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5/12/2018 libro_finanza - slidepdf.com
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INDICE
INTRODUZIONE ………………………………………………………………… 1
1. L’IMPRESA E IL MERCATO DEL CAPITALE …………………………… 3
2. ESISTE UNA STRUTTURA FINANZIARIA OTTIMALE? ….……………. 8
2.1 La teoria dell’indifferenza di Modigliani & Miller ………………………. 8
2.1.1 La Proposizione I di Modigliani & Miller …………………………. 8
2.1.2 La Proposizione II di Modigliani & Miller ………………………... 11
2.1.3 L’irrilevanza della politica dei dividendi ………….......................... 20
2.2 Il problema delle imposte e dei costi del dissesto ……………………….. 21
2.2.1 Lo scudo fiscale del debito ………………………………………... 212.2.2 I costi dell’indebitamento: costi del dissesto e costi di agenzia …... 27
2.2.3 L’influenza delle aliquote fiscali sul reddito personale …………... 31
2.3 Le ‘teorie dell’ordine di scelta’ e la non perfetta efficienza dei mercati
finanziari …………………………………………………………………….. 32
2.4 Il valore del controllo e l’estrazione di benefici privati …………………. 35
2.5 La separazione fra proprietà e controllo …………………………………. 40
3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO ……………………………... 42
3.1 Tassi di interesse e attualizzazione dei flussi di cassa …………………... 42
3.1.1 Formule pratiche di matematica finanziaria ………………………. 44
3.1.2 Tasso di interesse reale e tasso di interesse nominale …………….. 47
3.1.3 Regime di capitalizzazione dei tassi di interesse e tassi equivalenti . 48
3.1.4 Tassi di interesse e rischio ………………………………………… 54
3.1.5 La struttura per scadenza dei tassi di interesse ……………………. 55
3.1.6 Equilibrio del mercato finanziario e arbitraggio …………………... 57
3.2 Titoli obbligazionari ……………………………………………………... 60
3.2.1 Obbligazioni con remunerazione fissa …………………………….. 63
3.2.2 Obbligazioni con remunerazione variabile ………………………... 64
3.3 La valutazione dei titoli obbligazionari ………………………………….. 67
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3.3.1 Corso tel quel, rateo e corso secco ………………………………… 71
3.3.2 Rendimento effettivo e duration di un’obbligazione ……………… 76
3.4 Il trattamento fiscale dei titoli obbligazionari …………………………… 81
3.5 Il debito bancario ………………………………………………………… 82
3.5.1 Project financing …………………………………………………... 87
3.6 Altre forme di finanziamento ……………………………………………. 88
3.6.1 Certificati di deposito ……………………………………………… 88
3.6.2 Accettazioni bancarie e carte commerciali ………………………... 89
3.6.3 Cambiali finanziarie e certificati di investimento …………………. 89
3.6.4 Operazioni pronti contro termine (PCT) …………………………... 90
3.6.5 Leasing …………………………………………………………….. 91
3.6.6 Factoring …………………………………………………..……… 95
3.6.7 Securitization ……………………………………………………… 96
4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO …………………………….. 98
4.1 Tipologie di titoli azionari e modalità di imposizione fiscale …………... 98
4.2 La valutazione dei titoli azionari ………………………………………. 102
4.2.1 La formula Dividend Discount Model (DDM) ……………………104
4.2.2 Il modello di Gordon & Shapiro ……………………………….… 107
4.2.3 Il modello di Fuller & Hsia …………………………………….… 108
4.2.4 Modelli basati sulla profittabilità dell’impresa …………………... 111
4.2.5 Il valore attuale dell’opportunità di crescita (VAOC) ……...……. 115
4.2.6 Gli indici ‘market/book ’ e ‘ price/earnings’ ……………………… 118
4.2.7 La crescita sostenibile e la crescita finanziata con capitale esterno. 120
4.3 La teoria del portafoglio ………………………..…………………….… 124
4.3.1 Rischio e rendimento: il modello di Markowitz ……………..…... 124
4.3.2 Il modello di Tobin ………………………………………………. 142
4.3.3 Il modello di Sharpe: il Capital Asset Pricing Model (CAPM) ….. 145
4.3.4 Interazione fra valutazione dell’impresa e modalità di finanziamento. 152
4.3.5 Altri modelli di equilibrio fra rischio e rendimento………………. 171
4.4 L’emissione di titoli azionari …………………………………………... 173
4.4.1 Private equity placements e venture capital ……………………... 173
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4.4.2 La quotazione sui mercati borsistici ……………………………... 177
4.4.2.1 Costi e benefici della quotazione …………………………….. 179
4.4.2.2 I mercati borsistici in Italia …………………………………… 181
4.4.2.3 I mercati borsistici all’estero …………………………………. 185
4.4.3 Le offerte pubbliche …………………………..…………….…..... 188
4.4.3.1 Le offerte pubbliche iniziali ( Initial Public Offerings, IPOs) ... 188
4.4.3.2 Le offerte pubbliche seasoned …………………………...…... 192
4.4.3.3 Il modello di Myers & Majluf ………………………………... 195
4.4.4 Gli aumenti di capitale in opzione ai soci esistenti ………………. 199
4.4.5 La raccolta di capitale attraverso warrant ……………………….. 205
Appendice: Il risparmio gestito e la Direttiva MIFID ……….…..………… 206
5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO …………………..... 209
5.1 I titoli derivati: contratti forward …………………………………….… 209
5.1.1 Caratteristiche dei contratti forward ……………...……………… 210
5.1.2 Valutazione dei contratti forward ………………...……………… 211
5.1.3 Il prezzo forward di un’attività …………………...……………… 217
5.1.4 Contratti future …………………………………………………… 218
5.1.5 Swaps …………………………………………………………….. 220
5.1.6 Copertura del rischio attraverso contratti forward …………..…… 222
5.2 I titoli derivati: opzioni ………………………………...………………. 226
5.2.1 Payoff a scadenza delle opzioni ………………...……………...… 227
5.2.2 La relazione di parità put-call ………………………………...….. 229
5.2.3 Limiti del valore delle opzioni in equilibrio ………………...…… 232
5.2.4 Determinanti del valore delle opzioni ……………………………. 238
5.2.5 Modelli di valutazione delle opzioni ……………………...……... 241
5.2.5.1 Modello della binomiale ……………………………………… 242
5.2.5.2 Modello di Black & Scholes ……………………………...….. 255
5.2.6 Opzioni su attività che generano flussi di cassa ……………...….. 259
5.3 Applicazioni della teoria delle opzioni a contratti finanziari ……..…… 262
5.3.1 Rischiosità del debito e costi di agenzia …………………...…….. 262
5.3.2 Obbligazioni indicizzate e convertibili …………………..……… 264
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5.3.3 Warrant ………………………..………………………..……….. 271
5.3.4 Garanzie su operazioni di finanziamento ………………………… 275
5.3.5 Titoli derivati atipici: packages e opzioni esotiche ………………. 275
5.3.6 Opzioni reali di investimento …………………………...……….. 282
Appendice: Tabelle ……………………..………………………………….. 284
6. OPERAZIONI DI FINANZA STRAORDINARIA ……………………….. 287
6.1 Acquisizioni .………………………..………………………………….. 288
6.1.1 Valutazione di un’acquisizione …………………………………... 289
6.1.2 Offerte pubbliche di acquisto (OPA) …………………………….. 297
6.1.3 Leveraged buy-out (LBO) e Management buy-out (MBO) ……… 298
6.1.4 Tecniche di difesa dalle acquisizioni ostili ………………………. 299
6.1.5 Buyback ………………………..…………………………….…… 300
6.2 Fusioni ………………………..………………………………………… 302
6.3 Scissioni ………………………..………………………..………….….. 303
6.4 Costituzione di gruppi di imprese ……………………………………… 305
6.5 Piani di incentivazione azionari e stock options ……………………….. 310
BIBLIOGRAFIA ………………………..……………………………………… 312
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INTRODUZIONE
Scrivere un libro è arrivare ad un certo punto della propria attività universitaria,guardarsi indietro e sentire l’esigenza di raccogliere in forma organica materiale,
conoscenze, esempi, definizioni, formule, finora relegate a qualche angolo della
memoria o qualche foglio appuntato. È anche l’occasione per approfondire parte di
quelle conoscenze ancora marginali, e consolidarle in un quadro esaustivo
attraverso un percorso logico.
Scrivere due libri in uno è quindi moltiplicare per due gli sforzi, ma con
l’ambizione di fare qualcosa di nuovo, che si aggiunga al contributo di chi ci
precede. Ecco perché l’idea di scrivere non uno ma due volumi, ‘Gestire le Risorse
dell’Impresa’ dedicato all’Economia Aziendale, e ‘Finanziare le Risorsedell’Impresa’ dedicato alla Finanza Aziendale. Il filo conduttore dei due volumi è
l’analisi delle risorse dell’impresa, così come compaiono nello Stato Patrimoniale
di Bilancio: il primo volume è dedicato alla gestione delle attività dell’impresa, e a
come il loro valore viene determinato, mentre il secondo volume è dedicato alla
gestione delle passività, e cioè come le attività e gli investimenti sono finanziati dal
capitale.
Sono però del tutto convinto che la scrittura di un libro è un’attività caratterizzata
da economie di scala, e in questo caso, anche di scopo. Pagina dopo pagina, la mia
convinzione che i temi dell’Economia Aziendale e della Finanza Aziendale siintrecciano così strettamente si è rafforzata, e lo dimostrano i numerosi ‘segnalibri’
inseriti qua e là nel testo, che rimandano dall’uno all’altro volume e viceversa, per
ulteriori approfondimenti. Lo sforzo è stato anche quello di inserire numerosi
esempi e, ogni tanto, il ‘punto’ della situazione, per dare modo al lettore di
evidenziare i concetti più importanti.
L’audience a cui si rivolge il libro sono senza dubbio gli studenti dei corsi di
Laurea di primo e secondo livello dell’Università, in particolare Ingegneria
Gestionale per il taglio decisamente quantitativo e modellistico dei capitoli, ma
anche gli studenti dei Master e del Dottorato, per quegli argomenti che
inevitabilmente non si riesce mai a trattare approfonditamente nei corsi di Laurea.
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INTRODUZIONE
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Ciò non toglie che chi intende avvicinarsi ai temi della Gestione d’Impresa per un
interesse professionale oltre che didattico potrà trovare del valore aggiunto in
questa doppia edizione. Ovviamente non ci si aspetti di trovare un corpus organico
di una disciplina, quale è la Gestione d’Impresa, così vasta e dinamica, che spazia
in diverse aree qui solo marginalmente trattate, quali la Gestione della Produzione,
la Gestione dei Progetti, l’Economia Industriale.
Certamente questo lavoro non avrebbe potuto essere realizzato senza il background
di appunti, letture e libri ereditati dai corsi di Ingegneria Gestionale al Politecnico
di Milano, in particolare dei professori – rigorosamente in ordine alfabetico –
Giovanni Azzone, Umberto Bertelè, Francesco Brioschi, Luigi Buzzacchi, Sergio
Mariotti, Rocco Mosconi, Stefano Paleari, Andrea Rangone.
In questa nuova edizione, il lavoro ha beneficiato inoltre di diverse revisioni ed
integrazioni, grazie alle segnalazioni di colleghi e studenti. Numerosi sono anche
gli aggiornamenti, legati all’evoluzione dell’organizzazione dei mercati finanziari e
della normativa (in particolare l’introduzione dei principi contabili IAS/IFRS, la
riforma del diritto societario del 2004, l’introduzione della direttiva MIFID).
Non so se questo lavoro riuscirà effettivamente ad incrementare (anche di un
epsilon direbbero gli ingegneri) l’utilità dei suoi lettori. Io credo di sì. E comunque,
come Frank Sinatra cantava: ‘ And more, much more than this, I did it my way’.
Giancarlo Giudici
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1. L’IMPRESA E IL MERCATO DEL CAPITALE
Il problema del finanziamento dell’attività d’impresa è stato studiato relativamentedi recente, se è vero che fino al Medioevo l’idea di remunerare il capitale con un
interesse era considerata eticamente perversa1. Smith (1776) nel celebre trattato
Wealth of Nations indica invece che la motivazione economica è forzatamente
incentrata sul ruolo dell’interesse personale, e si pone il problema della
remunerazione dell’imprenditore, identificato come il ‘capitalista’, ovvero colui
che assume il controllo del capitale e della produzione nell’impresa.
Keynes (1931) è fra i primi a proporre una teoria organica del rapporto fra
produzione, impresa, moneta, risparmio e investimenti. Egli, per enfatizzare
l’importanza dei mercati finanziari nella raccolta di capitale e nel progressoeconomico, cita l’esempio della regina Elisabetta I, definita ‘una forte azionista del
gruppo che aveva finanziato la spedizione di Drake nel 1580’, la quale con la sua
quota del tesoro sottratto agli spagnoli ripagò il debito estero della nazione e investì
la rimanente parte del bottino (40 mila sterline) nella Levant Company, che a sua
volta fondò la East India Company, i cui profitti costituiscono la base dei
successivi investimenti all’estero della Gran Bretagna2.
In anni più recenti, con lo sviluppo della teoria dell’impresa e della financial
economics, molta attenzione è stata dedicata al rapporto fra impresa e mercati dei
capitali. Una visione organica del rapporto fra investimenti e risorse finanziarie è1 Già Aristotele nella ‘Politica’ affermava che ‘si ha pienissima ragione a detestarel’interesse, per il fatto che in tal caso i guadagni provengono dal denaro stesso’. Ilmedesimo principio è riaffermato da Tommaso d’Aquino nella ‘Summa theologica’. IlCorano riconosce la libertà nell’attività negoziale e imprenditoriale ma proibisce l’interesse(definito riba, letteralmente crescita, incremento, eccesso). A tutt’oggi nel mondo islamicoprestare denaro a interesse è considerato immorale, il che ha comportato per banche eistituzioni finanziarie islamiche l’adozione di contratti basati sul principio dicompartecipazione a profitti e perdite, evitando ogni forma di debito remunerato.2 Curiosamente, Keynes fa notare che 40.000 sterline del 1580, attualizzate ad un tassocomposto annuo del 3,25% (pari al tasso di reinvestimento del reddito prodotto all’esterodall’industria britannica al tempo di Keynes) corrispondono circa a 4 miliardi di sterline del
1930, ovvero proprio l’ammontare dello stock di investimenti all’estero della GranBretagna in quell’anno.
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1. L’IMPRESA E IL MERCATO DEL CAPITALE
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stata proposta da Alchian e Demsetz (1972), che assimilano l’impresa di capitale a
una funzione super-additiva e non separabile delle attività che la compongono
(capitale, tecnologia e lavoro). In tal senso l’impresa ‘crea ricchezza’, poiché è in
grado di generare valore aggiunto rispetto al valore delle risorse che la
compongono. Tale ricchezza serve per remunerare le risorse produttive, e in misura
residuale i proprietari del capitale, e cioè gli azionisti. Il valore dell’impresa
discende direttamente dalla capacità dell’impresa di generare extra-profitti e quindi
in ultima analisi di implementare investimenti che siano in grado di remunerare il
lavoro, le materie prime e quindi anche il capitale degli azionisti, attraverso la
produzione di beni e servizi.
Figura 1.1 – Uno schema del rapporto fra impresa capitalistica e mercati finanziari.
Tipicamente, un investimento di un’impresa rappresenta un progetto che, a frontedell’impiego iniziale di un ammontare definito di risorse, genera una serie non
definita, se non in valore atteso e con un grado di rischio differenziato, di flussi di
cassa futuri. Le risorse inizialmente assorbite da un investimento possono essere di
diversa natura: materiale (beni strumentali, materie prime), immateriale
(competenze, tecnologia) o finanziaria (moneta, titoli e contratti finanziari). In
generale esse rappresentano uno stock che l’impresa può detenere a disposizione
oppure no. In questo ultimo caso è necessario ricorrere a fonti esterne, in maniera
tale da reperire tali risorse al minor costo possibile.
Impresa
RISORSE:CapitaleLavoro
Tecnologia
OUTPUT:ProdottiServizi
Remunerazione
PROFITTI
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1. L’IMPRESA E IL MERCATO DEL CAPITALE
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• Il segnalibro
Le tecniche di valutazione e di gestione degli investimenti sono descritte nel
Volume ‘Gestire le Risorse dell’Impresa’, rispettivamente nel Capitolo 4,
Paragrafo 4.2, e nel Capitolo 5, Paragrafo 5.3.3.
Il mercato finanziario è uno dei canali attraverso il quale l’impresa può raccogliere
dall’esterno risorse finanziarie necessarie per i propri investimenti. Esso può essere
distinto in diversi segmenti (si veda la Figura 1.2):
• il mercato mobiliare, a sua volta distinto in mercato primario e secondario;
• il mercato creditizio.
Il mercato mobiliare rappresenta un canale diretto di finanziamento fra le imprese e
il mercato. In tal caso è individuabile una relazione diretta e biunivoca fra
l’impresa che raccoglie capitale e l’investitore che lo cede. Il flusso del capitale dalmercato alle imprese avviene attraverso il segmento primario, che non è attivo con
continuità nel tempo, ma viene aperto il più delle volte dalle imprese nel momento
in cui decidono di raccogliere capitale sul mercato. Il segmento secondario invece è
aperto con continuità nel tempo (si pensi ad esempio al mercato borsistico), e
permette agli investitori di scambiare fra loro i titoli, riallocando i propri portafogli.
Figura 1.2 – Il mercato finanziario: mercato mobiliare primario e secondario, mercato
creditizio.
Impresa
Capitale
Titoli
Mercato Titoli
IntermediariCapitale CapitaleTitoli Titoli
MERCATO PRIMARIO MERCATOSECONDARIO
MERCATO CREDITIZIO
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1. L’IMPRESA E IL MERCATO DEL CAPITALE
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È evidente che gli scambi che avvengono sul segmento secondario non riguardano
in via diretta l’impresa, e che la raccolta di capitale avviene solo sul segmento
primario.
Il mercato creditizio è invece caratterizzato dalla presenza di intermediari finanziari
(tipicamente gli istituti di credito) che si fanno promotori della raccolta di capitale
e a loro volta individuano gli impieghi in investimenti finanziari più opportuni sul
mercato. In questo caso non è individuabile direttamente una relazione biunivoca
fra impresa finanziata e finanziatore ultimo.
Ovviamente gli intermediari hanno un ruolo importante anche nelle transazioni che
avvengono attraverso il mercato mobiliare primario, ma in questo caso il loro
compito è solo quello di facilitare l’incontro fra domanda e offerta di capitale, ad
esempio collocando titoli emessi dalle imprese, con ciò rendendo più efficiente il
mercato stesso. Inoltre, l’organizzazione del mercato secondario spesso limita
l’operatività agli intermediari, che operano per conto dei propri clienti.
La forma di governo delle transazioni che avvengono sul mercato mobiliare è un
particolare contratto, il ‘titolo finanziario’. Attraverso l’emissione di titoli,
l’impresa concorda con gli investitori le modalità di remunerazione e di rimborso
del capitale: a tal proposito è possibile distinguere fra:
• titoli obbligazionari, o titoli di debito: in tal caso l’impresa si impegna a
remunerare a condizioni contrattualmente concordate il capitale e a restituirlo
integralmente; la remunerazione avviene attraverso il pagamento di interessi
nel corso della vita residua del prestito (ad esempio attraverso il pagamento dicedole) oppure con il riconoscimento di un determinato rendimento sul capitale
al momento del rimborso del prestito;
• titoli azionari, o titoli equity: in questo caso la remunerazione del capitale non è
oggetto di contrattazione ma è residuale, ovvero il reddito degli azionisti viene
determinato al netto della remunerazione degli altri fattori produttivi (materie
prime, lavoro, capitale di debito, anche lo Stato attraverso il pagamento delle
imposte). In altre parole, solo se l’impresa realizza un reddito netto positivo
essa sarà in grado di remunerare le azioni attraverso il pagamento di dividendi.
