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Liceo classico “F. Scaduto” - Bagheria - Storia del cinema - prof. D. Aiello

SCHEDA DI ANALISI DEL FILM Classe III C alunno/a Maria Antonina Corona data 31 maggio 2008

«Rintracciare il drammatico nelle situazioni quotidiane, il meraviglioso nella piccola

cronaca» (Vittorio De Sica)

1. Il film

1.1. Compila la seguente scheda riassuntiva delle informazioni più importanti che servono per precisare le varie componenti del film che devi analizzare.

Componenti Informazioni Titolo Ladri di biciclette

Titolo originale Ladri di biciclette Regista Vittorio De Sica Assistente alla regia Luisa Alessandri, Gerardo Guerrieri Soggetto Luigi Bartolini, Cesare Zavattini, Suso Cecchi D’Amico Genere drammatico Attori principali Lamberto Maggiorani, Enzo Staiola, Lianella Carrell, Gino

Saltamerenda, Vittorio Antonucci, Giulio Chiari, Elena Altieri, Carlo Jachino, Michele Sakara, Emma Druetti, Fausto Guerzoni, Memmo Caratenuto, Mario Meniconi, Ida Bracci Dorati, Sergio Leone, Massimo Randisi, Checco Rissone, Peppino Spadaio, Nando Bruno, Giovanni Corporale, Giulio Battiferri, Eolo Capritti

Sceneggiatura Vittorio De Sica, Cesare Zavattini, Suso Cecchi D’Amico, Oreste Biancoli, Adolfo Franci, Gerardo Guerrieri, Gherardo Gherardi Produzione Vittorio De Sica Fotografia Carlo Montuori Montaggio Eraldo Da Roma Musica Alessandro Cicognini, Willy Ferrero, Giuseppe Cioffi Scenografia Antonio Traverso Data di produzione 1948 Durata 93 minuti Paese/i di produzione Italia

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Note particolari È considerato un capolavoro del neorealismo cinematografico italiano. Il film si avvale della partecipazione di attori non professionisti. Premi Oscar al miglior film straniero (1950); National Board of Review Awards 1949: miglior film e miglior regista, British Academy Award per il “miglior film”; nel 1958 il film venne dichiarato come il terzo miglior film di tutti i tempi dopo La corazzata Potemkin e La febbre dell’oro da una giuria internazionale di critici in occasione dell’Esposizione universale Bruxelles.

1.2– La sceneggiatura del film è originale oppure è tratta dalla letteratura o da qualche libro-inchiesta, saggio, biografia, ecc.?

Il film è basato sull’omonimo romanzo (1945) di Luigi Bartolini adattato al grande schermo da Cesare Zavattini. 2. La storia, la struttura narrativa e i personaggi

2.1 – Riassumi brevemente la storia che il film racconta, badando a indicare l’inizio (la situazione iniziale e le condizioni che rendono possibile lo svolgimento delle vicende successive), lo svolgimento (sintesi delle vicende principali attraverso le quali si passa dalla situazione iniziale a quella finale) e il finale (come si concludono le vicende).

a) Inizio

Roma, secondo dopoguerra: la vicenda ha inizio davanti l’ufficio di Collocamento dove molta povera gente si affolla nella speranza di essere chiamata per l’assegnazione di un impiego; Antonio Ricci, un giovane operaio disoccupato, trova lavoro come attacchino comunale, ma il requisito indispensabile per quest’occupazione è che possegga una bicicletta e la sua è stata impegnata al Monte di Pietà. Il giovane e la moglie Maria

riescono con grandi sacrifici a disimpegnare la bicicletta, dovendo però in cambio impegnare le lenzuola. Ma già il primo giorno di lavoro sfortunatamente, proprio mentre sta attaccando un manifesto cinematografico, un ladruncolo gli ruba la bicicletta, sparendo veloce per le vie della città. Antonio ricorre il ladro, ma inutilmente.

b) Svolgimento

Assieme al figlioletto Bruno, Antonio inizia così una vera e propria discesa agli inferi alla ricerca della bicicletta perduta, passando prima per una zona di attivo e non certo regolamentato traffico di biciclette di dubbia origine e finendo in seguito in un quartiere - proprio quello in cui abita il ladro - ove gli abitanti si mostrano uniti nell’ostilità contro gli estranei. Antonio e Bruno sperimentano ogni tipo di angoscia, umiliazione, disperazione e mancanza di solidarietà. Dapprima c’è qualche collega di lavoro che lo aiuta nelle ricerche, ma in seguito

desiste e torna alle proprie occupazioni, abbandonando così l’amico alla disperazione (il camionista che li accompagna fin sul luogo della ricerca si lamenta in continuazione della pioggia dicendo che sarebbe stato meglio non uscire di casa, facendo così sentire i due come un peso); a Porta Portese un vecchio barbone viene visto da Antonio insieme al

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ladro, che subito si dilegua. Anche il vecchio vuole sfuggire a Maggiorani che lo segue sino ad una mensa dei poveri dove dame di carità della pia borghesia romana distribuiscono minestra e funzioni religiose agli affamati. Antonio costringe il barbone a farsi dare il recapito del ladro ma è solo per caso che s'imbatte in lui in un rione malfamato dove tutta la delinquenza locale sostiene il ladro minacciando la vittima del furto. Neppure il "buon carabiniere" - figura tipica e popolare dell'uomo giusto ma benevolo - chiamato, vista la malaparata per il padre, da Bruno può fare nulla, in mancanza di testimoni, per arrestare il ladro. Per la disperazione Antonio si rivolgerà persino ad una "santona", una sorta di veggente, che accoglie nella sua casa una varia umanità afflitta e disgraziata. Il responso sibillino della santona è quasi una presa giro: «O la trovi subito o non la trovi più». L’aiuto della polizia è puramente burocratico: accorre sì premurosamente in soccorso quando viene chiamata, ma si limita a mettere per iscritto la denuncia senza dimostrare il minimo interesse per la faccenda.

c) Finale

Gli abitanti della periferia danno prova di un’aggressività manifesta dinanzi all’”invasore” del loro feudo, e per finire, come ciliegina sulla torta, Antonio viene pubblicamente umiliato con una minaccia di arresto dato che, al colmo della disperazione, aveva tentato a sua volta di rubare una bicicletta per poter continuare a lavorare. Solo il pianto disperato di Bruno, che muove a pietà i presenti, gli eviterà il carcere. Il film si chiude sul mesto ritorno, mentre si sta facendo notte a Roma, di Bruno che stringe la mano del padre per consolarlo.

2.2 – Analizza la struttura narrativa completando i l seguente schema:

° TEMPO E AMBIENTE a) Periodo storico delle vicende narrate

Siamo nei difficili anni che seguono la fine della Seconda Guerra Mondiale. Periodo di produzione del film e periodo storico narrato, così come accade per la maggior parte dei film neorealisti italiani dell’epoca, coincidono.

b) Ambienti e luoghi principali Nel film non ci sono dei luoghi principali o che vengono mostrati allo spettatore più di due volte. I protagonisti quindi, non sono solo Antonio e suo figlio, ma anche le strade di Roma e la sua gente che fanno così attivamente parte della loro vicenda.

c) Arco di tempo in cui si sviluppa la storia La storia si sviluppa in 3 giorni: il primo, quando Antonio ottiene il lavoro e si procura la bicicletta; il secondo, segue il primo giorno di lavoro,il furto della bicicletta, la denuncia e la richiesta di aiuto a Meniconi; il terzo,quello in cui si conclude la vicenda, riguarda la disperata ricerca che va dai mercati alla casa del ladruncolo, il tentato furto e la conclusione. Anche per quanto riguarda l’aspetto temporale, il film è tipicamente neorealista: infatti non ci sono importanti salti temporali e le azioni dei protagonisti sono seguite passo dopo passo e non vi sono ambienti in cui si recano che rimangono ignoti agli spettatori. Il regista, ovviamente, non ci mostra questi tre giorni per intero, bensì solo le ore della giornata che interessano la vicenda narrata.

