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Liceo Lorenzo Federici Giornalino Scolastico, AS 2015/2016 Quarto numero, maggio 2016

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Liceo Lorenzo Federici Giornalino Scolastico, AS 2015/2016 Quarto numero, maggio 2016

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Editoriale L’ultimo numero di quest’anno è, per molti di noi, l’ultimo di sempre (se non ci bocciano). Noi “padri fondatori” ci siamo spremuti le meningi a lungo per cercare di darvi sempre qualcosa di interessante da leggere e guardare. Ma ora le nostre “celluline grigie” sono un po’ consumate: nuove penne in redazione non possono che significare anche nuove idee e abbiamo fiducia che il futuro di Serendipity sarà inaspettato e innovativo e, speriamo, anche di successo. Serendipity ha solo due anni di storia, ma di Storia ne ha fatta eccome: quello della foto è il Premio Nazionale di Alboscuole che abbiamo vinto con l’ultimo numero dello scorso anno e che abbiamo finalmente ritirato alla cerimonia di premiazione tenutasi a Chianciano Terme (SI) il 27 aprile. Se anche a voi viene l’ispirazione, non esitate ad accrescere le fila della redazione. Non temete di presentarvi solo perché credete che gli altri troverebbero troppo strano quello di cui vi piacerebbe scrivere o perché direttamente pensate di non saper scrivere: questo è il posto giusto per discutere idee e migliorare lo stile. Ma per chi resta, ricordate: questo giornalino è la massima espressione della creatività e dell’indipendenza di noi ragazzi qui a scuola. Fare in modo che esca bene richiede tanto impegno e parecchia dedizione: non fategliele mancare, perché è una bella creatura, ma sopratutto, è di noi studenti.

A.H. T.P. Copertina a cura di Domenico Saladino Impaginazione a cura di Eleonora Vitali e Francesca Cappiello Interviste ai professori a cura di Anna Bonomelli e Tiziana Pezzotti (come sempre)

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Sommario

ATTUALITÁ

5/ Federici Ambassadors A cura di Agata Hidalgo e Tiziana Pezzo

8/ Il bunker floreale A cura di Luca Fabbris

SCUOLA

10/ Vado a lavorare A cura di Agata Hidalgo

DIBATTITO

13/ Orgoglio e pregiudizio A cura di Pierfrancesco Modica e Le zia Sanchioni

TECNOLOGIA

14/ Technology: epic fails A cura di Francesca Moro

LIBRI

16/ Legendarium A cura di Simone Gerosa

18/ Nelle fucine della guerra A cura di Marco Allieri

19/ Un fantasy fuori dagli schemi A cura di Francesca Moro

SOCIETÁ

20/ Sons of anarchy A cura di Sorana Var c

22/ I non-luoghi A cura di Domenico Saladino

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FILM

24/ Duello all’ul mo Oscar A cura di Elisa Signorelli 25/ The big short A cura di Domenico Saladino

ARTE

26/ Soq-quadro A cura di Agata Hidalgo e Tiziana Pezzo

MUSICA

30/ Bele bes e! A cura di Le zia Sanchioni

SPETTACOLO

33/ Bomber non solo in campo A cura di Dafne Bellini

35/ Tra palcoscenico e diplomazia A cura di Gloria Terzi

MODA

36/ La moda è fa a per andare fuori moda A cura di Dafne Bellini

SPORT

38/ I campioni che verranno A cura di Pierfrancesco Modica

40/ Cos’è calisthenics? A cura di Francesco Elia

ECOLOGIA

42/ Ieri sera ho pianto per la Terra A cura di Elena Barboni

43/ Il sonaglio del vento A cura di Elena Barboni

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ATTUALITÁ

A cura di Agata Hidalgo e Tiziana Pezzo

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Federici Ambassadors Ci manca più New York che l’ONU, anche se in realtà è per essere delegati che siamo partiti. Rappresentando due Paesi improbabili come il Mozambico e il Guyana, infatti, siamo andati in una trentina di studenti bergamaschi della nostra scuola, come del Lotto e dell’ Istituto paritario Leonardo da Vinci, accompagnati dalla professoressa Regolo del Liceo Federici, a New York, per lavorare come i veri diplomatici delle Nazioni Unite, proponendo soluzioni ai più svariati problemi del mondo. Nel programma NHSMUN proposto da IDA (Italian Diplomatic Academy) ci siamo infatti divisi in gruppi di due o tre ragazzi in comitati ONU che spaziavano da questioni economiche, legislative e territoriali a tematiche legate alla biodiversità, la sanità e la criminalità, corrispondenti a quelli veri (ECOFIN, LEGAL, SPECPOL...). A dirla tutta, fino all’ultimo, prima di atterrare, abbiamo sperato ci mandassero a lavorare nel Palazzo di Vetro (anche perché le limousine che ci hanno portato all’hotel Sheraton di Times Square promettevano bene) ma, nonostante ci abbiano portato due volte in visita, i lavori si sono svolti nei saloni del vicino hotel Hilton. Eravamo migliaia di studenti, dai 16 ai 20 anni, in abito elegante e dal fare professionale. O meglio, che provavano ad avere un’aria professionale. Anche se c’era gente dai Paesi più disparati (Bermuda, Sudafrica, Australia, Messico, Nigeria...e Stati Uniti naturalmente), infatti, i madrelingua inglesi, con la loro facilità di improvvisazione di discorsi e argomentazioni, avevano più di tutti l’aria da diplomatici veri. Nonostante ciò, i ragazzi statunitensi incoraggiavano anche noi a farci avanti, ad esporre proposte ed a confrontarci con loro. Alla fine i lavori si sono conclusi per il meglio in tutti i comitati in cui eravamo suddivisi, con l’approvazione dei nostri emendamenti alle Risoluzioni.. Le difficoltà incontrate derivano da un corso di preparazione tenutosi per tre mesi ogni venerdì pomeriggio che ci ha fornito un’impostazione forse un po’

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A cura di Agata Hidalgo e Tiziana Pezzo

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troppo formale e non adeguatamente estesa riguardo le regole di procedura, prese in modo più immediato e sciolto dagli statunitensi. Gli spunti più interessanti li abbiamo invece ricevuti dalle lezioni di geopolitica e inglese diplomatico, i cui relatori (uno italiano, uno statunitense) erano particolarmente coinvolgenti e alla mano e dagli incontri con un’esperta di public speaking e con l’ambasciatore palestinese in Italia- una vera autorità. Non che a New York siano mancate conferenze con personaggi di spicco, tenutesi stavolta nel Palazzo di Vetro: abbiamo conosciuto la Sottosegretaria Generale per la Pubblica Informazione (signora Gallach), che ci ha portato le parole di Ban Ki Moon; l’Alto Rappresentante dell’Alleanza delle Civiltà (Nassir Al Nasser), l’Inviato per i Giovani del Segretario Generale (Ahmad Alhendawi), l’ambasciatore dell’Unione Europea all’ONU (il portoghese Vale de Almeida) e l’ambasciatore italiano all’ONU Lambertini, serio nell’esposizione ma napoletano nel cuore. All’inaugurazione dei lavori, invece, ha parlato l’ambasciatrice statunitense all’ ONU, Samantha Power, una giornalista irlandese cresciuta negli Stati Uniti con alle spalle duri reportage sulla guerra nei Balcani. Una personalità semplice, ma al contempo decisa e carismatica, con un’aria ancora da giornalista, ma ben calata nei panni del diplomatico. Le sono anche state poste delle domande dai ragazzi, peccato che a farle siano stati invitati soltanto gli statunitensi. Sarebbe stato bello chiederle come gli Stati Uniti credono che il sistema oligarchico del Consiglio di Sicurezza (l’unico le cui risoluzioni sono vincolanti per i Paesi interessati e l’unico in cui solo 5 Paesi hanno il diritto di veto su qualsiasi decisione: USA, Russia, Francia, Regno Unito, Cina) possa conciliarsi con i fondamenti democratici dell’ONU. L’occasione si è però presentata a uno dei nostri nell’incontro con i rappresentanti dell’Unione Europea e dell’Italia, che hanno spiegato che il veto è un

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A cura di Agata Hidalgo e Tiziana Pezzo

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retaggio del passato usato di recente particolarmente dalla Russia. Tra conferenze e lavori, comunque, siamo riusciti anche a ritagliarci del tempo per visitare la Grande Mela. Dei grandi musei newyorkesi non ce ne siamo fatto mancare nessuno. Nel percorso a chiocciola del Guggenheim abbia osservato capolavori come “Doctor Hoffman on the first LSD trip” (era su un motorino) o “Mick Jagger e Brian Jones Going Home Satisfied after Composing I can’t get no Satisfaction”, mentre al Metropolitan abbiamo apprezzato opere che spaziavano da (intere) tombe egizie ai più famosi dipinti di Monet (e Manet e Renoir e Cézanne...). Al MoMA, poi, le più grandi r ivoluzioni ar tistiche degli ultimi 150 anni, da Van Gogh, a Picasso, a Warhol a Pollock erano debitamente rappresentate. Ma per lasciare col sorriso la città abbiamo deciso di fare per ultima una foto con la grande statua di “gomma gomma scemo scemo” al Natural History Museum. Dopo la Statua della Libertà ed Ellis Island, oltr e alle incur sioni sulla Quinta Strada e Central Park, ciò che ci ha emozionato di più sono stati il Museo di Ground Zero, in memoria dell’11 Settembre, e la vista notturna mozzafiato dall’alto dell’Empire State Building. Che ci sono scoiattoli a Central Park è proprio vero, ma giuriamo di non aver mai visto un poliziotto mangiare ciambelle in servizio. I metal detector sono davvero un po’ ovunque, ma a presenziarli a volte sono simpatici latinoamericani più interessati a chiederti che Paese rappresenti all’ONU o come si dice cioccolato in italiano. I newyorkesi? Sono sempre agli estremi: o ti dimostrano una gentilezza squisita oppure ti trattano come se gli avessi fatto andare un pezzo di hamburger di traverso. Un hamburger al Hard Rock Café di Times Square non ce lo siamo fatti mancare...ma nemmeno un pasto al Bubba Gump Shrimp&Co (il r istorante ispir ato a quello del film Forrest Gump). Dopo aver assistito al musical Finding Neverland a Broadway- folgorante per i suoi effetti speciali e per la straordinarietà delle voci e della recitazione degli attori- abbiamo capito una cosa: in tanti hanno provato a descrivere New York, ma forse la cosa più appropriata da dire è che è scintillante come la sua Broadway.

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Il bunker floreale Quante volte in questi ultimi anni abbiamo sentito parlare dei cambiamenti climatici che si abbatteranno su di noi entro la fine del secolo? Quante volte siamo stati partecipi in una conversazione, il cui scopo era di aprirci gli occhi di fronte al mondo in evoluzione? Ebbene, non disperate: per quanto suoni "Apocalypse now", i leader dei nostri Paesi hanno pensato ad una soluzione per ripopolare un ambiente distrutto da qualunque cataclisma: sto parlando dei seed vaults o, tradotto in italiano, le banche dei semi. -Semi custoditi in banche?- penserete voi. Mi spiego: il luogo per la costruzione del deposito, che accoglie semi di tutte le specie vegetali, e di tutte le varietà, è una delle isole che formano l'arcipelago delle Svalbard, una tomba di ghiaccio situata presso il settantottesimo parallelo, a mille chilometri dal Polo Nord. Il sito, Svalbard Global Seed Vault, è costruito in una posizione elevata, al sicuro sia da possibili inondazioni fluviali, sia da qualsiasi possibile innalzamento del livello del mare che, in caso di completo scioglimento della calotta antartica, non supererebbe i 61 metri. Il fondo del deposito, collocato sopra uno strato di permafrost, è invece a 130 metri di quota, e con 120 metri di roccia a sovrastarlo.

Secondo i calcoli dei progettisti, in questo modo è assicurata la refrigerazione del deposito a -4°C / -6°C, anche in assenza di corrente elettrica, almeno per i prossimi 200 anni. Un'altra domanda che potrebbe sorgere riguarda la posizione del luogo: perché fra tutti i posti del mondo è stata scelta l'isola di Spitsbergen? Semplice domanda, semplice risposta: grazie

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ATTUALITÁ

A cura di Luca Fabbris

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infatti all’inattività tettonica dell’area, questa banca è considerata una delle più sicure al mondo, sia per quanto riguarda la protezione dei semi che per il mantenimento costante della temperatura. Sebbene l'idea sia nata in prevenzione a cataclismi naturali, la SGSV offre un tipico

servizio bancario, ovvero l'affidabilità. Il sistema protettivo è imponente e ogni contenitore con le buste dei semi funziona come una cassetta di sicurezza (salvo che custodirvi i semi è gratuito): i granelli appartengono alla singola banca depositante, l’unica che abbia diritto di accedervi . Fin dalla sua fondazione, lo Svalbard Global Seed Vault ha iniziato a raccogliere e conservare i suoi "tesori", che oggi fanno impressione: oltre 860 mila varietà di semi, 500 esemplari per ognuna, conservate a 18 gradi sotto zero. Le precauzioni sono infinite, alcune di esse non note, ma alla fredda dolce isola non può non mancare l'arte. Alle porte della banca, o meglio, sopra di esse, c’è un’installazione di prismi, specchi e acciaio inossidabile dell’artista norvegese Dyveke Sanne. L'audace obiettivo è stato conseguito per individuare il sito al buio e a distanza e, al contempo, sottolineare la qualità della luce artica, tanto è vero che l’installazione riflette la luce polare nei mesi estivi, mentre in inverno 200 cavi in fibra ottica regalano all’opera un colore turchese. Alle Svalbard, il giorno dell’inaugurazione del deposito, l’allora presidente dell’UE Manuel Barroso era stato chiaro nel definire questo posto «un giardino dell’Eden ibernato, un luogo dove la vita può essere mantenuta in eterno, qualsiasi cosa succeda nel mondo».