I titoli azionari inoltre conferiscono al detentore la titolarità (ovviamente pro-
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1. L’IMPRESA E IL MERCATO DEL CAPITALE
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quota) della proprietà del capitale dell’impresa e il controllo attraverso il diritto
di voto in assemblea sociale.
Nella realtà i titoli che le imprese emettono sono molto vari, e possono assumere
caratteristiche ibride fra le due categorie introdotte. Ad esempio, le obbligazioni
convertibili sono titoli di debito che possono essere convertiti in titoli azionari.
Ancora, esistono le azioni a diritto di voto limitato (in Italia le azioni di risparmio e
privilegiate) che, a fronte di limitazioni nel potere di controllo sull’impresa,
concedono privilegi nel pagamento dei dividendi.
Le imprese possono inoltre stipulare contratti finanziari che non rappresentano
titoli di raccolta di capitale, ma possono comunque essere utili per la gestione della
liquidità (ad esempio le operazioni di leasing) o per la copertura del rischio (ad
esempio i titoli derivati).
L’obiettivo dei prossimi capitoli sarà quello di capire innanzitutto se esiste una
struttura finanziaria ottimale per l’impresa, in funzione delle proprie caratteristiche,
o se le diverse forme di finanziamento sono indifferenti l’una rispetto all’altra. In
secondo luogo esamineremo tutte le tecniche di raccolta di capitale sul mercato, sia
esso capitale di debito o capitale di rischio. Passeremo quindi a esaminare le
tecniche finanziarie di copertura del rischio attraverso i titoli derivati, e infine
analizzeremo le più rilevanti operazioni di finanza straordinaria.
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2. ESISTE UNA STRUTTURA FINANZIARIA OTTIMALE?
La letteratura finanziaria da tempo si è posta il problema di capire se i diversicanali e i diversi titoli che l’impresa ha a disposizione per raccogliere capitale sono
equivalenti fra loro, oppure se esistono strategie di finanziamento opportune, che
definiscono un mix ottimale di risorse finanziarie per ogni specifico investimento
da implementare. La scelta fondamentale è fra la raccolta di capitale di rischio
(equity) e la raccolta di capitale di debito. In questo capitolo ci si chiederà se una
delle due forme di finanziamento è superiore all’altra.
Partiremo da un modello molto semplice, ma che vale in condizioni molto
restrittive, per poi rilassare queste ipotesi e considerare la pluralità dei fattori che
influenzano le scelte finanziarie.
2.1 La teoria dell’indifferenza di Modigliani & Miller
Modigliani e Miller (1958) dimostrano, in un loro notissimo modello, che sotto
opportune condizioni la struttura finanziaria dell’impresa è irrilevante rispetto alla
massimizzazione del valore delle attività. In altre parole, risulta del tutto
indifferente come finanziare ogni singolo investimento. Questo concetto riassume
la Proposizione I di Modigliani e Miller, che però vale se si immagina un’economia
senza imposte sul reddito, caratterizzata da un unico tasso attivo e passivo di
mercato, senza asimmetrie informative e costi transazionali. Si deve inoltreipotizzare che la politica di finanziamento degli investimenti sia indipendente dalla
composizione del portafoglio degli investimenti, ovvero che non ci siano vincoli
endogeni sulle scelte possibili di finanziamento.
2.1.1 La Proposizione I di Modigliani & Miller
Per dimostrare la validità del teorema, gli autori considerano due imprese, del tutto
uguali rispetto al portafoglio di attività, ma l’una (l’impresa U, unlevered )
finanziata solo con capitale azionario (equity), l’altra (l’impresa L, levered )
finanziata anche con debito, remunerato attraverso il pagamento di oneri finanziari
ad un tasso annuale r . Il valore di mercato dell’equity dell’impresa U è E U, mentre
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2. ESISTE UNA STRUTTURA FINANZIARIA OTTIMALE?
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il valore dell’equity dell’impresa L è E L. Il valore di mercato del debito emesso
dall’impresa L è DL. Il valore totale delle attività dell’impresa U è V U, mentre il
valore delle attività dell’impresa L è V L. Entrambe le imprese, essendo
caratterizzate dalle stesse attività di bilancio, realizzano un margine operativo di
bilancio identico, pari a MO.
Il valore delle attività delle due imprese rappresenta anche la ricchezza dei
rispettivi stakeholders, ovvero di tutti coloro (detentori di azioni e di debito) che
vantano claims sull’impresa:
V U = E U V L = E L + DL
Dimostrando che V U = V L si proverebbe la teoria dell’indifferenza, e cioè che la
struttura finanziaria dell’impresa è irrilevante. In altre parole, un maggiore o
minore indebitamento non influenza il valore di mercato delle attività.
Figura 2.1 – Dimostrazione della proposizione I di Modigliani e Miller.
Consideriamo un investitore che acquista il 5% delle azioni dell’impresa U. Il suo
investimento iniziale I 1 sarà pari al 5% di E U. Contemporaneamente, consideriamo
un investitore che acquista il 5% delle azioni dell’impresa L, e ne sottoscrive il 5%
del suo debito. L’investimento I 2 in questo caso è pari al 5% di E L più il 5% di DL.
Il payoff P1 maturato dall’investimento nel primo caso sarà il 5% dei profitti UN U
dell’impresa, ovvero il 5% di MO dal momento che l’impresa U non paga interessi
passivi sul debito e non ci sono imposte. Il payoff P2 maturato dall’investimento nel
secondo caso sarà il 5% dei profitti dell’impresa UN L, ovvero il 5% di ( MO – r · DL),
più il 5% degli interessi pagati sul debito, pari al 5% di rDL.
V U V L E U E L
DL
Impresa U, unlevered Impresa L, levered
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2. ESISTE UNA STRUTTURA FINANZIARIA OTTIMALE?
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P1 = 5% UN U = 5% MO
P2 = 5% UN L + 5% rDL = 5% ( MO – r · DL) + 5% r · DL = 5% MO = P1
In aggregato dunque il payoff ottenuto dai due investitori è identico. Affinché il
mercato del capitale sia in equilibrio, strategie che generano lo stesso payoff
devono anche implicare uno stesso investimento iniziale (altrimenti tutti
vorrebbero sottoscrivere solo debito o solo equity). Dunque deve verificarsi:
I 1 = I 2 5% E U = 5% E L + 5% DL
E U = E L + DL ⇒ V U = V L
Il valore di mercato delle attività delle due imprese deve essere identico.
Una seconda dimostrazione, molto simile alla precedente, può essere ricavata
considerando da una parte un investitore che acquista il 5% dell’equity
dell’impresa L, e dall’altra parte un altro investitore che invece acquista il 5%
dell’equity dell’impresa U, e in più si indebita all’unico tasso di mercato r per un
valore pari al 5% di DL. L’investimento I 1′ nel primo caso sarà pari al 5% di E L, nel
secondo caso l’investimento I 2′ sarà pari al 5% di E U, al netto dell’indebitamento
pari al 5% di DL.
I payoff P1′ e P2′ generati dalle due strategie questa volta saranno:
P1′ = 5% UN L = 5% ( MO – r · DL)
P2′ = 5% UN U – 5% r · DL = 5% ( MO) – 5% r · DL = 5% ( MO – r · DL) = P1′
Nel secondo caso, infatti, l’investitore deve remunerare al tasso r il debito
contratto. Anche in questo caso dunque le due strategie generano gli stessi payoff , e
quindi deve verificarsi:
I 1′ = I 2′ 5% E L = 5% E U – 5% DL
E U = E L + DL ⇒ V U = V L
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2. ESISTE UNA STRUTTURA FINANZIARIA OTTIMALE?
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Questa seconda dimostrazione della Proposizione I di Modigliani e Miller
evidenzia una cosa interessante. Il fatto che un’impresa si indebiti in misura più o
meno elevata non genera di per sé valore, perché ogni investitore può ‘ricostruirsi’
una qualsiasi ‘propria’ struttura finanziaria desiderata, acquistando titoli azionari
dell’impresa unlevered e indebitandosi sul mercato. Risulta cruciale però che le
condizioni a cui si indebitano le imprese e gli investitori siano le stesse. In altre
parole, il tasso r di indebitamento (come specificato nelle ipotesi di partenza) deve
essere lo stesso per tutti. È quindi chiaro che se le imprese potessero indebitarsi a
tassi migliori rispetto alle persone, gli investitori non vorrebbero mai indebitarsi,
ma preferirebbero che a farlo fossero le imprese di cui sono azionisti.
• Il punto
La Proposizione I di Modigliani e Miller afferma che sotto opportune condizioni lastruttura finanziaria dell’impresa è irrilevante rispetto alla massimizzazione del
valore delle attività.
2.1.2 La Proposizione II di Modigliani & Miller
La prima proposizione di Modigliani e Miller sembra però contrastare con la
relazione della ‘leva finanziaria’, nota agli studiosi di Economia Aziendale,
secondo cui le imprese, facendo leva su un maggiore indebitamento, sono in grado
di generare rendimenti sul capitale azionario (return on equity, ROE) più elevati,
nella condizione che il rendimento del capitale investito netto (return on assets,ROA) sia maggiore del tasso di indebitamento r .
• Il segnalibro
La relazione contabile della ‘leva finanziaria’ fra redditività attesa del capitale
azionario (ROE) e redditività del capitale totale attivo (ROA) in funzione
dell’indebitamento è presentata nel Volume ‘Gestire le Risorse dell’Impresa’ nel
Capitolo 2, Paragrafo 2.3.
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2. ESISTE UNA STRUTTURA FINANZIARIA OTTIMALE?
12
Modigliani e Miller dimostrano che la relazione della ‘leva finanziaria’ è
compatibile con il loro modello. In effetti, il rendimento dell’equity cresce se
cresce l’indebitamento di un’impresa, e questo riassume il risultato della
Proposizione II di Modigliani e Miller. La dimostrazione è semplice, definendo r A
come il rendimento del capitale totale investito e r E come il rendimento dell’equity:
r A =V
MO r E =
E
UN
dove, in base anche ai risultati della proposizione I:
UN = MO – r · D
V = E + D
Elaborando la definizione di r E si ottiene:
r E = E
UN =
)(
)()(
E D
E D
E
rD MO
+
+⋅
−=
E
Dr
E
E D
E D
MO−
+⋅
+
)(
)(=
E
Dr
E
E Dr ⋅−
+⋅
)(A
r E = )( AA r r E
Dr −⋅+
• Il puntoLa Proposizione II di Modigliani e Miller introduce, sotto le stesse condizioni della
Proposizione I, la relazione della leva finanziaria, secondo cui il rendimento del
capitale azionario cresce al crescere dell’indebitamento, se il tasso di rendimento
degli investimenti è superiore al tasso di remunerazione del debito.
È dunque verificato che, così come riscontrato per gli indici contabili ROE e ROA,
esiste una relazione lineare crescente fra il rendimento (questa volta a valori di
mercato) dell’equity r E e il rendimento del capitale investito r A, in funzione
dell’indebitamento. In particolare, se l’impresa è in grado di remunerare il capitale
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2. ESISTE UNA STRUTTURA FINANZIARIA OTTIMALE?
13
di debito ad un tasso inferiore rispetto al tasso di rendimento degli investimenti
(ovvero r < r A), l’indebitamento può accrescere la remunerazione dell’equity.
Figura 2.2 – La relazione fra leverage (D/E) e rendimento dell’equity (r E) nella
Proposizione II di Modigliani e Miller.
La Figura 2.2 mostra come (in una situazione in cui la redditività r A del capitale
investito in impianti, progetti, capitale circolante è superiore rispetto al tasso di
indebitamento r ) al crescere del leverage si possa accrescere linearmente la
redditività per gli azionisti. La Proposizione I ci assicura che r A non dipende dal
leverage, ed è costante, in quanto il valore delle attività dell’impresa (su cui èmisurato il rendimento) non dipende da come esse sono finanziate.
In effetti la Proposizione II può essere riformulata in un modo alternativo, questa
volta in funzione di r A:
r E = )( AA r r E
Dr −⋅+
r A =
+⋅
⋅+
D E
E r
E
Dr E =
+⋅+
+⋅
D E
Dr
D E
E r E
r E
D/E
r E
r A
r
D / E (r A – r )
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2. ESISTE UNA STRUTTURA FINANZIARIA OTTIMALE?
14
Si capisce che il rendimento dell’equity e del debito sono le componenti di una
‘media ponderata’ che rappresenta il rendimento del capitale totale investito r A (che
in tal caso rappresenta appunto il ‘costo medio ponderato’ del capitale). Poiché –
per quanto argomentato sopra – r A non dipende dal leverage del passivo,
all’aumentare del debito (che è caratterizzato da una remunerazione
contrattualmente nota), non può che aumentare il rendimento atteso del capitale
azionario, che è invece residuale.
• Il punto
Il rendimento del capitale investito rappresenta il costo medio ponderato fra il
capitale di debito e il capitale di rischio, la cui remunerazione è residuale.
Il risultato della Proposizione II sembra però ancora in contrasto con laProposizione I. Come è possibile che la struttura finanziaria dell’impresa sia
indifferente se al crescere dell’indebitamento cresce anche il tasso di rendimento
dell’equity?
La risposta all’obiezione può essere ricavata dal seguente Esempio.
• Esempio
Si consideri un’impresa non indebitata (U) che realizza un margine operativo
annuale pari a MO, il cui capitale è composto da un numero n di azioni che sul
mercato valgono p, dove: MO = 1,5 mln. €
n = 1 mln.
p = 10 €
Il valore dell’equity dell’impresa coincide con il valore delle sue attività, ovvero:
E U = V U = n ⋅ p = 10 mln. €
Dal momento che il margine operativo è anche il reddito per gli azionisti, il
rendimento dell’equity r E coincide con il rendimento delle attività r A, ed è pari a:
r E = r A =UV
MO= 15%
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15
L’utile per azione EPS (earnings per share) associato all’impresa non indebitata è:
EPSU =n
MO= 1,5 €
Supponiamo che l’impresa acquisti sul mercato attraverso un buyback metà delleproprie azioni, per un controvalore D pari a 5 mln. €, finanziandosi con debito,
remunerato ad un tasso annuo r pari al 10%.
Il reddito UN per gli azionisti questa volta sarà:
UN = MO – r ·D = 1,5 mln. € – 0,5 mln. € = 1 mln. €
La Proposizione I di Modigliani e Miller ci assicura che il valore delle azioni
dell’impresa non varia, e quindi dovrebbe valere, considerando che metà del
capitale azionario è stato rimborsato:
p = 10 €
V L = 10 mln. € (irrilevanza della struttura finanziaria) E L = V L – D = 5 mln. €
La Proposizione II di Modigliani e Miller ci assicura invece che il rendimento
dell’equity r E è destinato a salire, dal momento che r < r A:
r E = )( AL
LA r r
E
Dr −⋅+ = 15% + 1 · (15% – 10%) = 20%
e in effetti:
r E =L E
UN = 20%
Ovviamente anche l’utile per azione EPS cresce, dal momento che si distribuiscesu un numero di titoli azionari pari alla metà:
EPSL =n
UN
⋅50%= 2 €
I risultati delle due proposizioni sono assolutamente compatibili, e lo si può
provare considerando le seguenti strategie di investimento:
1) acquistare un’azione dell’impresa indebitata;
2) acquistare due azioni dell’impresa non indebitata e indebitarsi per un valore di
10 €.
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16
Nel caso 1) l’investimento ‘costa’ p (10 €) e genera un reddito pari a EPSL, ovvero
2 €.
Nel caso 2) l’investimento ‘costa’ 2 · p (20 €) al netto della liquidità incassata col
debito (10 €), quindi il costo netto è 10 €; il reddito invece è 2⋅EPSU (3 €), al nettodegli interessi pagati sul debito (il 10% di 10 €, quindi 1 €), in totale 2 €.
Come si vede, le due strategie hanno lo stesso ‘costo’ e generano lo stesso reddito.
Il fatto che l’impresa si indebiti non genera quindi alcun valore per gli investitori,
poiché essi possono costruirsi come meglio credono la ‘loro’ struttura finanziaria
ottimale. Infatti, il prezzo dei titoli azionari rimasti in circolazione non cresce, ma
rimane costante.
La struttura finanziaria dell’impresa, pur influendo sulla redditività del capitale,
non ha effetti sul valore di mercato delle azioni.
Qualcuno potrebbe essere tentato di proporre una terza strategia:3) acquistare tre azioni dell’impresa non indebitata e indebitarsi per un valore di
20 €.
Questa terza strategia ‘costa’ anch’essa 10 € (3 · p ovvero 30 € al netto della
liquidità incassata col debito pari a 20 €), ma genera un risultato in termini di
rendimento maggiore rispetto alle prime due. Infatti si otterrà 3 ⋅ EPSU (4,5 €), al
netto degli interessi pagati sul debito (il 10% di 20 €, quindi 2 €), in totale 2,5 €.
Siamo forse di fronte ad una clamorosa confutazione? Assolutamente no, anzi
l’esempio è una ulteriore conferma della Proposizione II.
I portafogli 1) e 2) infatti sono caratterizzati da un ‘leverage’ D/E pari a 1 dato cheentrambi sono finanziati per metà da equity e per metà da debito.
Il portafoglio 3) è invece caratterizzato da un leverage maggiore, e quindi non
potrà generare lo stesso risultato degli altri due. In altre parole esso è più rischioso.
Il rapporto di leva è infatti pari a 2 (dal momento che raccogliamo 20 € con debito
e autofinanziamo la rimanente quota dell’investimento pari a 10 €).
Secondo Modigliani e Miller il rendimento atteso del portafoglio dovrebbe essere:
r E = )( AL
LA r r
E
Dr −⋅+ = 15% + 2 · (15% – 10%) = 25%
E infatti 2,5 € / 10 € = 25%.
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Un’ulteriore osservazione sui risultati ottenuti evidenzia che potenzialmente
l’indebitamento dell’impresa accresce il rendimento del capitale azionario, ma ne
accresce anche la rischiosità, in maniera tale che il suo valore di mercato rimane lo
stesso.
Consideriamo infatti la redditività del capitale r E come una variabile aleatoria, e
non più deterministica.
La sua varianza σ2 (in funzione del rischio associato al rendimento del capitale
investito e considerando costante il tasso di mercato r ) in base al risultato della
Proposizione II può essere descritta da:
σ2(r E) = σ2 ( )( AA r r E
Dr −⋅+ ) = σ2[(1+
E
D) · r A] = 2)1(
E
D+ · σ2 (r A)
Dunque, l’aleatorietà del rendimento dell’equity (ovvero il rischio) si moltiplica al
crescere del leverage rispetto al rendimento del capitale investito. La Figura 2.3
evidenzia tale fenomeno. Sul grafico è riportato il livello EPS dell’utile per azione,
in funzione del reddito operativo MO, per ogni livello dello stock di debito D. La
linea continua descrive la crescita dell’utile per azione nell’impresa non indebitata,
mentre invece la linea tratteggiata rappresenta la stessa funzione per l’impresa
indebitata. Nella parte destra del grafico, al crescere dell’indebitamento, la
variazione marginale di EPS rispetto a MO è positiva, come mostrato nell’Esempio
precedente (EPSL > EPSU). Si noti però che nel caso in cui il margine operativorisulti più basso (ovvero r A peggiora fino a diventare, nella parte sinistra del
grafico, inferiore a r ), l’utile per azione è destinato a scendere. Consideriamo la
situazione di un’impresa non indebitata: se il margine operativo MO (che
corrisponde a r A ⋅ E) è inferiore a r ⋅ E (cioè se il rendimento delle attività è
inferiore al costo del debito) un eventuale indebitamento peggiorerebbe la
redditività degli azionisti, e quindi l’utile per azione EPS. In altre parole si avrebbe
quindi EPSU > EPSL.