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° PERSONAGGI Descrizione (nome, aspetto fisico, personalità)

1. Il protagonista è Antonio Ricci (Lamberto Maggiorani): un uomo sulla quarantina, alto di costituzione esile e di condizione economica molto precaria. Antonio ha una moglie e due figli maschi. All’inizio del film sembra finalmente essere sulla strada giusta per riacquistare una certa stabilità economica e familiare, ma una serie di sfortunati eventi lo porteranno a fare i conti con la disperazione. Antonio è un uomo estremamente onesto (e i fatti ce lo dimostrano), che cerca in tutti i modi di assolvere il suo compito di padre di famiglia; è anche molto

caparbio e la sua lunga e disperata ricerca, ci mostra che non è disposto ad arrendersi facilmente, proprio perché c’è in gioco la sopravvivenza della sua famiglia e la sua dignità di uomo. Le difficoltà della vita lo chiamano però continuamente in causa, e Antonio è ad un passo dalla più mera disperazione, arrivando a rivolgersi ad una santona ed a rubare una bicicletta; ne uscirà perdente ed umiliato dalla gente. Per via della sua situazione difficile, anche l’affetto ed il comportamento nei confronti del figlioletto Bruno, sono dominati dalla rabbia tipica di quei genitori che, sapendo di non poter dare ai figli i mezzi materiali di cui necessitano, si chiudono in loro stessi, mascherando il dispiacere con freddezza e distacco. Alla fine sarà però il profondo amore che il pianto del figlio gli comunica, a convincerlo a prenderlo per mano e ad incamminarsi con lui verso un futuro incerto, ma sicuramente ricco di affetto.

2. Bruno (Enzo Staiola) è un bambino di sei anni, primogenito di Antonio e Maria Ricci. Ha un bel viso, paffutello con gli occhi chiari e i capelli castani. Bruno viene presentato agli spettatori nel contesto domestico: sono le sei del mattino e il padre lo esorta senza tanta gentilezza a lucidargli la bicicletta prima di andare a lavoro. Successivamente, padre e figlio escono insieme e intuiamo che il bambino lavora anch’egli (cosa che in quel periodo, la maggior parte dei bambini non benestanti facevano): infatti Antonio lo lascia presso una sorta di bottega in cui il bambino comincia

subito ad aiutare il proprietario. Dopo il furto della bicicletta, padre e figlio si ricongiungono e da quel momento, per tutta la durata del film, non si separeranno più. È evidente che, nonostante l’atteggiamento poco considerevole che spesso Antonio ha nei suoi confronti, l’attaccamento nei confronti del papà è quasi viscerale; proprio per questo, si evince anche la sofferenza del bambino: in primo luogo perché con una sorprendente maturità, comprende quello che il papà sta attraversando e in secondo luogo perché è desideroso di considerazione e di affetto che il più delle volte ha la sensazione di non ricevere. Cerca spesso lo sguardo del padre,ma non viene corrisposto; è spesso costretto a correre per procedere di pari passo col papà, rimane sempre indietro,cade,rischia di essere investito ma Antonio non se ne accorge. Bruno è profondamente sensibile e non serba mai rancore nei confronti di Antonio, suo padre è tutto ciò che ha. L’unica parte del film in cui vediamo

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Bruno sorridere, è quando Antonio lo porta a mangiare in trattoria, dove Antonio cerca di trasmettergli un po’ di sicurezza dicendogli : “solo alla morte non c’è rimedio”, ma nello stesso tempo lo tratta da adulto. Un’altra importante dimostrazione di affetto, è il tenersi per mano finale che sigilla questo emblematico rapporto padre-figlio.

3. Maria (Lianella Carrell) è la moglie di Antonio; è una giovane donna dai capelli e occhi castani sui 35 anni. Il personaggio di Maria è la perfetta rappresentazione della donna italiana di condizioni modeste del dopo guerra: il suo aspetto non è molto curato, è dedita al marito a ai figli; sacrifica tutte le lenzuola di casa sua pur di permettere al marito di acquistare una bicicletta, così da poter lavorare; ciò che maggiormente colpisce del suo carattere è il come Maria faccia qualsiasi cosa per il marito con gioia; dà l’idea di essere

una donna dal carattere gioioso e protettivo. In lei vi è inoltre la rappresentazione di quelle credenze popolari come il rivolgersi a delle santone. Maria compare solo nella prima parte del film e non è coinvolta in alcun modo nella ricerca della bicicletta rubata.

4. Ma in realtà c'è una quarta protagonista nel film che è la città di Roma con i suoi abitanti. È una Roma che, rappresentata nel bianco e nero della pellicola, appare nella sua grandezza non deturpata e resa piccola dall'informe ammasso di veicoli e di varia umanità che oggi la caratterizza. Le sue strade appaiono semivuote, larghe, caratterizzate da una monumentalità oggi scomparsa: le sue vie e le piazze del centro sono libere da quello strato informe di lamiere che nascondono la sua grande architettura. Anche i rioni del centro, quelli allora ancora proletari,

appaiono belli nella loro struttura, povera e malandata ma che richiama l'aspetto, quasi medioevale, di quelli che erano nelle età passate, i quartieri della città. Persino l'estrema periferia dei palazzoni popolari, ancora più campagna che città, conserva una forma architettonica genuina, contadina che si riflette nelle fattezze e nei modi dei suoi abitanti. L'estrema povertà del dopoguerra è quasi riscattata da questa originaria autenticità di una città "pulita" nella sua architettura e nella spontanea moralità dei suoi cittadini. L'umanità romana presentata nel film è fatta di gente che, nei suoi vari strati popolari , dai compagni di partito di Maggiorani, ai netturbini, agli stessi malavitosi di quartiere, ai postulanti della santona, alle dame di carità, al "buon carabiniere", si caratterizza per uno spirito di partecipazione solidale con gli altri, non è chiusa nella sua indifferenza, è aperta e genuina come le strade e i palazzi della Roma di Ladri di biciclette. È ancora un'umanità che, come appare nelle scene corali del film, condivide le sue necessità e miserie.

5. Un'altra protagonista del film è la bicicletta, divenuta da mezzo popolare di trasporto, un elemento vitale di sopravvivenza per il protagonista del film. Le biciclette attraversano tutta la storia del film, appaiono e scompaiono - o isolate o in mucchi, o integre o fatte a pezzi - come un incubo agli occhi del piccolo Bruno e di suo padre. La bicicletta rappresenta la tentazione che spinge Antonio a rubare, l'esca con cui l'omosessuale di Piazza Vittorio attira il piccolo Bruno,

la perdita del lavoro e la disperazione finale di una povera famiglia che aveva riposto in quell'umile oggetto tutte le sue speranze di sopravvivenza.

