Lipari, il Cristianesimo e il culto di San Bartolomeo testimonianza più antica che parla...

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Pagine di storia eoliana Lipari, il Cristianesimo e il culto di San Bartolomeo di Michele Giacomantonio 2014

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Pagine di storia

eoliana

Lipari, il Cristianesimo e il culto di San Bartolomeo

di Michele Giacomantonio

2014

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�� Al di là delle scarse e scarne notizie sulle incursioni piratesche e

sui fenomeni vulcanici le Eolie – soprattutto dal III al IX secolo d.C. – si impongono all’attenzione del mondo colto e devoto per le vicende del Cristianesimo legate soprattutto al culto di San Bartolomeo che fece per alcuni secoli di Lipari una delle più frequentate mete dei pellegrinaggi del Mediterraneo occidentale e forse una delle cause dell’aggressione dell’838 da parte dell’armata mussulmana capeggiata da Fadhl-ibn-Jàqub.

� Per questo le domande che ci porremo sono : come si stabilì e si affermò nelle Eolie il culto di San Bartolomeo? quando arrivò il Cristianesimo a Lipari permettendo di parlare di una Chiesa Liparese? Qual’era il significato e la presenza del cristianesimo nelle Eolie al tempo del sacco dell’838 d.C.?

Le domande a cui rispondere

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�� Uno dei dodici apostoli di Cristo conosciuto anche ( nel

vangelo di Giovanni) con il nome di Natanaele, nativo di Cana, che morì verso la metà del I secolo probabilmente in Siria.

� Il vero nome dell'apostolo è Natanaele. Il nome Bartolomeo deriva probabilmente dall'aramaico «bar», figlio e «talmai», agricoltore o, secondo un’altra versione, “tholmai” colui che smuove le acque.

� Bartolomeo giunse a Cristo tramite l'apostolo Filippo. Dopo la resurrezione di Cristo, Bartolomeo fu predicatore itinerante (in Armenia, India e Mesopotamia). Divenne famoso per la sua facoltà di guarire i malati e gli ossessi e fu condannato ad essere scorticato vivo e poi crocefisso.

Chi era San Bartolomeo

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Due immagini del martirio di San Bartolomeo

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�� La testimonianza più antica che parla dell’arrivo e della presenza a

Lipari del corpo di S. Bartolomeo è quella di Gregorio di Tours, vescovo e storico, che scrive tra il 572 e il 590:

� “La storia del martirio di Bartolomeo narra che egli patì in India [ secondo altre versioni: in Asia]. Dopo lo spazio di molti anni dal suo martirio, essendo sopraggiunta una nuova persecuzione contro i Cristiani, e vedendo i pagani che tutto il popolo accorreva al suo sepolcro e a lui rivolgeva preghiere e offriva incensi, presi da odio , sottrassero il suo corpo e, e ponendolo in un sarcofago di piombo, tenuto a galla dalle acque che lo sostenevano, da quel luogo fu traslato ad un’isola che si chiama Lipari, e ne fu data notizia ai Cristiani perché lo raccogliessero: e raccoltolo e sepoltolo, su di questo edificarono una grande chiesa. In questa chiesa è ora invocato e manifesta di giovare a molte genti con le sue virtù e le sue grazie».

Il corpo di S. Bartolomeo a Lipari: la testimonianza di Gregorio di Tours

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Due immagini di San Gregorio de

Tours

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�� Teodoro il Lettore, storico bizantino, scrive intorno al 530 che le

reliquie di San Bartolomeo erano state inviate dall’imperatore d’Oriente Anastasio, forse nel 507, a Dara nella Mesopotamia settentrionale.

� In un tempo in cui vigeva il commercio delle reliquie è difficile dire chi possedeva il corpo originario o, magari, solo una parte di esso. Se Lipari o Dara, o Doliche o la Frigia…

� Ma è importante che già nel VI secolo – praticamente negli stessi anni in cui cadeva Dara (573 d.C.) - con riferimenti a molti anni prima , veniva collegata Lipari al culto ed al corpo di San Bartolomeo. E su per giù sono gli stessi anni a cui si fanno risalire le testimonianze delle altre «rivendicazioni»

Lipari non è la sola a rivendicare il corpo del santo ma…

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��Quindi già nel VI secolo si comincia a sviluppare nel mondo cristiano una tradizione che afferma :

� 1. che il corpo fu gettato in mare e tenuto a galla dalle acque che lo sostenevano;

� 2. che il corpo fu traslato all’isola di Lipari;

� 3. che fu data notizia ai cristiani perché lo accogliessero;

� 4. che il corpo fu accolto e sepolto e su di esso fu edificata una grande chiesa.

