Liceo Galileo Galilei, Caselle di Selvazzano (PD) giugno 2017, N°1 · era da ristoro alle ore...

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1 Liceo Galileo Galilei, Caselle di Selvazzano (PD) giugno 2017, N°1

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Liceo Galileo Galilei, Caselle di Selvazzano (PD) giugno 2017, N°1

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Buongiorno ragazzi,

siamo Luca e Cristian, i due caporedattori di questo nuovo Sidereus

Nuncius!

Siamo felici di essere riusciti a pubblicare questo primo numero del

giornalino prima della fine dell’anno, viste le infinite difficoltà affrontate

nel corso di questa “rifondazione”.

In questi mesi abbiamo raccolto recensioni, interviste, racconti, critiche,

articoli di ordine generale e li abbiamo raccolti all’interno di questo

fascicolo.

Speriamo che vi piaccia, fateci sapere cosa ne pensate alla mail della

redazione [email protected] o di persona scuola.

Intanto buona lettura e…buone vacanze!!

IN QUESTO NUMERO:

PAG.3 “La ricerca incontra la scuola” di Filippo Bano

PAG.4 “Le canzoni che hanno segnato un’epoca – Somebody to love” di Luca Zandonà

PAG.5 “Il viaggio di Erik” di Cristian Bogatu

PAG.6 “Dietro le quinte di matematica e fisica” di Benedetta Baldan e Viviana Nevola

PAG.8 “Intervista sul progetto carcere” di Luca Zandonà

PAG.9 “La favola dell’US Sassuolo” di Luca Zandonà

PAG.10 “Palla in buca 5 – Atto I” di Jacopo Fraticelli

PAG.11 “Caro personale ATA…” di Jacopo Fraticelli

PAG.12 “Una dolce pioggia” di Filippo Bragato

PAG.13 “Recensione Vita di Galileo” di Filippo Bragato

PAG.14 “Per lasciarle libere di volare” di Filippo Bragato

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LA RICERCA INCONTRA LA SCUOLA

INTERNATIONAL COSMIC DAY: TIRIAMO LE SOMME

Il 2 novembre dell’anno appena conclusosi è stato un giorno importante per il Dipartimento di

Fisica e Astronomia dell’ateneo di Padova, che è stato scelto come una delle sedi della quinta

edizione dell’International Cosmic Day. Ma che cos’è questa iniziativa? Si tratta di una giornata durante la quale gruppi di studenti, dalle sedi delle università di vari paesi d’Europa e del mondo

(fra cui Giappone e Stati Uniti), hanno effettuato un esperimento per la misurazione dei raggi

cosmici, e si sono poi confrontati esponendo i risultati ottenuti. Quest’anno, alcuni licei di Padova

tra cui il nostro liceo Galileo Galilei, hanno avuto l’occasione di partecipare a questo affascinante incontro.

Per chiarire di cosa si tratta, i raggi cosmici sono definiti vere e proprie cascate di particelle

provenienti dallo spazio: essi sono essenzialmente composti di particelle atomiche, soprattutto protoni; questi, però, all’impatto con l’atmosfera, decadono in pioni, particelle subatomiche

differenti che decadono a loro volta in neutrini e muoni. La misura effettuata riguarda proprio

queste ultime particelle, che sono le uniche insieme ai neutrini in grado di “sopravvivere” all’impatto con l’atmosfera. La prima osservazione di questi raggi risale al 1912 da parte del

fisico austriaco Victor Hess, ma i moderni mezzi di ricerca hanno permesso una maggiore

precisione nello studio di questi fenomeni. La realtà di questi raggi è evidente: basta pensare che

se fossimo in cima al monte Everest (tanto per rendere realistica l’altezza di ottomila metri sopra il livello del mare) un computer sarebbe notevolmente danneggiato, a causa delle interferenze di queste particelle che ci piombano addosso ad alta velocità.

Un’approfondita spiegazione a riguardo è stata data dal prof. Alessandro De Angelis, che da anni collabora con il dipartimento e con il CERN, autore del saggio “L’enigma dei raggi cosmici”, edizione Springer, vivamente consigliato a tutti gli appassionati.

Dopo l’intervento dei docenti dell’ateneo e di alcuni ricercatori dell’Istituto Nazionale di Fisica

Nucleare (INFN di Padova) è stata l’ora di presentare l’esperimento. Gli studenti Filippo Bano,

Giorgia De Fazio, Giacomo Passuello, Alberto Renzo e Giovanni Stecca si erano proposti

volontari per preparare l’esperimento 5 giorni prima al dipartimento e, nell’occasione, hanno presentato ai loro compagni le operazioni eseguite.

Ma in che cosa consiste questo particolare esperimento? Per la misurazione è stato utilizzato una

sorta di complesso telescopio composto da due scintillatori di particelle, con due fotomoltiplicatori ciascuno: questi avrebbero convertito il segnale elettrico di ogni muone

intercettato per una SIPM (una scheda di controllo al silicio) che, connessa a un sistema operativo

Linux, avrebbe trasmesso il segnale ad una pagina web che l’avrebbe interpretato come una misura. Inoltre, sfruttando la coincidenza dei fotomoltiplicatori (regolabile tramite codici dal

computer), è stato possibile ridurre in maniera consistente quello che viene chiamato il “rumore

di fondo”, cioè quello sfasamento della misura provocato dall’intervento di altre particelle

provenienti dall’ambiente circostante e, quindi, non dallo spazio (che sono quelle che interessano l’esperimento).