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3. Significato globale del film

3.1 – Sapresti indicare brevemente qual è il messaggio più significativo del film? Ladri di Biciclette, proprio per la sua essenza neorealista, non vuole essere un film didascalico. Non vi è nessun narratore esterno che influenzi minimamente il punto di vista di chi guarda. Seguiamo le vicende dei protagonisti così per come LORO le vivono, e alla fine tocca a noi tirare le somme: sta a noi capire o meno i loro punti di vista e casomai trarne un insegnamento. Mi verrebbe da dire che guardare un film neorealista è un po’ come ascoltare lo sfogo di un vecchio amico: ti parla senza filtri, ti racconta tutto di se stesso; e noi alla fine, proprio perché abbiamo imparato a conoscerlo, non emettiamo giudizi e in un modo o nell’altro, accettiamo la storia che ha da raccontarci. In Ladri di biciclette la macchina da presa di Vittorio De Sica si sofferma su immagini quotidiane, per raccontare la vicenda di un disoccupato a cui viene rubata la bicicletta, mezzo grazie al quale è riuscito a trovare un lavoro da attacchino. Niente che sia fuori dal comune, dalla “normalità” dell’Italia post-bellica. Antonio Ricci, il disoccupato, appartiene alla vita. E lo si può vedere nelle strade, insieme a tanti altri Antonio Ricci nelle sue stesse condizioni. Ma è questa la valenza eversiva del film: l’aver fotografato la disgregazione sociale del dopoguerra è una colpa grave agli occhi della nuova classe dirigente. E l’aver mostrato una società stanca aggrava ancor più il demerito. Ladri di biciclette è una vera e propria “lezione visiva” di filosofia sul concetto di “realtà”, nonché sul rapporto che l’Arte instaura con essa. Secondo i presupposti del neorealismo italiano degli anni quaranta e cinquanta, questo film si propone come diretto approccio alla realtà, senza quindi gli abituali artifici della filosofia, della letteratura o del cinema stesso. Le pretese alla “rilevazione diretta del reale” di De Sica sono evidenti. Non cerca di migliorare le persone mettendo in scena una solidarietà sovrumana. Mostra le persone già fin troppo occupate da se stesse, immerse in una situazione di totale alienità, vuoto e disperazione che non permettono certo loro il lusso dell’aiuto reciproco; la polizia non viene mostrata in modo particolarmente duro, ma piuttosto sprofondata in un mare di difficoltà insuperabili: una bicicletta che sparisce in un’immensa città è quasi impossibile da ritrovare e, per quanto sia importante per la sopravvivenza di Antonio, non è certo ragionevole mobilitare un enorme spiegamento di poliziotti per recuperarla. Sicuramente questo film può essere visto come un importante concettimmagine dell’”istanza imitativa del reale”, ossia un film che dice qualcosa su quest’aspetto rappresentativo, privo di distanziamento ideologico. E in questo film va molto più in là rispetto al tema specifico del suo plot, cioè “la storia del furto della bicicletta subita dall’operaio Antonio Ricci”: il film può infatti venir letto sintatticamente oltre che sociopoliticamente. Si tratta di considerarlo come un film che pretende di restituire “la realtà così com’è”, vedendo poi come questo tentativo venga sistematicamente frustato. 3.2 – Prova ad indicare quali sono i temi che il film affronta, aiutandoti con quelli proposti e aggiungendone eventualmente degli altri: ■ l’amore tra genitori e figli □ la guerra □ la giustizia □ la giovinezza □ la vecchiaia □ l’incomprensione □ il desiderio di successo □ il destino □ la natura □ l’ambizione personale □ la violenza ■ la famiglia □ il futuro ■ le istituzioni sociali ■ il lavoro ■ la disperazione

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4.giudizio personale 4.1 – Spiega se e perché ti è piaciuto il film (o non ti è piaciuto) tenendo conto del modo in cui è stato realizzato (interesse per la storia narrata, recitazione, fotografia, costumi, musica ecc...) A livello personale, Ladri di Biciclette non è certamente il genere di film che preferisco; però, sia dal punto di vista prettamente narrativo che tecnico, è ingannabile il riconoscere in questo film un capolavoro. Esso adempie perfettamente il compito “documentaristico” che De Sica, attraverso la scelta di rappresentare la realtà, gli ha imposto. Se dovessi definire questo film in una parola, direi sicuramente “reale”; seguiamo la vicenda di Antonio Ricci e la sua famiglia solo ed esclusivamente attraverso l’immediatezza delle loro azioni; non vi sono introspezioni, scene in cui i personaggi principali pensano: evinciamo la loro condizione, la loro personalità solo attraverso ciò che fanno. Cosa che è possibile fare solo quando i personaggi da rappresentare sono genuini e “reali” anch’essi. La cosa che mi affascina di questo film è la paradossale universalità che viene fuori da una vicenda che invece è concentrata sulla “semplice vicenda” del furto di una bicicletta. Camminano paralleli infatti, sia i continui riferimenti alla vicenda della bicicletta (che compare quasi con sarcastica ironia quasi per tutta la durata del film), sia tutta la storia di una parte dell’Italia del dopoguerra che ci appare grazie all’abilità di De Sica, che la rende in questo modo una protagonista silenziosa; Roma non è una location, ma parte integrante del film. Credo che Antonio Ricci e la storia della bicicletta siano solo un pretesto per mostrare allo spettatore un considerevole numero di realtà; ecco allora che Ladri di Biciclette diventa un film sulla famiglia, sulle abitudini popolari e sulla loro mentalità. Gli attori che il regista ha scelto sono non professionisti e si esprimono tutti in “romanaccio”, la scenografia è incredibilmente fedele alla realtà (ad esempio, la casa dei Ricci) così come gli indumenti indossati; per tutti questi motivi si può dire che Ladri di Biciclette è un film della gente e per la gente. Credo infine, che questo sia un film di riferimento per molti dei registi post-neorealismo e non, diventando così un “classico”; Giuseppe Tornatore ad esempio, in “Nuovo Cinema Paradiso”, omaggia Ladri di Biciclette nella scena in cui Leo Gullotta attacca su di una scala, all’ingresso del cinema, lo stesso manifesto (del film Gilda) che l’attacchino Antonio attacca nel suo primo e unico giorno di lavoro. Tutto il peregrinare dei protagonisti senza alla fine concludere nulla: la bicicletta non viene trovata e l’obbiettivo della macchina da presa abbandona i protagonisti all’angoscia di essere circondati da un mondo grigio, freddo e senza solidarietà. Quando guardiamo Ladri di biciclette ci rendiamo conto che l’emozione che proviamo non viene dal fatto che la realtà sia stata rappresentata “così com’è”, ma dall’efficienza della mediazione estetica e della drammatizzazione, e dal fatto che, forse, è proprio quel pizzico d’inverosimiglianza a rafforzare l’impressione di realtà e l’impatto visuale sui nostri sensi durante la proiezione del film. In un film la “realtà” è un qualcosa che va accuratamente preparato assieme a tutto il resto. 4.2 – A tuo parere, è un film adatto ai ragazzi della tua età? Motiva la risposta. Il British Film Institute, lo ha inserito nella classifica (stilata nel 2005) delle 50 opere più adatte ad un pubblico giovane. Sono d’accordo con il British Institute; questo film è adatto ai ragazzi della mia età da un punto di vista didattico: si può apprendere tanto sia dal punto di vista storico e umano sia dal punto vista delle tecniche cinematografiche. Se lo si considera, invece, dal punto di vista intrattenitivo o di immedesimazione da parte di un pubblico giovane, potrebbe risultare sicuramente non apprezzato.

