Link. Idee Per La Televisione. Monografico McLuhan

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Numero monografico su Marshall McLuhan, 2013

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INDICE

MARSHALL McLUHAN

·

EDITORIALEdi Marco Paolini

—THE MEDIA PAGURU

di Fabio Guarnaccia—

PIANO, MARSHALL!di Stefano Bartezzaghi

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QUANDO LA POESIA ERA ILMEDIUM

di Raf Valvola Scelsi—

MARSHALL McLUHAN PARLA!di Matteo Bittanti

—SMASCHERANDO IL DR.

O’BLIVIONdi Elena Lamberti

—DENTRO LA SPOSAdi Violetta Bellocchio

—IL MEDIUM È IL SOGGETTO?

di Fulvio Carmagnola—

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SFORZATI DI (NON) RICORDAREdi Luca Barra

—L’EVOLUZIONE DELL’UOMO

MEDIALEdi Tuono Pettinato

—LA FISICA DI McLUHAN

di Massimo Temporelli—

IL PROFETA INVOLONTARIOdi Ruggero Eugeni

—IL MESSAGGIO DI TWITTER?

di Henry Jenkins—

LA NARCOSI DEL PRESENTE

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di Peppino Ortoleva—

CORPO DI CRISTO COSMICOdi Matteo Guarnaccia

—POP IS OUR BUSINESSdi Francesco Spampinato

—NON SAI NULLA DEL MIO

LAVORO!di Michele Boroni

—McLUHAN, IL CYBERPUNK E ME

di Carlo Freccero—

LE AZIONI DEL PROFETAdi Gianluigi Ricuperati

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—FOR DUMMIES

di Luca Barra

–––

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INTENTI

Link promette ai suoi lettori che il luogocomune su McLuhan sarà qui combattutocon ogni arma a disposizione,dall’analisi storica alla rielaborazioneironica.Per quanto (im)possibile, cercheremo:

DI NON DEFINIRE MARSHALLMcLUHAN COME IL GURU DEINUOVI MEDIA E DEL WEB.

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DI NON ESALTAREACRITICAMENTE LA CAPACITÀVISIONARIA DELL’UOMO E DELLOSTUDIOSO.

DI NON BUTTARLOALTERNATIVAMENTE TRA GLI“APOCALITTICI” E TRA GLI“INTEGRATI”.

DI NON NASCONDERE I TORTIDELLE SUE RAGIONI.

DI NON RICORRERE A FRASIFATTE, SLOGAN FINI A SE STESSIE CLICHÉ ABUSATI.

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DI NON USARE LA LOCUZIONE“DETERMINISTA TECNOLOGICO”.

DI NON FERMARCI ALL’IPSE DIXIT(A CENT’ANNI DALLA NASCITA, SIPUÒ ANDARE OLTRE).

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EDITORIALE·

di Marco Paolini

Marshall, come Che Guevara, è statofregato dall’immagine di se stesso, eforse considererebbe questo fatto unadelle tante ironie della storia:l’argentino è famoso grazie alle t-shirt,il canadese grazie a due frasi, “ilmedium è il messaggio” e il “villaggioglobale”; del resto, da La sposa

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meccanica a La Higuera, poco si sa.Il McLuhan di oggi, poi, ricorda ancheil Marx degli anni Settanta. Molti –ovviamente nella non grande cerchia dichi oggi si occupa di media, o di chiallora si occupava di politica – locitano; ma non molti lo hanno studiatodavvero.Quest’anno, infine, si è impersonatoanche nella vecchia zia Amelia. La ziaAmelia è quel parente che tutti abbiamoe che non vediamo mai, tranne a SantoStefano o giù di lì, quando èobbligatoria la visita di cortesia per gliauguri. Con la scusa del centenariodella nascita (strana data, in questocaso), tutti sono stati costretti alla visita

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di cortesia a McLuhan.Anche Link non ha potuto sottrarsiall’impegno e, buon ultimo, celebral’avvenimento.Troverete qualche pezzo adorante equalche altro più critico. Un’icona dadistruggere o un profeta da seguire.Proprio come il “Che”.L’unica avvertenza per il lettore è che“il contenuto è il succulento pezzo dicarne con cui il ladro distrae il cane daguardia dello spirito”.Quindi buona lettura, ma tantaattenzione.

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Intervista a Eric McLuhanTHE MEDIA PAGURU

·di Fabio Guarnaccia

Più che un guru, McLuhan era unpaguro. Come il delizioso crostaceo, ilMc canadese era solito abitare, davivo come da morto, case/maschereche non gli appartenevano. Leconchiglie abbandonate, da questopunto di vista, sono il mezzo ideale per

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confondere le acque e mostrare aglialtri ciò che siamo o, meglio, che nonsiamo.Con l’aiuto di Eric McLuhan, figlio diMarshall, proviamo a smontare letante maschere che hanno offuscato,ma anche reso famosa, una delle piùgrandi icone del Novecento.

Da bambino, tuo padre ti lasciavaguardare la tv? Hai qualche ricordo diquando ti insegnava a usare i media?Quando eravamo piccoli, l’interafamiglia guardava la tv. Devo direperò che siamo stati piuttosto lenti a

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prendere una tv. Nel 1958, i televisorierano piuttosto costosi e noi noneravamo particolarmente benestanti.Per molti anni, se mio padre venivaintervistato in tv, doveva andare atrovare un collega o un vicino pervedere il programma.Quando poi ne abbiamo avuto uno, cicomportavamo nel classico modo:seduti in semicerchio attorno altelevisore. La maggiorepreoccupazione allora erano leradiazioni, così facevamo attenzione astare lontani dallo schermo. A queitempi, papà non aveva particolariconsigli su come usare i media. Quellosuccesse più tardi, negli anni Sessanta

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e Settanta: allora, ci avvertiva chedovevamo limitare il più possibile lanostra esposizione e il nostro uso dellatv. Quando sono arrivati i nipoti, ilconsiglio era diventato di evitare la tvil più possibile.

Confrontavi e discutevi le tue idee e ituoi pensieri con lui? Puoi descrivercii modi in cui lavoravate assieme?L’ho fatto spesso, dopo un periodonell’aeronautica militare. In principionon ero pronto a lavorare con lui enon avevo alcun interesse nel suolavoro e nelle sue idee. Quando ero inservizio, ho maturato qualchecuriosità, e così mi sono sentito pronto

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alla collaborazione. Mi ha messosubito all’opera, ed è cominciata lì lamia vera educazione. Ho iniziato aleggere, profondamente edestesamente, i libri che lui stavaleggendo, e molti altri ancora.Nei quindici anni successivi abbiamodiscusso di tutto, fino a quando haavuto l’ictus. Il primo progetto su cuiabbiamo lavorato insieme è stato illibro Culture is Our Business, unostudio sulla pubblicità dopo l’arrivodella tv (La sposa meccanica eraancora uno studio pre-televisivo).Quasi ogni giorno facevamo unapausa, di solito nel pomeriggio, manon sempre, ci sedevamo e leggevamo

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insieme una pagina o due di FinnegansWake. Questa era già una forma dieducazione in sé, che coinvolgeva ognipezzo di letteratura mai prodottadall’Occidente. E comprendeva inoltremolte lingue, così ho iniziato ainteressarmi anche all’etimologia.Abbiamo lavorato insieme in ognimodo: parlando, discutendo, leggendo,dibattendo argomenti antichi emoderni, fatti di attualità, film, tv,qualsiasi cosa. L’ho aiutato apreparare discorsi e saggi, oltre a uncerto numero di libri (La legge deimedia e La città come aula portanoentrambi i nostri nomi).

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Hai curato La luce è il mezzo, un librosul rapporto tra tuo padre e lateologia. Secondo te, ha mai cercatodi interpretare la religione come unmezzo di comunicazione di massa?Per farla breve, no. Aveva sicuramentemolte cose da dire sulla condizionedella religione e della religiosità nelnostro tempo, ma non ha maiconsiderato la Chiesa o le sue attivitàalla stregua di un mass media.Ha prestato molta attenzione,comunque, agli effetti dei media vecchie nuovi sulla Chiesa e sulla sualiturgia, così come agli effetti sulpubblico, sia privato sia di massa.

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Su Marshall McLuhan sono stateapplicate molte maschere differenti: ilguru dei nuovi media, il cattolicoconservatore, il mito dellacontrocultura, l’icona pop. Qualepensi che sia la meno adeguata adescrivere tuo padre?È una domanda difficile, perché tuttiquesti epiteti riflettono quello chevedono le altre persone, ma non larealtà. Forse il peggiore tra quelliindicati è “guru”, un termine popolarein quel periodo (dai tardi anniSessanta fino ai Settanta): un grannumero di persone l’ha considerato ilproprio “guru” – anche se non eratanto un loro maestro, piuttosto un

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oggetto di ammirazione e adulazione.Vale la pena sottolineare che quasitutti negli anni Sessanta e Settanta nonhanno capito di cosa parlava miopadre nei suoi scritti e discorsi. I suoiammiratori lo ammiravano solo perchéera degno di ammirazione e, cosìpensavano, criptico. Lo stesso vale orache i suoi lavori sono riportati in vitae riletti da capo: ancora non locapiscono.Dicono che prevedeva questa o quellacosa ora estremamente diffusa. Ma, inrealtà, ha predetto davvero poco,anche se spesso era definito unprofeta: che poi è il modo in cui lepersone chiamano qualcuno che loro

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non capiscono ma che sembracomprendere le cose che trovanoopache.Una volta mio padre mi ha raccontatola sua tecnica per “prevedere” edessere infallibile: “guarda da vicino alpresente, fai l’inventario, descrivilomeglio che puoi, e la gente tietichetterà come profeta e dirà che seipazzo” (o un guru). Molti orasottolineano che finalmente vedono,sia pur debolmente, ciò che intendevacon “villaggio globale”: adesso lopossono “vedere” da soli. Adesso aloro sembra che sia andata così, epensano che mio padre stessepredicendo ciò che sarebbe capitato.

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In realtà, però, lui ha coniato la fraseper illustrare gli effetti della radio edella tv negli anni Venti e Trenta. Nonera decenni avanti rispetto al suotempo; lui era puntuale, semmai eradecenni avanti rispetto a loro.

Nell’intervista a Playboy, tuo padrespiega che ha dovuto iniziare astudiare i mass media per capiremeglio i suoi studenti e le loro idee.Perché, secondo te, un docente diinglese è diventato il più importantestudioso di media al mondo? Com’èpotuto accadere?Quando è giunto a Cambridge, là stavanascendo una nuova forma di impianto

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critico, poi nota come PracticalCriticism. Questo modello può essereapplicato a tutte le forme dicomunicazione: poesia, prosa, musica,pittura, scultura, teatro e così via.Spesso è collegato ad altri movimentidel New Criticism coevi e seguenti, masi distingue dagli altri sia per la suamobilità, sia perché è il solo aincludere il pubblico nell’ambitocritico. Quando lo spettatore vieneaggiunto all’analisi di una poesia,tutto assume un nuovo aspetto. Comecapita a ogni pubblicità, anche unapoesia o un saggio sono costruiti conun lettore in testa e con un effetto suquello spettatore.

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Una volta compreso questo, l’attocritico diventa esso stesso una partedella tradizione della retorica (che èbasata sul pubblico); senza di questo,il critico resta nell’ambito delladialettica e si deve focalizzare soltantosul prodotto. Una volta iniziato,comunque, a esaminare il pubblico el’effetto della comunicazione su diesso, ci si trova nel cuore profondodegli studi sui media. È così: propriola stessa procedura usata sulla poesiapuò servire a rendere altre “poesie”(oggetti costruiti) intelligibili.Mio padre ha scoperto che la chiave diaccesso ai media sta nei modi in cuiessi, e non i loro contenuti,

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riconfigurano le percezioni dei loroutenti. I contenuti hanno un effetto,certo, ma si tratta sempre di vecchiesituazioni rinnovate ancora comefigure sullo sfondo di una nuovatecnologia: quest’ultima e la suainfluenza rimangono spesso fuori dallanostra comprensione, e nel contempol’attenzione si fissa sul contenuto deiprogrammi.Mio padre ha poi capito che tutti imedia, vecchi e nuovi, formanoambienti che circondano l’utente(l’individuo o la società), e che sonoquesti a trasformare gli utenti. Sonoloro il “messaggio” delle cose nuove:loro e i cambiamenti che causano

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invisibilmente (perché l’utente guardaaltrove).Un’altra parola per ambiente, inquesto caso, è “medium”: il mezzo è ilmessaggio di ogni nuova forma.

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La scrittura orale e le figure delmutamento

PIANO, MARSHALL!·

di Stefano Bartezzaghi

Proposta per un catalogo di fenomeniche comprenda l’emoticon, iltormentone, la scrittura orale e leesposizioni in Power-point. Dove ilrabdomante aveva presentito la faldaacquifera è giunta un’alluvione.

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Il file su cui sto incominciando ascrivere questo pezzo è sovrapposto adaltri due file. Almeno così pare a me,nell’illusione che il desktop verticaledel computer sia davvero analogo aquello orizzontale della scrivania. Unodei file sottostanti contiene alcunecitazioni che avevo tratto tempo fa daMcLuhan (Understanding Media e Lasposa meccanica, soprattutto), perchémi sembrava probabile che miavrebbero fatto comodo in futuro;l’altro è un indice di alcuni miei scritti,destinati in maggior parte a giornali

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quotidiani, in cui ho poi effettivamentemenzionato McLuhan. Il risultato èdeludente su entrambi i fronti. Hoannotato molte meno frasi di McLuhan eho menzionato McLuhan molto meno diquanto pensassi o ricordassi.Ho parlato di McLuhan a proposito dimassaggi, di “libroidi”, di Grandefratello, di Gertrude Stein, diPubblicità progresso. Poco altro.Sono anche rimaste inerti nel miodesolato database citazioni che purecontinuo a trovare vivaci e robuste,come: “Non è forse evidente che nonappena la sequenza lascia il posto allasimultaneità si entra nel mondo dellastruttura e della configurazione?” (mi

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piacciono l’uso lieve della preterizionee l’uso sfacciato dell’aggettivo“evidente”). O come: “Douglass Caterracconta come gli uomini degli ufficistampa di Washington si divertissero acompletare o a riempire il vuoto dellapersonalità di Calvin Coolidge.Essendo egli così simile a un disegno altratto, sentivano la necessità dicompletarne l’immagine per lui e per ilsuo pubblico” (Coolidge è statopresidente negli anni del boom delcruciverba, 1923-29, mi incuriosival’allusione a un altro gioco da paginaenigmistica, del genere: “Completate lafigura proseguendo a vostro piacere itratti già presenti nella vignetta”). O

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come: “La calza di seta a rete è moltopiù sensuale del nylon, perché l’occhiodeve cooperare a riempire e acompletare l’immagine, esattamentecome nel mosaico dell’immaginetelevisiva”. Questa era in una schedinache avevo intitolato, con umorismo daidiot savant, “Esempi calzanti”.

DAL MASSAGGIO AL MESSAGGIO

Proprio a proposito di esempi calzanti,quello del massaggio lo è a proposito diquanto più a fondo si possa andareusando metodi vagamente mcluhaniani,o traendo da McLuhan quelle che un

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tenace tormentone nomina come“suggestioni”.Nella fase uno, o del pieno McLuhan, lostudioso canadese afferma: “il mediumè il messaggio”. Sconcerto e scandalo.Nella fase due, o del meta-McLuhan, lostudioso canadese si appropria di unlapsus o di un motto di spirito (ma ledue cose giungono a coincidere,nell’entropia della semiosfera), eafferma: “il medium è il massaggio”.Nuovo sconcerto e scandalo. Nellaterza fase, o del post-McLuhan, aMarshall morto non suscitano più néscandalo né sconcerto il convergeremateriale e fattuale dei componenti diquei fantasiosi aforismi. Mentre un

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cristiano non vedrà un cammello (o, conmaggiore aderenza all’originale, unrobusto canapo) passare per la cruna diun ago, un mcluhaniano in vacanza, neiprimi anni del terzo millennio, avràsentito aggirarsi per la popolosaspiaggia persone di provenienzaasiatica che sussurrano qualcosa a chi èdisteso al sole. Per un difetto dipronuncia pare che dicano “messaggio”,ma in realtà quello che offrono è un“massaggio”.L’errore, le due parole magiche“messaggio / massaggio”, ma purel’immigrazione dall’Asia,l’abbronzatura, il culto del corpo,l’organizzazione dei servizi negli

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stabilimenti balneari, cosa potrebbeessere escluso, oggi, dallo sguardo diMcLuhan? Dall’uomo-massa almasseur, dal massmediologo almassoterapeuta, siamo tutti sul lettino a“rilassarci”. L’anima stessa ne usciràrinfrancata, prima di ritornare adabitare il suo ben manipolato corpoterreno. E se già ieri il medium era ilmassaggio, oggi forse il massaggiatore èun medium.E a proposito del massaggio, c’è poi lafunzione vibrazione dei telefonini cherende letterale l’equivalenza-refuso tramessaggio e massaggio. Il messaggiosms arriva e fa vibrare il telefonino, ese lo stiamo tenendo in tasca ce ne

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accorgeremo per via tattile. Già in unsuo racconto degli anni Novanta,Vibravoll, Aldo Nove aveva intuito lepotenzialità pornografiche dellatecnologia, appena inaugurata, dellavibrazione nei telefoni portatili: lo dicoper ricordarci che nella GalassiaGutenberg oramai il sistema solare delporno non può più essere trascurato,data la sua rilevanza nella stessaformazione dell’immaginario sessualenegli adolescenti. Del resto, l’orizzontedegli argomenti possibili non ha fattoche estendersi.Forse è addirittura ozioso chiedersicosa direbbe oggi McLuhan di fronteall’universo esploso, o forse imploso,

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del “mediatico”. A partire già dallacuriosa parola che in italiano haesautorato il termine proprio e nonmarcato: mediale (che si usa solo neicomposti, multimediale o cross-mediale). Mediatico aggiunge un’ideadi “potere”, come se derivasse da unfantastico sostantivo mediazia.

UN PEZZO DI CARNE LANCIATOAL CANE

Mi chiedo se non sia proprio dovuto aquesta esplosione il fatto che McLuhanvenga citato non così spesso(comunque, più di pochi anni fa: sta

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tornando?). Si dà abbastanza perscontato, cioè, che un certo eclettismometodologico, un gusto per l’invenzionedegli strumenti e la fantasia della lorodenominazione, un’attenzioneall’aspetto materiale e sensoriale delmessaggio sia l’atteggiamento euristicopiù promettente nei confronti di unarealtà che, se appariva rutilante già alui, ora registra novità tecnologiche,commerciali e semiotiche ogni giorno,si può dire ogni minuto.Per aver la fama di autore oscuro,McLuhan riusciva a parlarechiarissimo. Per esempio, avevaricavato uno spunto decisivo da unsaggio di T.S. Eliot (uno dei suoi autori

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di culto, assieme a James Joyce, aLewis Carroll, a Ezra Pound e a EdgarAllan Poe). Eliot aveva detto che ilpoeta si serve del significato come unladro si serve del pezzo di carne chelancia al cane per distrarlo mentre lacasa viene svaligiata. SecondoMcLuhan i media fanno lo stesso con ilcontenuto. Pensare che i mediatrasmettano innanzitutto messaggi ècome pensare che la funzione dei ladrisia quella di cibare i nostri cani.Un paradosso, certo: ma non è tantofacile parlare di espressione econtenuto senza incorrere in paradossi.Non sarà proprio un caso che lapassione per i paradossi, i motti di

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spirito, i salti logici, accompagnatadall’invito a guardare più il dito che laluna, accomuni McLuhan a un altrogrande irregolare del pensiero e dellasaggistica del secondo Novecento,Jacques Lacan (che appunto rileggevaSigmund Freud dando un’importanzadecisiva al significante).Com’è noto, McLuhan aveva completatouna vita di affermazioni paradossali e diumoristica sophisticated comedy nelsuo flirt con i mass media, con il cameoin Annie Hall di Woody Allen.Nella scena il protagonista èossessionato da un professore dellaColumbia che sta dietro di lui nella filaper il cinema, e arringa una ragazza con

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un milione di bubbolemassmediologiche. Allora Allenimmagina di poter far comparireMarshall McLuhan in persona checonfuta le tesi del chiacchierone.McLuhan accettò di comparirepersonalmente nel film, e coniò unabattuta paradossale per zittire il suointerlocutore: “You mean my wholefallacy is wrong?”. La traduzioneitaliana (“Vuol dire che la mia utopia èutopica?”) è molto meno sottile: labattuta originale ci dice che McLuhanpoteva accettare il torto delle sueragioni, probabilmente perché sentiva leragioni del suo torto. E accettava diincarnare lui stesso un paradosso.

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Tanto i media non fanno altro cheribaltare, rovesciare, invertire di segno:ogni paradosso ha il suo quarto d’ora difunzionalità letterale. Che il medium siail messaggio, per esempio, non stupiscepiù nessuno che non desiderispecificamente esserne stupito. Nellafoto di un vip sulla pagina di unrotocalco non sarebbe tanto faciledistinguere il canale e il messaggio,secondo la vecchia terminologia;“prodotto” è il nome sia dell’articolopubblicizzato, sia del programma tvall’interno del quale vienepubblicizzato, sia dello spotpubblicitario.

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OLTRE GUTENBERG

La gabbia tipografica di Gutenberg èstata spalancata dalle tecnologie di ciòche è stato chiamato “libroide”, o anche“librido”: dalla trasportabilità allasemplificazione distributiva, dallepossibilità multimediali, crossmedialisino alla personalizzazione completadella propria copia. Qualcosa dianalogo e forse, in linea di principio,anche qualcosa di più profondo èaccaduto nel campo degli audiovisivi.Immagino che un mcluhaniano odiernodovrebbe passare parte del suo tempoad analizzare il modo in cui viene

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sfruttata la potenziale duttilità diimmagini e parole: gli effetti video, ilphotoshop, l’invenzione linguistica, lacampionatura musicale, l’animazione,l’iconismo linguistico. Nulla parerimanere se stesso a lungo. A più di unsecolo dallo sviluppo della fotografia edal cubismo, l’alta definizione, il 3D ele diverse tecnologie dell’informazionehanno aggiunto la dimensione dellaprofondità e la dimensione temporalefra quelle facilmente disponibili eriproducibili dai media.Sviluppo tecnologico di ogni singolomezzo; integrazione dei diversi mezzi;personalizzazione del discorso mediale(attraverso montaggio, rielaborazione,

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costruzione del palinsesto);comunicazione telematica a rete tra gliindividui. I quattro fenomenifondamentali che hanno interessato glianni che McLuhan non ha vissutorendono ardue soprattutto quellefunzioni di divulgazione e formazioneche tanto lo affascinavano negli anniCinquanta. È ancora possibile unprogetto di divulgazione enciclopedicao si scontrerebbe con la propensioneall’oblio, da un lato, e con la memoriasocializzata e ingovernabile diWikipedia, dall’altro?Per divulgazione, oggi, è difficileintendere un piano di disseminazioneuniforme di nozioni necessarie o almeno

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utili a ogni cittadino della classe media.A essere divulgate sono le notizie,soprattutto nella forma pratica del taked’agenzia, sintetizzabile in un titolo, unaschermata di videofonino, unsottopancia televisivo, un titoloscorrevole su display pubblico (come aTimes Square), uno strillo sullacopertina di un rotocalco. La metrica diquesti lanci rispetta il solo criteriodella loro visibilità in un solo colpod’occhio. La divulgazione oraleriguarda invece il gossip ol’indiscrezione, ovvero l’aneddoto nellamodalità – più o meno giustificata – delsegreto.I generi che si alternano nei rulli

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continui dei canali all news sono staticodificati recentemente dallo scrittoreDon DeLillo: news, sport, traffico,meteo. Il loro formato è standard, conmoduli espressivi e grafici giàpredisposti anche per le emergenze:neppure le breaking news produconouno squarcio completamente imprevisto.Per prendere davvero di sorpresa unnetwork informativo sembra che l’unicapossibilità sia un incidente che accadadirettamente al loro hardware: dallacaduta di un collegamento sino al sismache avviene negli studi, collegati indiretta tv. Il proverbio “quel che nonammazza, ingrassa”, nel caso dei media,è vero in senso letterale.

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Proprio l’andamento bulimico econtinuamente variato dello sviluppocomunicativo contemporaneo dovrebberendere un redivivo McLuhan piùprudente e meno ottimista non soltantosulle sorti della divulgazione culturale,ma anche sulla possibilità di creareschemi e periodizzazioni in cuiracchiudere la complessità di talesviluppo. In passato gli è stato possibileindividuare le tre invenzionifondamentali: l’invenzione dell’alfabetofonetico (fuoriuscita dall’ambienteprimitivo), l’invenzione della stampa acaratteri mobili (Galassia Gutenberg),invenzione del telegrafo (comparsadell’uomo elettrico). Quanti altri

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periodi si sono poi succeduti, daltelegrafo all’iPad?Lo stesso modello teorico esplicativo,si direbbe, deve entrare nel flusso dimutamento continuo che riguarda il suooggetto, anche perché lo stesso formatosensoriale delle diverse informazionicambia in continuazione. L’idealesarebbe disporre un catalogo difenomeni, anche minuti. L’“emoticon”,sintesi di scrittura-figura, analogico-convenzionale, interpunzione-rebus. Il“tormentone”, con la sua comunicazionevuota, puramente fàtica esincategorematica anche quando è inprincipio fornito di senso. Il “jingle”,variante musicale del tormentone, che

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può essere variato in modo comico,canzonatorio, infantilmente nonsense, osparire nella dimensione inavvertitadello sfondo sonoro. La nascita di unnuovo “stile scritto-orale” dominante, incui ogni procedimento di scrittura adisposizione si piega a una logica neo-espressiva, che pretende di restituiretoni di voce, punti d’enfasi, persinogesti. Le “esposizioni” in PowerPoint,con la loro inventio, dispositio, elocutioe memoria già messe a disposizionedell’utente, che deve provvedere la solaactio (o recitatio).Marshall McLuhan aveva cominciatogià con l’epos giornalistico della Sposameccanica a elencare e giustapporre

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tali fenomeni, in una sorta di blob ante(e meta-) litteram. Ma nel posto in cuiil rabdomante aveva presentito la faldaacquifera ora è giunta un’alluvione, cheha mescolato tutto e ha ridisegnatocompletamente il panorama.Di più: in campo mediale pare che lanozione stessa di panorama non possapiù essere considerata stabile. Nulla haun profilo fisso, nessuna linea ditendenza procede in modo univoco: nénello sviluppo tecnologico, né nellalogica della gestione imprenditoriale epolitica, né tantomeno nell’ideazione eproduzione dei contenuti.Forse occorrerebbe fare ancora unulteriore passo indietro: dal livello del

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singolo medium o dell’exemplumrappresentativo di una modalitàespressiva, arretrare alla ricerca dellemaggiori (maggiori per imponenza o perpervasività) figure generative chericorrono nei consumi culturali einformativi di massa. Tali figure, mipare di poter dire, compongono unasintassi del mutamento: sono laframmentazione, l’accelerazione, ladisseminazione, il mascheramento, lagiustapposizione, la variazione, ilrovesciamento, la traduzioneintersemiotica, il riversamento. Parole,immagini, affermazioni, frammenti,azioni, brand: tutto cambia natura, tuttopassa da un mezzo all’altro, lungo la sua

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vita mediale tutto deve rendersidisponibile a essere frammentato,accelerato, disseminato, mascherato,giustapposto, variato, rovesciato,ritradotto, riversato… Che si parli dimarchi, di trasmissioni televisive, diapplicazioni, di partiti e movimentipolitici, di videogame o di vip, ilfunzionamento produttivo e distributivodi ogni corpuscolo, di ogni onda dellagalassia mediale sembra dipendere dalsuo individuale adattamento a talimutevoli figure del mutamento.

———Stefano Bartezzaghi. Saggista edenigmista. Ha tenuto rubriche di posta e

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giochi con i lettori de La Stampa(1987-2000) e di Repubblica (dal 2000a oggi). Si occupa di giochi e linguaggicontemporanei e scrive di televisioneper l’Espresso. Insegna Semioticadell’enigma allo Iulm di Milano. I suoiultimi libri sono: Scrittori giocatori(Einaudi, Torino 2010); Non se ne puòpiù. Il libro dei tormentoni(Mondadori, Milano 2010); Sedia asdraio. Giochi impensati per svagarela mente (Salani, Milano 2011), Comedire. Galateo della comunicazione(Mondadori, Milano 2011).

———

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Gli anni dell’apprendistatoQUANDO LA POESIA ERA IL

MEDIUM·

di Raf Valvola Scelsi

Se un oscuro studioso di letteratura èriuscito a diventare il più importanteteorico dei media ci saranno dellebuone ragioni. Qui si dice quali sono.

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La lettura dei media data da McLuhannon è un fiore nel deserto, ma larisultante storica di un dibattitocomplesso, che in modo sotterraneo esignificativo ha attraversato gli anniVenti e Trenta. La nuova criticaletteraria, l’avvento della radio e delcinema sonoro, il dibattito sui media, lostar system, la nascita del marketing edell’offerta pubblicitaria, tutto questocontribuisce a stratificare un campo distudi che nell’arco di circa vent’anniavrà in McLuhan uno dei suoi più lucidiinterpreti.Ma la domanda di fondo a cui pochihanno cercato di dare risposta è: come

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mai un professore canadese diletteratura inglese, appassionato diShakespeare, con una formazioneintellettuale estranea alle avanguardieletterarie e artistiche che da tempointrattenevano un rapporto creativo conle tecnologie, e conservatore, a un certopunto si orienta a studiare in profonditàil sistema dei media, peraltro in grandeanticipo sui suoi contemporanei? Checosa lo motiva? C’è forse qualcosanella sua biografia intellettuale,formatasi in modo decisivo negli anniTrenta, ad averlo indotto? Quali gliincroci intellettuali cruciali da questopunto di vista?Il momento decisivo è il suo arrivo a

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Cambridge, università radicalmente agliantipodi da quella canadese diManitoba, dove McLuhan si era appenalaureato in letteratura inglese. Neglianni Trenta, Cambridge è una culla delpensiero critico, dalla letteraturaall’economia, dal neomarxismo aldibattito sui nuovi media, esegnatamente sulle caratteristicheinnovative del cinema europeo ispiratodall’opera di Sergei Ejzenštejn, spessopresente di persona nei cineclub d’essaiorganizzati all’interno dell’universitàinglese.McLuhan in più occasioni mostra ditrovarsi a disagio in un ambiente cosìradicale, e cerca in particolare negli

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ambienti cattolici formatisi intorno allafigura di C.K. Chesterton una valvola disfogo ideologica. Gli anni Trenta, ineffetti, sono stati importanti per lapresenza cattolica in Gran Bretagna, chesi rafforza fortemente sul pianoorganizzativo e del proselitismo, ascapito della maggioritaria presenzaanglicana. L’acquisto, fatto nell’estatedel 1932, di What’s Wrong with theWorld di G.K Chesterston, rappresentaper certi versi la chiave di voltadecisiva nell’avvicinamento diMcLuhan al cattolicesimo, a cui erastato già introdotto negli anni precedentidalla madre.

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GLI ANNI DEL NUOVO CRITICISMO

All’inizio dell’ottobre 1934 mcluhangiunge a Cambridge. Dopo aver trovatouna sistemazione riservata eaccogliente, fin da subito si immergenella vita universitaria enell’approfondimento di autori che finoad allora aveva solo sfiorato: EzraPound, Hilaire Belloc – il fondatore conChesterton del distributismo cattolico –,Ernest Hemingway. Poi Joyce, letto conmolta lentezza, come ebbe a dichiararenelle Lettere. E poi ancora JacquesMaritain e Montaigne. Passano solopochi mesi, all’inizio del 1935, e

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McLuhan esprime, sempre nelleLettere, ammirazione per la grandezzadi Eliot. La costellazione teoricafondativa del giovane Marshall si forgiacosì in pochi mesi in modo pressochédefinitivo.

Ho scoperto Maritain simultaneamenteall’opera di Richards, ed Eliot, edEzra Pound e James Joyce e WyndhamLewis. Ognuno di loro sembra esserecorrelato agli altri in modi moltodifferenti, e ognuno sembra arricchirel’altro. Assieme ai lavori di pittori escenografi contemporanei, e il mondodi Sergei Ejzenstejn e la musica, siaveva esperienza di una nuova cultura

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molto ricca, in cui il grandeintellettuale Maritain era un notevoleornamento: Maritain aiutava acompletare il vortice di componentisignificative in un singolo logoluminoso del nostro tempo[1].

Era anche un nuovo universo sociale.Erano passati solamente quattro mesidal suo arrivo in Inghilterra, era ilfebbraio del 1935, e McLuhan era giàarrivato alla determinazione di quantofosse stato inutile il suo curriculumuniversitario canadese.Scegliendo Cambridge, invece diOxford, McLuhan aveva avuto buonfiuto. In quel momento Cambridge era

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l’università che dettava gli stilemi dellanuova critica letteraria. A Oxfordinvece i corsi di letteratura eranoincentrati su ricerche intorno alle formedialettali e alle poesie dei tempi diChaucer. Non riflettevano sulla poesiacontemporanea. Uno dei grandi colleghidi McLuhan nell’università di Torontodegli anni Cinquanta, Northrop Frye,che stava studiando letteratura neglianni Trenta proprio a Oxford, cosìdescrive il clima: “Si era ancora sottola dettatura della vecchia filologiaottocentesca, che era in realtà unaconcezione imperialistica. La cosaprimaria era il linguaggio, e laletteratura derivava da questo”.

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Tra i professori più importanti aCambridge, McLuhan incontròl’insegnamento di I.A. Richards, di cuifrequentò le lezioni di filosofia dellaretorica nel primo anno di corso, già nelgennaio del 1935. Richards dal punto divista dello studio della letteratura fufondamentale per McLuhan, anche sequesti non ne approvava una serie dicomportamenti e idee filosofiche diimpronta materialista, che tendevano aleggere tutta la sensibilità umana comemossa da “stimoli” e “impulsi”.Practical Criticism, la cui primaedizione è del 1929, espone i risultati diuna sorta di suo esperimento didattico.Richards aveva inframmezzato alcune

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buone poesie con altre veramentemediocri, senza indicare in calcel’autore delle une e delle altre, per poisottoporle al giudizio dei suoi studenti.A nessuna di queste poesie quindiveniva associata l’attribuzionedell’autore, risultando così anonime. Ilrisultato apparve agli occhi delprofessor Richards sconvolgente: moltistudenti erano attratti da alcune tra lepiù brutte delle poesie proposte. Perporre rimedio a questa totaleincompetenza critica, Richards propose“esercizi in analisi ed educazionedell’abitudine di osservare la poesia inquanto grado di espressione”. Peranalizzare la poesia, Richards abituò i

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suoi studenti a porre una maggioreattenzione alle effettive parole e a comeesse lavoravano nel lettore, rompendocon i fantasmi della bellezza e dellaverità, capisaldi dell’estetica ereditatadall’Ottocento, o con la poesia intesacome espressiva di una specifica fasedella vita del poeta oppure del periodostorico in cui è stata scritta. Nellalettura di Richards, una poesia èsemplicemente una suprema forma diespressione umana, una modalità dicomunicazione di un’esperienza.Ciò che colpisce McLuhan è senz’altroil peso attribuito alla parola, per la suaampiezza semantica, in cui ognicostruzione verbale viene vista come in

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sé ambigua:

Richards è stato un pionierenell’esercizio della sensibilità. Oggi, illinguaggio, indispensabile modo delpensiero, è in pericolo per un cinismoorganizzato che insiste nello sfruttarela stupidità di molti […]. La pubblicitàmoderna, in sé, presenta una forzaprofondamente irresponsabile chesfrutta il linguaggio tramite l’inganno,o piuttosto la coercizione, dei molti[…]. E la pubblicità è solo una delleforze che stanno disintegrando ilmezzo di espressione (del poeta) edistruggendo i maggiori mezzi di realecomunicazione tra gli uomini. Ma non

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solo la poesia è in pericolo[2].