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Figura 2.3 – Proposizione II di Modigliani e Miller: variazione dell’utile per azione EPS
rispetto al reddito operativo MO in funzione del leverage.
In ultimo luogo, è difficile affermare che il tasso di rendimento r richiesto dai
finanziatori sul debito rimanga costante al crescere del leverage, come ipotizzato
nella Figura 2.2. Nella realtà, è più verosimile che vi sia una correlazione fra
dimensione dello stock del debito, e quindi rischiosità dell’impresa, e tasso di
rendimento richiesto all’impresa. Di conseguenza, è probabile che la crescita di r E
all’aumentare del leverage sia meno che proporzionale.
Attraverso la Figura 2.3 possiamo ulteriormente capire il ‘senso’ della
Proposizione I.
Poniamoci infatti l’obiettivo di ‘replicare’ il payoff dell’impresa indebitata
(rappresentato dalla linea tratteggiata) investendo nelle azioni dell’impresa non
indebitata, e indebitandoci personalmente. La Figura 2.4 ci mostra come è
possibile… moltiplicando per x le azioni dell’impresa U da acquistare, e
indebitandoci per un importo pari a D*, riusciamo a replicare l’utile per azione
dell’impresa L per ogni valore del margine operativo MO. Ancora una volta,
EPS
MO
Impresa U
EPSL
MO
Impresa L
r ⋅ D
D ↑ EPSU
r A > r
EPSL > EPSU
r A < r
EPSU > EPSL
r ⋅ EU
D ↑
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l’impresa indebitata non crea valore perché ogni investitore può ricostruire
autonomamente sul mercato il payoff che essa offre.
Figura 2.4 – Replica del payoff dell’impresa indebitata L investendo nelle azioni
dell’impresa non indebitata U ed emettendo debito.
I parametri x e D* si possono determinare, imponendo che il payoff del portafoglio
equivalente sia uguale a quello dell’azione dell’impresa L:
x · n
MO– r · D* = EPSL =
Ln
rD MO −=
n
MO · (1 +
E
D) – r ·
n
D · (1 +
E
D)
dal momento che la relazione fra n e n L è così definita:
n L =) / 1( E D
nn
E D
E n
V
E
p
E
+=⋅
+=⋅=
I valori ricercati sono quindi:
x = (1 + E
D)
EPS
MO
1 azione (U)
x azioni (U)EPS
x azioni (U)e debito D*
x azioni (U)
MO
x
r ⋅ DL
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D* =n
D · (1 +
E
D) =
n
D ·
E
V = p ·
E
D
2.1.3 L’irrilevanza della politica dei dividendiIl modello di Modigliani e Miller ha un’importante conseguenza relativa all’effetto
della politica dei dividendi sul valore d’impresa.
I dividendi rappresentano la frazione degli utili netti di conto economico che viene
distribuita agli azionisti, che alternativamente può essere reinvestita nell’attività
imprenditoriale. Il fatto che venga pagato ai soci un dividendo più o meno
consistente ha un effetto sul valore del loro portafoglio? In base alle due
Proposizioni di Modigliani & Miller la risposta è no.
Il pagamento di un dividendo (così come un riacquisto di azioni proprie sul
mercato, buyback ) ha l’effetto di aumentare il leverage del passivo. Infatti, si hauna riduzione dell’attivo di bilancio (causato dall’uscita di liquidità pagata
dall’impresa al mercato, sotto forma di dividendo o di corrispettivo per l’acquisto
delle azioni) e quindi l’incidenza di eventuali debiti (nel caso rimangano invariati)
sul totale del passivo aumenta. Sappiamo però che questo non ha impatto sul valore
delle attività rimaste. In altre parole, il pagamento di un dividendo elevato porterà
maggiore liquidità nelle tasche degli azionisti, ma i loro titoli in portafoglio
varranno di meno per un pari importo (si veda la Figura 2.5). La differenza fra il
valore di mercato delle azioni prima e dopo il pagamento del dividendo sarà infatti,
sotto le ipotesi di Modigliani & Miller, esattamente pari al dividendo stesso poichénon si è generato né distrutto valore.
Figura 2.5 – Valore dell’impresa prima e dopo il pagamento di un dividendo.
V L V L- Dividendi E L- Dividendi
DL
Prima del pagamento del dividendo
E L
DL
Dopo il pagamento del dividendo
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2.2 Il problema delle imposte e dei costi del dissesto
Nonostante abbiano consentito a Franco Modigliani il riconoscimento del Premio
Nobel per l’Economia nel 1985 (e a Merton Miller lo stesso riconoscimento nel
1990), le due Proposizioni di Modigliani e Miller offrono una chiave di lettura
delle decisioni finanziarie delle imprese tanto immediata ed efficace quanto
palesemente lontana dalla realtà.
Il problema fondamentale sta nelle ipotesi teoriche – fortemente restrittive – che
sono alla base del modello di irrilevanza della struttura finanziaria. Poiché invece
nella realtà queste ipotesi non valgono (prima fra tutte l’assenza di imposte), è del
tutto evidente che la scelta delle modalità di finanziamento è un passo importante
nella definizione del portafoglio degli investimenti dell’impresa.
2.2.1 Lo scudo fiscale del debito
Modigliani e Miller (1963) stessi in un successivo lavoro analizzano l’effetto
dell’imposizione fiscale sul reddito d’impresa rispetto alle scelte di finanziamento.
Essi ammettono che sul reddito d’impresa (in termine di utile di bilancio) gravi
un’imposta societaria, con aliquota costante pari a t c. Dal momento che gli interessi
passivi sul debito possono essere dedotti dal reddito di bilancio, al contrario dei
dividendi pagati agli azionisti, è evidente che il capitale di debito genera
potenzialmente uno ‘scudo fiscale’ ovvero un risparmio nel pagamento delle
imposte, a parità di reddito prodotto. Tale scudo può essere effettivamente sfruttato
sotto alcune condizioni: in particolare l’impresa deve essere in grado di generare un
margine operativo netto sufficientemente elevato, che può essere abbattuto dagli
interessi passivi. In caso contrario, l’impresa potrebbe ottenere solo un parziale
risparmio fiscale, portando a nuovo le perdite di bilancio negli anni successivi,
compatibilmente con le norme tributarie.
Il risparmio fiscale può essere quantificato attraverso il seguente modo.
Riconsideriamo ancora le imprese U ed L del paragrafo precedente, introducendo
questa volta l’aliquota fiscale sul reddito corporate t c.
Il reddito netto distribuito dall’impresa non indebitata UN U′ ai suoi azionisti sarà:
UN U′ = (1 – t c) · MO
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2. ESISTE UNA STRUTTURA FINANZIARIA OTTIMALE?
22
Esso coincide con il reddito totale ΠU distribuito dall’impresa.
Il reddito distribuito dall’impresa indebitata UN L′ agli azionisti sarà:
UN L′= (1 – t c)
·
( MO – r ·
DL) se MO > r ·
DL
Bisogna però tenere conto anche del reddito distribuito dall’impresa L ai detentori
del debito sotto forma di interessi, pari a r · DL. In aggregato, quindi il reddito ΠL
distribuito dall’impresa L sarà pari a:
ΠL = UN L′ + r · DL = (1 – t c) · ( MO – r · DL) + r · DL = (1 – t c) · MO + t c·r · DL
Il maggiore reddito distribuito agli investitori dall’impresa indebitata rispetto
all’impresa non indebitata discenda dal risparmio fiscale ed è quindi pari a:
ΠL – ΠU = t c·r · DL
Il risparmio fiscale, relativo ad un singolo esercizio di bilancio, rappresenta a tutti
gli effetti un flusso di cassa differenziale, sotto la condizione che MO > rDL. È
come se l’impresa, indebitandosi, effettui un investimento che crea valore, in
quanto genera minori costi, e quindi maggiori cash flows nella logica del capitale
investito.
Ipotizzando quindi che il debito sia perpetuo, e che l’impresa sia in grado didedurre in ogni esercizio annuale gli interessi passivi dal reddito, il valore attuale
VA dello scudo fiscale sarà pari al valore di una perpetuity (si veda il successivo
Paragrafo 3.3):
VA =k
Dr t c L⋅⋅
dove k rappresenta il costo del capitale dell’impresa indebitata.
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23
Se in seconda battuta ipotizziamo che lo stock di debito sia fissato in futuro, i
risparmi fiscali annui saranno certi e conosciuti in anticipo, e potranno essere
scontati al tasso r stesso. Si ottiene quindi:
VA =r
Dr t c L⋅⋅
= t c · DL
A questo punto il valore VA rappresenta una funzione lineare rispetto allo stock del
debito, di cui in generale si approprieranno gli azionisti, la cui remunerazione è
residuale. Siamo quindi in grado di rappresentare, nella Figura 2.6, il valore delle
attività dell’impresa in funzione dell’indebitamento.
Figura 2.6 – La relazione fra indebitamento e valore d’impresa in presenza di imposte
societarie, secondo Modigliani e Miller.
Fissato quindi V U, ovvero il valore delle attività dell’impresa unlevered , si nota che
il valore delle attività V cresce linearmente al crescere dello stock di debito D
contratto. L’incremento di valore è pari al valore attuale dello scudo fiscale VA. Si
noti che più onerosa è l’imposizione fiscale, più si favorisce il debito rispetto al
capitale azionario. La Proposizione I di Modigliani & Miller diventa:
V L = V U + t c · DL
V
DL D
V L
V U
VA = t c · DL
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Attenzione! Non stiamo dicendo che in presenza di imposte sul reddito il valore
dell’impresa è maggiore rispetto al caso in cui non ci sono prelievi fiscali (anzi è
vero il contrario). Abbiamo semplicemente dimostrato che in questo caso il debito
dà un vantaggio differenziale.
• Il punto
Considerando il fattore fiscale, l’emissione di debito risulta favorita in quanto gli
interessi sul capitale di debito sono deducibili dal reddito, e quindi generano uno
scudo fiscale, ovvero una creazione di valore legata al risparmio di imposte, a
parità di reddito operativo generato dall’impresa.
Chiediamoci ora cosa succede, in presenza di imposte sul reddito, alla Proposizione
II di Modigliani & Miller.Riprendiamo le definizioni esposte nel Paragrafo 2.1.2 considerando però l’utile
UN ′ al metto delle imposte:
r A =V
MO r E =
E
UN '
r E =)(
)()1()(
E D
E D
E
t rD MO c
+
+⋅
−⋅−= )1(
)(
)( ct E
Dr
E
E D
E D
MO−⋅
−
+⋅
+=
r E = )1()( c A t E Dr
E E Dr −⋅
⋅−+⋅ = )1()( c A A t r r
E Dr −⋅
−⋅+
Si noterà che quando t c = 0 si ritorna alla classica formulazione della leva
finanziaria. Quando però esiste un prelievo fiscale sul reddito d’impresa, la
redditività per gli azionisti è minore rispetto a prima, perché l’erario vuole la sua
parte. La complicazione sta nel fatto che il valore V ora non è più indipendente
dalla leva finanziaria, mentre il margine operativo MO (essendo solo funzione di
costi e ricavi operativi) rimane costante.
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Riassumendo, in caso di possibilità di dedurre dal reddito imponibile gli interessi
pagati sul debito:
1) il valore delle attività dell’impresa cresce al crescere del debito, e di
conseguenza cresce anche il valore delle azioni per gli azionisti;
2) il rendimento del capitale azionario cresce al crescere del debito, ma con
meno intensità rispetto alla situazione di assenza di imposte; gli azionisti si
‘accontentano’ di un incremento del rendimento più contenuto perché – in
ultima analisi – condividono una parte del rischio d’impresa con il fisco!
3) di conseguenza anche l’utile per azione aumenterà al crescere del debito,
ma con meno intensità rispetto alla situazione di assenza di imposte.
• Esempio
Consideriamo di nuovo l’impresa non indebitata (U) che realizza un margineoperativo annuale MO pari a 1,5 mln. €, il cui capitale è composto da un numero n
di azioni pari a 1 mln. che sul mercato valgono di nuovo p=10 €. In questo caso
però consideriamo che sull’utile lordo d’impresa ci sia una tassazione con aliquota
t c pari al 30%.
Il valore dell’equity dell’impresa coincide con il valore delle sue attività, ovvero:
E U = V U = n ⋅ p = 10 mln. €
Al margine operativo ora dobbiamo applicare l’aliquota fiscale t c per determinare
l’utile netto UN .
UN = (1 – t c) · MO = 1,05 mln. €Il rendimento dell’equity r E sarà pari a:
r E =U E
UN = 10,5%
L’utile per azione EPS (earnings per share) associato all’impresa non indebitata è:
EPSU =n
UN = 1,05 €
Come nell’Esempio precedente l’impresa acquista sul mercato attraverso un
buyback metà delle proprie azioni, per un controvalore DL pari a 5 mln. €,
finanziandosi con debito, remunerato ad un tasso annuo r pari al 10%.
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Il reddito UN per gli azionisti questa volta sarà:
UN = (1 – t c) · ( MO – r · DL) = 0,7 mln. €
Sotto le ipotesi che il debito sia perpetuo e costante, e che i risparmi fiscali annuali
correlati all’indebitamento siano perfettamente prevedibili, si avrà una creazione divalore VA in termini attuali pari a:
VA = t c · DL = 1,5 mln. €
Il valore delle attività V L aumenta fino a:
V L = V U + VA = 11,5 mln. €
Non valendo la Proposizione I di Modigliani & Miller, il valore dell’equity sale a:
E L = V L – DL = 6,5 mln. €
Inoltre varia anche la redditività sul capitale investito r A, per come è definita:
r A = LV
MO= 13,04%
Si noti che il grado di leva, a parità di buyback , non sarà più pari a 1, ma più basso
grazie alla creazione di nuovo valore:
L
L
E
D= 76,92%
In condizioni di efficienza del mercato, la creazione di valore si spalma
immediatamente sulle n azioni in circolazione appena prima del buyback . Il nuovo
prezzo di mercato pL delle azioni sarà:
pL
= p +n
VA= 11,5 €
Le azioni rimaste in circolazione sul mercato nL saranno dunque:
nL = L
L
p
E = 565.217
Si poteva arrivare allo stesso risultato calcolando le azioni acquistabili attraverso il
buyback nB e sottraendole a n:
nB = L
L
p
D= 434.783
nL = n – nB = 565.217
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2. ESISTE UNA STRUTTURA FINANZIARIA OTTIMALE?
27
La Proposizione II di Modigliani e Miller modificata per tenere conto delle imposte
mostra che:
r E = )1()( c A
L
L A t r r
E
Dr −⋅
−⋅+ = (13,04% + 0,7692 · (13,04% – 10%)) · 0,7
r E = 10,77%
e in effetti:
r E =L E
UN = 10,77%
Anche l’utile per azione EPS cresce:
EPSL = Ln
UN = 1,238 €
Si noti che dopo l’operazione di indebitamento l’incremento del rendimento delcapitale di rischio e dell’utile per azione sono molto più contenuti rispetto
all’Esempio in cui non vi erano le imposte.
In questo caso non valendo la Proposizione I di Modigliani & Miller non possiamo
costruire portafogli equivalenti operando sulle azioni delle imprese U e L.
2.2.2 I costi dell’indebitamento: costi del dissesto e costi di agenzia
La conclusione paradossale dell’analisi precedente è che le imprese dovrebbero
finanziarsi esclusivamente con debito, poiché così massimizzerebbero l’incremento
di valore legato allo scudo fiscale, ma ancora una volta la realtà dei fatti non èquesta.
Infatti l’emissione di debito genera dei benefici di natura fiscale, ma anche dei
costi. Ad esempio, è probabile che incrementare l’indebitamento oltre una certa
soglia non generi più alcuno scudo fiscale, perché la possibilità di ridurre il reddito
imponibile è inferiormente limitata dal margine operativo netto dell’impresa. In
secondo luogo, se il leverage è elevato il tasso di remunerazione del debito è
destinato a crescere, poiché l’impresa diventa più rischiosa.
Poi, al crescere del debito l’impresa incorre nei ‘costi del dissesto’, ovvero in costi
di natura amministrativa e legale che sorgono quando vi è il pericolo di fallimento
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2. ESISTE UNA STRUTTURA FINANZIARIA OTTIMALE?
28
il cui valore atteso viene scontato in anticipo dal mercato. Infine, quando l’impresa
è eccessivamente indebitata possono sorgere costi di ‘agenzia’, poiché gli azionisti
– grazie al privilegio della responsabilità limitata nelle società di capitali – possono
essere indotti ad implementare investimenti molto rischiosi, che possono anche
distruggere valore (Myers, 1977).
Consideriamo un esempio numerico: si ipotizzi che il valore delle attività di
un’impresa sia pari a 400, mentre il valore di rimborso del suo debito a scadenza
sia pari a 390. In questo caso, se la scadenza del debito fosse vicina, l’impresa
sarebbe prossima al dissesto, poiché vi è il rischio che il valore di liquidazione
delle attività non sia sufficiente per il rimborso del debito. Supponiamo che gli
azionisti, il cui valore di portafoglio è pari a (400 – 390) = 10, possano scegliere fra
due investimenti alternativi, che possono contribuire a risollevare le sorti
dell’impresa:
1) l’investimento A con il 100% di probabilità genera un valore netto pari a 10;
2) l’investimento B con il 90% di probabilità distrugge valore, sottraendo 30 al
valore dell’impresa, ma con il 10% di probabilità crea un valore elevato, pari a
200.
Si nota subito che l’investimento B è rischioso, e presenta un valore netto atteso
negativo pari a: 10% (200) – 90% (30) = –7. Dunque, l’investimento più efficiente
è chiaramente A, poiché crea sicuramente valore, mentre il secondo probabilmente
lo distrugge.
Esaminiamo però nella Tabella 2.1 il payoff a scadenza di azionisti e creditori nel
caso siano effettuati i due investimenti.
Dalla Tabella emerge che l’investimento A è effettivamente preferibile per
l’impresa nel suo complesso, lascia inalterata la ricchezza dei creditori e
residualmente incrementa quella degli azionisti. L’investimento B invece nel 90%
dei casi manderà in fallimento l’impresa, poiché essa non sarà in grado di
rimborsare il debito; in tal caso i creditori incasseranno la ricchezza disponibile e
gli azionisti perderanno il controllo dell’impresa. Nel 10% dei casi invece le cose
andranno bene e il valore di portafoglio degli azionisti crescerà parecchio.
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2. ESISTE UNA STRUTTURA FINANZIARIA OTTIMALE?
29
Tabella 2.1 – Payoff a scadenza per azionisti e creditori, rispetto alla situazione attuale,
nel caso siano effettuati gli investimenti A e B.
