERI-IARD DELLING) eH1/1 (GFORG KRETSCHMAR), in: TRE I, 47-89, con una chiara svolta indietroverso la continuità tra Gesù e l'Eucaristia della Chiesa; cf. anche GEORGKRETSCHMAR, articolo AlIend111alIlsfeier I, in: TRE I, 229-278. Dagli studi esege-tici sulla scia di questo riorientamento meritano di essere particolarmentesegnalati HERMANN PATSCH, Abendmalil and historischer Iesus (= Calwer Theo-logische Monographien A 1), Stuttgart 1972, come anche RUDOLF PESCH, WieIesus das Abentlmalil híelt. Der Grund der Euclmristie, Freiburg 1977. Come rie-laborazione sistematica di tutti i risultati in una prospettiva ecumenica è damenzionare con evidenza l'importante contributo Abendmalil IV di ULRICHKUHN, in: TRE I, 145-212.

V. FORMA E CONTENUTO DELLA CELEBRAZIONE EUCARISTICA

2. LO SVILUPPO DELLA FORMA DELL'EUCARIsTIA NEL DIVENIREDELLA CHIESA

Per il chiarimento della questione circa il modo in cui av-venne il passaggio dall'Ultima Cena di Gesù all'Eucaristia, hacontribuito in maniera decisiva Heinz Schürmann. In questocontesto non vogliamo qui aprire una disputa sulle infinitequestioni circa la tradizione dell'Ultima Cena: la nostra atten-zione è rivolta esclusivamente e rigorosamente alla «forma ›› eal suo sviluppo. Per quanto riguarda quest'ultimo, Schür-mann ha individuato tre fasi: 1) l'Eucaristia nell'Ultima Cenadi Gesù; 2) l'Eucaristia in connessione con il pasto della comu-nità apostolica; 3) la Celebrazione eucaristica post-apostolicadistinta dal pasto della comunità? Ora, nei limiti di questocontributo, purtroppo, non possiamo cercare di riferire i det-tagli di tale processo; saranno messi in rilievo e poi esaminatinel loro intimo significato soltanto i passaggi decisivi. Perquanto riguarda l'Eucaristia nell'Ultima Cena di Gesù, è pos-sibile ricostruire in modo abbastanza preciso la collocazionedelle azioni eucaristiche di Gesù nell'insieme della celebrazio-ne sulla base delle notizie dei Vangeli e delle consuetudiniconviviali giudaiche. Se partiamo dal presupposto che si trat-tava di una cena pasquale, ci troviamo di fronte ad uno svol-gimento che abbracciava quattro parti: antipasto, liturgia pa-squale, pasto principale e riti conclusivi. L'offerta del pane èallora da collocare prima del pasto principale, mentre il calicedella benedizione viene dopo di esso, come del resto sottoli-nea espressamente anche Lc 22, 20; «Dopo aver cenato, prese ilcalice [...]››. Ne deriva, per Schürmann, una duplice conse-

I 9 Cf. HEINZ SCHURMANN, Die Gestalt der urcliristliclren Euclmristiefeier, in:D., llrspiung and Gestalt. Erortertmgea I/mi Besmnuageri zum Neuen Testament

(= Kommentare und Beiträge zum Alten und Neuen Testament 27), Düssel-dorf 1970, 77-99.

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guenza: << 1) L'evento eucaristico è stato nell'Ultima Cena ele-mento integrale, anzi, costitutivo di una forma conviviale [...]. 2)L'evento eucaristico ha nell'Ultima Cena una relativa autono-mia ed un significato proprio rispetto al procedere del pasto ››.1°Ciò che il Signore qui fa è una novità che viene intessuta den-tro un antico contesto - quello della cena rituale giudaica -,ma diventa chiaramente riconoscibile come un qualcosa di asé stante; per esso vien dato il comando di ripetizione ed èquindi scindibile dal contesto in cui si trova.

Se andiamo fino in fondo a questa diagnosi, risulta chequesto compenetrarsi di antico e nuovo non è affatto casuale;è invece espressione precisa e necessaria della situazione sto-rico-salvifica ancora attuale in quel momento. La nuova pre-ghiera di Gesù si trova ancora all'interno della liturgia giudai-ca. Siamo ancora prima della crocifissione, anche se questa,per così dire, dall'interno prende qui il suo inizio. La separa-zione tra Gesù e la comunità nazionale giudaica non è ancoracompiuta; in altre parole, la Chiesa non esiste ancora comeChiesa; la struttura storica di «Chiesa ›› in senso stretto nascesolo per il fallimento del tentativo di acquisire l'intero Israele.Poiché il cristianesimo non esiste ancora come realtà autono-ma, ma soltanto in una forma storicamente ancora aperta al-l'interno del giudaismo, non può neppure esserci un'autono-ma forma liturgica specificamente cristiana. Questo ci portaad una constatazione fondamentale, il cui disconoscimentocostituisce il vero errore in tutti i tentativi di derivare la formaliturgica cristiana con immediatezza acritica dall'Ultima Cena.Dobbiamo, infatti, ora affermare: l'Ultima Cena di Gesù è, sì,il fondamento di ogni liturgia cristiana, ma essa stessa non èancora Lma liturgia cristiana. All'interno del giudaismo si com-pie l'atto d'istituzione della realtà cristiana, che però non ha

1° Ibid., 83 e 84.

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V. FORMA E CONTENUTO DELLA CELEBRAZIONE EUCARISTICA

ancora trovato una forma propria come liturgia cristiana. Lasituazione storico-salvifica è ancora aperta; non è ancora avve-nuta la decisione definitiva se il cristianesimo debba uscire ono dal giudaismo come realtà a sé stante. Per esprimerci nelmodo più chiaro possibile, potremino anche dire, con un pre-ciso capovolgimento dei primi tentativi del movimento litur-gico, che l'Ultima Cena fonda, sì, il contenuto dogmaticodell'Eucaristia cristiana, ma non la sua forma liturgica. Questainfatti, in quanto cristiana, non esiste ancora. La Chiesa dovet-te, nella misura in cui la separazione da tutto l'Israele divenneinevitabile, trovare la propria forma, adatta al significato diciò che le era stato affidato. Questa non è stata defezione, manecessità derivante dalla natura degli eventi. Mi sembra chequi siamo di fronte a un ptmto centrale non solo per le discus-sioni sulla forma liturgica, ma per la stessa comprensione fon-damentale dell'elemento cristiano in genere. La teoria delladefezione della Cristianità primitiva da Gesù e con ciò, in ge-nere, l'intero iato, oggi continuamente rilevato, tra Chiesa eGesù,“ si basano sul disconoscimento di queste connessioni.Se così stanno le cose, non può neppure esserci una continuitàdiretta di forme tra Gesù e la Chiesa; anche il fatto che il cen-tro dell'annLmcio della parola si sposti dal << Regno di Dio ›› al-la cristologia ha qui il suo motivo." L'unità con Gesù deve al-lora essere cercata necessariamente nella discontinuità dellaforma, in corrispondenza al passaggio dall'annuncio del Re-gno ad Israele alla Chiesa dei gentili.