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Misurata la frequenza dei muoni che raggiungevano il telescopio si è passati alla fase di

condivisione dei dati, molto amata dai fisici: i cinque studenti hanno esposto (in inglese, ovviamente), alle altre università connesse, i risultati ottenuti in una videoconferenza skype a mezzogiorno ora locale, in particolare con i partner esteri di Stati Uniti e Germania.

L’esperienza si è rivelata un successo, per il pubblico interessato degli studenti presenti, per i ricercatori dell’Università e in particolar modo per noi cinque ragazzi volontari maggiormente

coinvolti in questa esperienza. “Ci permette di capire come funziona il mondo della ricerca e

dell’università pur se ancora liceali… fa scattare la passione per la fisica!” come ho dichiarato nell’intervista che mi è stata fatta dopo la conversazione in inglese.

Ed è stato così anche per gli altri ragazzi dell’esperimento, e per tutti i presenti; gli studenti sono

stati in generale soddisfatti dell’esperienza unica che la scuola ci ha proposto, e chissà che questo successo non possa diventare un trampolino di lancio per altre appassionanti occasioni, come

questa, per imparare i segreti dell’universo senza dovercene stare davanti al solito manuale di fisica, ma essendo partecipanti attivi dello studio e della ricerca!

LE CANZONI CHE HANNO SEGNATO UN’EPOCA

“SOMEBODY TO LOVE” - QUEEN

Per questo primo articolo sul mondo della musica volevo parlare di una canzone che ha fatto la storia non solo della musica rock ma di tutto il panorama musicale.

Oggi voglio parlarvi di “Somebody to love” dei Queen, il gruppo britannico di cui molti

conosceranno solo il cantante e pianista Freddie Mercury, ma che comprendeva anche il chitarrista Brian May, il batterista Roger Taylor e il bassista John Deacon.

La canzone, pubblicata nel 1976 all’interno dell’album “A Day at the Races” e successivamente

venduta come singolo, si classificò subito al secondo posto nella classifica musicale, per poi posizionarsi al vertice nel 1993, due anni dopo la morte del frontman del gruppo.

Il brano fu inciso dal gruppo sovrapponendo ripetutamente le proprie voci fino ad ottenere

l’effetto e l’atmosfera di un coro gospel, e nel ritornello questa sensazione è amplificata dalla potenza e dalla bellezza della voce di Freddie, che a distanza di 40 anni dall’incisione del disco riesce ancora ad emozionare come allora.

Molte cose sono cambiate dagli anni 70, ma una certamente rimarrà sempre uguale ed indelebile: la pelle d’oca che si prova sentendo quella che è, per molti, la voce più bella di tutti i tempi.

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IL VIAGGIO DI ERIK

Era steso su un tappeto verde, il vento smuoveva tutto attorno a sé: l’erba, i rami degli alberi, i

fiori stanchi d’autunno e le onde del mare lontano.

Erik era in cima alla scogliera delle Valchirie, l’unico posto da cui si vedeva la striscia,

ammirava seduto su una roccia il mare irrequieto gettarsi sulle rive della sua terra, con una

brezza che scompigliava i suoi capelli rosso vivo riflettendo sull’effettiva immensità del mondo

dinanzi a lui.

Chiudendo gli occhi e lasciandosi trasportare dalle frasche vicine, dalle onde lontane, si alzò in

piedi e sempre con le palpebre serrate fece pochi passi verso il precipizio sotto di lui, tutto in

quel posto gli suggeriva di seguire il mare, il vento e la sua amata e sconosciuta striscia.

Erik era il figlio di Thovald, re del popolo insediato nei fiordi della Norvegia, discendenti dei

Vichinghi. La sua era gente di navigatori e abili nella Guerra, credevano che Odino li

proteggesse; “che sciocchi superstiziosi” diceva Erik tra sé e sé, fin da ragazzo non credeva alle

storie che suo padre gli raccontava: Dei e Divinità che controllano la vita delle persone,

creature e pericoli sia nei boschi che in mare e infine la leggenda della striscia azzurra; la fine

del Mondo, i limiti del mare dove se oltrepassato si sentirebbe il famigerato “Canto delle

Valchirie”.

“Erik, che fai lì?” disse una voce alle sue spalle.

“Niente padre, guardavo solo il mare” rispose Erik, preoccupato per la reazione del padre.

“Sta attento quando ti trovi sulla scogliera delle Valchirie, molti uomini hanno perso la vita

qui”.

“Sono solo leggende padre, sapete che non credo alle vostre storie”.

Thovald che ormai conosceva suo figlio bene, sapeva che sarebbe stato inutile discutere con lui

così disse: “Forza Erik, torniamo a casa, tua madre è in pensiero”

Padre e figlio cavalcavano tra i prati e le sterpaglie in cima al fiordo, il vento che scompigliava

la lunga barba bionda del re, il rumore dei zoccoli del cavallo a contatto con le rocce, il

paesaggio funesto e allo stesso tempo magico che gli circondava, immersi in un mare di verde e

di blu.