Valore atteso delle
attività
Payoff atteso
(creditori)
Payoff atteso
(azionisti)
Situazione attuale 400 390 400 – 390 = 10
Investimento A 400 + 10 = 410 390 410 – 390 = 20
Investimento B
p. 90% : 400 – 30 = 370
p. 10% : 400 + 200 = 600
Valore atteso = 393
p. 90% : 370 (fallimento)
p. 10% : 390
Valore atteso = 372
p. 90% : 0
p. 10% : 210
Valore atteso = 21
Come si vede, nonostante sia inefficiente, gli azionisti sceglieranno l’investimento
B. In questo caso il loro payoff atteso infatti è maggiore rispetto alla scelta
dell’investimento A. Si può notare invece che i creditori sono danneggiati dallascelta, poiché essa rende più rischiosa l’impresa, e quindi il loro debito, il cui
valore atteso scende. La ragione ultima è dovuta al fatto che nel caso l’impresa
fallisca (cioè molto facilmente se viene scelto l’investimento B) gli azionisti
possono abbandonare il controllo grazie alla responsabilità limitata. È loro
interesse quindi, se l’impresa è vicina al dissesto, fare investimenti che ne
incrementino la rischiosità. Al peggio, il loro payoff sarà zero, al meglio sarà
destinato a crescere.
• Il segnalibroDopo aver esplorato la teoria delle opzioni nel Capitolo 5, sarà chiaro che gli
azionisti detengono un’opzione call sul valore delle attività, il cui valore cresce al
crescere della rischiosità dell’attività sottostante. I creditori invece hanno ceduto
all’impresa un’opzione put sul capitale stesso.
L’esempio precedente spiega chiaramente come i detentori del debito siano esposti
a comportamenti opportunistici degli azionisti, i quali possono ‘espropriare’ il
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2. ESISTE UNA STRUTTURA FINANZIARIA OTTIMALE?
30
valore dell’impresa decidendo quali investimenti effettuare. Ciò genera dei costi di
‘agenzia’3 che fanno incrementare l’onere del debito.
Evidenziato che quindi emettere ‘troppo’ debito può vanificare i benefici fiscali,
introducendo i costi del debito, la Figura 2.6 può essere modificata, ottenendo la
Figura 2.7, dove si ipotizza che i costi del debito C ( D) siano crescenti, al crescere
dell’indebitamento. Dalla Figura emerge che al crescere del leverage il beneficio
fiscale viene eroso gradualmente dai costi del debito, finché i costi diventano
maggiori dei benefici.
Ci attendiamo quindi, al crescere dello stock di debito D, una crescita meno che
lineare del valore delle attività V , e un contestuale incremento dei costi del debito,
cosicché ad un certo punto i costi saranno superiori al valore dello scudo fiscale. In
effetti, dalla Figura 2.7 è possibile individuare un livello ottimale di D, ovvero D*,
che massimizza il valore totale delle attività dell’impresa indebitata V L′, e risolve il
trade-off fra costi e benefici dell’indebitamento.
Figura 2.7 – La relazione fra indebitamento e valore d’impresa in presenza di imposte
societarie e dei costi dell’indebitamento, secondo Modigliani e Miller.
3 I costi di agenzia (Williamson, 1985) sorgono ogni qual volta un soggetto (‘principale’)delega ad un altro (‘agente’) la gestione di un contratto economico cui è legata la ricchezzadi entrambi. In tal caso l’agente – nell’esempio gli azionisti che detengono il controllo
V
D* D
V L
V U
VAV L′
C(D)
V L′ MAX
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2. ESISTE UNA STRUTTURA FINANZIARIA OTTIMALE?
31
Dunque, è necessario tenere presente non solo i benefici, ma anche i costi di ogni
possibile forma di finanziamento di un investimento. Ciò rappresenta la
conclusione fondamentale delle trade-off theories, ovvero di quelle teorie
sviluppate nella letteratura finanziaria secondo le quali le imprese scelgono la
forma di finanziamento più opportuna ottimizzando il trade-off fra costi e benefici
di ogni possibile decisione.
2.2.3 L’influenza delle aliquote fiscali sul reddito personale
Una prospettiva diversa è introdotta dal modello di Miller (1977). L’elemento
originale di questo modello è quello di considerare non solo la fiscalità sul reddito
d’impresa, ma anche quella che grava sugli investitori. L’idea è che gli
stakeholders (azionisti e creditori) non siano tanto interessati al valore delle attività
dell’impresa, quanto al reddito netto che essi percepiscono. A tale proposito,
bisogna considerare l’impatto dell’imposizione fiscale sui dividendi (o più in
generale sul reddito da titoli azionari) e sugli interessi percepiti dai creditori.
Miller ipotizza che i detentori dell’equity siano tassati con un’aliquota pari a t E ,
mentre i detentori del debito siano tassati con un’aliquota pari a t D. Su ogni singola
unità di reddito generata dall’impresa, il reddito netto percepito dagli investitori
sarà quindi (1 – t D) per i detentori del debito, e (1 – t c)⋅(1 – t E ) per i detentori
dell’equity. Ciò accade perché ogni unità di reddito distribuita ai detentori di equity
sconta prima l’imposizione fiscale in capo all’impresa (con aliquota t c) e poi in
capo all’azionista (con aliquota t E
) mentre ogni unità di reddito distribuita ai
detentori di debito sfugge all’imposizione fiscale in capo all’impresa grazie alla
deducibilità degli interessi, ma non a quella in capo all’investitore (con aliquota t D).
La scelta degli investitori di detenere equity o debito dipenderà quindi dalla
disuguaglianza fra i redditi netti: se (1 – t D) > (1 – t c)⋅(1 – t E ) gli investitori
vorranno acquistare obbligazioni, mentre al contrario vorranno sottoscrivere equity.
È chiaro che la scelta dipende dall’aliquota marginale t D e t E cui sono soggetti gli
individui, fissata l’aliquota corporate t c.
dell’impresa – può essere incentivato a massimizzare la propria utilità a danno delprincipale, ovvero nell’esempio i creditori, che hanno apportato capitale all’impresa.
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2. ESISTE UNA STRUTTURA FINANZIARIA OTTIMALE?
32
Miller si rifà al sistema fiscale americano prima della riforma del 1986, in cui t D è
variabile secondo lo scaglione di reddito personale e t E costante. In tale situazione,
è chiaro che i contribuenti più ‘agiati’ (con aliquota fiscale marginale elevata)
preferiranno sottoscrivere equity, mentre gli investitori che non hanno altre
rilevanti fonti di reddito preferiranno sottoscrivere debito.
In Italia fino a qualche anno fa l’aliquota sul reddito da partecipazione azionaria
(ovvero i dividendi) era variabile secondo gli scaglioni di reddito (attraverso il
meccanismo del credito d’imposta), e l’aliquota sugli interessi percepiti era
costante. È chiaro che in quella situazione gli investitori più ‘ricchi’ preferivano
detenere debito, mentre quelli meno ‘ricchi’ trovavano conveniente sottoscrivere
equity. Oggi invece tutte le aliquote sono generalmente fisse per ogni investitore (si
vedano i Paragrafi 3.4 e 4.1).
Le conclusioni del modello di Miller non individuano quindi un equilibrio per la
singola impresa, in termini di livello ottimale di indebitamento, ma piuttosto un
equilibrio generale per il sistema, determinato dall’incontro fra domanda aggregata
di capitale (espressa dalle imprese) e offerta aggregata di capitale (espressa dagli
investitori, che a seconda delle proprie aliquote marginali saranno disposti a
sottoscrivere debito piuttosto che equity). Il modello di Miller non definisce quindi
il livello D* dell’indebitamento per ogni impresa, ma piuttosto lo stock aggregato
del debito che gli investitori sottoscrivono sul mercato del capitale.
• Il puntoConsiderando anche i costi del debito, oltre al risparmio fiscale, la struttura
finanziaria ottimale dell’impresa può essere determinata risolvendo il trade-off fra
vantaggi e costi dell’indebitamento stesso. Nella realtà bisogna anche tenere conto
della fiscalità sul reddito percepito dagli investitori.
2.3 Le ‘teorie dell’ordine di scelta’ e la non perfetta efficienza dei mercati
finanziari
Diverse verifiche empiriche delle trade-off theories mostrano che nella realtà le
imprese si indebitano molto meno di quello che sarebbe ottimale, da un punto di
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2. ESISTE UNA STRUTTURA FINANZIARIA OTTIMALE?
33
vista del bilanciamento di costi e benefici del debito. Un rapporto della Federal
Reserve4 stima che fra il 1981 e il 1994 le risorse generate internamente dalle
imprese statunitensi hanno coperto tre quarti del loro fabbisogno totale di cassa e il
ricorso all’indebitamento è stato poco frequente. In Italia, uno studio di
Mediobanca5 arriva a conclusioni molto simili: addirittura nella seconda metà degli
anni ‘90, in coincidenza di un ciclo economico favorevole, i fondi interni generati
sono stati superiori agli impieghi. In generale, l’evidenza mostra che le imprese in
migliore salute (quindi quelle con reddito imponibile più alto) sono anche quelle
meno indebitate, contrariamente a quanto predicono Modigliani e Miller.
L’insoddisfazione verso la teoria del trade-off ha dato quindi linfa ad un diverso
filone della letteratura, riassumibile nella ‘ pecking order theory’, i cui primi
contributi rilevanti appartengono a Donaldson (1961) e Myers (1984). La pecking
order theory parte da una prospettiva del tutto diversa. Secondo tale visione esiste
un ‘criterio gerarchico’ nella definizione della forma di finanziamento preferita
dagli imprenditori. Essi preferirebbero ricorrere in primis all’autofinanziamento, e
solo quando esso non è disponibile al debito, e quindi come ultima scelta emettere
titoli azionari. L’idea è quindi che le imprese tendono a fuggire il mercato del
capitale, a volte rinunciando persino a sfruttare opportunità di crescita se esse
richiedono il ricorso a finanziamenti dall’esterno. I motivi per cui le scelte
finanziarie delle imprese sono così complesse sarebbero la coesistenza di altri
obiettivi, accanto a quelli della massimizzazione del valore delle attività
dell’impresa, e la non perfetta efficienza dei mercati finanziari.
• Il punto
Le teorie dell’ordine di scelta si contrappongono alle teorie del trade-off , e
affermano che i managers delle imprese seguono un criterio gerarchico nella scelta
della struttura finanziaria dell’impresa, considerando altri obiettivi accanto alla
massimizzazione del valore delle attività.
4 Si veda il documento annuale ‘ Boards of Governors of the Federal Reserve System, Division of Research and Statistics, Flow of Funds Account ’.5
Si veda la pubblicazione annuale ‘Dati Cumulativi di 1740 Società Italiane’, a cura diMediobanca.
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2. ESISTE UNA STRUTTURA FINANZIARIA OTTIMALE?
34
Potremmo definire ‘efficiente’ un mercato finanziario in cui tutti gli agenti
dispongono delle stesse informazioni, allo stesso costo6. È condivisibile quindi che
nella realtà i mercati finanziari non siano perfettamente efficienti, poiché esistono
investitori che hanno informazioni migliori rispetto ad altri, oppure le possono
ottenere a costo più basso.
In altre parole, se i mercati finanziari non sono perfettamente efficienti possono
esistere asimmetrie informative fra soggetti finanziatori e soggetti finanziati. In tale
situazione, il mercato (e il meccanismo dei prezzi che lo governa) perderebbe le
sue caratteristiche di efficienza allocativa, fenomeno ben evidenziato dalla teoria
dei costi transazionali (Williamson, 1975).
Akerlof (1970), premio Nobel per l’Economia nel 2001, descrive il fallimento del
mercato in maniera efficace ricorrendo al noto modello delle vetture di seconda
mano. Supponiamo che sul mercato delle automobili usate esistano vetture di
buona qualità (il cui valore è V B), e – in numero uguale – vetture di cattiva qualità
(il cui valore è V C). I clienti che intendono acquistare una vettura usata non sono in
grado di capire, guardando una macchina, se essa è di buona qualità o no. I
venditori non possono comunicare credibilmente la qualità della vetture al cliente,
perché tutti ovviamente sarebbero incentivati a dichiarare al cliente che la vettura è
di buona qualità, per massimizzare le vendite. Gli acquirenti scontano questo
effetto – ovvero il fatto di rimanere potenzialmente ‘imbrogliati’ dal venditore – e
quindi attribuiscono alle vetture un valore medio pari a2
B C V V +. Questo
rappresenta anche il prezzo che gli automobilisti sono disposti a versare per
acquistare la vettura. È chiaro che se questo fosse il prezzo di mercato, i
concessionari per massimizzare i profitti non metterebbero mai sul mercato le
vetture di buona qualità, ma solo quelle di cattiva qualità. Questa informazione è
facilmente comprensibile dai clienti, i quali penseranno di trovare solo auto di
cattiva qualità, e in effetti nel lungo periodo esse rimarranno le sole sul mercato, al
prezzo V C.
6
Per una trattazione più approfondita del tema dell’efficienza dei mercati si rimanda alsuccessivo Capitolo 4.
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2. ESISTE UNA STRUTTURA FINANZIARIA OTTIMALE?
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Le vetture di buona qualità, le migliori quindi, non avranno più mercato. Tornando
alle imprese, l’esistenza di asimmetrie informative e l’incapacità di comunicare
credibilmente le informazioni finanziarie può portare al fallimento del mercato nel
finanziarie le imprese più efficienti (adverse selection). Le imprese di buona
qualità non potranno infatti comunicare credibilmente il loro status agli investitori,
e saranno quindi sottovalutate. Esse non troveranno conveniente ricorrere a
finanziamenti esterni per non cedere titoli ad un valore più basso rispetto al ‘vero’
valore ed essere scambiate per imprese ‘sopravvalutate’7. Esse preferiranno
ricorrere all’autofinanziamento, e solo se costrette al mercato.
2.4 Il valore del controllo e l’estrazione di benefici privati
Il problema fondamentale sollevato nel paragrafo precedente è capire come l’impresa
può ridurre le asimmetrie informative rispetto al mercato per poter raccogliere
capitale da nuove fonti esterne (outside finance) invece che ricorrere
all’autofinanziamento o ai finanziatori già esistenti (inside finance). Allo stesso
tempo, però, occorre garantire i finanziatori che il capitale concesso all’impresa non
venga utilizzato per fini altri rispetto alla massimizzazione del valore delle attività.
Abbiamo già mostrato che in determinate occasioni gli interessi di azionisti e
creditori possono divergere, generando costi di agenzia del debito.
Un altro problema, che può riguardare anche il finanziamento con equity, è relativo
al fatto che gli azionisti controllanti potrebbero essere spinti ad estrarre una parte
delle risorse dell’impresa sotto forma di benefici privati (consumption on the job) a
danno del valore dell’impresa. Potrebbero essere esempi di benefici privati
l’assunzione di più segretarie rispetto a quanto sarebbe efficiente, e magari non fra
le più qualificate ma seguendo altri criteri più estetici, piuttosto che i fringe benefits
concessi ai managers (auto aziendali, viaggi, ma anche sparizioni di beni8, …).
7 La stessa conclusione è derivata nel modello di Myers & Majluf, presentato nel successivoCapitolo 4, Paragrafo 4.4.3.3.8 Una ricerca della società Jack L. Hayes International fatta su oltre 10.000 magazzini
americani stima che nel 2000 dipendenti e managers hanno sottratto merci per un valore dicirca 56 mln. $, su un fatturato totale di 355 mld. $.
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In generale, definiamo i benefici privati come l’utilizzo, a scopi personali, delle
risorse aziendali in maniera non ottimale, tale cioè da non eguagliare il ricavo
marginale associato al loro consumo con il loro costo marginale.
Il pericolo che gli insiders possa tenere comportamenti devianti (moral hazard )
rispetto alla massimizzazione del valore contribuisce ulteriormente a diminuire
l’efficienza dei mercati e a generare altri ‘costi di agenzia’ (relativi ad esempio
all’attività di monitoring sulle decisioni dei managers, o alla raccolta di
informazioni sugli investimenti effettuati).
Jensen e Meckling (1976) considerano un modello nel quale un imprenditore estrae
benefici privati dall’impresa, ed intende cedere una quota del capitale ad azionisti
esterni di minoranza, incrementando però in tal modo il proprio incentivo a
comportamenti devianti rispetto alla massimizzazione del valore.
Nel loro modello, l’imprenditore-azionista unico è caratterizzato da una funzione di
utilità U (V , B) crescente sia rispetto al valore V delle attività dell’impresa sia
rispetto ai benefici privati estratti B. Inoltre, si ipotizza che il consumo di benefici
privati abbia un effetto negativo sul valore dell’impresa, per cui vale la relazione:
V = V – B
dove V rappresenta il valore dell’impresa nel caso in cui non vengano estratti
benefici privati.
Anche nel caso in cui l’imprenditore sia l’unico azionista, egli non massimizzerà ilvalore V , ma la propria funzione di utilità U (V , B) e quindi estrarrà una certa
frazione di benefici privati B*, e V
* sarà il valore ‘pubblico’ dell’impresa. Nella
Figura 2.8 questa situazione è descritta dal punto di tangenza della curva di iso-
utilità con la retta di bilancio del valore dell’impresa (che rappresenta il vincolo sul
massimo valore di portafoglio rispetto ai benefici privati estratti).
Nel momento in cui i finanziatori esterni si apprestano ad acquistare una frazione
minoritaria α del capitale, essi scontano il fatto che l’imprenditore sarà incentivato
ad estrarre maggiori benefici privati, a discapito del valore dell’impresa. Infatti,
l’imprenditore continua a controllare l’allocazione delle risorse aziendali anche se
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2. ESISTE UNA STRUTTURA FINANZIARIA OTTIMALE?
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non possiede più il 100% del capitale, e a godere in via esclusiva dei benefici
privati. D’altro canto per ogni unità monetaria di risorse estratta il costo di tale
comportamento ricade per una frazione α sugli azionisti outsider , e solo per una
frazione (1–α
) sull’imprenditore stesso. In precedenza, il costo era sopportatointeramente dall’imprenditore.
Figura 2.8 – Il modello di Jensen e Meckling: situazione iniziale.
Il soggetto controllante si ‘muove’ dunque su una nuova retta di bilancio personale
più inclinata rispetto alla retta di bilancio del valore dell’impresa, e massimizza la
propria utilità modificando il mix fra valore d’impresa e benefici privati, a favore
di questi ultimi e a detrimento del valore dell’impresa V . In realtà se i nuovi
azionisti di minoranza conoscono la funzione di utilità del manager-azionista
controllante, prevederanno la maggiore estrazione di benefici privati, e non
saranno disposti a cedere le loro azioni al valore corrente di mercato V *.
Jensen e Meckling dimostrano invece che il nuovo equilibrio si pone in ( BV ˆ,ˆ ),
dove la curva di utilità U ˆ è tangente alla retta di bilancio dell’azionista
controllante (con pendenza –α) e passa per la retta di bilancio del valore
dell’impresa (si veda la Figura 2.9). Come detto, gli azionisti di minoranza
V
B
U (V , B)
V
V *
B*
V – B
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2. ESISTE UNA STRUTTURA FINANZIARIA OTTIMALE?
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prevedono la reazione dell’imprenditore, e quindi saranno disposti a pagare αV ̂
per il capitale acquistato.
Si può verificare che, nonostante l’utilità dell’azionista controllante U ˆ sia inferiore
rispetto all’utilità iniziale U , la sua ‘ricchezza’ non varia. Prima della cessione diparte del capitale, la sua ricchezza totale era data dalla somma di V * e B*, cioè il
valore totale V dell’impresa (ovvio, visto che era l’unico proprietario).
Dopo l’ingresso degli azionisti di minoranza, il suo valore di portafoglio sarà la
somma di B̂ (i benefici privati che estrae in via esclusiva) e di (1–α)⋅V ̂ (la
frazione del valore dell’impresa di sua proprietà) più la liquidità α⋅V ̂ricevuta in
cambio della vendita dei titoli. Il totale è sempre V . L’efficienza del sistema
economico è però diminuita, dal momento che il valore dell’impresa è inferiore a
prima a causa del maggiore consumo non efficiente delle risorse.