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5. Il Linguaggio del cinema 5.1 Riconosci se il narratore è □ Interno □ Esterno ■ Assente 5.2 Il ritmo del montaggio è ■ Lento □ Rapido □ Alternato 5.3 Considera gli effetti di luce e l’uso del colore. Rivestono particolare importanza? Quali scene ne risultano poste in evidenza? Trattandosi di un film in bianco e nero, non è presente l’uso del colore. Considerando gli effetti di luce in questa prospettiva, possiamo dire che non v’è traccia di effetti che possano risultare in qualche modo artificiosi. La maggior parte delle scene poi, si svolge all’aperto e sempre con luce diurna, mai notturna. 5.4 Prendi in esame la colonna sonora e in particolare: -la funzione del commento musicale: la musica non occupa mai una posizione primaria e fa da “sottofondo” e accompagnamento alle scene più importanti per caricarle di un significato emotivo; segue il ritmo sia degli avvenimenti più drammatici (e La musica non occupa mai una posizione primaria e fa da “sottofondo” e accompagnamento alle scene più importanti per caricarle di un significato emotivo; segue il ritmo sia degli avvenimenti più drammatici (es: furto della bici), sia di quelli più felici (es: Antonio che con la bici si reca a lavorare); la musica diventa addirittura concitata nei momenti di massima disperazione. La musica è inoltre inserita all’interno della stessa sceneggiatura attraverso canzoni attuali (per l’epoca) che gli stessi personaggi ascoltano: quando Antonio si rivolge a Meniconi e lo trova intento a cantare e suonare in compagnia di altre persone, e infine quando Antonio e Bruno si recano alla trattoria e vi è un musicista che l’intrattiene con una canzone popolare (anche da qui, è visibile “l’animo” degli italiani). -gli effetti sonori: la Roma sullo sfondo non è mai muta: sono sempre percettibili i rumori della città e le chiacchiere della gente, come ad esempio nelle scene dei mercati di Piazza Venezia e Porta Portese, o in quella della “messa del povero”. Un altro effetto sonoro ricorrente è quello del campanello della bicicletta che contribuisce a mantenere salda la centralità della vicenda. 5.5 Rintraccia le scene in cui gli effetti sonori, musicali e di luce e colore sono complementari e funzionali ad ottenere particolari risultati: tenendo sempre presente l’assenza di colore, le scene che risultano più ricche di tutti questi elementi e funzionali ad una notevole tensione drammatica sono: la scena immediatamente successiva al furto del velocipede, in cui Antonio comincia a correre per cercare di acchiappare i ladri; la scena in cui una folla di persone difende il ladruncolo in preda ad una crisi epilettica; infine, la scena finale. 5.6 Prendi in esame le tecniche cinematografiche e in particolare: L’uso degli effetti speciali / I movimenti di macchina più significativi / L’uso delle inquadrature Non vi è l’uso di alcun effetto speciale. Vi sono alcune inquadrature panoramiche realizzate con l’ausilio della Dolly, ma per la maggior parte, le inquadrature sono sempre all’altezza dei personaggi; per quanto riguarda i movimenti di macchina, essi non sono mai troppo repentini e seguono l’andamento dei personaggi. Sono frequenti i primi piani e i piani americani.

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5.7 Considera la recitazione degli attori e chiarisci se è: ■ naturale □ enfatica □ ad effetto □ trasandata □ meccanica □ teatrale 5.8 Parla della sequenza, a tuo avviso, importante e/o particolarmente significativa, indimenticabile…

La sequenza che preferisco è anche quella più significativa: ovvero quella finale. Dopo essere stato graziato per compassione da una denuncia (successivamente al tentato furto di una bicicletta) Antonio si arrende: comincia a camminare piangendo, affiancato da Bruno che fa la stessa cosa; si prendono per mano e continuano a camminare con lo sguardo fisso quasi verso il nulla. Le inquadrature a questo punto sembrano smettere di seguirli e l’inquadratura principale rimane fissa: Antonio e Bruno ci danno quindi, ad un

certo punto le spalle, così come tutte le persone che camminano nella loro direzione. Vediamo allora che l’epilogo del film non è solo emblematico per quanto concerne Antonio e la sua famiglia, ma diventa emblematico della condizione dell’Italia: Antonio e Bruno non sono più i protagonisti ma si mischiano nella folla di tutte quelle persone che camminano verso qualcosa di incerto. 6 Storia del cinema 6.1 Chi è il regista? Aggiungi altre informazioni e la filmografia essenziale

Vittorio Domenico Stanislao Gaetano Sorano De Sica (Sora, 7 luglio 1901 – Neuilly-sur-Seine, 13 novembre 1974) è stato un attore, regista e sceneggiatore italiano. È stata una delle figure preminenti del cinema italiano e mondiale, ed è considerato uno dei padri del Neorealismo. Figlio dell'impiegato di banca e assicuratore Umberto (nato a Reggio Calabria, ma di origine salernitana), col quale aveva un rapporto molto bello e forte, e al quale dedicherà il suo film Umberto D., e della napoletana Teresa Manfridi, poco dopo la sua nascita viene condotto a Napoli, dove vive fino al 1914. Dopo lo scoppio della prima guerra mondiale, la famiglia si trasferisce a Firenze, dove ad appena 15 anni iniziò ad esibirsi come attore dilettante in piccoli spettacoli organizzati per i militari ricoverati negli ospedali. In seguito avvenne il definitivo trasferimento a Roma.

Già durante gli studi di ragioneria, grazie all'intercessione dell'amico di famiglia Edoardo Bencivenga, ottiene un piccolo ruolo (è un cameriere) in un film muto diretto da Giancarlo Saccon, Il processo Clemenceau del 1917. Preferisce comunque continuare gli studi salvo poi, dopo aver ottenuto il diploma di ragioniere, accettare nel 1923 una scrittura teatrale da generico nella compagnia diretta dalla prestigiosa attrice Tatiana Pavlova, con la quale rimane per due anni. Nella primavera del 1925 è secondo attore brillante nella compagnia di Italia Almirante, celeberrima diva del muto, quindi nel 1927 passa alla qualifica di secondo attor giovane nella compagnia di Luigi Almirante, Sergio Tofano, e Giuditta Rissone.