Una tradizione antica

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��Un’altra testimonianza del legame fra S. Bartolomeo e Lipari ce la dà S. Teodoro Studita (759-826). Anche questa testimonianza riprende la tradizione miracolosa dell’arca che galleggia dal Medio Oriente sino alle Eolie arricchendola con la coreografia di una scorta di martiri ed aggiungendo altri particolari alla tradizione:

� 1A Lipari c’è un vescovo che si chiama Agatone e che è ritenuto “santissimo”;

� 2. l’arca giunta in prossimità della riva si riesce a trainare a terra solo con l’aiuto di due “vitelle caste”.

La testimonianza di S.Teodoro Studita (759-826)

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S. Teodoro Studita

monaco bizantino,

compositore di liturgie,

combatté contro gli iconosclasti

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�� E’ come se l’isola dal nome appropriato abbia gridato con voci

misteriose verso di lui che vi era pervenuto:’ Vieni a me l’infelice, tesoro tre volte beato dello Spirito tutto santo, vieni a me la disprezzata, perla di immenso valore, vieni a me la postulante, o tu che da altri foste gettato via con suprema ingiustizia; stabilisci in me e molte dimore in me si costruiranno , sii mio patrono e sarò molto abitata; rendi celebre il tuo nome in me e da ogni parte si parlerà di me; mentre altri hanno respinto te portatore di luce, io che vivo nel buio mi protendo verso la tua luce; mentre gli altri si sono fatti beffe di te, nutrimento di parole viventi, io invece come una piccola cagna bramo di ricevere le briciole delle tue reliquie’.

S.Teodoro immagina che Lipari , il cui nome suona come «reliquia» inviti il Santo

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�� Infine, dice ancora S.Teodoro, quando finalmente l’arca del Santo fu a riva si verificò un miracolo:

� Poiché allora Vulcano, com’è chiamato, essendo adiacente all’isola, incombeva rovinoso sugli abitanti del circondario, fu allontanato durante le tenebre e in qualche modo fu bloccato a distanza, a sette stadi in direzione del mare, tanto che fino ad oggi è manifesta a quelli che guardano tale promontorio la collocazione del fuoco obbligato ad allontanarsi”.

Un primo miracolo nelle Eoliedel Santo

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�� La testimonianza del monaco nato in Sicilia ma vissuto in Grecia – considerato uno dei più grandi poeti innografici e liturgici della Chiesa Ortodossa - ripete la versione di S. Teodoro Studita e mette in bocca al vescovo Agatone un inno all’Apostolo

Una terza narrazione é quella di San Giuseppe l’Innografo (816-886)

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�� «Benvenuto, o porto di salvezza per coloro che lottarono nel mare delle calamità, benvenuto o divino fiume del Paraclito, che sei inondato dalle sorgenti della verità e sfoci in mare tra onde di pietà (…) Colei che da povera è diventata ricca; infatti oggi ho ricevuto in dono un tesoro grandissimo. Io non apparirò manchevole di nulla, in confronto alla famosa Roma, che ha come suoi abitanti i beati Pietro e Paolo; ho infatti Bartolomeo come abitante. Voi tutte mie isole, rallegratevi con me oggi, voi tutte città, gioite con me per sempre. Presso di voi giacciono i corpi di molti santi, a me ne basterà uno al posto di tutti”.

Il canto del vescovo Agatone

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��Altri elementi forti anch’essi di un’antica tradizione dicono che il Santo sarebbe giunto il 13 febbraio del 264 d.C., nella piccola spiaggia di Portinenti, e che la sua bara sarebbe rimasta lì fino ai nostri giorni.

� Il primo documento a noi noto, che riporta gli estremi del giorno e del mese, è però del 1617 e si tratta di un atto notarile di mons. Alfonso Vidal(1599-1617) del 9 giugno di quell’anno.

� La più antica fonte letteraria che espressamente menziona la baia di Portinenti è il «Disegno storico» di Pietro Campis che è del 1694.