Richards è stato interpretato, sulle ormedi T.S. Eliot, come uno deglianticipatori teorici del New Criticism.Il termine in realtà verrà definito solosuccessivamente in America, nel 1941,a seguito della pubblicazionedell’antologia omonima curata da J.C.Ramson, uno dei maggiori esponentidella corrente Southern Agrarian. Inrealtà, seppur definitosi formalmentesolo negli anni Quaranta, in America ilNew Criticism racchiude l’attività di unristretto gruppo di docenti dellaVanderbilt University, nel Tennessee(tra cui anche Allen Tate, Cleanth

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Brooks e Robert Penn Warren), che daalmeno un paio di decenni aveva fattoproprie, rielaborandole, molte intuizionicritico-teoriche sulla letteraturaespresse da Richards e T.S. Eliot.Il New Criticism ha rappresentato unavera e propria scuola critica in grado diinnervare e influenzare profondamentel’insegnamento della letteratura anglo-americana nelle università statunitensi,perlomeno fino alla fine degli anniSessanta. Il nome stesso della correnteera ovviamente polemico nei confrontidella critica letteraria di impostazioneottocentesca. Come le contemporaneescuole del formalismo russo e per certiversi lo strutturalismo, il New Criticism

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tendeva ad assegnare un’importanzacruciale al testo in quanto tale, vistocome un tutt’uno, autoesplicativo seopportunamente interrogato concategorie critiche adeguate. Da qui ilrifiuto di attribuire grande importanza atutte quelle motivazioni extratestuali:implicazioni sociali, storiche,biografiche, morali e filosofiche chefossero.I primi passi del New Criticism furonoispirati, come già dicevamo, dalleteorie di I.A. Richards, ma anche diT.S. Eliot. Eliot già in un suo saggio del1919 (Tradition and the IndividualTalent) sostiene che il poeta non deveesprimere la sua personalità, ma il suo

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medium, cioè i mezzi e la sostanza dellasua arte. Il compito del poeta non èquindi di esprimere il grido del cuore,ma un dramma consistente in “unastruttura di voce e di gesti, unadialettica di attitudini e di forme”. Alcuore del linguaggio poetico si collocala metafora, unione di pensiero esensazione. Il poeta non comunica cheattraverso un “correlativo oggettivo”:ogni pensiero ed emozione che il poetavuole comunicare non può che essereattraverso un oggetto o una catena diavvenimenti che contengano in potenzaquell’emozione o pensiero. Ma ècertamente Richards a cercare didefinire in maniera più coerente il

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linguaggio poetico e l’atto della lettura.Per lui l’intento della poesia è distimolare certe risposte nel lettore, dicreare degli impulsi che faccianoscattare delle reazioni psichiche,risposte che devono, quando l’operad’arte è di valore, tendere a unatensione armonica delle diverse forzepsichiche. L’alta poesia si caratterizzaquindi per un delicato equilibrio diopposti fattori sempre in stato ditensione. In realtà, in Richards è inazione una sorta di “teoria affettivadell’arte”. Alla base della sua visionedell’arte è la teoria catartica diderivazione aristotelica: “la poesiaamplia la nostra mente”[3], ma anche

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“la poesia come scuola disensibilità”[4]. Nella poesia esistonoquindi delle norme interne in grado disuscitare una reazione nel lettore.Anche i due saggi di critica estetico-letteraria scritti da Edgar Allan Poe perspiegare l’efficacia della sua celebrepoesia The Raven (Il corvo)convergevano verso questaimpostazione. Coleridge, Poe, Eliot,Dilthey: nomi importanti per una teoriache avrebbe rivoluzionato in mododecisivo la critica letteraria. E quando,pochi anni dopo, nel 1930, Empsonscrive Sette tipi di ambiguità, i nuovicritici americani vedono proprio inquest’opera la concretizzazione finale

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del nuovo canone estetico.Un altro punto cruciale dei New Criticssta nella cosiddetta “close reading”(lettura ravvicinata), vicina a ciò che iltesto dice e a come lo dice. Il testoletterario contiene tutto ciò che servealla sua interpretazione: i sensi perdutidelle parole, i plurilivello disignificato, le figure retoriche diventanoquindi guide importanti per la suainterpretazione.Empson aveva all’epoca solamenteventicinque anni, e in seguito sarebbediventato uno dei più importanti poetiinglesi del Novecento, seppur non tra ipiù prolifici. A quanto raccontaRichards, Empson prese ispirazione

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dalla lettura data da Robert Graves deisonetti shakespeariani, letti in tutta laloro “complessità e polivalenza disignificati, oscurate dai modernicuratori dei testi [di Shakespeare] chene ‘regolarizzavano’ ortografia einterpunzione riducendo il sonetto a ununico significato”[5]. Empson cercò diestendere questo metodo critico chesembrava promettere grandi risultatiinterpretativi. L’opera di Empson è untentativo di classificazione delle varieambiguità presenti in poesia, che perdefinizione deve garantire una serieaperta di possibilità interpretative. Sitratta di una sensibilità critica che non acaso emerge in un periodo storico della

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letteratura in cui autori di peso, bastipensare a Joyce nel monologo di MollyBloom o in Finnegans Wake, fannodella plurisignificazione verbale il filorosso della propria ricerca letteraria.Ma torniamo brevemente al côtéamericano del New Criticism.Ransom, il fondatore, sviluppa unacritica serrata proprio nei confrontidella “teoria affettiva” di Richards. Peril critico americano, il grande errore diRichards consisteva nel situare lapoesia proprio nella risposta dellettore, quindi in sede ultima nellateoria dell’Einfühlung. Diversamente,per Ramson bisognava rintracciare unavalidità oggettiva “per sé” della poesia.

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L’oggetto poetico per lui è “unorganismo vitale governato da proprieleggi, e che rinvia non a una coscienzastrutturante, ma alla sua organizzazionee alla sua specifica vita. Questaconcezione ‘organicistica’ è centralenel nuovo criticismo. La poesia èoggetto sensibile e organismo autonomovivente dove tutto si tiene, e dove tutto ènecessario”.Entrambi gli aspetti avranno di fatto unaforte eco in McLuhan. Da una parte ilcalcare la mano sulle legalità interne,sulle leggi strutturali del medium-poesia, ma dall’altra anche il pesoattribuito alla capacità interpretativa delsoggetto, mosso psichicamente a reagire

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proprio dalle caratteristiche interne delmedium stesso (in questo caso lapoesia). Si trattava “solamente” diallargare il campo di applicazione delconcetto di medium, spostandol’accento dalla poesia agli altri mediache con prepotenza stavano occupandoil panorama psichico collettivo.McLuhan sarà il primo a capire laquestione nei suoi termini essenziali.

L’ETÀ DI ELIOT

Joyce ed Eliot, ma anche D.H.Lawrence e Virginia Woolf, verrannotutti quanti definiti “modernisti”, un

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indirizzo estetico-letterario certamentevago nei contorni, ma che faceva i conticon l’apparire tumultuoso dellamodernità nella società del primodopoguerra. In questi autori lamodernità, e il sorgere dei media, trovaspazio nell’opera letteraria,diventandone protagonista importante.Nelle loro opere tutto sembra invocaree ispirarsi a un generale stato di ansia,il sentimento più diffuso nelle società dimassa del primo dopoguerra[6].Così il periodo moderno, nonostante glistupefacenti progressi scientifici,appare agli antipodi dell’Illuminismodel Settecento: il potere della macchinaè contrapposto all’impotente perplessità

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dell’uomo, e prevale un punto di vistapessimistico. Le opere che segnano inInghilterra la svolta di un nuovo climasono Sons and Lovers (1913) di D.H.Lawrence, The Waste Land di T.S.Eliot, Ulysses di J. Joyce (entrambi del1922) e Mrs. Dalloway (1925) diVirginia Woolf: opere che deviarono suuna nuova strada la letteraturainglese[7].In questa temperie psicologica dimassa, guadagnano importanza, in talunicasi fino a essere riscoperti, autoriclassici, “dimenticati” dal gustodominante del periodo storicoprecedente. Tra questi certamenteDante, cruciale in Eliot e non solo,

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grazie anche alla mediazione culturalegiocata da Ezra Pound, e i cosiddetti“metafisici” del Seicento, tra cui JohnDonne. Veniva percepita, difatti, inmolti letterati inglesi del Primodopoguerra, una profonda analogia traSeicento e primo Novecento, dueperiodi nei quali erano venuti a mancareper ragioni diverse il consolidato perno“tradizionale” di interpretazione delmondo e la collocazione “naturale”dell’uomo nel mondo. Nel Seicento ilturbamento era dovuto da una parte allanuove scoperte scientifiche che di fattorelativizzavano la centralità umananell’universo, dall’altra all’esplosionedell’unità cattolica che aveva

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insanguinato tutta l’Europa per più di unsecolo. Nel primo Novecento ebbe unpeso cruciale la Prima guerra mondialee l’apparire tumultuoso della modernità:“il razionalismo scientifico del Sei-Settecento aveva portato unadissociazione della sensibilità, onde lanecessità di una reintegrazione da partedei poeti”[8].Eliot riveste nel periodo tra le dueguerre un’importanza straordinaria, siaper quanto riguarda la definizione delnuovo canone poetico sia dal punto divista critico-interpretativo, tanto daindurre alcuni critici a ribattezzarequesto periodo “l’età di Eliot”.Oggi, in una fase storica in cui la poesia

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è frequentata solo da una ristretta élitedi appassionati, potrebbe apparireperlomeno “sorprendente” che a unpoeta potesse essere attribuito un cosìgrande peso culturale, ben prima tral’altro che Eliot diventasse direttoreeditoriale della casa editrice londineseFaber. Ma come emerge con evidenzadurante la vita di trincea della Primaguerra mondiale, è questa una fasestorica in cui il consumo di poesia èdiffuso in modo capillare in tutti glistrati della società inglese. Nelcomplesso dei media dell’epoca, difatti,la poesia riveste un ruolo cruciale,decisivo nella produzione di sensosociale.

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Non solo, anche dal punto di vistapolitico Eliot riveste un ruolo di primagrandezza, dirigendo dapprima unarivista quale The Criterion (dal 1922 al1939), importante non solo nell’imporrei nuovi canoni estetici, ma anche dalpunto di vista ideologico conservatore.La sua “idea di una società cristiana”,titolo di un libro che raccoglie le suelezioni-conferenza sul cristianesimo esul modello di società etica,pronunciate appena prima dello scoppiodella Seconda guerra mondiale,assumerà il valore di manifesto“politico-etico” per l’intero pensieroconservatore anglo-americanonell’immediato secondo dopoguerra,

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come per certi versi ci confermal’opera dell’ideologo conservatoreamericano Russell Kirk[9].Eliot si inserisce a gran voce in unatendenza che attraversa l’ideologiadelle classi medie tra le due guerre,contemporaneamente alla crisieconomica e strutturale che sarebbeesplosa con il crollo del 1929:l’anticapitalismo postromantico.“Questa corrente ebbe come perno lacritica del liberalismo […],dell’individualismo e dell’assenza di un‘centro’ nel capitalismo contemporaneo,cui volle opporre una restaurazione acarattere gerarchico, tradizionalista eaccentrato (la formula trinitaria di Eliot;

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‘monarchico in politica, classicista inletteratura, anglicano inreligione’)”[10]. Il problema reale –diceva Moretti negli anni Settanta – eraquello dell’egemonia che la borghesiadoveva ricostruire per porre fine alperiodo di instabilità sociale e di crisidi consenso dei primi anni deldopoguerra.Resta da spiegare la forza propulsivadelle sue idee critico-estetiche, seppurattraverso la mediazione in primis diRichards e i New Critics, su MarshallMcLuhan.Innanzitutto, è qui da premettere che lariflessione estetica di Eliot non sipresenta come un tutto coerente. Essa

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contiene in sé diversi aspetticontraddittori: giudizi asseriti con forzasoprattutto negli anni Venti vengonolevigati o addirittura contraddetti nelleopere successive, soprattutto a partiredagli anni Quaranta. Ma entriamo nelmerito. Un elemento costante in Eliot stanel fatto che la poesia viene rifiutatacome mero documento sociale. Daquesto assunto discende un rifiuto nettoverso tutto ciò che è storia e storico. Unatteggiamento questo che verrà ripresodai New Critics e che gli verràcontestata aspramente dal cosiddetto“indirizzo sociologico” della criticaletteraria (molto agguerrito negli anniTrenta) e dalla riflessione estetica che

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si ispirava a posizioni marxiste. PerEliot, la lettura della poesia nonguadagna in nulla dalla suacontestualizzazione storico-sociale:“smontare il meccanismo” guasta ilgodimento della poesia[11]. La letturadeve essere lasciata al lettore, quasifosse un’opera aperta. Nel momento incui abbandona l’autore, l’opera diventaautonoma, con una vita indipendente dalsuo creatore. “L’interpretazione dellettore può differire da quelladell’autore ed essere egualmente valida,può anche essere migliore”[12].Insomma, l’opera d’arte si colloca daqualche parte, in uno spazio intermediotra lo scrittore e il lettore. La poesia “in

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un certo senso ha una vita propria… Isentimenti, le emozioni, le immagini chenascono dalla poesia sono qualcosa didiverso da quelli della mente delpoeta”[13].Sarà questa impostazione a indirizzarloverso la formulazione della celeberrima“teoria dell’impersonalità dell’operad’arte”, un assunto teorico gravido diulteriori derivazioni soprattutto apartire dal secondo dopoguerra. Uncorollario di tale teoria legge l’operacome un qualcosa non solo indipendentedal creatore, ma rispondente a leggi sueinterne. Per dirla come potrebbeformularla McLuhan, ogni mediumagisce in base a sue caratteristiche

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specifiche, a sue legalità interne[14].Anche la poesia deve essere pertantointesa come un medium con specifichecaratteristiche interne.Per poter agire, il poeta deve peròcontare su una sorta di sensibilitàunificata, una modalità del sentire ingrado di passare dal sentimentoall’oggetto, come se tra l’uno e l’altronon esistessero distinzioni. Il poetadeve avere una sensibilità unificata perpoter passare dal sentimentoall’oggetto. L’apparire di una fratturanella mente umana (ma in questo casodovremmo dire forse piùappropriatamente nella mente sociale diun’epoca), composta originariamente di

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pensiero e sentimento, segna quindil’inizio della decadenza della poesiainglese. La dissociazione dellasensibilità, la perdita della fusioneideale di intelletto ed emozione, diventaquindi il nucleo generativodell’evoluzione storica della poesia.Fino al Seicento questa frattura nellamente dei poeti non si dà: pensare,vedere e sentire sono un tutt’uno. È nelSeicento che avviene la frattura fatale.Per la verità, questo di Eliot è un nucleoconcettuale sufficientemente condivisonegli anni a cavallo delle due guerre.Basti pensare alle considerazionianaloghe per intensità fatte da D.H.Lawrence – un autore per taluni versi

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agli antipodi del poeta – sulla frattura(anch’essa originatasi nel Seicento) trasensibilità e sessualità, nel suo saggioFantasia dell’inconscio o allevalutazioni entusiastiche sul Medioevofatte da Ezra Pound, o anche allo stessoDisagio della civiltà di Freud, opersino a Spengler. Quasi a voler farquadrare il cerchio teorico quiproposto, anche McLuhan rintraccerànel Seicento una grande cesura nelprocesso di trasformazione dellasensibilità umana, dopo la prima fasesegnata dal passaggio dalla culturaorale alla scrittura nel V-IV a.C. Laseconda fase coincide con l’introiezionesociale dell’invenzione gutenberghiana,

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con la nascita della lettura interiore deltesto e l’affermarsi delle filosofieindividualistiche secentesche.Eliot quindi disprezza il Settecento,come tanti pensatori anti-illuministi econservatori che l’avevano preceduto, erifiuta anche il Romanticismo,nonostante l’atteggiamento ambivalenteverso quello inglese. Il suo è un chiarotentativo di rispondere alle ragioni cheportano alla crisi della modernità. Nonsolo quindi scrivendo un’opera comeThe Waste Land, tutta incentrata sullapresenza della morte nella cittàmoderna, ma anche elaborando unapropria filosofia della storia chesottotraccia ispira l’intera sua

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elaborazione. Ma essendo una filosofiadella storia orientata verso una radicatae ancestrale nostalgia di un tempotalmente lontano da non poter essereneppure distintamente pensato eidentificato, per rovesciamentodialettico il suo portato politico siincastona inevitabilmente inun’affermazione di fede verso quelletradizioni che ancora resistevano saldenell’Inghilterra di primo Novecento:anglicanesimo, monarchia, valoritradizionali, classicismo in letteratura.

McLUHAN NEI PRIMI ANNITRENTA

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Negli anni a venire McLuhan sisorprese a ripensare a quel periodo e acapire, unico tra tutti gli studenti, larilevanza che avrebbe avutoquell’approccio per lo studio ai mediaelettronici: le parole non devono esserestudiate in base al loro contenuto, ma inbase al loro effetto, il contenuto dellapoesia sta nel lettore della poesiastessa.Ma la persona che gli allargò la visualesulle applicazioni possibili del NewCriticism fu un altro professore diletteratura di Cambridge, FrankRaymond Leavis, di cui McLuhandiventerà nei successivi dieci anni una

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sorta di discepolo critico.A Cambridge Leavis occupava un ruolodi un certo rilievo, anche per la suagrande disponibilità nel relazionarsicon gli studenti. È vero che occupavagran parte del suo tempo a editare la suarivista letteraria Scrutiny, ma ospitavaal contempo in casa sua una sorta dicenacolo, aperto a tutti gli studenti, ognivenerdì pomeriggio. Un modello questoche verrà replicato dallo stessoMcLuhan negli anni Cinquanta quandoinsegnerà in Canada. I “leavises” eranoperlopiù ex studenti di Richards einevitabilmente sedimentarono in mododecisivo la loro influenza su McLuhan.Leavis viene descritto dal giovane

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Marshall come un “idealista senzacompromessi, una persona non tattica,impaziente, ma anche vana e affettata”,e quel cenacolo addirittura un “nido dicomunisti”[15], ma resta il fatto diun’influenza e soprattutto di un metododi lavoro che avrebbe germinato conforza poco più di dieci anni dopo.Il suo libro Culture and Environment,scritto con Denys Thompson epubblicato nel 1933, dimostrava comeil potere della critica potesse essereesercitato non solamente sullaletteratura ma anche sull’ambientesociale. Il tutto inserito in un quadrogenerale in cui Leavis criticava glieffetti della modernizzazione,

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prendendo atto di come essa fosse statadeleteria sulle modalità di vitadell’antica comunità organica inglese.Un punto di vista che convergeva conl’impostazione di molti intellettuali,anche cattolici, tra cui Chesterton eBelloc. Leavis assegnava d’altro cantoun’importanza straordinaria a tutto ciòche manifestava una forte carica vitale.Ecco la cifra di contesto che permette dicomprendere la sua valutazione positivanei confronti di Conrad, Henry James eGeorge Eliot, ma soprattutto D.H.Lawrence, messo al bando più assolutonella bacchettona Inghilterra di fine anniVenti, che vietò la pubblicazionedell’Amante di Lady Chatterley.

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Leavis dà quindi corpo all’idea dicultura vista come una pratica critica,ponendosi con piglio battagliero difronte alla diffusione e allo sviluppo deimedia. Vuole far nascere, tramitel’educazione letteraria e l’uso adeguatodi strumenti critici, degli antidotisociali in grado di neutralizzare gliaspetti più perniciosi e pericolosi dellapubblicità e degli altri medium. Nonquindi un uso astratto della letteratura,ma l’applicazione degli strumentianalitico letterari nel corpo vivo deldiscorso pubblicitario.Leavis in sostanza legge la cultura comeuna strategia di resistenza, brandendolacontro gli aspetti più deleteri della

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nuova società. È proprio il cimentarsinel concreto ad affascinare il lettorecontemporaneo. Culture andEnvironment è pensato come strumentoper insegnanti e studenti. Progetta illibro, applicando alcune dellemetodologie sviluppate da Richardsrelativamente alla poesia. “Noi nonpossiamo […] lasciare che il cittadinosia formato inconsapevolmente dal suoambiente; se qualcosa come una ideadegna di una vita soddisfacente deveessere salvata, egli dev’essere allenatoa discriminare e resistere”[16]; “unhabitus critico deve esseresistematicamente inculcato”[17]. “Lacritica pratica – l’analisi della prosa e

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del verso – deve essere estesaall’analisi della pubblicità (il modo dirichiamo che viene fatto e lecaratteristiche stilistiche) seguite dallacomparazione con i passaggirappresentativi del ‘giornalese’ e ilromanzo popolare”[18].Da assunti metodologici ed etici delgenere, Leavis sviluppa un’analisicoerente sulle forme narrative e illinguaggio della modernità che emergeprepotente alla fine degli anni Venti. Ilprimo totem con cui si cimenta,leggendone lucidamente il linguaggio, èla pubblicità: viene vista come unaforma di psicologia applicata, che haintroiettato pienamente le metodologie

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dell’analisi scientifica. “L’esperto dipubblicità, guidato da anni diesperimenti attentamente registrati etabulati (esistono difatti scuole dipubblicità) stabilisce scientificamentecome lavorare per ottenere una reazionedata del pubblico che ha in mente”[19];“congegna i suoi richiami sicuro che ilmembro medio del pubblico risponderàcome un automa”[20].C’è in questa visione di Leavis unsentimento abbastanza comune agliesordi degli anni Trenta. Come nonricordare l’analogia con la teoria deimedia di Paul Lazarsfeld (The People’sChoice) e la parallela lettura data daEdward Bernays in Propaganda?

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Entrambi teorizzavano che la rispostadel pubblico fosse direttamenteproporzionale agli sforzi applicati perindurre un comportamento dato. Unateoria applicata anche nel corso delleelezioni politiche della fine degli anniTrenta negli Stati Uniti d’America, mache in seguito verrà smentitaclamorosamente dal più complessoapproccio di carattere sistemicoapportato dalla cosiddetta “scuolacibernetica” degli anni Cinquanta.Tornando a Leavis, egli non si limitaquindi a censurare il medium in esame,ma accompagna la critica con chiarisuggerimenti al lettore (e allo studente)perché dispieghi una critica descrittiva

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quasi fenomenologica: “come lavoro sulcampo gli studenti potrebbero, oltre aosservare e raccogliere le tipologie dipubblicità, cercare e annotare gli effettidella pubblicità su loro stessi e i loroamici. E non solamente nelle abitudini(mentali), ma anche nel discorso, nellagestualità, nelle idee”[21].Conoscendo l’opera di McLuhan, e inparticolare il suo primo importantelavoro apparso nel 1951, La sposameccanica, appare evidente come siricolleghi direttamenteall’insegnamento, per certi versipionieristico, di Leavis. Molte coseinfatti finiscono per coincidere: l’usodei ritagli di pubblicità tratti da

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quotidiani e riviste, l’uso dellaletteratura e degli strumenti di analisicritica sulla modernità, un’impostazionedi fondo intelligentementeconservatrice, la nostalgia e laconsapevolezza di un’età perduta persempre, l’idea che sia possibiledecodificare il reale e il quotidianoattraverso i segni apparentemente piùesteriori e superficiali.In buona sostanza si tratta di un libretto,Culture and Environment, che gioca ilruolo di “anello mancante” tra il mondodi Richards ed Eliot, verso il McLuhandegli studi sui mezzi di comunicazionedi massa.

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NASHE E LA SCOPERTA DELLAGRAMMATICA

Nel 1936 McLuhan viene assuntodall’università del Wisconsin comeassistente nel dipartimento di inglese,un’istituzione all’epoca tra le miglioriin Nordamerica, generalmente disinistra, in cui si trovava a esserel’unico di simpatie repubblicane.Nell’impostazione del corsouniversitario tenne molto in conto illibro di Leavis, Culture andEnvironment, trasformando le suelezioni in una sorta di sguardo generalesulla cultura contemporanea fatta di

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pubblicità, giornali e pop fiction.“Trovavo la gran parte della culturapop mostruosa e malata, studiavo per lamia sopravvivenza”, avrebbe poidichiarato negli anni Sessanta. Si trattadel primo episodio documentato di unasua attenzione verso i temi specificidella modernità.Lavorò con studenti del primo esecondo anno, cui correggeva dicontinuo i compiti scritti, un compitoper lui pesante e per questo odiato, chegli drenava molto tempo e attenzione.Nel 1938 sarà la professoressa HelenC. White ad appoggiare la sua domandaper una borsa di studio, al fine dicompletare la sua tesi di dottorato a

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Cambridge su Thomas Nashe.Nel 1936 scrive un articolo suChesterton per un quadrimestralepubblicato dalla Dalhousie University.Il 26 novembre 1936 concretizza unadecisione già presa da alcuni anni e,scrivendo a un amico di sua madre,padre Phelan del St. Michael College diToronto, chiede di essere ammessonella Chiesa cattolica. Esprimeràsempre in modo misurato la sua fedenella sfera pubblica, mentre nel privatola testimonierà con costanza e passione:recitava il rosario, andava a messaquasi ogni giorno, pregava san Jude(patrono delle cause perse), ed eraparticolarmente devoto alla figura di

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Maria. Una devozione talmente accesa,da considerarla una vera e propriaguida intellettuale e non soltantoun’indiretta fonte di ispirazione. Tra lealtre cose era convinto che l’infernoesistesse realmente, e per questo siinterrogava incredulo sul perché lachiesa non forzasse su questo tema. Inquesto periodo legge Wyndham Lewis(Tarr), Ezra Pound (le Lettere, Abc ofReading), Joyce (l’Ulisse) e le Poesiedi W.B. Yeats.La domanda di insegnamento alla St.Louis University, nel Missouri, gestitadai gesuiti e considerata tra le piùimportanti istituzioni cattoliche delNord America, venne fatta nel 1937.

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Nei primi due semestri i suoi corsifurono Inglese per gli studenti del primoanno, Rinascimento inglese, leCommedie di Shakespeare, Lettura eanalisi del testo, e Studio di Milton. Nelsettembre 1937 iniziò il primo corso, anovembre tenne una conferenza sullapoesia medievale e nell’ottobredell’anno successivo una conferenza suUtopia di Thomas More. Lasceràl’università nel 1944. Tra i corsi tenutiin quegli anni: Letteratura inglese finoal 1775; un seminario sul Rinascimento;il XVII secolo; Storia della criticaletteraria; Poesia e vita; il Romanzovittoriano; Critica applicata; Studi sullaletteratura del Rinascimento inglese;

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Storia della poesia fino a Milton.Si introdusse anche nella poesia diGerard Manley Hopkins, autorepromosso da Leavis, poi da McLuhanconsigliato come argomento di tesi aWalter Ong, allora suo studente. La suapresenza non passò senza tracce al St.Louis, vista la sua adesione ai principidel Nuovo Criticismo assorbiti neglianni trascorsi a Cambridge. Il suoapproccio abbatteva le barriereesistenti tra le diverse discipline, fino aincludervi anche la cultura popolare. ACambridge, per completare la tesi didottorato su Nashe, McLuhan arriva il 2settembre 1939, il giorno dopo loscoppio della Seconda guerra mondiale.

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E vi arriva dopo aver fatto un lungoviaggio attraverso l’Italia.Thomas Nashe (1567-1601) è unoscrittore di epoca elisabettiana,cresciuto culturalmente all’università diCambridge. Trasferitosi in seguito aLondra, giovanissimo si prestò adiventare strumento della propagandagovernativa e della chiesa cattolicacontro l’ascesa politica degli ambientipuritani. In particolare si distinse nellacosiddetta “controversia Marprelate”.Martin Marprelate era il nome“collettivo” adottato da autori puritaniche scrissero una serie di pamphletsatirici contro i vescovi, e che furonostampati in località segrete tra il 1588 e

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il 1589. Gli scritti sono “unacornucopia di forme orali e altrielementi della cultura popolare: scherzi,insulti, ballate, motti, parodie”[22].Allarmati dal loro successo, le autoritàdecisero di assoldare alcuni giovaniscrittori di belle speranze, tra cui Nashee Lyly. Entrambi si gettarono nellacontesa adottando uno stile di scritturamolto popolare, mutuando gli stilemiestremamente alla mano usati dagliscrittori puritani, tanto da incorporarenella scrittura (e addirittura nellatitolazione di un libello) urla edespressioni di strada. Nella contesa, lascrittura di Nashe si trasforma,diventando uno strumento duttile.

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Utilizza blocchi di lettere maiuscolecentrate nella pagina di testo, a volerdare forma scritta a caratteristicheessenzialmente orali – similmente aquando in una mail si vuole darerappresentazione graficaall’arrabbiatura – oppure lascia degliinserti di spazio bianco nella paginascritta, affinché il lettore potesseesprimere la propria opinione. Siamo inun’età in cui:

la retorica raggiunge il suo più altoprestigio dai tempi del primo Imperoromano ma che coincide con losviluppo della cultura stampata inEuropa. Così non c’è solo una

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fertilizzazione incrociata al più bassolivello tra cultura orale e letteraria –nei mercati con le ballate stampate,per esempio – ma anche al più altolivello, nella forma della disputaaccademica e l’orazione stampata. Gliesami all’università venivano condottioralmente. Alcuni dei primi libristampati in Inghilterra erano raccoltedi detti[23].

La cvaratteristica stilistica di Nashe stain una versatilità estrema, utilizzandoindifferentemente forme e stilemiprofondamente differenti tra loro. Lafortuna critica di Nashe è quasi semprestata marginale, come nel XIX secolo,

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dove gli studiosi del periodoelisabettiano gli assegnano un ruoloassolutamente periferico, purutilizzandolo copiosamente comeimportante fonte documentaria.Bisognerà aspettare il New Criticism eJoyce perché conoscesse una fortunaben diversa.L’idea iniziale di McLuhan,relativamente alla tesi, era di intitolarlaThe Arrest of Tudor Prose, mutuando iltitolo dal testo di riferimento sul temaapparso in quel periodo, On theContinuity of English Prose, diRaymond Wilson Chambers. La suapremessa di partenza era che la prosainglese avesse conosciuto un arresto

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con l’uccisione di Thomas More,scrittore utopista e cattolico. Una tesiimportante, che si sposava con l’altrasua convinzione che la Riformaprotestante fosse stata il più grandedisastro culturale della storia dellaciviltà. Dopo poco tempo, McLuhanmuterà opinione e si convincerà che laprosa inglese era continuata in modoconvincente nonostante l’influenzanegativa giocata da Enrico VIII. Nasherappresenta la continuità di una lungatradizione umanistica, che dal mondoclassico allungava la propria ombrafino all’età delle Guerre di religione. Ildifensore della continuità storica dellaPatristica in contrapposizione al

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progetto pedagogico del calvinistaPietro Ramus, che faceva leva invecesulla centralità della dialettica e quindisulla supremazia della logica e dellaragione.Nel leggere Nashe, McLuhan si accorgein realtà di come tutto il XVI secolo siastato dominato dall’arte della retorica.E non solo quello inglese, ma anche inItalia, Spagna, Francia e Germania. Lacomprensione di questa verità loconduce presto ad ampliare le suericerche abbracciando in modoorganico il mondo classico, e con essoa sfocare il tema della tesi stessa.Thomas Nashe diviene quindi tema solodi un quarto del suo lavoro di ricerca.

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Le prime tre parti invece verrannodedicate alla stato delle distinte arti deltrivium (grammatica, logica e retorica)fino a sant’Agostino (prima parte), adAbelardo (seconda) e a Erasmo (terza).McLuhan comprende che pressoché tuttala letteratura occidentale può esserevista come una continua, sorda guerratra gli esponenti delle tre discipline,ognuna delle quali rappresenta un mododifferente di guardare al mondo. Eracomunque la terza delle arti del triviuma interessare maggiormente McLuhan.La grammatica, o studio delle parole,era basata sulla convinzione che tutta laconoscenza umana fosse compresa nellinguaggio, era quindi l’arte

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dell’interpretazione non solo dei testiletterari, ma di tutti i fenomeni. Per gliantichi stoici, che avevano sviluppato alivelli invidiabili le figure fondamentalidella logica moderna, l’universo stessoera logos, o parola divina, logosspermatikos: l’ordine del linguaggioumano e dell’universo eranostrettamente connessi in modo unitario(come è chiaro in Cleante, peresempio). Per penetrare nei segreti dellinguaggio bisognava andare inprofondità nel cuore dell’universo.Condivideva per certi versi l’anticocredo che conoscere il nome di unacosa o di una persona significasse avereun diretto potere su di essa. Il mondo

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era visto come un libro, il cui perdutolinguaggio era analogo a quello umano.Non casualmente “i grandi grammaticierano anche alchimisti”, diceMcLuhan[24].Insomma, non si può comprendere lacultura occidentale senza capire lecontinue relazioni esistenti tragrammatica, retorica e dialettica, le tregrandi arti del trivium. Nell’AltoMedioevo la dialettica era talmenteenfatizzata da ridurre l’importanza dellealtre due discipline. Con ilRinascimento soprattutto la retorica, maanche la grammatica, conoscono unforte ritorno, fino a Descartes, cheriequilibra ancora una volta la bilancia

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a favore delle discipline che enfatizzanola logica. Nel XX secolo la grammaticaè decisamente sotto attacco daimatematici e i logici, ma con il NuovoCriticismo e la sua enfasi sull’analisiverbale dei testi la cosa cambia. Negliultimi anni della sua vita, McLuhanassocerà la grammatica al mondoacustico (il mondo descritto da Eliotdell’acustica immaginazione), rafforzatodall’influsso determinante dei media. Ela dialettica apparteneva al mondovisuale, sostenuto dall’alfabeto foneticoe dalla stampa.McLuhan ottiene il dottorato nel 1943.Alla luce di quanto poi dirà e farà nellasua vita di studioso dei media,

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l’attenzione verso Nashe avrebbedovuto essere motivata dallapoliedricità della sua scrittura e dal suoessere una sorta di ponte tra cultura altae popolare. Una sorta di giornalistaante litteram: “il giornalista pereccellenza del suo tempo”, comescriverà lo stesso McLuhan nell’incipitdella tesi[25]. Un tema che nelprosieguo dello svolgimento passa insecond’ordine, privilegiando invece unalettura di Nashe come difensoreconservatore del curriculum delle artitradizionali, come paladino delcattolicesimo di fronte alla sfida postadalle tante articolazioni delcattolicesimo riformato. In questo

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momento, l’aspetto mediatico e lacontinua negoziazione di Nashe tracultura orale e cultura scritta non sonoancora elementi rilevanti per il giovaneMcLuhan, più alle prese con la suaconvinta adesione al cattolicesimo checon gli strumenti della modernità.Anche se certamente lo strano miscugliodi un autore così moderno nell’uso deimedia, ma al contempo così schieratonel difendere la tradizione sarà per luiinevitabilmente un modello ispiratore.Con il senno di poi, però, non si puòfare a meno di evidenziare comunque lacentralità di Nashe anche nellaformazione dei temi più cruciali delpensiero di McLuhan. Perché già in

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quegli anni, e in particolare nel 1937,egli orienta in modo decisivo la tesi didottorato di un suo studente, Walter Ong(che si stava laureando su GerardManley Hopkins), verso la figura diPietro Ramus. La tesi di Ong sarà poipubblicata nel 1958 e influenzerà inmodo decisivo la scrittura di GutenbergGalaxy, che a sua volta McLuhanpubblica nel 1962. La tesi su Ramussarà poi l’architrave teorico su cui ilgesuita americano costruirà non solo ilsuo grande classico Oralità e scrittura(1982), ma su cui si fonderà l’interascuola che fa propria la dicotomiaoralità/scrittura, indirizzo di ricerca digrande interesse teorico che

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comprenderà tra gli altri Eric Havelock.

LA CULTURA POP IRROMPENELL’UNIVERSO McLUHANIANO

Nei primi anni Quaranta, marshalldiventa padre per la prima volta. Sonoanni in cui si confronta con l’idea diformare una famiglia, a cui dàl’impronta di uno stile estremamenterigoroso. Sostenitore delle punizionicorporali, educa il primogenito Eric inmodo estremamente severo. Percontrastare l’effetto della tv cercava distimolare i figli con discussioni su temiedificanti e religiosi a tavola. Per la

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prima volta, McLuhan comincia a fare iconti con alcuni degli aspetti di novitàdella cultura popolare. Cominciano aessere sempre più presentinell’edizione domenicale dei quotidianile strip, ed è a loro che McLuhandedica una particolare attenzionecritica.I fumetti avevano guadagnato un loroampio spazio: non sono rivolti ai soliadolescenti ma anche al cosiddetto“ceto medio”, di cui caricaturizzanovizi e virtù. Sono gli anni di Topolino,ma anche di Popeye (1919), DickTracy, Flash Gordon e all’inizio dellaseconda guerra anche di CaptainMarvel. In seguito alla fondazione della

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Kfs (King Features Syndicate), nel1916, era anche nato il genere dellefamily strip, strisce centrate sulcontinuo litigio tra coniugi, dove donne“virago” con il pugno di ferroterrorizzano i rispettivi mariti. Nel 1930nascono dalla penna di Chic Youngprima il personaggio di Blondie, unaflapper che frequentava con assiduità lesale da ballo, e nel 1933 ancheDagwood Bumstead, giovane rampollodi una famiglia benestante di industriali,che si trova a non possedere nulla acausa del matrimonio con Blondie,proprio perché le regole non scrittedella sua classe gli vietavano un talepasso.