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Nel 1930 giunse al livello di primo attore, accanto a Guido Salvini, e lì viene notato da Mario Mattòli, in quel momento titolare della Compagnia Teatrale Za-Bum (il primo serio esperimento italiano teatrale di mescolare la comicità degli attori del varietà al genere drammatico degli attori di prosa), il quale, comprese le sue qualità brillanti, lo scrittura immediatamente e lo mette al fianco di Umberto Melnati, col quale formò una coppia comica di assoluto rilievo per l'epoca, con gag e tormentoni che li rendono celebri a livello nazionale, soprattutto la canzone Lodovico sei dolce come un fico e tanti sketch radiofonici: da citare su tutti il Dura minga, dura no ripreso in seguito negli anni '50 in un carosello pubblicitario da Ernesto Calindri e Franco Volpi. Nel 1933 fondò una sua propria compagnia con Giuditta Rissone e Sergio Tofano, con rappresentazioni soprattutto comiche. Nel dopoguerra immediato, quando cominciò ad essere celebre anche come regista cinematografico, insieme a Paolo Stoppa e a Vivi Gioi dal 1944 portarono in scena anche drammi di notevole valore come Catene di Langdon Martin. Nella stagione 1945-1946 partecipò a due spettacoli diretti da Alessandro Blasetti, Il tempo e la famiglia Conway di John Boynton Priestley e Ma non è una cosa seria di Luigi Pirandello. Nella stagione 1946-1947 lavorò con Luchino Visconti, insieme a Vivi Gioi e a Nino Besozzi nello spettacolo Il matrimonio di Figaro di Beaumarchais, oltre che alla rivista Ah... ci risiamo! scritta da Oreste Biancoli. Infine, nella stagione 1948-1949, partecipò alle due novità I giorni della vita di William Saroyan e Il magnifico cornuto di Fernand Crommelynck, entrambi diretti da Mario Chiari. Quella fu la sua ultima apparizione sul palcoscenico: in seguito, sempre più assorbito da impegni cinematografici e televisivi, non vi farà più ritorno. Si calcola che De Sica, tra il 1923 e il 1949, abbia preso parte, tra commedie, spettacoli di rivista e drammi in prosa, a oltre 120 rappresentazioni. Sul grande schermo, dopo altre due partecipazioni a film muti diretti da Mario Almirante nel biennio 1927-1928, diventò un divo tra i più richiesti (alla pari con Amedeo Nazzari, Gino Cervi e Fosco Giachetti) dal 1932, con molte commedie garbate e gradevoli interpretate con Lya Franca e Assia Noris e tutte dirette da Mario Camerini: tra queste si ricordano Gli uomini, che mascalzoni... del 1932, in cui lancia la celeberrima canzone Parlami d'amore Mariù, suo cavallo di battaglia per il resto della carriera, quindi Darò un milione del 1935, dove incontra Cesare Zavattini, Il signor Max del 1937 e Grandi magazzini del 1939. De Sica compì il suo esordio dietro la macchina da presa nel 1939 sotto l'egida di un potente produttore dell'epoca, Giuseppe Amato, che lo fece debuttare nella commedia Rose scarlatte. Fino al 1942 la sua produzione da regista non si discosta molto dalle commedie misurate e garbate simili a quelle di Mario Camerini: ricordiamo Maddalena... zero in condotta (1940) con Carla Del Poggio e Irasema Dilian, e Teresa Venerdì (1941) con Adriana Benetti. A partire dal 1943, con I bambini ci guardano (tratto dal romanzo Pricò di Giulio Cesare Viola) iniziò, insieme a Zavattini ad esplorare le tematiche neorealiste. Dopo un film a sfondo religioso realizzato nella Città del Vaticano durante l'occupazione della capitale, La porta del cielo (1944) il regista firma, uno dietro l'altro, quattro grandi capolavori del cinema mondiale: Sciuscià (1946), Ladri di biciclette (1948), ricavato dal romanzo omonimo di Luigi Bartolini, Miracolo a Milano (1950), tratto dal romanzo Totò il buono dello stesso Zavattini e Umberto D. (1952), pietre miliari del neorealismo cinematografico italiano. I primi due ottengono l'Oscar come miglior film straniero e il Nastro d'Argento per la migliore regia. Dopo questa irripetibile quadrilogia, De Sica firmò altre opere molto importanti: L'oro di Napoli (1954) tratto da una raccolta di racconti di Giuseppe Marotta, Il tetto (1955) che è considerato il suo passo d'addio al neorealismo, quindi l'acclamatissimo La ciociara, del 1960, tratto dal romanzo omonimo di Alberto Moravia, che vanta una vibrante interpretazione di Sophia Loren, la quale vinse tutti i premi possibili: Nastro d'Argento, David di Donatello, Palma d'Oro al Festival di Cannes e il Premio Oscar per la miglior

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attrice. Con la Loren lavorerà anche in seguito, nel celebre episodio La riffa inserito nel film collettivo Boccaccio '70 (1961), quindi in coppia con Marcello Mastroianni in Ieri, oggi e domani (1963), tre indimenticabili ritratti di donna (la popolana, la snob e la mondana) e terzo suo Oscar, poi con Matrimonio all'italiana (1964), trasposizione di Filumena Marturano di Eduardo De Filippo. Nel 1970 ottenne un quarto Premio Oscar con la trasposizione filmica del romanzo di Giorgio Bassani Il giardino dei Finzi Contini, storia drammatica della persecuzione di una famiglia ebrea ferrarese durante il fascismo; quest'opera ottiene anche l'Orso d'Oro al Festival di Berlino del 1971. L'ultimo film da lui diretto è la riduzione di una novella di Luigi Pirandello, Il viaggio (1974), interpretato ancora da Sophia Loren. Artista instancabile, oltre alla prestigiosa attività come regista continuò anche ad essere un graditissimo attore: apparve in un centinaio di pellicole, anche in brevi ruoli di contorno, vincendo un Nastro d'Argento nel 1948 e ottenendo numerosi premi negli anni seguenti a diversi festival. Nei primi anni '50 colse come interprete uno straordinario successo di pubblico con due pellicole dirette da Alessandro Blasetti e Luigi Comencini, e nelle quali recitò a fianco di Gina Lollobrigida: Altri tempi (1952), nell'episodio Il processo di Frine, dove in una memorabile arringa nella parte di avvocato difensore delle grazie di una popolana inventò il termine proverbiale maggiorata fisica, quindi in Pane, amore e fantasia (1953), dove interpreta l'esuberante maresciallo Carotenuto, impegnato a corteggiare una bella levatrice, e che avrà tre sequel. Ebbe anche un proficuo rapporto con Alberto Sordi, che tentò di lanciare nel 1951 producendo e dirigendo anonimamente Mamma mia che impressione! e col quale recitò in diversi film, tra i quali sono da menzionare Il conte Max, Il moralista e Il vigile. Il risultato più alto del connubio è probabilmente in un sottovalutato film diretto dallo stesso Sordi, Un italiano in America (1967), dove interpretò un incisivo e malinconico ruolo di uno sfaccendato squattrinato emigrato negli Stati Uniti d'America, che sfrutta la partecipazione a una trasmissione televisiva per incontrare il figlio che non vedeva da tempo e al quale fa credere di essere ricco. Molto attivo anche sul piccolo schermo, sebbene non lo amasse molto, partecipò a diverse trasmissioni statunitensi e italiane di intrattenimento leggero come Il Musichiere (1960), Studio Uno con Mina (1965), Colonna Sonora (1966), Sabato Sera con Corrado (1967), Delia Scala Story (1968), Stasera Gina Lollobrigida (1969), Canzonissima con Corrado e Raffaella Carrà 1970-71 e Adesso musica (1972), nonché nel ruolo del giudice chiamato a processare il burattino Pinocchio nel film Le avventure di Pinocchio di Luigi Comencini. Nel 1971 diresse due documentari, inoltre molti uomini di cultura gli dedicarono diversi documentari onorifici. Sposato dal 1937 con Giuditta Rissone (conosciuta dieci anni prima) e dalla quale ebbe la figlia Emi, nel 1942, sul set del film Un garibaldino al convento conobbe l'attrice spagnola Maria Mercader, con la quale andò a convivere. Dopo la richiesta di divorzio della Rissone, ottenuta in Messico nel 1954, si unirono in un primo matrimonio nel 1959, sempre in Messico ma non riconosciuto dalla legge italiana; nel 1968 ottenne la cittadinanza francese e si sposò con la Mercader a Parigi. Da lei ebbe due figli: Manuel nel 1949, oggi apprezzato musicista e principale promotore della Associazione Amici di Vittorio De Sica che si occupa del restauro dei suoi film, e Christian nel 1951, che seguirà le sue orme. Si spense a 73 anni in seguito ad un intervento chirurgico, il 13 novembre 1974 all'ospedale di Neuilly-sur-Seine, presso Parigi.