Figura 2.9 – Il modello di Jensen e Meckling: situazione finale.
L’estrazione di benefici privati è in definitiva un altro esempio di ‘costi di agenzia’
simili a quelli analizzati nel precedente Paragrafo 2.2.2, questa volta generati dal
finanziamento con capitale di rischio.
V
U ˆ
V
V *
V ̂
B* B̂ B
tg = – (1–α)
U
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• Il punto
L’estrazione di benefici privati, o più in generale il consumo di risorse dell’impresa
per fini diversi dalla massimizzazione del valore delle attività, può condizionare la
relazione di finanziamento, a discapito dell’efficienza economica. Tale fenomenodiscende dalla relazione di agenzia che si stabilisce fra finanziatore e finanziato,
già analizzata per la raccolta di capitale di debito, e ora anche per la raccolta di
capitale azionario.
Correlata all’estrazione dei benefici privati è la nozione di ‘valore del controllo’.
C’è accordo nella teoria finanziaria sull’evidenza che accanto al valore
‘patrimoniale-reddituale’ di un’impresa, legato alla generazione di flussi di cassa,
sia individuabile un ‘valore del controllo’ correlato allo status di azionista
controllante. Contrariamente al valore ‘patrimoniale-reddituale’ che compete pro-quota a tutti gli azionisti, il ‘valore del controllo’ compete solo all’azionista
controllante, e deriva dai benefici privati che esso attribuisce al suo status (non solo
al consumo di risorse dell’impresa, come Jensen e Meckling ipotizzano, ma anche
prestigio e auto-realizzazione, che non necessariamente impattano negativamente
sul valore dell’impresa).
Indizi dell’esistenza di un ‘valore del controllo’ rispetto al semplice valore
‘patrimoniale-reddituale’ dell’impresa sono la differenza che spesso si riscontra fra
il valore di mercato delle azioni ordinarie, rispetto alle azioni di risparmio (che
escludono il diritto di voto in assemblea). In molti casi, anche sul mercatoazionario italiano, si riscontra uno ‘sconto’ delle azioni di risparmio rispetto a
quelle ordinarie vicino al 50%. Tale evidenza contrasta con il fatto che, come
spiegato nel Capitolo 4, Paragrafo 4.1, le azioni di risparmio danno diritto a un
dividendo strettamente maggiore rispetto a quello delle azioni ordinarie.
Un secondo indizio è il ‘premio di prezzo’ legato alla vendita di pacchetti
consistenti di azioni rispetto al prezzo corrente di mercato, che hanno quindi un
‘peso’ elevato nella determinazione degli assetti di controllo dell’impresa.
In definitiva, se l’impresa desidera raccogliere capitale da fonti esterne, i suoi
managers devono scontare fenomeni di asimmetria informativa e il sospetto che
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2. ESISTE UNA STRUTTURA FINANZIARIA OTTIMALE?
40
essi possano non agire nell’interesse dei finanziatori. È necessario capire come gli
obiettivi di queste due categorie di soggetti possano allinearsi sufficientemente.
2.5 La separazione fra proprietà e controllo
Negli esempi considerati nei paragrafi precedenti, abbiamo sempre assunto che i
soggetti controllanti dell’impresa (quelli che quindi decidono quali investimenti
effettuare) siano anche gli azionisti di maggioranza, e quindi i principali proprietari
del capitale.
Spesso però gli azionisti non sono in grado di dirigere le attività dell’impresa, e
quindi di controllarne le politiche di investimento e di finanziamento. Innanzitutto
la proprietà dell’impresa può essere estremamente frazionata, il che indebolisce il
controllo da parte degli azionisti a favore dell’autonomia dei managers. In secondo
luogo, i proprietari possono non avere né le competenze né il tempo necessario per
amministrare l’impresa, e quindi delegano il controllo ai managers, che agiscono
da ‘agenti’. Se l’operato dei managers potesse essere perfettamente osservabile e
verificabile, non vi sarebbero disallineamenti di incentivi fra le due categorie di
soggetti. Sarebbe infatti possibile specificare in un contratto come il manager
dovrebbe agire nell’interesse degli azionisti. Nella realtà però possono esistere
asimmetrie informative fra managers e azionisti (hidden information), le azioni dei
managers non sono perfettamente osservabili e verificabili (hidden action), e
possono essere orientate a comportamenti opportunistici, volti a massimizzare la
funzione di utilità personale piuttosto che massimizzare il valore dell’impresa.
Lo stesso problema esiste fra azionisti di maggioranza e azionisti di minoranza. I
primi detengono il controllo dell’impresa, possedendo la maggioranza dei diritti di
voto in assemblea. I secondi sono estromessi dal controllo, rappresentando la
minoranza dei diritti di voto. Può però accadere che gli azionisti che controllano
l’impresa non detengano la maggioranza del capitale azionario. In altre parole, può
accadere che gli azionisti controllanti possiedano meno del 50% del capitale. Se la
proprietà del capitale è molto diffusa, il controllo dell’assemblea degli azionisti può
essere raggiunto anche con percentuali molto più basse.
Uno degli strumenti attraverso i quali è possibile separare la proprietà dal controllo
è il ricorso al gruppo di imprese, tecnica che verrà meglio approfondita nel
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2. ESISTE UNA STRUTTURA FINANZIARIA OTTIMALE?
41
Capitolo 6. Un altro metodo è l’emissione di azioni con diritto di voto limitato (in
Italia ad esempio le azioni di risparmio e le azioni privilegiate).
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42
3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO
In questo capitolo affrontiamo il tema della raccolta di capitale di debito, e inparticolare delle tecniche di emissione e di valutazione del debito.
Definiamo come raccolta di capitale di debito un’operazione di finanziamento
nella quale l’impresa si impegna a rimborsare il capitale e a remunerarlo a
condizioni contrattualmente note. Il finanziamento può avvenire nella maggior
parte dei casi o sul mercato mobiliare attraverso l’emissione di obbligazioni o sul
mercato creditizio attraverso il debito bancario.
3.1. Tassi di interesse e attualizzazione dei flussi di cassa
L’emissione di debito viene remunerata attraverso il riconoscimento di un tasso diinteresse sul capitale. Esso è determinato dal prezzo di equilibrio tra domanda e
offerta di capitale a una certa scadenza. La domanda di capitale da parte delle
imprese dipende essenzialmente dalla presenza di opportunità di investimento
mentre l'offerta di capitale dalle preferenze intertemporali dei consumatori. È
chiaro però che non tutte le imprese attraverso i loro titoli sono in grado di
promettere le stesse garanzie di rimborso e remunerazione del capitale alle stesse
scadenze temporali.
Quindi, per confrontare e valutare contratti e titoli finanziari che prevedono una
stringa di flussi monetari relativi a imprese diverse e istanti di tempo differenti ènecessaria una relazione di ‘equivalenza’.
Ipotizziamo in prima istanza di voler confrontare stringhe di payoff caratterizzati
dallo stesso grado di rischio. In sostanza abbiamo bisogno di una relazione che
generi indifferenza fra ricevere oggi un flusso C0 piuttosto che un flusso Ct relativo
ad un successivo istante t . Tale relazione, come evidenziato nel volume ‘Gestire le
Risorse dell’Impresa’ nel Capitolo 4, è l’attualizzazione dei flussi di cassa stessi
(tecnica DCF, discounted cash flow), che consente di calcolare il valore di
pagamenti futuri ‘equivalente’ alla data attuale. L’attualizzazione consiste nel
dividere il flusso di cassa futuro per un fattore (1 + r t )t , e quindi per una quantità
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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO
43
maggiore di uno (essendo r t > 0), il che implica che il valore attuale VA di un
flusso di cassa è sempre inferiore rispetto al flusso stesso:
( ) t t
t t r
C C )1(VA
+=
dove r t rappresenta il tasso di interesse di mercato relativo alla scadenza t .
Una delle proprietà della tecnica DCF è l’additività. Ciò vuol dire che il valore
attuale di una stringa di flussi di cassa distribuiti nel tempo (C t 1, C t 2, C t 3, C t4) è la
somma del valore attuale dei flussi di cassa stessi:
VA(C t 1, C t 2, C t 3, C t4) =44
4
33
3
22
2
11
1
)1()1()1()1( t t
t
t t
t
t t
t
t t
t
r
C
r
C
r
C
r
C
+
+
+
+
+
+
+
o più in generale:
VA(C t 1, C t 2, …, C T ) = ∑= +
T
t ii
i
i
r
C
1 )1(
Si noti che r dipende dal tempo in quanto rappresenta un tasso di crescita del
capitale investito e quindi va riferito ad un determinato arco temporale a partire daoggi. Convenzionalmente il tasso è misurato su base annuale, con t espresso in
anni (o frazione di anni).
• Il punto
Il tasso di interesse di mercato rappresenta il tasso di rendimento del capitale ad
una specifica scadenza temporale futura, e permette di determinare il valore attuale
equivalente di flussi monetari variamente distribuiti nel tempo.
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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO
44
Così come è possibile attualizzare flussi finanziari relativi a istanti di tempo
diversi, allo stesso modo è possibile capitalizzare gli stessi flussi ad un identico
istante futuro T , in maniera da ottenere il montante M T . In altre parole, il montante
M T rappresenta il capitale disponibile all’istante T nel caso in cui i flussi monetarivengano accreditati su un fondo, e maturino interessi nel tempo. Questa volta sarà
necessario non dividere, ma moltiplicare i flussi di cassa per il fattore )1( ,T ir + ,
dove T ir , rappresenta il tasso di interesse alla scadenza T relativo all’istante i.
M T (C t 1, C t 2, …, C T ) = iT
T i
T
t i
i r C −
=
+∑ )1( ,1
• EsempioSi determini il valore attuale VA e il montante M a tre anni per la seguente serie di
pagamenti:
C 1 = 200€ C 2 = 120€ C 3 = 80€
sapendo che i tassi di interesse alle diverse scadenze sono:
r 1 = 4% r 2 = 5% r 3 = 5,5%
Applicando le formule si ottiene:
VA =32 5,5%)(1
80
5%)(1
120
4%)(1
200
++
++
+= 192,31 + 108,84 + 68,13
VA = 369,28€Per quanto riguarda il montante, occorrerebbe conoscere i tassi di interesse che
alla scadenza T = 3 ci saranno al tempo t = 1 e al tempo t = 2. Si può ovviare a
questo problema capitalizzando direttamente il valore attuale VA con il tasso r 3:
M 3 = VA (1 + r 3)3 = 433,62€
3.1.1 Formule pratiche di matematica finanziaria
Esistono alcune formule di matematica finanziaria, che agevolano enormemente il
calcolo del valore attuale di una serie di flussi di cassa.
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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO
45
Consideriamo il pagamento di una somma fissa annuale C a partire dall’anno 1 per
tutta l’eternità ( perpetuity). Il suo valore, sfruttando le proprietà della serie
geometrica1, converge a:
VA = ...)1()1()1( 32
++
++
++ r
C
r
C
r
C = C ·∑
∞
= +1 )1(
1
t t
r =
r
C
Dalla formula della perpetuity si può ricavare il valore di un contratto che
garantisce il pagamento di una somma fissa C ma solo fino all’anno T (annuity).
Tale rendita ‘troncata’ può essere vista come la somma di due rendite perpetue:
una che parte al tempo 1 e paga un flusso pari a C , l’altra che parte al tempo T +1 e
che paga un flusso pari a –C . Dalla formula precedente siamo in grado di calcolare il
valore attuale delle due rendite perpetue, a meno di attualizzare la seconda di T anni:
VA =T
r
C
r
C
r
C
r
C
)1(...
)1()1()1( 32+
+++
++
++
= C ⋅ ∑= +
T
t t
r 1 )1(
1
VA =T r r
C
r
C
)1(1+
⋅− =
+−⋅
T r r
C
)1(
11
Si noti che se T tende all’infinito il valore dell’annuity tende a una perpetuity.
Ora, consideriamo un contratto ( perpetuity con tasso di crescita g) che garantisce ilpagamento di una somma C 1 a partire dall’anno t = 1, che cresce nel tempo al tasso
g con C t +1 = C t (1 + g): anche in questo caso ricordiamoci delle formule legate alla
convergenza della serie geometrica.
VA =( ) ( )
.....)1(
1
)1(
1
)1( 3
21
211
++
+⋅+
+
+⋅+
+ r
gC
r
gC
r
C = ∑
∞
=
+
+⋅
+ 1
1
1
1
)1( t
t
r
g
g
C
1 Ricordare che ∑
∞
= −→
0 11
t
t
qq , e quindi q
qt
t
−=−
−→∑
∞
= 111 11
.
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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO
46
VA =gr
C
−
1 (con r > g)
Se nel caso precedente i flussi di cassa si interrompono al tempo T (annuity contasso di crescita g), si ottiene:
VA =( ) ( )
.....)1(
1
)1(
1
)1( 3
21
211
++
+⋅+
+
+⋅+
+ r
gC
r
gC
r
C +
( )T
T
r
gC
)1(
1 1-1
+
+⋅= ∑
=
+
+⋅
+
T
t
t
r
g
g
C
1
1
11
)1(
VA =
+
+−⋅
−T
T
r
g
gr
C
)1()1(
11
Infine una regola mnemonica di calcolo finanziario è la ‘regola del 72’. Essa
afferma che (con buona approssimazione) il numero di anni necessari per
raddoppiare il valore di una somma di denaro investita al tasso r % è pari a 72 / r.
• Esempio
Considerando un tasso di interesse di mercato r pari al 5%, calcoliamo il valore
oggi VA di una rendita perpetua, in cui dall’anno 1 riceviamo una somma C pari a
1.000€:
VA =r
C =
05,0
000.1= 20.000€
Se la rendita dura ‘solo’ 25 anni il suo valore oggi è:
VA =
+−⋅
T r r
C
)1(
11 =
−⋅ 25)05,1(
11
05,0
000.1= 14.093,94€
Se la rendita perpetua crescesse ad un tasso annuale g pari all’1%, saremmo
disposti a pagare oggi, pur di assicurarci la rendita:
VA =gr
C
−
1 =01,005,0
000.1
−= 25.000€
Limitando quest’ultima rendita a 20 anni, otteniamo:
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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO
47
VA =
+
+−⋅
−T
T
r
g
gr
C
)1()1(
11 =
−⋅
−20
20
)05,1()01,1(
101,005,0
000.1= 13.503,08€
Infine chiediamoci depositando 1.000€ oggi su un conto che offre una
remunerazione annua pari al 5%, in quanti anni possiamo sperare di raddoppiare ilcapitale.
Applicando la ‘regola del 72’ si ottiene: 72 / 5 = 14,4 anni
Ed infatti il montante M rispettivamente dopo 14 e 15 anni sarà:
M 14 = 1.000 € · (1,05)14 = 1.979,93€
M 14 = 1.000 € · (1,05)15 = 2.078,93€
3.1.2 Tasso di interesse reale e tasso di interesse nominale
Finora abbiamo considerato, pur non avendolo specificato, tassi di interesse
nominali, riferiti cioè a grandezze monetarie. Ciononostante, accanto ai tassi di
interesse nominali sono considerati anche i tassi di interesse riferiti a grandezze
reali. Tra tassi di interesse reali e nominali esiste la relazione di Fisher (1965):
( ) ( ) ( ) pr &+⋅+=+ 111 ρ
dove:
r : tasso di interesse nominale;
ρ : tasso di interesse reale;0 p : livello dei prezzi al tempo 0 (si fa riferimento ad un paniere rappresentativo di
merci);
1 p : livello dei prezzi al tempo 1;
p& : saggio di inflazione, incremento percentuale dei prezzi (0
01
p
p p p
−=& ).
Per dimostrare questa relazione si supponga di voler investire al tasso r una certa
somma C che al periodo t = 0 permette di acquistare una quantità reale di beni pari
a C / p0. Al periodo t = 1 (a distanza di un anno) di conseguenza sarà possibile
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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO
48
capitalizzare il montante e acquistare una quantità di beni pari a C ⋅ (1 + r ) / p1 e
quindi il tasso di interesse reale ρ sarà:
( )
0
01
1
p
C
pC
pr C −+⋅
= ρ
La stessa uguaglianza, rielaborata, genera la relazione di Fisher. In particolare se il
tasso di interesse reale e il tasso di inflazione sono molto piccoli vale
l’approssimazione:
pr &+≅ ρ
In pratica, i tassi di interesse nominali vanno adottati per ‘scontare’ e capitalizzare
flussi di cassa espressi in termini nominali (quindi monetari, come ipotizzato nel
resto del libro), ma a flussi di reddito espressi in termini reali dovranno essere
applicati i tassi di interesse reali.
3.1.3 Regime di capitalizzazione dei tassi di interesse e tassi equivalenti
I tassi di interesse si differenziano non solo per la loro diversa scadenza t , ma
anche per il regime di capitalizzazione, ovvero la modalità di liquidazione degli
interessi. A questo proposito si consideri il seguente esempio, sintetizzato in
Figura 3.1.
Si supponga di considerare le condizioni contrattuali offerte da due istituti bancari
diversi, per l’apertura di un conto corrente:
1) la Banca A offre queste condizioni: tasso attivo r del 4% con liquidazione
degli interessi annuali;
2) la Banca B offre lo stesso tasso ma con liquidazione degli interessi
semestrale.
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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO
49
Si ipotizzi di depositare 100€ in due conti aperti presso le due banche. Nel primo
caso dopo un anno sarà possibile liquidare il conto ritirando 104€. Nel secondo
caso invece sarà possibile ritirare già dopo 6 mesi la frazione degli interessi
relativa al primo semestre, e cioè 2€ (la metà degli interessi pari al 4%) mentre afine anno saranno liquidati sul conto anche gli interessi relativi al secondo
semestre (altri 2€), più il capitale iniziale.
Figura 3.1 – Confronto fra le condizioni dei depositi bancari A e B.
Banca A Banca B
Calcoliamo i rendimenti effettivi r A e r B offerti dalle due banche. Essi devono
soddisfare le seguenti relazioni:
100€ =)1(
104Ar +
€ da cuir A = 4%
100€ =0,5)(1
2
Br + € +
)(1
102
Br + € da cuir B = 4,04%
La seconda banca offre dunque condizioni migliori. Infatti, il tasso di rendimento
annuale del 4% con interessi composti ogni 6 mesi corrisponde ad un rendimento
implicito del 4,04%. In altre parole, per essere indifferenti fra le proposte delle due
banche dovremmo chiedere alla prima banca (quella che liquida gli interessi
annualmente) di offrirci un tasso del 4,04%, e non del 4%.
t =0 t =1
100€
104€
t =0 t =1/2 t =1
100€
102€
2€
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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO
50
Allo stesso risultato potremmo arrivare ipotizzando, nel caso del conto aperto
presso la banca B, di non incassare gli interessi pagati dopo 6 mesi, ma di lasciarli
sul conto, e ritirare il montante alla scadenza successiva. In tal caso, gli interessi
maturati dopo 6 mesi (2€) genereranno a loro volta interessi, pari a 0,04€, ovvero il4% di 2€, diviso 2 in quanto rimangono sul conto solo per altri 6 mesi (si veda la
Figura 3.2). A fine anno incasseremo il capitale e gli interessi totali (comprensivi
degli interessi sugli interessi).
Figura 3.2 – Il montante generato dalle condizioni della banca B.