E chi meglio di Expo 2015 lo ha affermato con una frase divenuta simbolo stesso dell'evento «Nutriamo il pianeta, nutriamo il futuro»? Una speranza seppellita sotto il ghiaccio più resistente, è il messaggio che arriva alla nostra società, a noi giovani che passiamo ore inutili del nostro tempo davanti ad un piccolo schermo, a noi società consumistica, a noi mondo tecnicistico.

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SCUOLA

A cura di Agata Hidalgo

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VADO A LAVORARE In Germania esiste da anni, ma da noi è ancora agli albori: si chiama alternanza scuola-lavoro, è obbligatoria per i licei solo dallo scorso anno e dovrebbe darci un assaggio (in teoria) di come funziona il mondo del lavoro, possibilmente facendoci esercitare qualche abilità pertinente al nostro corso di studi. E’sempre così? Tanto dipende dalla struttura in cui si decide (o ci si ritrova) ad andare, ma anche dall’intraprendenza che si mette nel cercarne una adatta alle proprie

attitudini ed interessi, oltre che, naturalmente, a quanto si viene seguiti in loco. Per molti è un esperimento per capire se l’ambito di lavoro in cui ci si è figurati tra qualche anno è davvero quello in cui si vorrebbe esercitare e se il corso di studi che si sta intraprendendo è quello giusto. Vediamo come se la sono cavata i nostri colleghi di terza, alle prese con la prima esperienza di questo tipo. “Ho la lavorato otto ore al giorno in un’azienda che commercializza in tutto il mondo display a LED che mostrano i cambiamenti di informazioni in tempo reale in aeroporti, stazioni ferroviarie, mezzi di trasporto e luoghi pubblici” racconta un ragazzo del Liceo Linguistico. La sua è stata un’esperienza d’eccezione: “Ho avuto modo di parlare con l’estero e di esercitare sia l’inglese che lo spagnolo”. Non è stato limitato, tuttavia, a mansioni da “linguista”: “Ho compilato alcune fatture e mi è stato insegnato ad usare sia il sistema gestionale che quello di archiviazione”. Nessuna difficoltà però: “Dopo due giorni mi ero già abituato; il personale, poi, era molto gentile e simpatico”. Alla domanda se questa esperienza ha cambiato la sua percezione del mondo del lavoro risponde senza esitazioni: “Sono molto fiducioso per le prospettive future e ho capito l’importanza dello studio in ottica lavorativa”. Non può dirsi altrettanto soddisfatto Pierfrancesco Modica, di 3C Linguistico, che ha lavorato nelle scuola primaria e in quella secondaria di primo grado di Bagnatica: “Restavo a scuola dal mattino fino alle quattro e nel pomeriggio aiutavo i ragazzi con i compiti. Non ho però potuto esercitare l’uso delle lingue straniere e frequentando io il linguistico mi sembra una pecca”. La sua compagna di classe Francesca Algisi, invece, con l’alternanza ha voluto inseguire un sogno: “Da un paio d’anni voglio studiare medicina per diventare chirurgo, così ho deciso di andare alla Clinica privata San Francesco di Bergamo. La prima settimana mi hanno assegnata

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SCUOLA

A cura di Agata Hidalgo

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alla casa di riposo, mentre la seconda mi hanno portata in sala operatoria. In casa di riposo sono stata affiancata ad una fisioterapista, che aiutavo nel compilare documenti mentre si occupava dei suoi pazienti; in sala operatoria, invece, ho assistito a interventi di routine e una volta ho anche tenuto la gamba di un paziente durante la medicazione. Mi è stato insegnato quale dovrebbe essere la postura corretta nel camminare e durante le operazioni c’era sempre qualcuno che spiegava cosa si stesse facendo in quel momento”. Il suo giudizio globale?.“E’ stata una bella esperienza ed è stata utile per capire se questo è davvero ciò che voglio fare. Se prima ero sicura al 100% di voler diventare chirurgo, ora lo sono al 70%: non è come me lo aspettavo, gli interventi sono sempre uguali uno all’altro. Medicina, però, resta comunque quello che voglio studiare”. Per il Liceo delle Scienze Umane, invece, l’offerta formativa era imperniata su ambiti specifici: quello educativo, quello assistenziale e, novità, anche quello ecologico per l’Opzione Socio-Economico. “Ho lavorato alla scuola dell’infanzia di San Paolo d’Argon per dieci giorni: ho la convinzione che non sarà mai il mio lavoro, però proprio per questo mi è servito” racconta Giulia Belotti di 3B. Ha ragione: meglio scoprirlo ora che una volta scelta la carriera sbagliata. “Mi hanno fatto fare tutto ciò che facevano le maestre...ho trovato un po’ stressante seguire i bambini” ammette Giulia. “Avrei preferito qualcos’altro, ma di certo nei prossimi due anni avrò la possibilità di provare altre strade”. Ciò non toglie che l’esperienza sia stata positiva. “Mi sono trovata molto bene, le maestre sono state carine. Io lavoravo con quella dei Bianchi e ho aiutato i bambini a fare il lavoretto di Pasqua e quello del papà: mi sono divertita perché mi piace questo genere di attività, anche se era un po’ dispersivo coi bambini che andavano da una parte all’altra.

Comunque mi è servito, perché ho potuto capire precisamente qual è il lavoro delle maestre”. Anche una sua compagna di classe, Giulia Manenti, che ha fatto un’esperienza analoga all’asilo di Villongo, è dello stesso avviso:“Mi sono trovata bene, ma non lo farei come lavoro”. Ciò non toglie che i risolvi formativi siano stati non indifferenti: “Ciò che ho imparato sul comportamento dei bambini durante il biennio mi è stato molto utile”continua infatti Giulia. Lisa Pirola di 3X, che ha lavorato a Seriate, racconta invece che rifarebbe questa esperienza.

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SCUOLA

A cura di Agata Hidalgo

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E’ però il caso di sfatare un mito: non tutti i ragazzi del Liceo delle Scienze Umane sono andati negli asili durante l’alternanza. C’è chi ha lavorato nelle riserve naturali, chi in ufficio, chi coi disabili e chi con gli anziani. Daniele Longa di 3X, per esempio, è stato pienamente soddisfatto della sua duplice esperienza al Centro Zelinda di Trescore: “Ho lavorato quattro giorni allo SFA (Servizio Formazione Autonomia), mentre gli altri quattro al CDD (Centro Diurno Disabili). Sono due servizi completamente diversi, però entrambi molto belli ed importanti. Sono stato seguito benissimo, ma sopratutto, sia dal punto di vista umano che sociale, è stata per me un’esperienza non solo di lavoro, ma anche di vita. Personalmente mi sono trovato meglio allo SFA,

perché le disabilità dei pazienti sono meno gravi e questo permette l’instaurarsi di relazioni più profonde con loro, ma anche al CDD sono rimasto molto colpito, perché assistere i disabili tutto il giorno è un’esperienza che fa riflettere. Gli educatori, poi, sono davvero molto competenti e mi hanno seguito sempre: nello SFA ci occupavamo di aiutare i disabili ad essere autonomi in attività quotidiane come andare in posta, comprare il pane, fare la biancheria; nel CDD, invece, date le condizioni più limitanti dei pazienti, facevamo attività più semplici, come cucinare tutti insieme una torta in mattinata o fare dei laboratori”. La sua percezione del mondo del lavoro dopo questa esperienza è a detta sua: “Molto positiva: al Centro Zelinda sono davvero ben organizzati e tengono al lato umano dei pazienti”. Anche sul suo domani non ha dubbi: “In futuro, spero di lavorare in questo settore”. La maggior parte dei suoi compagni di classe è stata invece coinvolta in attività inerenti la green economy, che si sono tradotte in stage presso enti che spaziano da Uniacque a Val Cavallina Servizi (per il riciclo di acqua e rifiuti), alla tutela dell’ambiente in riserve come WWF Valpredina di Cenate Sopra. Sofia Bassis da Uniacque è stata sostanzialmente alle prese con lavoro di ufficio: “Ho svolto varie mansioni, dall’archiviazione alla compilazione di documenti e ho migliorato un po’ l’uso di Excel”. Il lato ecologico del lavoro è però mancato: “Mi hanno portata a visitare i cantieri in cui stavano installando tubature, ma tutto ciò che ho imparato è limitato alle tipiche attività di ufficio”. Linda Occioni, invece, si è trovata a dover fare il “lavoro sporco” presso l’Oasi del WWF. “Lavoravamo solo quattro ore al giorno, ma ci facevano fare attività piuttosto pesanti, perché era tutto lavoro manuale: diciamo che per dieci giorni mi sono sentita un po’ un uomo! Quello che mi dispiace è che con il mio indirizzo di studi, che ha un taglio psicologico, non avesse niente a che vedere...non ho potuto applicare nulla di quello che studiato finora. Il primo giorno abbiamo seminato dei fiori nel concime del cavallo Timon, più avanti abbiamo raccolto sassi per creare uno stagno ed infine abbiamo fertilizzato ben 200 olivi”. Lavorare in questo settore ha però portato i ragazzi ad un grande traguardo: la realizzazione di una campagna no-profit intitolata “Coloriamo di pulito” che si è concretizzata in un video omonimo già disponibile sul sito della scuola e su Youtube e che verrà ufficialmente presentato a scuola il 28 maggio.

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DIBATTITO

A cura di Pierfrancesco Modica e Le zia Sanchioni

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ORGOGLIO E PREGIUDIZIO Non facciamo gli orgogliosi quando abbiamo pregiudizi

In Italia ci sono sempre più persone che si dedicano all’assunzione di droghe leggere. Per questo il governo italiano ha deciso di discutere questo grosso punto interrogativo: legalizzare o no la cannabis? Andiamo a considerare due diversi punti di vista.

A Io sono assolutamente a favore: per prima cosa diminuirebbe la criminalità. Basti solo pensare al giro che ci sta dietro, tra mafia, spacciatori e carceri piene. Avremmo un paese molto più pulito. A E non pensi alla felicità dei cittadini? Fumare durante le ore di lavoro diminuirebbe lo stress di chi di solito ne soffre e lo stesso tra i banchi di scuola. Anche chi soffre di depressione avrebbe un aiuto in più per uscirne; persino le donne, durante il periodo mestruale, fumando possono ridurre il dolore. A Avremmo un maggior crescita economica: legalizzare significa vendere a nome dello Stato e arriverebbero soldi anche dall’estero. Anche il turismo aumenterebbe infatti, come in Olanda. A Ci sono var ie r eligioni che comprendono l’uso di sostanze leggere. Se non si legalizza, queste religioni sono scoraggiate a seguire il proprio credo e a vivere nell’ombra. Vorrei che tutti avessero le stesse possibilità. A E il nostro Par lamento, che si ar rovella sempre per un nonnulla, potrebbe dedicarsi a faccende molto più importanti e farla passare direttamente, senza tanti ripensamenti. A Non è propr io così! Ci sono tanti studi a favore quanti quelli a sfavore, quindi non giungere a conclusioni affrettate! Riguardo agli ospedali, bisognerebbe discutere su una riforma ospedaliera, che potrebbe migliorare la qualità della sanità.

B Io sono contro: a differenza di quello che credi, intorno a tutto il giro che si formerebbe di compravendita sugli appalti, ci sarebbe una maggiore presenza di mafia e società malavitose che ne conseguono. B No, non ci penso, piuttosto penso al gran dolore che potrebbe causare la scomparsa di un figlio alla propria famiglia quando scopriranno che, sotto l’effetto di droghe leggere, avrà avuto un incidente stradale. Se proprio dovesse essere legalizzata, ci dovrebbero essere delle rigide leggi sulla guida in stato di non totale coscienza. B Ognuno si guardi in casa propria! Se si legalizzasse, i dibattiti fra i cittadini aumenterebbero. Chissà quante manifestazioni! Perché è pur sempre una droga, te ne sei dimenticato? Per non calcolare poi il numero di persone che ne abuserebbero. B Non puoi venirmi a parlare di religioni in Italia, paese prevalentemente cattolico. Forse è proprio per questo che sono sconosciute ai più. B Tutto molto bello ma… occupiamoci di argomenti più concreti. Per esempio il problema degli ospedali più affollati da

soggetti che ne abusano. Ricordiamoci poi che causa malattie sia a livello polmonare che a quello celebrale e ci sono studi che dimostrano l’inefficacia dal punto di vista medico. E voi... da che parte state?