Scesi dal promontorio, dopo aver attraversato un’aspra e secca vegetazione giunsero alle porte

della città; essa era circondata da palafitte in legno alte due volte un uomo con un fossato

attorno ad esse, tronchi spioventi che rallentavano il nemico emergevano e proteggevano la

città di Birka.

Le porte pesanti si aprirono lasciando passare il re rivelando agli occhi di Erik case in legno

tutte attorno ad un edificio in pietra, la dimora del re Thovald. Mendicanti agli angoli delle

abitazioni immersi nel fango che allungavano la mano verso il principe, occhi disperati e vuoti

fissavano Erik mettendolo in soggezione: Ragazzi come lui, che morivano di fame, le

bancarelle del mercato vuote, eppure ogni suo pasto era accompagnato da cibo in abbondanza,

nonché vino e allegria e gioia; allora per quale motivo tutto ciò gli pare così lontano e strano in

quel momento?

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Giunti alle porte di casa, entrambi scesero da cavallo ed entrarono nella fortezza privata del re

dove la legna è stata rimpiazzata da pietra solida, dove il calore emanato dal fuoco dei camini

era da ristoro alle ore passate al freddo, con servitori in ogni dove occupati in varie mansioni,

ecco emergere da una stanza una donna con i capelli neri lunghi fino alla vita con un vestito

verde che la ricopriva, la moglie di Thovald, regina di Birka: Kelsa.

“Dove eri andato Erik? Ero preoccupata!” esclamò la regina.

“Non preoccupatevi madre, ero sulla scogliera, sapete che quel luogo mi piace” rispose Erik.

“La cena è pronta, dirigiti nella sala”.

Obbedendo alla madre, salì delle scale per poi girare verso il corridoio degli arazzi, luogo dove

i più illustri antenati Vichinghi erano rappresentati durante gesta eroiche, scene di battaglia e

guerre, eppure la sua città in quel momento soffriva di fame e lui già pregustava l’imminente

pasto che da lì a poco avrebbe consumato con la mente rivola a quei ragazzi là fuori.

DIETRO LE QUINTE DI MATEMATICA E FISICA

INTERVISTA AD ALESSIO ROCCI

Per inaugurare l’anno delle interviste abbiamo deciso di parlare con una persona, a nostro parere, interessante, disponibile, qualcuno con cui si potesse parlare tranquillamente. Abbiamo

deciso, così, di prendere in esame il mondo degli insegnanti e donare una chiacchierata

professionale, ma anche simpatica, ai nostri spettatori. Ecco quindi lì intervista con il professor Alessio Rocci, insegnate di matematica e fisica al nostro adorato Liceo.

INTERVIEWER: Da quanto tempo è al Liceo Galilei?

ROCCI: Mi trovo in questo liceo da poco, due anni di cui solo uno di ruolo, ma insegno da 11-12 anni

I: Ha mai insegnato in altre scuole?

R: Non ho mai avuto altri posti di ruolo, però ho lavorato come supplente in altri licei.

I: Si è sempre sentito in sintonia con i colleghi?

R: Si, in particolare per quanto riguarda il dipartimento di matematica e fisica, dove si trovava già un mio amico, ma comunque sì.

I: In quali classi insegna?

R: Insegno fisica al biennio e matematica al triennio, due classi al biennio e due al triennio.

I: Si trova meglio con gli studenti più giovani, quindi prime e seconde, oppure preferisce gli studenti del secondo biennio?

R: Nel primo biennio è molto più importante la formazione quindi è più difficile, mentre al triennio si lavora con materiali più complessi. Mi piace insegnare sia al biennio che al triennio,

però mi trovo meglio ad insegnare al triennio, perché preferisco avere una relazione adulta con gli studenti, pretendendo anche di più dal punto di vista dell’autonomia e del carico di lavoro.

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I: Come mai ha scelto di insegnare fisica? Le è sempre piaciuta come materia?

R: Quando ero al liceo, pur studiando poco fisica ottenevo comunque buoni voti, quindi era una

materia che mi risultava abbastanza facile. Quando mi trovavo all’ultimo anno, tra i vari docenti,

una professoressa mi disse che, se avessi continuato a studiare fisica, all’università avrei

incontrato gente come me, non solo per quanto riguarda lo studio, ma anche per aspetto fisico e interessi: barba, capelli lunghi e amanti della musica rock. Oltre a questo, che disse per scherzare,

mi rassicurò anche dicendomi che se tra i ragazzi in classe non lo avessi fatta io, non l’avrebbe

dovuto farla nessuno. Quindi è stata anche una scelta emotiva, e penso che, se non mi avesse detto questo, avrei trovato tutto molto più difficile. Poi, sei anni dopo essermi laureato, ho iniziato

a insegnare, all’inizio facendo supplenze. Inizialmente ho lavorato come ricercatore e avendo

passato molto tempo al computer, ho scoperto che mi piaceva molto insegnare anche perché

preferivo avere relazioni con gli studenti e con altre persone invece di dover discutere con un computer.

I: Da quando ha iniziato a insegnare, questa professione era come se l’aspettava o ne è rimasto deluso?

R: No, non sono mai rimasto deluso dalla mia scelta.