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Ambientata nell’allora appena fondatacittadina di Joplin, anch’essa nelMissouri (come l’università in cuilavorava McLuhan), la strip incontra dasubito un successo straordinario, tantoda essere trasformata prima in una seriedi film, una trentina, prodotti dallaColumbia Pictures tra gli anni Trenta eil 1950, poi in una trasmissioneradiofonica (fino alla fine dellaSeconda guerra mondiale) e in seguitotelevisiva (tra la fine degli anniCinquanta e gli anni Sessanta).Insomma, un successo clamoroso, in cuiuna parte importante la gioca proprio latrasformazione del ruolo sociale diBlondie, che dopo il matrimonio a poco

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a poco familiarizza con i suoi nuovicompiti, diventando nei fatti la padronadi una casa in cui Dagwood giocasempre più un ruolo di comprimario edi clown. Ad arricchire il quadro lapresenza di un cane, alcuni figli, masoprattutto del capo ufficio diDagwood, Julius Caesar Dithers, unasorta di dittatorello che continua amalversare i suoi impiegati fisicamentee verbalmente. Il tirannico Dithers èsignore di tutto ciò che lo circonda conuna sola, importante eccezione: la suaformidabile e dominante signora, lamoglie Cora. Altri elementicaratteristici della strip sono i famosisandwich di Dagwood, talmente

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multistrato e alti da renderli impossibilida addentare e la cucina della famiglia,il cui frigorifero viene spesse voltemostrato aperto e sempre pieno di ogniben di Dio. Quasi fosse un trattato disociologia delle nuove classi urbaneamericane, questa strip racchiude tuttauna serie di novità sociali. Il mutatoruolo della donna: sono questi gli anniin cui l’industria individua nella donnail proprio target di elezione. La nascitadel ceto medio dei suburbs e soprattuttola figura dell’americano medio.L’ideologia dell’abbondanza dei beninonostante il drammatico perduraredella Grande Depressione per tutti glianni Trenta (su questo sarebbe

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interessante confrontare la striscia diDagwood con quella di Li’l Abner).McLuhan legge Dagwood come ilmodello archetipico di un’interagenerazione di uomini americani. Nellasua visione la civiltà moderna avevadistrutto la famiglia tradizionale e iltradizionale orgoglio maschile nellavoro. L’analisi su Dagwood verràripresa in modo organico e sistematicone La sposa meccanica, ma vieneprefigurato in un saggio apparso nelgennaio del 1944 sulla rivista cattolicaColumbia, intitolato Dagwood’sAmerica [L’America di Dagoberto].Qui Dagwood appare come il“classico” maschile che ha perso ogni

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virilità, completamente inerme a frontedella moglie Blondie, iperattiva edecisionista. Nella sua lettura si trattavadi un conflitto intrinseco a ogni famigliaamericana, tratto decisivo della societàamericana contemporanea.Sempre nel 1944, in una conferenza suimedia, con l’ausilio di diapositive,McLuhan cerca di dimostrare lapersistenza immaginativa dei cartoon,quasi fossero delle rêverie, sogni aocchi aperti. Riprendendo Leavis,McLuhan teorizza l’uso di questi mezzinelle scuole, in modo tale da potersviluppare un’analisi razionale suinuovi media. Sono anni fertili perMcLuhan: sempre del gennaio 1944 è la

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pubblicazione di un saggio sulla poeticadi Edgar Allan Poe, a cui McLuhan sirichiamerà in una lettera a padreMurphy del marzo 1944, in cuiproponeva al rettore dell’universitàdove lavorava una diversificazione deiprogrammi scolastici in chiave piùcontemporanea.L’ambito di riflessione di McLuhanresta quello della riflessione esteticasulla letteratura, anche se (come giàvisto per il saggio sui fumetti)cominciano a comparire i primi segni diuna maggiore attenzione alletrasformazioni in corso della mentalitàamericana. I corsi proposti al rettoresono: a) un corso di critica applicata

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alla poesia e alla prosa, per il qualeMcLuhan rivendica di essere il solo inAmerica a conoscere bene le teorie delNuovo Criticismo e quindi poterleapplicare con ragione di causa allaletteratura; b) “un corso sull’analisidella scena contemporanea. Pubblicità,giornali, bestseller, narrativapoliziesca, film ecc. Da contrapporre aun vero modello di cultura omogenea,organizzata razionalmente, qualel’analisi di uno spaccato della societàdel XVI secolo – architettura,letteratura, musica, economia”; c) ladicotomia tra cultura europea eamericana.Ormai McLuhan è pronto per diventare

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il filosofo dei media che ben prestoimpareremo a conoscere. Gli bastanoancora pochi tasselli. Tra questi ilprimo sarà l’incontro con la riflessionedi due pensatori “utopisti”, LewisMumford e Sigrid Giedion. Soprattuttoil secondo gli aprirà in modo importanteun’inedita visuale sulla tecnologia,intesa come risultante di una continuainnovazione quotidiana che nasce dalbasso della società. Con grandeanticipo su altri studi simili (cheappariranno solamente negli anniSessanta, come per esempio il seminalestudio di Alistar Crombie), Giediondedica spazio all’innovazionetecnologica apportata dagli artigiani

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medievali, dando loro il giusto risalto.Era la prima volta che veniva sdoganatoil Medioevo. Per Marshall, che giàaveva dedicato a quel periodo storiconon poche energie, non era cosa di pococonto.Il secondo tassello decisivo nella suaevoluzione teorica è l’incontroall’Università di Toronto, alla fine deglianni Quaranta, con l’economista HaroldA. Innis, che in un suo libro, apparsonel 1950, Empire and Communications,ribalta radicalmente il modo diintendere le declinazioni in cuistoricamente si esercita l’autorità. Sitratta di uno studio in cui ripercorre agrandi linee la storia della civiltà

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occidentale dal punto di vistadell’evoluzione delle tecniche dicomunicazione. La tesi è che lemodalità di funzionamento dei diversiimperi dipendano dalla tipologia dimedium più diffuso in quello stessoperiodo storico. Le tavolette di argilla,per esempio, garantiscono ai messaggiscritti su di esse una certa durata neltempo, ma non possono esseretrasportate molto velocemente oriprodotte facilmente. Il papiro e lacarta, a causa della loro leggerezza,invece possono diffondere il messaggioa grandi distanze. Una civiltà cheimpiega le tavolette di cera, comequella sumera, resta confinata in un’area

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delimitata e occupata dai temi morali ereligiosi, che per loro natura sonoimmutati per lungo tempo. Il papiro,invece, incoraggia la crescita di imperidi vasta estensione (per esempiol’Impero romano), con al centro ordinidi problemi più di carattere secolarecome le leggi, l’amministrazione, lapolitica. Sono solo due casi – non è quila sede per tratteggiare l’insieme dellaricerca di Innis – che offrono peròun’idea della capacità innovativa delcollega di università di McLuhan.Siamo ormai agli albori di TheMechanical Bride (La sposameccanica), pubblicato nel 1951. Alcentro vi è la sua corrosiva critica

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sociale nei confronti dellapsicopatologia della vita quotidianadegli anni Trenta e Quaranta. La nostrasocietà tecnologica sostanzialmentevizia la vita familiare e la libera umanaespressione del pensiero e deisentimenti. Il progetto era di farrisaltare tutto questo tramite lagiustapposizione delle strisce deifumetti, ma anche di aggiungere lepubblicità più significative. Il suoeditor sbalordisce quando si trovadavanti un fitto manoscritto di 500pagine. In centinaia di ritagli ingiallitiera sviluppata una sorta di critica,talvolta esilarante, del sentimento diun’epoca, oscillante tra i western di

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John Wayne, la pubblicità di deodorantie quella di auto come la Buick, inquello che resta probabilmente uno deisuoi migliori libri.McLuhan con una proiezionestraordinaria anticipava l’arrivo dellaCadillac El Camino (1954),incarnazione cromata del sognoamericano, l’automobile “per quellidotati di mobilità ascendente”26. Eraun’immagine che si poneva al centrodella critica di una “società affluente”senz’anima. I 59 saggi che compongonoil volume sono sempre introdotti daun’immagine pubblicitaria ripresa dairotocalchi dell’epoca. I temi toccatisono tra i più vari, ma hanno tra loro

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una intima coerenza. A partire da unaserie di saggi sulla carta stampata, e aisuoi tycoon come Hearst, gli articoli,con andamento oscillatorio, spazianodall’industria della morte all’industriaeditoriale, il fumetto, la radio. Inoltre,sono compresi vari testi sul ruolo dellapubblicità, su Gallup e le ricerche dimercato, e quindi la definizione“sociologica” delle nuove classi diconsumo.Insomma, un vero e propriocampionario delle mitologiedell’America contemporanea, inanticipo di alcuni anni su quantoscriveranno Roland Barthes e UmbertoEco.

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Era nato Marshall McLuhan, lo studiosodei mezzi di comunicazione.

———Raf Valvola Scelsi. Lavora come editorin una grande casa editrice. Hacurato/scritto: Cyberpunk. Antologia ditesti politici (Shake, Milano 1990), Nocopyright (Shake, Milano 1993),Ribellione nella Silicon Valley (Shake,Milano 1997) e, con Toni Negri,Goodbye Mr. Socialism (Feltrinelli,Milano 2006).

———

NOTE[1] — T.W. Gordon, Marshall

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McLuhan, Escape into Understanding.A Biography, Basic Books, New York1997, pp. 49-50; Lettera di MarshallMcLuhan a John M. Dunsway, Macon,Georgia, s.d.[2] — M. McLuhan, “Fleur de Lis”,articolo apparso sulla rivista letterariadella Saint Louis University, 1937.[3] — R. Wellek, Storia della criticamoderna. Vol. V. La critica inglese1900-1950, il Mulino, Bologna 1990, p.319.[4] — Ivi, p. 320.[5] — G. Melchiori, Introduzione, inW. Empson, Sette tipi di ambiguità,Einaudi, Torino 1965, p. 8.[6] — R. Overy, The Morbid Age.

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Britain and the Crisis of Civilization,1919-1939, Penguin, London 2010, pp.363.[7] — M. Praz, La letteratura inglesedai romantici al Novecento, Sansoni,Firenze 1992, p. 234.[8] — Ivi, p. 264.[9] — Russell Kirk scrisse nel 1953The Conservative Mind. From Burke toSantayana. Il libro in seguito verràampliato per poter includere T.S. Eliot.Il titolo diventerà così TheConservative Mind. From Burke toEliot. Cfr. un testo più tardo di Kirk,Eliot and His Age. T.S. Eliot’s MoralImagination in the Twentieth Century,Random House, London 1971.

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[10] — F. Moretti, Introduzione, in F.Moretti (a cura di), Interpretazioni diEliot, Savelli, Roma 1975, p. 17.[11] — T.S. Eliot, On Poetry andPoets, Faber and Faber, London 1957,p. 114 (tr. it. Sulla poesia e sui poeti,Garzanti, Milano 1973).[12] — Ivi, p. 31.[13] — T.S. Eliot, Prefazione a TheSacred Wood, Methuen, London 1928,p. X.[14] — D. Formaggio, Fenomenologiadella tecnica artistica, Nuvoletti,Milano 1953.[15] — T.W. Gordon, MarshallMcLuhan, cit., p. 52.[16] — F.R. Leavis, D. Thompson,

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Culture and Enviroment, Chatto andWindus, London 1933, p. 5.[17] — Ibidem.[18] — Ivi, p. 6.[19] — Ivi, p. 12.[20] — Ibidem.[21] — Ivi, p. 18.[22] — N. Rhodes, “On Speech, Print,and New Media. Thomas Nashe andMarshall McLuhan”, in Oral Tradition,24/2 (2009), p. 375.[23] — Ivi, p. 381.[24] — M. McLuhan, The ClassicalTrivium. The Place of Thomas Nashein the Learning of His Time, GingkoPress, Corte Madera (Ca) 2006, p. 17.[25] — Ivi, p. 4.

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MARSHALL McLUHAN PARLA!·

di Matteo Bittanti

Passeggiate sonore, tra slogan e pre-visioni. A chi, ingenuamente, gliponeva domande, rispondeva in modocriptico. I suoi responsi? Rebus dadecifrare. Le sue dimostrazioni?Aforismi. Anzi, slogan.

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Marshall McLuhan non amavaparticolarmente fornire spiegazioni.Scoraggiava gli intervistatori più tenacicon affermazioni micidiali. Tipo questa:“Non condivido necessariamente tuttoquello che dico”. Non amavaparticolarmente scrivere. Il suo mediumpreferito era la voce. Il parlato. Lamaggior parte dei suoi libri sono stati“dettati” alla sua segretaria, ai suoiassistenti, ai suoi collaboratori. OggiMcLuhan è ricordato come l’autore dimantra profetici, venerato come unmedia guru. Ai tempi, tuttavia, è statoosteggiato dall’establishmentaccademico – notoriamente reazionario,

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diffidente verso il nuovo, feudale &ferale – e generalmente incompresodagli oi polloi nonostante un breve flirtcon i mass-media, sempre alla ricercadi nuovi freak da esibire nei suoi circhicatodici. Anche per questo motivo,leggere o ri-leggere McLuhan oggi hapoco senso. Semmai, McLuhan vaascoltato. Con attenzione. McLuhan ciparla. In rete. Marshall McLuhanSpeaks, una raccolta di registrazioni,per lo più televisive, risalenti agli anniSessanta e Settanta – paiono capsule deltempo, contenitori appositamentepreparati per conservare informazionidestinate a essere ritrovate in un’epocafutura. Le capsule del tempo sono un

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metodo per comunicare in modounidirezionale e (in)diretto con il futuro.Quel futuro è adesso. I destinatari siamonoi. Marshall McLuhan Speaksrappresenta il modo migliore peraccostarsi (o ri-avvicinarsi) al suopensiero.

1965 – IL FUTURO NON È PIÙQUELLO DI UNA VOLTA

L’ambiente in cui viviamo, affermaMcLuhan in un’intervista del 1965, stadiventando un “colossale artefatto”, unambiente che risponde ai nostri stimoli,anziché essere mero sfondo alle nostre

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azioni. Si tratta di un ambiente chereagisce in tempo reale. In un’era in cuii flussi invisibili di informazioni chericeviamo ed emettiamo in tempo realeattraverso i sensori dei nostrismartphone che ci accompagnano nelleperegrinazioni urbane creano traiettoriee pattern che qualcuno, da qualcheparte, vede, cataloga e classifica[1], leparole altrimenti oscure di McLuhanacquistano una sorprendente chiarezza.La data visualization traducel’informazione in arte. E l’informazione,come ricorda James Gleick nel suoultimo, fenomenale lavoro, TheInformation (2011), è un elementoprimario, come l’aria, l’acqua, il fuoco.

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Nel ventesimo secolo la naturascompare, dice McLuhan a un increduloNorman Mailer in un celebre dibattitotv del 1968, perché non esiste altro cheinformazione. (VIDEO)

1966 – LA PUBBLICITÀ

McLuhan odiava la televisione, ma adifferenza di molti suo contemporanei,non la snobbava né la sottovalutava. Eraconsapevole della sua forza diabolica.Anche per questo, amava dialogare, omeglio, monologare con il tubocatodico. Nel 1966, da questo pulpitosecolare, McLuhan dichiarava a milioni

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di spettatori che “in futuro, la pubblicitàdei prodotti finirà per rimpiazzare iprodotti stessi. Trarremo piacere dalconsumo informazionale dellapubblicità e non dai prodotti, che delresto non sono che semplici numeri inun colossale database”.Quest’affermazione – praticamente unasintesi (nonché update) del suo primolibro, La sposa meccanica. Il folcloredell’uomo industriale (1951), uno deimigliori non-trattati sulla pubblicità ditutti i tempi – anticipa gli incubi iper-consumistici di Philip K. Dick (Ubik èdel 1969) e i simulacri di JeanBaudrillard, allora impegnato sulla tesidi dottorato (Il sistema degli oggetti,

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1968). La pubblicità è (sempre)informazione. L’informazione è(sempre) promozione. Non esiste alcunadifferenza qualitativa tra notizie eannunci, dato che i mass media nonproducono notizie, si limitano a vendereil pubblico agli inserzionisti. ScrivevaMcLuhan nel 1964: “Gli annuncisono notizie. Il problema è che si trattasempre di buone notizie. Per equilibrareil loro effetto e vendere in modoefficace una buona notizia èindispensabile che i giornali e la tvpresentino un mucchio di cattivenotizie”.Non solo. McLuhan capisceprima/meglio di altri che la pubblicità

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si rivolge al nostro subconscio, non allasfera razionale. Ora, il nostrosubconscio non è razionale. Ergo, peressere efficace la pubblicità devenecessariamente trasformarsi in puraesperienza, in emozione. Negli anniNovanta, si fa strada il cosiddettoemotional branding (descritto econdannato, per esempio, in No Logo diNaomi Klein).Ma negli anni Sessanta, quando lapubblicità è ancora meracomunicazione, McLuhan scrive che“ognuno di noi sperimenta più di quantoriesce a comprendere. Tuttavia èl’esperienza, non la comprensione, ainfluenzare il nostro comportamento”.

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Consumare una merce equivale,essenzialmente, a consumare esperienzevisuali. Immagini. L’oggetto è del tuttoridondante. E anche se noncomprendiamo che una minima parte diquello che sperimentiamo, sono leesperienze a condizionare i nostrivalori, preferenze, abitudini e scelte.Come ci ricorda Dan Ariely, siamocreature prevedibilmente irrazionali,facilmente manipolabili. Oggi più diieri. (VIDEO)

1966 – IL FUTURO DEL LIBRO E LATRASFORMAZIONE DEI PRODOTTIIN SERVIZI

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Attorno alla metà degli anni Sessanta,McLuhan descrive con sorprendenteprecisione il futuro dellacomunicazione: “Invece di andare in unnegozio per acquistare un libro di cuisono state stampate, che so, cinquemilacopie, prenderemo in mano la cornettadel telefono e comunicheremo a unterminale remoto le nostre competenzelinguistiche (per esempio, sanscrito etedesco), interessi (la matematica) ebisogni specifici. Dopo aver ricevutoqueste informazioni, il bibliotecario delfuturo recupererà, grazie all’aiutoprezioso dei computer, informazioniutili alla nostra ricerca, le fotocopierà e

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ce le invierà a casa” (enfasi aggiunta).In questo paragrafo c’è tutto: internet,gli aggregatori di notizie e di feed, lacommutazione di pacchetto (checontraddistingue le modalità ditrasferimento dati delle reti ditelecomunicazione), lapersonalizzazione, la stampa ondemand, gli ebook, i motori di ricerca.Si noti che nel 1977, Ken Olson,presidente, CEO e fondatore di DigitalEquipment Corp. (DEC), una delle piùimportanti aziende di computer dellastoria americana, dichiara (!): “Nonvedo alcuna ragione per cui unindividuo debba volere installare uncomputer in casa propria”[2]. In

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Understanding Media (1964),McLuhan aggiunge che l’uomo elettriconon è in fondo differente dal suoantenato dell’era paleolitica. Sonoentrambi cacciatori, solo che il primova in cerca di informazioni, il secondodi cibo. Si potrebbe aggiungere che, perl’uomo elettrico, l’informazione è cibo,sostentamento fisico, non semplicenutrimento cognitivo. C’è di più.Nell’era elettrica i prodotti diventanoservizi. Pertanto, il futurodell’informazione non consiste tanto nellibro – nemmeno nell’ebook, intesocome pacchetto di informazionipredefinite a monte da un autore/editore– quanto in pacchetti di informazione

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personalizzabili, dati creati con unalogica just in time e distribuitiattraverso la formula dell’on demand.Oggi, l’informazione in quanto tale è unservizio: testi, immagini, suoni, giochi.Non un contenuto: un canale. Non unmessaggio: un mezzo. I prodotti sonoservizi, amava ripetere McLuhan. L’eradel prodotto inscatolato, da acquistarein un negozio e portare a casa per unasuccessiva consumazione, è finita. Èfinita da tempo, anche se in alcunicontesti, per esempio l’Italia del 2011,questa realtà è tale solo per pochi,mentre per i più rappresenta un’ipotesi,uno scenario ir-reale, fantascientifico,utopico o distopico a seconda del

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proprio credo politico. (VIDEO)

1968 – “IL FUTURO DEL FUTURO ÈIL PRESENTE”

Il concetto dello “specchiettoretrovisore” non ha perso smalto, anzi.Secondo McLuhan, i cambi diparadigma tecnologici, l’affacciarsisulla scena di visioni di mondoradicalmente differenti, l’avvento deinuovi media possono ottenere successo(sociale, commerciale, culturale) solonella misura in cui il fattore novità cheintroducono è assimilabile al vecchio.Detto altrimenti: dal momento che le

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innovazioni tecnologiche produconoeffetti destabilizzanti – sul pianoepistemologico e cognitivo – l’unicomodo per accettare il futuro èconcepirlo come una mera variazionedel presente. Sotto questa luce, il nuovonon è altro che il vecchio sotto mentitespoglie. Gli esempi si sprecano: ilcinema è “teatro su pellicola”. Ilvideogioco è “cinema interattivo”.L’ebook è “un libro elettronico”.YouTube è “la televisione di internet”.Le interfacce dei computer sfruttanometafore analogiche – per esempio il“desktop”, i “cassetti”, i “documenti”.Escamotage pacchiani, per non direabnormi errori concettuali. Tuttavia

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tolleriamo, anzi, incoraggiamo questedeboli analogie perché non possediamo(ancora) le categorie concettualiadeguate per cogliere lo specifico di unnuovo medium. Pertanto guidiamo(verso il futuro, l’inaspettato,l’imprevedibile) con gli occhi rivolti aquello che ci sta dietro (il passato, ilnoto, il prevedibile). Invece di metterea fuoco quello che si staglia oltre ilparabrezza, fissiamo quasi ipnotizzati lospecchietto retrovisore.Corollario: “Il futuro è già arrivato, manon è equamente distribuito” (WilliamGibson). Mentre negli Stati Uniti legrandi catene di librerie stannochiudendo perché le modalità di

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consumo delle informazioni sonoprofondamente cambiate, in Italia lelibrerie o, meglio, i multistore,spuntano come funghi. L’eventoculturale del 2010 a Milano è statal’apertura di un enorme punto venditaFeltrinelli alla Stazione Centrale.Analogamente, mentre negli Stati Uniti icentri commerciali sono ormai in crisi,in Italia proliferano gli scatoloni dicemento che vendono merci di ognitipo: Bennet, Esselunga, Saturn, Trony,Gigante, Coop… Anche in questo,l’Italia sconta un ritardo di trent’annirispetto agli Stati Uniti. O, meglio, ilBelpaese sta ripetendo tutti gli erroricommessi dagli americani trent’anni fa:

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distruzione dei piccoli commerciantiindipendenti (negozi di alimentari),svuotamento dei centri storici dei paesisoffocati dai mega-shopping centerdelle zone suburbane, che a loro voltacreano sprawl urbani iper-mercificati.Nel 1968, McLuhan conclude che “ilfuturo del futuro è il presente”,un’affermazione traducibile/travisabilecosì: il futuro è già qui, ma coesistecon il presente. Riconoscere il futuronon è facile, perché è sempremascherato da presente. Il che spiegaperché oggi il presente tende adiventare incomprensibile in pochiminuti. Il presente scivola nel futuro,perché il futuro arriva prima, più in

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fretta di un tempo.L’innovazione si evolve a ritmiesponenziali, non lineari. Come diceRay Kurzweil, viviamo in tempiaccelerati. Il presente si comprime.Qualcuno si deprime perché“l’accelerazione è tendenzialmentetotale, e pone fine allo spazio comefattore principale degli assetti sociali”(McLuhan, 1964). (VIDEO)

1968 – PRIVACY E IDENTITÀNELL’ERA DEL VILLAGGIOGLOBALE I

L’avvento dei nuovi media ridefinisce

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la nozione di privacy e identità.Riscrive letteralmente le regole delgioco. Pochi, tuttavia, sono in grado dicogliere il portato dell’innovazione.Dice McLuhan: “nell’era elettrica ogniindividuo è direttamente coinvolto nellavita degli altri. Ogni individuo gestiscefenomeni complessi che si svolgono intempo reale in un ambiente totale. Inquesto contesto, le tradizionali modalitàdi individuazione – per esempio, lacarta di identità – non avranno piùsenso. Per sapere veramente chi siamodovremo tornare ad applicare filosofiee prassi di natura esistenziale”.McLuhan evoca il filosofo danese SorenKierkegaard, uno dei padri

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dell’esistenzialismo, per spiegare che iconvenzionali fattori di riconoscimento“esteriore” – età, occupazione – sirivelano del tutto inutili nell’eraelettrica per contrassegnare le forme diidentità privata. “La caratteristicaessenziale dell’era elettrica – scriveMcLuhan in Understanding Media – èla creazione di una rete globale chepresenta caratteristiche simili a quelledel nostro sistema nervoso centrale”.Per questo motivo, gli effetti dei mediasono biologici prima ancora chetecnologici. In altre parole: i media cheinventiamo finiscono per modificarci alivello corporeo e neurologico. I nuovimedia creano dunque nuove possibilità,

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nuove protesi, anche nuove patologie: laschizofrenia dell’identità virtuale, peresempio. O la sindrome da deficit diattenzione e iperattività, come sostiene,per esempio il Nicholas Carr di TheShallows (2010).L’effetto collaterale dell’accelerazionedi cui sopra? In Understanding Medialeggiamo: “La velocità dell’elettricitàmiscela le culture del passato con lafeccia del marketing, gli an-alfabeti coni semi-alfabeti e post-alfabeti. Il chefinisce per produrre crisi mentali divaria entità”. Questo vuol forse dire chepensare nell’era elettrica è diventatodel tutto impossibile? No, ma bisognasviluppare nuove tecniche cognitive.

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“Per pensare occorre dimenticare lamaggior parte di ciò che sista vivendo per relazionarsi con coseche in precedenza si sapevano,altrimenti non si può dedurre nulladi ciò che stiamo vedendo”, affermaMcLuhan con il suo stile insieme opacoe trasparente.I corto-circuiti epistemologici hannoconseguenze ontologiche dato che lanostra identità è puramenteinformazionale: “Nell’era elettrica –scrive l’oracolo canadese – stiamodiventando pura informazione. Stiamoestendendo tecnologicamente la nostracoscienza”. Il che solleva interessantiquestioni. Per esempio: “Preso atto

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dell’attuale traslazione delle nostreintere vite nella forma spiritualedell’informazione, non si potrebbeaffermare che l’intero pianeta e la razzaumana stiano convergendo in un’unicacoscienza?” (McLuhan, 1964).(VIDEO)

1968 – PRIVACY E IDENTITÀNELL’ERA DEL VILLAGGIOGLOBALE II

Ci stiamo muovendo verso un’esistenzapuramente informazionale anche graziea servizi di social network che ciconsentono di giocare un ruolo,performare di fronte a un pubblico, ma

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soprattutto, di fronte a noi stessi.Come si socializza nell’era elettrica?“La dimensione dell’interesse umano èsemplicemente quelladell’immediatezza dellapartecipazione nell’esperienza di altriche si verifica con la manipolazionedelle informazioni in tempo reale”(McLuhan, 1964). La socializzazionenell’era elettrica è Facebook. Cosasignifica? Significa che concetti comeidentità e privacy cambianoradicalmente. “La nozione di privacyera praticamente sconosciuta nell’era diShakespeare”, dice McLuhan. “Laprivacy si fonda sulla nozione di spaziseparati, conchiusi e in quell’epoca la

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gente non sentiva il bisogno di vivere incontesti separati. Dopo l’avvento dellibro, del consumo individualedell’informazione, si fa stradal’esigenza dell’isolamento. Ci si isolaper concentrarsi, per studiare eccetera.Insomma, la nostra idea di privacydifferisce considerevolmente da quellaoriginaria. Non a caso, la sede diun’azienda di Toronto è statacompletamente riorganizzata. A livelloarchitettonico: sono state abbattute lepareti che separavano i singoli uffici, inmodo da creare grandi stanze in cui tuttii collaboratori comunicano tra di loroseduti ai tavoli rotondi, in modo daincentivarli a condividere informazioni

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e reagire tempestivamente allefluttuazioni del mercato, a eventi globalieccetera, per facilitare il dialogo”. Nel2011, la nozione di privacy èradicalmente differente rispetto a quelladescritta da Marshall McLuhan.È come se avessimo abbattuto le paretidelle nostre stesse abitazioni permostrarci al mondo, in tempo reale,trascendendo la tradizionale dicotomiatra pubblico e privato, nel nome dellatrasparenza, come in quella scena delcapolavoro di Jacques Tati, Playtime(1967). Con tutte le conseguenze che ciòinevitabilmente comporta.Nel 1962, McLuhan osserva: “Il mondoè diventato un computer, un cervello

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elettronico molto simile a quello deiracconti di fantascienza per bambini. Ementre i sensi vanno fuori da noi, ilGrande fratello entra in noi. Così, senon riusciremo a renderci conto diquesta dinamica, ci ritroveremoimprovvisamente in una fase di terroripanici, assolutamente appropriata a unpiccolo mondo di tamburi tribali, ditotale interdipendenza e coesistenzaimposta dall’alto”.Qual è il senso della vita nell’eraelettrica? “Conoscere e apprendere.Tutte le forme di ricchezza deriverannodal movimento dell’informazione”,scrive McLuhan in UnderstandingMedia.

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In una riga, si tratta del business modeldi Google, un’azienda che conosce eapprende tutto di noi, monetizzando intempo reale questa conoscenza. “Unavolta che abbiamo consegnato i nostrisensi e il sistema nervoso allamanipolazione privata di chi cercadi trarre vantaggio dall’affitto dei nostriocchi, orecchie e sistema nervosocentrale, a noi non rimane nulla.Perdiamo ogni diritto di proprietà”(McLuhan, 1964). In Culture is OurBusiness (1970), McLuhan conclude:“L’invasione della privacy costituisceoggi una delle nostre più grandiindustrie della conoscenza”. Mark“Dumb Fucks” Zuckerberg ne sa

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qualcosa.(VIDEO)

1968 – L’ERA DELL’ESPLOSIONEDELL’INFORMAZIONE

“Viviamo nell’era dell’informazioneesplosa. Quando le pareti chetradizionalmente separavano i gruppi dietà, sociali, nazioni e interi mercatiscompaiono, dobbiamo fare i conti conuna nuova prossimità, un nuovo modo dirapporto. Quali conseguenze avvengonoa livello individuale? L’informazionenell’era elettrica distrugge letradizionali separazioni tra ruoli,competenze e professioni. L’era

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dell’automazione riduce le distanze. Laspecializzazione tipica dell’era dellibro viene meno. Oggi un lavoratoredeve possedere competenzediversificate. Oggi viviamo in un mondoiper-connesso”, afferma McLuhan primadell’avvento di internet e deglismartphone.A proposito di competenze diversificatee connessioni che (non) ti aspetti, nel1966, il teorico canadese afferma:“L’accelerazione del mondo producefenomeni interessanti: ciò che un tempoera separato è ora collegato. Lapolitica sta diventando spettacolo, lapolitica spettacolo. Entro quindici anni,un attore sarà eletto presidente degli

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Stati Uniti”.Per chi non lo ricordasse, nel 1981Ronald Reagan diventa presidente degliStati Uniti d’America.(VIDEO)

1977 – I REVIVAL

Durante un’intervista televisiva,McLuhan dichiara, spiazzando, comed’uopo, il suo interlocutore: “In questomomento noi siamo in onda. Ed essendoin onda, non abbiamo un corpo fisico.Quando siamo al telefono o alla radio oin tv non abbiamo un corpo fisico.Siamo semplicemente un’immagine inonda. Quando si è in onda, non siamo un

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essere umano, ma un’entità scorporata.In quanto entità scorporata, cirapportiamo al mondo in modo assaidifferente. Ritengo che questorappresenti uno degli effetti piùimportanti dell’era elettrica. L’eraelettrica ha privato gli individui dellaloro identità privata […]. Oggi ognunotende ad assorbire la propria identitàcon quella degli altri alla velocità dellaluce […]. E uno degli effetti piùimmediati della perdita dell’identità èla nostalgia. Il che spiega perché irevival siano così frequenti oggi. Ilrevival dell’abbigliamento, del ballo,della musica, degli spettacoli televisivi.Noi viviamo nell’era del

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revival”.(VIDEO)

CODA – IL RAP DI McLUHAN

La pubblicazione di The Medium is theMassage nel 1967 è accompagnata daun LP distribuito da CBS records.Si tratta di un collage vocale che“vivifica” alcune parti del libro, un cut-up sonoro che affianca McLuhan, ilprofessore e l’MC, ad altri personaggi –The Old Man, The Hippie Chick, TheIrishman, Mom, The Little Girl, e cosìvia. Mcluhanismi mixati a breviinterludi musicali, pop, jazz epsichedelici. Abbandona gli scratch

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ante litteram. Dopotutto, McLuhan hainventato l’hip hop. Nell’aprile 2011, ilmetaLAB della Harvard University, unatask force di accademici digitalicapitanati da Jeffrey Schnapp, ha re-mixato e illustrato quel pezzo,trasportandolo in rete[3].Lo ricordo ancora una volta: McLuhannon va semplicemente letto. McLuhanva ascoltato. Recitato. Cantato. Ballato.

———Matteo Bittanti. Insegna presso ilCalifornia College of the Arts. Hascritto e curato numerosi libri e saggisui videogiochi, sia in italiano sia ininglese. Collabora con Wired e Rolling

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Stone. Vive a San Francisco.———

NOTE[1] — Per esempio, Carlo Ratti,direttore del SENSEable Lab del MIT.[2] — Peggio di lui aveva fatto soloThomas Watson, presidente di IBM, chenel 1943 aveva dichiarato: “Penso cheesista un mercato mondiale per unmassimo di cinque computer”.[3] — Disponibile qui:www.sensatejournal.com/2011/03/jeffrey-schnapp-and-kara-oehler/.

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SMASCHERANDO IL DR.O’BLIVION

·di Elena Lamberti

Tessere di mosaico, una diversadall’altra, combinate in modi inediti.Metafora che vale per l’uomo e ilpersonaggio. Ma anche per la suascrittura composita e multiforme.

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Il teorico canadese marshall mcluhan èuna mitologia del Novecento che faormai parte della memoria collettivatrans-nazionale e trans-generazionale dinoi esploratori del XXI secolo. Prima opoi lo abbiamo incontrato tutti, anche senon da o dal vivo, e tutti ne abbiamouna qualche memoria: i cinefili loricorderanno in Annie Hall di WoodyAllen. I tecno-geek lo avrannoincontrato come Santo Patrono dellarivista Wired. Molti studenti lo avrannotrovato citato in diversi programmid’esame e un po’ tutti lo abbiamoincontrato attraverso slogan assurti acliché epocali, senza necessariamente

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sapere chi li avesse coniati.A seconda dell’età o della formazione,abbiamo costruito una nostra memoriadi McLuhan sovrapponendo una o piùdelle sue versioni, per così dire,immateriali. Proprio come nel caso diVitangelo Moscarda, il protagonista diUno, nessuno e centomila di LuigiPirandello, McLuhan è diventato ciòche noi abbiamo fatto di lui; gliabbiamo messo addosso mascheresempre diverse, per poi guardarlosoprattutto attraverso quelle stessemaschere, dimenticando che sotto c’era,in effetti, qualcuno. Nel tempo,McLuhan è così diventato l’oracolo deimedia, il guru delle nuove tecnologie, il

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modernista e il fan del determinismotecnologico (quest’ultima, peraltro,mendace). Ognuna di queste maschere,però, mette in luce solo un aspetto diuna personalità molto più complessache deve ancora essere ricomposta nelsuo insieme. E ognuna di questemaschere è solo una delle tessere delmosaico mcluhaniano, una sorta difigura su uno sfondo che, se recuperato,permetterà infine di cogliere l’uomoMcLuhan: un professore di letteraturainglese.Proprio dai classici, come dagli autoripiù sperimentali del modernismo anglo-americano, McLuhan aveva imparato aosservare le cose così come esse sono:

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infinite, inscritte in un divenirecontinuo, in una serie di processi che laletteratura e le arti aiutano, nel tempo, arivelare. Alla base delle cosiddetteprofezie visionarie di McLuhan non stanessuna dote divinatoria, solo unostudio costante del rapporto tra uomo,natura e tecnologia, portato avantiattraverso gli strumenti da lui affinatinegli anni Trenta, quando era studenteall’Università di Cambridge: i libri, leparole, l’arte.Come mitologia del contemporaneo,McLuhan è il Tiresia dell’era elettrica,capace di vedere prima di altri ciò chesta per accadere perché non è distrattoda ciò che viene riflesso nello

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specchietto retrovisore: si concentra sulprocesso di rifrazione, lo esplora, loespande, ci gioca. Similmente, quandoguarda la televisione, McLuhan non èipnotizzato dal programma, èaffascinato tanto dal mezzo che dalrapporto che gli individui hanno conesso.Glielo aveva insegnato T.S. Eliot, cheaveva messo proprio Tiresia al centrodella sua opera più nota, la Terradesolata. Tiresia – profeta di Apolloche visse sette anni in un corpofemminile prima di ritrovare il suo,punito con la cecità da Atena perché dalui vista nuda al bagno e poi resoveggente dalla stessa dea pentita –

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viene presentato da Eliot come figuracapace di dare senso e coesione al suopoema proprio per la sua capacità dipercepire i processi senza ladistrazione della vista.È Tiresia che allerta i lettori su ciò chesta effettivamente accadendo, è lui chesuggerisce che non basta vedere percapire, che occorre ri-sintonizzarsisulle dinamiche dei processi in corso.Tiresia incarna il significato piùprofondo di ogni opera poetica: la verafunzione della poesia, scriveva Eliotnegli anni Cinquanta, è il modo colquale il poema ti lavora la mente mentretu sei distratto dal suo contenuto. Comeavrebbe scritto qualche anno dopo

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Marshall McLuhan: il mezzo è ilmessaggio.

DALL’OCCHIO ALL’ORECCHIO

All’inizio della galassia gutenberg(1962), prima di presentare il contenutodel lavoro, McLuhan presenta il suometodo di scrittura, che definisce a“mosaico”. Perché per McLuhan è cosìimportante da anteporlo a tutto il resto?Cosa vuol dire “scrittura a mosaico”?Possiamo associare diversi significatial termine “mosaico”: una forma d’arte(i mosaici romani o bizantini), un modoper definire un certo assetto

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multiculturale e sociologico (il mosaicocanadese), un tipo di pavimentazione.Non sono che alcuni tra i tanti possibiliesempi di come il termine mosaicovenga applicato a diverse areedell’agire umano, spaziando dal campodell’estetica e dell’arte, a quello dellapolitica, a quello del design applicato.Eppure, a ben guardare, tutte questedesignazioni hanno qualcosa in comune:la loro struttura operativa. Tuttequeste idee di mosaico si traduconoinfatti in una forma materiale oconcettuale costruita a partire da unframmento – o tessera del mosaico –che costituisce l’unità minima daassemblare per creare una figura; una

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figura che acquista senso e valoreproprio per come interagisce con losfondo su cui si inscrive e con ogni altratessera. È l’interazione tra le singoletessere che crea il disegno che la nostraosservazione contribuisce a rivelare.Siamo noi che diamo un senso allafigura ricomponendo le tessere: lanostra osservazione mette in lucel’effetto d’insieme, qualcosa chetrascende i singoli frammenti che purerestano alla base del disegno. È unprocesso che funziona anche per lascrittura di McLuhan: non è una scritturalineare, è giustappositiva e paratattica,funziona per associazione e non perlogica e si costruisce su una unità

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minima che McLuhan definisce sonda oglossa verbale. Il nostro compito dilettori è quello di connettere le sonde efarle “risuonare”, ovvero utilizzarle peraprire nuove potenzialità percettive apartire dal potere intrinseco delleparole, usandole in modo attivo qualicontenitori di esperienza e non comesignificanti vincolati a un solosignificato.Non a caso, la scrittura a mosaicoadottata nel 1962 da McLuhan –accademico e non artista “allaMarinetti” – suscitò reazioni negativetra i lettori “alfabetizzati” e “razionali”:le pagine della Galassia Gutenberg non“funzionavano” più secondo gli schemi

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logici della scrittura occidentale,ordinati, sequenziali e razionali (tesi,antitesi, sintesi).Le pagine di McLuhan non assimilavanopiù “l’espressione scritta al corpoumano”, metafora che rimandava aun’entità nota: l’uomo. Come haricordato Walter J. Ong, allievo diMarshall McLuhan, i testi tradizionaliintroducono una sorta di “direzione” edi ordine nell’acquisizione dellaconoscenza:

“Capitolo” deriva dal latino caput,ovvero “testa” (come quella tipica delcorpo umano). Le pagine non solohanno testa ma anche “piedi”, con le

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note a piè di pagina. I riferimenti sonodati a ciò che sta “sopra” o ciò che sta“sotto” nel testo, riferendosi a ciò chesi trova diverse pagine prima o dopo.Il significato dell’ordine verticale eorizzontale ha bisogno di uno studioaccurato[1].