Volgiamo ora la nostra attenzione alla seconda fase dellosviluppo messa in risalto da Schürmann, quella dell'Eucaristia

“ Sintomatica per questo è, sotto molti aspetti, la presentazione di Ge-sù offerta da HANS KUNG nel suo libro: Christ sein, München 1975; cf. al ri-guardo le mie riflessioni nel volume antologico Disknssion über Hans Kiings››Clirist sein«, Mainz 1976, 7-18.

12 Per maggiori dettagli su quest'argOmento cf. IOSEPH RATZINGER,Escliatologie (= KKD 9), Regensburg 1977, 30-42.

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C. LA CELEBRAZIONE DELL'EUCARISrIA

apostolica connessa con il pasto della comunità. Per brevità ci-tiamo subito la caratterizzazione centrale di questa fase, comela presenta Schürmann, dalla quale Svilupperemo poi rifles-sioni critiche ed ulteriori considerazioni. Schürmann constata:« Il pasto della comunità cristiana primitiva non era la ripeti-zione dell'Ultima Cena di Gesù (che Gesù non aveva affattoraccomandato di ripetere), ma era la continuazione della quo-tidiana comunità conviviale di Gesù con i suoi discepoli [. . .].Se ora la [. . .] duplice azione eucaristica di Gesù doveva esserecorrelata con questo pasto comune, era forse più convenienteun congiungimento di ambedue le azioni in un unico bloccopiuttosto che una loro collocazione in forma di cornice intornoal pasto abitua1e››.13 In queste frasi ci sono due cose sicura-mente giuste ed oggettivamente importanti per la nostra que-stione. È chiaro innanzitutto che il comando di ripetizione da-to da Gesù non si è riferito affatto all'U1tima Cena come tale enella sua interezza, ma solo alle specifiche azioni eucaristiche.Conformemente, non venne neanche ripetuta di volta in voltal'Ultima Cena come tale; ciò comportava da sé un cambia-mento dell'intera forma, e con questo un primo emergere .diuna forma cristiana propria. Il pasto per sfamarsi, come unitàin sé compiuta, precede la Celebrazione eucaristica; le azionieucaristiche, ora unite tra di loro, seguono come un'azione asé stante, sublimata nella parentesi della preghiera di ringra-ziamento: l'encharistia. Questo svolgimento è chiaramente ri-conoscibile già in 1 Cor 11, 17-34, ma anche dietro l'assimila-zione tra loro delle parole sul pane e sul vino in Matteo e Mar-co si intravede tale processo. In un punto, invece, Si dovràcontraddire Schürmann. La tesi secondo cui l'Eucaristia apo-stolica si ricollega alla quotidiana comunità conviviale di Ge-sù con i suoi discepoli è, nell'esegeta di Erfurt, limitata allaquestione circa l'origine della forma della celebrazione, ma

13 I-IEINZ SCHURMANN, Die Gestalt. . ., (come in nota 9), 85.

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V. FORMA E CONTENUTO DELLA CELEBRAZIONE EUCARISTICA

viene in ampi circoli radicalizzata nel Senso che all'Ultima Ce-na si nega completamente il carattere di istituzione e si fa de-rivare l'Eucaristia più O meno esclusivamente dai pasti cheGesù consumava con i peccatori. In tali posizioni, si fa coinci-dere l'Eucaristia Secondo l'intenzione di Gesù con una dottri-na della giustificazione rigidamente luterana come dottrinadella grazia concessa al peccatore; se infine i pasti con i pecca-tori vengono ammessi come unico elemento sicuro della tradi-zione del Gesù storico, si ha per risultato ima riduzione del-l'intera cristologia e teologia su questo punto.“ Ma da ciò se-gue poi un'idea dell'Eucaristia che non ha più nulla in comu-ne con la consuetudine della Chiesa primitiva. Mentre Paolodefinisce l'accostarsi all'Eucaristia in stato di peccato come unmangiare e bere << la propria condanna›› (cf. 1 Cor 11, 29) eprotegge l'Eucaristia dall'abuso mediante l'anatema (cf. 1 Cor16, 22), appare qui addirittura come essenza dell'Eucaristiache essa venga offerta a tutti senza alcuna distinzione e condi-zione preliminare; essa viene interpretata come il segno dellagrazia incondizionata di Dio, che come tale viene offerta im-mediatamente anche ai peccatori, anzi, anche ai non credenti-una posizione che, comunque, ha ormai ben poco in comuneanche con la concezione che Lutero aveva dell'Eucaristia. Ilcontrasto con l'intera tradizione eucaristica neotestamentariain cui cade la tesi radicalizzata ne confuta il punto di parten-

“ In questa direzione vanno diversi lavori di ERNST FUCI-IS, per es,: Dasarcliristliche Sakramentsverstiintinis (= Schriftenreihe der Kirchlich-Theologi-schen Sozietät in Württemberg, Heft 8), Bad Cannstatt 19582; cf. su questoIAMES MCCONKEY ROBINSON, Kerygma ami liistorisclier Iesas, Zürich/Stuttgart1960, 19ss. Un po' in tale direzione va anche la concezione dell'Eucaristia diWOLFI-IART PANNENBERG; cf. il suo contributo (del resto molto utile), Die Pro-blematik der Abenrlmalilslelire aus evangelischer Sicht, in: GERI-IARD KREMS -REINI-IARD MUMM (a cura di), Evangeliscli-katholisclie Abenflmalilsgemeinscliaƒt?,Regensburg/Göttingen 1971, 9-45; WOLFHART PANNENBERG, Tliesen zur Theo-logie der Kirche, München 1970, specialmente le tesi 77 e 85, 34 e 36.

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za: l'Eucaristia cristiana non è stata compresa partendo daipasti che Gesù ebbe con i peccatori, e non può neppure essereconsiderata semplicemente come continuazione della quoti-diana comunione conviviale di Gesù con i suoi. A questa deri-vazione si oppone:

a) il carattere festivo dell'Eucaristia, messo in risalto dallostesso Schürmann: con il dono del vino essa veniva differen-ziata dall'uso quotidiano e caratterizzata come celebrazionefestiva. E difatti non c'è alcun indizio che possa far supporreche già nell'epoca apostolica l'Eucaristia fosse celebrata quoti-dianamente, come invece dovrebbe risultare dalla tesi diSchürmann. Dobbiamo piuttosto partire dal presupposto diuna celebrazione settimanale e, più precisamente - come c'in-segna Ap 1, 10 (cf. At 20, 7; 1 Cor 16, 2) -, della celebrazionedomenicale dell'Eucaristia.15

b) Un indizio contro la derivazione dell'Eucaristia dai pa-sti con i peccatori è il suo carattere chiuso, che in questo segueil rituale pasquale: come la cena pasquale viene celebrata nellacomunità domestica rigorosamente circoscritta, così esisteva-no anche per l'Eucaristia fin dall'inizio condizioni d'accessoben stabilite; essa veniva celebrata fin dall'inizio, per così dire,nella comunità domestica di Gesù Cristo, e in questo modo hacostruito la « Chiesa ››.