Altri elementi della tradizione: la data e il luogo di arrivo delle spoglie

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��Che quel vescovo Agatone che accolse le spoglie di S.Bartolomeo nel 264, sia una figura storica vi sono molti dubbi. Anzi qualcuno e, Luigi Bernabò Brea fra questi, lo esclude.

� Eppure il can. Carlo Rodriquez nel suo saggio «Breve cenno storico sulla Chiesa Liparese» del 1841 parla di manoscritti greci conservati nel Monastero di Grotta Ferrata che confermerebbero la data dell’arrivo dell’Apostolo e la presenza del vescovo Agatone che sarebbe morto a 90 anni nel 313. Dopo Agatone, sempre secondo il Rodriquez, non si conoscono altri vescovi fino al vescovo Augusto nel 501.

Agatone I , figura storica o mito?

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Una riproduzione del dipinto

della Cattedralecon Agatone che accoglie le spoglie del

Santo

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��Ma quando giunge il cristianesimo a Lipari?

� «E’ credenza – scriveva il Can. Carlo Rodriquez nel 1841– che la fede cristiana si fosse stabilita in Lipari sin dal tempo degli Apostoli; e Paolo (l’Apostolo) venuto in Reggio, si reputa per mera tradizione passato da Messina , e per la vicinanza di quella provincia a quest’isola qui esservi condotto, predicare il Vangelo ed innalzare alla cima del sacerdozio per la prima volta Liparese Chiesastico. Ma niun documento esiste per rafforzare opinione siffatta…».

La Chiesa di Lipari fu fondata da San Paolo?

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�� Osserva Iacolino che il fatto che nell’autunno del 60 “ S.Paolo

aveva compiuto quel celebre quanto avventuroso viaggio da Cesarea sino a Roma toccando Malta, Siracusa e Reggio Calabria diede motivo, in età rinascimentale, ai cittadini di Siracusa, di Reggio, di Messina e di Lipari di ritenere che i loro padri antichi avessero dall’Apostolo attinto i primi rudimenti della fede e che lui stesso nei loro rispettivi paesi avesse costituito le prime accolte di neofiti e insediato i primi vescovi. Anche se Lipari era un punto abituale di transito o di sosta nell’intreccio dei traffici bisogna dire che - ad agevolare – ma allo stesso tempo a contrastare – la penetrazione della nuova fede c’era, assai diffusa fra la gente di cultura ellenista, una sorta di religione sincretica.

Iacolino: « Un mito rinascimentale»

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�� Questa religione assommava i culti di Iside, di Demetra, di

Serapide e – in particolare a Lipari – di Dionisio; culti misterici che ben rispondevano ai bisogni spirituali del popolo minuto e dei ceti aristocratici, ed erano per molti aspetti assai vicino alle credenze cristiane.

� Nel loro insieme si potevano definire “religioni della salvezza” giacché davano conforto alle angustie quotidiane e, attraverso l’iniziazione, le pratiche devote e l’osservanza di prescrizioni etiche e rituali, assicuravano la beatitudine dell’oltretomba.

� Quindi si può pensare che anche a Lipari già fin dei primi decenni della nuova era si sentiva parlare della nuova religione cristiana, magari in modo confuso e mischiato con elementi di queste “religioni della salvezza”.

Le «religioni della salvezza»

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Dionisio dio del vino

e della vite e poi dio

del teatro e degli

spettacoli

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�� «E’ del tutto inconsistente, dal punto di vista storico, un primo

vescovo, Sant’Agatone, che risalirebbe al III secolo, al tempo cioè della persecuzione di Valeriano. La sua figura è probabilmente immaginaria. Il nome sarebbe stato preso da quello del vescovo, assai più tardo, ricordato da San Gregorio Magno, l’unico dei primi vescovi di Lipari il cui nome fosse ricordato da fonti letterarie. Sant’Agatone compare infatti solo in fonti tarde e criticamente inattendibili e cioè nel complesso di leggende composte fra il VII ed il IX secolo, che fiorirono intorno ai santi martiri di Lentini Alfio, Cirino e Filadelfio. Il primo vescovo di cui si abbia notizia certa è Augusto che partecipa a due concili tenuti a Roma al tempo del Papa Simmaco….». Cioè inizio del VI secolo.