AD AMSTERDAM SI FA COSI’ In realtà in Olanda, secondo la normativa vigente, “possedere, vendere, produrre, importare ed esportare marijuana e derivati è illegale”. Consumare è quindi permesso, mentre la vendita è strettamente limitata ai famosi coffee-shops, dove si può fumare fino a un massimo di 5g a persona mentre si beve un caffé e si ascolta musica. Vi sono però differenze da regione a regione e non ovunque, come invece accade ad Amsterdam, è permesso vendere erba agli stranieri:è una norma tesa a ridurre il “turismo della droga”. Persa la patina di adrenalina per l’utilizzo di sostanze illegali, il consumo fra gli olandesisi si è molto ridotto, come il numero di coffee-shops. -A. H.

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TECNOLOGIA

A cura di Francesca Moro

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Technology:

Ipod Photo Here’s an epic fail by Apple: Ipod Photo. There weren’t any smartphones in 2004, and everybody wanted to buy a phone which could show images. Apple invented Ipod Photo: it could see only pictures in low resolu on; it cost 600$. How long did it last? Less than one year: Ipod Photo was dropped in 2004.

Microso Kin Microso Kin was a ‘smartphone’ for teenagers, always online on social networks. When it appeared on the American market (2010), people defined it as ‘ugly and incomplete’, and a er two months Microso withdrew it. Have you ever heard of it? No? Maybe because Microso Kin has never arrived in Europe.

Segway This new means of transport (created in 2004) has become the centre of cri cs by costumers. Dangerous in the city, it costs 5000€, and the ba ery didn’t contribute to do of Segway ‘the revolu on of moving’. Furthermore , a er Jimi Heselden’s death, caused by a fall on his inven on, the sales didn’t take off.

Samsung Galaxy Gear Samsung watch is a flop for its very low sales. Costumers o en take their Gear back to the shops for the poor ba ery (less than 1 day), the high price (more than 300$) and of the connec on problems.

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TECNOLOGIA

A cura di Francesca Moro

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JooJoo The icon of the flops. Here’s the JooJoo tablet, whose ba ery survived only five hours and whose weight was 1kg. It came out in 2010 for the Fusion Garage that sold only 64 units. It died in 2010.

Apple Lisa Apple Lisa was launched in 1983, but it survived un l 1985: although Apple Lisa had got 1Mb (it could hold... one song!) and 2 floppy disk drives of 5,25”, it weighed 22,7kg and it cost about 10.000$. Too much.

Google Glass ‘Ok glass’. When the glasses of the future turn on, it appears this sentence. You may ask: What can it do? Give street informa on, surf the internet, take photos and videos, but be honest! Google glass hasn’t got different func ons from a standard smartphone; its cumbersome ba ery finishes quickly, it may cause headache, images are of low quality and this glasses cost 2.000$. Google glass came in 2010 and died in 2015.

Nokia N’ Gage Nokia N’gage was created by Nokia in 2003 as a mobile phone/console for videogames, but it has lapsed being too expensive. Nevertheless the Finnish mul na onal didn’t surrender and in 2005 tried to revive the product (called the Nokia N’Gage Arena), but it was a flop again.

epic fails

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LIBRI

A cura di Marco Allieri

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Legendarium più che una saga

Lo Hobbit e Il Signore degli Anelli sono oggi, grazie al cinema, saghe note a chiunque, ma quanti possono vantarsi di conoscere appieno il profondo significato e i numerosi piani di lettura che risaltano dalle opere del professore? Quante volte ricordo di essermi voltato con un'espressione tagliente verso chi ha osato proferire "in fondo non è altro che un romanzo": chiamatemi pure estremista, ma sono convinto che sia a dir poco riduttivo rivolgersi al cosiddetto legendarium di Tolkien come se fosse soltanto l'ennesima e superficiale saga piena di elfi, troll, maghetti ed alberi parlanti. Perché, voi direte. Ma andiamo con ordine. Per prima cosa, quando si parla di J. R. R. Tolkien non si parla di un "fenomeno Paolini", bensì di una brillante mente, esperto linguista e stimatissimo filologo ad Oxford; l'immensa cultura dell'autore nel campo della mitologia, della letteratura e delle lingue emerge splendidamente in ogni pagina della sua opera; non trattiamo infatti di scritti superficiali, con popoli e personaggi fini a se stessi, ma di una miriade di elementi minuziosamente approfonditi: per ogni stirpe Tolkien crea una storia, dei luoghi, delle date precise e perfino delle lingue; ne creò così tante da far sospettare che in fondo la sua opera fosse solo un contorno ad esse, ironicamente confermato poi dal professore stesso.« Nessuno mi crede quando dico che il mio lungo libro è un tentativo di creare un mondo in cui una forma di linguaggio accettabile dal mio personale senso estetico possa sembrare reale. Ma è vero.» -J. R. R. Tolkien, Lettere. Esistono infatti ben dieci idiomi appartenenti all'universo di Arda, alcuni incompleti, come la lingua nera, che, ispirandosi all'antico Ittito, trasuda malvagità nei suoi termini dissonanti; altre invece sono talmente elaborate da essere perfettamente utilizzabili da chiunque volesse sentirsi elfo per un giorno. Non sarebbe stupendo entrare in classe e dialogare elegantemente con i compagni in Sindarin o in Quenya, parlate elfiche di base latina ma con numerose contaminazioni provenienti dal finnico e dal greco? Altro elemento caratteristico delle opere di Tolkien è il profondo sfondo mitologico presente in ognuna di esse: dal fiabesco Lo Hobbit all'epico I figli di Hurin, tutte risentono

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LIBRI

A cura di Simone Gerosa

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della grande passione del professore per il mito, creando poi nella più complessa delle sue opere, Il Silmarillion, una vera e propria cosmogonia che unisce la solennità della tradizione ebraico-cristiana all'affascinante mitologia norrena. Si genera così un universo fantastico, dove Bene e Male si scontrano fino alla

fine dei giorni, angeli e demoni camminano sulla terra ed una miriade di popoli diversi prende forma dalla fervida ma metodica fantasia dell'autore. Tolkien collega saldamente questi elementi ad ognuna delle opere precedenti, stabilendo in questo modo un approfondimento complesso ed interessante, dando grande spessore a luoghi e personaggi, caratteristica rara nei fantasy odierni. Di questa meravigliosa epopea si potrebbe discutere tranquillamente per giorni interi. Lo stile: attento, poetico ed elegante, ampolloso ad un primo sguardo, ma necessario a portare un attento lettore all'interno della magica Terra di Mezzo; ricordo ancora la sensazione che provai leggendo la descrizione dell'idilliaca Contea o dell'eterea Lothlorien; credo che solo Tolkien possa narrare questi luoghi facendo sentire chi legge come se si trovasse in un mondo completamente nuovo. Non meno attento è lo sguardo alla morale ed alla filosofia di fondo: vi è una forte attenzione verso la fratellanza, l'amicizia e l'amore, a discapito di ogni differenza; basti pensare al grande legame che si crea fra il rude nano Gimli ed il raffinato principe elfico Legolas o quello fra Frodo e Sam, di estrazione sociale differente; è imperativo inoltre citare la meravigliosa e fin troppo poco conosciuta storia d'amore fra Luthien, la più bella di tutte le elfe, e Beren, un semplice uomo che per ottenere il permesso di sposarla rubò un prezioso gioiello direttamente dalla corona di Morghot, assoluta divinità del Male nella Terra di Mezzo (per intenderci, il temibile Sauron che tutti conoscete non era che un luogotenente in una delle tante fortezze di Morgoth); per non parlare poi della grande importanza data alla bontà della natura, in contrapposizione con la follia dell'industria. Non mancano infine figure ed opere che ispirarono Tolkien nella creazione del suo cosmo: dagli ideali cavallereschi a quelli rinascimentali, dai poemi di Tasso ed Ariosto al dramma di Shakespeare; Tolkien unì abilmente forme ed elementi letterari fino alla creazione di quello che conosciamo oggi come legendarium, termine che indica l'insieme di tutte le opere del professore. Tutti questi fattori (e molti altri su cui non mi dilungo per mancanza di spazio) rendono gli scritti del professore completamente diversi da tutti quelli che lo seguirono e provarono ad emularlo, più simile nello stile e nei contenuti ad un immenso poema epico piuttosto che ad un semplice romanzo. È innegabile dunque che Tolkien abbia generato un universo, con le sue genti, tradizioni, guerre e canzoni, divenendo a pieno titolo la colonna portante della letteratura fantastica che conosciamo oggi. Aa’ menle nauva calen ar’ ta hwesta e’ ale’quenle, namaarie. (Possano le tue strade essere verdi e possa il vento accompagnarti, addio).

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LIBRI

A cura di Marco Allieri

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Viola, tredicenne profonda e tormentata, conduce la vita come una guerra. Il campo di battaglia è un’isola del Mediterraneo nella quale si sono trasferiti i suoi genitori, strappandola dall’amata Milano; i nemici sono i genitori, i compagni, i professori; l’obiettivo è soddisfare la sua ombra cattiva, che da tempo la comanda a suo piacimento e desidera distruggere i residui dell’ombra buona. Un giorno, dopo essere stata cacciata dalla classe e aver raggiunto il culmine della sopportazione, Viola si dirige verso il mare, il suo elemento, con l’intenzione di dimenticare tutto e tutti nuotando. Ma il Male non risparmia neppure i suoi servi. E così, infatti, mentre Viola è nel suo mondo, viene assalita dalla sua ombra cattiva, intenzionata ad asservirla completamente. Quando sembra tutto perduto, la ragazzina viene salvata dal Fabbro, essere ciclopico che raccoglie le storie degli

uomini e le ricrea sotto forma di plastici nella sua fucina sottomarina. Egli non comprende i motivi più profondi che causano le guerre: Viola deve quindi intraprendere un viaggio attraverso i suoi modelli, dall’assedio di Troia al 1984 orwelliano, passando per Wounded Knee, allo scopo di scoprire il lato malvagio dell’uomo e come affrontarlo. Libro intelligente, pacifista e a tratti femminista, Il nome segreto della guerra è stato scritto da Nicoletta Vallorani con l’intenzione di analizzare le radici alla base di ogni conflitto e spiegarle ai ragazzi, attraverso un linguaggio adulto ma semplice. Una potente riflessione sulla forma più estrema ed influente del Male, consigliata a chi non vuole rassegnarsi.

Nelle fucine della guerra

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LIBRI

A cura di Francesca Moro

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Un fantasy fuori dagli schemi

La Stagione della Falce-La Sognatrice Errante è il primo libro di una serie scritta da Samantha Shannon, studentessa di Oxford già paragonata per stile e immaginazione alla grande J. K. Rowling. La Shannon ha dato vita a una storia mozzafiato, in cui fantasia, amore e coraggio formano una cosa sola, ben lontana dal solito “romanzetto” a cui siamo abituati. Ma andiamo con ordine: il mondo presentato nel libro è governato dalle ‘Cittadelle Scion’, crudeli regimi dittatoriali che bandiscono la Chiaroveggenza; condannando tutti i veggenti (definiti Innaturali) a morte sulla misteriosa Forca. Ecco perché quei pochi rimasti sono organizzati in cosche, vere e proprie gang criminali capeggiate dal Mimolord, che sfruttano l’Etere (la dimensione ultraterrena) a scopi principalmente economici. Paige Mahoney, diciannove anni, irlandese, fa parte della cosca più potente di ScionLondra: i Sette Sigilli. È una Sognatrice Errante, nonché druda di Jaxon Hall, il suo Mimolord. Paige è incaricata di monitorare i paesaggi onirici degli altri veggenti, in modo da tenerli d’occhio per Jaxon. Un giorno apparentemente come tanti, però, la sua vita cambia per sempre. In seguito ad un’improvvisa ispezione su un treno viene infatti drogata, arrestata, rapita dagli agenti Scion e mandata ad Oxford,

divenuta Sheol I, una colonia penale per veggenti diretta dai Refaim, una specie aliena sconosciuta dai poteri straordinari. Paige viene affidata al Decano, il Ref promesso sposo della regina aliena Nashira, cosicché impari a usare (e controllare) il suo dono. Il suo desiderio è ora quello di tornare a casa e dimenticarsi di Nashira, del Decano, e soprattutto di Sheol I. Inutile dire che questo romanzo abbia già conquistato tutti: l’ambientazione accattivante, i personaggi “a tutto tondo” e lo stile fluido capace di rapire il lettore della giovane scrittrice ventunenne hanno portato l’opera ai vertici delle classifiche del New York Times Best-Seller. Verdetto: ‘La Sognatrice Errante’ è consigliato a tutti coloro desiderosi di leggere una storia nuova e fresca, definita appunto “Un fantasy fuori dagli schemi”.