Banca B
Seguendo questa strategia, il rendimento effettivo r B sarà pari a:
100€ =)(1
104,04 Br +
€ da cui ancorar B = 4,04%
La lezione è che non si possono confrontare direttamente tassi relativi alla stessa
scadenza i cui interessi, però, vengono composti in istanti diversi. Inoltre, da
quest’ultimo esempio si vede chiaramente che il metodo dell’attualizzazione dei
flussi di cassa ipotizza implicitamente il reinvestimento dei flussi di cassa
intermedi alle stesse condizioni contrattuali di remunerazione, altrimenti non
avrebbe alcun valore percepire un flusso finanziario prima della scadenza. È
t =0 t =1/2 t =1
100€
102€ + 2€ + 0,04€ = 104,04€
2€
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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO
51
necessario quindi individuare un tasso di rendimento ‘equivalente’ che renda
confrontabili i diversi regimi di capitalizzazione.
In particolare, per tassi di interesse r composti semestralmente (in cui cioè gli
interessi vengono pagati ogni sei mesi), si può ottenere il corrispondente tasso direndimento effettivo r eff dalla formula seguente:
( )2
211
+=+
r r eff ⇒ 1
21 −
+=
2
eff
r r
Più in generale, per tassi di interesse composti m volte all’anno (ad esempio, se gli
interessi vengono pagati ogni quadrimestre, m = 3) deve verificarsi:
m
eff m
r r
+=+ 1)1( ⇒ 11 −
+=
m
eff m
r r
Ad esempio, il tasso effettivo richiesto da un prestito remunerato al 9% annuo, con
pagamento degli interessi ogni trimestre, sarà pari a 9,308%:
9,308%14
0,091
4
=−
+=eff r
Per m che tende all'infinito possiamo arrivare a definire un tasso di interesse r ~
composto nel continuo, e dalle proprietà delle serie si dimostra che vale la
seguente relazione:
∞→mlimm
m
r
+
~1 = r
e~
⇒ 1~−=
r eff er
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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO
52
Per capitalizzare di un anno, dunque, un flusso di cassa con un tasso composto nel
continuo, occorrerà moltiplicarlo per r e
~. Al contrario, per attualizzare un flusso di
cassa con lo stesso tasso, occorrerà moltiplicare per r e
~− . In generale:
( ) T r
T eC C ~
00M ⋅= ( ) t r
t t eC C ~
VA −⋅=
La Figura 3.3 chiarisce le modalità di capitalizzazione di una somma di denaro nel
tempo, con tassi composti in istanti di tempo discreti e invece nel continuo.
Figura 3.3 – Capitalizzazione di una somma di denaro C nel tempo, con tassi composti m
volte all’anno (a) e nel continuo (b).
(a) (b)
• Il punto
Non si possono confrontare direttamente tassi di interesse con diverso regime di
capitalizzazione, anche se relativi alla stessa scadenza. In particolare, il pagamento
anticipato degli interessi equivale ad un incremento del tasso di rendimento
effettivo del capitale grazie alla possibilità di reinvestimento.
La necessità di definire un ‘rendimento equivalente’ per confrontare diversi
finanziamenti con diverso regime di composizione degli interessi ha spinto la
Commissione Europea a rendere obbligatoria (così come impone la Legge
Montante
t
C
Montante
C
t
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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO
53
154/1992) la pubblicazione del TAEG (‘tasso annuo effettivo globale’), in
contrapposizione al TAN (tasso annuo nominale) ogni qualvolta venga proposto un
finanziamento.
Il TAN corrisponde al tasso di interesse semplice, mentre il TAEG è un tasso effettivoche tiene conto non solo della composizione degli interessi, ma anche delle spese
accessorie (ad esempio diritti e spese di apertura pratica) che gravano sul consumatore.
• Esempio
Un giovane studente intende acquistare un motorino per muoversi velocemente nel
traffico di Milano.
Il ciclomotore può essere acquistato beneficiando di un finanziamento su cinque
anni di 2.500€, che possono essere restituiti con comode rate trimestrali costanti (il
contratto prevede un tasso annuo nominale TAN pari al 5,00%). Le speseaccessorie per avviare la pratica sono pari a 20€.
Se non ci fossero spese accessorie, il finanziamento (in base alle formule
precedenti) comporterebbe un onere effettivo r eff pari a:
14
TAN1
4
−
+=eff r = 5,0945%
La rata trimestrale Rt comprenderà una quota-parte relativa al pagamento degli
interessi, e una quota-parte relativa alla restituzione del finanziamento: essa dovrà
soddisfare:
2.500€ = ∑= +
5
1/4step4 / 1 )(1t t
eff r
R R = 142,051€
In pratica, il valore del finanziamento erogato deve essere uguale alla sommatoria
dei flussi di pagamento trimestrali successivi attualizzati al tasso di rendimento
effettivo.
Per calcolare il TAEG è sufficiente individuare il tasso che soddisfa la seguente
relazione:
2.500€ – 20€ = ∑= +
5
1/4step4 / 1 TAEG)(1t t
R
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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO
54
In pratica, il finanziamento al netto delle spese accessorie deve essere uguale al
valore attuale delle rate corrisposte in ogni trimestre, attualizzato dal costo netto
effettivo globale del capitale.
Facendo i conti si ottiene:TAEG = 5,429%
Si noti che il TAEG è più elevato nel TAN, per l’effetto sia della composizione
anticipata degli interessi, sia delle spese accessorie.
3.1.4 Tassi di interesse e rischio
Fino ad ora è stata fatta l’ipotesi di certezza sui flussi di cassa futuri. Il tasso di
interesse r in tali casi è chiamato tasso di interesse in assenza di rischio (r f , o tasso
risk free di mercato), o costo del capitale privo di rischio. In realtà il tasso di
interesse che viene utilizzato per attualizzare i flussi di cassa dipende anche dalrischio connesso a tali flussi di cassa. Nel caso di un prestito, ad esempio, i flussi
di cassa previsti contrattualmente sono in realtà dei ‘flussi promessi’: di
conseguenza se il debitore non è in grado di soddisfare le promesse fornite, il
creditore non viene remunerato per quanto dovuto. Addirittura, la restituzione
stessa del capitale è messa in discussione. In questi casi il tasso r che viene
utilizzato per scontare flussi di cassa incerti deve tenere conto di un premio per il
rischio addizionale:
r = r f + ∆r
dove:
r f = tasso risk free di mercato;
∆r = correzione legata al rischio (o ‘premio per il rischio’, risk premium).
L’entità del premio per il rischio dipende dall’attendibilità degli impegni presi
dall'emittente e quindi dalla percezione della sua solvibilità futura. Nel Capitolo 4
verrà dedicato molto spazio a determinare quale debba essere in equilibrio sul
mercato questo ‘premio’.
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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO
55
3.1.5 La struttura per scadenza dei tassi di interesse
È importante notare come i tassi di interesse per le diverse scadenze non siano
necessariamente uguali; per questo motivo si introduce il concetto di struttura per
scadenza. Essa rappresenta nell’istante attuale l’insieme dei tassi di interesse diequilibrio per ogni possibile scadenza futura, riferiti per convenzione a
investimenti privi di rischio (‘risk free’) a partire dalla scadenza di investimento
più breve, quella dei prestiti interbancari overnight . La curva della struttura per
scadenza può variare nel tempo, e quindi in generale la struttura che osserviamo
oggi è diversa da quella osservata fra un anno piuttosto che fra un mese.
Figura 3.4 – Esempio di struttura per scadenza dei tassi di interesse (in scala logaritmica).
Molto spesso per semplicità si adotta un unico tasso di sconto per tutte le
scadenze. In tal caso la struttura per scadenza dei tassi si definisce ‘piatta’. Se
invece i tassi di sconto sono crescenti alle diverse scadenze, la struttura è definita
‘crescente’, mentre in caso opposto è definita ‘decrescente’ nel tempo.
Ma perché esiste una struttura per scadenza dei tassi di interesse e in particolare
perché ha una certa forma? Una spiegazione è fornita dalla ‘teoria delle
aspettative’ (Lutz e Lutz, 1951). Secondo questa teoria la struttura per scadenza
dei tassi in un certo momento è crescente, se per investimenti effettuati in una data
r t
O/N 1m 3m 1Y 2Y 5Y 10Y 20Y 30Y
(overnight )
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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO
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futura si attendono tassi di interesse a breve termine superiori a quelli evidenziati
in quel momento dalla struttura per scadenza. Viceversa se la struttura per
scadenza in un certo momento è decrescente, per investimenti effettuati in una data
futura si attendono tassi di interesse a breve inferiori ai tassi di interesse a breveevidenziati in quel momento dalla struttura per scadenza.
Una spiegazione alternativa è avanzata dalla ‘teoria della preferenza per la
liquidità’ (Hicks, 1946), secondo cui nella struttura per scadenza è implicito un
premio per gli investimenti di lunga durata. Il premio può essere dovuto, ad
esempio, al fatto che decidendo investimenti di lunga durata si è soggetti ad un
rischio inflazionistico.
La struttura per scadenza è un costante punto di riferimento per gli investitori, gli
emittenti e gli intermediari finanziari sia nel segmento primario sia in quello
secondario. Il rendimento offerto da emissioni di titoli sul segmento primario deveessere in linea con il rendimento offerto in quel momento sul mercato, che è
rappresentato dalla struttura per scadenza. Anche nel segmento secondario, i prezzi
dipendono fortemente dalla struttura per scadenza dei tassi di interesse che riflette
le aspettative degli investitori sui rendimenti futuri del mercato finanziario.
Una terza spiegazione è offerta dalla ‘teoria della segmentazione del mercato’,
secondo cui il mercato dei titoli a rendimento privo di rischio è segmentato in due
gruppi: gli investitori che scelgono titoli a breve scadenza e quelli che scelgono
titoli a lunga scadenza. In tale scenario, non deve necessariamente esistere una
relazione fra i tassi di interesse a breve e quelli a lungo termine, ed essi possonomuoversi in modo indipendente.
• Il punto
Flussi di cassa caratterizzati da diverso grado di rischio sono remunerati con tassi
di interesse diversi, che in genere comprendono un premio per il rischio. L’insieme
dei tassi di interesse privi di rischio a tutte le scadenze rappresenta la ‘struttura per
scadenza’ dei tassi di mercato.
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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO
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3.1.6 Equilibrio del mercato finanziario e arbitraggio
Chi non conosce i mercati finanziari in genere crede che essi siano solo un
ricettacolo della speculazione. Tutti i modelli classici di valutazione finanziaria,
invece, si basano sull’equilibrio del mercato, che all’opposto teorizzal’impossibilità di individuare investimenti finanziari caratterizzati da valore attuale
netto positivo. In altre parole, il mercato del capitale si dice essere in equilibrio
quando tutti i titoli finanziari sono trattati ad un prezzo P esattamente uguale al
rispettivo valore V . Se così non fosse, tutti vorrebbero acquistare titoli
sottovalutati, il cui valore V è superiore al rispettivo prezzo di mercato P, e tutti
vorrebbero vendere titoli sopravvalutati, il cui valore V è inferiore al rispettivo
prezzo di mercato P. Si creerebbe una pressione infinita su domanda e offerta, tale
da riportare il livello dei prezzi all’equilibrio. La ricchezza dell’economia non si
misura quindi dai mercati finanziari, ma dagli investimenti e dalla produzione delleimprese e in generale delle attività economiche, che costituiscono la vera fonte di
reddito.
Quando il mercato non è in equilibrio, vuol dire che il prezzo di mercato P di
almeno un titolo finanziario è diverso dal suo valore teorico V . Questa condizione
è necessaria, ma comunque non sempre sufficiente, affinché si possano individuare
strategie di investimento profittevoli a rischio nullo.
La possibilità di creare posizioni speculative sul mercato del capitale, maturando
flussi monetari positivi senza rischio, viene individuata con il termine di
‘arbitraggio’. L’idea è quella di costruire un portafoglio di titoli finanziari, il cuiprezzo P sia inferiore al suo valore V , determinato dai flussi generati alle diverse
scadenze. Il seguente Esempio mostra come conseguire questo obiettivo.
• Esempio
Sul mercato finanziario è possibile investire (oppure indebitarsi) a scadenza 1 anno
al tasso del 3%, mentre è possibile investire (oppure indebitarsi) a scadenza 2 anni
al tasso annuale del 4%. La struttura per scadenza dei tassi è dunque crescente.
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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO
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Supponiamo che ci venga offerta anche la possibilità certa di investire fra 12 mesi
la nostra ricchezza alla scadenza di 1 anno al tasso del 4,5%. Dimostreremo che a
queste condizioni il mercato non è in equilibrio.
La Figura 3.5 chiarisce le possibilità di investimento (indebitamento) sul mercato.
Figura 3.5 – Possibilità di investimento o di indebitamento alle diverse scadenze.
Per individuare se esistono opportunità di arbitraggio, consideriamo queste due
strategie alternative:
1) investire 100€ alla scadenza 2 anni: in questo caso la nostra ricchezza fra due
anni sarà pari a: 100€ · (1,04)2 = 108,16€;
2) investire 100€ alla scadenza 1 anno, capitalizzare il montante e reinvestirlo
immediatamente per altri 12 mesi al tasso garantito del 4,5%: in questo caso il
montante fra un anno sarà pari a 100€ · (1,03) = 103€ e a scadenza genererà
una ricchezza pari a 103€ · (1,045) = 107,635€.
Se il mercato fosse in equilibrio, non ci dovrebbero essere differenze fra le duestrategie, ma invece abbiamo scoperto che il primo investimento genera una
ricchezza più elevata.
Per costruire il portafoglio di arbitraggio, decideremo quindi di acquistare il
(ovvero investire nel) portafoglio migliore, il primo, e di vendere il (ovvero
indebitarci nel) portafoglio peggiore, il secondo.
Analizziamo tutti i flussi di cassa generati alle diverse scadenze dalla nostra strategia.
Si tratterà quindi di investire sul mercato a scadenza due anni, finanziandosi con
l’indebitamento a 12 mesi. Fra un anno dovremo però rimborsare il debito, e lo
faremo indebitandoci ancora a scadenza 12 mesi al tasso ‘promesso’ del 4,5%.
1 anno 2 anniOggi
3%
4%
4,5%
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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO
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Posizione Oggi Fra 1 anno Fra 2 anni Investimento a scadenza due anni – 100€ / + 108,16€ Indebitamento a scadenza un anno +100€ – 103€ / Indebitamento fra un anno a scadenza 12 mesi / + 103€ – 107,635€
Portafoglio totale / / + 0,525€
In definitiva, siamo coperti sia oggi sia alla scadenza 12 mesi, e fra due anni
incasseremo un flusso monetario positivo pari a 0,525€. Scoperta questa possibilità
di arbitraggio, non ci accontenteremo di puntare 100€, ma magari 100 mln.€, tanto
siamo comunque coperti fino alla scadenza, quando incasseremo ben 525.000€.
Evidentemente se tutti realizzassero la possibilità di profitto, si creerebbe una
pressione enorme: tutti vorrebbero investire alla scadenza 2 anni (e quindi il
rendimento alla stessa scadenza tenderebbe a scendere) oppure indebitarsi a 1 anno
(e quindi il tasso di remunerazione del debito tenderebbe a salire) annullando le
possibilità di arbitraggio.
È chiaro che il dis-equilibrio discende dalla possibilità, che ci è stata promessa, di
investire sul mercato fra 12 mesi al tasso del 4,5%. Questo tasso r è troppo basso
rispetto alle aspettative di mercato: per realizzare l’equilibrio esso dovrebbe
soddisfare la relazione:
(1 + 4%)2 = (1 + 3%) ⋅ (1 + r ) ⇒ r = 5,01%
Evidentemente quindi la curva attuale dei tassi di interesse esprime l’aspettativa
che fra un anno si possa investire alla scadenza 12 mesi al tasso del 5,01%. Se tale
aspettativa si dovesse modificare, per evitare situazioni di possibile arbitraggio, i
tassi di mercato odierni si modificheranno per raggiungere un nuovo equilibrio.
Nei mercati finanziari reali, le possibilità di arbitraggio sono limitate da eventuali
costi di commissione legati alla compravendita di titoli, ed al fatto che
difficilmente i tassi passivi di indebitamento siano uguali a quelli attivi di
investimento. Inoltre, se la strategia di arbitraggio lo richiedesse, non è facile
vendere un titolo sopravvalutato senza possederlo (concetto di ‘vendita allo
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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO
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scoperto’) a meno che la valuta dei relativi contratti non venga regolata in un
tempo differito.
• Il puntoSe i prezzi dei titoli finanziari sul mercato non rispecchiano i rendimenti del
mercato (a parità di rischio) alle diverse scadenze future, l’economia non è in
equilibrio. È possibile in tale situazione verificare l’esistenza di strategie di
arbitraggio, finalizzate a maturare dei payoff positivi a rischio nullo.
3.2 Titoli obbligazionari
I titoli obbligazionari, o titoli a reddito fisso, sono titoli finanziari emessi sul
mercato mobiliare, stipulati tra un’impresa emittente e un investitore, nei quali si
stabilisce una remunerazione del capitale investito a condizioni contrattualmentenote al momento dell’emissione. Di conseguenza si considerano titoli a reddito
fisso anche quelli per i quali, pur essendo il tasso di interesse variabile, è noto
l’algoritmo con il quale questo tasso di interesse è calcolato (ad esempio fra i
Titoli di Stato i CcT, il cui tasso è indicizzato al rendimento di mercato dei BoT).
I titoli a reddito fisso si contrappongono ai titoli azionari per i quali non esiste, per
definizione, un impegno contrattuale circa la remunerazione, che è invece residuale.
Un’ulteriore distinzione tra titoli azionari e titoli obbligazionari è di carattere
giuridico; infatti, se l’emittente non onora gli impegni assunti con l’emissione di un
titolo di debito, può essere soggetto ad una procedura di carattere fallimentare.
Le caratteristiche principali di un titolo a reddito fisso sono:
1) l’emittente;
2) la valuta;
3) la modalità di remunerazione e di rimborso del capitale investito;
4) la scadenza.
L’emittente può essere una società privata, un’organizzazione sovranazionale (ad
esempio la BEI, Banca Europea per gli Investimenti), un ente pubblico locale
(Comuni, Regioni) o un ente pubblico nazionale.
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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO
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La recente riforma del diritto societario in Italia (D.L. 6/03 entrato in vigore il
1/1/2004 noto come ‘Riforma Vietti’) ha esteso la possibilità di emettere
obbligazioni anche alle Srl, mentre prima tale opportunità era limitata alle Spa.
La conoscenza dell’emittente di un titolo a reddito fisso è importante in quanto iflussi di cassa previsti contrattualmente sono in realtà dei ‘flussi promessi’: di
conseguenza se l’emittente non è in grado di soddisfare le promesse fornite, il
possessore dell’obbligazione non viene remunerato per quanto dovuto. Per questo
motivo due titoli a reddito fisso con identiche condizioni contrattuali sono valutati
diversamente dagli investitori, in relazione alla probabilità di insolvenza che questi
ultimi attribuiscono all’emittente. Gli investitori, per stimare il rischio di
insolvenza connesso con un titolo a reddito fisso, utilizzano generalmente un
‘merito di credito’ o rating fornito da apposite agenzie (ad esempio Moody’s e
Standard & Poor’s, le cui sigle di rating sono riassunte nella Tabella 3.1).
Tabella 3.1 – Classi di rating di Standard & Poor’s e Moody’s.