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Filmografia Attore cinematografico e televisivo Il processo Clemenceau, regia di Edoardo Bencivenga (1917) La bellezza del mondo, regia di Mario Almirante (1927) La compagnia dei matti, regia di Mario Almirante (1928) La vecchia signora, regia di Amleto Palermi (1931) Due cuori felici, regia di Baldassarre Negroni (1932) Gli uomini, che mascalzoni!, regia di Mario Camerini (1932) La segretaria per tutti, regia di Amleto Palermi (1932) Un cattivo soggetto, regia di Carlo Ludovico Bragaglia (1933) La canzone del sole, regia di Max Neufeld (interpreta anche l'edizione tedesca, Das Lied der Sonne) (1933) Il signore desidera?, regia di Gennaro Righelli (1933) Lisetta, regia di Carl Boese (1934) Tempo massimo, regia di Mario Mattoli (1934) Paprika di Carl Böse (1934) Amo te sola, regia di Mario Mattoli (1935) Darò un milione, regia di Mario Camerini (1935) Lohengrin, regia di Nunzio Malasomma (1935) Non ti conosco più, regia di Nunzio Malasomma (1936) Ma non è una cosa seria, regia di Mario Camerini (1936) L'uomo che sorride, regia di Mario Mattoli (1936) Questi ragazzi, regia di Mario Mattoli (1937) Il signor Max, regia di Mario Camerini (1937) Napoli d'altri tempi, regia di Amleto Palermi (1937) La mazurka di papà, regia di Oreste Biancoli (1938) Partire, regia di Amleto Palermi (1938) Hanno rapito un uomo, regia di Gennaro Righelli (1938) L'orologio a cucù, regia di Camillo Mastrocinque (1938) Le due madri, regia di Amleto Palermi (1938) Castelli in aria, regia di Augusto Genina (interpreta anche l'edizione tedesca, Ins blaue Leben) (1939) Ai vostri ordini, signora!, regia di Mario Mattoli (1939) Grandi magazzini, regia di Mario Camerini (1939) Finisce sempre così, regia di Enrique T. Susini (1939) Rose scarlatte, regia di Giuseppe Amato e Vittorio De Sica (1939) Manon Lescaut, regia di Carmine Gallone (1940) Pazza di gioia, regia di Carlo Ludovico Bragaglia (1940) Maddalena... zero in condotta, regia di Vittorio De Sica (1940) La peccatrice, regia di Amleto Palermi (1940) L'avventuriera del piano di sopra, regia di Raffaello Matarazzo (anche sceneggiatura, non accreditata) (1941) Teresa Venerdì, regia di Vittorio De Sica (1941) Un garibaldino al convento, regia di Vittorio De Sica (1942) La guardia del corpo, regia di Carlo Ludovico Bragaglia (anche sceneggiatura) (1942) Se io fossi onesto, regia di Carlo Ludovico Bragaglia (anche sceneggiatura) (1942) I nostri sogni, regia di Vittorio Cottafavi (anche sceneggiatura) (1943) Nessuno torna indietro, regia di Alessandro Blasetti (1943) L'ippocampo, regia di Giampaolo Rosmino (anche sceneggiatura e supervisione regìa, non accreditata) (1943)

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Non sono superstizioso... ma!, regia di Carlo Ludovico Bragaglia (anche sceneggiatura) (1943) Lo sbaglio di essere vivo, regia di Carlo Ludovico Bragaglia (1945) Il mondo vuole così, regia di Giorgio Bianchi (1946) Roma città libera, regia di Marcello Pagliero (1946) Abbasso la ricchezza!, regia di Gennaro Righelli (anche soggetto e sceneggiatura) (1946) Lo sconosciuto di San Marino, regia di Michal Waszynski e Vittorio Cottafavi (1947) Cuore, regia di Duilio Coletti (anche produzione e sceneggiatura) (1947) Natale al campo 119, regia di Pietro Francisci (anche sceneggiatura e supervisione regìa, non accreditata) (1947) Sperduti nel buio, regia di Camillo Mastrocinque (1947) Domani è troppo tardi, regia di Léonide Moguy (anche consulenza tecnica alla regìa, non accreditata) (1949) Buongiorno, elefante!, regia di Gianni Franciolini (anche produzione) (1951) Cameriera bella presenza offresi..., regia di Giorgio Pàstina (1951) Il processo di Frine, episodio di Altri tempi, regia di Alessandro Blasetti (1952) L'orso, episodio de Il matrimonio, regia di Antonio Petrucci (1953) Incidente a Villa Borghese, episodio di Villa Borghese, regia di Gianni Franciolini (1953) Il fine dicitore, episodio di Gran Varietà, regia di Domenico Paolella (1953) Pendolin, episodio di Cento anni d'amore, regia di Lionello De Felice (1953) I gioielli di Madame de..., regia di Max Ophüls (1953) Pane, amore e fantasia, regia di Luigi Comencini (1953) Peccato che sia una canaglia, regia di Alessandro Blasetti (1954) Pane, amore e gelosia, regia di Luigi Comencini (1954) Il divorzio (Le divorce), episodio de Il letto (Secrets d'alcove), regia di Gianni Franciolini (1954) L'allegro squadrone, regia di Paolo Moffa (1954) Vergine moderna, regia di Marcello Pagliero (1954) Scena all'aperto, episodio di Tempi nostri, regia di Alessandro Blasetti (1954) Don Corradino, episodio di Tempi nostri, regia di Alessandro Blasetti (1954) I giocatori, episodio de L'oro di Napoli, regia di Vittorio De Sica (1954) La bella mugnaia, regia di Mario Camerini (1955) Gli ultimi cinque minuti, regia di Giuseppe Amato (1955) Il segno di Venere, regia di Dino Risi (1955) Pane, amore e..., regia di Dino Risi (1955) Racconti romani, regia di Gianni Franciolini (1955) Il bigamo, regia di Luciano Emmer (1955) I giorni più belli, regia di Mario Mattoli (1955) Mio figlio Nerone, regia di Steno (1956) I colpevoli, regia di Turi Vasile (1956) Souvenir d'Italie, regia di Antonio Pietrangeli (1956) Noi siamo le colonne, regia di Luigi Filippo D'Amico (1956) Tempo di villeggiatura, regia di Antonio Racioppi (1956) Montecarlo, regia di Samuel Taylor e Giulio Macchi (anche supervisione artistica alla regìa) (1956) Padri e figli, regia di Mario Monicelli (1957) Casinò de Paris, regia di André Hunebelle (1957) Pane, amore e Andalusia, regia di Javier Setó (anche produzione e supervisione alla regìa) (1957) Il conte Max, regia di Giorgio Bianchi (1957) La donna che venne dal mare, regia di Francesco De Robertis (1957)