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SOCIETÁ

A cura di Sorana Var c

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SONS OF ANARCHY Se siete stufi delle solite trendy, lussuose ma allo stesso tempo irrimediabilmente caotiche città, dove lo smog è il primo a darvi il benvenuto, ecco a voi una meta ideale, una città in cui le tasse non si pagano e le auto sono proibite. Ma dove si trova esattamente? A Copenhagen, precisamente nella cittadella di Christiania, occupata e fondata nel 1971 in una zona militare

abbandonata, sopravvive ormai da anni una comunità anarchica, meglio conosciuta come l’ultima comunità hippie di grandi dimensioni in cui vivono stabilmente mille persone. Varcata la soglia della città, ci si imbatte infatti fin da subito in un ambiente del tutto differente dalle grandi metropoli. La comunità vive di leggi proprie basate sulla libertà, la solidarietà e l’uguaglianza, non vi sono tasse e i negozi sono per la maggior parte di libero scambio: non si acquistano i prodotti con il denaro ma si attua il baratto. Anche se la città è circondata dal verde, non mancano ristoranti abbastanza eleganti, la cui gran parte vegetariani, gallerie d’arte, atelier, laboratori di artigianato e uno splendido lago. In contrasto a questo bel paesaggio vi è anche una zona un po’ più inquietante, la Pusher Street, la strada in cui viene venduta l’hashish. Qui, infatti, i venditori indossano i passamontagna e anche le loro baracche sono nascoste da teli. È vietato fare foto in quanto il consumo in se di droghe è proibito dal governo. Dal momento che alle macchine non è permesso l’accesso, gli abitanti si sono inventati la Christiana Bike, in commercio anche su internet, simile ad una normale bicicletta ma con la differenza di avere un enorme “scatola” posta davanti detta cargo dove portare i bambini, la spesa o qualsiasi altra cosa. Se invece preferite tornare indietro nel tempo rivivendo i tempi del rock & roll e dei balli sfrenati allora farà proprio al caso vostro un piccolo paesino della Svizzera dove il tempo si è fermato ai anni ‘50. Si tratta di Enviken, situato nella Contea di Dalarna e abitato da circa 1800 anime. Qua le persone si comportano proprio come se vivessero nel passato: gli uomini si laccano o si cotonano i capelli alla maniera di Elvis Preasly e di Buddy Holly, mentre le donne vestono con uno stile che va dal bon ton al look delle pin up. Perfino le macchine con cui si spostano sono tipiche dei anni ’50, come per esempio la vecchia Cadillac e la Ford Thunderbird. Inoltre, intorno al 1970 in paese si formarono diversi gruppi che richiamavano lo stile del rock & roll nella variante del rockabilly, oggi incarnato da una nuova band, la Little Andrew and the Rhythm boys. È nata anche un’etichetta discografica specializzata, la Enviken Records. Se invece siete delle persone solitarie e vi trovate nelle prossimità della Gran Bretagna, ecco che potreste far visita al Principato di Sealand. Per raggiungerlo dovrete munirvi del trasporto adeguato, in quanto arrivarci non è facilissimo. Sealand, infatti, è una piccola piattaforma a 10 km dalla costa inglese del Soffolk. La piattaforma, chiamata Rought

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SOCIETÁ

A cura di Sorana Var c

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Tower, fu costruita durante la Seconda Guerra Mondiale per motivi di difesa da parte degli invasori tedeschi e venne abitata da quasi 300 marinai. Fu abbandonata negli anni ‘50 e, alla fine dei anni ‘60, la piattaforma fu presa in gestione dalla famiglia Paddy Roy Bates, che in seguito a una battaglia legale con il governo britannico sulla loro stazione “Radio Essex”, trasmessa dalla torre illegalmente, si dichiararono un principato indipendente, con tanto di propria moneta (dollaro di Sealand). Fu così che il 2 settembre del 1967 la famiglia Bates e alcuni loro seguaci innalzano la bandiera del principato. Oggi Sealand, il cui territorio è esteso per 1300 metri quadrati , è abitato all’incirca da 27 persone, più qualche turista. E’una monarchia costituzionale il cui attuale capo del governo è Michael Bates. Se vi piace la libertà totale e nessuna di queste prospettive vi alletta, allora dovreste andare nella Terra di Nessuno, una piccola str iscia di ter ra, detta Bir Tawil, che si estende per 2 chilometri quadrati al confine tra Egitto e Sudan. Questo piccolo pezzo di terra non rivendicato da nessuno dei due paesi confinanti a causa di una vecchia disputa, è stato acquistato da Jeremiah Heaton il 16 giugno 2014, il giorno del settimo compleanno di sua figlia Emily. Pur di mantenere la promessa fatta alla figlia di diventare una principessa, infatti, il signor Heaton ha fatto svariate ricerche su internet per individuare una terra che non appartenesse a nessuno: una volta trovata, ha inviato una bandiera per il regno della figlia e l’ha piantata proprio a Bir Tawil, che è stato nominato Regno del Nord Sudan. Attualmente Jeremiah sta cercando di ottenere il riconoscimento internazionale dello stato

di sua figlia. Un posto che invece è meglio non visitare e tantomeno naufragarci è l’isola di Queimada Grande. A vederla potrebbe sembrare un piccolo paradiso dell’Oceano Atlantico, ma in realtà nasconde la più grande popolazione di serpenti al mondo: ospita infatti tra i 2.000 e i 4.000 serpenti velenosi su una superficie di poco più di 4.000 metri quadrati. L’isola, soprannominata Snake Island (l’Isola dei Serpenti), ospita anche il ferro di lancia dorato, un crotalo, uno dei serpenti più letali al mondo: il suo veleno può

infatti uccidere una persona in meno di un’ora. La grande presenza dei serpenti sull’isola non ha una spiegazione certa: alcuni studiosi ritengono che siano stati introdotti dai pirati con lo scopo di sfiduciare eventuali cercatori d’oro; altri sostengono invece che la massiccia comparsa di serpenti sull’isola sia avvenuta a partire da 11 000 di anni fa, quando l’isola era ancora collegata alla terra ferma prima dell’innalzamento delle acque. Solamente qualche bracconiere avventuroso approda sull’isola con l’intento di catturarli e rivenderli sul mercato nero a prezzi che spaziano tra i 10 000 e i 30 000 dollari. L’isola, inoltre, è controllata una volta all’anno dal governo brasiliano per la manutenzione al faro. Si conclude così il tour dei luoghi più stravaganti del mondo...giusto per darvi qualche spunto nel caso vi andasse un’avventura decisamente fuori dal normale.

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SOCIETÁ

A cura di Domenico Saladino

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Antropologia spiccia

I non-luoghi Dando uno sguardo al mondo nel quale viviamo, ci salta subito all'occhio come alcuni luoghi non siano propriamente tali. Se ci soffermassimo infatti su un qualsiasi centro commerciale, ci renderemmo subito conto che gli individui che lo frequentano sono fisicamente vicini ma emotivamente lontani. Il primo ad accorgersi di tutto ciò si chiama Marc Augé ed è nato in Francia nel 1935 per poi cominciare le sue ricerche negli anni '80. Il pensiero di Augé ha cominciato a prendere forma partendo dallo studio della Francia; quindi, usando il metodo antropologico, che in precedenza veniva utilizzato solo nelle società meno sviluppate tecnologicamente, ha dedotto che la metropolitana parigina avesse alcune proprietà che in seguito ha esteso a tutti i luoghi dove è necessario, per transitarci, un biglietto, un ticket o delle carte di credito. In seguito ha ribattezzato queste dimensioni con il nome di "non-luoghi", ovvero delle realtà dove l'uomo si trasforma in cliente e quindi perde momentaneamente la propria identità, in favore di una transitoria, destinata a svanire quando l’individuo lascia il non-luogo. Questi "non-luoghi" o meglio "non-lieux", in lingua originale, sono generalmente dimensioni senza storia, che non creano relazioni durature e non hanno una propria identità. I non-luoghi sono fondamentalmente uguali in tutto il mondo e questo è dovuto anche all’effetto della globalizzazione sul pianeta. Essa, infatti, favorisce l’economia tipica delle grandi catene di negozi o delle multinazionali, che, volendo dare l’impressione di “familiarità” al cliente, tendono a costruire, arredare e sistemare la collocazione geografica dei propri negozi in maniera simile in tutto il mondo, creando, di fatto, un non-luogo in piena regola. Volendo fare un esempio pratico, prendiamo in considerazione una

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SOCIETÁ

A cura di Domenico Saladino

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delle più grandi multinazionali, McDonald’s, e notiamo subito che la sua collocazione spaziale sul pianeta è simile: troviamo difatti le sue filiali nelle grandi città, nelle stazioni, in metropolitana e negli aeroporti. Questi negozi costituiscono un non-luogo in quanto non possiedono propria storia e, se dovessero nascere dei rapporti al loro interno, sarebbero destinati ad essere estirpati subito o al

massimo svanirebbero nel tempo che si impiega a consumare il proprio pasto. Infine, la comunicazione che vi predomina è strettamente virtuale, ovvero avviene attraverso apparecchi come cellulari o laptop. Aldo Cazzullo, giornalista per “Il Corriere della Sera”, ha pubblicato nel 2007 un saggio sui non-luoghi in Italia, in cui sostiene che l’italiano preferisce l’illusione consumistica alla realtà dei rapporti umani. Nel nostro Paese, infatti, secondo Cazzullo, l’individuo preferisce il centro commerciale alla realtà cittadina, finendo per auto-ostracizzarsi dalla società e dai rapporti umani semplici e diretti; questo, tutto a sfavore del singolo stesso, che, essendosi autoescluso, finisce per essere dimenticato anche dall’intera società. Il caso più grave che può fungere da esempio, anche se estremo, è quello di Joyce Carol Vincent, una donna trentottenne trovata morta nel suo appartamento dopo 3 anni senza che nessuno si accorgesse del decesso. I non luoghi sono ormai parte della nostra realtà e non possiamo farli sparire come per magia, anche perché sono fondamentalmente utili. Lo stesso Augé ha dichiarato che, dopo aver perso i bagagli a causa di un volo, si sia sentito rinfrancato quando ha trovato un super market dove poter comprare i beni a lui necessari per il pernottamento. Ciò non toglie che queste dimensioni non abbiano solo aspetti positivi, come abbiamo ampiamente discusso. Il decidere se i non-luoghi siano maggiormente un bene o un male per l’uomo sta ai posteri, ma noi, oggi, dobbiamo prendere atto della realtà che abitiamo ed evitare quest’isolamento sia nostro che di altri, perché potenzialmente pericoloso e destabilizzante.

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FILM

A cura di Elisa Signorelli

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DUELLO ALL’ULTIMO OSCAR L'attesa notte degli Oscar 2016 ha finalmente reso a Leonardo Di Caprio ciò che da anni inseguiva affannosamente e spasmodicamente: il primo Oscar della sua carriera. A permettergli di raggiungere l'agognato traguardo è stata la travolgente creatura cinematografica di Iñárritu, The Revenant (o “Il Redivivo”). Con un'interpretazione magistrale, Leo ci presenta la storia di un uomo in lotta con la natura e l'essenza umana. Ambientato negli spazi sterminati del Canada (luogo ottimale per lo sfogo artistico del regista, il quale si è divertito con virtuosismi visivi permessi dalle incredibili luci) offre il contatto con la natura estrema ed incontaminata che diventa la lama atta ad inferire un duro colpo all'Ego umano. Il protagonista, Glass, è un esploratore caparbio che ha il compito di riportare la compagnia e suo figlio al forte; durante il percorso uno scontro con un grizzly lo ferisce a tal punto di non poter continuare il cammino. Un suo compagno, il viscido Fitzgerald, si offre di restare al fine di assisterlo fino alla dipartita per poi concedergli una degna sepoltura, ma l'infame si rivela un traditore orribile ed è proprio la necessità di vendetta che rimetterà in piedi Glass dando inizio ad un'epica Odissea. La lotta brutale per la sopravvivenza ed il duro colpo inferto al narcisismo umano rendono il film un'opera indimenticabile e degna di essere vista da tutti almeno una volta.

Altra storia di lotta per la vita che ha rischiato di soffiare ancora una volta l’agognata statuetta a Di Caprio è quella di The Martian (o “Il Sopravvissuto”, appunto). Creazione dell'eccezionale Ridley Scott, vede come protagonista un superbo Matt Damon, capace di vestire perfettamente i panni dell'eroico astronauta Mark Watney e per questo in lizza fino all’ultimo con Di Caprio per l’Oscar come Miglior Attore Protagonista. Definito dalla critica come il "film che ha saputo rimettere la scienza nella fantascienza", The Martian è la storia di un astronauta che, creduto morto dai compagni a causa di un'inattesa tempesta, viene abbandonato sul pianeta rosso. Impossibilitato a comunicare con la Terra o con i suoi colleghi, è costretto a combattere per la sopravvivenza con le misere scorte di viveri rimaste, su un pianeta inospitale ed arido come Marte. A differenza del film precedente, The Martian offre un'analisi più positiva della natura umana e, a detta di molti, ha saputo riportare in voga la lenta costruzione della trama e la capacità del pensiero di precedere l'azione sulla scena. Va inoltre riconosciuta a Scott la sua magistrale capacità di non lasciare che amore e altri sentimenti invadessero la scena sottraendo importanza alla scienza, vera protagonista di questo neonato figlio del genere "spaziale".