La posizione di Bernabò Brea su Sant’Agatone

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�� Eppure Bernabò Brea non può trascurare l’opinione di uno studioso autorevole come Mons. L. Duchesne( 1843- 1922) archeologo e storico della Chiesa e quindi aggiunge: «Il Duchesne osserva peraltro che il vescovado di Lipari deve essere assai più antico di questa prima data in cui è documentato. Ritiene infatti poco verosimile che nei tempi tristi e torbidi del V secolo si siano fondati vescovati in queste regioni d’Italia e ritiene, come quasi dimostrato, che ogni vescovato constatato prima della guerra gotica, vuol dire prima del 525, deve risalire almeno al IV secolo più o meno inoltrato”.

La posizione di Duchesne

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��Ma allora a quando risale l’avvento del

Cristianesimo a Lipari e la costituzione di una Chiesa Liparense?

� Ed proprio vero che il S. Agatone dato come primo vescovo di Lipari sia una figura leggendaria confusa con l’Agatone di cui parla S. Gregorio Magno alla fine del VI secolo?

A questo punto si impongono due domande cruciali

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�� Per sapere che la Chiesa esiste a Lipari ben prima del 501

abbiamo testimonianze epigrafiche cristiane in lingua greca. E’ della seconda metà del V secolo una scritta marmorea per la morte di una giovane ventenne chiamata Proba dove si parla dell’esistenza della “Santa e Cattolica Chiesa dei Liparéi”.

� Un’altra epigrafe riguarda un fedele morto nel 470. La lapide è oggi al Museo di Lipari e proviene dall’area di Sopra la Terra o Maddalena.

� Una terza epigrafe è quella di Asella che risale al 394 che rivela moduli culturali e di costume così squisitamente cristiani da far pensare che quando essa fu scritta il cristianesimo fosse presente a Lipari da almeno un secolo.

Le testimonianze epigrafiche

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�� Come si può vedere la documentazione archeologica ci ha portato alla fine del IV secolo se non addirittura alla fine del III. Ed a questo punto che ci chiediamo se sia del tutto inconsistente la figura di Agatone I.

� Proprio il Duchense, nel passo citato da BernabòBrea, continua : “Potremmo giungere sino alla metà del sec. III se fosse prudente fidarsi della leggenda bizantina di Leontini”. E proprio su questa leggenda dobbiamo puntare la nostra attenzione.

Ma è veramente inconsistente storicamente la figura di Agatone I ?

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�� Questa leggenda di Lentini si chiama “Passio de Sanctis

Martyribus Alphio, Philadelphio, Cirino Leontinis in Sicilia”e parla del supplizio di tre martiri fra il 254 e il 259 al tempo delle persecuzioni dell’imperatore Valeriano, scritta dal monaco siculo-greco Basilio nel 964.

� A parte il fatto che narra di fatti accaduti ben sette secoli prima, presenta numerosi problemi critici che danno scarsa attendibilità a ciò che vi è narrato e descritto: pletorica la massa dei personaggi, troppi i misteriosi interventi dall’alto e le guarigione miracolose, frequenti le fantasiose apparizioni di santi amplificate sino all’inverosimile.

La leggenda di Lentini: la critica

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�� Un ampio estratto di questa leggenda si può trovare in G.Iacolino, Le isole Eolie nel risveglio delle memorie sopìte (Il primo millennio cristiano) pagg

72-85. Qui ci limitiamo alle linee essenziali.

� La leggenda parla di tre fratelli ( Alfio, Filadelfio e Cirino) nativi di un fantomatico paese dei Masconi che al tempo dell’imperatore Licino e del suo consigliere Valeriano, dopo essersi convertiti al Cristianesimo, vengono denunciati, arrestati e torturati. Spediti a Roma e consegnati a Valeriano sono rimandati in Sicilia a Taormina per essere giudicati dal prefetto Tertillo che solitamente dimorava a Lentini. Qui una nobildonna cristiana Tecla riesce a convincere Alessandro, braccio destro di Tertillo, a rilasciare i giovani. Ma lo stesso Alessandro, a questo punto cade in sospetto al tiranno e deve fuggire. Ed è in questa fuga che Alessandro incontra Agatone , vescovo di Lipari, anch’esso in fuga dalla sua isoletta.