Ci troviamo dunque di fronte a un dato di fatto singolar-mente differenziato. L'Eucaristia cristiana come tale non è ri-petizione dell'Ultima Cena che, a motivo della propria essen-za, non era ripetibile; se quest'ultima è stata una cena pasqua-

15 Ciò non contraddice la celebrazione quotidiana dell'Eucaristia Sicu-ramente documentabile in Occidente dal terzo secolo. Essa poté svilupparsicon buoni motivi non appena la liturgia cristiana ebbe trovata la sua formapropria; per questo, il collegamento con la domenica era una condizioneessenziale.

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V. FORMA E CONTENUTO DELLA CELEBRAZIONE EUCARISTICA

le (e molti indizi sono favorevoli a tale ipotesi), allora già perciò stesso ne risultava esclusa la ripetibilità: la Pasqua è unafesta che ricorre una volta all'anno, legata al calendario luna-re; l'Eucaristia, invece, viene celebrata settimanalmente. D'al-tra parte, tuttavia, l'Eucaristia riprende dalla tradizione pa-squale elementi essenziali: l'esigenza del carattere festivo e lacomunità limitata con precise condizioni d'accesso. Essa co-mincia già nella fase apostolica a costruire chiaramente la suaforma propria. Forse si potrebbe rendere comprensibile que-sto processo dicendo: le azioni eucaristiche vengono estrapo-late dal contesto della Pasqua e ricevono come loro nuovocontesto il «Giorno del Signore ››, cioè il giorno del primo in-contro con il Risorto. L'entrare del Risorto in mezzo ai suoi è ilnuovo inizio, che lascia dietro di sé, come una realtà ormaipassata, il calendario festivo giudaico, e stabilisce per il donodell'Eucaristia il suo nuovo contesto. In questo senso la dome-nica, il primo giorno della settimana (che però al contempo èritenuto il giorno d'inizio della creazione e che ora apre lanuova creazione) è la vera collocazione interiore da cui l'Euca-ristia come realtà cristiana prende forma. Domenica ed Euca-ristia vanno originariamente insieme; il giorno della Risurre-zione è l'ambito interiore dell'Eucaristia.16

3. LA FORMA DEFINITIVA

Ci troviamo quindi in questa seconda fase davanti al se-guente risultato: la novità cristiana, estrapolata dalla Cena edunificata, si colloca dopo il pasto normale che i discepoliprendono per sfamarsi. Ambedue gli elementi appaiono col-

_ 1° Riflessioni molto importanti sul rapporto tra Eucaristia e Domenicaìigåšoxšåno in JEAN-IACQUFS VON ALLMEN, Öknmene im Herrenmahl, Kassel

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legati l'uno con l'altro dalla fondamentale idea cristiana. del-l'agape. L'agape scambievole della comunità deve offrire illuogo in cui entra poi l'agape trasformatrice del Signore. Nel-lo sviluppo reale delle comunità, però, questa bella V1S10H€non resse. Risultò che quella che era stata intesa come agapecomunitaria e quindi come apertura della porta al Signore, sistava trasformando in un segno di egoismo, e diventava quin-di non adatta come preparazione alla comunione con Cristo.Di conseguenza, Paolo in 1 Cor 11, 22, pone in atto la separa-zione tra pasto comune ed Eucaristia: «Non avete forse le vo-stre Case per mangiare e per bere? ›› Dal punto di vista del

tempo, questa separazione si sarà affermata con maggiore Ominore rapidità; di fatto, con ciò si era aperta la porta alla ter-za fase dello sviluppo, in cui prese corpo la definitiva formaecclesiale del Sacramento." La prima testimonianza di questaforma è offerta dalla lettera di Plinio a Traiano, dalla qualeßri-sulta la prassi della celebrazione mattutina dell'Eucaristia;1 laprima esposizione dettagliata della nuova forma la troviamoin Giustino martire († c. 165). La mattina della Domenica siconferma come il tempo del culto cristiano e sottolinea ora lacorrelazione di questa celebrazione liturgica con l'evento del-la Risurrezione; il distacco dalla matrice giudaica e il progres-sivo rendersi autonomo dell'elemento cristiano, che era .co-minciato con il collegamento dell'assemblea cristiana al Gior-no del Signore, è ora diventato definitivo anche attraverso lafissazione dell'orario del culto. Ma questo distacco ha ancoraun'altra conseguenza: fin quando l'Eucaristia avveniva imme-diatamente dopo un pasto normale, era presupposta la part(-lacipazione alla liturgia della parola della Smagoga. I cristiani si

17 HEINZ SCI-IIIRIIIANN, Die Gestalt. . ., (come in nota 9), 92, specialmente no-ta 77; importante, per la problematica teologica dell'agape, è di nuovo IEAN-]ACQuEs vON ALLMEN, ibidem., (come in nota 16), 69-75.

1** Cf. HEINZ Sci-IURMANN, illlflfln-I (C0II\@ in I10ffi 9)/ 92-

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V. FORMA E CONTENUTO DELLA CELEBRAZIONE EUCARISTICA

erano, sì, separati ben presto (se non fin dall'inizio) dal sacri-ficio nel Tempio; ma si radunavano nell'atrio di Salomone e lì,come nelle sinagoghe, avevano continuato a partecipare allaliturgia della parola e della preghiera. Nell'ambito di questaliturgia avevano cercato di rendere comprensibile la loro in-terpretazione della Scrittura, cioè dell'Antico Testamento, conriferimento a Cristo, e di applicare così la parola della Bibbia,senza alcuna frattura, al loro Signore.19 Il Vangelo di Giovannisegna una fase di sviluppo in cui questa coesione risultavadefinitivamente rotta.2° A questo punto bisognava quindicreare una propria liturgia cristiana della parola, che ora, uni-ta alla Celebrazione eucaristica, precedentemente anch'essaancora non autonoma, poteva formare una coerente liturgiacristiana. Lo schema fondamentale della liturgia, formatasi inquesto modo, è descritto nella sua logica intrinseca nel rac-conto dei discepoli di Eminaus (cf. Lc 24, 25-31). Vi è anzituttol'ascolto in atteggiamento di ricerca della Sacra Scrittura, chedal Signore risorto viene spiegata ed attualizzata; c'è poi l'a-scolto che comincia a capire e si apre nell'invito rivolto al Si-gnore, nella preghiera perché Egli rimanga, e c'è infine la ri-sposta del Signore, che spezza il pane per i suoi, che dona lo-ro la sua presenza e al contempo si sottrae loro, per inviare idiscepoli come suoi messaggeri. È questa una forma comples-siva, in sé coerente e compatta, che dovette necessariamentesvilupparsi dove la Chiesa non poteva più partecipare alla si-