Due film spettacolari prodotti nel 2015, entrambi ricevono ottime votazioni sia dalla critica che dall'audience. Consigliati entrambi a chiunque per apprezzare le capacità dei registi di rendere materia cinematografica ciò che di per sé non lo sarebbe.

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FILM

A cura di Domenico Saladino

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La Grande Scommessa è un film del 2015 diretto da Adam McKay, ispirato al libro The Big Short di Micheal Lewis. Ha recentemente vinto l’Oscar come miglior sceneggiatura non originale e tra gli interpreti principali del film figurano Christian Bale, Steve Carell, Ryan Gosling e Brad Pitt. Il film parte quando nell’anno 2005 il mercato immobiliare americano appariva più stabile e florido che mai. Chiunque chiedesse un mutuo, preferibilmente a tasso variabile, era quasi certo di ottenerlo. Per questo, quando Michael Burry si presentò in diverse banche per scommettere sostanzialmente contro l'andamento del mercato, nessuno gli negò la possibilità di farlo, e anzi gli risero alle spalle. Michael Burry, però, aveva visto quello che il mondo non vedeva ancora: una pericolosa e crescente instabilità del sistema, peggiorata dalla vendita smodata di pacchetti azionari pressoché nulli, etichettati in maniera fraudolenta. Il film racconta dunque la scoperta più o meno contemporanea da parte di alcuni uomini della gigantesca "bolla" cresciuta in seno al mercato immobiliare e destinata a scoppiare un paio d'anni dopo con effetti disastrosi: la crisi economica non solo statunitense ma mondiale da cui solo recentemente il nostro e gli altri Paesi occidentali si stanno riprendendo. La vicenda narrata porta lo spettatore a parteggiare per i protagonisti, che investono tutto contro la stabilità del sistema finanziario. Tuttavia, durante il film sia gli spettatori, sia i protagonisti, pur continuando a sperare che questi ultimi abbiano visto giusto riguardo a quest’enorme frode, cominciano a rendersi conto delle conseguenze che colpirebbero il mondo nel caso avessero ragione. Il film

gioca molto su questo ribaltamento, che lascia l’amaro in bocca allo spettatore, perché il lieto fine tipico delle commedie diventa un finale grigio, anche per i personaggi stessi. Tutto questo avviene in quanto la loro vittoria genera un conflitto di interessi sia nello spettatore che nei personaggi, poiché è sinonimo del crollo dell’intera economia mondiale. Il film presenta alcuni stratagemmi per alleggerire le scene più tecniche, dove si discute con termini specifici del settore economico: in particolare, si hanno degli stacchi dalla storia principale dove diversi personaggi famosi rompono la quarta parete e dialogano con gli spettatori spiegando loro la terminologia usata. Altro stratagemma interessante usato da McKay è l’inquadratura: spesso usa infatti un primo piano che permette al film di avere un taglio più documentaristico. Infine, il regista utilizza spesso un montaggio alternato, cioè monta il video in modo che durante le vicende ci sia un’alternanza di scene che apparentemente non hanno niente a che fare tra di loro, ma che danno l’idea allo spettatore di cosa stia accadendo nella prima grazie alle successive, in una sorta di similitudine cinematografica. In conclusione, questo film è per chiunque volesse approfondire le cause della crisi finanziaria esplosa nel 2007: può essere considerato una commedia, ma badate bene che è uno di quei film che fa in modo che il cervello dell’utente che lo sta osservando non si spenga. Voto finale: 8/8.5

The BIG short

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ARTE

A cura di Agata Hidalgo e Tiziana Pezzo

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SOQ-QUADRO Vite burrascose di artiste avventurose

Artemisia Gentileschi (1593 - 1652)- Lady Vendetta Arrivarono a schiacciarle i pollici per accertarsi che fosse la verità quando sosteneva: “Serrò la camera a chiave e mi buttò sul letto, mi mise un ginocchio fra le cosce et alzatomi li panni, mi mise un fazzoletto alla gola et appuntandomi il membro alla natura cominciò a spingere e lo mise dentro. E li sgraffignai il viso e li strappai i capelli et avanti che lo mettesse dentro anco gli detti una stretta al membro che gli ne levai anco un pezzo di carne”. Nel 1612 Artemisia riuscì a vincere il processo per stupro e ad ottenere che il suo carnefice scontasse alcuni anni di prigione. Lo rappresentò poi come Oloferne ucciso dal pugnale di una Giuditta alla quale dette il proprio volto. Violento come la scena è il chiaroscuro di questo e degli altri suoi quadri, in cui tinte forti sottolineano particolari come i drappeggi. Si ispirò infatti a Caravaggio e allo stile del padre, Orazio, che, contro le convenzioni del tempo, la incoraggiò a dedicarsi, come lui, alla pittura. Per lui posò nuda più volte (segno forse di un rapporto incestuoso), salvo poi riuscire a intraprendere una carriera autonoma dopo un matrimonio riparatore (ma non vincolante, come i numerosi amanti che le furono attribuiti, specie il musicista Lanier, dimostrano). Godendo sempre di maggior successo, fu per anni perennemente in viaggio fra Napoli e Londra, contesa e ammirata dalle corti, e impegnata a educare le figlie all’arte alla libertà.

Rosalba Carriera (1675-1757) - Un nome, un programma Suore a parte, Rosalba è una delle poche artiste di un tempo ad essere ricordata non per gli scandali della sua vita mondana, ma per la sua carriera. Veneziana di origine e figlia di una semplice merlettaia, divenne uno degli artisti più richiesti del Settecento e uno dei pochissimi a ricevere consensi unanimi da parte sia della critica internazionale che da quella veneziana. Lasciò solo tre volte la sua città: in una di queste si trovò a Parigi, dove la nobiltà (compreso re Luigi XV) faceva la fila per avere un acquarello o un ritratto a pastello firmato da lei. Per più di mezzo secolo sovrani asburgici, Lord inglesi, artisti francesi (Watteau fra questi) e aristocratici veneziani si contesero il suo tempo. Ciò che rendeva il suo stile unico era la sua capacità di leggere l’animo umano, indagando la psicologia dei suoi soggetti

attraverso l’espressione dei loro volti. Se però era il suo volto ad essere sondato, nessun timore: il suo robusto sense of humour le permetteva di apprezzare anche le caricature, fatte da amici, in cui la si rappresentava con un naso da mastino.

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ARTE

A cura di Agata Hidalgo e Tiziana Pezzo

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Berthe Morisot, Mary Cassat, Camille Claudel- le tre Grazie della modernità Nella Parigi del secondo Ottocento, oltre a personaggi come Baudelaire e Monet, trovarono espressione anche tre donne. Tutte di famiglia borghese, Berthe prese lezioni private di disegno poiché, in quanto donna, l’Accademia di Belle Arti le restava preclusa; Mary, invece, la frequentò nonostante la strenua opposizione dei parenti; Camille, infine, nonostante la scultura fosse tabù per le donne, fu incoraggiata a formarsi in un atelier. Mentre copiavano dipinti al Louvre, Berthe fu avvicinata da Manet, di cui diventò cognata, mentre Mary fu ritratta da Degas; Camille fu invece presentata sedicenne a Rodin. Anche se questo assicurò loro l’ingresso nei circoli artistici, non ne determinò il successo quanto l’ indipendenza del loro stile: Berthe e Mary interpretarono l’impressionismo celebrando la vita quotidiana in tutte le sue forme. Camille, indomita

e rivoluzionaria, mise invece in discussione le convenzioni sociali e morali, esaltando la parità fra i sessi e scolpendo nudi sia maschili che femminili, uno scandalo essendo lei donna. La sua fine non fu però coronata di riconoscimenti come quella delle altre due, ma con la morte in uno squallido manicomio dopo aver distrutto le proprie opere in preda a crisi psicotiche. Tamara de Lempicka (1898 - 1980)- tra depressione e depravazione Era figlia di polacchi, ma non era nata a Varsavia come sosteneva, ne tantomeno nel 1902. Perchè mentisse, all’epoca non era ben chiaro, ma non è difficile immaginare che, come per D’Annunzio, fosse parte del piano per rendere la sua vita un mito. I due erano in effetti buoni amici e assidui frequentatori dell’elite mondana dell’epoca. La patria d’adozione di Tamara era Parigi, dove era fuggita dopo la rivoluzione bolscevica con il marito e la figlia piccola e dove si dette alla più sfrenata vita bohémien, avendo relazioni indistintamente con uomini e donne e abusando di cocaina. Quando tornava a casa all’alba, poi, metteva Wagner a tutto volume, così da avere l’ispirazione giusta per dipingere: una necessità in effetti, considerato che il marito, caduto in

NOME: Gabriele Cremona PROFESSIONE: Docente di religione AGGETTIVO CON CUI SI DESCRIVE: BIRBANTE 1)Ci dia un’interpretazione personale della frase “impara l’arte e mettila da parte”. Nel senso che poi nella vita la usi, non la metti da parte, diventa un elemento per decifrare l’esperienza. 2)Ci dica un’opera che le dà particolarmente emozioni positive e una negative. Una che mi è sempre piaciuta è quella di Renè Magritte “impero delle luci”, perché secondo me esprime bene la nostra condizione di uomini, dove c’è chiarezza e non chiarezza su alcuni concetti. Angosciante invece è l’urlo di Munch. 3)Cosa pensa dell’arte contemporanea? Mi piace, perché è più vicina alla mia sensibilità e descrive il mistero dell’uomo. 4)Censurerebbe il nudo nell’arte? NO, assolutamente no. Perché fa parte della natura e l’arte è rappresentazione di ciò che c’è in natura.

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ARTE

A cura di Agata Hidalgo e Tiziana Pezzo

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depressione dopo l’arresto da parte dei Soviet, si rifiutò per un periodo di lavorare. Nel 1934, il successo dei suoi quadri in stile Art Déco era diventato così largo da permetterle di dire: “guadagno più di quanto riesca a spendere”. La sua arte era ambigua e libera, come lei: all’inizio incentrata su nature morte e la figura della figlia, concentrata poi su le donne eleganti della metropoli, per approdare a qualche soggetto sacro, al Surrealismo e infine, negli anni Sessanta, dopo la morte in mare del secondo marito, all’Astrattismo del colore steso con la spatola. Scocciata dalle dure critiche, arrivò a giurare che non avrebbe esposto più. Non fu tuttavia così, anzi, lei continuò ad essere un’indiscussa icona di stile. Nonostante potesse permettersi il lusso di girare il mondo e addirittura di lasciare quadri negli alberghi, per ritrovarli al suo seguente soggiorno, da quando il primo marito la lasciò per un’altra la depressione fu l’unica compagna stabile della sua vita.

Marina Abramović (1946- )- “il mio corpo è la mia casa” Dormiva con una pistola sotto il cuscino e non tardava ad alzare le mani. Era un ex maggiore dell’esercito di Tito. La madre di Marina arrivò perfino a denunciare la figlia, ormai adulta, per essere rincasata dopo le 22. Senza esitazioni, Marina lasciò il marito e scappò dalla Serbia con il figlio orfano di un soldato nazista, Ulay. Per dodici anni vissero da nomadi su una Citroen, collaborando in opere di body art. Una cosa della Serbia, però, Marina non l’ha scordata mai: l’autodisciplina. La stessa indispensabile per la riuscita delle sue opere, giocate su “nudità, sessualità e politica”, talvolta autoflagellanti e

che hanno fatto il giro del mondo. Solo per fare qualche esempio, nel ’74, a Napoli, rimase sdraiata a terra per sei ore, circondata da 72 oggetti a disposizione del pubblico- tra questi, una pistola carica, che qualcuno le puntò alla testa: con Rhytm Zero la violenza insita nell’essere umano trovò una prova inconfutabile. Nel ’89, invece, lei e Ulay si incamminarono uno verso l’altro, per 2500 km lungo la Muraglia Cinese, per incontrarsi un’ultima volta prima di lasciarsi definitivamente. A farle vincere il Leone d’Oro alla Biennale di Venezia nel ’97 fu però Balkan Baroque: tre giorni trascorsi a grattare e pulire una montagna di sanguinolente ossa animali, con intorno video e litanie del suo Paese dilaniato dalla guerra. Non più il suo corpo, ma le reazioni degli spettatori furono protagoniste in The artist is present (2010): al MoMA di New York Marina si sedette per

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ARTE

A cura di Agata Hidalgo e Tiziana Pezzo

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giorni a un tavolo, mentre sulla sedia di fronte a lei si susseguivano i visitatori, con le loro facce dubbiose, confuse oppure inespressive davanti al suo sguardo fisso. Gli occhi di Marina persero fermezza quando le si presentò davanti proprio Ulay: i due si strinsero le mani. Cinque anni dopo, lui l’ha citata in giudizio per questioni di copyright delle loro opere in comune. Björk (1965- )- una “betulla”(Björk vuol dire davvero betulla) fra i ghiacci Cercare di classificare la sua musica è un’impresa in cui la critica non è ancora riuscita: c’è chi parla di techno, di punk di industrial, chi di pop alternativo, trip-hop o addirittura soul-jazz. Le sue canzoni mescolano suoni della natura, rumori techno, sinfonie di archi, vocalizzi e gorgheggi della sua voce particolarissima. In realtà bollarla come cantante è riduttivo: la piccola islandese è un artista a tutto tondo, tanto che al MoMA di New York è stata allestita lo scorso anno una mostra dei suoi costumi da scena e ha ricevuto la Palma d’Oro al Festival del Cinema di Cannesper per il film Dancer in the Dark di Lars von Trier. Cresciuta in una comune hippie di Reykjavík, già a sette anni provoca gli adulti chiedendo il perché del loro dolce far niente: è così che diventa iperattiva.