McLuhan ha portato avanti proprio talestudio: incrociando la ricerca letterariacon quella sui media, ha ripensato lascrittura alla luce dei cambiamentitecnologici e ambientali. Le idee diverticale e orizzontale connotano ilpunto di osservazione, ovvero laprospettiva che adottiamo nel momentoin cui osserviamo cose e situazioni,

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quindi anche il nostro coinvolgimento.Allo stesso modo, la pagina costruitasul modello del nostro corpo è unapagina che possiamo osservare come unpaesaggio esterno a noi. È una paginache separa chi conosce da ciò che siconosce e permette la riflessione el’introspezione. Funziona bene seimmaginiamo la conoscenza comel’accumulazione progressiva di dati chemettiamo da parte per futuri impieghi; lalettura diventa così funzionale allacostruzione di una sorta di inventario diidee che ben si adatta alla civiltàletterata o meccanica. Ma questoapproccio lineare non funzionaaltrettanto bene nell’età elettrica o

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digitale, poiché il sovraccarico diinformazioni complica l’accumulazionee la memorizzazione, imprese semprepiù ardue se non sono supportate dallatecnologia. In modo coerente, le paginedi McLuhan scritte negli anni Sessanta eSettanta non assomigliano più al corpoumano: perdono testa e piedi, perdonola loro “fisicità” nello stesso momentoin cui gli individui iniziano a“smaterializzarsi” attraverso nuovimedia elettrici, estendendo la psiche inquello che un paio di decenni dopoautori come William Gibson avrebberochiamato cyberspazio.Operando agli albori di nuoveapplicazioni tecnologiche, il mosaico di

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McLuhan si sviluppa così a partire dauna nuova metafora, non più biologicama tecnologica: la sonda, appunto, unoggetto flessibile attraverso il quale sipuò esplorare simultaneamente tantol’interno che l’esterno di corpi, oggettie ambienti diversi. Le pagine scritteattorno a una sonda verbale (un gioco diparole, un aforisma, uno slogan)incorporano il lettore all’interno delpaesaggio, come in un grande campoelettromagnetico: la loro osservazione èparte del movimento e lo condiziona.Per questo le pagine di McLuhan nondevono essere percepite come “corpi”estranei o come “cose”, ma come“eventi”: l’atto della lettura è parte

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integrante della nostra partecipazione alprocesso di esplorazione. Leggiamo nonsolo con gli occhi, ma con tutti i sensi,siamo coinvolti: lo spazio costruitodalle parole di McLuhan non è più unospazio lineare ma acustico, avvolge ecoinvolge ogni nostra capacitàpercettiva. La sonda verbale èl’interfaccia tra il sapere celato neltesto e noi, con le nostre competenze econoscenze; è l’interfaccia che ci invitaa lasciare la linea per il cerchio.Dall’occhio all’orecchio.

DALL’ARCHETIPO AL CLICHÉ EDAL CLICHÉ ALL’ARCHETIPO

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Popolarissimo negli anni sessanta, già ametà degli anni settanta l’astro mcluhaninizia il suo declino. A pochi anni dallasua morte, avvenuta nel dicembre del1980, Videodrome (1983), del registacanadese David Cronenberg, divulga efissa nell’immaginario comune l’ideamcluhaniana dei media come estensionedell’uomo e crea una figura che ricorda,seppure in forma parodica, lo studiosodei media: Brian O’Blivion, ilprofessore che guida la Missione delraggio catodico, personaggio che nonappare mai dal vivo ma comunicaesclusivamente attraverso monologhivideoregistrati. O’Blivion è dunque

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alter ego dell’uomo“elettrico/elettrificato”, vive “in onda”e parla in modo oracolare, propriocome McLuhan. Anzi, le sue profeziesono una somma grottesca dei diversipronunciamenti oracolari mcluhaniani:

La battaglia per le menti del NordAmerica si combatterà nellavideoarena, la tv. Lo schermo video èil recto dell’occhio della mente e loschermo tv è parte della strutturafisica del cervello… Di conseguenza latv è realtà e la realtà è meno della tv.

A differenza di quanto accade in AnnieHall, in Videodrome McLuhan non può

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più interpretare se stesso; il suo avatarcinematografico O’Blivion testimoniacome, a partire dagli anni Ottanta, si siainiziato a costruire la “mitologiaMcLuhan”, ovvero il suo essere mediaguru, oracolo e profeta delle nuovetecnologie, determinista tecnologico checonsidera la tecnologia come il fattoredominante di ogni cambiamentoambientale e individuale in un rapportodiretto di causa/effetto. Le esternazionidi O’Blivion diventano messe in scenatecnologiche di un simulacro iper-reale,contribuendo a formare un’idea“popolare” di McLuhan, che peròsemplifica la complessità dell’archetipoe della sua ricerca. In questo senso, il

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film di Cronenberg testimonia unmomento importante nella storia deimedia e dello studio delle tecnologie: cimostra come siano stati proprio i massmedia a giocare un ruolo fondamentalenella costruzione delle mascheremcluhaniane, contribuendo a un tempo adiffonderne il pensiero ma anche a(de)limitarlo. Il ritratto (non ufficiale)proposto da Cronenberg è ironico eparodico, a partire dal nome: BrianO’Blivion, laddove Brian è anagrammadi ‘brain’, cervello, un termine usatomolto spesso dallo stesso McLuhannelle sue riflessioni sulla percezione,mentre O’Blivion traduce l’idea didimenticanza, di oblio. Entrambi i

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termini chiamano in causa la nostrapercezione sensoriale, la nostracapacità o incapacità cognitiva, ovverola nostra capacità di elaborare lesituazioni o di venire ipnotizzati dallestesse. Se giustapposti, nome e cognomesottolineano entrambe le possibilità, lanostra capacità di ragionare (ilcervello) e il nostro torpore (l’oblio);ma traducono anche l’idea di unrapporto compromesso tra corpo emente, perché inducono l’idea di uncervello che dimentica. Sono questedefinizioni parodiche e paradossali chein fondo, lanciano a noi una sfida: qualescegliere? Quale maschera mettere aMarshall McLuhan e perché?

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A dire il vero, più che mettere sarebbeforse meglio togliere la maschera aMcLuhan-O’Blivion e guardarlo perquello che è: un esploratore di nuoviambienti tecnologici che ha portatoavanti l’esplorazione con uno strumentoall’apparenza obsoleto, ovvero illinguaggio, il più “umano” tra gliartefatti. Certo, i massmediologi e isociologi sono chiamati a verificare labontà delle intuizioni di McLuhan,ovvero a testare e mettere alla prova lesue cosiddette profezie; devono agire daspecialisti. Ricordare la dimensioneumanistica di McLuhan permette invecedi adottare un approccio più ampio econcentrarsi non solo su cosa ha detto

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ma su come lo ha detto; permette diriflettere su quella che forse è l’ereditàpiù interessante del teorico canadese:una diversa forma mentis. Un’attitudinealla ricerca ludica, per questo capace diirritare gli specialisti più rigorosi, unavoglia di esplorare modi diversi peravvicinarsi a tutto ciò che è in divenire,di tuffarsi nella terra incognita delcambiamento. Proprio come il marinaiodel racconto di E.A. Poe, Una discesanel Maelström, più volte citato negliscritti del teorico canadese, McLuhansupera la paura dell’ignoto e si lasciatrasportare dalla nuova situazione peresplorarla dall’interno e cercare nuovipunti di riferimento per stabilire

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coordinate e orientarsi: il vorticed’acqua che spaventa il marinaio ormainaufrago diventerà invece un paesaggioda cui si potrà apprendere qualcosa dinuovo, perfino divertendosi.Un’attitudine che non si traduce conl’essere a favore del nuovo e conl’abbracciare con entusiasmo ognicambiamento; vuol semplicementesuggerire che non serve ergersi comeDon Chisciotte contro i mulini a vento,che è meglio accettare la realtà perquella che è, anche quando cipiacerebbe vederne un’altra.McLuhan non era uno “specialista” deimedia, non ha “sistematizzato” la nuovamateria alla luce di dati oggettivi a fini

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classificatori e scolastici. Non era,insomma, un dialettico dei media, comel’esperto O’Blivion nel film diCronenberg, che in fondo guarda ilmondo attraverso lo specchiettoretrovisore, prevedendo cose ormai giàmanifeste, divulgando conoscenze ormaigià acquisite. McLuhan era piuttosto ungrammatico dei media, intento non acatalogare e dare risposte ma a sondarela complessità delle situazioni, levariabili, il movimento: a porredomande. In Videodrome, i monologhidi O’Blivion sono registrati earchiviati, il sapere è parcellizzato esemplificato in frasi fatte, facili damemorizzare e visualizzare. In origine,

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quelli che noi abbiamo trasformato inslogan mcluhaniani nascono comeaforismi, forme complesse, a un temposfide ludiche e sfide epistemologiche.La differenza la fa chi legge o chiascolta; siamo noi a scegliere serimanere in superficie o se entrare incontatto con la complessità racchiusanella forma.

METTERSI IN GIOCO

Entrare “in contatto” con talecomplessità implica la disponibilità amettersi in gioco, ad abbandonarecategorie fisico-cognitive tradizionali, a

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perdersi nel flusso e a diventare, dicevaMcLuhan, “turisti psichedelici”: psichee corpo si riformano costantementeproprio attraverso il viaggio diesplorazione di un nuovo ambientetecnologico. Occorre, dunque, mettersia nudo per recuperare una posizione diascolto “altra”, capace di ritrovarel’armonia di una percezione a tuttocampo, ovvero di utilizzare latecnologia per rimettere al centrol’essere umano. La tecnologia, in questosenso, non può che essere ecologica: seè vero che ogni nuova tecnologia nonelimina la precedente, ma la costringead adattarsi al nuovo (a diventarecontenuto della nuova, a trasformarsi in

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forma d’arte), ecco che i più recentisviluppi della tecnologia digitalerecuperano elementi di una fisicitàapparentemente compromessa da altrimezzi elettronici, provano a rimettere alcentro il fattore umano. Touch-screen,realtà virtuali, 3D sono oggi i nuoviambienti che recuperano l’individuomettendolo in contatto con campiall’apparenza immateriali. La verarivoluzione della nuova “fantascienza”digitale non consiste tanto nel proporrescenari futuristici, né vecchie-nuovestorie nelle quali si ipotizza l’incontrocon altre forme di vita ibrida; ilcambiamento sta piuttosto nellamodalità di fruizione dei prodotti

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costruiti a partire dalle nuovetecnologie, che induce una sensorialitàrinnovata digitalmente, costruita non suuna presenza fisica “reale”, ma su“performance” di presenza, giàsperimentate in campo artistico, chepotenziano leggerezza, esattezza,rapidità, visibilità, molteplicità econsistenza[2]. Avatar di JamesCameron (un altro canadese!) è,naturalmente, l’esempio più noto diquesto processo, costruito su unamodalità di ripresa stereoscopicaparticolarmente innovativa. Con latecnologia, gli attori si trasformano inavatar reali, le loro espressioni faccialivengono digitalizzate ed elaborate per

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l’animazione e noi “vediamo”,tocchiamo e percepiamo qualcosa che ècontemporaneamente reale e non-reale,aiutandoci con gli occhiali 3D che civiene richiesto di indossare per laproiezione.È piuttosto ironico che sia proprio unmezzo meccanico per eccellenza –l’occhiale, che esalta l’occhio, la vista,il senso dominante nell’età meccanica ogutenberghiana – a permetterci diconnetterci alla nuova realtà avvolgentedi queste performance di presenzaaltamente tecnologiche. Seguendo unparadosso simile, è piuttosto ironicoche McLuhan abbia elaborato la suaricerca sulle nuove tecnologie e sui

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nuovi ambienti massmediatici partendoda un sapere antico, da lui usato comestrumento operativo capace di penetrareil divenire della nuova, avvolgente, etàelettrica. In fondo, McLuhan era unprofessore di letteratura inglese che nonpercepiva la letteratura come soggetto,ma come “funzione”; una funzioneimprescindibile dalla nostra esistenzaquali individui che abitano unacollettività. Dai media al linguaggio.Dal linguaggio all’uomo. Dal clichéall’archetipo. Sotto la maschera diBrian O’Blivion, il volto dell’uomo:Herbert Marshall McLuhan.

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Elena Lamberti. Insegna Letteratura ecultura americana e canadese pressol’Università di Bologna. Il suo ultimolibro è Marshall McLuhan’s Mosaic.Probing the Literary Origins of MediaStudies (UofT Press, Toronto 2011).Tra le sue altre pubblicazioni, sisegnalano il libro Marshall McLuhan.Tra letteratura, arti e media (BrunoMondadori, Milano 2000) e le curateledi Ford Madox Ford and The Republicof Letters (con V. Fortunati, CLUEB,Bologna 2002), Biocomplexity at theCutting Edge of Physics, SystemBiology and Humanities (BononiaUniversity Press, Bologna 2008) eMemories and Representations of War

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in Europe (Rodopi, Amsterdam 2009).———

NOTE[1] — W.J. Ong, Orality and Literacy.The Technologisation of the World,Methuen, London 1982, p. 100.[2] — P. Granata, Arte, estetica e nuovimedia. Sei lezioni sul mondo digitale,Lupetti, Bologna 2009.

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DENTRO LA SPOSA·

di Violetta Bellocchio

Potere dei nuovi media. Sul web ognipersona, ogni discorso, ogni relazionediventa pubblicità. Fonte di guadagno(auspicato), e soprattutto di visibilità.Ognuno si mostra, si vende, sicostruisce come merce.

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“I wanted to build him up more onYouTube first. We supplied morecontent. I said: ‘Justin, sing like

there’s no one in the room. But let’snot use expensive cameras’. We’ll giveit to kids, let them do the work, so that

they feel like it’s theirs”.

Scooter Brauntalent scout e manager di Justin Bieber

citato in “Justin Bieber is Living theDream”

New York Times, 31 dicembre 2009

Internet è la giovane moglie comprata

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per corrispondenza che quando èarrivata non era proprio uguale alla fotosul catalogo. Era un po’ troppo sveglia,un po’ troppo veloce. Aveva passioniper cose strane e specifiche. Il maritone tollera le eccentricità, e a tratti se necompiace, ma non parla la sua lingua enon la impara: in lei cerca un confronto,ma continua a trattarla come se fosseuna sorridente cameriera-robotprogrammata per amare. Mica potràtornarsene in Bielorussia, in fondo.Per Justin Bieber, cantantediciassettenne da due milioni di copievendute per album, internet è untrampolino e insieme un punto d’arrivo.Viene scoperto online, ma da un

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manager professionista, Scooter Braun.Il quale, prima di portare il ragazzo intv, rafforza la sua presenza sullo stessonetwork da cui l’ha pescato, YouTube.Lasciando “fare il lavoro” ai fan che giàha, perché lo sentano come una cosaloro. Un prodotto che lorocontribuiscano a creare, non solo alanciare. Funziona.Con ogni gesto, Justin Bieber dice:“Non ero nessuno e ora sono famoso, eil merito è vostro! Aiutatemi a diventareancora più famoso!”. Tecnicamente è unragazzo, ma è stato disegnato dagliadulti. I primi video su YouTube glielicaricava la madre. E oggi lui usainternet per fingere la vicinanza: per

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dare la buonanotte ai suoi fan,contandoli uno a uno, ma senza sfiorareloro la fronte.Su Twitter scrive: “S’è fatto tardi, oradico le preghiere e vado a nanna”.Quando Stefani Germanotta, cantante epianista ventunenne, decide ditrasformare se stessa nella diva LadyGaga, lavora sodo per sembrare natagià così: cerca di cancellare le traccedi una vecchia apparizione su Mtv, lefoto che la mostrano castana e un po’goffa mentre suona nei bar. Non ciriesce. Quelle tracce, online, circolanosempre. Allora il personaggio di “LadyGaga” diventa la sua lotta per affermarela nuova identità, on- e offline, dai

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continui cambiamenti nell’aspetto fisicoai discografici che prima l’hannorespinta. Tutto il resto è manovrato inmodo da concentrare la tua attenzionesul futuro. Lei usa internet percondividere novità sulle canzoni inarrivo, sulle cause che sostiene. Ilmeglio deve ancora venire. Su Twitterscrive: “Lasciate che l’identità sia lavostra religione”.Perché una campagna pubblicitariafunzioni, il suo messaggio dovrebbeessere seducente, ma non lasciarespazio a dubbi. Mentre la seduzionereale vive sui doppi messaggi, sui dipiù lasciati intuire o immaginare.Internet è l’evoluzione naturale della

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“sposa meccanica” di cui scrivevaMcLuhan, nel momento in cuil’immagine femminile smette di esserel’attrattiva spalmata su qualsiasimanifesto: la donna è entrata nellamacchina. È l’intero processo a essersifemminilizzato. Accade tutto dentro dinoi, molto prima che fuori. Ci sono piùcomputer chiamati “Principessa” chebambine chiamate Sara.

L’ORGOGLIO DELLA BANDIERINA

Se qualcosa ha fortuna online, verràdefinito virale. Ma perché un video, unacanzone, una frase sia davvero virale,

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deve partire da un singolo computer –un singolo corpo, una singola cellula –,e diffondersi grazie a chi non ne ricavaalcun guadagno.Per ogni Justin Bieber, ci sono milleLily Allen vendute come “star virali”che erano già sotto contratto nel mondofisico, e sono solo state brave (ocostrette) a coltivare una presenzadigitale, perché il loro è un pubblico diadolescenti, al massimo di ventenni. Sevengono da internet sono come voi;hanno un corpo, dei sentimenti. Mentreciò che nasce online non deve mai averesuccesso in posti che la sua base nonapprova. E per nessuna ragione deveessere cooptato dal vecchio.

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Piattaforme arricchite dallo usergenerated content vengono vendute agrandi aziende[1]: la base se ne va. Retitelevisive utilizzano un meme senzachiedere permesso ai suoi anonimiinventori: la base esplode[2]. Il piaceredella condivisione non può vinceresull’orgoglio del piantare la propriabandierina.L’attore Nathan Fillion (Castle) sicompiace ogni volta che uno dei suoitweet diventa una battuta delpersonaggio che interpreta in tv. Comese ogni lieve modifica al copione fosseun trionfo della volontà contro unnemico senza faccia. In teoria, Fillionpiace perché “è genuino”: ha molti

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interessi in comune con il suo fan medio(i videogiochi, la fantascienza) e con ilsuo personaggio-tipo (il buon cibo, ledonne). Lo ami all’istante, lo ami persempre. Nella realtà ha fatto moltagavetta, e la sua popolarità online nongli ha mai garantito nulla. Però, primadi Castle, era facile viverlo come unascoperta, una storia a cui stavipartecipando. Un rischio che correvi inprima persona.All’inizio del 2008, approfittando diuno sciopero degli sceneggiatori, JossWhedon raduna gli amici (tra cuiNathan Fillion) e gira Dr. Horrible’sSing-Along Blog, un mediometraggiomusicale che si può vedere o scaricare

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solo dal suo sito. Poi mette la colonnasonora su iTunes e guadagna un sacco disoldi. Abbraccio di gruppo.Ma Dr. Horrible aveva un autore eregista esperto, un cast di buon livello,una produzione pulitissima. Daspettatore, non puoi dire di avercontribuito al suo successo. È moltobello, ma non l’hai fatto tu.Devi fare qualcosa. Ogni giorno chepassi online, tu scegli cosa essere e acosa aspirare: abbellisci e ritocchi unapersonalità che già esiste. Oppure,come molti di noi, metti in scena la tuaparte peggiore.Per inserire la tua storia in unanarrazione di massa, usi le tecniche di

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un seminario di sceneggiatura-base:cerchi “svolte”, mid-point, nemici,ostacoli e soluzioni; ma caratterizzi testesso nel modo più rozzo possibile,come se ti fossi perso di vista dopo illiceo. Non dai alla tua identità digitalele sfumature da protagonista. Sei unpersonaggio di secondo, di terzo piano:spalla comica, bullo, collega infernale,single depresso, maniaco del controllo.Quando il miliardario Ashton Kutchertwitta una foto delle chiappe di suamoglie Demi Moore, sta costruendo perte la sua vita normale, così rozza eserena. In fondo chi non ha maifotografato le chiappe della propriamoglie mentre stira. Chi?

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UN ESERCITO DI CASTIGATORI

Tra i lati oscuri più celebri della sposainternet, c’è la gogna digitale: lecentinaia di comunità nate per derideregli estranei[3]. A volte si sbeffeggianopersone note, nei loro gesti pubblici:quando Justin Bieber interpreta unteenager bombarolo in CSI, il videodove viene ucciso dalla polizia vienesubito condiviso, remixato, ricucito.Diventa, di nuovo, una cosa loro, anchese stavolta “loro” hanno intenzionimolto meno gentili (Ehi, anch’io odioJustin Bieber!). Il più delle volte, però,

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nel mirino finiscono perfettisconosciuti. La ragazza in età scuolemedie che dice sciocchezze nel suovideo-blog può diventare la nemicapubblica numero uno per un esercito dicastigatori: il passare del tempo la faràscivolare in secondo piano, ma glischerzi e gli insulti non verranno maicancellati.Se la persona diventa un meme, nonvalgono più le regole dell’oltraggio,della vergogna, del limite umano. Crediche nessuno ti veda. Credinell’anonimato come strada a sensounico, e nel perdono inevitabile daparte della sposa. Va tutto bene.Fatto: un giovane che va a lavorare per

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un vecchio medium smetterà di “capireinternet” entro due settimane. Nellanuova sposa cercherà un sostituto dellavecchia pubblicità, di quelli che erano iconcorsi sui fan magazine (incontra iltuo idolo!) o i sondaggi interessati(cosa vorreste vedere?). Basta così.Quando Mtv prepara il reality JerseyShore, fa circolare in rete un annunciostrano e specifico, che recita“cerchiamo giovani italo-americaniorgogliosi di essere tamarri”.L’annuncio arriva su Facebook, e lì lotrova la futura star del programma,Nicole “Snooki” Polizzi, unacentralinista che ha tutti i requisitiadatti. Click.

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Jersey Shore andrà subito bene nelmondo fisico, molto, molto al di là dichi cerca nuovi volti per la gognadigitale, o ritrova in quella finzionequalcosa che conosce davvero. E Mtvcontinuerà a mettere annunci – “seipronta a diventare la nuova Snooki?” –ma dalla rete non pescherà mai più. Senon per mostrare i peggiori video-provini, durante una puntata speciale. (Etutti ridono).Lo stesso. Ogni progetto dovrà avere,come si dice, un buon sito: tu dovraitrovarci sempre nuovi filmati da vedere,giochi da fare, e soprattutto molte falsepossibilità di dire la tua[4]. Come i tgche invitano gli spettatori a spedirgli i

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loro contributi. Nevica = vacci tu agirare video, pirla. E tu ci vai. Tuesono la carne, la forza, il tempo. Ilcuore.

LA SPOSA CHE FACILITA

Se la diffusione dei telefoni cellulari haobbligato gli autori a trovare scuse perrimuovere i cellulari dalla finzione –perché lui non chiama [X]? perché iltelefono è [guasto/scarico/senzacampo] –, la diffusione di internet hareso popolari due piste diverse: lasituazione comica in cui un personaggiodice “questa la metto sul mio blog”[5],

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e la situazione gialla in cui si consulta“l’esperto di computer”. E chi èl’esperto di computer? Un fratellominore pestifero, con passioni strane especifiche, che viene zittito di continuo.(Sì, vabbé, dimmelo in parole povere).Anche quando sta descrivendo dellecose perfettamente normali, alla pienaportata tecnica e cognitiva di chi lorimprovera. È uno che vive di nulla,parla di nulla. È lui lo scemo.Unica eccezione, l’hacker “buono”, chepuò diventare la spalla di un eroeall’antica, come nell’ultimo DieHard[6]. È buffo, no? Sei degno di lodese appartieni alla giga-minoranza checommette reati gravi: ma se usi la rete

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legalmente, per operazioni magariprecise ma ordinarie, sei uno sfigatocon dei capelli orribili.Nei fatti, la nuova sposa viene utilizzata– da molti – come facilitatrice“moderna” di vecchi comportamenti.Per un cittadino che online legge igiornali, ce ne sono cento che stanno lìsoltanto per propagare catene disant’Antonio, o sfogliare photo gallerydei colleghi d’ufficio. O guardarsi iporno che vent’anni fa avrebberoaffittato.Se esistesse davvero un bilancio diinternet, si reggerebbe sul porno. Ilporno, che uccide il momento formativosbircia il giornale proibito in edicola e

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battezza il momento impara adaggirare i filtri messi dai tuoi genitori(oppure, vai a casa di uno con deigenitori meno ossessivi). Il porno, cheè ovunque e da nessuna parte: pertrovarlo devi cercarlo. Devi diventarepiù strano, più specifico. Più creativo.L’intensità del tuo tempo online ricordaquella di un porno-dipendente, e ladisposizione dei link in un testo ricordaquella dei lampi di nudo in un film diserie B.Ma il porno adesso sta dentro di te.Intorno hai più stimoli, per la gioia dichi crede la sessualità dipendere daivisual aid: ma hai maggiori possibilitàdi scoprire chi sei tu sul serio, anche se

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il percorso può portarti in territori nonprevisti[7]. E non sei obbligato acercare queste cose all’esterno: acercare lo sguardo impossibile di unavecchia sposa meccanica, che alzi gliocchi su di te, che ti guardi, che ti rendaspeciale. Lo sei già.Internet è la moglie che hai comprato, econ cui cerchi inutilmente di negoziare.Hai stabilito molte regole: consumipornografia, ma solo se è gratis;scarichi serie tv, ma solo se non vannoin onda nel tuo paese; aggiorni il tuoprofilo su un social network, ma noncerchi te stesso su Google; spii il tuocollega tramite Facebook, ma non lomolesti in corridoio.

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Allora, ovvio, ti diventerà più facile –perché più leggero e in apparenzainvisibile – considerare conammirazione o invidia il corpo elettricodi Lady Gaga rispetto alla vicina dicasa. E poi, funesto salto in avanti dicinque anni, deridere o compatire lamorte di Lady Gaga rispetto a quelladella vicina. Proprio come avresti fattocon la dolente Soraya sulle pagine diOggi. Con, in più, la sensazione di unavicinanza: il tempo reale, la ricerca ditracce lasciate da lei in persona.Quando Britney Spears si è rasata icapelli in quasi-diretta web, hai pensatodi poterne raccogliere una ciocca dalpavimento.

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Non è solo una sensazione.Tu sei dentro la sposa. E quel che piùconta, lei è dentro di te.

———Violetta Bellocchio. È l’autrice di Sonoio che me ne vado (Mondadori, Milano2009). Ha scritto diversi racconti, gliultimi usciti su Rolling Stone e AliceBaum. Collabora a Studio, Italic ed E.

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NOTE[1] — Come Television Without Pity,un portale specializzato in riassunticomici degli show più popolari, conuna vita di comunità molto vivace

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(all’epoca): dal 2007 appartiene algruppo Bravo TV (a sua volta, gruppoUniversal), che, cercando unapiattaforma “irriverente”, se n’ècomprata una invece di crearla.[2] — Lo fece Cartoon Network quandotrasmise un finto spot di cinque secondiutilizzando l’immagine di CourageWolf, solo uno dei centinaia di memenati all’interno del forum 4Chan. Inquesto caso, però, il network potrebbeaver corso un rischio calcolato peraumentare il traffico sul proprio sito.[3] — La più celebre, e la più temuta:Encyclopedia Dramatica, uno spin-offdi 4Chan.[4] — Motivo per cui gli spazi

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commenti di questi siti, anche quelliseveramente moderati, sono una fognainnavigabile.[5] — È il tormentone del dongiovanniBarney in How I Met Your Mother, mala stessa battuta, con "Facebook" o"Twitter" al posto di "blog", è forse larisposta comica più diffusa tra ipersonaggi "giovani" di film e serie tv. [6] — Lo stesso film in cui il cattivosbeffeggia l'eroe chiamandolo "unasveglia analogica in un mondo digitale".[7] — If it exists, there is porn of it.No exception.

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Un passo oltre lo sloganIL MEDIUM È IL SOGGETTO?

·di Fulvio Carmagnola

Nell’epoca del Più Grande Altro lo“spazio dei media” è esattamente lo

spazio del soggetto[1].

Qual è il messaggio di “il medium è ilmessaggio”? E il medium è ancora il

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messaggio, dopo questi decenni? Oforse era così solo allora, contropartedi una concezione del “messaggio”come qualcosa che deve esserecomunicato/trasportato – all’interno diquella che è stata efficacemente definita“teoria veicolare” dellacomunicazione[2]?Si potrebbe ipotizzare che uno deimotivi del grande successo dei claimdello studioso canadese sia non solo laforma brillante dell’enunciazione, maanche la posizione stessa che le suedichiarazioni insieme mostravano enascondevano. I suoi messaggi, inapparenza portatori di una posizionesovversiva, in realtà innovavano nella

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forma, ma forse non nella sostanza, unpunto di vista definibile entro i contornidell’umanesimo, con la sua teoriaclassica della rappresentazioneenunciata in una forma scintillante.Gli studiosi spesso distinguono, nelcaso di grandi figure popolari dellacultura come McLuhan, tra una forma“scientifica” complessa e una sorta divolgarizzazione che ne distorcerebbe icontorni e ne semplificherebbe il sensoprecisamente in vista della“comunicazione” massificata. Come sel’efficacia, il lato pragmatico dellacomunicazione fosse necessariamentedestinata a distorcere la correttezza. Mase invece proprio la versione

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volgarizzata delle sue formulazioniteoriche rivelasse in controluce la loroverità? Se proprio negli apparentifraintendimenti si rivelasse la loro veraefficacia? Il messaggio, in fondo, rivelala sua azione proprio nelle conseguenze.La formulazione di McLuhan in verità èpiuttosto raffinata. Egli scriveva che ilcarattere di “messaggio” del medium:

è nel mutamento di proporzioni, diritmo o di schemi che introduce neirapporti umani […]. È il medium checontrolla e plasma le proporzioni e laforma dell’associazione e dell’azioneumana. I contenuti […] possono esserediversi, ma non hanno alcuna

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influenza sulle forme dell’associazioneumana.

Proviamo a riflettere su quale potrebbeessere il senso dell’affermazione diMcLuhan prendendo in considerazioneproprio la sua fortunata ripetizioneinfinita e banalizzata, nel ruolo dimetafora morta o naturalizzata. Percapirne la portata, credo, bisognaricordare la formulazione standard dellateoria della comunicazione o la suagrammatica istitutiva, che risale aJakobson[3]: il messaggio è una sorta dicontenuto prodotto da unsoggetto/emittente e trasportato dallacomunicazione – che ha il compito di

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portarlo a destinazione nelle miglioricondizioni possibile, non danneggiato,integro come un pacco o un mobile chevenga traslocato – fino al destinatario,passando attraverso un canale, eneutralizzando nella misura delpossibile le asperità del percorso e gliostacoli (il rumore, l’entropia o ladispersione) attraverso l’uso efficacedel codice che produttore e fruitorehanno in comune. Jakobson ricavava datale configurazione anche le varie“funzioni” comunicative: emotiva,conativa, denotativa, metalinguistica,poetica, fàtica. Le funzioni indicano ilrispettivo rapporto del messaggio con isei elementi della comunicazione –

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compreso se stesso.Ora, è proprio rispetto a questaconfigurazione della teoria standard chela frase “il medium è il messaggio”risultava a prima vista eversiva. Infattila proposizione di McLuhan confonde oidentifica due elementi che la teoriastandard distingue: il trasportato, il finestesso della comunicazione, e ciò che lotrasporta. Contenuto e contenitore. Ipacchi e il furgone (o il vagoneferroviario o il “vettore”).

MESCOLAMENTO DI FUNZIONI:POETICA E FÀTICA

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Se riflettiamo su due di queste funzionidi Jakobson, potremmo cercare divedere in trasparenza una primitivaversione del modello di McLuhan: sitratta della funzione fàtica e di quellapoetica. Nella prima il canale esprimela sua stessa presenza, la presenza percosì dire del suo proprio esercizio:

My nerves are bad to-night. Yes, bad.Stay with me.Speak to me. Why do you never speak.Speak[4].

Parlami – occupa il canale – qualunquecosa tu dica (come nella maggior partedei messaggi che ci scambiamo sui

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cellulari). Nella funzione poetica – incui peraltro Jakobson condensaval’esperienza delle avanguardieletterarie del suo tempo – il messaggioesibisce proprio la sua improduttività ointransitività comunicativa, appare (alricevente) for his own sake, si potrebbedire. Si tratta, come ha scritto NathalieSarraute, di “strofinare le parole fino afarle luccicare”. Il poetico, in parola enon in frase, accentua il senso comeinfinita apertura, a scapito delsignificato.O ancora più a fondo: la parola stessa èsovraccaricata fino all’eccesso eall’auto-negazione di sé “comemessaggio” appunto. Pensiamo agli

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ultimi versi di Hölderlin, il grandepoeta contemporaneo di Hegel e diSchelling, o nel Novecento alleesperienze così diverse tra loro diArtaud o di Paul Celan. O, per restaredalle nostre parti, alle straordinariefilastrocche di Luigi Meneghello(“Pomo pero – dime ‘l vero / dime lasanta – verità / Quala zela? – questaqua”)[5]. Per non parlare del piùcolossale monumento contemporaneoall’intransitività del linguaggio eall’assolutezza indifferente delmessaggio rispetto alla“comunicazione”, vale a dire ilFinnegans Wake joyciano.Ora, come si presenterebbe rispetto

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all’edificio della teoria standard ilclaim di McLuhan? Dovecollocheremmo il medium tra lefunzioni di Jakobson? Diremmoprobabilmente che il medium è unaversione del canale – o del codice. E ilsenso sarebbe questo: il messaggio inrealtà non è il contenuto che il codice siincaricherebbe di trasmettere otrasportare integro fino al destinatario,ma è il codice stesso. Il quale,diremmo, passa così dalla trasparenzaall’opacità, emerge nel suo spessore. Ilmedium in realtà sono i media nellaloro pluralità, che insieme compongononon un sistema strumentale maun’ecologia, un ambiente – l’intero

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ambiente mediale che non ha più lafunzione servile di puro alveo o vettore,ma appare in prima persona. Non è piùla condizione per la quale i messaggidevono/possono passare, e nemmeno ilpotenziale ostacolo inerziale al lorotrasporto. Si tratta piuttosto di unecosistema: un singolare collettivo, unambiente o una scena che finisce alegittimare i messaggi stessi. Dacontenitore, il medium diventa il verocontenuto. Ecco allora che il riferimentoal fàtico e al poetico – due funzioni chehanno una strana somiglianza –comincia a diventare pertinente.Un’inversione tra contenitore econtenuto appare in entrambi i casi.

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Ma l’affermazione di McLuhan è divasta portata: quando scrive che ilmedium “controlla e plasma” le formesociali, lo studioso intuisce unatrasformazione che tocca lo stessoparadigma “veicolare” dellacomunicazione. Fa un’osservazione cheva oltre gli aspetti tecnici. Il vero“messaggio” che il medium porta con séè la sua presenza costruttiva e nonveicolare, produttiva e non ancillare.

IL SOGGETTO PERFORMATIVO

Tuttavia, l’affermazione “il medium è ilmessaggio” è inscindibile dallo

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scenario in cui è posta dallo stessoMcLuhan.È la posizione di enunciazione checaratterizza il senso profondodell’enunciato. E lo scenario è quello diun’estensione delle protesi del soggetto.A dirla tutta, bisognerebbe (bisognava,era necessario) fare un altro passo, equesto passo non credo che McLuhan loabbia fatto né che lo potesse fare: ilmedium è “lo spazio del soggetto”.Era questo il passo che avrebbe portatodavvero lo studioso canadese “oltrel’umanesimo”, il riconoscimento di ciòche la medialità è divenuta o stava perdiventare: il soggetto performativo, lacondizione della “soggettivazione” o

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dell’esistenza in vita dei soggetti nelleloro pratiche culturali – e nonl’estensione di “ciò che i soggettidicono e fanno”. Infatti il claimmcluhaniano non sarebbe completosenza la sua controparte, che recita chela medialità è un’“estensione”, una“protesi”. Di che cosa? Dei soggetti,appunto. Basta leggere qualche brano:

Ci stiamo rapidamente avvicinandoalla fase finale dell’estensionedell’uomo […] attraverso lasimulazione tecnologica, il processocreativo verrà collettivamente estesoall’intera società umana, proprio cometramite i vari media abbiamo esteso i

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nostri sensi e i nostri nervi […], ilnostro sistema nervoso centrale vienetecnologicamente esteso sino acoivolgerci in tutta l’umanità e aincorporare tutta l’umanità in noi.

L’operazione di McLuhan spostal’attenzione dal “che cosa” (ilmessaggio) al “come” (il medium). Dipiù: reifica il come, fa del come una“cosa”. Utilizza una versione aggiornatadella teoria veicolare dove cambial’oggetto del trasporto: il mediatore, ilveicolo, è lo stesso messaggio. Maquello che non cambia (per questol’operazione è ancora “umanistica”) èproprio il soggetto, cioè l’entità

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(umana) che produce e trasmetteattraverso l’ambiente mediale esteso. Ilmedium è il messaggio – ma ilmessaggio a sua volta è un’estensionedel sé.È per questo che la posizione dei medianel loro complesso è ancora quellatradizionale che la cultura occidentaleha loro assegnato: sono ancora,nonostante la crescente complessità eraffinatezza, gli “strumenti”dell’operazione di comunicazionecondotta da quell’entità immutata,chiamata – almeno a partire dallafilosofia moderna – “soggetto”.Ma è proprio quest’entità – il soggetto –che dovrebbe essere messa in

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discussione ora. A partire dalcommento alle proposizioni di McLuhan– il medium è il messaggio, i mediasono protesi – si possono aprire duescenari differenti fra loro. Uno ciriporta indietro, in fondo, allatradizione umanistica della modernità:che il medium sia il messaggio non èpoi un’affermazione così rivoluzionariase i media (i messaggi) sonol’estensione dell’umano nell’epocatecnologica. L’altro scenario però,proprio attraverso una sovra-interpretazione di McLuhan, ci porta aldi fuori o al di là del modelloumanistico. Provo a dirlo in modosemplificato e rozzo:

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- IL medium: è ancora la visione dellostrumento, dell’utensile diventatoimmateriale, ma pur sempre estensionedel soggetto;- I media: è la pluralizzazione deglistrumenti che si reifica in un ambientecomplesso;- Con LA Medialità (si dovrebbe dire,violando decisamente la correttezzalinguistica: IL media) siamo allo stadiodi una nuova soggettività, all’emergenzadi una soggettività “impersonale” checonferisce statuto e legittimità ai“soggetti” che noi siamo. Unasoggettività istituzionale, sistemica.È questo lo stadio in cui “il media”compie e legittima l’operazione di

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“soggettivazione”. Noi siamo soggettigrazie all’altro, al simbolico.Chiediamo alla legge di identificarci econfermarci come soggetti.Nella modernità il giuridico ècomplemento indispensabile delcognitivo. Ma è proprio la dimensione“simbolica” dell’altro che è cambiata:l’altro non è più il simbolico (la leggemorale kantiana, la bellezza, o la veritàa cui si devono conformare i nostrigiudizi), ma la medialità immaginaria.Noi siamo “soggetti” entro di essa egrazie a essa. Al di là del vero e delfalso, del bene e del male.Come mostra la moderna riflessioneestetica, ciò si vede nella

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configurazione complessiva dell’artecontemporanea. Cosa sarebbero iprodotti artistici e gli stessi soggetti-artisti senza lo spazio istituzionale(immaginario, mediale) che li legittima?L’opera non è l’estensione ol’espressione cristallizzata, oggettivata,della creatività – è tale piuttosto perchél’istituzione dice che lo è.E l’istituzione “arte” è un’erede delsimbolico moderno. Ne svolge lefunzioni di legittimazione (l’altro) purnon avendone più i caratteri, perchéquesti caratteri le sono a sua voltaconferiti dalla medialità nel suocomplesso (dal regime dellacomunicazione, si potrebbe dire).