1° Cf. FRANZ MUSSNER, Die Una Sancta nach Apg 2, 42, in: ID., Praesentiasalatis, Düsseldorf 1967, 212-222, particolarmente 221; JOSEPH RATZINGER,«Aiiƒerbaut ans lebendigen Steinen», in: WALTER SEIDEL (a cura di), Kirche auslebendigen Steinen, Mainz 1975, 30-48, particolarmente 39s. e 43, nota 12[OO]R XI, 507-529].

2° Cf. in proposito REINI-IOLD LEISTNER, Antijiidaismus im Iohanneseoange-lium? Darstellung des Problems in der neneren Auslegangsgescliichte and Unter-suchung der Leitlensgeschichte (= Theologie und Wirklichkeit 3), Frankfurt1974.

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nagoga ed era così divenuta completamente una realta a sestante, una comunità dei credenti in Cristo.

La forma che si è così affermata - e non solo ei divenuta difatto il criterio di ogni sviluppo liturgico nella Cristianità, matale deve anche rimanere per l'intrinseca esigenza di questa li-turgia - difficilmente può essere definita con un unico concet-to. A questa conclusione arriva anche Schürmann, che pero, mordine alla questione della forma, ritiene di dover separare li-turgia della parola e liturgia eucaristica in senso più stretto, epreferisce poi parlare in un primo tempo, comunque, di unaforma conviviale nascente. Ma anche sotto la condizione di-scutibile che la liturgia della parola venga separata dalla pro-blematica egli deve infine delimitare talmente il concetto di

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forma conviviale che questo, di fatto, viene nuovamente eli-mjnatg « Se chiamiamo lo svolgimento della Celebrazione eu-caristica, così come si era affermato all'epoca di Giustino, unaforma conviviale, non ne usciamo molto contenti», dice in-nanzitutto 21 e descrive poi i due limiti di questa caratterizza-

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zione' innanzitutto, la forma conviviale sarebbe talmente sti-lizzata che non si potrebbe più parlare di un pasto reale, masolo di un pasto « simbolico ››. Nella maniera piu convmcente

_ . I ' 'si mostra questa trasformazione nell atteggiamento di coloroche partecipano all'Eucaristia: mentre durantela liturgialdellaparola stanno seduti, durante l'azione eucaristica stanno in pie-di, ciò che certamente non può indicare il passaggio ad unanormale situazione conviviale. In secondo luogo, la preghiera~ l'eucharistia - ha acquisito un tale sopravvento che Schur-mann si sente costretto a qualificare la forma conviviale, or-mai comunque soltanto « simbolica ››, oltre a ciò anche comeuna forma conviviale « distorta ››.22 In queste c0nC1iZí0I1í, È 08-

21 I-IEINZ SCI-IURMANN, Die Gestalt. . ., (come in nota 9), 95.22 Ibid., 92-95. È utile il paragone offerto da Schürmann a p. 96s.: « Mol-

te parabole di Gesù presentano nella loro parte metaforica un tratto narrati-

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V. FORMA E CONTENUTO DELLA CELEBRAZIONE EUCARISTICA

gettivamente più giusto abbandonare del tutto il concetto ina-deguato di «forma conviviale ››. L'elemento portante è l'eacha-ristia; dato che questa, in quanto partecipazione al ringrazia-mento di Gesù, implica anche il ringraziamento a tavola per idoni della terra, si esprime già qui quanto di forma convivialeè realmente contenuto nell'evento liturgico.

L'analisi dello sviluppo storico conferma ed approfondiscecosì la tesi che Iungmann, in base alle fonti liturgiche, avevatratteggiato in modo piuttosto prudente; al tempo stesso si èreso evidente che in questa determinazione della forma è, sì,scartato il piatto adeguamento della liturgia cristiana alla for-ma dell'Ultima Cena di Gesù, ma non si introduce alcuno iatotra Gesù e la Chiesa. Il dono del Signore non è una forma rigi-da, ma una realtà vivente, aperta allo sviluppo storico, e solodove si accetta questo sviluppo, si entra in un rapporto di con-tinuità con Gesù. Alla base del progressismo riformatore vi èanche qui, come in tanti altri casi, una rigida visione degli inizicristiani, per la quale la storia è composta solo da singoli ele-menti accostati tra di loro ma interiormente estranei gli uniagli altri, mentre la visione sacramentale della Chiesa poggiasu un'intima unità dello sviluppo, che proprio nel progredireconserva la fedeltà ed Lmisce i mutevoli tempi della storia gra-zie alla forza dell'unico Signore e del suo dono. Sia questo latoformale della questione come anche il suo risultato contenuti-stico possono essere di massima importanza per i dibattiti at-

vo dove l'immagine non corrisponde più, dove è esageratamente accentua-ta, distorta fino al paradosso, al grottesco, all'inverosiinile. Ma questo è allo-ra il punto in cui la parte oggettiva, che sta dietro la parte metaforica, toccal'immagine, dove la realtà simbolizzata traspare attraverso l'immagine ela manda all'aria. In modo analogo, anche la forma conviviale eucaristicalascia trasparire nell'eccessiva accentuazione della preghiera eucaristicala realtà che si nasconde dietro il pasto ››. Oggettivamente, però, si confermaqui solo un'altra volta, che in realtà non si può parlare di una forma convi-viale.

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tuali all'interno della Chiesa. Dove, infatti, si capisce nuova-mente che il concetto di «forma di convito ›ì e 1Jl1a_SemP11f1Ca'zione storicamente non sostenibile e si vede mvece il. testamen-to del Signore in modo oggettivamente giusto sotto il pensieroguida dell'encharistia, molte delle presenti alterneüve Ve118011°a cadere quasi da sé. Soprattutto si scioglie l esiziale separazio-ne tra livello liturgico e dogmatico, senza che sia cancelleäta laspecificità dei due ambiti: Encharistia significa tanto 1 0nOdella commnnio, in cui il Signore si rende cibo per noi, quant0l'autodonazione di Gesù Cristo, che ha portato a cornp1Inent011 Suo «sì» trinitario al Padre nel « sì›› della croce, e in/`queS'f0« Sam-ifieio ›› ha riconciliato tutti noi con il Padre. Non e alCL1l1Contrasto tra « convito» e «Saerifiei0››; nel nuovo sacrificio del

Signore ambedue s'intrecciano inscindibilmente.