I: Se non fosse diventato insegnante, quale lavoro le sarebbe piaciuto svolgere?

R: Ovviamente avevo un piano B, perché bisogna sempre averne uno, mi sarebbe piaciuto di diventare ricercatore oppure fare la rockstar, come molti adolescenti.

I: Quali sono i pregi e i difetti nel fare l’insegnante?

R: Come pregi il fatto che mi mantengo vivo continuamente, perché ho contatti con i ragazzi e rimango al passo con i tempi. Come difetti i pregiudizi, in particolare se fatti da gente all’ esterno

che non conosce il lavoro, come quando si dice che chi fa l’insegnante lavora solo la mattina o

che ha tre mesi di vacanza d’estate. Inoltre, un altro difetto è la possibile staticità, perché il

programma è già prestabilito e non cambia mai di anno in anno, se non per piccole modifiche, quindi si rischia di spiegare spesso in modo ripetitivo, anche se il dipartimento di matematica e fisica è molto bravo da questo punto di vista e combatte questo possibile lato negativo.

I: Quale liceo ha frequentato?

R: Il liceo scientifico G. Galilei di Verona.

I: Aveva buoni voti al liceo?

R: Ehm…prossima domanda? Ahahah, certo dipendeva molto dagli anni e soprattutto dalle materie: per esempio in matematica e fisica ho sempre avuto buoni voti sin dall’inizio.

I: Qual era la sua materia preferita?

R: Matematica, che mi è sempre piaciuta, sin da quando mi trovavo alle medie. E poi fisica, che ho iniziato a studiare al triennio, e la quale mi è immediatamente piaciuta.

I: Le è mai capitato di avere alunni che le stavano particolarmente antipatici o ai quali avrebbe voluto mettere un brutto voto senza motivo?

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R: Ovviamente si, perché l’insegnamento si basa su una relazione, che ha sua volta si basa su

delle sensazioni, può succedere che una persona a prima vista non ti stia particolarmente simpatica o che semplicemente non ci vai d’accordo, ma siamo umani e capita a tutti. La cosa

che però penso sempre è che bisogna approfondire la prima impressione. Inoltre, come ci sono

studenti che mi stanno più antipatici, con altri ho fatto progetti o esperimenti e vado molto d’accordo.

Bene, quindi speriamo di aver soddisfatto anche qualche vostra curiosità su questo professore.

Credo che a questo punto si possa dire che, in questa scuola, non siamo gli unici che lavorano, ma che esistono anche altre persone che si impegnano e, soprattutto, si sono impegnate nel loro passato per divenire le persone che ora ammiriamo e stimiamo.

INTERVISTA SUL PROGETTO CARCERE

Abbiamo intervistato Lorenzo Berto, uno studente di 4B del nostro istituto che ha partecipato a

questo interessante progetto proposto dalla scuola ed è qui con noi per tirare le somme riguardo a questa esperienza.

- Qual era stata la tua prima impressione sul progetto dopo l’incontro tenuto a scuola?

Bisogna fare una premessa: avevo grandi aspettative da questo progetto perché sono convinto

che sia un progetto utile, che ti faccia crescere e che comunque ti trasmetta dei valori utili per

sensibilizzarti. Successivamente al primo incontro e allo spiacevole avvenimento con Gianluca

(Cappuzzo, NDR), diciamo che queste certezze sono andate un po’ a destabilizzarsi; però il contatto ce ho avuto con la signora Ornella (Favero, direttrice del progetto, NDR) e le risposte

che mi sono state date, uniti al fatto di potermi aprire anche con i professori, mi hanno aiutato a

rivalutare l’intero progetto. Infatti, a parte questo spiacevole evento, ho trovato anche il fatto di

poter andare in carcere, incontrare lì altre persone, ascoltare le loro storie e poter entrare nella loro vita ti faccia comunque un certo effetto. Ti fa sbattere magari contro un muro e quell’andare

a sbattere ti fa aprire gli occhi su una realtà che comunque la nostra società non ti permette di scoprire tutti i giorni.

Penso che a scuola questo progetto debba continuare ad essere fatto, perché è una grandissima

opportunità che viene data e che ti fa migliorare come persona. Ti permette di caricare dentro al

tuo bagaglio personale un’esperienza nuova e molto costruttiva, soprattutto perché questa è l’età giusta per conoscere questa realtà, essendo il periodo della fine dell’adolescenza e l’età di “riassestamento delle proprie conoscenze”.

- Per tutti coloro che non hanno partecipato al progetto, tu hai accennato ad uno “spiacevole avvenimento” …

Allora, successivamente alla premessa fatta dai collaboratori del progetto di portare rispetto e di avere sensibilità nei confronti dei carcerati che sono venuti a parlarci, ognuno di loro ci ha

raccontato la propria storia, narrandoci le loro vicende ed i motivi per i quali sono finiti in carcere.

Gianluca ha raccontato una storia che è stata smentita successivamente ad una mia ricerca personale dettata dalla voglia di andare a scoprire di più su queste persone, scoprendo che in

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realtà tutto ciò che ci era stato raccontato era stato modulato, deformato e riarrangiato per “addolcirlo” al nostro sguardo.