Standard & Poor’s Moody’s
AAA – Elevata capacità di ripagare il debito Aaa – Livello minimo di rischio
AA – Alta capacità di ripagare il debito Aa – Debito di alta qualità
A – Solida capacità di ripagare il debito, che
potrebbe essere influenzata da circostanze avverse
A – Debito di buona qualità, ma soggetto
a rischio in futuro
BBB – Adeguata capacità di rimborso e di
pagamento degli interessi, che potrebbe peggiorare
rapidamente a fronte di circostanze avverse
BB,B – Debito prevalentemente speculativo
CCC, CC – Debito altamente speculativo
D – Debito in stato di insolvenza
Baa – Debito con grado di protezione medio
Ba – Debito con un certo rischio speculativo
B – Debito con bassa probabilità di
ripagamento
Caa, Ca, C – Debito in stato di insolvenza
Il processo di rating si articola in diverse fasi: (i) raccolta di informazioni
sull’impresa da valutare e analisi dei bilanci, (ii) incontro con i managers, (iii)
presentazione dell’analisi alla commissione di rating dell’agenzia, (iv) discussione
e decisione sul rating.
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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO
62
Titoli caratterizzati da una rischiosità più elevata sono in genere associati a cedole
promesse di ammontare maggiore, per assicurare un premio per il maggiore rischio
agli investitori. All’estremo, esistono i cosiddetti ‘ junk bonds’ (titoli spazzatura)
caratterizzati da un elevato tasso di rendimento atteso, ma anche da una notevolerischiosità di insolvenza.
La valuta di riferimento è un’altra delle caratteristiche principali dei titoli a reddito
fisso (si tenga presente che un’impresa può emettere titoli anche in una valuta
estera) in quanto per titoli emessi in valute diverse, a parità di condizioni
contrattuali, si osservano, normalmente, tassi di interesse diversi. Questa
differenza può essere dovuta, oltre che alla qualità dell’emittente, anche a un
differente equilibrio del mercato monetario. L’idea è che, affinché il mercato dei
capitali sia in equilibrio, la differenza tra i tassi di interesse nelle diverse economie
sia legata a diversi fattori, fra cui le aspettative di rivalutazione/svalutazione dellemonete rispettive. Titoli espressi in valuta estera sono caratterizzati anche da un
‘rischio di valuta’ poiché il valore dei relativi flussi di cassa nella valuta nazionale
dipende dall’andamento dei tassi di cambio. In particolare, in caso di svalutazione
della moneta estera, i pagamenti che vengono ricevuti saranno tradotti in un
ammontare di euro più basso.
Un’obbligazione si caratterizza poi per le modalità di remunerazione e restituzione
del capitale investito. A questo proposito una prima classificazione distingue tra
gli zero coupon bonds e le obbligazioni con cedola. Gli zero coupon bonds
(letteralmente obbligazioni ‘con cedola zero’) sono titoli che non prevedonopagamento di interessi sotto forma di cedole, ma vengono emessi a un prezzo
scontato rispetto al valore di rimborso alla scadenza. Le obbligazioni con cedola,
invece, pagano gli interessi in istanti precedenti il rimborso del valore nominale,
oltre che alla scadenza. Le cedole possono essere costanti o variabili nel tempo. Ad
esempio, le obbligazioni step-down e step-up, sono caratterizzate da cedole
rispettivamente decrescenti e crescenti con l’avvicinarsi della scadenza. A volte,
può essere imposto un limite massimo (cap) piuttosto che un limite minimo ( floor )
alle cedole nel caso siano variabili.
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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO
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Infine, la scadenza (maturity) è l’istante di tempo futuro che coincide con
l’estinzione del titolo, e in genere con la restituzione del capitale investito. Essa
può variare dai pochi mesi ai molti anni, come nel caso delle obbligazioni emesse
dalla Walt Disney nel 1993, in scadenza nel 2093!
• Il punto
Le obbligazioni sono titoli di debito emessi dalle imprese sul mercato mobiliare, in
valuta nazionale o estera. Si distinguono per la modalità di remunerazione e
rimborso del capitale a scadenza, e per la loro rischiosità connessa alla solvibilità
dell’emittente.
3.2.1 Obbligazioni con remunerazione fissa
Le obbligazioni, in genere, sono caratterizzate da un valore nominale che puòessere diverso dal prezzo di emissione e a volte anche dal valore di rimborso a
scadenza. Il valore nominale rappresenta il valore contabile del prestito, riportato
in Bilancio, ma non ha nulla a che vedere con il suo valore di mercato o con la
liquidità che effettivamente il prestito consente di raccogliere. La differenza tra
valore di rimborso, che di solito coincide con il valore nominale, e prezzo di
emissione (differenza detta disaggio di emissione) è una delle modalità per
remunerare una obbligazione (al limite per gli zero coupon bonds è l’unica forma
di remunerazione). Le eventuali cedole, invece, vengono espresse in percentuale
rispetto al valore nominale e sono caratterizzate, oltre che dal tasso nominale
annuo, anche dalla data di godimento che rappresenta gli istanti di pagamento delle
cedole. Infatti spesso i titoli obbligazionari pagano cedole semestrali, e questo –
alla luce dei risultati ottenuti nel Paragrafo 3.1.2 – equivale ad un rendimento più
elevato, poiché il pagamento di metà della cedola viene anticipato. In genere, più
l’impresa è rischiosa, più elevate dovranno essere le cedole promesse in
pagamento, per convincere gli investitori a sottoscrivere le obbligazioni.
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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO
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3.2.2 Obbligazioni con remunerazione variabile
Esistono obbligazioni per cui, al momento dell’emissione, non sono noti i flussi
monetari futuri corrisposti all’investitore, perché essi sono correlati (indicizzati) ad
altri parametri osservabili. In questa categoria troviamo:1) Obbligazioni in cui è previsto un piano di ammortamento del prestito non
omogeneo: in questo caso (che deve essere evidenziato nel prospetto
informativo di emissione del prestito) la restituzione del capitale avviene in
diverse date attraverso un piano di ammortamento del capitale (una parte degli
investitori, ad esempio, si vede rimborsare il prestito prima della scadenza
mediante un sorteggio). Questo chiaramente determina al momento
dell’acquisto di un titolo una aleatorietà sui flussi di remunerazione del
capitale investito e sulle date in cui gli investitori riceveranno tali flussi.
2) Obbligazioni indicizzate: in questo caso o la cedola o il valore di rimborso oentrambi sono funzione crescente di un indice di riferimento, in genere un
indice azionario o obbligazionario, un tasso di interesse, il rendimento di un
altro titolo finanziario; frequentemente, l’indice di riferimento può essere il
rendimento dei titoli obbligazionari a breve termine (ad esempio il rendimento
dei titoli di stato, piuttosto che il tasso LIBOR, London Inter Bank Offered
Rate o altri tassi di riferimento sul mercato creditizio), il tasso di cambio di
una valuta (si parla in questo caso di currency index bond ), un indice
rappresentativo di una materia prima o di un paniere di materie prime (si parla
in questo caso di commodity linked bond ), un paniere di titoli o un indiceazionario (si parla in questo caso di equity linked bond ).
La correlazione può anche essere negativa, come per i reverse floating rate
note e i fixed-reverse. I reverse floating rate note sono titoli caratterizzati da
cedole variabili correlate inversamente a un parametro d’indicizzazione. Per
esempio un algoritmo può essere tale per cui la cedola viene calcolata come
‘15% – 2 ⋅ LIBOR a 12 mesi’; è chiaro che se i tassi LIBOR scendono o si
mantengono su valori bassi la cedola rimane elevata, altrimenti no. Le
obbligazioni fixed-reverse, invece, sono titoli obbligazionari che durante i
primi anni dopo l’emissione remunerano il capitale con una cedola fissa
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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO
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piuttosto elevata (rispetto ai tassi di mercato) mentre durante i restanti anni la
remunerazione è indicizzata con algoritmi che possono addirittura annullare il
rendimento cedolare.
Altro strumento finanziario che ha avuto una notevole diffusione in questiultimi anni è il collar (o collared ) bond che remunera il capitale con un
interesse variabile compreso in un intervallo prefissato. Il tasso di interesse in
particolare ha un tetto minimo detto floor e uno massimo detto cap. La
funzione degli strumenti collar è di garantire sia l’emittente che l’acquirente
da ampi movimenti dei tassi di interesse. Il cap garantisce l’emittente che così
pone un limite al costo del contratto, il floor invece tutela l’acquirente che cosi
conosce fin dall’inizio il valore minimo del contratto. Un caso particolare è
quello del drop lock bond , che si converte automaticamente in un’obbligazione
a tasso fisso se il parametro di indicizzazione scende al di sotto del tasso floor .3) Le obbligazioni con possibilità di chiamata (callable bonds): sono emissioni
obbligazionarie che prevedono, per l’emittente, la possibilità di rimborsare
anticipatamente il capitale ricevuto (la cosiddetta opzione di richiamabilità) a
condizioni fissate nell’istante di emissione del titolo. Naturalmente l’emittente
eserciterà tale diritto solo se lo riterrà conveniente, in particolare quando,
relativamente alla data di emissione, si è verificata una riduzione dei tassi di
mercato e l’impresa intende raccogliere capitale a condizioni più favorevoli.
Titoli obbligazionari con opzione di richiamabilità vengono emessi a tassi
generalmente superiori a quelli di mercato; la differenza è in realtà daricondursi al valore dell’opzione di conversione. Il rischio di rimborso
anticipato è da considerarsi un rischio finanziario a tutti gli effetti, così come il
rischio di solvibilità dell’emittente. Bisogna infine notare una differenza fra i
callable bonds e le obbligazioni rimborsabili anticipatamente considerate nel
punto (1): qui la società emittente può decidere se rimborsare o no il prestito a
sua discrezione, nel precedente caso il piano di ammortamento è prestabilito e
non viene modificato a discrezione dell’impresa;
4) Obbligazioni convertibili: sono titoli a reddito fisso che offrono al
sottoscrittore la possibilità di esercitare una scelta. Infatti l'obbligazionista può
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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO
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optare per chiedere il rimborso dell'obbligazione sottoscritta, oppure chiedere
la conversione del titolo in azioni secondo un rapporto prestabilito. Per
l'emittente costituiscono un'alternativa di finanziamento, il cui costo
immediato è più contenuto di quello delle obbligazioni ordinarie, comecompensazione del vantaggio connesso alla facoltà di conversione.
All’emissione di un’obbligazione convertibile la società deve deliberare un
aumento potenziale del capitale sociale per un ammontare corrispondente al
valore nominale delle azioni da attribuire in conversione (‘azioni di
compendio’). Il periodo in cui è ammessa la conversione può essere
continuativo oppure limitato a determinati periodi dell’anno, fino alla
scadenza;
5) I convertible reverse (o reverse convertible): in questo caso il rimborso del
capitale è ancora collegato all’andamento di un’azione sottostante, ma essoavviene a discrezione dell’emittente. Il funzionamento di questi convertible
reverse è quindi speculare rispetto a quello di un’obbligazione convertibile, in
cui l’investitore ha l'opportunità di chiedere la consegna di un numero
prefissato di azioni invece del rimborso del capitale; viceversa, con
un’obbligazione convertible reverse l’investitore si assume il rischio di vedersi
consegnare un numero prefissato di azioni invece del rimborso del capitale (a
convenienza dell'emittente)2.
• Il puntoLe obbligazioni – per quanto riguarda sia la remunerazione sia il rimborso del
capitale – possono generare flussi monetari fissi, oppure variabili e indicizzati a
parametri esogeni (come il rendimento di altri strumenti finanziari) oppure legati a
scelte discrezionali dell’emittente (ad esempio i callable bonds) o dell’investitore
(ad esempio le obbligazioni convertibili).
2 Non a caso le autorità di vigilanza dei mercati negli ultimi anni hanno scoraggiatoattivamente l’emissione di titoli di questo genere.
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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO
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Come abbiamo visto, le modalità di remunerazione e di rimborso del capitale
obbligazionario sono molto diversificate. Nei casi più semplici esistono consolidati
metodi di valutazione, che saranno analizzati nel Paragrafo successivo. Nei casi
più complessi è necessario ricorrere a modelli di valutazione delle opzioni, chesaranno analizzati nel Capitolo 5.
3.3 La valutazione dei titoli obbligazionari
Un titolo obbligazionario è un contratto associato al pagamento nel tempo di una
stringa di flussi finanziari. Il suo valore nel caso più generale può quindi essere
agevolmente determinato dal valore attuale dei flussi monetari che lo
caratterizzano. Indichiamo con:
T = scadenza del prestito obbligazionario;
F t = stringa dei flussi monetari (cedole) attesi (t = t 1, t 2, …, T );V N = valore nominale del titolo (in generale uguale al valore di rimborso);
r t = tassi di interesse annuali alle diverse scadenze, evidenziati dalla struttura per
scadenza.
Si può calcolare P0, ovvero il valore di equilibrio del titolo obbligazionario oggi:
T
T
N T
t t
t
t
r
V
r
F P
)1()1(1t0
++
+=∑
=
Cioè, il valore del titolo deve essere pari alla somma attualizzata delle cedole
staccate e del rimborso del valore nominale a scadenza. Molto spesso in Europa il
valore di un’obbligazione viene misurato fatto 100 il valore nominale3. Diremo
quindi, ad esempio, che il prezzo di un titolo a reddito fisso è 103,54 se il prezzo di
questo titolo, per un valore nominale di 1.000€, equivale a 1.035,40€. Diremo
inoltre che un titolo obbligazionario quota sopra la pari se il suo prezzo è superiore
a 100, sotto la pari se il prezzo è inferiore a 100, alla pari se il prezzo è 100.
3 Negli USA vige una convenzione diversa, per cui il titolo quota sulla stessa scala, ma i
decimali di prezzo sono espressi in trentaduesimi. Una quotazione negli USA pari a 98-8significa che in Europa il prezzo del titolo sarebbe 98 + 8/32 = 98,25.
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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO
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Se i flussi F t fossero indicizzati, e quindi non noti ex ante, se ne può determinare
una previsione, oppure – come spesso accade – si può ipotizzare che le cedole
future siano uguali a quella (nota) attualmente in maturazione.
Implicitamente si ipotizza che il titolo non sia rischioso: è evidente che in casoopposto è necessario scontare i flussi monetari e il rimborso del capitale con tassi
che comprendono un adeguato premio per il rischio, così come evidenziato nel
Paragrafo 3.1.3.
Per un titolo zero-coupon, che non paga cedole, il valore di mercato coincide
semplicemente con il valore attuale del capitale nominale. Ne consegue che un
titolo zero-coupon quota sempre sotto la pari, e viene remunerato attraverso lo
‘sconto’ del prezzo del titolo rispetto al valore di rimborso alla scadenza. La stessa
affermazione può non essere vera, come vedremo, per titoli che pagano cedole.
Figura 3.6 – Andamento nel tempo del prezzo P0 di un’obbligazione zero-coupon.
La Figura 3.6 riporta l’andamento nel tempo del valore di mercato di uno zero-
coupon. È evidente che all’avvicinarsi della scadenza T , in condizioni stazionarie
dei tassi di mercato, il valore del titolo si avvicina al valore nominale di rimborso.
P
P0
T t
100
0
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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO
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• Esempio
Un titolo zero-coupon scade fra 2 anni e 3 mesi. Considerato che il tasso di
mercato alla stessa scadenza è pari al 2,3%, il prezzo di equilibrio P0 del titolo
sarà:
P0 =3/122(1,023)
100+
= 95,01
Ipotizzando che il tasso di mercato rimanga costante alla stessa scadenza, fra 3
mesi il valore del titolo P3/12 sarà maggiore, avvicinandosi la fine del prestito:
P3/12 =2(1,023)
100= 95,55
Esaminiamo ora le obbligazioni che pagano cedole. Nel caso in cui la cedola sia
costante e la struttura per scadenza sia piatta (r costante) possiamo recuperare le
formule di matematica finanziaria viste nel Paragrafo 3.1.1 che ci permettono di
valutare facilmente il prezzo P0. Se ipotizziamo che l’obbligazione garantisca il
pagamento di una somma fissa annuale C (si ipotizza che il primo pagamento
avvenga esattamente fra un anno) per tutta l’eternità (in tal caso si parla di titoli
‘irredimibili’) il suo valore converge a:
P0 = ...
)1()1()1(32+
+
+
+
++
r
C
r
C
r
C = C ·∑
∞
= +1 )1(
1
t
t
r
=
r
C
Se invece consideriamo un bond che offre il pagamento di una somma fissa C solo
fino all’anno T per poi rimborsare nello stesso momento il valore nominale V N :
P0 =T
r
C
r
C
r
C
r
C
)1(...
)1()1()1( 32+
+++
++
++
+T
N
r
V
)1( +
P0 =
+−⋅
T
r r
C
)1(
11 +
T
N
r
V
)1(+
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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO
70
Nel caso dovessimo valutare un titolo irredimibile che garantisce il pagamento di
una somma C 1 a partire dall’anno t = 1, che cresce nel tempo al tasso g con C t +1 =
C t (1 + g):
P0 =( ) ( )
.....)1(
1
)1(
1
)1( 3
21
211
++
+⋅+
+
+⋅+
+ r
gC
r
gC
r
C = ∑
∞
=
+
+⋅
+ 1
1
1
1
)1( t
t
r
g
g
C
P0 =gr
C
−
1 (con r > g)
Infine per un titolo obbligazionario (o una qualsiasi rendita) che paga un flusso C 1
al tempo 1, che cresce successivamente al tasso g, interrompendosi al tempo T con
il rimborso del valore nominale (o di un qualsiasi altro riscatto):
P0 =( ) ( )
.....)1(
1
)1(
1
)1( 3
21
211
++
+⋅+
+
+⋅+
+ r
gC
r
gC
r
C +
( )T
T
r
gC
)1(
1 1-1
+
+⋅+
T
N
r
V
)1( +
P0 =
+
+−⋅
−T
T
r
g
gr
C
)1()1(
1 +T
N
r
V
)1( +
Le relazioni precedenti evidenziano che esiste una relazione negativa fra prezzo di
equilibrio di un’obbligazione con cedole fisse e tassi di mercato (Figura 3.7). Al
crescere dei tassi di mercato il prezzo di un titolo è destinato a scendere, mentre
invece quando i tassi di mercato scendono i titoli obbligazionari si rivalutano4. Se
il tasso di mercato fosse al limite nullo, il prezzo P0 tenderebbe alla semplice
sommatoria di cedole e rimborso del capitale. Un investitore che si attende tassi di
mercato in discesa dovrebbe dunque investire in obbligazioni a tasso fisso, poiché
il loro valore di mercato dovrebbe salire.
4 Naturalmente se le cedole pagate dal titolo sono indicizzate (positivamente onegativamente) ai tassi di mercato, la relazione diventa più complessa.
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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO
71
Figura 3.7 – Relazione fra valore di un titolo obbligazionario e tassi di mercato.
Viceversa, un’impresa che ha le stesse aspettative ed intende finanziarsi non
dovrebbe emettere titoli a tasso fisso, perché rimarrebbe spiazzata dal calo dei
rendimenti del mercato, e sarebbe costretta a remunerare il capitale a tassi elevati
fino alla scadenza T mentre sul mercato è possibile ottenere condizioni migliori.
3.3.1 Corso tel quel, rateo e corso secco
Il prezzo P0 di equilibrio calcolato con le formule precedenti è detto corso tel quel.
Quando un’obbligazione paga cedole, in condizioni stazionarie (ad esempio se
ipotizziamo che il tasso di mercato r rimanga costante nel tempo per tutte lescadenze) l’evoluzione del suo prezzo di mercato assume il caratteristico
andamento a ‘dente di sega’ rappresentato in Figura 3.8. L’esempio si riferisce ad
un titolo con vita residua di quattro anni.