Spiega infatti che la mancanza di luce porta gli islandesi a tendenze depressive, che possono essere contrastate solo con un’arte esuberante e ribelle, come la sua “Violently Happy” (1993), ma anche con una sensualità ingorda e, perché no, una voracità smodata (lei riesce a mangiare intere bistecche crude). Il suo nono e ultimo album, Vulnicura (2015), racconta in un’intera ora la fine della sua ultima storia d’amore. E’ la sua raccolta più ambiziosa e monumentale, ma anche difficile da apprezzare: è intellettuale, lenta, priva di ritmo, bizzarra, desolante. Un po’ come lei insomma.

NOME: Concetta Tatullo PROFESSIONE: Docente di storia dell’arte AGGETTIVO CON CUI SI DESCRIVE: PESANTE 1)Ci dia un’interpretazione personale della frase “impara l’arte e mettila da parte”. Impara qualsiasi tipo di lavoro da quanto sei piccolo, in famiglia, e poi lo metti da parte perché nella vita ti può servire. E poi qualsiasi cosa che capita nella vita può sempre tornare utile. 2)Ci dica un’opera che le dà particolarmente emozioni positive e una negative. Quelle di Picasso mi danno emozioni positive; mentre qualche opera romantica negative. 3)Cosa pensa dell’arte contemporanea? BELLISSIMA. Perché è un nuovo modo di comunicare e ci fa fare delle domande, quindi il cervello si mette in funzione e siamo stimolati a non restare passivi. 4)Censurerebbe il nudo nell’arte? NO! Ma scherziamo?! E’ la parte più interessante del conoscersi, perché si comincia dall’esterno; come facevano i Greci che raffiguravano il corpo nudo perché faceva vedere l’interiorità della persona. Il nudo è la comunicazione non verbale.

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MUSICA

A cura di Le zia Sanchioni

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BELE BESTIE! Storie di piccoli talenti musicali

Intervistare una band non è facilissimo, ma può essere divertente, soprattutto se i componenti sono artisti alle prime armi e se questi ragazzi ti mettono subito a tuo agio facendoti ascoltare orgogliosi le loro composizioni (mi hanno stupito: mi sono piaciute tantissimo entrambe le band). Sto parlando di due gruppi formati da ragazzi della nostra scuola: i DEATHROES e i COSY IN THE DARK. Ve le presento quindi, non si sa mai che dopo questo articolo vogliate conoscerli e diventare loro fans. Non mi stupirebbe: per questi musicisti si potrebbe impazzire! DEATHROES Marco Cianciotta: chitar r a solista Giorgio Trussardi: basso Andrea Galliani: chitarr a r itmica e voce Matteo Giudici (Mathieu): batter ia Il gruppo nasce dalle ceneri di altri progetti non andati in porto, dai quali provengono Giorgio e Matteo. Marco e Andrea, invece, sono entrati successivamente, uno grazie ad amici, l’altro perché incuriosito dal post scritto sulla pagina Facebook del Federici che diceva che cercavano disperatamente un chitarrista ritmico. Il nome è dovuto al susseguirsi di varie e travagliate vicende per le quali è stato sbattuto fuori l’ex chitarrista. Il risultato è “Deathroes” e non è altro che l’unione di due parole: “Death Throes”, letteralmente “contorsioni mortali”. Tale scelta è dovuta ad una questione grafica: il doppio “th” non rendeva il nome facile da leggere. “Ci vediamo quando torno è il nostro motto: ed è ciò che aveva detto l’ultimo chitarrista prima di essere licenziato. Non è più tornato.” Che genere fate? “Diciamo che trovare un nome è un po’ difficile. Ci sono un sacco di sottogeneri del metal, molto differenti tra loro, noi facciamo qualcosa che non è facile da catalogare, è un po’ thrash metal però con l’aggiunta di parti melodiche. Ma il genere uno non se lo deve creare, sono gli altri che devono stabilirlo.” Che emozioni provate quando suonate? “In generale quando suoni in gruppo e vedi la canzone che hai scritto prendere vita, ti senti soddisfatto.” Marco aggiunge: “Personalmente suonare è una dolce dipendenza, devo farlo praticamente tutti i giorni, senza vado in astinenza”. Andrea, invece, sostiene:“Quando suoni davanti a qualcuno inizialmente ti senti agitato, pensi di sbagliare tutto, ma poi le note ti riescono e, alla fine di tutto, sei rilassato.”“Con gli strumenti esprimi le sensazioni del momento: se sei arrabbiato suoni in un certo modo, se sei tranquillo in un altro. Non è una sensazione che trasmetti a parole o scrivendo, ma solo con il suono. È anche una sorta di sfogo.”

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MUSICA

A cura di Le zia Sanchioni

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Cosa significa e cosa comporta per voi fare parte di una band? “Tanto lavoro, impegno e dedizione”. “Io dedico quell’oretta alla settimana, mi chiudo nella mia lavanderia, in mezzo alle scarpe e alla lavatrice che va, faccio WASHmetal, però ne vale la pena” dice il cantante. Vi piacerebbe continuare a suonare fino a farne un mestiere? “Si, è quello che vorremmo fare, anche se sappiamo che essendo italiani è difficile. A livello internazionale ci sono pochi gruppi del nostro paese che, tra l’altro, non riscuotono un particolare successo. Noi non pretendiamo di diventare famosi, ma sarebbe una bella soddisfazione sapere che qualcuno ascolta la nostra musica per divertirsi”. CONTATTI Facebook: Deathroes Posso confermare che questi ragazzi sono ossessionati dai loro strumenti, durante l’intervista non li hanno mai mollati, facendo trasparire il loro attaccamento, quasi come se fossero le loro ragazze! COSY IN THE DARK Federico Maver: chitarr ista e armonica Matteo Bonati: basso Alex Rivellini: voce e chitarra Enrico Torri: tastiera e voce Matteo Giudici (Mathieu): batter ia Sono ormai trascorsi nove mesi dalla fondazione della band Cosy in the Dark (“Confortevoli nel buio”). “Volevamo trovare un nome che si potesse ricordare facilmente” spiega il bassista Matteo. “E così arrivata l’idea I Cosi: proprio per dire ‘Stasera suonano i cosi’. L’abbiamo poi mutato nell’inglese “Cosy” aggiungendo “in the Dark”. Ci sembrava un’idea convincente fra le altre proposte.” La band nasce dalla conoscenza di Alex e Federico, che hanno poi allargato la proposta ad amici e compagni di scuola. “All’inizio non ci conoscevamo, ci temevamo persino. Adesso semplicemente suoniamo, abbiamo un buon rapporto”. Provano mediamente un paio di volte a settimana, con l’obiettivo di suonare dal vivo cover e pezzi propri appartenenti a quel Rock per il quale hanno iniziato a parlare uno sopra l’altro, ognuno dicendo la propria su quale genere suonino. Ufficialmente suonano “Tutto, ma non metal”, senza nulla togliere ad un genere che comunque apprezzano. La musica dei Cosy in the Dark è quindi un Rock ‘n Roll

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MUSICA

A cura di Le zia Sanchioni

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influenzato da sfumature di generi differenti. Per un motivo a me ancora sconosciuto, il loro motto è Bele Bestie; non nascondo che sia stato l’occasione di molte risate, come dimostra la registrazione dell’intervista. “Ma per il motto hai scritto seriamente Bele bestie?”Ops. Quando provate, che cosa volete trasmettere ai vostri spettatori? “Carica, energia positiva, passione e voglia di bere”. Io mi sono presentata con una birra: credo di rientrare nei loro canoni . Cosa vi spinge a suonare, a continuare ad avere una band? “Il piacere di far ascoltare al pubblico il risultato del nostro lavoro, del tempo impiegato a suonare insieme: possiamo dire di avere un talento, e poi ci divertiamo come dei matti. È meglio suonare insieme, avere qualcuno con cui condividere la propria passione. Suonare con altri permette, forse più efficacemente, di comunicare una passione che va coltivata per arrivare a risultati soddisfacenti.” Se suonate davanti a spettatori, avete paura o vergogna? Senza macchia e “senza paura, un po’ di ansia da prestazione, agitazione forse”. “Ci piacerebbe continuare per arrivare a un livello localmente abbastanza affermato, suonando dal vivo quasi ogni fine settimana. Essere sulla bocca di tutti è possibile ma molto difficile; tuttavia sarebbe bello arrivare a fare della nostra passione un mestiere, essere riconosciuti almeno a livello nazionale”. Dove avete già suonato? “Dalla scorsa estate ad oggi abbiamo suonato a diverse feste a San Paolo e Cenate Sopra, ma anche in locali come il Dieci10 di Grassobbio, lo Sputnik di Bergamo, il Legner di Monasterolo, Il Birrino di Lovere. Ma diciamo che il periodo in cui ci esibiamo in pubblico è adesso. Tra le risate aggiungono: “Scrivi che abbiamo sfiorato l’occasione di suonare alla Sagra del Bollito!” Il consiglio dei nostri musicisti? “Se ti piace la musica, hai talento e sei disposto a faticare, sei sulla strada giusta: provaci”. CONTATTI Facebook e Instagram: Cosy in the dark Sito Web:http://cosyinthedarkband.wix.com/cosyinthedark Grazie ragazzi, anche per avermi fatto apprezzare generi che abitualmente non ascolto. Vi auguro di raggiungere i vostri obbiettivi e realizzare i vostri sogni.

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MUSICA

A cura di Le zia Sanchioni

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Bomber non solo in campo Giudizi affrettati?

La figura del calciatore moderno è spesso vittima di (pre)giudizi gratuiti, legati a considerazioni di tipo economico o comportamentali. Molti dicono che si montano la testa per via del successo e del denaro, altri invece affermano che non sanno aiutare il prossimo e che pensano solo a se stessi. Credo che tutti voi conosciate Francesco Totti, il bomber numero 10 della squadra della nostra capitale. Sicuramente sulle sue prestazioni calcistiche il dibattito è sempre aperto, dal selfie scattato alla fine dell'ultimo derby capitolino, alla pubblicità occulta per il

cellulare che ha usato e ai flop in campo, ma per le qualità da benefattore c'è davvero poco spazio alla controversia. Il capitano della Roma, fuori dal campo, è da sempre un esempio, non solo per il suo ruolo di padre amorevole e per la sua simpatia, ma soprattutto per la "vocazione filantropica" che da sempre lo contraddistingue. In fatto di beneficienza ha infatti molto da insegnare: ha voluto dare il suo contributo all’ l'Unicef, sin dal 2003, e anche per attività svolte privatamente. È stato più volte protagonista di iniziative umanitarie molto importanti, come, ad esempio, la donazione di parte dei proventi legati alla

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SPETTACOLO

A cura di Dafne Bellini

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vendita del libro Tutte le barzellette su Totti raccolte da me, oppure sostenendo una campagna per la raccolta fondi contro la mortalità infantile nel mondo, denominata ''VOGLIAMO ZERO'': “Sono qui per aiutare Unicef. Basta un semplice vaccino per salvare una vita!” recitava Totti in uno spot. Inoltre, non dimentichiamo, che i diritti della diretta televisiva del suo matrimonio con Ilary Blasi sono stati interamente devoluti in beneficienza al canile Porta

Portese, mentre i guadagni incassati sul personaggio di ''Papper Totti'', ispirato al capitano, apparso sul giornale di fumetti Topolino, sono stati anch'essi devoluti in beneficienza. Oggi si scopre un atto a dir poco commovente a cui Francesco ha voluto dare il suo contributo. Dietro questa foto si nasconde la piccola Chanel, non la figlia, ma una bambina che il giocatore ha voluto aiutare. I due si sono conosciuti nel settembre 2014, in occasione di Parma-Roma. Totti era venuto a sapere della fibrosi aggressiva che affliggeva la bambina e della difficile situazione economica dei genitori, i quali non riuscivano a sostenere il costo delle cure mediche assai dispendiose. Il bomber non c'ha pensato due volte: ha immediatamente manifestato la sua volontà di contribuire alle spese mediche della bimba e così è stato. Circa un anno dopo eccoli di nuovo insieme all'aeroporto di Boston, anche se per ragioni differenti: Totti infatti era in viaggio per la tournée estiva con la sua Roma, mentre la piccola Chanel doveva sottoporsi alle costose cure mediche che le permettono di superare l’aggressiva fibrosi. "Incontrare uno dei nostri sostenitori in aereo... Ed essere riconosciuti..." così la mamma della bimba commenta sotto la foto della figlia con Francesco Totti, ringraziandolo per il sostegno e per il grande cuore che ha avuto nei confronti di Chanel. Notizie come queste non generano la stessa attenzione mediatica come un calcio rifilato all'avversario o un diverbio con l'arbitro di turno, ma senza alcun dubbio mostrano il GRAN CUORE DEL CAPITANO DELLA ROMA.