APPENDICE 1

Nel frattempo, la problematica di qgesta plicfcšlqla riggšcãhgstata ripresa ed ampliata da Lothar Lies. L(iìes e scg del do-io, con la scienza liturgica del periodo tra le ue guerrepoguerra, chiamo struttura (struttura fondamenìalel, C02:«struttura materiale», e s'mterroga inoltre su SIYMI W” form frispettivamente su una formale struttura significativa, che eglidefinisce eogì- «Per Struttura formale dell'Eucaristia intendiamoquella struttura che può raccogliere insieme i concetti di memo-_ . ' ' ' ' d' '-riale, di Sacramento della presenzalrealeƒ dl Sa_CT1-_f1C_1° e 1 9011171to e che conferisce a tutti gli aspetti dell Eucaristia il loro signifi-ca/to formale ›› 24 Questa formale struttura significativa Lies la tro-va nel concetto di eulogia. « Gesù, in quanto aufofulog1” C11 D10' S1

7-3 Cf. Enlogia - Uberlegnngen zur ƒormalen Sinngestalt der Eucliaristie (Eu-logia riflessioni sulla formale struttura significativa dell'Eucaristia) in:

_ I ' ' ' I I 8'126.ZKTh 100 (1978), 69-97, con un appendice circa le relative recensioni, 9

21 Ibid., 69.

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V. FORMA E CONTENUTO DELLA CELEBRAZIONE EUCARISTICA

dà nella forma della pascha-eulogia veterotestamentaria e si pre-senta come eulogia pasquale. Questa è l'eSsenziale struttura signi-ficativa dell'Eucaristia della Chiesa. Con ciò, il termine e la con-cezione di eulogia possono abbracciare la concentrazione cristolo-gica richiesta dai sistematici nella dottrina eucaristica. Eulogiapuò comprendere la presenza reale e il memoriale eulogico, per-ché la Cena del Signore, in quanto memoriale eulogico, si compienella presenza della benedizione. L'Eucaristia in un duplice sen-so è strutturalmente un sacrificio [. . .]. Il concetto di eulogia puòfornire un modello significativo unitario dell'Eucaristia cristiana,esso abbraccia la struttura significativa sia teologica che liturgi-ca ››.ß Con queste esposizioni di Lies posso dichiararmi comple-tamente d'accordo; vi trovo confermate ed approfondite le mieriflessioni. Rispetto a Lies, però, il mio interrogativo riguardauna fase precedente: mentre egli già presuppone la struttura si-gnificativa, sviluppata dalla tradizione e costituita da memoriale,Sacramento della presenza reale, sacrificio e convito, a me inte-ressa propriamente la legittimità del passaggio dalla Cena allaMessa, da Gesù all'Eucaristia della Chiesa e così - sulla scorta diquesto esempio centrale (che è qualcosa di più che un esempio: èil punctuin Saliens del tutto) - mi interessa lo iato, caratterizzantela visione della teologia moderna, tra Gesù e la Chiesa, tra mes-saggio pre-pasquale e post-pasquale, e quindi in generale la na-tura dello sviluppo della Tradizione e della Chiesa.

Malgrado questa differenza nell'approccio al problema,mi sembra tanto più importante l'unità di base nel risultato.D'ora innanzi non dovrebbe più essere possibile parlare Sem-plicemente della << struttura di convito›› dell'Eucaristia, la cuiaffermazione si basa su un malinteso circa l'eVento istitutivo econduce ad un fraintendiniento del Sacramento in genere. An-cor meno si può definire l'Eucaristia soltanto come « convito ››(e neppure semplicemente come un << convito sacrificale ››). Al-

” Ibid., 96.

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la luce di questa considerazione è urgentemente auspicabileuna revisione della traduzione tedesca del Messale di PaoloVI, dove, particolarmente nelle orazioni dopo la comunione[«p0St_C0mmum'0»], 1a pamla «Mahl» - convito -, contrariamen-te all'originale latino, è stata resa quasi la denominazione nor-male dell'Eucaristia, creando così una contraddizione di fattocon il testo originale del Messale.

APPENDICE 2

Prospettive completamente nuove per il nostro problem;si aprono grazie al fondamentale saggio di HARTMUT GESE. _Questo stimolante contributo conferma la tesi di base quiesposta e le dà al tempo stesso una portata prima non calcola-bile. Gese affronta anzitutto l'ipotesi ancor sempre utilizzatadi due forme della Cena del Signore: una sacramentale elleni-stica e una non sacramentale gerosolimitana-giudaica -ipote-si per la quale i testi non offrono alcun appiglio. «ll fonda-mento di questa ipotesi è piuttosto il problema della deriva-zione: dalla concezione giudaica del pasto non si potrebbe farderivare la concezione sacramentale››.27 Proprio questo con-trasto induce Gese a riprendere in modo nuovo la questionedella derivazione, in cui rientra la decisione fondamentale perla comprensione della stessa Eucaristia.

Egli esamina innanzitutto le varie possibilità di derivazioneattualmente considerate, e cioè: il pasto giudaico, la pasqua, i pa-sti di Qumran, i pasti di Gesù, il miracolo della moltiplicazionedei pani, i pasti del Risorto. Egli è in grado di dimostrare chenessuna di queste derivazioni può vantare un sufficiente riscon-

26 Cf. I-IARTMUT GESE, Die Herkunft des Herrenmahls, in: ID., Zur biblischenTheologie München 1977, 107-127 (trad. it. ID., Sulla teologia biblica, Brescia1989].

27 Cf. Ibid., 109.

V. FORMA E CONTENUTO DELLA CELEBRAZIONE EUCARISTICA

tro nelle fonti del Nuovo Testamento. Così, sia il miracolo dellamoltiplicazione dei pani, sia i pasti (d'impronta antidocetica) delRisorto sembrano << presupporre la prassi della Cena del Signorepiuttosto che essere il modello da cui questa possa essere deriva-ta ››.21* La morte di Gesù è già interpretata nei racconti della Pas-sione come sacrificio pasquale, come «evento salvifico pasqualedi liberazione e di rinascita dal caos dell'antico mondo ››;29 macon ciò non è data la comprensione della Cena del Signore comePasqua o addirittura la sua derivazione da questa. Rimane comerisultato che la Pasqua ha acquistato, sì, un'importanza fonda-mentale per l'interpretazione della Passione di Cristo e così an-che per la teologia dell'Eucaristia; da essa però non sembra pos-sibile derivare l'Eucaristia.