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La macchina funziona al contrario, nondal soggetto alle sue espressioni, ma dalsistema al conferimento di legittimitàche fa esistere il singolo nello spaziosociale.

———Fulvio Carmagnola. Insegna Esteticapresso l’Università degli studi diMilano Bicocca. Tra le sue ultimepubblicazioni: Il consumo delleimmagini (Bruno Mondadori, Milano2006), Design. La macchina deldesiderio (Lupetti, Milano 2009) eAbbagliati e confusi. Una discussionesull’etica delle immagini (Marinotti,Milano 2010).

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———

NOTE[1] — M. Senaldi, Enjoy! Il godimentoestetico, Meltemi, Roma 2003, p. 203.[2] — R. Ronchi, Teoria critica dellacomunicazione, Bruno Mondadori,Milano 2003.[3] — R. Jakobson, Saggi di linguisticagenerale, Feltrinelli, Milano 1972.[4] — T.S. Eliot, The Waste Land, vv.111-112.[5] — L. Meneghello, Pomo pero.Paralipomeni a un libro di famiglia,Rizzoli, Milano 1974.

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Eventi mediali, memoria e lamaledizione del déjà-vu

SFORZATI DI (NON) RICORDARE·

di Luca Barra

Altro che la regina: dio salvi PippaMiddleton. non solo perché la rampantecognata reale ha popolato a lungo, conle sue avventure più o meno galanti,pagine intere di quotidiani, servizi di tg,video e gallery fotografiche online, fino

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a creare quasi un genere giornalistico asé stante. Ma anche perché, man manoche i mesi passano, l’apparizione allaribalta della sorella minore di Kate si èrivelata essere l’unica cosasorprendente, inattesa, sincera – e,proprio per questo, memorabile – di unevento che nelle intenzioni si volevagrandioso e globale, e invece tale non èstato. O non del tutto, almeno.Ora possiamo ammetterlo: il 29 aprile2011, giorno delle nozze tra il principeWilliam, erede della dinastia Windsor,e la borghese Kate Middleton, è unadata che potrà anche non finire inquell’album mediale patinato che tienetraccia di altri matrimoni, come quello

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tra i genitori di lui Carlo e Diana, oquello tra Ranieri di Monaco e la starGrace Kelly, o nelle analisi di futuriepigoni di Dayan e Katz. Da un punto divista formale non sembra esseremancato nulla, dalla lunga navata diWestminster ai piatti kitsch diporcellana con i volti degli sposi.Ma fin da subito (o, addirittura, a dire ilvero fin da prima) l’evento è sembratosvolgersi in tono minore.L’esasperazione dei media, dalla tv alweb, sembrava nascondere unamancanza di fondo.Un caos che cerca di coprire il vuoto.È mancata l’esperienza condivisa allostato puro, quella che rende unico e

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irripetibile un evento che sia tale, èmancato lo stupore davanti a una regia ea una narrazione non abbastanza forti.Ma non solo.

LA SENSAZIONE DEL GIÀ VISTO

Le miste e insoddisfacenti reazioni alroyal wedding chiamano in causa,infatti, qualcosa di più grande, che ha ache fare con lo statuto degli eventimediali in un’epoca come la nostra,caratterizzata da un’offerta abbondante(sovrabbondante) di cose da vedere einsieme dalla persistenza fortissima diciò che è già stato, sia pure in forme e

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modalità del tutto peculiari: è ilpercorso che qui tentiamo di abbozzare,seguendo le tracce di un McLuhan“minore”, meno noto, quello delleinterviste e di Counterblast, libro-manifesto del 1968 progettato insiemead Harley Parker (che segue la primaversione edita nel 1954).Partiamo da lontano. La televisione èaccesa, con il suo flusso inarrestabile diinformazioni nelle nostre case, dasessant’anni, e a essa si affiancano incontinuazione giornali, fotografie,pagine web. Pertanto, è inevitabile chela percezione che abbiamo del mondopresente e passato – la memoriacondivisa – passi anche e soprattutto

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attraverso immagini e frammentimediali di vario genere. Non solo glieventi sono costruiti dalle loro riprese,ma lo stesso ricordo che neconserviamo passa di lì. In un talecalderone, diventa quasi impossibile“vivere” l’evento, il “nuovo”matrimonio reale, live e contemporaneo,perché si finisce sempre per “ri-viverlo”, per metterlo in relazione amatrimoni già visti (in diretta o meno):per mettere in scena un’esperienza cheha già matrici, modelli, idee di verità,emozioni e schemi di lettura fortementesedimentati altrove. Dentro la culturamediale costruitasi nel tempo, dovetrovano spazio sia gli eventi e le

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occasioni passati, sia le immagini inmovimento usate per raccontarli.Viviamo in un periodo dove, volenti onolenti, trionfa il revival, causa econseguenza del nostro smarrimento,come già sosteneva McLuhan inun’intervista televisiva del 1977: “Unodegli effetti più immediati della perditadell’identità è la nostalgia, il che spiegaperché i revival siano oggi cosìfrequenti. Il revival dell’abbigliamento,del ballo, della musica, degli spettacolitv: viviamo nell’era del revival”. Non èsolo la retromania di cui ha scrittorecentemente Simon Reynolds, maqualcosa in più. Risulta infattiimpossibile, nell’elaborazione di ciò

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che vediamo, non fare i conticostantemente con i ricordi (televisivi),il passato (collettivo) e la nostalgia(condivisa), dato che – grazie ai mezzidi comunicazione di massa – questisono diventati parte importantedell’ambiente in cui siamo immersi,consapevoli o meno. Alcune immagini,certi momenti, molti volti e figure, varieinformazioni sono l’aria che respiriamoogni giorno, ed è impossibile – o peggiodannoso – tentare di separarle da quantodi “nuovo” ci capita di vedere, nelmondo o in tv. Siamo ingolfati in unastoria minuta – o, direbbe Nietzsche,“antiquaria” – con cui il quotidianodeve confrontarsi in ogni momento.

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Costantemente, senza soluzione dicontinuità.I media, la televisione e il web inparticolare, tengono traccia di molte piùinformazioni e immagini che in passato,le registrano, le rendono e lemantengono disponibili, anche adistanza di anni e decenni. E, per di più,giocano sulla continua riproposizione dimomenti in un modo o nell’altro storici,li ripetono centinaia di volte, liinseriscono dentro a contesti diversi, lipropongono e ripropongono a spettatorivecchi e nuovi. In parte ciò avviene perl’indubbia comodità di riciclo (ideale)e di risparmio (materiale), ma in parteanche per andare incontro alle necessità

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di un pubblico che gode dellaripetizione e che, grazie alle varieforme di archivio digitale, sempre piùla va a cercare in modo attivo. Comegià intuiva Adorno, nel “nuovo” di tantaindustria culturale rimane traccia del“sempre uguale”. Si impone il già visto,il déjà-vu.McLuhan, in una delle prime pagine diCounterblast, afferma (sia pure informa di domanda retorica): “Ilfenomeno del déjà-vu, vale a dire del‘sono già stato qui’, è strano per l’uomodi lettere, ed è normale e inavvertitodall’uomo non alfabetico”. Se lascrittura alfabetica, come poi la stampa,pongono le basi per una registrazione

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precisa di tutto ciò che accade nelmondo, cui si lega la riduzione o perditadelle tradizionali facoltà mnemoniche(come già denunciava Platone nelFedro), un altro effetto collaterale è lascomparsa del “profondo ereincarnazionale senso di déjà-vu dellesocietà non alfabetiche”. Che resta peròsottotraccia, pronto a esploderenuovamente nel mezzo dell’età elettrica,in cui i media registrano ogni cosasenza riuscire però a dare ordine, lamoltiplicano, e così il prezzo da pagarefinisce per essere la perdita di sensodelle parti e del tutto, la confusione tramateriali sovrabbondanti, il caos chediventa oggetto trovato per caso nel

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ricordo (proprio o altrui, dell’individuoo dei media). Un caos e una perdita disenso che rischiano di investire persinouna ferita importante come l’11settembre, e non soltanto le nozze reali.Insomma, il matrimonio di William eKate nasce con un peccato originale: lanecessità di scontrarsi e di confondersicon gli altri matrimoni ed eventi, con lariproposizione del revival e lastanchezza del déjà-vu.

TENTATIVI FALLITI EFRUSTRAZIONE

Ma questo ancora non basta a spiegare

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ciò che è successo (e succederà). Nonsolo la speranza di vivere un eventomediale rischia di diventare presto unaresa rispetto all’inevitabilità del ri-vivere, ma anche il ri-vivere non èun’esperienza completa, e spesso siriduce a poco più di un tentativo. Ilcostante confronto con tutto quello che ègià successo nel passato e la presenzaforte di topoi e modelli pregressi (inparte sedimentati nel ricordoindividuale e collettivo, in partecontinuamente ripetuti dai media)portano, nel caso di nuove occasioni, aun’esaltazione che lascia presto –troppo presto – l’amaro in bocca: lavolta precedente, spesso offuscata e

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addolcita dalla patina del ricordo,risulta infatti più importante, più vera,in definitiva “migliore” della semplicecopia che abbiamo davanti ai nostriocchi. Carlo era meglio di William, lesensazioni vissute allora più profonde epiù sincere (o almeno, come tali lepercepiamo oggi).Noi, spettatori davanti allo schermotelevisivo o al monitor di un pc,imbambolati dallo scorrere delleimmagini o dal flusso di notizie, post etweet, in qualche misura riponiamo unasperanza nell’evento in corso.Cerchiamo davvero di farci trascinare eaffascinare, di provare qualcosa, diavvicinarci per intensità alle occasioni

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precedenti, già vissute e ricordate.Questa auto-convinzione, ancor piùimportante perché (almeno in parte)collettiva, diventa persino reale neglieffetti, anche se solo per un breveperiodo. Ma è la maledizione del déjà-vu. La voglia di ri-vivere un’esperienzasi scontra frontalmente conl’impossibilità di provare esattamentele stesse emozioni, o addirittura diesserne colpiti con maggiore profondità.Da un lato, perché la ripetizione di unpattern, necessariamente, finisce perindebolirne l’intensità: in qualchemodo, per anestetizzare. E dall’altro,perché forse un’emozione come quellapresente nel ricordo non è mai davvero

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esistita, in quella forma, e il valoreaggiunto è dato proprio dal ricordostesso, dalla nostalgia, dal tempolasciato fluire che cambia (almeno inparte) i contesti e i dettagli.A una tale ricerca emotiva, spessodestinata a infrangersi, i media cercanodi rispondere sovraccaricando ognievento, forzandone la costruzione e“costringendoci” ad accettarlo, asospendere l’incredulità (e la noia)almeno per un po’ di tempo. Poco contase poi non ci crediamo fino in fondo, sebasta un attimo a dimenticare tutto, e atornare alla prima, “vecchia”,cerimonia, modello inizialedell’esperienza, come unico e

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sempiterno riferimento nella nostramemoria, topos buono per le milleoccasioni di ripetizione. Anche per ilmatrimonio di casa Windsor (o ilsuccessivo matrimonio monegasco tra ilprincipe Alberto e la nuotatriceCharlene, reso interessante solo daigossip), ci troviamo nella posizione diun “vorrei ma non posso”: la speranzadi assistere a un evento e di provare unadata emozione (presente nel ricordo), siscontra con l’impossibilità di farcela, ecosì porta un ulteriore grado di finzione(anche imposta a se stessi, sorta di auto-convinzione) e di falsità a stratificarsisull’evento. O su ciò che ne rimane.L’evento mediale contemporaneo,

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seguito da centinaia di fonti informativee aperto alla partecipazione collettivain varie forme, può – nonostante tutto, oforse proprio per questo – diventareun’esperienza frustrante. Un’attesaripetutamente e regolarmente mancata,una forte aspettativa presto dimenticata,un déjà-vu non all’altezza deiprecedenti, un oscillare (rinfocolato daimedia) tra l’ansia da prestazione che loprecede e lo sconforto dell’inutilità aseguire. Non c’è una soluzione facile, eil problema si ripete uguale a ogninuovo evento, ripercorrendo le stessefasi e gli stessi errori. Del resto, ognicerimonia è fatta di ripetizioni quasi perdefinizione…

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QUALE MEMORIA?

La riflessione partita dalle nozze realici ha già portato molto lontano, agrattare la superficie di temi come ilnuovo, la memoria e la ripetizione, edella loro presenza sui media. Untassello ulteriore è dato da un altroclassico evento mediale, il campionatodel mondo di calcio. Facileesperimento: pensate alle immagini edemozioni di un mondiale vintodall’Italia. Con ogni probabilità, nonsaranno quelle del 1934 e 1938, repertisbiaditi di un mondo che precede la

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televisione. Ma – ed è già più curioso –non saranno nemmeno quelle del 2006,sia pur passate da poco, pallidaripetizione di ben altra gloriaprecedente. Saranno invece per quasitutti quelle del 1982, dei Mondiali inSpagna, di Dino Zoff, del presidentePertini e dell’urlo di gioia di MarcoTardelli. Quello dell’82 è divenutoinfatti il mondiale vinto dalla nazionaleitaliana per antonomasia, ripetutoinfinite volte negli approfondimenticome nelle pubblicità, in tv come sulweb. Al punto che è entrato nellamemoria collettiva, quasi come un falsoricordo, anche per chi – come chi scrive– nel 1982 nemmeno era ancora nato.

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Non soltanto la sensazione è che nientesia nuovo, non soltanto il déjà-vu puòdiventare frustrante, ma la memoriamediale risulta selettiva al punto da (ri-)costruire immagini mai (o mal) viste indiretta. Sono i detentori di questamemoria, i gatekeeper culturali emediali, i giornalisti, le reti e i portali,a svolgere un ruolo importante dicreazione di una vulgata di pensieri eparole accettata (senza sforzo e senzadubbio alcuno) da intere generazioni,comprese quelle che non solo non hanno“vissuto” quelle cerimonie di primamano, ma magari nemmeno viste nellaloro interezza. La costruzione di unpassato “generazionale” sì, ma in senso

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improprio, rende ancora più frustrante epiù irreale la sensazione di quello chesi prova – si “dovrebbe” provare – difronte a ciò che capita qui e ora, e che imedia vecchi e nuovi portano adessonelle nostre case. Costretto aconfrontarsi con un passato che non solonon passa, ma è pure costruito.“Proprio come la storia comincia con lascrittura, così finisce con la televisione.Proprio come non c’era la storia quandonon c’era un senso del tempo lineare,così c’è una post-storia ora che tutto ciòche è stato nel mondo diventa presentesimultaneamente alla nostra coscienza”,ci dice ancora Counterblast. L’evento,in questa post-storia dove gli ordini e le

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gerarchie saltano, dove molto è osembra contemporaneo, dove il valore èpiù soggettivo o collettivo cheoggettivo, rischia di essere dimenticatosubito. Relegato nell’oblio, nel grandeelenco delle vicende che sembranomeritare massima importanzanell’attimo in cui accadono (breakingnews!), ma che conservano tale statussolo per qualche giorno o per pochesettimane prima di svanire del tutto. E,forse, per sempre.Mentre il riferimento collettivo rimanefissato esattamente dove stava prima,incurante di tutto ciò che è successo edè stato detto in mezzo: ancora una volta,su Diana Spencer o Marco Tardelli a

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cui, dopo un po’, anche i mediaritornano. Dimenticando i nuovi grandieventi che eventi non sono (stati). Esempre in attesa di un episodioindimenticabile, nuovo e luccicante.Probabilmente destinato a infrangersinella banalità (e nella frustrazione) delgià visto, del già sentito. Avanti unaltro.

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L’EVOLUZIONE DELL’UOMOMEDIALE

·di Tuono Pettinato

La storia dell’umanità secondoMcLuhan è un alternarsi di epochefredde e calde, dominate da mediasempre più simili al loro creatore.Tuono Pettinato la riassume per noi in10 vignette. Pronti?

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Tuono Pettinato. Autore, fumettista eillustratore. Co-fondatore dei collettiviDonnaBavosa e Superamici, hapubblicato su Vice, Rolling Stone, GQ,Animals. Collabora con XL con lastriscia dei Ricattacchiotti. Con iSuperamici realizza Hobby Comics(Grrrzetic, Genova) e il free press PicNic. Tra le sue pubblicazioni,Apocalypso (Coniglio, Roma 2009),Garibaldi (Rizzoli Lizard, Milano2010), Il Magnifico Lavativo(Topipittori, Milano 2011). Ama il thefreddo, fingersi tennista e il buonconversare.tuonopettinato.blogspot.com

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Scienziati pop e la relatività del caloreLA FISICA DI McLUHAN

·di Massimo Temporelli

Non esprimerti mai in forma piùchiara dei tuoi pensieri.

Niels Bohr

La frase del fisico danese niels bohrsuona così simile ai celebri slogan diMarshall McLuhan che partiremo da qui

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per entrare in quella che abbiamodefinito un po’ provocatoriamente laFisica di McLuhan. Non è un caso chequesta frase sia stata pronunciata da unodei padri fondatori della meccanicaquantistica, la nuova fisica che neiprimi tre decenni del secolo scorso(1900-1930) sconvolse il mondoscientifico e quello filosofico in modoirreversibile[1]. Le matematiche e inuovi linguaggi della fisica quantisticaportarono a un profondo mutamentonella visione dell’universo e delle sueleggi che, se fino ad allora eranoapparse lineari, deterministiche eassolute, illuminate dalla luce di questanuova teoria diventarono esattamente

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l’opposto: non lineari, probabilistiche,relative o addirittura ambigue. Tuttiaggettivi, guarda caso, molto cari efrequenti nell’opera del criticocanadese.La citazione rimanda a McLuhan anchein un altro senso, meno diretto maaltrettanto suggestivo: le parole di Bohrsembrano invitare a quel “flusso dicoscienza” reso celebre nella narrativadei primi del Novecento da JamesJoyce, uno degli scrittori più citati eamati da McLuhan che, appunto, usavadefinire i suoi studi sui medianient’altro che “Joyce applicato”.Insomma, le nuove regole e i nuoviparadigmi della fisica quantistica

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sembrano così affini al modo didiscorrere e ragionare di McLuhan dafarci credere di poter trovare una stradadi analogie tra due mondiapparentemente così distanti, la criticaalla società dei media e la descrizionedella natura subatomica della materia.In primo luogo, perché McLuhan stessonella sua opera ricorre continuamenteall’uso di termini propri del mondodella fisica: si pensi ai concetti dimedium caldo e freddo, di spazioacustico e spazio visivo, o ancora aquelli di trasmettitore-ricevitore. Insecondo luogo, perché il criticocanadese si interrogò insistentemente,specie nella sua ultima opera La legge

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dei media. La nuova scienza[2], sulsignificato di affermazione e di indaginescientifica, arrivando a preferireall’idea di una scienza specialistica esolida (nata con Galileo e Newton nelSeicento), una più discutibile,rovesciabile e liquida, che trova nelpensiero di Popper[3] la sua essenza –“l’affermazione scientifica è qualcosadetto in modo tale che possa esserecontraddetto” – e nella meccanicaquantistica la sua misura concreta etangibile.

PIÙ GRANDE DI EINSTEIN

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Prima di concentrarci sull’analisi diquesta fisica anomala applicata a unadelle più celebri definizioni diMcLuhan, è giusto dichiarare che questabizzarra idea è scaturita da un altroflusso di pensieri, e cioè daun’immediata analogia con il fisicotedesco Albert Einstein. L’associazionetra loro nasce innanzitutto per lasomiglianza con cui i due pensatorisono stati e sono percepiti dal grandepubblico, divenendo non soltantocelebri, ma addirittura pop[4], e percome le loro complesse (e ostiche)intuizioni sono state metabolizzate etrasformate (o ridotte) in semplici ecomodi slogan.

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Tutto è relativo.E = mc2. Il medium è il messaggio.La tv è un medium freddo.

Slogan a effetto, perfetti per esserericordati, stampati o citati, ma chepossono risultare forvianti e sfuggono auna seconda lettura, a un’analisi piùapprofondita. Oltre alla popolarità, visono poi ragioni più profonde perassociare McLuhan a Einstein: entrambisi interrogarono e lavorarono sullanatura di spazio e tempo. Einsteinfrantumando quello assoluto immaginato

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da Galileo, McLuhan evidenziando itraumi del passaggio, nell’epocaelettrica, da uno spazio visivo,alfabetico e razionale a uno nuovamenteacustico e tribale.Insomma, che ci si riferisca allameccanica quantistica di Bohr o allarelatività di Einstein, le affinità tra lafisica e il discorso mcluhaniano sonodavvero molte, e qui vogliamo iniziaree provare a esplorarle.Con una sola avvertenza. Comespecifica il figlio Eric McLuhan[5], leleggi teorizzate dal critico canadese “siapplicano solo alle enunciazioni e agliartefatti umani: non rivelano nulla suiprodotti di origine animale, come le

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ragnatele, le dighe, o i nidi”. Come adire: qui, ne La nuova scienza, si parladi uomini e dei loro artefatti(invenzioni), mentre la scienza (lafisica, in particolare), invece, se lavede con Dio (?) e con le sue creature.

IL CALORE È RELATIVO, ANCHECON I MEDIA!

Il fisico statunitense John Wheelersosteneva che “se non si ècompletamente confusi mentre si studiala meccanica quantistica, allora non lasi sta davvero capendo”. Dello stessosegno è la valutazione di Peppino

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Ortoleva, quando nella prefazione a Glistrumenti del comunicare[6] raccontala reazione che ogni anno riscontra neisuoi studenti nell’approccio a McLuhan:“Il primo passaggio è segnalato ingenerale da una reazione didisorientamento o di decisa ostilità, deltipo ‘non si capisce niente’, oppure ‘maper favore, cambiamo libro’: lasensazione di essersi cacciati in unginepraio senza nessun aiuto perorientarsi”. Confusione edisorientamento: sono gli stati d’animoche caratterizzano lo studio di McLuhane della meccanica quantistica. Per unattimo ti sembra di aver afferrato unconcetto, e pochi secondi dopo non sai

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più se ne sei così sicuro (Ma il cinemaè un medium caldo o freddo? Mal’elettrone è un’onda o unaparticella?). Sarebbe davvero frustantestudiare entrambi se questa immersionenel mare del disorientamento non fosseripagata da alcune boccate d’aria similia vere e proprie rivelazioni.Proviamo quindi ad analizzare dal puntodi vista del fisico una delle piùimportanti e discusse metafore inventateda McLuhan, quella dei media caldi efreddi, cercando di comprendere perchéun tale disorientamento, in fondo, facciaparte del processo che porta allaconoscenza.Il critico canadese definisce “caldo il

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medium che estende un unico senso finoa un’alta definizione, fino allo stato cioèin cui si è abbondantemente colmi didati”[7]. E aggiunge: “Il medium caldopermette meno partecipazione delmedium freddo”.La prima volta che ci si accosta e ci siinoltra nelle opere di McLuhan si ètentati di sostituire i termini freddo ecaldo con i termini “incompleto”(freddo) e “completo” (caldo). Così siavrebbero asserzioni più lineari, deltipo: il medium incompleto è unmedium che necessita di un’intensapartecipazione del pubblico percompletarlo; il medium completo non habisogno della partecipazione del

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pubblico.Disorientati e infastiditi, ci si chiedeperché abbia utilizzato i concetti delcaldo e del freddo. Ma quello diMcLuhan è un linguaggio che si rifà auna fisica volutamente ambigua, nonlineare, interpretabile, e così la sceltadi utilizzare tali termini permette di –anzi, obbliga a – svolgere analisi piùpotenti.In fisica, il concetto di caldo non èformalizzato, né tanto menoformalizzabile o definibile. Mentre nellinguaggio comune si è abituati a dire“questa minestra è calda”, in fisica unasimile affermazione non ha senso. Seproprio lo si volesse utilizzare, il

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termine “caldo” si dovrebbe usarerelativamente a un altro corpo dicendo,per esempio, “questa minestra è piùcalda dell’acqua contenuta in quelbicchiere”. Ma anche questo non ci dicenulla di quantificabile e assoluto.Infatti, se si vuole dare un valoreassoluto e una misura alla sensazione dicaldo o freddo si deve necessariamentericorrere alla temperatura. È latemperatura, infatti, la grandezza fisicache riesce a tradurre in manieraquantitativa le nostre sensazioni dicaldo e di freddo.Dunque, sia il caldo che il freddo nonsono grandezze definite dalla fisica, masono sensazioni: non sono oggettive,

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non sono misurabili e non hanno unità dimisura.In realtà, anche nel linguaggio comune,quando diciamo che una minestra ècalda o fredda non esprimiamo ungiudizio assoluto, ma relativo, e ilprocesso inconsapevole che di solitofacciamo è quello che provo ora adescrivere:1. immaginiamo una minestra diriferimento a temperatura T (solitamenteT = 40-45°C), temperatura a cui, cioè,non ci si scotta il palato e la lingua (a37°C circa), ma si prova piacere neldeglutire;2. se la temperatura reale T dellaminestra nel piatto è molto maggiore

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della temperatura ideale, cioè se T>> T,appoggiamo sul tavolo il cucchiaio ediciamo che la minestra è calda (anchese dovremmo dire che è più calda dellaminestra ideale, facendoci deridere dainostri simpaticissimi commensali);3. se la temperatura reale T dellaminestra nel piatto è circa uguale allatemperatura ideale, cioè se T = T, nondiciamo nulla e iniziamo a mangiare(buon appetito!);4. se la temperatura reale T dellaminestra nel piatto è molto minore dellatemperatura ideale, cioè se T << T,allora appoggiamo sul tavolo ilcucchiaio e diciamo che la minestra èfredda (anche se dovremmo dire che è

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più fredda della minestra ideale,facendoci deridere dai nostrisimpaticissimi commensali).Dunque, senza saperlo, abbiamo presocome riferimento una temperatura ideale(sottintesa) e abbiamo fatto un confrontotra temperature. Solo dopo abbiamodato un giudizio (che ci appare comeassoluto, ma invece è relativo).Ecco: quel dato mancante, sottinteso efondamentale per il confronto, è lachiave per comprendere il discorso diMcLuhan, o almeno parte della suafisica.Il sottinteso nell’espressione “questaminestra è calda”, fa riferimento a moltecose: all’idea di temperatura e minestra

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ideale, al rapporto tra la nostratemperatura corporea e quella dellaminestra, nonché alla temperaturaambientale[8]. McLuhan, usando terminiambigui per le sue definizioni e per isuoi discorsi, si (e ci) obbliga apartecipare attivamente alcompletamento dell’informazione di talidefinizioni incomplete (fredde). Aprendere in considerazione tutti i datiche solitamente si è soliti dare persottintesi.La scelta di caldo e freddo è scomodama azzeccata: ci obbliga a chiederci checosa è un pubblico caldo o freddo o unasocietà calda o fredda. I termini ciinvitano a prendere in considerazione

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l’ambiente e lo sfondo in cui nasce e sisviluppa un medium, e ad analizzarequali sono i passaggi di calore (energia)e le contaminazioni tra il medium e lasocietà che lo utilizza.Perché come dice Pirsig: “La Qualità èil punto in cui soggetto e oggetto siincontrano. La Qualità non è una cosa, èun evento”[9]. McLuhansottoscriverebbe.

———Massimo Temporelli. Dopo essersilaureato in fisica, si occupa di storiadelle macchine e del rapporto tratecnologia e società. Ha lavorato comecuratore al Museo nazionale della

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scienza e della tecnologia Leonardo daVinci di Milano e collabora con diverseriviste scientifiche. Lavora comefreelance tra Milano e Torino, inparticolare per BasicNet, per cui sioccupa di vari progetti culturali e delnascente Museo dell’informatica. Il suoultimo libro è Il codice delleinvenzioni. Da Leonardo da Vinci aSteve Jobs (Hoepli, Milano 2011).

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NOTE[1] — G. Gamow, Trent’anni chesconvolsero la fisica, Zanichelli,Milano 1966.[2] — M. e E. McLuhan, La legge dei

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media. La nuova scienza, EdizioniLavoro, Roma 1994.[3] — K. Popper, Conoscenzaoggettiva. Un punto di vistaevoluzionistico, Armando, Roma 1975.[4] — Con Einstein e McLuhan, poi, lafigura dell’intellettuale non solo diventapop ma anche icona, si pensi al cameodel critico canadese in Io e Annie diWoody Allen, o alla diffusissima efamigerata foto di Albert Einstein con lalingua fuori.[5] — M. e E. McLuhan, La legge deimedia, cit.[6] — M. McLuhan, Gli strumenti delcomunicare, il Saggiatore, Milano2008.

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[7] — M. McLuhan, Gli strumenti delcomunicare, cit., p. 42.[8] — Anche se lo abbiamo esclusodall’analisi, è chiaro che le condizioniambientali esterne (come la temperaturadell’ambiente in cui ci troviamo)influiscono sul come definiamo caldo ofreddo un corpo.[9] — R. Pirsig, Lo Zen e l’arte dellamanutenzione della motocicletta,Adelphi, Milano 1990.

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IL PROFETA INVOLONTARIOE la sua attualità inattuale

·di Ruggero Eugeni

In un ipotetico dizionario dei luoghicomuni del nuovo millennio la voce“Marshall McLuhan” non potrebbemancare. Né potrebbe mancarel’aggettivo che immediatamente si legaal nome del teorico canadese:“profetico”. La vulgata

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massmediologica esalta le capacitàvisionarie di McLuhan e ne fa una sortadi sciamano del villaggio globale,capace di prevedere già cinquant’annifa i più recenti sviluppi dei media. Lariflessione di McLuhan comprende peròuna serie di limiti e ambiguità checompromettono la sua capacità diintuire la logica effettiva del recentesviluppo dei media. Ma l’impressionedi una sua capacità profetica non valiquidata troppo frettolosamente inquanto errata o fuorviante.Molte idee di McLuhan sono infattiperfettamente sintonizzate con lapercezione sociale e culturaleattualmente diffusa circa le relazioni tra

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soggetti, media e tecnologie; e laragione di tale sintonia sta nel fatto cheil pensiero mcluhaniano ha alimentatoalcune retoriche capaci di plasmare inprofondità la forma culturale dei mediacontemporanei, allontanandola talvoltadalla realtà fattuale. Anzi: proprio leinsufficienze e le ambiguità dellariflessione mcluhaniana mi sembranoprincipalmente responsabili di un simileprocesso, e dunque dell’attualità delpensatore canadese.In altri termini, McLuhan è stato ed è unprofeta involontario, che appare talealla luce della particolare evoluzioneculturale (ma non di quella fattuale) chei media hanno subito negli ultimi venti

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anni circa.Cercherò di argomentare questa ideamettendo in luce tre aspetti critici delsuo pensiero che mi sembranoparticolarmente influenti sullapercezione sociale dei mediaattualmente diffusa, così come sulladistorsione che tale percezione subiscerispetto alla realtà dell’universomediale.

TRE LACUNE POSSIBILI

Chi rilegge oggi l’opera del pensatorecanadese non può sottrarsi a una curiosasensazione di disagio: McLuhan evita

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costantemente di definire cosa siaeffettivamente un medium. La notissimaformula secondo la quale “il medium èil messaggio” è fuorviante, in quantorinvia all’infinito una definizione dimedium. La lista di media fornita viavia da McLuhan lascia dir pocoperplessi: tra questi lo studiosocanadese annovera – oltre alla parolaparlata, scritta e stampata, al telegrafo,alla radio, alla televisione e agli altrimedia in senso stretto – una serie dientità disparate quali le strade, i numeri,i vestiti, le case, i soldi, gli orologi, laruota, l’automobile, i giochi, le armi (ela lista potrebbe continuare). La ragionedi tale vaghezza non consiste, a mio

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avviso, solamente nella forma anti-accademica del discorso mcluhaniano;essa rimanda più radicalmente allaconcezione profonda e inconfessata cheMcLuhan ha dei media: qualunquetecnologia è medium, nella misura incui investe l’esperienza umana eincide su di essa. Con un gestoradicale, il pensatore canadeseconsidera i media in quanto tecnologiedell’esperienza, capaci di agire inprofondità sui corpi e gli apparatisensoriali dei soggetti, e per questa viadi determinare le modalità più astrattedi organizzazione del loro vivereindividuale e comune. Lungo questastrada, i media divengono per McLuhan

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l’interfaccia tra la tecnologia el’umano; sono la tecnologia stessa nellamisura in cui e nel momento in cuidivengono esperienza sensibile,cognitiva, affettiva, relazionale deisoggetti sociali. Di qui l’impossibilitàsostanziale di definire i media e didelimitare il loro ambito.A questa prima sensazione di disagio sene aggiunge immediatamente unaseconda. Come ho appena detto,McLuhan lega a doppio filo media,tecnologie, esperienze viventi e vissute.Tuttavia, a fronte di una visioneincarnata e situata dei media, mancanella riflessione mcluhaniana unateoria del dispositivo, ovvero della

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relazione dei soggetti con i concretioggetti tecnologici mediali. Parladell’esperienza della lettura dellaparola stampata, non di quella delrapporto con l’oggetto libro; parla direlazione con la televisione ma non diesperienza del televisore. In altritermini, l’autore canadese ignora quasidel tutto (o non valorizzaadeguatamente) il modo in cui stavacambiando nei primi anni Sessanta larelazione con i concreti manufattitecnologici: quell’“addomesticamento”degli oggetti che implicava una nuovarelazione intima e affettiva conautomobili, lavatrici, frigoriferi e ancheradio e televisori. Ne deriva una teoria

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dell’esperienza mediale e dei suoieffetti che non considera il luogo in cuitale esperienza si produce e siriproduce costantemente: l’incontro e larelazione con i dispositivi mediali.C’è infine una terza ragione di disagio eperplessità che affiora da una riletturadi McLuhan. Al centro della riflessionemcluhaniana si colloca laconsapevolezza di un passaggio epocalein atto: quello da un’era tipografico-meccanica a un’era elettronica,dominata dai nuovi media e in primisdalla televisione. Passaggio daun’epoca di segmentazione,frammentazione, specializzazione esequenzialità lineare a un’epoca di

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processi istantanei e simultanei,pluricentrici e reticolari; passaggio daun’era topica (caratterizzata da unainterdipendenza spaziale tra fonteenergetica e suo utilizzo) a un’era u-topica (caratterizzata da una de-localizzazione delle fonti rispetto aiprocessi). Le due epoche tecnologichenon hanno alcun rapporto tra loro e ladinamica in atto è quella di un completoabbandono della meccanica a favoredell’elettronica: McLuhan costruisce intal modo un disegno finalistico,teleologicamente orientato alla nuovaera. Ora, una simile concezione si èdimostrata falsa; e la prova di taleinsufficienza sta paradossalmente

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proprio nell’avverarsi di alcuneintuizioni mcluhaniane. Infatti, sel’ipotesi di un’iperconnettività delmondo si è realizzata e se la rete puòessere considerata oggi l’avveramentodel “villaggio globale” è solo grazie aun’interazione di tecnologiemeccaniche, elettroniche e digitali. Letecnologie digitali non hanno sostituitole tecnologie elettroniche e neppurequelle meccaniche, ma vi si sonoconnesse con meccanismi complessi direciproca determinazione erideterminazione. Insomma: lasituazione che McLuhan leggeva nelmedium cinematografico, consideratol’incrocio anomalo e passeggero di

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aspetti meccanici e aspetti elettronici, èin realtà la norma stabile dei media; laloro logica evolutiva non è finalistica eorientata teleologicamente, maassomiglia piuttosto a un bricolage ditecnologie il cui orientamento èdeterminato da complesse interazioni diinnovazione, processi di adattamento edomestificazione.

LA FORZA DELLE RETORICHE

Definizione di medium vaga, teoria deidispositivi mediali assente, otticateleologica inadatta a spiegarel’effettivo sviluppo dei media: sono i

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tre limiti che affiorano da una letturaaggiornata del pensiero di McLuhan.Ma al tempo stesso, queste sono anchele ragioni della persistente attualità delsuo pensiero e dell’impressione divisionarietà profetica dei suoi scritti. Sitratta infatti degli aspetti che hannomaggiormente contribuito a plasmarealcune retoriche dei e sui media:insiemi di mitologie, grandi racconti,convinzioni che hanno plasmato leforme culturali dei mezzi dicomunicazione e le modalità con cui cidisponiamo al loro uso – pur noncorrispondendo del tutto alla loro realtàfattuale. Cercherò di argomentare questaidea andando a ritroso.