Sono convinto che questo lavoro sia stato fatto inconsciamente da parte dei creatori del progetto,

poiché esso obbliga un detenuto a raccontare comunque sempre la stessa storia: non la puoi

cambiare, e forse il modo di raccontare di Gianluca sia stato per “auto-redimersi” in un certo senso e magari sentirsi addosso meno colpa di quella che in realtà sia.

LA FAVOLA DELL'US SASSUOLO

È il 21 maggio del 2016: finale di Coppa Italia tra Milan e Juventus. Se il Milan vince, i rossoneri

vanno in Europa League e la società di Giorgio Squinzi, che sotto la gestione Di Francesco

quell'anno sorprende tutti con 61 punti in campionato ed uno storico 6° posto in Serie A, deve dire addio ai propri sogni europei, così come tutti i tifosi neroverdi che ora sono davanti al

televisore, ad attendere che Rocchi dia il fischio d'inizio ad una partita per loro così importante, così fondamentale.

Parte subito forte il Milan, che al 13° minuto spreca un passaggio d'oro del giovane Calabria

tirando il pallone sul fondo dal limite dell'area piccola. Una decina di minuti dopo altra grande

chance per i rossoneri di Cristian Brocchi: tiro di Bonaventura dal centro dell'area, Neto fa un movimento nella direzione sbagliata ma poi allunga il braccio destro e riesce ad intercettare la conclusione.

Nel secondo tempo l'inerzia della partita sembra non cambiare: Milan in attacco con De Sciglio, che prova una potente conclusione rasoterra che viene però intercettato da un Neto che stasera sembra insuperabile.

I tifosi emiliani sono col fiato sospeso, soffrono ad ogni ripartenza milanista, si vedono parare da Donnarumma un tiro da distanza ravvicinata di Pogba sul primo palo che, a pochi minuti dalla fine, sarebbe valsa la vittoria alla Juventus e quindi la qualificazione per il Sassuolo.

Alla fine dei 90 minuti regolamentari iniziano i supplementari, e si vede che la storia della partita sta cambiando: la Juve si riversa in attacco, il 17enne portiere dei rossoneri deve metterci una pezza più volte sui tiri di Pogba e Mandzukic. Poi, al 108° minuto, la svolta della partita.

Allegri, forse pensando in ottica calci di rigore, sostituisce il centrocampista brasiliano Hernanes con il partente Alvaro Morata, destinazione Madrid a giugno, ma questo stasera non importa.

Due minuti dopo il suo ingresso in campo recupera palla Cuadrado, la porta sull'esterno destro del campo, mette un cross in mezzo all'area di rigore, dove c'è la punta spagnola ad attendere e

insaccare con un preciso destro al volo che si infila alle spalle di Gigio Donnarumma: è 1-0 Juve, è Europa League per il Sassuolo.

Bisogna però faticare, perché il Sassuolo parte dalle qualificazioni, contro il Lucerna di Markus

Babbel, ex stella di Bayern e nazionale tedesca. L'andata in svizzera non è delle migliori: il

Sassuolo suda, corre, si difende e riesce a strappare un importante 1-1, che potrebbe bastare in chiave qualificazione nel caso la squadra di Di Francesco riuscisse a mantenere la propria porta

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inviolata. I neroverdi però fanno di più, e tra le mura amiche spazzano via gli svizzeri 3-0, passando agli spareggi, dove incontreranno la Stella Rossa di Belgrado.

Andata al Mapei il 18 agosto, in un'Italia dove il caldo si farà sentire ancora per parecchio tempo.

I giocatori serbi provano ad opporre resistenza ma la partita finisce 3-0, risultato nettissimo che

fa impazzire i tifosi abituati a ben altro palcoscenico. Il ritorno è solo una formalità, finisce 1-1 e nell'urna di Nyon c'è la squadra emiliana e il Sassuolo sogna, con un super Mimmo Berardi da 4 gol in 4 partite di Europa League.

Il sorteggio però è impietoso, quasi crudele: Athletic Bilbao, Genk e Rapid Vienna.

L’ambiente attorno alla squadra però resta caldo, nonostante tra le altre cose l’infortunio dello stesso Berardi e i risultati non certo entusiasmanti in campionato.

Nonostante tutto l’esordio ai gironi regala una gioia tanto grande quanto inaspettata: 3-0 al

Bilbao, in una partita in cui certo gli avversari non hanno brillato, ma che il Sassuolo ha strameritato.

Purtroppo questa sarà l’ultima vittoria dei ragazzi neroverdi nella competizione, in cui conseguiranno solo altri due pareggi e tre sconfitte: ultimo posto nel girone ed eliminazione.

Quest’anno, anche a causa di diversi infortuni (uno su tutti quello di Domenico Berardi, costretto

ai box per più di 4 mesi), il Sassuolo ha fatto molto meno di quello che ci si aspettava, chiudendo

il campionato al 12esimo posto, ma siamo sicuri che se riusciranno a trattenere i talenti italiani e a fare un buon mercato questa estate, non sarà l’ultima volta che sentiremo parlare del Sassuolo.

PALLA BIANCA IN BUCA 5 - ATTO I

Jacopo Fraticelli, ragazzo di campagna umile, rimane scioccato da una lezione di golf tenuta

con la scuola presso il golf club Montecchia. Una notte, il giovane sedicenne, sotto l’effetto di acidi, rivive un ricordo distorto della drammatica esperienza.