La cena pasquale è una forma specifica del pasto sacro giu-daico. Prima di esaminare ulteriori alternative di pasti specifici,bisogna quindi chiarire quanto di teologia sia veramente conte-nuto nel pasto giudaico e quali ponti conducano da lì all'Eucari-stia. Gese mette qui in luce punti di vista di notevole interesse.<< Il pasto giudaico è contraddistinto da alcune caratteristiche fon-damentali, perché il banchetto festivo nei tempi antichi risale aduna forma basilare di sacrificio, lo zebãh, il 'sacrificio conviviale'ovvero 'sacrificio di comunione'. Nel periodo predeuteronornico,una macellazione poteva avvenire solo all'altare. La consumazio-ne di carne presupponeva un sacrificio conviviale[. . .]. Ne eranoin ogni caso parte costitutiva il pane e il vino, senza che questeparti incruente Supponessero di per sé un altare. Il carattere sa-crificale di questo pasto ha un duplice significato: nel pasto tro-vano espressione insieme la comunione con Dio al cui sacrificio,appunto, si prende parte e la comunione reciproca, e a ciò corri-sponde una condizione di salvezza; tra i partecipanti al sacrificioconviviale regna la shaloin (per questo i sacrifici conviviali che si

28 Ibirl., 117.2'* Ibicl., 114.

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celebrano come festa liturgica pubblica vengono chiamatiš“lamin››.3° E spontaneo qui pensare alla denominazione dell Eu-caristia nella Chiesa antica come «Pax››, in cui viene conhnuiäfequesta tradizione d'Israele, che a Sua volta lascia trasparire tra 1-zioni umane primordiali. Un'altra mdicazione 'ancora e impor-tante: l'antico convito di benedizione - che comincia Semlfle C011la beraka, la benedizione sul pane e sul vino - «maugura [. . .] unessere-shalom››. Spetta in prop0Sí'f0 una Paf1'1C°1a1e 1r_nP9rtan,Zaall'elevazione del calice, perché vi si collega la sacra dichiarazio-ne mediante la quale, appunto, si inaugura questoparticolaremodo di essere « Dane Speeifiehe <Ci1~costanze› il sacrificio convi-

viale riceve così il suo significato specifico. In Es 24, 11, il ban-chetto può inaugurare l'alleanza sul Smai tra lahVe_ed 15131919/ 111ls 25, 1-10, è la nuova alleanza sul monte Sion che viene stipulatamediante il banchetto - qui nella forma particolare del saCr14f1f(;119di ringraziamento -, e così si possono immaginare 1 tipi piu 1-versi di banchetto sacro ››.31 _ . _ _

Con questo si pone di nuovo la questione circa il convitoparticolare dal quale poté svilupparsi lEucaristia del Signore.Gese osserva in proposito: « Stranamente SfUSS1 alla “Cerca unadeterminata forma di banchetto sacro che è profondamente ra-dicata nell'Antico Testamento e (secondo quanto rlßvlffl dallaMishna) ha svolto un ruolo addirittura preminente anche nelgiudaismo ai tempi di Gesù: la toda, il sacrificio di rmgrazla-mento. Questo sacrificio appartiene allo zebah, al .sacrificio con-viviale in senso più ampio, ma si distingue considerevolmentedal comune sacrificio conviviale, per quanto riguarda Ll I`1f0 I-ed il significato teologico. Troviamo qui il riferimento di noicercato con l'evento di morte e di salvezza dell'offerente ››. Perquanto riguarda la diffusione di questo tipo di sacrificio convi-

3° lbid., 109s.31 Ibid., 110.32 lbid., 117.

V. FORMA E CONTENUTO DELLA CELEBRAZIONE EUCARISTICA

viale, si può dire << che la tôdã ha costituito la base cultuale dellaparte principale del Salterio ››.33 Gese analizza come esempi ditali salmi-tôda, che come ambientazione concreta («Sitz imLeben››) hanno lo svolgimento della tôda, i salmi 69; 51; 40, 1-12;e 22 - i grandi Salmi cristologici del Nuovo Testamento - deiquali il Salmo 22 è divenuto per gli evangelisti il canovaccio del-la Passione di Cristo. Dal contesto evidenziato da Gese risultachiaramente che questo non è un'applicazione successiva di pa-role veterotestamentarie ad un evento che così sarebbe statotrasformato e teologizzato; la passione e Risurrezione di Gesù ètôdã: è il compimento reale della parola di questi Salmi, e ciòcon una profondità della quale queste parole, sembra, che fos-sero come in attesa - parole che andavano al di là di ogni indi-viduale destino di morte e di salvezza, ma al di là anche del de-stino semplicemente collettivo d'Israele verso una dimensionepiù grande fino ad allora sconosciuta.

In che cosa consiste la tôdã? Gese la caratterizza così: «Ilsacrificio di ringraziamento presuppone una determinata si-tuazione. Quando un uomo è salvato da un pericolo mortale,da una malattia micidiale o da una persecuzione che minacciala sua vita, egli festeggia questo salvataggio divino in un cultosacrificale di ringraziamento come nuova fondazione dellasua esistenza. Qui egli riconosce (jd[h]) Dio come Salvatore inun banchetto sacrificale di 'attestazione' e di ringraziamento(tôdü). Invita le persone che appartengono al suo ambiente divita, offre l'animale per il sacrificio [...] e compie [. . .] insiemeagli invitati l'inaugurazione della sua nuova esistenza [. . .]. Sifa memoria del salvataggio operato da Dio e vi si rende graziesolo considerando l'attraversamento della crisi e l'evento dellaliberazione [_ . .]. Non è un semplice rito sacrificale, ma un ritosacrificale di attestazione [. . .]: rito verbale e rito conviviale, lo-de e sacrificio formano qui un'unità. Il sacrificio non può, qui,

33 Ibid., 119.

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C. LA CELEBRAZIONE DELUEUCARISIIA

essere frainteso come 'offerta' a Dio, è piuttosto l"onoranza'tributata al Salvatore. Ed è un dono di Dio, che il salvato pos-sa festeggiare la propria vita nel banchetto sacro ››.3'1 _