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Anzitutto, la prospettiva teleologica hafornito uno strumento interpretativo perleggere il passaggio non solo dalmeccanico all’elettronico, ma altresìdall’elettronico al digitale: l’otticamcluhaniana ha alimentato e alimentauna retorica dello sviluppo teleologicodei media verso il digitale. Latecnologia digitale viene oggi presentatacome il nuovo stadio di evoluzione deimedia, capace di riassorbire e“rimediare” al loro interno i mediaprecedenti. È una percezione fuorviante,ma non di meno estremamente diffusa:si pensi a come il termine“convergenza”, che andrebbecorrettamente interpretato come

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determinazione reciproca di unatecnologia mediale (sia essa meccanica,elettronica o digitale) su un’altra, vengaletta comunemente come generaleconvergenza dei media sulla piattaformadigitale.In secondo luogo, l’assenza in McLuhandi una teoria del dispositivo hacontribuito ad alimentare una retoricadella smaterializzazione dei dispositivie interfacce tecnologiche. Riprendendoe amplificando un’intuizione giàesplicitamente presente nel pensatorecanadese (l’idea che l’era elettronicastesse portando a una smaterializzazionedelle macchine), l’età contemporaneavive dell’illusione che l’esperienza

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mediale tenda a una sparizione degliapparati e dei dispositivi mediali. Lemetafore usate per descrivere aspetti eoggetti di tale esperienza – dal“surfing” su internet (un’altra ideamcluhaniana) alle “cloud” di dati in rete– esprimono bene questa tendenza allaimmaterialità. Essa viene confermatadalla visibilità relativamente bassadelle infrastrutture materiali emeccaniche che sostengono e rendonopossibile l’esperienza dell’immateriale:dagli enormi server necessari allacustodia dei dati alle megafabbrichecinesi o indiane in cui vengono prodottitelefonini, computer o tablet (per nonparlare degli apparati necessari alla

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fornitura di energia indispensabile peril loro funzionamento). D’altra parte,non bisogna pensare che la retoricadell’immateriale rimanga puraastrazione: il design degli oggettimediali e del loro uso, teso aincentivare e rendere applicativa laretorica del’immateriale, costituisce undriver potente di sviluppo dei media.L’estetica dell’assottigliamento deidispositivi, il boom delle interfaccetouch, l’avvento di console divideogioco prive di joystick, laprogressiva sparizione degli occhialiniper godere degli effetti 3D sonoaltrettanti segnali di come la retoricadell’immateriale governi numerosi

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sviluppi tecnologici dei media.Si deve considerare infine che i medianon sono per McLuhan un compartospecifico della tecnologia: sono latecnologia tout court nel momento incui diviene oggetto di esperienzasensibile per i soggetti sociali e, inquanto tale, agisce sulla forma dellaloro esperienza del mondo. Questoaspetto ha alimentato una retorica deimedia come strumenti dinaturalizzazione della tecnologia. Larelazione sensibile con i media èavvertita come una relazione con ilmondo tecnologico tout court: semprepiù l’interazione con diversi tipi dimacchina (automobili, elettrodomestici,

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utensili) avviene attraverso display ecruscotti digitali che rendonoinavvertibile il passaggio dallarelazione con oggetti mediali a quellacon oggetti tecnologici. Mai come oggi imedia sono nient’altro che unasineddoche del tecnologico.Al tempo stesso, la tendenzialesmaterializzazione dei dispositivimediali permette di vivere questarelazione con la tecnologia come unarelazione naturalizzata: i media, equindi la tecnologia nel suo complesso,non sono più avvertiti come “altro”rispetto al bios, ma vengono percepiticome una sua nuova componente. Se imedia sono (come sosteneva McLuhan),

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protesi ed estensioni dell’umano, ilrisultato attuale di una prolungataprotesizzazione mediale è la scoperta diun nuovo regime di profonda sintoniatra corpi e media: il sentire unasostanziale affinità, un destinocondiviso, e perciò un’infinita intimitàtra i soggetti e le tecnologie.

———Ruggero Eugeni. Professore ordinariodi Semiotica dei media pressol’Università Cattolica di Milano, dirigepresso la stessa Università l’AltaScuola in Media, Comunicazione eSpettacolo. Il suo ultimo lavoro èSemiotica dei media. Le forme

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dell’esperienza (Carocci, Roma 2010).Tra le altre sue pubblicazioni: Il testovisibile. Teoria, storia e modelli dianalisi (con F. Colombo, Nis, Roma1996), Film, sapere, società. Perun’analisi sociosemiotica del testocinematografico (Vita e Pensiero,Milano 1999), Invito al cinema diStanley Kubrick (Mursia, Milano2001), La relazione d’incanto. Studi sucinema e ipnosi (Vita e Pensiero,Milano 2002).

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Ecco qui ed Eccomi quiIL MESSAGGIO DI TWITTER?

·di Henry Jenkins

traduzione di Luca Barra

Recentemente qualcuno mi hadomandato: “Se Marshall McLuhan haragione e il mezzo è il messaggio, qualè quello di Twitter?”. La mia rispostaè quella che segue: “Ecco qui, edEccomi qui”.

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1. ECCO QUI

Lo dico subito: “ecco qui” indica inTwitter un mezzo di condivisione dilink, di indicazioni verso altri posti sulweb.Sono ragionevolmente selettivo suglistream di Twitter che seguo – e questamia selettività ha a che fare con il miorispetto per chi possiede l’account einsieme con il mio desiderio di avereaccesso a una grande varietà dicomunità. Persone diverse sono per meil punto di ingresso entro conversazioni

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relative alla pubblicità,all’intrattenimento transmediale, algiornalismo, ai media civici, allaproprietà intellettuale, al fandom e a unmucchio di altri argomenti che toccanoil mio lavoro.Intendo ciascuno di questi utenti diTwitter come i soli agenti davverointelligenti – gli esseri umani –, eTwitter nel suo insieme come un tipo dicomunità di conoscenza. Nessuno di noipuò seguire ogni cosa nel propriocampo, e mettere in comune il nostrosapere è un valore enorme. Questo è ilmio utilizzo primario di Twitter, comeutente e come autore. Mi piace moltoanche monitorare in che modo i miei

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contributi circolano – poter leggere chimi ha fatto un retweet e vedere lestatistiche su Bit.ly su quante personehanno seguito i miei link mi dà unosguardo di insieme più ampio che maisui miei lettori e sull’impatto dei varipost.Sfortunatamente, ci sono però anchealcune perdite. Tre anni fa, quando hocominciato a scrivere sul blog, se lepersone volevano porre l’attenzione suuno dei miei post, ne scrivevano sulloro blog e si sentivano spessoobbligati a spiegare un po’ come mail’avevano considerato una risorsainteressante. Mi facevo un’idea piùprofonda dei loro pensieri, e sovente

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dai post si apriva un dibattito piùgrande. Quando la funzione dicondivisione dei link si è spostatadentro Twitter, gran parte di questicommenti aggiuntivi sono scomparsi.Spesso i retweet contengono e fannocircolare solo il mio tweet originale. Seva bene, ottengo un po’ di parole in più,sul livello di “magnifico”, “esaltante” o“interessante”. Per cui, nella misura incui Twitter rimpiazza i blog, stiamoimpoverendo il discorso che si tieneonline.Mi ha particolarmente divertito epreoccupato il modo in cui Twitterrimuove o distorce il contesto manmano che si muove attraverso il

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cyberspazio. Alcune persone prendonoappunti alle conferenze, tirando fuorisoltanto una frase qui o là. È un dato perme affascinante vedere quali mieconsiderazioni si appiccicano. Maspesso la frase scelta non cattura laspecificità dell’idea, e prendevelocemente diversi significati mentreviaggia. In particolare, sono costernatodai salti di attribuzione. Per esempio,ho citato Ethan Zuckerman quandosostiene che ogni tecnologiasufficientemente potente da potersupportare la distribuzione di foto digatti carini può buttar giù un governo, enel mio intervento era contenuta anchela citazione. Ma l’accorciamento reso

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necessario da Twitter ha rimossol’attribuzione, e in breve tempo mi sonovisto attribuire questa citazione in lungoe in largo. Sì, l’ho detto, nel senso chequelle parole sono uscite dalla miabocca; ma non l’ho scritto, dato che leparole non sono mie. Ugualmente, sonostato stupito quando ho citato la frase“La brevità è l’anima dello spirito”dell’Amleto di Shakespeare, inrelazione a Twitter, e ho trovato lettoriche hanno pensato che avessi originatoio la frase.Tempo fa, ho proposto un gioco suTwitter – Twik or Tweet. Lanci unacitazione senza attribuzione. E lacomunità di Twitter deve indovinare se

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è un tweet autentico o un’allusioneletteraria.Se vediamo Twitter come parte di unapiù vasta economia informativa, fa unlavoro molto importante. Diffonde imiei messaggi verso reti più grandi, chepotrebbero non sapere che esiste un mioblog ma che possono finire su un postche risulta di particolare interesse per iloro contatti. Come molte persone, eroaffascinato dai tweet provenientidall’Iran durante le loro controverseelezioni, e Twitter ha espansol’informazione che era disponibile perme. Questi sono i media spalmabili allavoro.

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2. ECCOMI QUI

Anche tra gli intellettuali e opinionleader di cui ho scelto di seguire iflussi su Twitter, c’è un gran numero dichiacchiere relativamente triviali epersonali, volte a rafforzare i nostrilegami sociali ed emotivi verso gli altrimembri della nostra comunità. Il valoreinformativo di uno che mi dice che cosaha mangiato a colazione è abbastanzabasso, e tendo a dare solo una veloceocchiata a questi tweet, alla ricerca deilink che sono di mio interesse primario.Se il rapporto tra segnale e rumore ètroppo basso, inizio a pensare a quanto

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potrebbe essere grande la gaffe chefarei se cancellassi qualcuno.Ma anche nei momenti in cui sono piùscontroso, mi accorgo di ottenerequalche valore debole, sociale oemozionale, dal fatto di sentirmi piùconnesso alle altre persone nella miacerchia. Mi sento più vicino a personeche non conoscevo molto bene prima diseguire i loro tweet. Sentirli ogni giornoli fa restare più attivi nei miei pensieri.E quando entriamo di nuovo in contatto,possiamo andare più a fondo negliscambi, se i sentimenti sono reciproci,spostandoci in fretta dalle frasi dicircostanza ad altri argomenti.Qui ci avviciniamo al nucleo dell’idea

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di McLuhan: “Ecco qui” è una funzionedi Twitter, “Eccomi qui” può essere ilsuo vero “messaggio”, laddoveMcLuhan vedeva il messaggio comequalcosa che potrebbe anche non esserearticolato a nessun livello consapevole,ma emerge dai modi in cui il mediumimpatta con la nostra esperienza deltempo e dello spazio.Un tale effetto si estende persino aitweet che contengono un valoreinformativo più grande. Il potere deitweet iraniani non è dovutosemplicemente al fatto di conteneremessaggi che i media mainstream nonavrebbero potuto trasmetterci, per ilimiti entro cui operano in un regime

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oppressivo, ma anche al fatto cheabbiamo provato una sensazione diimmediatezza perché stavamo ricevendomessaggi da cittadini normali, propriocome noi, che vedevano le cose mentresuccedevano, direttamente sul campo –e senza dubbio anche un numerosufficiente di messaggi falsi fabbricatiper ragioni di propaganda, ma questo èun altro argomento. Mentre molti di noihanno impostato icone di colore verdeper mostrare solidarietà, abbiamo vistol’emergere di una comunità più ampiache si sentiva legata a questi sviluppi.“Ecco qui” è diventato “Eccomi qui”, oun ancora più importante “Eccoci qui”.

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———Henry Jenkins. Professore diComunicazione, giornalismo e cinemapresso la University of SouthernCalifornia. Collabora con ilConvergence Culture Consortium e peroltre un decennio ha diretto ilComparative Media Studies Program alMIT di Boston. Figura a metà tral’accademico e il fan, è uno deglistudiosi più influenti nel campo deimedia e della pop culture. I suoi ultimilibri tradotti in Italia sono Culturaconvergente (Apogeo, Milano 2007) eFan, blogger e videogamers (FrancoAngeli, Milano 2009).

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Oltre il mcluhanismo volgareLA NARCOSI DEL PRESENTE

·di Peppino Ortoleva

Negli ultimi quindici anni ho fatto tanticorsi e lezioni su Marshall McLuhan,usandolo, pur nella sua difficoltà dilettura, e anzi proprio grazie a quella,come autore di avvio per ilragionamento sulla comunicazione e suisuoi mezzi. Ho preso alla lettera la sua

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promessa di capire, e far capire, imedia; e insieme, e soprattutto, ho usatoconsapevolmente la sfida implicita nelsuo scrivere come arma didattica, anti-manualistica per così dire.Mentre i manuali (intesi come genere –poi ovviamente c’è manuale e manuale,e comunque guai se non ci fosseroanche i manuali) stendono la materia unpo’ come si fa con la pasta e ilmattarello, la appianano e la uniformanoper invitare la mente di chi legge a unpercorso ordinato e anch’esso uniforme,la lettura di Understanding Media divolta in volta aggruma la materia e ladistende potenzialmente all’infinito, èquanto di meno uniforme, ci invita a

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cambiare di continuo ritmo, a perderci eritrovarci; e il messaggio che McLuhancomunica al lettore è “fai come me econtinua i miei pensieri, oppure prendiciò che ti serve e vai per la tua strada”.Insegnare questo autore per me significalavorarlo ai fianchi, dilungarmi magariore su una sua frase, o parafrasare unsuo concetto in termini più vicini alnostro presente (o, perché no, piùlontani), o al contrario provare asintetizzare l’intera sua opera in pochebattute. Significa, per certi aspetti, piùche spiegarlo, “eseguirlo” come fa unpianista con una composizione, omeglio ancora “rifarlo” come fa iljazzista con una canzone non sua, e che

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fa propria appunto in quanto ci giocacome il gatto con il topo; per altri,“raccontarlo” come si raccontaun’esperienza di viaggio.Nello stesso periodo ho scritto molto suMcLuhan: saggi, interventi el’introduzione all’ultima edizioneitaliana di Understanding Media. Inquesti lavori mi sono sentito più tenutoal rispetto, più responsabile neiconfronti della sua “opera”: un po’perché la forma-testo, pur in un autoreche più di tanti altri conosce ed esalta ilimiti di questa forma, ha una suacogenza; un po’ perché volevocontrastare quelle posizioni che, perincomprensione, per purismo

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disciplinare o per semplice idiozia, lotrattano come un autore minore, mentreio penso che sia uno di quegli autorisenza i quali saremmo terribilmente piùpoveri. Posizioni che, in un mondo dovetuttora i testi sono lo standardregolativo delle nostre gerarchieculturali, trovano una legittimazionenella “stranezza” del suo modo diprocedere e di scrivere. Ho così volutosottolineare, cosa di cui sonoprofondamente convinto, la classicitàdella sua opera, la necessità della suapresenza sugli scaffali di tutte lebiblioteche, e del ritrovarlo da parte diogni successiva generazione. Questo miha portato a letture relativamente

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sistematiche, nessuna pienamentesoddisfacente: perché la forma-testo aMcLuhan sta stretta, e perché“interpretare” il suo pensiero mi sembracomunque riduttivo.Di fronte all’idea di scrivereun’aggiunta a queste mie interpretazioni,il mio primo impulso sarebberinunciare: non ho molto da aggiungere,e non ho voglia di continuare su quellastrada. Solo che c’è un compito urgente:è la critica di quel mcluhanismo che stadiventando un luogo comune. E un luogocomune pericoloso: McLuhan stadiventando uno degli idoli diriferimento per i lodatori del presente.Sia chiaro, lui era molto interessato al

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presente, sentiva che l’oscillazionedella tradizione intellettuale dominantetra il soffermarsi sul passato e ilproiettarsi sul futuro finisce con ilcoprire la nostra scarsa consapevolezzadi quel tempo in cui viviamo; sostenevache il presente, solo gli artisti sannocoglierlo. Ma se il presente gliinteressava non era certo per lodarlo(né per calunniarlo); il presente era perlui soprattutto un problema, in quantoterreno dell’esperienza e in quantoluogo proprio della narcosi. In certosenso, nell’interpretazione di McLuhan,per comprendere il presente come percomprendere i media, bisogna agirecontro di essi.

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I tanti che lo esaltano come profeta unpo’ di tutto, e della “galassia internet”in particolare, fanno di McLuhan il“santo protettore” (Wired) dellagenerazione digitale o il precursoredell’“intelligenza collettiva”. Secondole letture più diffuse (che il centenariodella nascita ha messo in circolo anchein tanti organi d’informazione che primaavevano sempre ignorato il suo nome)avrebbe indicato con luciditàpremonitrice la direzione in cui stiamoandando, esaltandola come unamutazione antropologica insiemeinevitabile e positiva. Secondo leletture più diffuse, la sua autoritàlegittimerebbe l’interpretazione della

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storia nella quale i media sarebbero gliattori principali (il medium è ilmessaggio, bellezza!), in cui Facebookfa le rivoluzioni e il mondo si divide inbuoni e cattivi a seconda degliatteggiamenti verso internet. La criticadel mcluhanismo luogo comune perònon è critica che possa farsi nella formaconsueta, dell’opporre la veritàall’errore; non perché verità ed errorenon ci siano (McLuhan tutto può esserema non un post-modernista), ma:- perché il suo pensiero ridotto a unaserie di “punti fermi” è privatodell’essenziale, che è appunto il nonstare mai fermo (un pensiero dove iparadossi e le contraddizioni sono a

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volte un problema e a volte unasoluzione);- perché il mcluhanismo luogo comune,quello che da qualche tempo chiamo“mcluhanismo volgare”, non può esseresemplicemente allontanato dal “veroMcLuhan” come si estrae un dentecariato da una bocca sana, dopo tutto èuna delle configurazioni che il suopensiero può prendere mentre lo sipensa.

IL PRESENTE STRATIFICATO

Allora proverò per una volta, anchescrivendo, a leggere McLuhan

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lavorandolo ai fianchi; partirò da un suopassaggio ricchissimo e misterioso, eproverò ad applicarlo a un universoche, al tempo stesso, è diverso dal suo ein stretta continuità con le sue categorie.Il presente, dicevamo, è per McLuhan illuogo della narcosi. Quando un nuovomedium si innesta sul nostro corpo e suinostri sensi, proprio per la sua novitàdobbiamo creare una forma dianestesia, dobbiamo ottundere la nostraconsapevolezza. I media del passato,quelli che erano entrati in precedenzanella vita dell’umanità, possono esserecompresi appunto con uno sguardoall’indietro, sono protesi, ma ormaiacquisite; quelli più recenti no, la ferita

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per così dire è ancora troppo fresca,l’anestesia non ha ancora terminato isuoi effetti.Questo vale anche per i media elettrici,dal telegrafo fino ai più nuovi: solo chequi la dialettica di narcosi e coscienzasubisce un’ulteriore torsione. Ed ecco ilbrano che voglio lavorare ai fianchi.Leggiamo un attimo con attenzione.Siamo al quarto capitolo diUnderstanding Media.

We have to numb our central nervoussystem when it is extended andexposed, or we will die. Thus the ageof anxiety and of electric media is alsothe age of the unconscious and of

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apathy. But it is strikingly the age ofconsciousness of the unconscious, inaddition. With our central nervoussystem strategically numbed, the tasksof conscious awareness and order aretransferred to the physical life of man,so that for the first time he has becomeaware of technology as an extension –of his physical body […]. In theelectric age we wear all mankind asour skin.

Teniamolo così, in inglese, perché certeparole le cogliamo fino in fondo se leguardiamo in faccia. Potrei fare lastessa operazione con altri brani? Certo,chiunque conosca bene l’autore sa che

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la sua scrittura ha l’andamento di unfrattale, insieme ripetitivo e centrifugo:il nucleo profondo si rinnovadappertutto. Eppure questo passaggio hauna sua specificità. Qui abbiamo innuce il problema più drammatico eurgente che pone a noi, che viviamooggi, il pensiero di McLuhan.Primo. Ci ricorda qualcosa che hacominciato a succedere, e soprattutto asuccederci con l’arrivodell’elettrificazione, e con il sistemadei media che l’ha accompagnata.Quella frase tanto citata sul sistemanervoso centrale va presa più sul seriodi quanto generalmente si faccia (avolte l’efficacia di certe frasi ci

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nasconde il loro senso, questo conMcLuhan succede spesso). Non siamopiù di fronte a singole protesi, disingole parti del corpo. Siamo di frontea un doppio generalizzato di noi comeindividui e di noi come corpo sociale.Quello stesso doppio che per EdgarMorin ci precipita in un universotecnico e magico, modernissimo earcaico. Potremmo aggiungere: nonsiamo più di fronte a singoli media.L’età precedente, pur nelle suediscontinuità, era dominata dalla logicastrumentale, si muoveva, ed evolveva,nell’ambiente (fisico e antropico),forgiando sempre nuovi strumenti, eognuno di essi diventava a sua volte

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ambiente e direzione di pensiero; daquando arriva l’elettricità tutti i mezzisono intercambiabili, noi siamo a nostravolta gli strumenti che fanno progredirel’ambiente nel suo insieme, un ambienteormai totalmente antropizzato: l’umanitàintera ci fa da guscio. Se portiamo ilragionamento fino alle estremeconseguenze, vediamo che con l’eraelettrica il concetto di medium, cosìcentrale all’opera di McLuhan, viene altempo stesso messo in discussione: daun lato perché a questo punto cade lacorrispondenza tra la protesi e lasingola funzione di cui costituiscel’estensione, dall’altro perché lacoscienza del nostro rapporto con la

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tecnologia, prima nascosta appuntodalla presenza insieme evidente einvisibile delle tante protesi, è diventatainevitabile. In questa situazione, “ilmedium è il messaggio” è sulla stradache porta dalla rivelazione allabanalità.Secondo. Quel qualcosa che ha presoforma con l’inizio dell’elettrificazionecontinua a succedere, e a succederci: hatoccato da centotrent’anni unagenerazione dopo l’altra. Perchél’elettrificazione, diceva già Edison, èun processo interminabile, il cheimplica che i suoi effetti si rinnovinoman mano che le nuove generazioniimparano a dare per scontate le protesi

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che ai loro predecessori erano costateamputazioni e anestesie, mentre devonoaffrontare le protesi loro proprie. El’informatizzazione, di cui McLuhanaveva colto appena il primo presentarsi(il capitolo sull’automazione diUnderstanding Media), è un secondoprocesso interminabile che si innestasull’elettrificazione, un’ulteriore protesioltre che una matrice vertiginosa dinuovi gadget, un sistema nervoso “inpiù” che si appoggia sulla rete elettrica.Se capiamo tutto questo, leinterpretazioni “mcluhaniane” dismartphone e tablet, navigatorisatellitari e piattaforme ludiche ci sievidenziano nella loro piccineria,

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perché prendono alla lettera un concettodi medium che, quando si arrivaall’elettricità e al sistema nervoso, èsulla via di diventare obsoleto.Qualcosa di simile accade conun’espressione come “nativi digitali”:nel suo grottesco trionfalismo è ancorauna lode sciocca del presente; se la sipriva del trionfalismo è un’ovvietà.La verità è che viviamo un presentestratificato, viviamo in più tempi: unlivello ci accomuna con tutti quelli chehanno vissuto dalla fine dell’Ottocentoin poi, tutti attraversatidall’elettrificazione, tutti contraddistintidallo strategic numbing del sistemanervoso centrale; un secondo livello

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evidenzia le specificità di esperienza edi consapevolezza connesse allediverse protesi che man manol’elettrificazione e poil’informatizzazione hanno innestato sulnostro corpo. Noi siamo comunquecoevi con la nascita del cinema, unmezzo che non finisce di sorprenderci; econ la nascita del primo computer, unmezzo che continua a giocare con lanostra mente come ai tempi in cui per laprima volta il software venne separatodall’hardware e la simulazione delpensiero umano diventò un programmaoperativo e scientifico. Ma siamo ancheattraversati, giorno dopo giorno, non daquesto o quel gadget ma dalla potenza

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spaventosa della legge di Moore, cheraddoppiando ogni meno di due anni lapotenza di calcolo dei processoricontinua a estendere il nostro sistemanervoso con il ritmo inesorabile eimpensabile della proporzionegeometrica.Il presente stratificato è un concetto chesembra ovvio, ma se lo prendiamo sulserio può aiutarci a uscire da alcuni deigiri a vuoto che hanno letteralmenteingolfato molto del pensierocontemporaneo. A cominciare da quellaparola che ci insegue da almenotrent’anni, modernità. Che è confusa siaperché non ne sono chiare le dimensioni(siamo moderni dalla rivoluzione

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industriale o da Baudelaire, dallanascita del cinema o da Schoenberg?Quanti giochi delle tre carte intellettualihanno ruotato su questa vaghezza!), siaperché non ne sono chiare le radici.Seguendo McLuhan (e Edison)sappiamo invece che esiste unpassaggio chiave, ed èl’elettrificazione, ma dopo quelpassaggio abbiamo vissuto un processosegmentato e insieme unasovrapposizione di processi: parlandodi presente segmentato, possiamotornare a ragionare non di ere generichema di cronologie.A proposito di presente stratificato, unesempio può aiutare a capire. A

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confermare l’intuizione di McLuhansulla soprendente (striking)acquisizione di consapevolezzadell’inconscio (che comunque noncancella l’inconsapevolezza legataall’autoamputazione ma le sisovrappone: in addition) l’interoNovecento è stato il secolo del sesso,ossessionato dall’emergere, in partevoluto e programmatico in parteinvolontario, di quella che è finoraapparsa la più “inconscia” tra ledimensioni della vita umana. Èun’ossessione che è ancora la nostra,solo che siamo passatidall’esplorazione adulta della sessualitàinfantile, affascinata e insieme

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terrorizzata (non a caso l’orrore moraledel nostro tempo è la pedofilia), aun’esplorazione in età sempre piùprecoce della sessualità tout court.Ma quest’ossessione prolungata che daun lato attraversa il secolo da un capoall’altro, e lo unifica, dall’altro, se laseguiamo di generazione in generazione,la vediamo modificarsi, vivere unaserie di passaggi-chiave e ben distinti.L’epoca del cinema è stata quella dellapsicoanalisi, della drammatizzazionedella sessualità come un personaggio,anzi un protagonista della vita umana,fino a quel momento rimasto dietro lequinte, simile al convitato di pietra delDon Giovanni. L’epoca della tv è stata

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quella della pillola e simultaneamentedell’esplosione della pornografia,processo misterioso nella suasimultaneità e nel cadere incontrastatodi barriere fino a quel momentosolidissime: l’epoca in cui a dominare èil bisogno di separare la sessualitàcome godimento dalle sue conseguenze.L’epoca dell’informatizzazione è stataquella dell’enhancement, del Viagra,una consumer drug per la quale chissàperché non si può parlare di droga, einsieme del fai da te: la pornografiaautoprodotta, il lato buio dell’epopeadel prosumer. A conferma del fatto cheanche l’acquisizione di unaconsapevolezza dell’inconscio è un

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processo interminabile, si stannoaprendo nuove frontiere nella suaesplorazione, quasi che il sesso si fosseconsumato. Da una parte, l’esplorazionedei meccanismi stessi del cervello: ilframe per sua natura inconsapevole (maci stiamo attrezzando…) di ognipensiero. Dall’altra l’attenzione semprepiù ossessiva a un altro aspetto dellavita psichica infantile: la ludicità.

LATO A E LATO B

Ma torniamo al brano. leggendolo ciaccorgiamo che procedesistematicamente producendo un lato A

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e un lato B. Il lato A ci dice in dueparole quello che sta capitando, conasciuttezza: “indossiamo l’umanitàintera come la nostra pelle”. Il lato B ciricorda che comunque ci stiamonascondendo qualcosa, che ci stiamoaddirittura intontendo. Il verbo to numbnon parla di analgesici, ma di de-sensibilizzazione, la traduzione italiana“intorpidire” è intelligente mamoderata. Il lato A ci dice cheacquisiamo nuove forme diconsapevolezza: quella dell’esistenzastessa di un inconscio per un verso,quella della presa che su di noi puòavere la tecnologia per un altro. Il latoB ci ricorda che è un’esigenza vitale

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quella di schiacciare la nostraconsapevolezza.Il lato A è quello che affascina, più omeno riconosciuto, i tanti piccoli gurudel new age, da Timothy Leary allaProfezia di Celestino, e delmcluhanismo volgare. Chi fa diMcLuhan un profeta, da Wired aCastells, si ostina a vedere solo il latoA: lo sviluppo di una consapevolezzanuova, premessa della potenzaliberatoria dell’epoca della rete, vistacome continuazione e coronamentodell’era elettrica. E fa del nostroindossare l’umanità come seconda pelleuna sorta di premessa a una nuovasocialità, a-conflittuale e comunitaria.

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Che ne è del lato B, dell’intontimento,del sistema nervoso strategicallynumbed? A che cosa ci stiamo rendendociechi? Da quale sonno dobbiamorisvegliarci? È la domanda più ovviaper chi segua a fondo la lezione diMcLuhan, ma nel conflitto banale tra icelebratori della rete e quelli chescrivono libri sull’informationoverload e sulla dipendenza dall’e-mail(una replica ulteriormente impoveritadella controversia di apocalittici eintegrati) l’abbiamo persa di vista.Non vi aspetterete mica che finisca conun discorso sistematico. Solo dueriflessioni.Prima di tutto, quella che ci viene da un

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poeta che McLuhan non so bene quantoamasse ma di certo ammirava, T.S.Eliot: “Dov’è la conoscenza cheabbiamo perso nell’informazione?”.L’elettrificazione, e poil’informatizzazione, portano con sé: a.l’immediatezza della trasmissione; b. latraduzione di ogni forma di sapere maiprodotto, in qualsiasi forma, in un’unitàdi misura unificante; c. la possibilità diaffidare alle macchine il compito diprodurre informazione, immagazzinarla,rielaborarla. L’equazione conoscenza-informazione non è solo uno dei luoghicomuni del nostro tempo, è qualcosache ogni passo in avanti delletecnologie di rete e informatiche

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insieme conferma e rende menoproblematica. Certo, il verso di Eliotviene da una posizione conservatrice, econtiene un giudizio etico di matricereligiosa (come il verso che lo precede:“Dov’è la saggezza che abbiamo personella conoscenza?”); ma è lecito, senzapregiudizi, porsi la domanda sel’equazione informazione-conoscenzanon comporti implicazioni tutte dasviluppare. Per fare un esempio: laconoscenza può essere concepitadavvero come immediata, cioè priva dispessore temporale?Seconda riflessione. La “fine dellastoria” è uno slogan fortunato, di quelliche più che altro fanno perdere tempo.

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Ma quanto la nostra cultura, proprioquella che “indossa l’umanità interacome una pelle”, è consapevole delprocedere storico? Paradossalmentel’inconsapevolezza profonda deiprocessi che determinano il presente sisposa con un’attenzione sempre piùristretta al presente. Privo, ancora unavolta, di spessore temporale. È inquesto contesto che si è imposto non ilpensiero unico che sarebbe comunqueun’ideologia, ma una sorta di adesioneby default a un quadro interpretativominimo e che trova opposizione solo inchi è, o si dichiara, “fuori”: fattodell’ineludibilità del mercato e diinternet come principale garanzia di

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libertà. Un quadro che ottieneparadossalmente un larghissimoconsenso da parte di generazioni chestanno subendo alcune delle peggioriingiustizie della storia recente. Senzaconflitti. A proposito di strategicnumbing.

———Peppino Ortoleva. Professoreordinario di Storia dei mediaall’Università di Torino. Presidente diMediasfera, società di ricerca,consulenza e progettazione culturale, hapubblicato oltre un centinaio di lavoriscientifici su media, storia, società. Trai lavori più recenti, Mediastoria (Il

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Saggiatore, Milano 2002),l’Enciclopedia della radio (con B.Scaramucci, Garzanti, Milano 2003), Leonde del futuro (con G. Cordoni e N.Verna, Costa & Nolan, Milano 2006), Ilsecolo dei media (Il Saggiatore, Milano2009). Ha curato l’edizione italiana deGli strumenti del comunicare diMcLuhan (Il Saggiatore, Milano 2008).

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La controcultura si sballa con l’McL disintesi

CORPO DI CRISTO COSMICO·

di Matteo Guarnaccia

Il rude slogan controculturale, figlio delcrudele secessionismo anagrafico deiSixties, “Non fidatevi di chi ha più ditrent’anni”, ammetteva solo qualchesparuta eccezione alla regola. Eranoesentati dal sospetto solo i padri della

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beat generation, gli accademicidevianti, qualche barbuto guruhimalayano, sparse personalitàeccentriche-rivoluzionarie del mondodella politica, dell’arte e della musica.Eppure proprio quella scena ribellegiovanile, così schizzinosa verso ilmondo adulto, aveva adottato conentusiasmo un professore canadese chenon rientrava in nessuna delle categoriesopra menzionate. McLuhan non era untipo pittoresco, un soggetto socialmentepericoloso né tanto meno un pensatoreeretico. Era un signore normale,eterosessuale, persino monogamo. Il suolook, in tempi di mise esotiche estilisticamente imbarazzanti, era fermo

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all’insipiente anonimato della giacca ecravatta. Anche il suo curriculumideologico stonava con l’agendarivoluzionaria. Nessun outing politicoarrischiato, nemmeno una blandacondanna all’intervento americano inVietnam. In passato era stato undivulgatore dell’opera di unchiacchierato artista britannico,antisemita e apologeta di Hitler,Wyndham Lewis. Non vedeva di buonocchio l’emancipazione femminile eattribuiva il declino della famigliatradizionale all’ingresso nel mondo dellavoro delle donne. Protestante pernascita, era approdato al cattolicesimopiù intransigente, schierandosi senza

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riserve, dopo il Concilio Vaticano II,contro le scelte modernizzatrici e“lassiste” della nuova dirigenza papale.Non aveva nessuna velleità anti-sistema, collaborava conl’establishment, era consulente diaziende multinazionali e agenziepubblicitarie.La sua fortuna risiedeva in unastupefacente verve oracolare. Daintellettuale perfettamente sintonizzatocon i tempi, sapeva che le tante Alici incerca del Bianconiglio nel vastogiardino dell’infosfera si sarebberotenute ben alla larga dai libri e concetti“senza neanche una figura”, e quindiaccompagnava la sua teoria,

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imperscrutabile e nebulosa, con un usomassiccio di geniali slogan, aforismi,battute e citazioni randomizzate. E, seera il caso, si affidava al supportografico dell’art director Quentin Fiore,creando un mood comunicativo contiguoa quello della stampa underground. Unapparato perfetto per chi – come i babyboomer – era cresciuto a fumetti ejingle televisivi. Il suo linguaggio eratalmente cool da stregare persino unmaestro di snobismo letterariobaroccheggiante come Tom Wolfe. Conla sua opera offriva una specie digiustificazione al turbinoso senso dispaesamento delle comunità piùradicali. Le esperienze psichedeliche,

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gli approcci olistici al mondo, le derivenell’irrazionale e nella non-linearità, ibombardamenti multisensoriali a cui sisottoponevano i giovani più avventurosio imprudenti non venivano piùconsiderati pericolose forme dialienazione, bizzarrie, ma addiritturaesaltati come epifanie di un futuro abase di interconnessioni ardite epersino scorporate. Proprio quei ragazzistonati e confusi erano indicati comeesempi concreti della capacità digestire il cambiamento in atto.Finalmente qualcuno li pigliava sulserio. Per loro, il mantra di McLuhan,che prospettava la trasformazionedell’intero pianeta in un caleidoscopio,

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grazie ai sensi amplificati dallatecnologia, alle estensioni del sistemanervoso attraverso i media, suonava nonsolo probabile ma persino ovvio. Chimeglio dei baby boomer mutanti potevacapire quella faccenda del VillaggioGlobale? Loro vivevano già nel nuovoambiente intasato di stimolicomunicativi, si cullavano con ilrock’n’roll (la prima colonna sonoraelettrica della storia), giocavano allaroulette russa con l’ego e la prospettivadi collettivizzare la coscienza non lispaventava. Si espandevano,scomponevano, scioglievano neglispettacoli multimediali son et lumiére.Molti, durante i viaggi con l’acido

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lisergico, avevano provato l’emozionedi sentirsi risucchiati nell’impiantoelettrico di casa, per poi ritrovarsi, tuttiuniti, nella Dinamo Celeste cantata daAllen Ginsberg.Nel 1967 sul giornale undergroundnewyorkese East Village Otherappariva un articolo/manifesto chesegnalava inequivocabilmentel’endorsement alle idee del professore.

Noi siamo la generazione dell’etàelettrica, i primi a sentire l’impattodell’effetto retribalizzante del nuovoambiente multimediale. Siamocresciuti con la televisione, che nutre inostri cervelli con milioni di puntini

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neri e bianchi, elettronicamenteassemblati e riassemblati in immaginie schemi della durata di microsecondi.Siamo nell’età del gesto e della forma,non siamo più parte di un meccanismonazionale. Siamo una tribù.Siamo i nuovi indiani d’America chefumano hashish e erba e ingoianopeyote come un rito tribale. Siamo lareincarnazione dell’uomo pre-letteratoe orale.

McLuhan accettava i complimenti dicattivi soggetti, come il rivoluzionariohippie Abbie Hoffman, duettava con ilbeatle John Lennon in fase militante,dava consigli a Timothy Leary sul modo

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migliore di farsi fotografare durante leinterviste. La scena artistica lo adorava,perché offriva un supporto ideologico eparascientifico alle attività piùstrampalate, laddove la presentazione,la relazione tra media e fruitore, era piùimportante del contenuto. Era unapopstar intellettuale, molto trasversalesecondo i canoni del post-modernismo;le sue teorie erano diventate materia diconversazione nei cocktail party.Il Villaggio Globale assomigliava molto– per chi stava flirtando con le cultureorientali – all’Oceano induista in cui lamolteplicità delle anime si fondevanell’unità così come fanno le gocced’acqua dopo la pioggia. Era la mente

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universale del gnosticismo, l’animamundi junghiana. McLuhan, da partesua, stava costruendo una mitologiaintegrativa, sviluppando un pensierospiritualista vicino al trascendalismotecnologico del gesuita Pierre Teilhardde Chardin. Il suo Villaggio Globale sisarebbe trasformato – con l’aiutodell’elettronica e dei media – in unacomunione psichica dell’intera umanità,nella mente universale, nel Corpo diCristo Cosmico definitivo, nientemenoche nella fine del processo evolutivodell’umanità, un’eventualità che nonsarebbe dispiaciuta nemmeno all’hippiepiù sballato. Come un mistagogo, stavaadattando il mito cristiano (“non un

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semplice racconto ma qualcosa di piùreale della realtà ordinaria”) all’eraelettrica. McLuhan considerava il mitocome il processo finale di una storiacondensata e accelerata, percepita adalta velocità. Agendo in concerto con ilcambiamento tecnologico, il mito sivelocizza ulteriormente e svela la naturastessa del processo in atto.Nel suo zelo missionario non esitava atenere a distanza la ragione e il mondoeuclideo, facendo ampio uso deglistrumenti creativi agitati da JamesJoyce, Ezra Pound e Lewis Carroll. Ilcaso e l’azzardo – così apprezzati dallascena artistica coeva – gli avevanodimostrato la loro benevolenza ed erano

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strumentalmente utili nel momento in cuisi erano manifestati in un refuso, cheaveva trasformato il roboante “Ilmedium è il messaggio” nel fantastico“Il medium è il massaggio”.