“Non capisco cosa ci sia di così incredibile nel golf. Se Tiger Woods è uno degli sportivi più

pagati al mondo per agitare una mazzetta nella direzione giusta, non vedo perché non ammettere

il curling come sport olimpico. Per lo meno il curling lo poi frequentare anche a tasche vuote” penso tra me e me.

L’autobus accosta. Scendo.

È la mia prima lezione. Per un istante dubito di essere arrivato nel posto giusto. Non mi attendevo

la baracca delle favelas, ma ai piedi del campo c’è il castello degli Hohenstaufen. Non capisco a

che serva la riproduzione della reggia di Versailles per contenere una reception ed un paio di spogliatoi.

Una porta mi si apre dinnanzi. È scorrevole. Sento nell’aria odore di verde. Del verde dei centoni.

Da una porta laterale spunta il sosia dei “poveri” di Winston Churchill. Regge tra le mani un assegno. Gli auguro sia in realtà una multa.

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Altri Divi spuntano da porte in un costante apri-chiudi. Guardano biechi la mia felpa. Non so se

perché non si addica al logo o perché porti la scritta H&M sul petto. Mi soffio il naso. Si scandalizzano. Il fazzoletto è di carta e l’ho preso all’Eurospin.

Vado a cambiarmi. L’odore della carta da banconota mi toglie il respiro. Esco cambiato nell’area campi.

Churchill continua a fissarmi. Fastidioso. Se trovo una mazza so a quale scopo usarla.

C’è un genovese alla buca 6. Ci infila dentro un braccio. Gli sono caduti dentro due centesimi.

Una mozzarella di bufala sparata a 100 chilometri orari mi sfiora il lobo dell’orecchio. Ah, no. E’ una pallina. Ringrazio il cielo di non avere orecchini.

Ci sono dei tavoli affollati nell’area bar. Forse “bar” è poco raffinato. Gran Galà. Al Gran Galà

di Selvazzano il Conte di Campodoro non ha perso tempo. Tiene tra le mani il Sole Ventiquattrore

e si mette a osservare con fare preoccupato uno di quegli ideogrammi comprensibili solamente da un mangia-grana medio.

Mi sfugge un sorriso e mi sento fortunato. Con la mia misera paga settimanale, non sarò mai vittima di rapimento.

Un settantenne spinge con difficoltà un carretto di mazzette. E poi dicono che il golf non sia uno sport faticoso. Forse ha bisogno di aiuto. I suoi pantaloni sono Armani, allora non lo aiuto.

Un kart in contro mano rischia di investirmi. Irata che non è altro. Il suo istruttore di guida è Stevie Wonder.

Il pneumatico del kart è sul punto di sfasciare il mio alluce sinistro. Con i riflessi impacciati di un vero golfista, per salvarmi dalla fine drammatica, finisco a gambe levate, precipitando su Mr.

Pantalone Armani. Deve avere sbattuto la schiena. Si sente male. Sto per chiamare con il suo

iPhone un’ambulanza, ma mi ferma. Spreco minuti dalla sua promozione Vodafone, mi dice. Il centodiciotto è un numero gratuito, ma lui non ne vuole sapere.

“CARO PERSONALE ATA…”

Volevo solo dire due parole al Personale ATA. Che poi ATA non ho mai capito cosa caspita vuol

dire (Attenzione Terroni Avvistati? Associazione Trancia Armadietti?). Perché un nome così

lungo? Ai miei tempi li chiamavamo bidelli, segretari, stura lavandini ecc… e mica toglievamo professionalità al loro umile mestiere. Poi non so se certi termini siano più o meno idonei al luogo

scolastico, ma se ti dò del bidello, non ti sto mica sbraitando: “Va’ a lavorare, clandestino sottopagato!”.

Insomma è un lavoro che va rispettato.

Però vi prego.

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Riparatemi il distributore di sapone al piano terra, che ogni volta che vado a soddisfare i bisogni

quotidiani della mia vescica, non so mai come liberarmi del guazzabuglio batterico che mi si è insediato sulle mani. E che io con quelle mani tocco gente che non sa cosa ho toccato.

Della carta igienica non mi lamento, anzi sono contento che abbiate sostituito con qualcosa di

decente quella carta velina talmente sottile che la usavo per ricalcare l’assonometria della lezione di arte. Basta che poi non mi cadiate sulla carta vetrata o su quei rotoli che raggiungono gli undici piani di morbidezza, che neanche i condomini della Stanga ci arrivano.

Meno euforico sono per il distributore di salviette, sempre vuoto. E quando mi lamento di ciò, c’è sempre il pignolo della porta accanto che fa: “Allora asciugati sulla carta igienica”. Ma sei

fuori? È come lavarsi i denti con l’acqua del bidet. Insomma la carta c’è, ma non per le mani.

Adesso non so se la scarsa distribuzione di carta sia attribuibile a Greenpeace che vi minaccia la famiglia, se richiedete qualche albero in più, ma almeno se non avete carta, datemi del papiro, che è sempre meglio di girare con l’Oceano Atlantico tra le dita.