La leggenda di Lentini : il contenuto

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Nelle due immagini piccole in alto un trittico dei tre santi Alfio, Filadelfio e Cirino e un quadro che li raffigura in carcere. Sotto a

sinistra una veduta di Lentini e a destra il santuario dei tre martiri a Trecastagni

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�� A questo proposito Basilio narra : “C’era nell’isola dei Liparitani

un Vescovo che si chiamava Agatone, uomo pio, timorato di Dio e abbastanza erudito nelle Sacre Scritture. Ora siccome con violenza grandissima e con enorme ferocia l’empio Diomede perseguitava colà i cristiani e ne uccideva molti, costui cercò anche del Vescovo Agatone per dargli la morte. Però Iddio il quale conosce ogni cosa prima che avvenga, dispose anche questo fatto straordinario : il beato Agatone, vedendo quel che avveniva in quest’isola e nelle altre isole vicine dove i ministri del demonio uccisero tutti i Cristiani, consultatosi con i principali cittadini, abbandonò il suo paese e con tre serventi s’imbarcò su un vascello e navigò verso la Sicilia…”.

La leggenda di Lentini: la fuga di Agatone da Lipari

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��Agatone sbarca ai piedi del monte Téreo e trova riparo in una spelonca sulle pendici del monte. Qui incontra Alessandro che si era dato alla macchia, lo istruisce nella cose della fede e lo battezza imponendogli il nuovo nome di Neofito. Più tardi gli conferisce il presbiterato e lo propone vescovo di Lentini. Intanto i tre giovani erano stati ripresi ed avevano subito il martirio. Gettati in un pozzo i loro corpi sono recuperati da Tecla. Il tiranno Tertillomuore trucidato personalmente dai tre fratelli discesi dal cielo.

La leggenda di Lentini: Agatone mette le basi della Chiesa di Lentini

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La chiesa madre di Lentini dedicata a Sant’Alfio a destra. A sinistra un’altra statua dei tre santi

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��Così la Chiesa ritrova la sua libertà e a Lentini la popolazione si converte per opera di Agatone e procede nel suo cammino di fede sotto la guida sapiente del giovane vescovo Neofito.

� “Dopo alcuni giorni i primi cittadini di Lipari e altri del Clero, avendo per divina rivelazione saputo che il beato Agatone era in Mesopoli di Lentini, presi da grande nostalgia, vennero alla casa di Tecla, e a lui dicono che la persecuzione contro i Cristiani è cessata e che essi ormai vivono tranquilli”. E così Agatone torna a Lipari.

La leggenda di Lentini: Agatone torna a Lipari

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�� Al di là della prolissità e delle iperboliche digressioni , secondo

Iacolino, il monaco Basilio avrebbe rispettato la verità di fondo.

� Della persecuzione da cui Agatone è fuggito esistono riscontri storici, così come della successiva pacificazione ai tempi dell’imperatore Gallieno.

� Se quella di Basilio è fantasia perché allora non far risalire la genesi della Chiesa Leontinese a quella di Siracusa che, rispetto alla periferica Chiesa di Lipari, vantava più nobili memorie e più solide tradizioni?

� Perché scegliersi un promotore fuggiasco per paura della persecuzione?

� Perché il ruolo che a Lentini esercitò il vescovo di Lipari doveva avere radici storiche da non potere sottacersi.

Secondo Iacolino Basilio avrebbe rispettato la verità di fondo

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��Questa tesi è suffragata dello storico benedettino Domenico Gaspare Lancia di Brolo, vissuto nel XIX secolo. Egli ritiene che “ l’autore di questi atti non abbia fatto altro se non stendere, nei medesimi luoghi dove avvennero i fatti narrati, le tradizioni che, poche scritte e molte orali, correvano su questi santi nella stessa Lentini, però, allargandole e infiorandole con discorsi e dettagli che, sebbene esagerati, non dovevano essere privi di fondamento: perciò ritengo questi atti, con tutti i loro difetti, essere tanto più preziosi per la nostra storia quanto ogni altra memoria di quell’epoca è perita”.

Una tesi suffragata dallo storico Gaspare Lancia di Brolo

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�� Comunque ammesso che San Bartolomeo sia giunto a Lipari

quando vescovo era Agatone e ammesso che Agatone I potrebbe anche essere una figura storica che governò la Chiesa di Lipari dal 251 al 313 ci sarebbe da chiedersi come mai è rimasta nella memoria una data così precisa : non solo l’anno ma anche il mese e il giorno.