AFFINITÀ ELETTIVE?

Peccato che la storia dellaretribalizzazione fosse un brillanteartificio retorico, qualcosa che nonaveva nulla a che vedere con le comunihippie, con i crash pad rivoluzionari,con gli accampamenti di tepee e cupolegeodesiche nella natura. McLuhanassegnava ai nuovi media il compito di

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restaurare una tradizione comunitariaidealizzata. Una mitologia postmoderna,costruita intorno a un modelloconservatore, organicamente patriarcalee anti-individualista, ricalcato sullaretorica del Vecchio Sud degli StatiUniti culla di una società basata suordine e decenza, onore e rispetto. Ilsuo villaggio globale assomigliava tantoa un villaggio puritano, dai costumiausteri, moralista e occhiuto. Unacomunità semitollerante per lesperimentazioni giovanili, basatasull’inviolabilità del matrimonio esull’indiscutibile centralità dellafamiglia; dove infedeltà e divorzioerano considerati come gravi violazioni

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del contratto sociale. Una società chepuniva e bandiva chi trasgrediva eoffendeva i suoi valori tribali.Quanto fosse reazionaria la faccenda loaveva ben capito Guy Debord chederideva – in tempo reale – il “saggiodi Toronto”, impegnato da decenni atessere lodi sperticate “alle grandilibertà offerte dal villaggio globale,comodamente accessibile a chiunque”,senza farsi troppe domande sul modo diarrivarci. Il polemista francese (partedella Trimurti massmedialogante conMcLuhan e Andy Warhol) sottolineavaquanto i villaggi, da sempre, fosserosinonimo di piccineria nei rapporti traindividui, di conformismo, controllo

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sociale, noia e infiniti pettegolezzi suglistessi soggetti. Quel suo celebrare larealtà quotidiana solo comerappresentazione o mediazione,aderendovi con l’entusiasmo di unapologeta dello spettacolo, erafrancamente ridicolo. Tanto più che ilNostradamus canadese offriva confortoagli araldi del consumismo e ai loroavversari, teorizzando la neutralitàdelle scoperte scientifiche. Per Debordnon era altro che il pensieropostmoderno coniugato con ilcapitalismo up to date, lariduzione/sintesi della cultura in slogan,la prospettiva di un felice stato diservitù nel villaggio globale.

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Dopo le drammatiche rivolte razziali diWatts, la priorità per McLuhan non erala riapertura delle scuole, quanto ilveloce ritorno dei bambini afro-americani davanti ai teleschermi.Riteneva che per i bambini “tribali” ilpaesaggio virtuale avesse la stessaintensità e importanza delle prateriesconfinate per gli indiani d’America. Unluogo dove imparare a vivere, fareesperienza. È degno di nota che la suapercezione alterata di gruppo non fosselegata a un concetto etnico: i campionidel tribalismo moderno a cui facevariferimento – in opposizione al tantodetestato individualismo americano –erano gli hippie, i francofoni del

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Quebec e gli afro-americani.La società dello spettacolo apprezzavale sue parole, e il mcluhanismo diventòun fortunato stereotipo. Poi, con la finedei Sixties, anch’esso perse il favorepopolare seguendo la sorte deipantaloni a zampa d’elefante.Verso la metà degli anni Settanta siregistra un breve momento dirivalutazione del suo lavoro, operatodalla scena punk che intingerà ilbiscotto nel suo elogio deldilettantismo, nell’apologiadell’approccio amatoriale, del fai-da-tee dell’incompetenza come valori. Latecnologia non spaventa il punk e lafaccenda della sfida al diritto d’autore,

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al professionismo, è quanto maiallettante. Tra le altre cose, McLuhanaveva intuito che, con la diffusionedelle fotocopiatrici, chiunque potevadiventare autore ed editore di se stesso;aveva persino profetizzato l’avventodella pirateria con il “Furto istantaneo!”di testi, foto e brani musicali. Detto,fatto! Le fanzine xerografate – un veroinno alla molteplicità comunicativa –entrano di diritto nell’armamentariodella subcultura più spillata dellastoria. Per il punk, McLuhan è l’uomoche istiga a comporre collageesperienziali, il teorico dellascomplessata giustapposizionepostmoderna. A differenza dei suoi

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fratelli maggiori hippie, il punk scopree sottolinea il fondo di cinismo presentenella sua opera; ridicolizzare il passato,senza nemmeno aver bisogno di unfuturo. Gli slogan coniati o usati dalmass-mediologo – tipo “Il dilettante puòpermettersi di perdere”, “Il mestiere delfuturo è essere pericolosi” o “La nuovaarte è violenza sensoriale esercitatacontro le frontiere dell’esperienza” –sono miele per le orecchie dei giovaniantagonisti. Ma è soprattutto quello cherecita “L’arte è qualcosa con cui puoisempre farla franca” a stimolarne lafantasia. È uno slogan che sembraconiato su misura per l’inventore delpunk – o quanto meno della sua

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immagine pubblica. Lui è MalcolmMcLaren, coscienzioso studente dellasopra citata Trimurti. Naturalmente ilpartner in crime della stilista VivienneWestwood aveva nei riguardi delle ideedel professore canadese un approcciopiù interessato rispetto al semplicerichiamo “vibrazionale” delcameratismo hippie. I due Mc siassomigliavano per lo scarso interesseper il latore del messaggio; per il restoavevano poco da spartire, aspiranterivoluzionario il primo, rivoluzionariosuo malgrado il secondo. McLarenapplicava, con una certa ferocia, l’ideache l’etichetta (il nome Sex Pistols o gliabiti scarruffati da lui prodotti) fosse

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più importante del contenuto (la musica,i testi o la qualità del tessuto). Il mezzoidentificava il suo prodotto (quattroragazzotti senza arte né parte o una lineadi abbigliamento improbabile) comequalcosa di sordido, pericoloso,insolente, sovversivo: appetibile per itempi grami del thatcherismo. SeMcLuhan aveva avuto al suo servizioQuentin Fiore, McLaren si era affidatoai servizi di Jamie Reid. Negli anniNovanta, una deriva letteraria del punk,il cyberpunk, rispolvererà “l’idiota delVillaggio Globale” che sarà veneratodagli esegeti del cyberspace, dai fandel post-umano protesizzato einterconnesso. L’esplosione di internet

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e dei social network lo piazzeràstabilmente ai primi posti della hitparade della visibilità mediatica.A ogni modo, il mezzo è il messaggio,ma la mappa non è il territorio. Tramezzo e messaggio dov’è finito ilmessaggero?

———Matteo Guarnaccia. Artista, saggista estorico del costume. È attivo nel campodella comunicazione, della musica, deldesign e della moda. Ha scritto unaventina di saggi dedicati alleavanguardie e controculture delNovecento, e collabora con Vogue,Rolling Stone, Abitare, Wired e Alias.

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Ha curato mostre skate art, sulmovimento Provos, sulla psichedelia, suVivienne Westwood e Giorgio Gaber.

———

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POP IS OUR BUSINESS·

di Francesco Spampinato

Mica solo la Pop Art. Nel tempo,McLuhan è diventato il riferimentoessenziale per frotte di artisti dellaPictures Generation, la grandeispirazione con cui tutti sono costrettia confrontarsi. Anche senza saperlo.

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Impegnati come siamo a sbarazzarcidegli equivoci generati dalle teorie diMarshall McLuhan, non riusciamoancora a capire a fondo quale sia statoil suo reale contributo alla culturacontemporanea. Ciò che ci sembradavvero incisivo del suo pensiero, eche solitamente è considerato un aspettosecondario, è il suo atteggiamento neiconfronti delle immagini, ancor primadei media che le hanno generate: bastipensare a quelle che usa in alcuni suoilibri. Il titolo del suo primo volume,The Mechanical Bride. Folklore of theIron Man (1951), deriva da un’opera diDuchamp: questo già la dice lunga. Ma

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è soprattutto il modo in cui il libro ècostruito a confermare quanto la praticadi McLuhan abbia risentito dellarivoluzione duchampiana delreadymade e abbia influenzato tutte lesuccessive forme di appropriazionedell’immaginario pop, da Andy Warholalla Pictures Generation fino ai nostrigiorni.McLuhan e Warhol sono le figureprincipali nella storia del pop comedisciplina culturale. Eppure, nonostantele tante coincidenze, i due non siincontrano che brevemente alla metàdegli anni Sessanta. Quando TheMechanical Bride viene pubblicato,Warhol lavora come illustratore

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pubblicitario. Incomincia a esporre lesue opere in gallerie d’arte proprio inquegli anni, ma la sua prima personale èdel 1962. Dalle illustrazionipubblicitarie dei primi tempi – innocuiputti e variopinte scarpe da donna –Warhol passa ad appropriarsi su teladelle principali icone della cultura dimassa americana – da Popeye alla CocaCola e a Marylin Monroe – attraversola serigrafia. Il risultato non è poi cosìdiverso da quello ricercato da McLuhannel suo libro, ovvero una sovraidentificazione con le immagini pop.La cultura pop diventa, nelle mani diWarhol e di altri artisti americani comeRoy Lichtenstein o Ed Rusha, uno

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strumento a-critico per esplorare ilpotere dell’industria dello spettacolo dicreare segni e simboli che ilconsumatore può riconoscere e in cuipuò riconoscersi. Quello della Pop Artnon è un attacco ai media, quantopiuttosto una competizione con le lorostrategie di rappresentazione.Prima fra queste è la riproduzionemeccanica. Dove Walter Benjamindichiarava la morte dell’aura dell’operad’arte a causa della fotografia, gli artistipop, al contrario, speculano propriosulla possibilità di realizzare opered’arte attraverso la riproduzionemeccanica. Molti utilizzano stencil,altri la serigrafia. L’idea è quella di

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togliere all’opera d’arte il suo valore diunicità e la sua dimensione autoriale, afavore di una produzione quasiindustriale.McLuhan, in The Medium is theMassage (1967), cita The ExplodingPlastic Inevitable, una serie dispettacoli multimediali realizzati daWarhol per i Velvet Underground nel1966, mentre un vero scambio di ruolitra i due avviene su Aspen, la “rivista”di Phyllis Johnson di cui curanorispettivamente il terzo e il quartonumero. Entrambi vi includonodocumenti relativi alle culturaunderground (Warhol sul cinemaindipendente, McLuhan sugli Hell’s

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Angels) e corredano la pubblicazionecon una serie di immagini pubblicitarie.Ma quanto queste immagini, in questocontesto, rappresentano ancora iprodotti che si prefiggono dipropagandare?Tra le migliori interpretazionidell’opera di Warhol emergono quelledi Arthur Danto, che avverte, per primo,lo scarto tra le opere d’arte pop e isimboli che replicano. “Ciò che allafine fa la differenza tra una Brillo Box eun’opera d’arte che si compone di unaBrillo Box”, sostiene Danto, “è unacerta teoria dell’arte”[1]. La Brillo Boxrealizzata da Warhol, pur essendo quasiidentica a quella in vendita sugli

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scaffali di un supermercato, è un’operad’arte perché la teoria la legittima cometale.Detto altrimenti, la Pop Art è unmetalinguaggio che usa il pop perparlare di pop. Ma a prescindere daltentativo di considerare la Brillo Boxun’opera d’arte, che è il punto su cuiinsiste Danto, essa funziona comestrumento metalinguistico perché èall’interno degli studi culturali esociologici che ci consente di parlare dipop attraverso il pop, proprio come ilibri di McLuhan o come i due numeridi Aspen.

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A QUEST FOR IDENTITY

Lo spirito pop informa gran partedell’arte americana dagli anni Sessantain poi e, attraverso il tardo JohnBaldessari, arriva alla PicturesGeneration che emerge tra la Californiae New York alla fine degli anniSettanta. Richard Prince, BarbaraKruger, Jack Goldstein, Cindy Sherman,Dara Birnbaum sono i protagonisti diquesta scena, le cui radici sono piantatenella cultura post punk ma il cuisubstrato teorico richiama l’arteconcettuale.Gli artisti della Pictures Generation siappropriano di immagini prelevate da

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pubblicità, cinema e tv, a voltesimulandole (come fa Sherman) e avolte copiandole (come fa Prince), conl’obiettivo di rendere visibili lestrutture che regolano i meccanismi dirappresentazione della cultura di massa.“Se la rappresentazione non è altro cheun sostituto della presenza reale, larappresentazione della rappresentazioneriguarda una doppia nullità, e ciò che nerimane è la struttura dellarappresentazione in se stessa comemodalità di significazione”[2], scriveThomas Lawson, un teorico del gruppo.Le immagini di questi artisti non sonotanto diverse da quelle usate daMcLuhan in The Mechanical Bride e in

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diversi altri suoi libri a seguire comeCulture is Our Business (1970). Sitratta di immagini pubblicitarie, a voltedall’accento sessista, razzista eautoritario, a volte puramentecommerciale, che, spostate in un altrocontesto culturale (quello di unagalleria d’arte o di un saggio disociologia), ci rivelano molto più diquanto vorremmo riconoscere: “ourvalues… our fears… our joys… ourtoys… ourselves”[3].Una donna stretta in una pancera ereggiseno “corazzato” guardamalinconica verso l’alto, acconciata,con le mani dietro la schiena. Sotto loslogan: “If nature didn’t, Warner’s

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will”. L’immagine, pubblicata suCulture is Our Business, fa parte delquinto capitolo del libro, intitolatoViolence is the Quest for Identity.Nella pagina a fianco, McLuhanraccoglie alcuni estratti giornalisticirelativi alla cultura tribale e concludericordando che la pubblicità dellaWarner è stata prelevata da una rivistain cui affiancava la storia di un giovaneviet-namita, il che basta per rendereesplicita la contrapposizione tra i duesistemi linguistici.Non abbiamo bisogno diapprofondimenti per comprendere leintenzioni dell’autore di smascherare lastruttura di rappresentazione che si cela

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dietro l’immagine e lo slogan chepropaganda una linea di biancheriaintima. Simili intenzioni si celano dietrole operazioni di Cindy Sherman. Nellaserie Untitled Film Stills (1977-1980),l’artista prende le parti di alcunipersonaggi cinematografici femminiliricostruendo fedelmente i costumi,l’ambientazione e l’atmosfera dellescene originali.Nella serie di Sherman, il solo atto diricostruire iconiche scene di film è unadichiarazione di intenti. Ma è dalprocesso di selezione che emerge il suotentativo di destrutturare il sistema dirappresentazione che si cela dietro ilcinema e altri mezzi di comunicazione

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di massa come la pubblicità.Non dissimilmente dalla testimonialdella Warner, Sherman impersonadonne che non guardano direttamente incamera, allo spettatore, ma che sonooggetto proprio dello sguardo dellospettatore.La direzione dello sguardo di Shermandenuncia l’imposizione di uno sguardoesterno, “maschile”, sulla donna e, diconseguenza, di una serie di aspettativee convenzioni imposte dalla società acui la donna sente necessariamente didover aderire.In modo analogo, Barbara Krugerutilizza il profilo in bianco e nero di unascultura che raffigura un volto

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femminile sovrapponendogli le paroleche formano lo slogan: “Your gaze hitsthe side of my face”.

TOUGH BUT NOT ENOUGH

Le operazioni concettuali della picturesGeneration utilizzano il linguaggio deimedia di massa per rendere visibile ilmodo in cui questi presentano delleimmagini apparentemente innocue che,in realtà, nascondono altre immagini.“Dietro l’immagine c’è sempre un’altraimmagine”[4], scrive Douglas Crimpsul lavoro di alcuni di questi artisti,dopo averli riuniti nel 1977 presso

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l’Artists Space a New York in unamostra intitolata Pictures.Nella migliore tradizione della Pop Art,gli artisti della Pictures Generationutilizzano ancora la serialità perraggiungere i loro obiettivi, ma non neitermini dati alla riproduzionemeccanica in riferimento alla perditadell’aura: di quella gli artisti si eranogià sbarazzati da tempo. Quello cheancora è intatto dello spirito pop è ilbisogno di appropriarsi di simboli dellacultura di massa, “isolando pezzi diinformazione, ripetendoli, cambiandonela scala, alterandone o sottolineandoneil colore”, scrive Lawson, “e in questomodo rivelando le strutture nascoste del

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desiderio che persuade i nostripensieri”[5].Una delle sessanta immagini di TheMechanical Bride è la pubblicità di ungrande magazzino di abiti maschili diWashington in cui un uomo elegante,seduto su una poltrona, con un sigaro inmano, guarda dritto lo spettatore consguardo severo. Di fianco a lui la frase:“I’m tough”. Da notare la direzionedello sguardo: quest’uomo non è“oggetto”, come la modella Warner o ledonne di Sherman, ma “soggetto” e, inpiù, un soggetto duro.Nell’immaginario pop, in modoevidente fino agli anni Ottanta, l’uomo èstato sempre raffigurato come modello

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autoritario, accompagnato da simboli dipotere e di mascolinità (in questo casol’abito elegante e il sigaro). Di similivalori sono portatrici le fotografie deicowboy delle pubblicità della Marlborodi cui si appropria Richard Prince. Sitratta di uomini che sanno come domareuna natura selvaggia di cui diventanoprotagonisti. Prince isola frammentidelle foto originali usate per lecampagne pubblicitarie, incorrendoperaltro in numerose cause giudiziarie.Le sigarette, l’oggetto di propaganda,non sono però mai presenti. Quello chea Prince interessa è rendere visibile ilmodo in cui le sigarette sono solo unascusa per mettere in piedi un complesso

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apparato “rappresentativo” in cuil’uomo può riconoscersi.La differenza tra le operazioni diMcLuhan e quelle degli artisti dellaPictures Generation, dunque, è che ilprimo utilizza l’immagine pubblicitariain modo esplicito mentre per gli altri ilriferimento è più evocativo. A partequesto, l’interesse di entrambi è diesplorare i modi in cui la cultura popgenera modelli rispetto a cui ciposizioniamo. Nelle loro mani larepresentation diventa re-presentation,viene cioè smascherata e offerta alnostro sguardo per quello che è: unacostruzione fittizia.Le strategie pubblicitarie oggi sono

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sempre più invasive e sempre piùinvisibili al contempo. L’estetica degliartisti di Pictures, rivoluzionariatrent’anni fa, è ormai inglobata nelsistema commerciale, come dimostranole recenti collaborazioni di Prince conLouis Vuitton o le campagnepubblicitarie realizzate da Sherman perVivienne Westwood e Marc Jacobs.In conclusione, la cultura pop fagocitaqualsiasi fenomeno tenti di criticarla:scherzare con il pop è come scherzarecon il fuoco. Abbiamo visto come ladifferenza tra McLuhan e Warhol o gliartisti di Pictures, come del restoquella tra sociologia e arte, è in realtàmolto più labile di quello che sembra.

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Ma non è in fondo labile anche ladifferenza tra il pop e la vita vera, trafinzione e realtà?Di questo sembrano continuare adavvertirci certi artisti anche oggi,ancora alle prese con la serialità, lariproduzione meccanica el’appropriazione indebita, temi quantomai scottanti in questa nostra culturadigitale. A muovere le loro ricerche,però, il quesito rimane sempre lo stessodi McLuhan, Warhol o Prince: comecostruiamo la nostra identità? Quanto ciinfluenzano, in questo processo, imodelli proposti dalla cultura pop?

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Francesco Spampinato. Artista eteorico dell’arte. Dopo la laurea inStoria dell’arte presso l’Università diBologna, nel 2006 ha conseguito unmaster in Modern Art presso laColumbia University di New York.Collabora con la NABA di Milano,dove è visiting professor diPerformance Art. Scrive per Flash Art,Kaleidoscope, Impackt e Artlab. Il suolibro Experiencing Hypnotism è statopubblicato da Atomic Activity Booksnel 2009.

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NOTE[1] — A. Danto, “The Artworld”, in

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The Journal of Philosophy, 61(19),1964.[2] — T. Lawson, “The Uses ofRepresentation. Making SomeDistinctions”, in Flash Art, March-April 1979.[3] — M. McLuhan, Culture is OurBusiness, Ballantine Books, New York1970.[4] — D. Crimp, “Pictures”, inOctober, 8, Spring 1979.[5] — T. Lawson, “Last Exit. Painting”,in Artforum, October 1981.

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Intervista a Douglas CouplandNON SAI NULLA DEL MIO

LAVORO!·

di Michele Boroni

Dove si scopre, a malincuore, cheanche Douglas Coupland, cantore diun’intera generazione, si è fattofregare dalle incrostazioni e dallemaschere di McLuhan, senza riuscire acapirci granché.

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A pagina 19 del libro MarshallMcLuhan di Douglas Coupland (Isbn),l’autore si interroga sul senso discrivere una nuova biografia delsociologo e massmediologo canadese,considerato che nel 1989 uscì un ottimovolume scritto da Phillip Machand e unaltro altrettanto valido nel 1997 diTerrence Gordon.La risposta è questo libro, per certiversi bizzarro e che poco somiglia allaclassica biografia agiografica, quellache non si nega a nessuno.Un mosaico pop composto da elementidisparati: pagine di Wikipedia, schede

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tratte da Amazon, commenti lasciati suYouTube, aneddoti, divagazioni ericordi personali dell’autore,anagrammi di alcune parole chiave e untest per misurare l’ampiezza dei trattiautistici di un individuo adulto. DouglasCoupland è uno scrittore poliedrico che,come McLuhan, è riuscito a contaminarecultura alta e cultura pop, romanzi etutorial di videogiochi, serie tv e artecontemporanea, fino a diventaredesigner per un marchio canadese diabbigliamento casual.Il libro di Coupland parte da quei treriferimenti per i quali è universalmentericonosciuto McLuhan, diventatielementi pop universali e luoghi

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comuni: il celebre “Il medium è ilmessaggio”, lo slogan “il villaggioglobale” e l’apparizione dello stessoMcLuhan nel film Io e Annie di WoodyAllen – negli Usa e in Uk il volume siintitola proprio You Know Nothing ofMy Work!, la frase che MarshallMcLuhan pronuncia nel film.Lo scrittore canadese (anche lui) dedicauna buona parte del libro ai dueelementi che hanno influito – più di ognialtro – sulla vita e sulle opere diMcLuhan, ovvero il rapporto con lamadre e l’anomala struttura vascolarecerebrale del massmediologo che lorendevano un personaggio bizzarro espesso poco capito. Più che raccontarne

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la storia, Coupland cerca di entrarenella sua testa, indagando il suo mododi scrivere, insegnare e ragionare, e dicapire come abbia potuto preconizzaretutta una serie di scenari e contenuti che,ancora oggi, non sono ancora stati benassimilati.

È piuttosto raro che scrittoricontemporanei di narrativa sicimentino in una biografia: come ti seiavvicinato a quella di un personaggiocomplesso e sfaccettato comeMarshall McLuhan?Tutto è iniziato con la proposta discrivere un libro che facesse parte diuna collana di canadesi vivi che

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scrivono di canadesi morti [ndr:Extraordinary Canadians è il titolodella serie di volumi, edita dallaPenguin]. Non suona molto sexy, lo so.È nato tutto da qui. Il curatore dellacollana John Ralston Saul mi haincontrato nel 2005 ed è stato dasubito molto insistente. Farmi lavoraresulla biografia di Marshall eradiventata la sua missione e Dio sa seinizialmente non ho esitato.Gli dissi che l’avrei fatto, poi holatitato fino a quando non sonoarrivato al livello “Ok, fallo e basta”.Poi mi sono rotto una gamba, perfortuna, e sono rimasto bloccato a lettoper un po’ di tempo. A quel punto mi

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sono detto “Beh, potresti anchecominciare a scrivere”.

Qual era l’esigenza da cui sei partito?E quale è stato il tuo metodo dilavoro?Non avevo mai letto i suoi libri. Inrealtà, credo che siano in pochi adaverli letti tutti. Sono talmente densi edifficili da assorbire – era come seavesse un proprio linguaggio segreto.Così ho dovuto leggere almeno duevolte tutto ciò che ha scritto. Leggevosolo tre-quattro pagine alla volta econtinuavo a sottolineare e a scriverenote al margine tipo “che carogna”oppure “questo è un grande”. Alla fine

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però penso di essere riuscito a entrarein profondità nel suo mondointellettuale e personale.

Una delle tesi centrali che affermi piùvolte nel libro, e che in molti hannofrainteso, era il suo rapporto con l’eraelettronica che stava vivendo. Infondo lui non la amava per niente.Assolutamente. Odiava il mondomoderno. Voleva vivere prima del1800. Odiava la tecnologia. Odiava ilXX secolo. Sarebbe rimasto sconvoltodai tempi in cui viviamo. Nondimentichiamoci che McLuhan, infondo, era un anziano professore diretorica rinascimentale e che i suoi

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riferimenti erano oscuri libellistiinglesi del XV secolo. In questa vitacredeva semplicemente nei modelliricorrenti.

Questo non gli impediva di avere uninteresse ossessivo per capire ilmondo contemporaneo, senza perògiudicarlo. Oggi una cosa del generesembra impossibile: gli studiosi, imassmediologi e i metacritici nonriescono a non dare giudizi di meritosulle cose che succedono, e il più dellevolte le loro teorie previsionali sono dicieco entusiasmo o cupo pessimismo, einfatti le loro teorie falliscono.La differenza principale tra McLuhan

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e gli altri teorici era che lui nonvoleva creare una teoria di per sé.Cercava, per esempio, di descriverequello che sarebbe stato internetusando un mix (spesso molto vecchio)di riferimenti letterari. Alla fine èpassata come teoria ma, per moltiversi, era una roba tipo cartomanzia.Comunque lui non era moltointeressato a giudicare il mondo, e ilfatto di non attribuire giudizi di valorecredo lo abbia reso accessibile a moltepersone. Come scrivo, il suodivertimento era prendere delle idee efarle scontrare insieme, come in unacceleratore di particelle, per vederecosa poteva uscire fuori dalla

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collisione.

Questo si collega a un approccio, percosì dire, “artistico” alla materia,usando le parole come colori di unatavolozza. Come per esempio, nellesue lezioni, improvvisando prima leidee e le opinioni e solo dopo cercandole prove a sostegno. Un approcciorivoluzionario specialmente nelmondo accademico.Non credo che tutto ciò fosse voluto.Voglio dire, nella sua mente egli stavavivendo una lezione vera e propria.Ciò che è affascinante è che McLuhanfosse del tutto all’oscuro di come ciòche diceva potesse arrivare alle altre

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persone. Le sue lezioni diventavanoperformance artistiche accidentali,mentre una buona percentuale dellepersone che seguivano le sue lezioni ei suoi corsi era fatta di LSD.I colleghi lo odiavano, e in parteperché erano invidiosi: lui faceva unsacco di soldi e li spendevaostentandoli tra i suoi amiciaccademici. Dev’essere stato proprioseccante. Ma c’erano importantiquestioni anche a livello accademicosulle fonti, come su tutta una serie dipregiudizi che McLuhan aveva e cheerano piuttosto diffusi tra i maschibianchi canadesi nati nel 1911.

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Ti riferisci anche alla profondapassione religiosa, che in parte haplasmato la prospettiva e il suo puntodi vista sulle cose?Sì, anche. McLuhan pensava che lonostra permanenza sulla terra fossesoltanto un trampolino per poilanciarsi in qualcosa di eterno. Per luiil mondo era proprio questa cosa. Sai,tipo, stai su questo piano circa persettant’anni: sarebbe una cosa daanalizzare meglio. Lui viveva perl’eternità, non per il futuro. E questoapproccio ha certamente influenzato ilsuo pensiero.

Nel tuo libro vuoi far capire al lettore

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come la vita di McLuhan e la suaforma di dissociazione (che oggichiameremo autismo) siano essenzialiper capire profondamente i suoi studi.Trovi che questa sia anche unametafora della carenza di attenzionee del multitasking checontraddistinguono le nuovegenerazioni native digitali?Credo di sì. Viviamo in un’epoca in cuici sono tanti modi per capire estudiare in profondità le identità.Sarebbe irresponsabile per unbiografo oggi non analizzare aspetticome i disturbi ossessivo-compulsivi,la depressione o le anomalieneurocognitive. McLuhan, in

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particolare, era molto oscuro edermetico. Aveva una sua facciatapubblica, ma era difficile cercare dientrare dentro la sua complessità.La chiave d’ingresso per me è stataquella di esaminare la sua personalitàattraverso la lente medico diagnostica.Quando ho potuto vederlo come unapersona brillante ma ancheprigioniera delle sue patologie, allorasono entrato in empatia con lui ed èstato molto più semplice scrivere illibro. Per quanto riguarda la carenzadi attenzione, McLuhan aveva un’auramolto 2011. Distratto, conl’inclinazione a dissociarsi, ma semprepronto a assorbire informazioni da

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qualsiasi cosa.

Parliamo di McLuhan oggi, a centoanni dalla sua nascita. Non credi chesarebbe affascinato di comel’informazione, la tecnologia, lacomunicazione e il nostro modo dipensare siano così compenetrate traloro?Penso che sarebbe più interessato amostrare come molte sue teorie fosserocorrette – solo che le ha divulgate concinquant’anni di anticipo. Molto diquello che stava facendo era cercaredi descrivere internet in un modo chesembra, per usare un’analogia, folkart, arte popolare.

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Ho come l’impressione che nonamasse le fasi intermedie, come eraquella che stava vivendo dal punto divista dei media.Tutto, in fondo, è una fase intermediadi qualcos’altro. In futuro anche noipotremmo vedere la stampa come unatecnologia intermedia, ma necessaria,per passare al digitale. Pensaci. Tra50 anni magari le nuove generazionisosterranno proprio questo.

McLuhan ha detto “l’utente è ilcontenuto”. Forse sarebbe contentooggi del web 2.0, del citizenjournalism o di tutto il fenomeno

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dell’user generated content?Ironia della sorte, probabilmenteodierebbe tutto ciò per il suo distaccodal mondo reale e da quella che laChiesa cattolica chiama legge naturale.

Mi stupisce il fatto che tu non abbiamai letto McLuhan prima. In realtàc’è molto di suo nella tua scrittura epensiero.Credo di essere un esempio delle sueteorie reso manifesto. Molte personedella mia età o più giovani lo sono.

Per esempio, nei tuoi libri – inparticolare in Microservi o jPod –analizzi profondamente il modo in cui

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la tecnologia e i media hannocambiato anche il modo di parlare e discrivere. Anche McLuhan erapiuttosto sensibile al temadell’imbarbarimento del linguaggio.Sì, ma non so se in realtà volesse dareun giudizio di merito. Mi chiedo sefosse come Chomsky, alla ricerca delleradici linguistiche della verità. Pensodi no, comunque. È un momento moltoemozionante per noi come specie.Stiamo evolvendo alla velocità dellaluce – into what – e questa è la parteeccitante.

Insomma, l’amore-odio per latecnologia, l’approccio artistico, il

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Canada, l’interesse per le tematichereligiose, e poi i giochi di parole, laframmentarietà e l’invenzione dineologismi sono tutti elementi cheevidentemente ti accomunano aMcLuhan.Sì, ho impiegato un anno perrendermene conto. Oltre alle cose chehai citato, aggiungo che è andato allastessa scuola di mia madre aWinnipeg. Abbiamo entrambitradizioni evangeliche delle prateriedel XIX secolo e abbiamo vissuto tuttie due a Vancouver. Per il resto, sì, lapassione del giocare con la parole èdecisamente un elemento comune a mee a Marshall.

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In questo momento, che cosa ti dà piùsoddisfazione dal punto di vistacreativo: il tuo lavoro da scrittore,quello di visual artist, stylist, ocos’altro? O non riesci a scinderequeste varie discipline?Ho smesso da tempo di classificare lecose che faccio. La mia unicapreoccupazione oggi è quella di nonusare tutto il mio cervello su una cosasola. Mi dispiace che negli anniNovanta mi sia concentrato tropposulla scrittura e troppo poco sullavoro visivo. Sicuramente mi avrebbereso un po’ più creativo.

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Hai studiato per un anno allo IED diMilano. Quali ricordi ti sono rimastiimpressi di quel periodo?Ricordo solo una profondadepressione clinica. Al punto che hodovuto lasciare. È stato un periodoterribile. Ho ancora dei problemi soloa leggere la parola “Milano” (mispiace Milano, non è colpa tua).

Per finire, a cosa stai lavorando ora?Sto scrivendo il romanzo più sporco elurido del mondo. Davvero. Sono circaa metà del lavoro. La gente crede chescherzi, ma è tutto vero. Sto poilavorando su una serie di quadri estampe e mi sto facendo le ossa sulle

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sculture in bronzo. Prometto che nonsaranno kitsch. Se non imparo un tot dicose ogni anno divento pazzo. La vita ècosì breve.Insomma, ho molto da fare.

———Michele Boroni. Consulente dimarketing e comunicazione on e offlineper aziende, agenzie e persone fisiche.Scrive su Il Foglio, GQ, Rolling Stonee cura la rubrica hi-tech per StyleMagazine. È anche autore tv e radio.Ha scritto i libri CoolBrands (sb, 2006)e Brand 2.0 (B&P, 2007). Ha un blogpersonale, EmmeBi, come si fachiamare in rete.

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McLUHAN, IL CYBERPUNK E ME·

di Carlo Freccero

La rilettura di McLuhan a cento annidalla nascita suggerisce alcuneconsiderazioni che, un po’ sul serio e unpo’ scherzosamente, ho riassunto in dueregole.La prima è che il profeta che vuolraccogliere i frutti delle sue profeziedeve limitarle al futuro prossimo, se

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non all’immediato presente. Chi vatroppo in là nel tempo, come Debordnel delineare la società dellospettacolo, o McLuhan nella descrizionedell’influenza neurologica dei totalnetwork, sarà a lungo incompreso,riconosciuto come maestro solo dopo lamorte.La seconda è che per vedere la rotturadelle regole che hanno costituitoun’episteme consolidata ci vuole ungran conoscitore di quelle regole. Soloun accademico può cogliere aspettirivoluzionari della società che locirconda. Solo un pedante sostenitoredell’ordine può segnalare la rotturadell’ordine consolidato. Solo dalla

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conservazione può venire la critica diquel nuovo, di quel presente che la granmassa di chi lo vive non è ancora ingrado di percepire con straniamento elucido distacco.Ma quando la critica è costruita e ilpresente è messo in luce nei suoi aspettisalienti, l’accademico, unica persona ingrado di percepire il cambiamento, èconfuso con il fan del futuro che avanza.Ha operato come apocalittico, ma èpercepito come integrato, sostenitoreacritico del nuovo che avanza.Prima di McLuhan la comunicazione ela cultura di massa non erano oggetto distudio. La cultura aveva oggetti “alti”come la letteratura, le regole retoriche,

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gli studi tradizionali. Ma appenaMcLuhan irrompe nel panoramaculturale internazionale, tutti trovanonaturale parlare di cultura di massa:dopo la sua Sposa meccanica (1951),Barthes scrive Mythologies ed EcoApocalittici e integrati. Eco apre illibro proprio con l’esposizione delpensiero di McLuhan, ma lo pone tra gliintegrati, mentre McLuhan si è sempredichiarato apocalittico. Apocalittico,pedante, tradizionalista, McLuhanesordisce come professore di letteraturainglese: ma già all’epoca dei suoi studiera inviso agli insegnanti perchéabituato a far le pulci alle loro citazionidi opere che, imparate a memoria da

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piccolo per insistenza della madre,conosceva in ogni dettaglio. Allapreparazione accademica tradizionalevanno poi aggiunti i suoi interessispirituali.McLuhan si converte da adulto alcattolicesimo. E la sua è unaconversione importante. Per tutta la vitafrequenterà ogni giorno la Chiesa e diràogni giorno il rosario. Cosa c’entra lapedanteria con il nuovo l’ho giàspiegato. Cosa c’entra la religione conla comunicazione cerco di spiegarloora.Il suo più recente biografo, DouglasCoupland, suggerisce l’analogia traMcLuhan e Warhol. Entrambi, in un

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mondo invaso dalla pubblicità,percepiscono il cambiamento el’influenza dei nuovi media sulpubblico. L’uno fonda la mediologia,l’altro immortala a livello visivol’universo pop. Entrambi sono in gradodi dare un significato alle immagini chesilenziosamente cambiano la coscienzadel pubblico. L’attenzioneall’immagine, la capacità didecodificarne gli aspetti di propaganda,non a caso, li accomuna. Ignoravo cheWarhol fosse cattolico praticante, maquando l’ho saputo ho capito che nonpoteva essere altrimenti. Se McLuhan eWarhol hanno in comune il fatto diessere cattolici, McLuhan ed Eco hanno

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in comune gli studi e l’apprezzamentoper San Tommaso d’Aquino. Insomma,solo un medievalista può essere cosìcontemporaneo, solo un cattolico puòconiugare la fede nell’aldilà conl’attenzione per il contingente e ilcaduco. Tutto nasce dal fatto che ilcristianesimo è l’unica religionemonoteista che ammette laraffigurazione della divinità. Se Diotrascende l’uomo, è irrappresentabile.La sua raffigurazione in terminimateriali è idolatria, come ci spiega laBibbia nell’episodio del vitello d’oro.Ma nel cristianesimo Dio si fa uomonella figura storica del Cristo. Il Verbosi fa carne. Da questa affermazione

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deriva il viatico alla rappresentazionevisiva del tema religioso: è perché ilVerbo si fa carne che esiste la storiadell’arte occidentale. Il primomassmediologo della storia è papaGregorio Magno (540-60). Nei primisecoli anche il cristianesimo vive ilconflitto tra rappresentabilità eirrappresentabilità dell’immagine chesfocerà nell’iconoclastia, condannatadal VII Concilio di Nicea nel 787.Gregorio intuisce l’importanza dellacomunicazione: il cristianesimo è unadottrina nuova e ha bisogno dipropaganda per divulgare il suo credo.Secondo la tradizione, Gregorio Magnofonda le regole del canto gregoriano e

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riconosce che la rappresentazione inimmagini può essere utile perpresentare il Vangelo a quanti non sannoleggere, ma devono conoscere gliepisodi della vita di Cristo.La forza dell’immagine è riconosciutanei suoi aspetti comunicativi. Ma nonbasta: c’è una tradizione cristiana cheautorizza, anzi promuove, l’usodell’immagine a fini dievangelizzazione. Ma solo ilcattolicesimo coniuga l’immagine conun fattore altrettanto importante: lastoricità. McLuhan nasce protestante,ma non a caso diventa cattolico. Per unprotestante è essenziale la lettura direttadei testi sacri: la verità è immutabile,

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eterna. Per un cattolico la verità, laparola divina, è frutto di interpretazionee, come tale si evolve nel tempo con iPapi, i concili, l’evoluzione deicostumi. Anche se crede solonell’eternità, un cattolico è il migliorinterprete dello spirito del tempo. Anzi,proprio dal contrasto tra eterno econtingente nasce lo straniamento chegli permette di decifrare il presente incui i più galleggiano inconsapevoli.Non possiamo dire che McLuhan siastato il profeta del presente nonostantefosse accademico e osservante: proprioqueste qualità gli hanno permesso diosservare i tempi con il necessariodistacco e da un’ottica nuova.