Per non parlare poi dello sciacquone della toilette di sinistra (sempre piano terra). Appena il tempo di spingere a fondo il pulsante, che dalle tubature cominciano a sgorgare l’alluvione delle

Cinque Terre, lo tsunami del Giappone e il maremoto delle Filippine messi insieme. Mi immagino

quelli che lo usano con i risvoltini piegati sopra la rotula, si ritrovano le branchie al posto dei peli per sopravvivere alla catastrofe idrica. Almeno un biglietto del tipo “premere con cautela” lo apprezzerei.

Buon lavoro

UNA DOLCE PIOGGIA

Prendere l’immagine di un oggetto comune, una porta, un’aspirapolvere, una cipolla, prendere un’idea presente nell’immaginario di tutti e trasformarla in poesia, è già di per sé uno spettacolo.

Se poi questa poesia riesce, in uno spazio ristretto, a trattare temi filosofici di uno spessore così ampio, allora quest’opera non può che suscitare meraviglia.

Questa è la poesia di Wislawa Szymborska, una delle più grandi poetesse polacche del nostro

tempo. Il 1° febbraio di quest’anno è ricorso il quinto anniversario della fine della sua vita terrena, ma i suoi scritti continuano a emozionare lettori di tutto il mondo.

Quando, nel 1996, le venne attribuito il premio Nobel per la letteratura, la reazione della critica

fu pressoché di sconcerto: un nome sconosciuto ai più veniva encomiato con una delle massime onorificenze mondiali in campo letterario.

Tuttavia il comitato di Stoccolma, con l’attribuzione del Nobel a Szymborska, ha contribuito alla

diffusione delle sue opere e, una volta entrati in contatto con la sua poesia, molti letterati sono tornati sui loro passi.

Infatti, nelle opere dell’autrice polacca, la semplicità con cui vengono trattati temi come la vita,

l’amore e la poesia stessa spesso finisce per spiazzare il lettore, che rimane sorpreso da come parole così comuni, di cui la società moderna abusa, vengano riproposte in modo innovativo

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senza mai risultare scontate o banali e ciò viene reso possibile grazie alla straordinaria padronanza metrica dell’autrice.

Anche il tempo è vittima della poesia di Wislawa. La poetessa sembra spesso giocare con il ritmo

delle proprie poesie creando istanti eterni e azioni che si divorano a vicenda (basti pensare a “L’acrobata” o a “La gioia di scrivere”).

La tecnica, tuttavia, cede spesso il palco alle tematiche affrontate, il caso, la morte, la poesia,

tutto rientra negli scritti di Szymborska, il suicidio, la perfezione, i sogni. E mai, mai si accenna

ad una risposta, nessun verso lascia trasparire una qualche sensazionale verità; leggendo una raccolta si viene colpiti, pagina dopo pagina, da una serie di domande, dubbi e spunti di riflessione che reclamano attenzione nella mente del lettore.

In questa gelida pioggia di irrisolte questioni, tutto sembra permeato dallo stupore per la natura

che appare agli occhi di Wislawa come un miracolo, e che si traduce in meraviglia per la casualità

e l’unicità della nostra vita. Questo dissidio tra dubbio e stupore viene risolto dall’artista tramite

un’arguta ironia con la quale i più grandi problemi vengono ridotti a paragoni con qualche ortaggio o a miseri oggetti di cui non si trova traccia.

Si prenda, dunque, una cipolla, la si trasformi in poesia, cos’è questa se non pura magia?

RECENSIONE “VITA DI GALILEO”

Essere uno scienziato nel Seicento voleva dire essere un sognatore, sempre con la testa fra le nuvole, impegnato in discorsi filosofici su questo o su quel libro di Aristotele, voleva dire essere

un uomo dedito solo alla scienza, che ogni giorno si scontra con il mondo intellegibile. Ma il Galilei di Brecht non è così.

Bertol Brecht, in “Vita di Galileo”, tratteggia il profilo di un uomo di scienza pragmatico, una

persona che prima di essere uno scienziato è un uomo, che deve anche far fronte a problemi di natura economica, un uomo che non sa resistere alle tentazioni di un buon bicchiere di vino.

L’opera teatrale porta in scena gli avvenimenti principali della vita di Galilei, tra i quali la

pubblicazione dei suoi due principali scritti: “Sidereus Nuncius” e “Dialogo sopra i due massimi

sistemi”, la condanna da parte della Chiesa e l’abiura di Galileo. E, tra tutti questi avvenimenti, è incredibile come Galileo, cosciente del fatto che le sue azioni condizioneranno per sempre il

pensiero occidentale, riesca a conservare la propria umanità, che spesso viene esaltata dalla sua pungente ironia, o dai suoi originali metodi per “far quadrare i conti”.

Nonostante Galileo sia indubbiamente il protagonista dell’opera, tra i personaggi spicca per

simpatia Andrea, il figlio della governante di Galileo, con il quale lo scienziato è solito

condividere tutte le sue scoperte. Andrea non è solo un personaggio a tutto tondo, ma colui che

matura di più durante lo scorrere delle pagine, sia dal punto di vista fisico che dal punto di vista psicologico.