� Per quanto riguarda l’anno, se riconosciamo il collegamento con Agatone I qualsiasi anno diventa plausibile se compreso fra il 251 ed il 313. Se poi consideriamo che in tempi assai vicini al 260 in alcuni territori dell’oriente ferveva un clima di livore antiromano ed anticristiano mentre in occidente l’imperatore Gallieno (260-268) istaurava un’era di pacificazione religiosa, la data del 264 potrebbe essere probabile.

La plausibilità dell’anno 264

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�� Quanto al mese e al giorno Iacolino avanza una tesi. Nell’Italia

romana era diffusissimo il “culto dei padri” che venivano onorati nelle feste “parentalia”.

� Le parentalia si celebravano dal 13 al 21 febbraio mentre a partire dal secolo IV, in onore del Genius del popolo romano (genius loci) si tenevano giochi per due giornate consecutive, l’11 e 12 febbraio.

� Si potrebbe ritenere che a Lipari fosse praticata almeno una delle sue celebrazioni, forse quella del Genius loci ( l’11 e 12 febbraio) e che, conclusasi tale festività pagana, i fedeli dell’isola facessero commemorazione del loro Genius loci impersonato dall’Apostolo San Bartolomeo.

� In seguito si motivò l’adozione di codesto giorno collegandolo all’arrivo del sacro corpo a Lipari.

Perché il 13 di febbraio?

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S. Bartolomeo nel Giudizio Universale

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�� Più facile è immaginare come avvenne il viaggio descritto dalla

leggenda in un periodo in cui si era sviluppata nella cristianità un’ansia per il recupero delle “memorie” della loro religione e per «cose», in genere, cui si diceva erano state trasmesse le virtù carismatiche e taumaturgiche dei rispettivi santi.

� Si può supporre – osserva Iacolino - che non lontano dall’arcipelago, nel basso Tirreno, nel III secolo che potrebbe essere anche il 264, ad una nave liparea, con equipaggio cristiano, venne fatto d’accostare una nave forestiera. Era questo un accadimento consueto. Con sorpresa i marinai nostri appresero della “disponibilità” di un “carico” di corpi santi . Forse resti di oscura provenienza, ma si giurava dall’altra parte, essere stati recuperati o trafugati sui lidi d’Oriente.

Come arrivarono le spoglie del Santo…al di là della leggenda

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�� Fra i corpi trasportati, affermavano i venditori, vi era anche il corpo di San Bartolomeo.

� Espressa l’ opzione per il corpo dell’Apostolo, l’imbarcazione liparea deve aver scortato l’imbarcazione forestiera sino alla propria isola e qui, nella rada di Pertinente, in tutta riservatezza, deve essere avvenuto lo sbarco e la consegna del prezioso carico.

�Dopo di che gli stranieri andarono per la loro strada forse verso altri lidi per consegnare altre reliquie.

L’acquisto della reliquia

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Il Vascelluzzo in argento contiene una reliquia del Santo

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��Questa ipotesi di una opportunità che si era posta di ottenere la reliquia – reale o supposta - di un Santo così prestigioso, apostolo e martire, collegato ad un sentimento di forte attenzione in una comunità cristiana ancora molto ristretta e caratterizzata da una identità che voleva distinguersi dal paganesimo greco e romano ancora dominante, forse convince di più di altre supposizioni che vogliono il culto di san Bartolomeo in qualche modo connesso o derivato da culti pagani preesistenti come quelli di Efesto, Dionisio e di Apollo.

Alla base della scelta del Patrono

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�� Quanti potevano essere i cristiani nella Lipari del III secolo?

Sulla consistenza della popolazione di Lipari sappiamo solo che nel I secolo a. C. le Eolie contavano approssimativamente 1.200 abitanti e due secoli dopo il numero doveva essere di poco cresciuto. Di questi circa un migliaio risiedevano nella città alta e, in minima parte, in pianura. Gli altri, contadini e pastori, erano sparsi qua e là per le isole minori. E’ credibile che a metà del III secolo il nucleo dei cristiani di Lipari risultasse composto da non più di cento o duecento aderenti.