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Il medico e lo stregone, regia di Mario Monicelli (1957) Vacanze a Ischia, regia di Mario Camerini (1957) Totò, Vittorio e la dottoressa, regia di Camillo Mastrocinque (1957) Addio alle armi, regia di Charles Vidor (1957) Amore e chiacchiere, regia di Alessandro Blasetti (1957) Ballerina e buon Dio, regia di Antonio Leonviola (1958) Gli zitelloni, regia di Giorgio Bianchi (1958) Pezzo, capopezzo e capitano, regia di Wolfgang Staudte (1958) Anna di Brooklyn, regia di Reginald Denham e Carlo Lastricati (anche supervisione alla regìa) (1958) Domenica è sempre domenica, regia di Camillo Mastrocinque (1958) Uomini e nobiluomini, regia di Giorgio Bianchi (1958) La ragazza di Piazza San Pietro, regia di Piero Costa (1958) Nel blu dipinto di blu (Volare), regia di Piero Tellini (1958) Policarpo, ufficiale di scrittura, regia di Mario Soldati (1958) La prima notte, regia di Alberto Cavalcanti (1958) Ferdinando I, re di Napoli, regia di Gianni Franciolini (1959) Gastone, regia di Mario Bonnard (1959) Il generale della Rovere, regia di Roberto Rossellini (1959) Il mondo dei miracoli, regia di Luigi Capuano (1959) Il moralista, regia di Giorgio Bianchi (1959) Il nemico di mia moglie, regia di Gianni Puccini (1959) Vacanze d'inverno, regia di Camillo Mastrocinque (1959) Napoleone ad Austerlitz, regia di Abel Gance (1960) La sposa bella, regia di Nunnally Johnson e Mario Russo (1960) Le tre eccetera del colonnello, regia di Claude Boissol (1960) Le pillole di Ercole, regia di Luciano Salce (1960) Un amore a Roma, regia di Dino Risi (1960) Il vigile, regia di Luigi Zampa (1960) La baia di Napoli, regia di Melville Shavelson (1960) La miliardaria, regia di Anthony Asquith (1960) Gli attendenti, regia di Giorgio Bianchi (1961) L'onorata società, regia di Riccardo Pazzaglia (1961) Le meraviglie di Aladino, regia di Mario Bava ed Henry Levin (1961) I celebri amori di Enrico IV, regia di Claude Autant-Lara (1961) La Fayette, una spada per due bandiere, regia di Jean Dréville (1961) I due marescialli, regia di Sergio Corbucci (1961) Gli incensurati, regia di Francesco Giaculli (1961) Eva, regia di Joseph Losey e Guidarino Guidi (1962) Le avventure e gli amori di Moll Flanders, regia di Terence Young (1965) Io, io, io... e gli altri, regia di Alessandro Blasetti (1966) Gli altri, gli altri e noi, regia di Maurizio Arena (1966) Un italiano in America, regia di Alberto Sordi (1967) Colpo grosso alla napoletana, regia di Ken Annakin (1968) Caroline Chérie, regia di Denys de la Patellière (1968) L'uomo venuto dal Kremlino, regia di Michael Anderson (1968) Se è martedì, dev'essere il Belgio, regia di Mel Stuart (1969) Una su 13, regia di Nicholas Gessner e Luciano Lucignani (1969) Cose di Cosa Nostra, regia di Steno (1970) Trastevere, regia di Fausto Tozzi (1971) Io non vedo, tu non parli, lui non sente, regia di Mario Camerini (1971)

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L'odore delle belve, regia di Richard Balducci (1972) Siamo tutti in libertà provvisoria, regia di Manlio Scarpelli (1972) Grande slalom per una rapina, regia di George Englund (1972) Le avventure di Pinocchio, regia di Luigi Comencini (in due versioni, cinematografica e televisiva) (1972) Ettore lo fusto, regia di Enzo G. Castellari (1972) Piccoli miracoli, film TV, regia di Jeannot Szwarc (1973) Storia de fratelli e de cortelli, regia di Mario Amendola (1973) Il delitto Matteotti, regia di Florestano Vancini (1973) Viaggia, ragazza, viaggia, hai la musica nelle vene, regia di Pasquale Squitieri (1973) Dracula cerca sangue di vergine... e morì di sete!!!, regia di Paul Morrissey e Antonio Margheriti (1974) C'eravamo tanto amati, regia di Ettore Scola (1974) Intorno, cortometraggio, regia di Manuel De Sica (1974) L'eroe, telefilm, regia di Manuel De Sica (1974) Regista cinematografico Rose scarlatte (co-regia Giuseppe Amato, anche attore) (1939) Maddalena... zero in condotta (anche stesura dialoghi e attore) (1940) Teresa Venerdì (anche sceneggiatura e attore) (1941) Un garibaldino al convento (anche sceneggiatura e attore) (1942) L'ippocampo di Gian Paolo Rosmino (supervisione regìa, non accreditata) (1943) I bambini ci guardano (anche sceneggiatura) (1943) La porta del cielo (anche sceneggiatura) (1944) Sciuscià (anche produzione) (1946) Natale al campo 119 di Pietro Francisci (supervisione regìa, non accreditata) (1947) Ladri di biciclette (anche produzione e sceneggiatura) (1948) Domani è troppo tardi di Léonilde Moguy (consulente tecnico alla regìa, non accreditato) (1949) Miracolo a Milano (anche produzione e sceneggiatura) (1950) Mamma mia, che impressione! di Roberto Savarese (regìa di quasi tutte le sequenze, non accreditata, anche produzione e sceneggiatura) (1951) Umberto D. (anche produzione) (1952) Stazione Termini (1953) L'oro di Napoli (anche sceneggiatura) (1954) Il tetto (anche produzione) (1955) Montecarlo di Samuel Taylor e Giulio Macchi (supervisione artistica alla regìa) (1956) Pane, amore e Andalusia di Javier Setó (supervisione alla regìa) (1957) Anna di Brooklyn di Reginald Denham e Carlo Lastricati (supervisione alla regìa) (1958) Il moralista di Giorgio Bianchi (regìa di molte sequenze, non accreditato) (1959) La ciociara (1960) Il giudizio universale (1961) Boccaccio '70, episodio La riffa (1962) I sequestrati di Altona (1962) Il boom (1963) Ieri, oggi, domani (1963) Matrimonio all'italiana (1964) Un mondo nuovo (1965) Caccia alla volpe (1966) Le streghe, episodio Una sera come le altre (1967) Sette volte donna (1967)

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Amanti (1968) I girasoli (1969) Il giardino dei Finzi Contini (1970) Le coppie, episodio Il leone (1970) Lo chiameremo Andrea (1972) Una breve vacanza (1973) Il viaggio (1974) Regista televisivo Dal referendum alla Costituzione, ovvero il 2 giugno - Nascita della Repubblica, documentario (1971) I cavalieri di Malta, documentario (1971) Sceneggiatore cinematografico L'ippocampo di Giampaolo Rosmino (1943). Sceneggiatore insieme a Margherita Maglione, Sergio Pugliese, Cesare Zavattini, Adolfo Franci. Nel film De Sica interpreta anche il protagonista. Il marito povero di Gaetano Amata (1945). Originariamente doveva essere diretto nel 1943 da Mario Soldati e interpretato da Vittorio De Sica, che figura comunque in veste di sceneggiatore. 6.2 Aggiungi informazioni sul contesto produttivo e/o autoriale, e altre notizie sul film Curiosità Bruno era interpretato dal piccolo Enzo Staiola che De Sica trovò nel quartiere popolare romano della Garbatella. Staiola girerà poi circa 80 film con grandi interpreti come Anna Magnani ed Ava Gardner, ma, con il suo naso a patata, con la sua giacchetta sdrucita e più grande di lui, con la sua sciarpetta delle dimensioni di una esigua striscia di stoffa, rimane indimenticabile nella storia del cinema solo per "Ladri di biciclette". È come un controcanto, un'ombra che, sempre all'inseguimento frenetico del padre, quasi dimentico di lui nella sua disperazione, lo accompagna con le sue gambette, per tutto il racconto del film. Bruno è un bambino nei suoi tratti e nelle sue movenze ma non lo è più poiché già condivide il malessere degli adulti. Antonio e Bruno a Porta Portese vengono sorpresi da un temporale da cui si riparano sotto un cornicione dove arriva un gruppo di seminaristi stranieri, anche loro zuppi d'acqua, che parlano ad alta voce nella loro lingua sotto lo sguardo stupefatto dei due protagonisti meravigliati di quel linguaggio incomprensibile. Tra questi c'è un pretino che non è altri che Sergio Leone, il grande regista degli "spaghetti western". «Tutta la vita di Roma passa in questo film chiuso nel rigido giro d’un sabato e d’una domenica; tutta la vita della Roma periferica, dai quartieri più miseri a quelli borghesi di Piazza Vittorio: i mercatini di Porta Portese, la Messa del Povero, il Banco dei Pegni, i commissariati, le rive del Tevere, lo Stadio, persino le case più equivoche...(Da Il Tempo, 22 Novembre 1948) «È questo mondo De Sica ha voluto offrire di nuovo alla nostra meditazione e alla nostra emozione; un mondo che non è più quello sconvolto e tragico di Sciuscià, ma che, come quello, è altrettanto disperato ed autentico, altrettanto perentorio nell’esortarci a una solidarietà cui solo l’anima italiana di De Sica poteva dare intenzioni così profondamente italiane.» (Da Il Tempo, 22 Novembre 1948)