NOME: Oriana Maria Agnese Cristinelli PROFESSIONE: Docente di lettere AGGETTIVO CON CUI SI DESCRIVE: SEMPLICE 1)Qual è il personaggio della televisione italiana che stima di più? E il programma televisivo che preferisce? Innanzitutto non ho la televisione a casa, guardo solo qualche programma in streaming; comunque pensando a un presentatore mi piace molto Fazio, perché il programma che conduce è serio e propositivo, inoltre stimo anche la giornalista Milena Gabanelli. Quindi i miei programmi preferiti sono “Report” e “Che tempo che fa”. 2)Quale caratteristica dovrebbe avere un VIP per essere un sex symbol ideale? La bellezza assoluta non esiste quindi deve essere accattivante, deve evocare qualcosa, e possibilmente deve trasparire intelligenza. 3) Permetterebbe a sua figlia di partecipare a “Veline” o a suo figlio di fare il calciatore? NO. Beh lo sport, se fatto seriamente è un’attività nobile, anche se, per sentito dire, il calcio non viene più vissuto come un’esperienza sana; mentre la velina è proprio un’idea che non riesco a concepire, però le permetterei di fare la fotomodella o l’attrice se frequentasse un corso di formazione. 4) Qual è, secondo lei, l’utilità del Gabibbo? Beh, è simpatico!

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SPETTACOLO

A cura di Gloria Terzi

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Tra palco e diplomazia Ormai il web ha preso la sua decisione: Emma Watson deve soggiornare presso il campo profughi a Calais per una settimana, senza scorta, per "mostrare quanto questi migranti siano innocui e femministi", come alcune righe della petizione riportano. Tutto questo è partito nel momento in cui Emma ha postato un tweet in cui Alan Rickman, scomparso a gennaio di quest’anno, elogia il femminismo e il web si è riempito di haters per attaccarla, anche se non ce n’è motivo: già si sapeva quanto Emma fosse attiva per promuovere la parità di genere. Nel luglio del 2014, infatti, è stata nominata

Goodwill Ambassador (ambasciatr ice di buona volontà) nella sezione delle Nazioni Unite che si occupa di eliminare la disparità di genere. E la ragazza ha preso sul serio questo ruolo, lanciando la campagna HeForShe (LuiPerLei) che si prefigge l'obiettivo di coinvolgere il maggior numero possibile di ragazzi e uomini per diventare sostenitori della parità di genere. Nel suo discorso dopo la nomina ad ambasciatrice ha infatti dichiarato che la parità di genere è un problema che tocca anche gli uomini, invitandoli a fare un passo avanti e a chiedersi "se non ora, quando?". Alle parole poi si sostituiscono i fatti: al World Economic Forum a Davos (Svizzera) ha annunciato IMPACT 10x10x10, un progetto della durata di un anno che coinvolge i mondi politico, industriale e universitario come strumenti per trasmettere la parità di genere grazie alla grande influenza che giocano sulla società. Emma però non è solo questo, è anche e soprattutto un'attrice. Tutti la conoscono per l'interpretazione nella saga di Harry Potter di Hermione Granger, una delle “menti più brillanti del suo corso”. E’ questo lavoro che le ha portato tanta fortuna, aprendole le porte al mondo del cinema per poter interpretare ruoli più impegnativi, come nei film Noi siamo infinito e Bling Ring, che le hanno fatto vincere svariati premi. Ha anche fatto parte del mondo della moda, posando per molte riviste e riuscendo così ad ottenere il Best British Style nel 2014. Sembra quasi che soltanto lei possa fare tutto, ma questo non implica farlo adeguatamente o bene. Portare avanti sia la carriera diplomatica sia quella cinematografica richiede un impegno e uno sforzo tali da non poter essere eseguiti contemporaneamente se si vuole avere la garanzia di ottenere un buon risultato; è necessario scegliere su quale aspetto concentrarsi di più. Quindi Emma, visto che hai deciso di concederti una pausa dalle scene, prenditi tutto il tempo per riflettere sul tuo futuro e sappi che qualunque strada intraprenderai ci saranno sempre gli haters ad aspettarti dietro l'angolo.

NOME:Francesco Pellegrini PROFESSIONE: Docente di scienze AGGETTIVO CON CUI SI DESCRIVE: VOLENTEROSO 1)Qual è il personaggio della televisione italiana che stima di più? E il programma televisivo che preferisce? Qualche giornalista come Giannini o Floris, e il programma che più mi piace è “Report” perché è a mio parere oggettivo, serio e anche coraggioso. 2)Quale caratteristica dovrebbe avere un VIP per essere un sex symbol ideale? Intelligente e con lo sguardo sincero. 3) Permetterebbe a sua figlia di partecipare a “Veline” o a suo figlio di fare il calciatore? Ma io ho figli grandi, quindi decidono loro! Le scelte devono essere sempre loro, magari li farei riflettere su certi aspetti dell’essere velina. 4) Qual è, secondo lei, l’utilità del Gabibbo? E’ simpatico però dovrebbe essere un personaggio di denuncia sociale.

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SCUOLA

A cura di Agata Hidalgo

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La moda e' fatta per

ANDARE FUORI MODA Coco Chanel non aveva tutti i torti: ''La moda è fatta per andare fuori moda''. In fondo è proprio così: la moda è in continua evoluzione, cambia di stagione in stagione, di anno in anno. La moda è una tendenza, e la tendenza è il risultato delle vendite. Ma cosa significa ''essere alla moda''? Il termine “moda” indica un fenomeno sociale riguardante comportamenti collettivi, inerenti l’estetica e il modo di porsi; è l’affermazione – seguita dalla diffusione – in un preciso tempo e luogo, di modelli estetici e comportamentali condivisi. In poche parole, la moda è un ''movimento'' che, se non tutti, la maggior parte delle persone segue come tendenza. Molto spesso la moda è legata ad un semplice desiderio di piacere, in nome di un senso estetico, ma la domanda che sorge spontanea, parecchie volte, è: ci si veste in modo trendy, solo ed esclusivamente, per se stessi? Se si cammina per le strade, si nota una certa somiglianza fra ragazze, ragazzi, adolescenti e non. Ovviamente non mi riferisco all'aspetto fisico, ma al modo di comportarsi, vestirsi, e anche nel modo di camminare. Al giorno d'oggi questo fenomeno si allarga e coinvolge una larga vastità di settori, infatti il termine ''essere alla moda'' si adatta a diversi casi, monitorati dalla società.

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MODA

A cura di Dafne Bellini

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Società. Parola grossa. Ma chi è questa società? I grandi brand del settore dettano le tendenze della stagione su qualsiasi tipo di supporto: riviste, cartelloni pubblicitari, spot, film, tv. Con queste campagne di marketing così aggressivo, le idee delle persone vengono completamente manipolate: si vedono sfilare in passerella i prototipi di perfezione, quella perfezione irraggiungibile e che tanto bella, poi, non è; i ragazzi sono imbottiti di un ideale di massa, che se non hanno quel modello di cellulare, quel modello di scarpe o quel colore di capelli, sono considerati strani e si guardano con occhi diversi. Siamo completamente manipolati da questi grandi settori che ci fissano delle strade da seguire. La conclusione? La conclusione è che ci ritroviamo ad essere tutti uguali, senza nostri pensieri e a seguire i ''leader'' che impongono regole sulla moda di oggi. “Se una donna è mal vestita si nota l'abito, se è vestita impeccabilmente si nota la donna”- Coco Chanel. In fondo noi guardiamo e classifichiamo le persone per il modo di vestirsi, e non per il modo di essere. Dobbiamo essere capaci ad andare oltre le apparenze senza giudicare negativamente una persona per il suo look eccentrico. Quante volte per strada ci giriamo perché, tra la folla, notiamo una persona dalla chioma blu, piercing e vestiti dark, senza attribuirle aggettivi negativi? La vediamo diversa da noi e con la testa in un' altra dimensione, quando, molto probabilmente, è la persona più normale su questo mondo. Magari usa il look eccentrico per nascondere la sua timidezza, usandola come scudo tra la gente. La società ci manipola facendoci credere che i modelli in passerella siano il prototipo da seguire. Ora, non voglio sembrare una falsa moralista, anch'io indosso quei vestiti. Ma per quanto mi riguarda, la moda non è importante. La moda spesso significa apparire e basta. Nella moda, l'elemento che importa realmente è lo STILE: è quello che sei, quello che ti rappresenta, è il nostro biglietto da visita. Lo stile è ciò che siamo dentro, è lo specchio della nostra personalità. Lo stile non significa tendenza, non significa ''cosa va di moda''. Lo stile è molto più importante della moda perché è versatile e può essere personalizzato. Avere un proprio stile fa si che le persone che ti guardano percepiscano che tu sei una persona con una personalità e sicura di se stessa. In poche parole, la MODA è il senso dell'APPARIRE, mentre lo STILE è l'ESSERE. Personalmente, credo che seguire la moda non sia un atteggiamento negativo; tuttavia, come tutte le cose, è importante non andare fuori di sé, rinunciando alla propria personalità. E’ quindi fondamentale essere sempre consapevoli delle proprie scelte, interpretando il fenomeno ed adattandolo secondo le necessità di ciascuno con consapevolezza ed indipendenza, cercando di evitare di compiere atti controvoglia, basati semplicemente sull’influenza altrui.

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SPORT

A cura di Pierfrancesco Modica

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I CAMPIONI CHE VERRANNO

- Ciao Pietro.

- Ciao Pier.

- Parlaci un po’ di te.

- Mi chiamo Pietro Papetti e frequento la terza linguistico a Trescore. Non ne ho molto, ma nel mio tempo libero mi piace ascoltare molta musica e leggo il più possibile, anche se la mai più grande passione resta il pattinaggio, che pratico con la mia partner Francesca Righi di Monza (15 anni).

- Che sport pratichi e cosa ti ha spinto a sceglierlo?

- Io pratico danza su ghiaccio, che è in un certo senso il ballo di coppia trasportato sul ghiaccio, anche se con gli anni si è evoluto distaccandosene molto per via dell'aggiunta di molte regole tecniche. Quando avevo 5 anni mia sorella, che ne aveva sei, decise di iniziare a pattinare, così io e mio fratello minore, credo per gelosia, anche se non ricordo molto, decidemmo di praticare a nostra volta questo sport.

- Cosa ti appassiona maggiormente di questo sport?

- Quando sono sul ghiaccio mi sembra di volare, mi dà una sensazione di leggerezza e libertà che nient'altro riesce a darmi.

- Quali sono i tuoi obbiettivi per l’immediato futuro e quali per quello prossimo?

-Per ora non ho grandissime ambizioni per il futuro perché io e la mia partner siamo ancora giovani, in questo momento è importante crescere e fare esperienza, il nostro obbiettivo per quest’anno è stato quello delle Olimpiadi giovanili di Lillehammer 2016 e quindi, avendolo già svolte, cercheremo di migliorarci sempre più in vista delle gare future, una delle quali i Campionati Mondiali junior 2017.

- Vedi il saltare molte lezioni a causa di allenamenti e gare come un peso? Come riesci a conciliare scuola e impegni?

- Conciliare scuola e sport non è mai facile, ma non impossibile: io non vado benissimo a

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SPORT

A cura di Pierfrancesco Modica

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scuola, ma questo non è dovuto allo sport: mia sorella, per esempio, è impegnata quanto me con il pattinaggio, eppure va molto bene a scuola. A volte è faticoso, ma mai pesante perché sto realizzando un sogno.

- Perché pensi che gli sport maggioritari come il calcio o il basket siano calcolati più del pattinaggio?

- A questo non so rispondere; penso che bisognerebbe studiare la storia di ognuno di questi sport per capirlo, il calcio secondo me però è così famoso perché per giocarci basta avere una palla, così come il basket.

- Puoi spiegarmi le differenze fra il pattinaggio italiano e quello russo o statiunitense?

- La differenza sta semplicemente nel fatto che loro hanno la cultura del pattinaggio come noi l'abbiamo del calcio, questo li porta a interessarsi molto di più al pattinaggio e specialmente all'hockey.

- Ottimo, l’intervista finisce qui. Ti rinnovo i miei ringraziamenti e ti faccio tanti auguri per le tue prossime gare. A presto.

- A presto.