Per quanto riguarda gli elementi formali, due aspetti sonoparticolarmente importanti per la nostra questione. Decisiva perquesto tipo di sacrificio è l'attestazione in atteggiamento di grati-tudine, è (come già detto) un «un rito sacrificale di attestazio-ne ››. « Se il riconoscimento della salvazione divina divenne partecostitutiva del sacrificio, questo rito poté apparire addirittura unriscontro del sacrificio stesso. Il calice corrisponde all'eventodell'annuncio, il sacrificio all'evento conviviale della tôda››.33 Tro-viamo qui l'idea ellenistica del sacrificio a modo di parola, di cuiabbiamo parlato nell'analisi dell'Eucaristia come elemento strut-turale e portatore del concetto di sacrificio, profondamente radi-cato anche nell'Antico Testamento, sviluppatosi dall'intrinsecadinamica della fede veterotestamentaria. A questo punto era co-struito in anticipo il ponte da1l'Antico Testamento e da Gesù ver-se le « genti», verso il mondo greco. Qui gli sviluppi spírítuallconvergono gli uni verso gli altri: sia lo schema giudaico chequello ellenistíco sono, per così dire, in attesa di Colui che e ilVerbo stesso e che, come Logos crocifisso, è insieme anche il Giu-sto salvato dall'abisso della morte. Il secondo importante ele-mento formale riguarda l'ambito che noi oggi designiamo come«materia» del Sacramento: «In contrasto con il sacrificio convi-viale, la tôda comprende non solo un sacrificio cruento di carne,ma anche un sacrificio incruento di pane ed è l'unico tipodi sa-crificio che ha da farsi con il pane lievitato. Così, pane e vmo ri-cevono nella tôdã un significato particolare: l'uno diventa unaparte del sacrificio stesso, l'altro riceve un significato costitutivonell'evento dell'annuncio ››.3°

31 Ibid., 117.33 Ibid., 118.3° Ibicl., 119.

V. FORMA E CONTENUTO DELLA CELEBRAZIONE EUCARISTICA

Dall'analisi dei suddetti salmi-tôdã vorrei scegliere solodue indicazioni. C'è innanzitutto la parola del salmo 51: << Sacri-ficio conviviale a Dio è uno spirito affranto; un cuore affranto eumiliato tu, o Dio, non disprezzi ›› (cf. v. 19). In questo testo simostra «il sacrificio esteriore della tôda anche interiorizzatonel senso di una sofferenza sacrificale della propria vita ››.37 Sirende evidente come «in base alla pietà della tôdã la concezio-ne del sacrificio e quella della vita potevano compenetrarsi avicenda». Lo stesso pensiero appare ancora approfondito nelSalmo 40, 1-12: << Con l'allusione alle formulazioni circa la Nuo-va Alleanza (Is 31, 33; Ez 36, 27) la piena ricezione della Toranel proprio intimo appare come il traguardo finale. Non èun'illurninata critica del sacrificio, quella che si riflette in que-sti Salmi, ma il pieno coinvolgimento dell'uomo nella naturadel sacrificio, coinvolgimento maturato sul terreno dellaprofonda pietà del sacrificio di ringraziamento ››.33

Il secondo pensiero che vorrei menzionare si connettespecialmente ai Salmi 22 e 69. La sofferenza mortale dell'oran-te appare qui «accresciuta fino ad una sofferenza primige-nia ››; vi corrisponde il fatto che anche «il salvataggio dovevaandare al di là di tutti i limiti della storia [_ _ _] e diventare il se-gno dell'irruzione escatologica della basileia. L'esperienza fon-damentale di morte e redenzione, maturata nella pietà dellatôdä, veniva approfondita in una dimensione assoluta nellaprospettiva apocalittica e il Salvataggio dalla morte portavaalla conversione del mondo, alla partecipazione dei morti allavita ed al perenne annuncio della salvezza (Sal 22, 28ss.) ››.39

Per chi considera queste connessioni, la domanda circa laderivazione dell'Eucaristia di Gesù Cristo ha trovato la sua ri-sposta. Nella pietà veterotestamentaria della tôdã si trova

37 Ibid., 120.311 Ibid., 121.33 Ibid.

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strutturalmente anticipata l'intera cristologia, e proprio comecristologia eucaristica. La diagnosi di Gese dice pertanto: « LaCena del Signore è la tôdã del Risorto >›.1'1° Non occorre più il-lustrare qui l'applicazione dei singoli tratti. E importante solofar ancora notare l'approfondimento decisivo del sacrificio ve-terotestamentario della tôda, che corrisponde completamentealla sua più intima intensione e proprio così trasforma l'Anti-ca nella Nuova Alleanza: «Nell'antica tôalã il salvato offrivaun animale da sacrificio per sé e per la comunità. Ma il Risortoha dato se stesso; il sacrificio è il sno sacrificio, la sua esistenzaterrena e corporea che è stata sacrificata [. . .]. Il cibo del pastosacro, rappresentato dal pane sacrificale, è - per quanto ri-guarda la sua sacralità come sacrificio - il corpo di Gesù [. . .].Il pane non significa il corpo di Gesù in senso metaforico, maè proprio nella sua essenza, come sostanza del pasto, il sacrifi-cio di Gesù nel banchetto sacrificale della tôda››.11

Con la tôda di Gesù è stata data ragione alla frase rabbini-ca: «Nel tempo futuro (messianico) cesseranno tutti i sacrifici,ma il sacrificio della tôda non cesserà in eterno, e cesserannoanche tutti i canti (religiosi), ma i canti della tôda non cesse-ranno in eterno ››.”

Ho riprodotto così dettagliatamente il contenuto della ri-cerca di Gese perché mi sembra difficile apprezzarne in modoadeguato l'importanza. La disputa sul concetto di sacrificio,che da oltre quattro secoli divide la Cristianità, si pone qui inuna luce completamente nuova. Dovrebbe aprirsi da qui unanuova porta per il dialogo ecumenico tra cattolici e protestan-ti, perché si rende visibile un concetto genuinamente neote-stamentario di sacrificio in cui, da una parte, l'eredità cattoli-ca può essere pienamente salvaguardata, anzi, capita in una

1° Ibid., 122.“11 Ibid., 123.“13 Ibid., 122.

nuova profondità ma, dall'altra, possono essere accolte anchele intenzioni centrali di Lutero. Questa Sintesi è possibile,perché è tenuta d'occhio l'intima unità dei Testamenti, chenella teologia moderna si era sempre più persa di vista, men-tre iiivece lo stesso Nuovo Testamento non intendeva esserealtro che la piena comprensione dell'Antico Testamento resapossibile in Cristo: l'intero Antico Testamento è un movimen-to di avvicinamento a Lui, un atteggiamento d'attesa di Coluinel quale tutte le parole veterotestamentarie sono divenuterealtà, e in tal modo l'« Alleanza ›› ha raggiunto la sua formacompiuta, è divenuta Nuova Alleanza. Infine, si rendono quievidenti anche il significato della presenza reale e la pienateologia della liturgia pasquale dei cristiani, e questo a partiredal loro fondamento storico-salvifico e biblico: come in que-sta analisi è messa in luce l'unità tra Antico e Nuovo Testa-mento, tra eredità cattolica ed eredità protestante, così lo èanche l'unità tra Bibbia e fede della Chiesa, tra teologia e pa-storale. Vorrei per questo citare anche l'esortazione rivolta al-la prassi, che Gese deriva dalle sue convinzioni: << Non si pen-si che una riduzione della dimensione sacramentale possagiovare all'uomo d'oggi: al contrario, tali riduzioni si sonoverificate già da lungo tempo, e sono state proprio esse a pro-durre i fraintendimenti. Solo un'iniziativa che in modo pienoe positivo renda accessibile alla comprensione questa centralecelebrazione liturgica può essere un vero aiuto. Del resto, laliturgia della Cena del Signore non è per nulla un campo spe-rimentale [...]››.“33