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Tutto il pensiero critico europeocostruisce la sua presa di distanza, ilsuo straniamento dal presente,servendosi dell’excursus storico. Cosìfa la scuola di Francoforte ispirandosi aun famoso motto di Lukács chedichiarava che il presente andavaindagato come storia, come una realtàconsolidatasi nel tempo e perciò nonnaturale. Foucault fonda una nuovadisciplina, l’archeologia, per leggere lefratture epistemologiche tra presente epassato. Anche McLuhan fa un percorsoanalogo quando parte dagli studiaccademici su un oscuro autore delCinquecento, Thomas Nashe, mainaspettatamente rovescia la

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prospettiva, capovolge l’obiettivo delcannocchiale, dal passato al futuro. Nondobbiamo svelare il presente facendoriferimento al passato. Dobbiamocapire il presente osservandolo dalfuturo.“Guardiamo il presente in unospecchietto retrovisore. Arretriamo nelfuturo”.

L’EPOCA DEL MALESSERETOTALE

Le opere maggiori di McLuhan sicollocano in un breve arco di tempo. Lasposa meccanica è del 1951, La

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galassia Gutenberg del 1962, Glistrumenti del comunicare del 1964.Mythologies di Roland Barthes è del1957, Apocalittici e integrati di Ecodel 1964, la pop art nasce nel 1959-1960. Fino a poco prima non c’eranulla, non esisteva un’attenzione alpresente. Da buon accademico estudioso di letteratura, McLuhan applicala nuova critica al quotidiano, e rendeil quotidiano comprensibile e degno didiventare oggetto di studi. Quello chesegue è naturale. Tutti voglionodescrivere il presente, la comunicazionedi massa, la figurazione popolare dellapubblicità e della tv, l’esplosionedell’immagine. Un vuoto è stato colmato

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e ciò che prima sembrava eccentricodiventa “naturale”: l’apocalitticoMcLuhan è il miglior rappresentante deltempo presente, il suo entusiasticocantore. In veste di intellettualed’avanguardia sofisticato, McLuhancompare in un film di Allen.Ma c’è un’altra immaginecinematografica di McLuhan, piùinquietante e insolita. Nel 1983Cronenberg in Videodrome si ispira aMcLuhan per il personaggio del prof.Brian O’Blivion, deus ex machina dellastoria. Brian O’Blivion non comparemai personalmente, ma solo tramiteregistrazioni tv. Il segnale su cui ètrasmessa la trasmissione televisiva

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Videodrome, che dà il titolo al film, hala caratteristica di catturare lospettatore, impiantandoprogressivamente nel suo cervello untumore che il consumo televisivoalimenta. (Anche McLuhan ha avuto untumore al cervello, dai primi anniSessanta sino all’intervento del 1967che lo lasciò a lungo debilitato).Le inquietanti fantasie di Cronenbergprendono forma negli anni Ottanta esono espressione di quell’immaginariocyberpunk che fiorisce appunto nellaprima metà del decennio. Il cyberpunkanticipa apocalitticamente il mondocontemporaneo, la nascita dei socialnetwork, l’intelligenza collettiva, la

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percezione virtuale. Ed esprimel’angoscia dell’ibridazione del nostrocorpo, della nostra sensibilità e delnostro pensiero con le nuove tecnologiedi comunicazione. In Videodromel’immagine tv diventa una mano cheesce dallo schermo, la pistola si fondecon il braccio che l’impugna. Carne etecnologia sono una sola cosa.Già il film di Ridley Scott BladeRunner (1982) – dal romanzo di PhilipDick Cacciatore di androidi (1962) –anticipa la riflessione angosciosa sulleradici della nostra esistenza.Siamo naturali o replicanti, uomini ocloni della natura prodottiartificialmente dalle nuove tecnologie?

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Tutta la fantascienza è apocalittica. Nonè utopia, ma distopia: non esprime unsogno, ma un incubo. Lo scartotemporale nei confronti del futurogenera inquietudine. Ma perché questainquietudine venga percepita, bisognaalmeno che il futuro sia vicino, che latecnologia che temiamo ci lambisca.Il cyberpunk è lo sguardo apocalitticodi ieri sul presente dei total network incui ci muoviamo ormai da integrati. Ilcyberpunk prende forma verso la metàdegli anni Ottanta, quando già si erarealizzata una frattura, tra la visionepolitico/impegnata degli anni 1968-79 elo sviluppo abnorme della tecnologia.Lo sguardo degli anni Ottanta sul futuro

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riporta di attualità McLuhan comeprofeta apocalittico e ispiratore diincubi, come l’esplosione dei totalnetwork ha ridato oggi attualità al suopensiero perché perfettamente integratonel presente.Ma tra gli anni Sessanta e gli Ottantac’è stato un ventennio in cui McLuhanha rischiato di essere dimenticato,accantonato, giudicato inattuale. Tra iSessanta e oggi ci sono circacinquant’anni. Per convenzione nelcampo dell’antiquariato, un manufatto dicinquant’anni può fregiarsidell’etichetta di antico, esce dalmodernariato per assumere maggiorpregio. Fedele al suo motto, McLuhan

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descrive gli anni Sessanta da quellavertiginosa distanza che rappresenta ilnostro presente. Con gli occhi di oggi ilsuo presente gli appare comeantiquariato, oggetto di studio straniato,schiacciato tra due vetrini.McLuhan sembra a suo agio neldescrivere con gli strumenti di allora ilnostro presente. Le sue capacitàprofetiche lo rendono piùcontemporaneo per noi di quantopotesse esserlo per i suoicontemporanei.Nel 1983 il suo pensiero eracyberpunk. Ma nel 1963 era folle ebasta. C’è un inedito pubblicato in Italiada Lettera internazionale, “Rimorso di

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incoscienza”. E non è un caso che siarimasto un inedito sino al 2008.Abbiamo detto che La galassiaGutenberg è del 1962. È un’operainnovativa, ma parla del passato, dellarivoluzione della stampa e della nascitadell’uomo moderno. Parla di unpassaggio dalla tribalità all’etàmoderna e presagisce un ritorno allatribalità in base all’irrompere dei nuovimedia elettronici. Ne Gli strumenti delcomunicare ci sono già osservazioniinquietanti, ma ci muoviamo ancora nelpresente.Rivoluzionaria è l’affermazione che imedia sono un prolungamento,un’estensione dei nostri sensi, così che

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l’ibridazione cyberpunk tra corpo,carne e tecnologia è già rivelata. Ciòche in Italia viene tradotto Glistrumenti del comunicare è reso piùpropriamente in Francia con Percomprendere i media. I prolungamentitecnologici dell’uomo. L’attenzioneall’ibridazione è principalmentetecnologica e cognitiva: manca l’aspettointeriore, la riflessione dolorosa sullametamorfosi della propria identità, laconsapevolezza della mutazioneabnorme della carne e del corpomodificati dalle nuove tecnologie, alivello di coscienza.Questo sarà il cyberpunk. Ma, un annoprima de Gli strumenti del comunicare

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e vent’anni prima del cyberpunk,McLuhan aveva già affrontato ilproblema con il saggio “Rimorso diincoscienza”, che affronta gli effetti deinuovi media sulla nostra coscienza e sulnostro sistema nervoso. Scrivesorprendentemente Marshall McLuhannel 1963:

Le tecnologie precedenti erano stateestensioni di organi fisici: la ruota èun prolungamento dei piedi, le muradella città sono un’esteriorizzazionecollettiva della pelle. I mediaelettronici, invece, sono estensioni delsistema nervoso centrale, ossia unambito inclusivo e simultaneo. A

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partire dal telegrafo abbiamo esteso ilcervello e i nervi dell’uomo a tutto ilglobo. Di conseguenza l’eraelettronica comporta un malesseretotale, come quello che potrebbeprovare una persona che abbia ilcervello fuori dalla scatola cranica.Siamo diventati particolarmentevulnerabili. L’anno in cui fu introdottoil telegrafo commerciale in America, il1844, fu anche l’anno in cuiKierkegaard pubblicò Il concettodell’angoscia.

La tecnologia è alla basedell’alienazione che la filosofia cercadi spiegare con la metafisica.

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McLUHAN APPLICATO

L’eclissi del pensiero di McLuhan sinoa un passato recente si spiega con uncambiamento di agenda del mondointellettuale. Intorno alla metà degli anniSessanta il sociale prende sempre più ilsopravvento nello spirito del tempo.Sono gli anni dei Kennedy e di MartinLuther King, della lotta dei neri per laparità politica, della guerra del Vietname della disobbedienza civile. Dopo il1968 e sino al 1979 la politica divental’unico argomento tollerato in unadiscussione accademica, dal campo

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dell’arte sino alla filosofia. L’opera diMcLuhan, lontana da ogni interessepolitico, sembra superficiale, fuorisincronia. Persino Debord attacca ilpovero McLuhan come integrato, perchéprivo di un’analisi politica percircoscrivere “lo spettacolo”. CosìMcLuhan rimane nei manuali disociologia della comunicazione, ma lasua stella non risplende più come primaed è un po’ dimenticato.Negli anni Ottanta ritorna comeispiratore di Videodrome, creatore diincubi, una sorta di scrittore difantascienza. Ma alla metà degli anniOttanta il mondo cambia di nuovo,rinasce lo studio delle scienze e delle

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ricadute delle nuove tecnologiesull’uomo. L’esplosione dellecomunicazioni, l’informatica e leneuroscienze fanno di McLuhan unautore estremamente attuale eperfettamente comprensibile. Nessunopiù di lui descrive il nostro presente.Resta da chiarire un punto: oggiMcLuhan è nuovamente di moda,attuale, consueto, comprensibile allaluce di tutti quegli eventi imprevedibiliche lui aveva previsto, ma che tutti oggicondividiamo e valutiamo normali. Ilsuo brano inedito del 1963 nel 2010 hafatto da traccia al tema di maturità, èdiventato oggetto di didattica spicciola.Ma si tratta ancora una volta di una

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moda o possiamo dire che la sua analisifunziona, che il suo pensiero fa partestabilmente della cassetta degli attrezzidi qualsiasi intellettuale?Non so cosa diranno i posteri, io possodire che dell’intuizione fondamentaleche il medium è il messaggio mi sonosempre servito per il mio lavoro, anchenegli anni in cui McLuhan era in disuso,o comunque non se ne parlava tanto. Sindalle origini del mio lavoro diprogrammazione, non ho mai pensato alpalinsesto in termini di contenuti, ma intermini di medium. Ho iniziato il miolavoro con la tv commerciale e prima dicostruire la sua programmazione misono chiesto: “In cosa differisce la tv

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commerciale dalla tv di serviziopubblico?”. Non ho pensato aicontenuti, pedagogici o divertenti, maalle differenze strutturali. La televisionepedagogica del servizio pubblico è resapossibile da due fattori interconnessi traloro: la presenza di un’unica emittente el’unidirezionalità del messaggio che glispettatori non possono né scegliere, nédiscutere, ma solo accettare. Lamoltiplicazione delle emittenti non èproblematica finché tutte sono proprietàdel servizio pubblico, ma genera unarivoluzione nella programmazionequando la televisione commercialeintroduce un’alternativa di scelta.La rilevazione dell’audience capovolge

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il rapporto tra emittente e pubblico ecrea una vera e propria rivoluzionecopernicana. Non è più l’emittente aselezionare i programmi, ma il pubblicocon le sue scelte. Ma anche il digitale,la teoria della coda lunga, la fruizionedei programmi su piattaforme diversedettano leggi alla programmazionerendendo quelle che prima eranominoranze un pubblico consistente.Anche l’evoluzione di un solo medium,la televisione, cambia continuamente irapporti con il suo pubblico e influisceprofondamente sui fruitori, influenzandole loro convinzioni e il loro modo dipercepire la realtà. La televisionecommerciale generalista è alla base del

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conformismo di oggi. Le tv tematiche eil web sono alla base di una rinascitadel pensiero critico.Senza McLuhan non saremmoconsapevoli dei meccanismi dellacomunicazione e dei loro effettiideologici e neurologici. Dopo l’uomotipografico, assistiamo alla nascitadell’uomo digitale su di noi.

———Carlo Freccero. È stato responsabilecapo del palinsesto di Canale 5 dal1979 al 1983, quando è passato alladirezione programmi di Italia 1 e poi aRetequattro (1984). Nel 1985 comincial’esperienza francese, assumendo la

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direzione programmi di La Cinq fino al1990. È direttore di Italia 1 dal 1991 al1994, quando torna in Francia comeresponsabile programmi per France 2 eFrance 3. Nel 1996 rientra in Italia,dove fino al febbraio 2002 è direttoredi Raidue. Attualmente dirige il canaledigitale Rai 4 e insegna pressol’Università degli Studi Roma Tre el’Università di Genova.

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Appunti per una mostra su MarshallMcLuhan

LE AZIONI DEL PROFETA·

di Gianluigi Ricuperati

(bozza da presentare al board degliamici del Museo, riunione delconsiglio del 28 aprile 2011, sperandoche questa volta mi lascino fare senzainterferenze)

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Signore e signori, buonasera e grazieper essere qui.È sempre difficile per un curatorepresentare al board del suo museo ilprogetto di una mostra, ma è ancora piùdifficile quando il soggetto è MarshallMcLuhan, con quel nome militaresco el’enorme influenza (addirittura da gag)che questo canadese cattolico haesercitato sul nostro mondo, il “secolodella noosfera”, come lo definirebbe unaltro cattolico, non canadese mafrancese, Teilhard de Chardin, grandeispirazione dietro il grande ispiratore.Si tratta di costruire una mostra a metà

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fra il reportage culturale, la narrazionebiografica, l’investigazione saggistica,il documento storico-iconografico e lanarrazione tout court. Raccontare eillustrare un inaspettato, singolarissimocapitolo della storia delle immagini ches’intreccia con diverse traiettoriepsichiche, geografiche, psico-geografiche, storiche e definitivamenteindividuali. Mi piacerebbe avesse untono da scrittura narrativa partecipe emobile – come i libri di GeorgePlimpton, in cui molte voci diconoscenti e amici di un soggetto sialternano come in una ronde alla MaxOphuls, con l’autore che si mette allostesso livello degli altri, limitandosi a

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costruire piccoli steccati divisori,magari con titoli dickensiani del tipo“In cui il nostro personaggio, eccetera”.O meglio, questo lo faceva lui: ma inquesto caso si potrebbe utilizzare lagirandola di voci narranti, perché nullarestituisce meglio la prismaticacomplessità delle figure prismatiche ecomplesse. Ma niente Dickens, miraccomando. Piuttosto, una struttura acassetti intercombinanti: interviste,storia orale, verifiche sul campo,analisi, momenti di “poesiastoriografica”, racconto e note varie.Il modo migliore di costruire questamostra impossibile potrebbe essereisolare alcuni frammenti di testi sparsi e

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significativi di McLuhan e sottoporliall’attenzione e all’immaginazione dialcuni artisti.McLuhan, come J.G. Ballard, è un veroprofeta, ed è una sensazione cosìrassicurante individuare la puntualeverifica di tante idee e illuminazioni chesi sono dimostrate più che anticipatorie.Ma se sei un profeta, la pressione dellavita, dell’insicurezza e della sicurezza,del delirio di proiezioni troppo spintesul futuro per poterle davverogiustificare, è fortissima. È quasiindecente. Ti svegli di notte, assalito dadebiti e raggi allucinatori, visitato daparticelle e figure che appartengono adaltri sistemi di pensiero: ti svegli male,

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poco amato, e ti domandi: e se fosserotutte idiozie?Il dubbio radicale, signori e signore, èun’atmosfera che a mio parere circondatutto l’ecosistema dei testi di McLuhan.È per questo che risulta così felice,adesso, a trent’anni della sua morte,

(Mi raccomando, puntare molto sullaricorrenza: agli sponsor istituzionalipiacciono molto, si sentono sempreobbligati a festeggiarle anche se nonci credono, anche se non le capisconoe persino se non ne avevano maisentito parlare prima; le ricorrenzesono la lingua carsica delconvincimento, nei circoli asettici

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decisionali; qua addirittura sono duericorrenze, poco più di 30 anni dallamorte e 100 dalla nascita, questamostra DEVONO farmela fare)

dicevo, in occasione di questa doppiaricorrenza, così significativa eilluminante che il nostro museo non puòpermettersi di ignorare, risulta cosìpiacevole controllare puntualmentecome e quanto le esplorazioni di questocattolico canadese si siano confermateprecise divinazioni sul tempo a venire.

(Forse devi stare attento a nonesagerare con questa vicenda delcattolico canadese, perché potrebbe

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sembrare un’attitudine superficiale,canzonatoria: devi smetterla di non-credere alle cose che stai facendo, dimetterle in crisi con queste cazzatine,refrain, battute. Devi essereautorevole, altrimenti non diventeraimai una figura curatoriale diriferimento. Devi essere braminico,sacerdotale. Niente autoironia.McLuhan è quasi un dio e tu sei il suoprofeta in questa circoscrizionetemporale chiamata ora e qui, museo eboard, cose da fare e cose fatte,progetto e azione)

Però, tuttavia, la portata di McLuhannon può essere ridotta alla pur

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impressionante mole di profezierealizzate. Credo, infatti, che la nostramostra potrebbe essere un trampolino dilancio, anche per un futuro diverso dalnostro il futuro del futuro.Ma una mostra, signore e signori, èanche fatta di oggetti: qualcuno di voistarà pensando, è soprattutto fatta dioggetti! Una mostra su un autore, però,me lo concederete, è un’esposizionededicata a una mente. E sarebbeabbastanza triviale, concederete anchequesto, proporre la poltrona in cui lamente pensava, o il tavolo su cuipoggiavano i gomiti che reggevanomonsieur Teste mentre congetturava suChesterton, John Donne, Mad e il resto

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della truppa. Eccoci al punto, dunque.Io vorrei fare quanto di più mclunhan-esque possibile – una mostra intessutadi citazioni, una mostra fatta di spunti ebricolage, una mostra oracolare e do-it-yourself, che probabilmente nonsarebbe dispiaciuta al suo soggetto,instancabile maestro di stoffe culturaligiustapposte. Si tratta, a onore del vero,di proposte che potrebbero ancheispirare oggetti – ma cosa c’è di piùintimamente devoto allo spiritodell’autore di una sequenza di salonivuoti, pieni di parole, da contemplare eda cui farsi pungolare senza limite?Una mostra è il mezzo, una mostra sonoi messaggi.

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(Non lo capiranno, appuntati di tirarfuori un cartello tipo quel video di BobDylan sul quale stia scritto TheMedium is the Message, firmato McL)

Ecco, infine, alcuni messaggi che hoselezionato. Gli appassionati e glistudiosi brilleranno di gioia notandoche si tratta di quote provenienti dasaggi sparsi, frammenti ricomposti expost, vecchie prefazioni, materialieterogenei e marginali, che alla finemarginali non sono mai. Perché nel piùinfinitesimo meccanismo di pensieroapplicato alla più quotidiana richiestad’occasione – un articolo all’ultimo

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minuto, una polemica sui giornali, unoscritto per un catalogo – riverberano glielementi che governano la più grandeteoria.

(Se ti stanno guardando come si guardaun poveraccio o una personalitàirrilevante, cancella quest’ultima cosa evai dritto al punto. Se ti sembranoconquistati, leggila e incrocia le dita:potresti sempre perderli)

1.

“Non è casuale che Poe e Dickens sianoapparsi come titani dell’invenzione

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artistica agli occhi di artisti comeBaudelaire e Dostojevski. Perché,d’altronde, il mondo britannico liconsiderava semplici entertainer? Larisposta è semplice: sia Poe cheDickens proiettavano nei loro scrittil’equivalente verbale della tecnologiacommerciale che li circondava. Dickensera un giornalista quando i nuovistrumenti impressionistici legati allaproduzione di informazioni eranoappena stati introdotti nella filiera dellastampa alimentata dai vapori dellarivoluzione industriale. La tecnologiaindustriale inglese era molto piùavanzata della poesia e della pitturaeuropee, all’epoca. E sia la poesia che

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la pittura inglese erano più avanzate deiloro equivalenti europei. Thompson,Blake, Sterne, Woodsworth e Shelleyusavano tecniche paesaggistiche per larappresentazione di stati mentali moltoprima di qualsiasi artista o versificatoreeuropeo. E fu l’Opticks di Newton chediede a queste sperimentazioni l’impetonecessario per partire. La scopertadella precisa corrispondenza tra lastruttura dell’occhio interiore e delmondo esteriore diede inizio alla modadi studiare le corrispondenze fra statimentali e forme paesaggistiche. Taletecnica rimase in auge nelle opportunitàespressive dei pittori e dei poetibritannici fino all’arrivo delle opere di

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Rimbaud e Cezanne. Ma con Rimbaud eCezanne giunse anche la riscoperta diquello spazio interiore, del quale,seppure con diverse modalità, fumaestro anche Dante. Il cambio di passorivoluzionario, dallo spazio esternodella poesia romantica agli spazi internidell’arte simbolista, coincise anche conla scoperta della simultaneità di diversitempi e diversi spazi nel paesaggiodella mente. La giustapposizione diquesti tempi e spazi generò forme comequelle che si rinvengono in operechiamate Les Illuminations, Ulisse, Laterra desolata. Ma si tratta in realtà digiustapposizioni ben presenti e vive agliocchi dei lettori dei giornali quotidiani

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del diciannovesimo secolo. Lacircolazione di notizie globali, resapossibile dall’invenzione del telegrafo,unì i lembi dello spazio esterno in modiben più fantastici di quanto mai fecePicasso. La giustapposizione, su unasingola pagina a stampa, di storieprovenienti dagli angoli più lontani delpianeta e dalle culture più remote, mutòradicalmente la sensibilità degli abitantidelle grandi città”.Marshall McLuhan, “Space, Time andPoetry”, in Explorations, n. 4, 1955.

2.

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“Quali che siano le debolezze delpensiero di Teilhard de Chardin, la suaopera avrà sempre il merito di averindividuato il più grande cambiamentodella nostra epoca e averlo descrittocon queste parole, ne Il fenomenoumano:

È stato detto più e più volte. Attraversol’invenzione della ferrovia,dell’automobile e dell’aereo,l’influenza fisica di ciascun essereumano, prima ristretta a pochemigliaia di metri, ora si estende perdiverse centinaia di chilometri. Einoltre, grazie alla prodigiosascoperta delle onde elettromagnetiche,

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ogni uomo è in grado ora di sentirsicontemporaneamente presente in dueluoghi diversi, dal mare alla terra, intutti gli angoli del globo.

La fine del meccanicismo, l’estensionedi un’interdipendenza organica a tutte lefasi dell’esperienza e dell’associazioneumana: ecco cosa ci è accaduto. Dietrodi noi ci sono venticinque secoli ditentativi, nel mondo occidentale, nelladirezione del perfezionamento dei mezzidi dislocazione dei prodottidell’ingegno e della retorica umana atutte le latitudini della terra. Questastrada è stata battuta grazie all’alfabetoe alla stampa, e ai loro derivati

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nell’industria e nei trasporti. Per mezzodel processo di astrazione del visivo edel sonoro, per mezzo del processo diarresto dei movimenti della parola e delpensiero in un unico codice visivo,abbiamo esteso le tecniche dell’analisimeccanica all’insieme di tutto ciò chepuò essere insegnato e imparato. Ma ciòche è accaduto nell’era elettronica non èla conquista della capacità di spostaredovunque i prodotti dell’ingegno e dellaretorica umana più velocemente diprima. Al contrario, abbiamo dilatatoquegli stessi mezzi e processi deldiscorso fino a trasformarli in unapellicola di sensi e sensibilità cheinveste e ricopre la terra. Dall’avvento

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del telegrafo la percezioneextrasensoriale è divenuta un fattorequotidiano di formazione della comunitàumana. Non sono i prodotti dellapercezione e del giudizio che ora ciraggiungono personalmente attraverso imedia elettronici, ma un coinvolgimentoin un processo comunitario di fusionereciproca nella coesistenza. Ognuno dinoi, attivamente o passivamente, includequalche altro essere umano dentro ilproprio percorso vitale. Il mondo nonoffre più alcuna possibilità alla tipicastruttura centro-margine che connota lamaggior parte delle nostre istituzionilegali, educative, politiche. Centri senzaperiferie, coscienza inclusiva,

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organizzazione inclusiva: solo questosarà rilevante nell’era elettronica”.Marshall McLuhan, “The Humanities inthe Electronic Age”, in HumanitiesAssociation Bullettin, n. 34, 1961.

3.

“Quando lo Sputnik iniziò il suopercorso orbitale attorno al pianetaTerra il globo divenne conchiuso in unambiente artificiale, realizzatodall’uomo, e divenne perciò una formad’arte. Il globo divenne un teatroincoronato da un proscenio di satelliti.Da quel momento il ‘pubblico’, o la

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popolazione terrestre, divenne uninsieme di attori e attrici di un nuovogenere di spettacolo. Mallarmé avevaintuito che il mondo ‘esiste per finire inun libro’. È accaduto il contrario. Hapreso la forma di un personaggioteatrale. Da quando lo Sputnik è statolanciato in orbita il mondo intero èdiventato un unico show di suoni e luci.Anche il mondo degli affari si è oraappropriato dell’idea di performancecome di un proprio tratto saliente”.Marshall McLuhan, “Roles, Masks andPerformances”, in New LiteraryHistory, 1971.

Ce ne sarebbero altri, signore e signori

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del board, ma non voglio approfittaredella vostra gentilezza imponendovi ilsuono della mia voce per altre ore. Quelche mi interessa è piuttosto farvi capirequanto sia importante e cruciale metterein scena questa mostra, fatta solo distimoli, citazioni, brandelli di tessutoconcettuale fuggito e ricomposto. Leidee di McLuhan, come ha sottolineatoW. Terence Gordon, sono un vero eproprio “tsunami intellettuale”, e cosìmi piacerebbe immaginare questamostra fatta solo di trampolini. Voi viaspettavate un elenco di artisti, diopere, di acquisizioni. Forse viaspettavate la proposta di unaesposizione biografica, una specie di

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narrazione fatta di cimeli. Se è così, vichiedo scusa – sarete rimasti delusi.L’obiettivo di questa mostra, e forsel’obiettivo carsico e impensabile ditutta l’opera di McLuhan, è proprioquello di generare altre idee, di farsollevare di continuo gli occhi dal testonon perché il testo è noioso ma perché èeccessivamente stimolante. Mipiacerebbe dunque non suggerirvi unalista di artisti e di opere da inserire, masuggerirvi piuttosto una lista di artistisenza opere, semplicemente da invitare,a passeggiare per le stanze-testo dellamostra, perché poi ciascuno, nelsilenzioso tunnel della propria inventivaartigianale e lancinante, possa restituire

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il millimetro ricevuto qui in un ettaroriprodotto altrove. In altre parole,signore e signori, vi chiedo dicelebrare, nel modo a mio parere piùgiusto e corretto, la vera eredità lasciataal futuro dall’opera multiforme eframmentaria di Herbert MarshallMcLuhan, questo anomalo retore, questoscrittore riuscito e insieme mancato,questo innovatore senza tecnologia,questo alto sacerdote cattolico ebraminico immerso in un’era dispiritismo elettromagnetico a buonmercato. La mostra che vi propongo nonaumenterà la collezione del museo, magarantirà a ciascuno di voi, membrionorevoli del board di questo tempio

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prestigioso, un’opzione sui pensierislabbrati di un profeta vero – o sevolete metterla in termini finanziari, unput sui future del profeta.Prima di chiudere, vorrei leggervi unafrase di Gene Youngblood, teorico delcinema e in qualche misura eredemorale della figura di McLuhan, che inpiena epoca mcluhan-esque, nel 1970,pubblicò Expanded Cinema, un libromeraviglioso e stellare.Expanded Cinema, visto oggi, è unlibro-scafandro, immerso nelleprofondità di un percorso di conquistache allora sembrava futuribile: lamarcia che avrebbe portato leimmagini-movimento a occupare ogni

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spazio, rimbalzando su schermi semprepiù piccoli, orientati in vertiginosaprogressione sugli angoli d’incidenzadel nostro paesaggio visivo, interiore eurbano. Centrale, nel libro diYoungblood, è proprio il concetto dinoosfera, messo a punto dal gesuitaTeilhard de Chardin per indicare, nellavisionaria prosa di Youngblood, “lavasta pellicola fatta di intelligenzaorganizzata che circonda il pianeta,posta sopra lo strato vivente dellabiosfera e quello inerte del materialeinorganico, la litosfera. Le menti dimiliardi di esseri umani […] nutrono lanoosfera; distribuita intorno al globodai network multimediali, essa

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diventerà una nuova ‘tecnologia’ che infuturo potrebbe dimostrarsi uno dei piùpotenti mezzi che l’uomo abbia maiavuto fra le mani”.

(continua…)

———Gianluigi Ricuperati. Scrittore esaggista. Collabora o ha collaboratocon Repubblica, Il Sole 24 ore, LaStampa, Domus, Rumore. È curatoredel Museo d’Arte contemporanea delCastello di Rivoli (To). Tra le sueultime pubblicazioni: La tua vita in 30comode rate (Laterza, Roma-Bari2009) e Il mio impero è nell’aria

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(minimum fax, Roma 2011).———

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FOR DUMMIESOvvero: le particelle elementari del

pensiero di McLuhan.

·di Luca Barra

METAFORE

Che cosa sono i media? Tra di essi,McLuhan non indica soltanto quelli chepossiamo facilmente immaginare: la

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parola scritta e parlata, la stampa, lafotografia, i giornali, il telegrafo e ilgrammofono, il cinema, la radio e latelevisione. Ma aggiunge alla sua lungalista anche le strade, l’abbigliamento, ilnumero, il denaro, gli orologi, i giochi,la ruota, la bicicletta e l’aeroplano, leautomobili e le armi. In pratica, per luisono media tutti quegli strumenti chemettono gli uomini in relazione tra loro.Una definizione estensiva, che includeognuno degli arnesi che si frappongonotra le persone e le connettono:trasmettendo messaggi, accorciando ledistanze, consentendo uno scambio o uncontatto anche fisico, anche violento.Ma c’è dell’altro: i mezzi di

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comunicazione sono “metafore attive”.Non si limitano a legare (e collegare)più individui o gruppi interi, maincidono profondamente su questolegame. Traducono ogni esperienza inuna nuova forma. Insomma, laamplificano, la cambiano, la portano –come la metafora – su di un altro piano.

ESTENSIONI

I media non sono soltanto strumenti chemettono in relazione le persone. Sonodelle vere e proprie estensioni –artificiali, meccaniche – di un organo,di una facoltà umana, di uno o più sensi.

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Sono delle protesi che potenziano eridefiniscono le cose che possiamo esappiamo fare. La fotografia èestensione dell’occhio, fissa leimmagini oltre le nostre possibilità. Laruota prolunga artificialmente il nostropiede. Il cinema è l’unione della foto edella ruota, ci fa andare lontano con leimmagini. La radio estende l’orecchio,ci fa sentire suoni distanti o irreali. Latv coinvolge tutti i sensi, e potenzia ilnostro tatto. L’elettricità porta fuori dinoi il sistema nervoso centrale, e loirradia nel mondo. E così via. Ma c’èun prezzo da pagare: l’estensione di noistessi nei media ha ricadute sociali eindividuali. L’innesto di una protesi

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desensibilizza, addormenta, narcotizzal’organo su cui è innestata, e questoporta a ridefinire e a modificare nonsolo quella facoltà, ma tutti gli altrisensi. Pro e contro della volontà dipotenza.

IL MEDIUM È IL MESSAGGIO

“Il medium è il messaggio”: la frasesempre associata al buon Marshall. Espesso fraintesa, resa innocua. Ma checosa significa davvero? McLuhan vuoleaiutarci a non farci distrarre dalcontenuto dei media, che è solo unospecchietto per le allodole. È il mezzo

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in se stesso, infatti, la forma attraversocui il contenuto ci arriva, a trasmettereil vero messaggio, quello piùimportante. A introdurre, nei rapportiumani, un “mutamento di proporzioni, diritmo o di schemi”. Insomma, ilproblema non sono tanto la violenza o ilsesso in tv: quelli passano in secondopiano rispetto all’influenza che hal’immagine televisiva su di noi, rispettoalla luce che tatua sul nostro corpo,rispetto al suo essere lì, in mezzo alsalotto, e al suo presentarci storie enotizie in un certo modo. L’assassinonon è il ragazzaccio sullo schermo, mail maggiordomo. Corollario? Ilcontenuto di un medium è sempre un

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altro medium. Ogni medium porta anuovi equilibri, e intanto si nutre deglialtri media già sulla piazza, se ne servecome materiale. A cui dare altra forma.

MEDIA CALDI E FREDDI

Come il jazz, i media possono esserecaldi o freddi. Quelli caldi (un po’come Louis Armstrong) fornisconoinformazioni molto dettagliate a un solosenso, o a un paio di essi. Sono ad altadefinizione, ci investono con una grandequantità di dati, e così finiscono percoinvolgerci profondamente a livelloemotivo. Siamo lì, li subiamo e non

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possiamo farci nulla. La scritturaalfabetica e la stampa ci impongono lalinearità del pensiero, il cinema e laradio danno ai nostri occhi e orecchieben più informazioni di quante riesconoad elaborare. I media freddi (un po’ allaMiles Davis), invece, coinvolgono unapluralità di sensi tutti insieme. Sono abassa definizione e finiscono perinstaurare un dialogo con lo spettatore,che deve completare il messaggiomettendoci del suo. La parola parlata,l’ideogramma, il fumetto, il giornale, lavoce al telefono ci richiedono lo sforzodi integrare ciò che i media ci dannocon le nostre risorse; la televisione cipresenta un’immagine a mosaico che,

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sia pur inconsapevolmente, sta a noicompletare. Unisci i puntini.

ERE

La storia umana non è così complicata,se la si legge come un’alternanza tra erecalde e fredde, in base ai media che lecontraddistinguono. In principio tuttoera freddo: una tribalità originaria fattadi parole e del coinvolgimento di tutti isensi. Ma presto arriva l’alfabetofonetico, e l’ambiente inizia ariscaldarsi, a dare predominanzaall’occhio, a introdurre elementi diprogressione e linearità. L’apice di tale

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processo è l’invenzione della stampa: la“galassia Gutenberg” sancisce ilpassaggio all’era meccanica, doveconta la specializzazione, radice dellacatena di montaggio e dei nazionalismi.Basta un’ulteriore salto, el’elettrificazione raffredda l’umanitàintera: prima portando alsurriscaldamento i media caldi (laradio, il cinema); quindi tornando con ilcapovolgimento dato dalla tv e dallereti a un’era fredda. Che estende peròall’intero pianeta, finalmente connesso,i modelli di comportamento tribali.Benvenuti nel villaggio globale, fatto direlazioni coinvolgenti, bidirezionali,che non tengono conto delle distanze.

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LINK.IDEE PER LA TELEVISIONEMONOAbbiamo la scimmia della tv. E no, nonsi chiama Marshall.

MARSHALL McLUHANProprietà letteraria riservata · ©RTI

Direttore editorialeMarco Paolini

DirettoreFabio Guarnaccia

Coordinamento editorialeLuca Barra

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In redazioneAlessia Assasselli

Si ringrazia per la collaborazione: AldoGrasso, Gabriella Mainardi, NicoMorabito, Giorgio Venturati, CristinaAmodeo, Tommaso Dell’Anna, MicolDi Palma, Massimo “Jesus” Posarelli,Lorenzo D’Anteo, Chiara Piccariello,Alessio Torreggiani, Denise Meles,Elvira Pagliuca, Dr. Pira, GiovannaBarazzoni, Eleonora Brindani, PaoloCascone, Tommaso Cortesi, ArcangeloDell’Anna, Paolo Lorenzani, AnnaMostosi, Adriano Venditti, LyndaZecchetti.

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e-mail [email protected] www.link.mediaset.itblog www.linkmagazine.blogspot.com

Link · RTIViale Europa, 4820093 Cologno Monzese (MI)

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Art directorMarco Cendron

Progetto graficoPomo

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Impaginazione ed. digitaleNicolò Giacomin

Impaginazione ed. cartaceaAlessandro I. Cavallini

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L’editore si dichiara disponibile acolmare eventuali omissioni relative atesti e illustrazioni degli aventi dirittoche non sia stato possibile contattare.

febbario 2013

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Table of ContentsINDICEEditorialeThe media paguruPiano, Marshall!Quando la poesia era il mediumMarshall McLuhan parla!Smascherando il Dr. O’BlivionDentro la sposaIl medium è il soggetto?Sforzati di (non) ricordareL’evoluzione dell’uomo medialeLa fisica di McLuhanIl profeta involontarioIl messaggio di Twitter?La narcosi del presente

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Corpo di Cristo cosmicoPop is our businessNon sai niente del mio lavoro!McLuhan, il Cyberpunk e meLe azioni del profetaFor Dummies