NOME: Agostino Amato PROFESSIONE: Operatore scolastico (bidello) AGGETTIVO CON CUI SI DESCRIVE: DISPONIBILE 1)Qual è stato il film che più l’ha sorpresa e quello che più l’ha delusa? Quello più deludente è stato “21 grammi”; quello che mi ha più sorpreso in realtà non è un film, ma una serie televisiva: “Il Trono di Spade”. 2)E’ più da “Star Wars” o “Checco Zalone”? Direi nessuno dei due, perché di Star wars non mi piace il genere, mentre di Checco Zalone ne ho visti due, ma con tutto questo polverone che si sta alzando me lo stanno quasi facendo odiare; quindi mi sono opposto alla visione del film. 3)In quale personaggio cinematografico si identifica maggiormente? Certe volte mi identifico in Fantozzi perché faccio delle cose che sono davvero “fantozziane”! Però mi piacerebbe essere Schindler per fare qualcosa di importante. 4)Qual è l’attrice più attraente secondo lei? Keira Knightley

NOME: Fernando Andrés Ceravolo PROFESSIONE: docente di spagnolo AGGETTIVO CON CUI SI DESCRIVE: PACIFICATORE 1)Qual è stato il film che più l’ha sorpresa e quello che più l’ha delusa? Il film che più mi ha sorpreso s’intitola “Non lasciarmi”, preso da un romanzo di Kazuo Ishiguro, perché parla di una realtà distopica nel quale i protagonisti sono cavie ispirate al modello della pecora Dolly. Quello che più mi ha deluso è stato l’ultimo “Star Wars” perché non segue la trama degli episodi anteriori. 2)E’ più da “Star Wars” o da “Checco Zalone”? Da “Star Wars” perché è stata una delle colonne portanti della mia infanzia ed è stato uno dei primi film che ho visto al cinema, poi non mi piace la comicità volgare di Checco Zalone. 3)In quale personaggio cinematografico si identifica maggiormente? Il film si chiama “Mister Nobody” e il personaggio si chiama Nemo; perché mostra una fase della vita nella quale mi identifico molto. 4)Qual è l’attrice più attraente secondo lei? Penelope Cruz perché è spagnola.

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SPORT

A cura di Francesco Elia

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Cos’è calisthenics?

Calisthenics è una disciplina che consiste nell’allenamento del proprio fisico attraverso esercizi esclusivamente a corpo libero. Nasce come pratica outdoor , nei parchi o sul lungomare, dal momento che sono necessarie solo sbarre, parallele o gabbie particolari adatte all’esecuzione di tali esercizi. Man mano che l’interesse per questa pratica saliva, calisthenics è diventato anche indoor in apposite palestre. Sebbene possano sembrare allenamenti impossibili per le posizioni da mantenere o il poco tempo di recupero concesso, tutti- e dico tutti- sono in grado di intraprendere un tale cammino atletico, anche le donne! L’ allenamento può essere davvero vario a seconda delle proprie possibilità e degli obiettivi che ci si è prefissati, ma in generale si potrebbe suddividere calisthenics in due grandi rami: sport e fitness. Nel primo caso ci si orienta verso lo sviluppo delle cosiddette performances e skills come la planche, la human flag (bandiera), la handstand (verticale) o i muscle-up. Mentre nel secondo caso si va più incontro alle esigenze di tutti dando loro accesso ad un repertorio di esercitazioni più semplici. Quindi, in quest’ultimo caso, si allenano velocità, resistenza, si punta alla perdita di peso, si migliora la postura e si prevengono gli infortuni. Ciò che accomuna i due filoni sono la mobilità, la flessibilità e il core (fondamenta del nostro sistema corpo). Sicuramente non importa da che livello si parta, perché in ogni caso grazie a questa pratica tutti conseguiranno, attraverso un percorso di crescita e di apprendimento motorio, un miglioramento della forma fisica e del benessere psicofisico. Ma c’è qualche differenza con la palestra così come la si intende? Nel collettivo generale, quando si pensa alla palestra ci vengono in mente pesi su pesi, bilancieri, manubri, cavi, ciclette, corde e ancora una volta pesi. La vasta gamma di esercizi che calisthenics invece offre sono dal primo all’ultimo a corpo libero e di conseguenza tutto questo materiale non è assolutamente necessario. Non ci si trova vincolati non solo da tali attrezzature, ma nemmeno dall’obbligo di pagare un abbonamento per una palestra che spesso non è sempre possibile frequentare per impegni personali o imprevisti. Ed infine l’aspetto più importante: non sarete più costretti a rinchiudervi in un luogo spesso affollato a tal punto che risulta difficile perfino allenarsi; infatti quale cosa migliore di fare tutto ciò all’aria aperta, magari davanti a un panorama mozzafiato (oceani, laghi, montagne, boschi, spiagge…)? Sembra assurdo, ma anche il contesto in cui ci si immerge gioca un ruolo fondamentale, dal momento che concorre al raggiungimento di quell’equilibrio mentale e interiore che si rifletterà poi in positivo sul proprio allenamento, migliorando le proprie prestazioni. Quindi, se volete sentirvi meglio con voi stessi fisicamente e mentalmente, ma non sapete come fare, datevi al corpo libero. Non ve ne pentirete!

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SPORT

A cura di Francesco Elia

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Di seguito un piano d’allenamento accessibile proprio a tutti.

Step 1 Step 2 Step 3

Plank sui gomiti Posizionati a terra sui gomiti e le punte dei piedi. Gambe tese in linea con il busto. Contrai addome e glutei in modo da ruotare il bacino indietro. Mantieni la posizione.

3 serie 60 secondi

4 serie 60 secondi

5 serie 60 secondi

Hollow semplice Sdraiati supino a terra o su una panca. Solleva gambe e Braccia come in foto mantenendo la bassa schiena aderente al pavimento e l’addome contratto. Mantieni la posizione.

3 serie 60 secondi

4 serie 60 secondi

5 serie 60 secondi

Knee push-up Dalla posizione a braccia distese e ginocchia a terra come nelle foto esegui i piegamenti mantenendoti ben saldo a livello dell’addome.

3 serie 12 ripetizioni

4 serie 12 ripetizioni

5 serie 12 ripetizioni

Rowing Afferra una sbarra o delle corde formando a braccia distese un angolo di circa 45° con il suolo. Petto in fuori, corpo in linea, addome contratto. Esegui le trazioni.

3 serie 12 ripetizioni

4 serie 12 ripetizioni

5 serie 12 ripetizioni

Affondi per dietro sx-dx Effettua gli affondi per dietro mantenendo sempre la tibia perpendicolare al terreno, bassa schiena inarcata e busto leggermente inclinato in avanti.

3 serie 12 ripetizioni

4 serie 12 ripetizioni

5 serie 12 ripetizioni

Jumping jack(A)- mountain climber(B)

3 serie A 20 ripetizioni + B 20 ripetizioni

4 serie A 20 ripetizioni + B 20 ripetizioni

5 serie A 20 ripetizioni + B 20 ripetizioni

Per tutti gli esercizi tra una serie e l’altra il recupero è di un minuto. Mentre tra un esercizio e l’altro tre o quattro minuti

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ECOLOGIA

A cura di Elena Barboni

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Ieri sera ho pianto per la Terra

Brasile Il 5 novembre 2015 sul Brasile si è abbattuta una catastrofe. Precisamente nel villaggio di Bento Rodrigues a Mariana, nella regione di Minas Gerais, due dighe contenenti residui industriali di lavorazione mineraria sono crollate, liberando una quantità senza eguali di liquidi tossici. Più di 50 milioni cubi di fango altamente nocivo, a causa della presenza di sostanze chimiche come il mercurio, hanno investito animali, vegetazioni e popolazioni intere, causando danni ambientali forse pari solo al disastro del Golfo del Messico, come afferma la Presidente brasiliana Dilma Rousseff. Alle industrie imputate è stato richiesto un primo risarcimento di 260 milioni di dollari, al quale ne seguirà un successivo essendo stata riconosciuta la prima rata troppo esigua per coprire i danni subiti. Si prevede che le conseguenze saranno altrettanto catastrofiche: riduzione della fertilità dei terreni agricoli, alterazioni dei corsi dei torrenti, abbassamento dei livelli di ossigeno nell’acqua (al punto che già molti animali, sia acquatici che terrestri, stanno morendo per asfissia) e contaminazione delle coste, una delle poche aree di nidificazione delle tartarughe marine, una specie a rischio estinzione e particolarmente sensibile ai cambiamenti chimici nelle acque. Per tentare di ridurre i tassi di estinzione delle specie animali colpite, è stata avviata l’operazione “Arca di Noè”, alla quale prenderanno parte pescatori specializzati e associazioni ambientalistiche. Nel 2052 Tra esattamente 36 anni si stima che negli oceani sarà presente più plastica che pesci. Attualmente le acque terrestri contengono almeno 165 tonnellate di rifiuti plastici per un totale di almeno 8 tonnellate riversate annualmente nei mari, pari quindi ad un camion intero di rifiuti al minuto. Si giunge perciò ad una stima di almeno una tonnellata di plastica ogni tre tonnellate di pesci. Porter Ranch Nelle vicinanze di Los Angeles, più precisamente nella cittadina di Porter Ranch, già dalla fine dell’ottobre 2015 nell’aria sono state emesse più di 50 tonnellate di metano all’ora. Il tutto sarebbe provocato da una falla nel sistema di stoccaggio di gas naturale a Aliso Canyon, nella Valle di San Ferdinando. Secondo l’azienda Southern California Gas le perdite potrebbero continuare ancora per mesi. Seppur non visibile ad occhio nudo, il metano sta provocando danni irreversibili all’ambiente e alla popolazione. Esso è, infatti, causa di asfissia, di sanguinamento di naso e gengive e di mal di testa. Svariati quartieri della cittadina sono stati, difatti, già evacuati. Oltre ad essere esplosivo, poi, il metano è 84 volte (nell’arco di 20 anni) più potente del biossido di carbonio come gas serra. Finora la fuga di gas sta avendo lo stesso impatto ambientale delle emissioni di gas di 7 milioni di auto al giorno.

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ECOLOGIA

A cura di Elena Barboni

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IL SONAGLIO DEL VENTO

IL NECESSARIO 21 conchiglie 32 perle o perline di qualsiasi genere (diametro minimo 0.8mm) 8 gusci di lumachine almeno Spago Cartoncino (di qualsiasi colore) Mezza noce di cocco (facoltativo) Chiodo e martello Asse di legno (non troppo grande) LO SVOLGIMENTO PRIMA Prima di cominciare ad assemblare il sonaglio, è necessario

bucare tutte le conchiglie per potervi infilare poi lo spago Su di un’asse di legno appoggiate una conchiglia al rovescio Prendete un chiodo e puntatelo nel punto in cui volete fare il buco Con il martello, quindi, cominciate a dare qualche colpo leggero sul chiodo, facendo attenzione a

non rompere la conchiglia (non preoccupatevi, è molto probabile che ciò avvenga) Una volta bucate tutte le conchiglie possiamo procedere alla creazione del sonaglio DOPO Tagliate 6 fili di spago della stessa lunghezza (70 cm circa l’uno) Create un nodo, abbastanza spesso per far sì che la perla non scivoli, al fondo di ogni filo,

lasciandovi al di sotto almeno 1cm di spago Inserite la prima perla e verificate che il nodo non vi passi attraverso Inserite, quindi, la prima conchiglia Fate il secondo nodo ad una distanza di almeno 5 cm dal nodo sottostante e inserite un’altra

conchiglia Fate lo stesso procedimento solo per cinque fili Nell’ultimo filo rimasto, invece, potete infilare, a scelta, sia le perle che i gusci di lumaca. Nel caso

in cui vogliate utilizzare le perle effettuate i nodi ad una distanza di almeno 3 cm gli uni dagli altri e infilate una perla sopra ciascuno di essi. Se, invece, volete utilizzare i gusci di conchiglia, è necessario bucare precedentemente tutti i gusci per poi poterli infilare; lasciate anche qui una distanza di almeno 3 cm tra un nodo e l’altro

Una volta sistemati tutti i fili con conchiglie e perle, ad una distanza di almeno 10 cm dall’ultima conchiglia/perla (potrebbe essere il caso del sesto filo), create un altro nodo e inseritevi una perla

Prendete il cartoncino e ritagliatevi un cerchio dal diametro di circa 8 cm (nel caso in cui, invece, vogliate utilizzare anche la noce di cocco, controllatene prima il diametro e verificate che il cerchio di cartoncino vi ci stia)

Effettuate 6 buchi nel cerchio di cartoncino, uno centrale e 5 attorno Una volta creati i nodi e infilate le perle in ogni filo, infilate il filo con i gusci di lumaca/perle nel

buco centrale del cartoncino, mentre nei 5 circostanti mettete i fili con le conchiglie Infilate un’altra perla per ogni filo sopra il cartoncino senza effettuare ulteriori nodi Unite, poi, tutti e 6 i fili e infilatevi un’ultima conchiglia A 5 cm dalla conchiglia, quindi, effettuate un ultimo nodo creandovi, però, un’asola per poter

appendere il sonaglio, eventualmente con una puntina o con un chiodo Se non avete a disposizione una noce di cocco, il sonaglio termina qui; al contrario, se disponete,

quindi, di una noce di cocco, fatevi un buco e infilatevi il filo finale. Il vostro sonaglio del vento è pronto per essere appeso!

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