Nelle prime pagine, infatti, vi è un esempio di questa crescita: il piccolo Andrea chiede a Galileo come sia possibile che la terra ruoti su se stessa anche se lui non si ritrova mai a testa in giù, così lo scienziato comincia a spiegargli, con parole semplici e con esperimenti divertenti, le sue teorie

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scientifiche. In quella sola scena vengono definiti il carattere pratico e concreto di Galileo, la

dolcezza che caratterizza il rapporto tra i due e la curiosità di Andrea, che lo spingerà a intraprendere la carriera di scienziato.

Andrea, infatti, sembra diventare simbolo del futuro voluto da Galileo, lui abbraccia le nuove

teorie perché la ragione lo persuade ad abbandonare quella “madreperlacea nebbia di superstizioni ed antiche sentenze”. Lui, forte della sua ragione, non cederà ai ricatti delle autorità

prendendo i panni di un “cavaliere della scienza”, sarà proprio la sua visione romantica del ruolo dello scienziato nella società che lo porterà a condannare l’abiura di Galileo.

Infatti, uno dei temi fondamentali dell’opera è l’abiura, lo stesso Brecht, con la voce di Galileo,

la definisce come “atto di codardia”, che ha come unica causa la paura degli strumenti

dell’Inquisizione; d’altra parte, Andrea, che in un primo momento aveva criticato aspramente Galileo, quando scopre che, anche sotto stretta sorveglianza, il suo insegnante è riuscito a portare

a termine un’altra opera, esalta la sua abiura, in quanto gli ha consentito di continuare a scrivere.

Il lettore, nelle ultime pagine, si trova ad affrontare questa questione, che, di fatto, rimane irrisolta.

“Vita di Galileo” è la dimostrazione che non tutti i classici sono noiosi e pesanti: le ironiche

battute di Galileo, le situazioni assurde in cui si cacciano alcuni personaggi e le fattezze e i comportamenti di alcuni ecclesiastici strappano al lettore molte risate; lo stile, inoltre, non è aulico o artificioso, per cui la lettura risulta scorrevole e molto piacevole.

Per concludere, l’opera è una giusta combinazione tra intrattenimento e spunti di riflessione, riesce a catturare ed affascinare il lettore senza mai rinunciare a trasmettere nozioni di carattere scientifico o filosofico.

PER LASCIARLE LIBERE DI VOLARE

Il romanzo di Carla Ravazzolo, “Come farfalle. Assolo a più voci”, edito nel 2015 da Cleup,

racconta l’amicizia tra la signora Marocchi, una pragmatica organizzatrice di esposizioni artistiche, e Nerea Crisca, un’autrice bizzarra, le cui opere spesso rimangono incomprese dai più. Due vite intrecciate in modo così fitto da perdere di significato l’una senza l’altra.

Un salotto, tre donne e un desiderio: che tutto questo non venga dimenticato. La signora Marocchi, giunta al termine di una grave malattia, decide di raccontare la storia della propria vita alla figlia Idea, che ne trascrive i punti salienti, tutto ciò sotto l’occhio vigile di Nerea.

Così le tre rivivono i momenti di una straordinaria amicizia, nata quando Nerea e la signora Marocchi “erano giovani, mediamente carine, e senza problemi”, un’artista sconosciuta che

amava dipingere farfalle e lasciarle libere di volare, imprimendo sulla tela solo un ricordo di

qualcosa che c’era e ora non c’è più, e l’unica persona in grado di vedere il significato delle sue opere.

Erano sempre alla caccia di nuovi materiali, come ramoscelli, metalli o sabbie; ed è proprio

durante la ricerca della materia prima per una nuova opera che le due si imbatterono in Pietro Marocchi, il sindaco di una località marittima, che, quasi per caso, ebbe il duplice merito di esporre per la prima volta un’opera di Nerea e di rapire il cuore della sua migliore amica.

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Così le due amiche intrapresero le loro carriere, la signora Marocchi arrivò a curare celebri mostre

oltreoceano, ma le più importanti rimasero quelle di Nerea. In breve tempo i tre riuscirono a trovare un equilibrio con tutte le persone da cui erano circondati, ma fu proprio durante la seconda mostra dedicata a Nerea che tutto cambiò in modo inaspettato…

Uno degli aspetti più avvincenti di questo romanzo è la caratterizzazione delle protagoniste. Le due infatti sembrano sempre essere agli antipodi, sembrano sempre avere opinioni del tutto differenti sui medesimi avvenimenti ed episodi.

Queste due personalità, nonostante siano molto diverse tra di loro, sembrano diventare sempre più necessarie l’una all’altra.

È proprio questo rapporto che rende il romanzo accattivante, le “interruzioni” di Nerea spezzano in modo netto il ritmo narrativo, sono così inaspettate da far scoppiare nel lettore il desiderio si scoprire ogni sfaccettatura di questa storia originale.

I commenti di Idea, al contrario, non sono così incisivi come quelli di Nerea, ma offrono sempre interessanti spunti di riflessioni e danno quel tocco di nostalgia, che dona al libro un carattere unico.

“Come farfalle” è una di quelle vecchie foto in tinta seppia, leggendolo vieni avvolto da un ambiente lontano nel tempo, ma familiare; è come frugare nei ricordi di un’estate passata, scalda il cuore, ma lascia una dolce malinconia.