� Comunque per quanto esiguo fosse il numero dei cristiani, un capo spirituale della famiglia dei credenti non poteva mancare, ed erano gli stessi fedeli che autonomamente lo eleggevano. Era, inoltre , la stessa insularità del luogo che richiedeva la presenza costante di un moderatore deputato all’esercizio del culto che chiamarono presbyteros, che vuol dire anziano, o episcopos che significa sovrintendente o presidente.

La consistenza della Chiesa liparese nel III secolo

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�� A Lipari, come altrove, i credenti si ritrovavano insieme ai

fratelli di fede nelle domeniche che era il «giorno del Signore» cioè il primo giorno della settimana dopo il sabato quando Gesù si era mostrato risorto, nei giorni festivi e nelle veglie notturne o vigilie che li precedevano ( giacché sulla scorta della tradizione ebraica la festività cominciava al tramonto della vigilia), in un locale chiuso e appartato per leggere le scritture, per cantare i salmi, per celebrare la cena eucaristica, per ascoltare il magistero del vescovo e per programmare gli interventi caritativi che la stessa assemblea segnalava.

� Il vescovo stava a capo della mensa assiso su di uno scanno sostenuto da pedana, con schienale e braccioli. Era questo seggio che si chiamava cathédra. Il luogo dove si teneva l’adunanza si chiamava semplicemente ecclesia, termine con cui si indicava l’adunanza dei fedeli e il luogo in cui si teneva.

L’ecclesia dei primi cristiani

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�� La chiesa come edificio non aveva la funzionalità né le forme

architettoniche, né le dimensioni di quelle che vediamo oggi. In origine, il luogo del raduno comunitario, altro non era che una vasta sala, o cenaculum, al piano terreno o al primo piano di una casa patrizia di campagna, oppure un’edicola funeraria o uno dei tanti ipogei cimiteriali di periferia e, ove ne esistevano, le catacombe, che erano pur esse cimiteri privati.

� Tutto fuori mano amavano fare i primi cristiani, oltre l’estremo limite dell’abitato. E ciò al semplice scopo di non suscitare le reazioni dei pagani. Alla luce di queste considerazioni si può pensare che l’ambiente della prima ecclesia dei Liparei fosse una villa aristocratica che sorgeva sull’elevato dosso della Maddalena. Lì accanto dovette essere innalzato ben presto un edificio funerario o, fors’anche, venne scavato un ipogeo o delimitato uno spazio cimiteriale dove potessero trovare decorosa sepoltura i membri della comunità.

A Lipari i primi cristiani si riunivano alla Maddalena?

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Uno degli ipogei che ancora sussiste …nell’abbandono

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�� Quello di convivere con i morti nella prospettiva della

resurrezione dei corpi e del giudizio di Dio, era una caratteristica dei cristiani di allora che definivano koimetérion ( cimiteri) cioè dormitori quelli che i pagani chiamavano necropoli. Ad avvalorare la tesi che la prima ecclesia fosse alla Maddalena si potrebbe citare la tradizione locale che vuole che la “cassa” di San Bartolomeo sia approdata a Portinente e che le spoglie siano state tumulate là dove oggi sorge la chiesetta di S. Bartolomeo extra moenia.

� Proprio nel luogo dove oggi sorge questa chiesetta, e nella piazzetta antistante dovette sorgere nel IV secolo dopo l’editto di Costantino ( a.313), la prima sede episcopale e la prima Cattedrale di Lipari. Un edificio modesto che col passare dei decenni, con l’accrescimento dei fedeli e per la diffusione della fama dei poteri taumaturgici della reliquia, subì trasformazioni e ingrandimenti fino a divenire quel “templum magnum” nel VI secolo di cui parla Gregorio di Tours.

I luoghi dei primi cristiani

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�� Più tardi, negli anni a cavallo tra il IV e V secolo, quando il Cristianesimo era ormai penetrato nella storia e nel costume degli isolani, è probabile ( anche se non ci sono riscontri storici), che la Cattedrale sia stata trasferita nella città alta ed abbia preso il posto di dove un tempo vi era il tempio di Efesto. Si sarebbe trattato di una basilica ad aula unica, con volta ogivale.

�Nell’altra chiesa di San Bartolomeo si continuò a custodire il corpo del Santo e quelli dei vescovi liparitani.

La Cattedrale è trasferita al Castello

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La Cattedrale al Castello

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FINE