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«La bicicletta di Antonio è rubata insieme con i suoi sogni di una vita migliore...La perdita della bicicletta era una tragedia enorme per Antonio e la sua famiglia, come era analogo per la perdita o la mancanza di qualsiasi elemento essenziale di vita che previene la povertà e la sofferenza.» Per l'Italia, la realizzazione dei manifesti e delle locandine, fu affidata al pittore cartellonista Ercole Brini, che dipinse i bozzetti ad acquarello e tempera, in uno stile che potremmo definire "neorealista" molto adatti allo spirito del film. Cast artistico Lamberto Maggiorani interpreta Antonio Ricci Scoperto nel 1948 da Vittorio De Sica, che ne fece il protagonista di uno dei suoi più celebri film, Ladri di biciclette, Maggiorani divenne improvvisamente, da operaio qual era, un attore di fama internazionale, interpretando, con viva sensibilità psicologica e intensa drammaticità, il personaggio del protagonista, il disoccupato Ricci, che, proprio nel giorno in cui è stato assunto come attacchino di manifesti presso il comune di Roma, viene derubato della bicicletta, strumento indispensabile per il suo nuovo lavoro e appena riscattata dal Monte di Pietà. Dopo questo successo, Maggiorani, licenziato dalla fabbrica presso cui lavorava, interpretò parecchi film, ma sempre in parti secondarie o come comparsa, senza avere mai più l'occasione di sostenere un ruolo impegnativo. La sola parte d'un certo rilievo interpretata in seguito fu quella d'un operaio antifascista, in Achtung banditi! (1951, Carlo Lizzani). Nel 1961 ricomparve, ancora con Vittorio De Sica, ne Il giudizio universale, in cui diede vita ad una patetica figura di barbone. Lianella Carrell interpreta Maria Ricci Di professione giornalista, esordì nel cinema perché fu scelta da Vittorio De Sica per interpretare il ruolo di protagonista femminile in Ladri di biciclette (1948), in cui tratteggiò con credibilità, efficacia e sobria sensibilità, senza mai scadere in un facile patetismo, il complesso personaggio della moglie di Ricci, il disoccupato le cui vicende costituiscono l'intero tessuto del film. In seguito la Carell prese parte a numerosi altri film; ma non conseguì mai né una vasta notorietà né un grande successo di pubblico. Ciò fu forse dovuto, almeno in parte, al fatto che le furono sempre offerti ruoli abbastanza simili al primo. In essi, l'attrice era costretta a ripetere, con maggiore o minore evidenza, modi e comportamenti del personaggio che l'aveva imposta all'attenzione della critica e del pubblico, senza che interpretazioni di altro tipo le dessero la possibilità di cambiare e di maturarsi, esplicando in modo più vario e completo la propria personalità, indubbiamente notevole. Nel 1966 la Carell collaborò alla sceneggiatura di Io, io, io... e gli altri, per la regia di Alessandro Blasetti, un film che fu definito dalla critica una riuscita “galleria di egoismi piccolo-borghesi”. Elena Altieri interpreta La signora benefattrice Esordì nel cinema a diciotto anni, nel 1937, in Regina della Scala sotto la regia di Guido Salvini e Camillo Mastrocinque. Negli anni successivi interpretò diverse parti secondarie, anche in film di grande spessore artistico, come il celeberrimo Ladri di biciclette, diretto da Vittorio De Sica nel 1948. Svanito il sogno di divenire una stella di primo piano, l'Altieri affiancò la sua saltuaria attività cinematografica con quella di attrice teatrale e di doppiatrice. L'ultima apparizione sul grande schermo risale al 1956, con i film Scapricciatiello e L'ultimo amante.

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Enzo Staiola interpreta Bruno All'età di nove anni esordì in Ladri di biciclette (1948, Vittorio De Sica), divenendo il più famoso bambino-attore del cinema italiano, per la straordinaria sensibilità con cui diede vita al personaggio di Bruno, il figlio del protagonista, l'operaio Ricci. Lasciandosi dirigere da De Sica con estrema bravura, il piccolo Enzo divenne una specie di “manifesto” vivente del neorealismo italiano, a causa della sua profonda e spontanea umanità. Tuttavia, la sua successiva carriera di attore non gli permise mai di approfondire il personaggio che l'aveva reso famoso né di ripetere il miracolo del suo debutto, benché qualcuna fra le sue interpretazioni apparisse degna di nota, come quella in Cuori senza frontiere (1950, Luigi Zampa), in cui sostenne un ruolo di rilievo. Stajola abbandonò l'attività cinematografica nel 1977, dopo qualche saltuaria partecipazione a film di vario genere. Checco Rissone interpreta Il vigile in Piazza del P opolo Figlio di Vittorio e Luigia Cavatore e fratello minore della più famosa attrice Giuditta Rissone, iniziò ad apparire sul palcoscenico fino da ragazzo, spesso nelle stesse compagnie in cui lavorava la sorella. Ciò non gli impedì tuttavia di seguire un regolare curriculum di studi, fino a conseguire la laurea in Economia e Commercio. Tuttavia, le sue apparizioni sulla scena, pur molto frequenti, non avvennero mai in parti di primo piano, ma piuttosto di valido caratterista, forse messo un po’ in ombra prima dalla sorella e poi dal cognato Vittorio De Sica. Nonostante ciò, negli anni del dopoguerra, non gli mancarono ottime occasioni con scritture presso il Piccolo Teatro di Milano. Qui lavorò fino al 1949 sotto la regia di Giorgio Strehler, che gli affidò anche incarichi di assistente alla regia per spettacoli destinati ai ragazzi e di insegnante di recitazione presso la scuola del Piccolo, che Rissone diresse per qualche anno. Passato al Piccolo Teatro di Torino, vi recitò fino al 1959. Attivo anche alla radio e alla televisione, come attore, ma soprattutto come doppiatore, entrò a far parte del mondo del cinema nel 1932 ne La segretaria per tutti (Amleto Palermi), interpretando in seguito numerosi film, in parti di attore caratterista, incisivo e di ottimo mestiere. Nel dopoguerra apparve, sempre in personaggi di secondo piano, in Caccia tragica (1948, Giuseppe De Santis), in Miracolo a Milano (1951, Vittorio De Sica), in Pane, amore e fantasia (1953) e in Pane, amore e gelosia (1954), diretti da Luigi Comencini.