La diagnosi, secondo cui eucharistia o eulogia è la «for-ma» determinante dell'Eucaristia, ha qui trovato una sor-prendente conferma, che sola rende pienamente evidenti ilsuo contenuto e le sue conseguenze. Può qui rimanere aper-to la domanda circa la misura in cui la discussione scientifi-

13 Ibid., 127.

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C. LA CELEBRAZIONE DELL'EUcAR1sTiA

ca delle tesi di Gese produrrà singole correzioni o integra-zioni.44

L'intuizione centrale, cioè la stretta connessione tra sacrifi-cio della tôdã ed Eucaristia, tra pietà della tôdã e cristologia, misembra perfettamente dimostrata. Lo stretto legame che la tra-dizione neotestamentaria ha stabilito tra i salmi-tôdã e la cristo-logia, l'unità strutturale tra il loro genere ed il contenuto del-l'Eucaristia, è così evidente che questa connessione, sulla basedei testi, non può in definitiva essere messa in discussione.

4** Una posizione decisamente negativa ha preso su questo punto, pocoprima della sua morte, IOACHIM IEREMIAS in un piccolo contributo: Ist dnsDankopƒermnhl der llrsprung des Herremnal1ls?, in: CHARLES KINGSLEY BARRETT -ERNST BAMMEL - WILLIAM DAVID DAVJES (a cura di), Donum Gentílicium. New Te-stament Studies in Honour ofDavid Dnube, Oxford 1977, 64-67. Ieremias non si eracomunque riferito al lavoro qui esposto di CESE, ma alla ricerca precedentePsalm 22 und das Neue Testament. Der älteste Berícht vom Tode Iesu und die Ent-stehung des Herrenmahls, in: ZThl( 65 (1968), 1-22, una ricerca, che non gli ha of-ferto la possibilità di riconoscere né il pieno contenuto né l'ampia fondatezzadelle tesi di Gese. Gentilmente il Prof. Gese mi ha esposto, per lettera, in manie-ra dettagliata la sua presa di posizione nei confronti delle obiezioni di Ieremias,che con ciò sono confutate in modo convincente. In particolare, Gese chiarisceche è erronea l'opinione di Ieremias, secondo cui l'ancoraggio dei salmi-tôdâall'isfituzione del sacrifio-tôdä sarebbe una teoria personale (non dimostrata) diGese. Si tratta invece « di una communis opinío della scienza veterotestamentariafin dalla ricerca sui generi fatta da Gunkel ››. Anche la regola della Míslmn mes-sa in campo da Ieremias - «I sacrifici di ringraziamento erano severissimamen-te proibiti nella settimana pasquale ›› - viene dimostrata da Gese, con il richia-mo di un testo contrario, come non priva di eccezioni.

La mia domanda personale a Gese sarebbe di tipo un po' diverso: il sacri-ficio-tôdä è il ringraziamento di chi è già salvato; può quindi aver luogo, nelsenso vero e proprio, solo dopo la Risurrezione. Ciò corrisponde completamen-te alla tesi da me sopra esposta, cioè che l'Eucaristia è possibile nell'Ultima Ce-na solo come anticipazione, ma proprio per questo non può essere sviluppataunicamente dall'Ultima Cena, poiché questa è riferita all'adempimento sullacroce delle parole di autodonazione ed alla sua speranza fondata nella Risurre-zione, senza cui l'Ultima Cena rimarrebbe in sé incompiuta, anzi irreale. Ciò si-gnifica poi, a sua volta, che l'Ultima Cena non ha in se stessa una forma com-pleta. La derivazione dell'Eucaristia dall'istituzione-tôdñ significa in realtà pro-prio questo che, cioè, una derivazione soltanto dall'Ultima Cena è impossibile.L'idea della tôdâ rende l'Ultima Cena una forma aperta, perché la tôdñ diventarealtà solo nell'aggiungersi della croce e della Risurrezione.

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VI. LA QUESTIONE CIRCA LA STRUTTURADELLA CELEBRAZIONE LITURGICA

La crisi della liturgia, e quindi della Chiesa, in cui conti-nuiamo a trovarcièdovuta solo in minima parte alla diffe-

renza tra vecchi e nuovi libri liturgici. Si rende sempre più chiaroche sullo sfondo di tutte le controversie è emerso un profondodissenso circa l'essenza della celebrazione liturgica la sua deri-vazione, il suo rappresentante e la sua forma corretta. Si trattadella questione circa la struttura fondamentale della liturgia ingenere; piu o meno consciamente si scontrano qui due concezio-ni radicalmente diverse. I concetti dominanti della nuova visionedella liturgia si possono riassumere nelle parole-chiave «creati-V1ta”f “ hbeftà ”/ “ festa >>/ << C0munità ››. Da un tale Punto di vista<<rit0››, << obbligo ››, << interiorità ››, «ordinamento della Chiesauniversale» appaiono come i concetti negativi, che descrivono lasituazione da superare della «vecchia» liturgia, [0 mi ümito adocumentare questa «nuova» visione della struttura liturgicacon un testo scelto a caso, che è rappresentativo per un intero ge-nere: << La liturgia non e un rituale ufficialmente sancito, ma unafesta concreta dell'assemblea, configurata in modo adatto conogni tolleranza nel regolamento. La liturgia non è un culto devo-zionale oggettivo, specifico della Chiesa, che deve essere adem-piuto [. . .]. Come al sacerdote è dato il Messale [..] così la comu-nita -ha tra le mani il libro dei canti, il Gotteslob, quale libro deiruoli. Il ruolo della comunità viene accentuato anche dal fattoche la liturgia si forma in un luogo concreto, in una determinatacomunità [. . .]._Il canto della comunità è stato rivalutato a partiredalla riforma liturgica. Lessenziale non sta più come sfondo die-tro il canto, ma cio che si canta è l'essenziale [. . .]››.1

_ _1 ELISABEÉH BICKL, Zur Rezeption des ››Gotteslob<<. Eirifillirungssclzzuíe-rzglceiten und Losungsvorsclilage, in: Smgeiide Kirche 25 (1977/ 78), 115-118 (ci-tazione da p. 117).

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