Le discontinuità di prezzo corrispondono agli istanti in cui viene messa in
pagamento la cedola. È evidente che appena prima di tali scadenze il prezzo di un
titolo incorpora ancora il valore della corrispondente cedola, mentre un attimo
dopo tale valore cessa di esistere. La discontinuità di prezzo è proprio pari al
valore della cedola C . In altre parole, chi acquista il titolo appena prima del
pagamento di una cedola lo pagherà di più perché il giorno dopo incassa la cedola,
P0
r
∑=
+T
t
N t V F 0
0
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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO
72
mentre chi lo acquista dopo il godimento della cedola lo paga meno perché non
incasserà più il flusso monetario.
Figura 3.8 – Andamento nel tempo del prezzo P0 di un titolo obbligazionario (c% > r).
Si può infine evidenziare che la Figura 3.8 si riferisce ad un bond che paga una
cedola costante C che in percentuale sul valore nominale (c%) è maggiore del tasso
di mercato r . Sotto le condizioni enunciate, ripresa la formula dell’annuity, si ottiene:
P0 =
+−⋅
T r r
C
)1(
11 +
T
N
r
V
)1( +
N V
P0 =
+−⋅
T r r
c
)1(
11
%+
T r )1(
1
+
N V
P0 > 1 ⇔ r
c%> 1
N V
P0 < 1 ⇔ r
c%< 1
L’idea è che se un titolo paga una cedola annuale c% più elevata rispetto alla
remunerazione annuale richiesta dal mercato r , esso venga premiato con un valore
P0
t
100
C
1 2 3 4
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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO
73
tel quel sempre sopra la pari, che tende a decrescere nel tempo (si veda la Figura
3.8) fino alla scadenza T . Il prezzo P0 cresce al dilatarsi della vita residua T , perché
il mercato premia il fatto che il titolo remuneri il capitale con una cedola elevata
per un periodo di tempo maggiore.
Figura 3.9 – Andamento nel tempo del prezzo P0 di un titolo obbligazionario (c% < r).
La Figura 3.9 rappresenta un’altra situazione, in cui invece la cedola c% risulta
inferiore rispetto al tasso di mercato r (c% < r ). In questa situazione, il prezzo tel
quel del titolo tende a crescere nel tempo, e molto spesso è sotto la pari. Infatti, il
mercato attribuisce uno ‘sconto’ al prezzo del titolo, poiché remunera meno di
quanto richiesto.Lo ‘sconto’ è tanto più elevato quanto è maggiore la vita residua T : il mercato
infatti tende a penalizzare il fatto che la cedola è inferiore al tasso di mercato per
un periodo ampio. L’estremo è costituito dallo zero-coupon, la cui cedola è nulla, e
come abbiamo visto quota sempre sotto la pari.
Infine, la Figura 3.10 riporta il caso di un titolo le cui cedole percentuali
rispecchiano esattamente il tasso di mercato (c% = r ). In tal caso, la remunerazione
offerta dal titolo con la cedola è esattamente uguale a quella richiesta dal mercato,
e il prezzo tel quel quota alla pari appena dopo il pagamento della cedola. Stavolta
la vita residua T del titolo non ha effetto sul valore del titolo.
P0
100
C
t 1 2 3 4
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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO
74
Figura 3.10 – Andamento nel tempo del prezzo P0 di un titolo obbligazionario (c% = r).
Non si deve quindi pensare che titoli obbligazionari quotati a prezzi molto diversi,
alcuni sopra la pari, altri sotto la pari, siano preferibili l’uno all’altro. Essirispecchiano tranquillamente il fatto che non tutti pagano la stessa cedola, e non
tutti hanno la stessa scadenza. In secondo luogo, se per caso l’obbligazione liquida
la cedola annuale ogni semestre (come succede spesso per i Titoli di Stato) bisogna
tenere conto del suo rendimento effettivo equivalente. Infatti, il suo valore sarà più
elevato di quello di un titolo con stessa cedola pagata però annualmente, dal
momento che metà della cedola viene liquidata in anticipo5.
Le Figure precedenti evidenziano inoltre che il prezzo tel quel di un’obbligazione è
molto variabile nel tempo, e dipende dall’istante in cui è stata pagata l’ultima
cedola. Una misura del prezzo di un titolo depurata da questa ‘distorsione’ èinvece il ‘corso secco’.
Il corso secco Pcs è definito come il prezzo tel quel del titolo, al netto del rateo,
ovvero la quota-parte della prossima cedola già maturata:
Pcs = P0 – rateo
5 Il ragionamento è assolutamente identico rispetto a quello percorso nell’Esempio
numerico del Paragrafo 3.1.3, laddove si confrontavano due conti bancari con liquidazionedegli interessi annuale o semestrale.
P0
t
100
C
1 2 3 4
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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO
75
Il rateo (anche se concettualmente si tratta solo di un’approssimazione, del resto
utilizzata da tutti gli intermediari finanziari) viene misurato ipotizzando che la
cedola C maturi linearmente nel tempo:
rateo = C ⋅ cedoledellepagamentoilfraintermedigiorni
cedolaultimadell'pagamentodaltrascorsigiorni
Dalla definizione data risulta evidente che il rateo è nullo nell'istante immediatamente
successivo allo stacco della cedola (in questo caso prezzo secco e prezzo tel quel
coincidono), ed è invece massimo appena prima del pagamento della cedola.
Ritornando alle Figure precedenti si può quindi affermare che (come appare anche
dalla Figura 3.11) la linea continua (in tratto-punto) rappresenta il corso secco, e la
differenza rispetto al prezzo P0 rappresenta il rateo. Diremo anche che il corsosecco di un’obbligazione è sempre sotto la pari (sopra la pari) e tende a crescere
(decrescere) nel tempo se la cedola percentuale c% è inferiore (superiore) al tasso
r di mercato, che noi supponiamo stabile sul mercato. In caso di uguaglianza fra
c% e r , esso sarà sempre pari a 100. Chiaramente nel momento in cui i tassi di
mercato variano, i prezzi delle obbligazioni sul mercato si assesteranno su un
nuovo equilibrio seguendo le stesse regole.
Figura 3.11 – Corso secco e corso tel quel (c% > r).
Corso tel quel
Corso secco
Rateo
P0
t
100
C
1 2 3 4
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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO
76
• Il punto
Il valore tel quel di un’obbligazione si può determinare sommando il valore attuale
di tutti i flussi monetari futuri generati dal suo possesso. Il corso secco (ovvero il
prezzo tel quel depurato dalla cedola in maturazione) delle obbligazioni chepagano cedole percentuali inferiori (superiori) al tasso r di mercato quota sempre
sotto la pari (sopra la pari). Gli zero coupon bonds quotano sempre sotto la pari.
3.3.2 Rendimento effettivo e duration di un’obbligazione
Il rendimento effettivo di un’obbligazione, r eff , è quel tasso di interesse che
eguaglia il valore attuale dei flussi di cassa futuri (cedole e rimborso alla scadenza)
al prezzo tel quel P0 del titolo:
r eff : T eff
N T
t t
eff
t
r
V
r
F P
)1()1(00
++
+= ∑
=
Il rendimento effettivo rappresenta la remunerazione media riconosciuta dal
mercato ai diversi flussi di cassa e, di conseguenza, è una media ponderata dei
tassi di interesse alle diverse scadenze espressa dalla struttura per scadenza. Anche
in questo caso per i titoli ad indicizzazione finanziaria il rendimento effettivo netto
è calcolato stimando i flussi futuri oppure ipotizzando che siano uguali a quello in
pagamento.Il rendimento effettivo è concettualmente simile al tasso interno di rendimento
(TIR) di un investimento, ma in questo caso non rappresenta un parametro di
preferibilità di un titolo rispetto ad un altro. È chiaro invece che se la struttura per
scadenza dei tassi di interesse è crescente nel tempo, ci si attende che titoli più
‘lunghi’ (con vita residua maggiore) saranno caratterizzati da rendimenti effettivi
maggiori, mentre titoli più ‘corti’ (con vita residua minore) siano caratterizzati da
rendimenti effettivi minori. Questo accade perché i flussi monetari più ‘lontani’
nel tempo saranno remunerati con tassi crescenti. L’opposto invece accade se la
struttura per scadenza dei tassi è decrescente nel tempo. Se infine la struttura per
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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO
77
scadenza dei tassi fosse piatta, in equilibrio tutti i titoli avrebbero lo stesso
rendimento effettivo, pari al tasso r di mercato.
• Il segnalibroIl tasso interno di rendimento (TIR) di un investimento è analizzato nel Volume
‘Gestire le Risorse dell’Impresa’, Capitolo 4, Paragrafo 4.2.2.
Molto spesso si definisce anche un tasso di rendimento effettivo netto, che tiene
conto dei flussi di cassa al netto di eventuali prelievi fiscali, per la cui
determinazione si rimanda al successivo Paragrafo 3.4.
• Esempio
Si consideri un’obbligazione con vita residua pari a 1 anno e 5 mesi. Il titolo paga
una cedola annuale fissa c% pari al 5% e rimborsa il capitale alla scadenza.
Per determinare il suo prezzo di equilibrio tel quel, il rateo, il corso secco e il suo
rendimento effettivo è necessario conoscere il tasso di interesse di mercato alle
diverse scadenze. Gli istanti in cui saranno pagate le prossime cedole sono fra 5
mesi (non fra un anno!) e fra 17 mesi alla scadenza. La struttura per scadenza dei
tassi è rappresentata in Figura 3.12.
Figura 3.12 – Struttura per scadenza dei tassi di interesse nell’esempio.
r
4,7%
4,5%
4,3%
4,1%
2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30 32 Mesi
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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO
78
Se ne deduce che il tasso di interesse a 5 mesi r 5/12 è pari a 4,2%, mentre quello a
scadenza 17 mesi è pari a 4,4%.
Il prezzo di equilibrio P0 del titolo è uguale a:
T T
N T
t t
t
t
r V
r F P
)1()1(00
++
+= ∑
=
= 17/1217/125/12 (1,044)100
(1,044)5
(1,042)5 ++
P0 = 103,70
Il rateo, ovvero la cedola in maturazione, è pari a:
Rateo = cedola ⋅ cedoledellepagamentoilfraintermedigiorni
cedolaultimadell'pagamentodaltrascorsigiorni= 5 ⋅
mesi12mesi7
Rateo = 2,92
Il corso secco Pcs è:
Pcs = P0 – rateo = 103,70 – 2,92 = 100,78
Il titolo quindi quota sopra la pari: infatti, la cedola c% è superiore rispetto alla
remunerazione media del mercato offerta alle scadenze interessate.
Per calcolare il rendimento effettivo r eff è necessario determinare:
r eff : T eff
N T
0t t
eff
t
r
V
r
F P
)1()1(0
++
+= ∑
=
ovvero:
r eff : 103,70 =17/1217/125/12 )(1
100
)(1
5
)(1
5
eff eff eff r r r ++
++
+
Si ottiene r eff = 4,398%
Il rendimento effettivo è un po’ inferiore al tasso alla scadenza 17 mesi, perché
risulta una media ponderata fra i tassi alle due scadenze (4,2% e 4,4%) dove però
l’ultimo flusso (il rimborso del capitale) conta decisamente di più.
Osservando la struttura per scadenza dei tassi, è anche possibile dire che sul
mercato in equilibrio i titoli obbligazionari con scadenza superiore a quello
considerato avranno rendimenti effettivi maggiori. Ciò rispecchia il fatto che la
struttura per scadenza tende ad essere crescente nel tempo, e non implica affatto
una preferibilità dei titoli ‘lunghi’ rispetto a quelli a breve termine.
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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO
79
Nell’esempio precedente si è introdotto il concetto di titoli ‘lunghi’ e titoli ‘brevi’.
La duration D rappresenta appunto la vita media residua del titolo, espressa in anni
e giorni. La formula teoricamente corretta per il calcolo della duration di un titolo
è la seguente:
+
⋅+
+
⋅⋅= ∑
=
T
T
N T
t t
t
t
r
T V
r
t F
P D
)1()1(
1
00
Per come è definita, la duration si configura come un ‘baricentro finanziario’,
ovvero rappresenta una media degli istanti di liquidazione dei flussi monetari,
ponderata dal valore attuale dei flussi stessi. Nella pratica la duration viene spesso
calcolata dagli intermediari finanziari come vita media ponderata dei flussi futuri
attualizzati al rendimento effettivo del titolo (si parla in questi casi di modified
duration, o duration di Macaulay):
+
⋅+
+
⋅⋅= ∑
=
T
eff
N T
t t
eff
t
r
T V
r
t F
P D
)1()1(
1
00
La duration di un titolo gode di importanti proprietà tra cui quella di essere
correlata alla volatilitàσ
di un’obbligazione, cioè alla variazione percentuale P
P∆
del prezzo tel quel dell’obbligazione causata da una variazione unitaria dei tassi di
mercato, e quindi è correlata al rischio di tasso. Come mostrato dalla Figura 3.5
tale variazione è negativa nel caso di incremento del tasso, e viceversa, e può
essere stimata6 dalla relazione:
6 La stima che si ottiene è lineare ed è in realtà distorta in eccesso, per via del fenomenodella ‘convexity’, ovvero della relazione non lineare fra prezzo e rendimento diun’obbligazione, come appare chiaro dalla Figura 3.5. Si veda l’esempio numerico in
Giudici (2001), pagina 32.
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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO
80
r r
D
P
P
eff
∆⋅+
−≈∆
1
dove r ∆ rappresenta la variazione subita dai tassi di mercato alle diverse scadenzedella struttura per scadenza, della quale vogliamo determinare l’effetto sul prezzo
dell’obbligazione.
• Il punto
Il rendimento effettivo e la duration contraddistinguono la quotazione di mercato
di un’obbligazione. Il primo parametro rappresenta la remunerazione media
riconosciuta dal mercato ai suoi flussi monetari, il secondo rappresenta una vita
media ponderata dei flussi stessi, ed è proporzionale alla volatilità del prezzo del
titolo.
Sulla stampa economico-finanziaria la duration è indicata in anni e giorni. Quindi
se la duration di un’obbligazione è indicata con 1,120 significa che essa è pari a un
anno e 120 giorni.
• Esempio
Un’obbligazione ha una vita residua di 3 anni e paga una cedola annuale fissa del
6%. Il capitale viene rimborsato a scadenza. Ipotizzando che il tasso sul mercato
obbligazionario sia costante a tutte le scadenze, e pari al 3%, vogliamo determinare
il prezzo tel quel di equilibrio, la duration e la volatilità stimata.
Il prezzo tel quel P0 coincide con il corso secco, poiché l’ultima cedola è stata
appena messa in pagamento (= il rateo è nullo) ed è pari a:
T
N T
t t
t
r
V
r
F P
)1()1(00
++
+= ∑
=
Sfruttando il fatto che le cedole C sono costanti e la struttura per scadenza dei tassi
è piatta:
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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO
81
P0 =
+−⋅
T r r
C
)1(
11 +
T
N
r
V
)1( +=
−⋅
3(1,03)
11
0,03
6+
3(1,03)
100= 108,49
Si può notare che il titolo quota sopra la pari, poiché in effetti paga una cedola
superiore al tasso di mercato.La duration D è pari a:
⋅
++⋅
+⋅= ∑
=
T r
V t
r
F
P D
T
N T
t t
t
)1()1(
1
00
=
⋅+
⋅+
⋅
32 (1,03)
3106
(1,03)
26
1,03
16
108,49
1= 2,84
D = 2 anni 307 giorni
La duration risulta solo leggermente inferiore alla vita residua, dal momento che
l’ultimo flusso di cassa (quello alla scadenza tre anni) ha un peso rilevante nel
calcolo.
La volatilità σ può essere stimata da:
r r
D∆⋅
+−≈
1σ = – 2,76 ∆r
Ciò vuol dire che se per caso il tasso di mercato sale di un punto percentuale, ci
attendiamo che il prezzo tel quel del titolo scenda del 2,76%.
3.4 Il trattamento fiscale dei titoli obbligazionari
In Italia il trattamento fiscale non è sempre omogeneo per tutti gli investitori che
acquistano titoli obbligazionari. In particolare per i Titoli di Stato (cioè le
obbligazioni emesse dal Ministero del Tesoro) si individuano due categorie di
investitori: investitori ‘lordisti’ e investitori ‘nettisti’. Gli investitori ‘lordisti’
all’atto dell’acquisto del titolo non sono soggetti a prelievo fiscale: i loro redditi
ottenuti attraverso titoli obbligazionari confluiscono, di conseguenza, nella
dichiarazione dei redditi e sono soggetti all’aliquota personale di ogni singolo
investitore. Tra gli investitori ‘lordisti’ troviamo le persone giuridiche residenti in
Italia e gli investitori esteri.
Gli investitori ‘nettisti’ (in pratica le persone fisiche residenti, e in generale tutti
gli investitori che acquistano obbligazioni corporate emesse cioè da imprese
private), invece, sono assoggettati a due tipi di ritenute. La prima riguarda la
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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO
82
tassazione, con ritenuta alla fonte f operata dall’impresa emittente pari al 12,5%,
delle cedole nel momento in cui vengono liquidate. La seconda riguarda la
tassazione alla scadenza del titolo, sempre con aliquota f pari al 12,5%, del
disaggio di emissione (la differenza, se positiva, fra valore nominale e prezzo diemissione Pem). Nel caso però l’investitore venda il titolo prima della scadenza, è
soggetto alla tassazione, ancora con aliquota f pari al 12,5%, della plusvalenza,
ovvero della differenza (se positiva) tra prezzo di vendita e prezzo di acquisto. La
modalità di tassazione delle plusvalenze è più complessa e dipende dal regime
fiscale scelto dall’investitore.
Se vogliamo conoscere il rendimento effettivo al netto delle imposte r ′eff che un
investitore matura dal possesso di un titolo obbligazionario fino alla sua scadenza,
dobbiamo attualizzare non i flussi monetari lordi, ma quelli effettivamente ricevuti,
al netto dell’eventuale ritenuta fiscale:
( )T
eff
em N N T
t t
eff
t
r
PV f V
r
F f P
)1()1(
)1(
00
′+
−⋅−+
′+
⋅−=∑
=
3.5 Il debito bancario
La raccolta di capitale di debito sul mercato mobiliare, attraverso l’emissione di
titoli obbligazionari, è spesso affiancata dal debito bancario, acceso presso
intermediari finanziari. Anzi, in Italia questo secondo canale è spesso privilegiato
dalle imprese, se è vero che nel 2006 la consistenza dei prestiti bancari alle
imprese di capitale industriali era pari a oltre 705 miliardi € (865 miliardi
comprendendo i prestiti ad altre istituzioni finanziarie), contro uno stock di debito
obbligazionario pari a poco più di 50 miliardi € (780 miliardi comprendendo anche
le emissioni di istituti finanziari, a loro volta erogatori di credito)7.
La differenza fondamentale fra la raccolta di capitale di debito sul mercato
obbligazionario e quella sul mercato creditizio sta nel fatto che nel primo caso
l’impresa si rivolge direttamente agli investitori sul mercato mobiliare offrendo
7 Il dato è tratto dalla Relazione annuale della Banca d’Italia presentata il 31/5/2007.
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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO
83
titoli in cambio di liquidità, mentre nel secondo caso l’impresa si rivolge ad un
istituto finanziario, il quale a sua volta provvederà a raccogliere il capitale dal
mercato presso altre fonti diversificate.
I prestiti bancari, benché eterogenei rispetto alle tecniche di erogazione del creditoe alle scadenze, sono accomunati dalla loro natura di operazioni di scambio di
mezzi monetari, e possono essere distinti fra: (i) apertura di credito in conto
corrente, (ii) sconto, (iii) anticipazione, (iv) mutuo bancario, (v) prestito in
partecipazione e (vi) prestito sindacato. Le prime tre forme sono generalmente
operazioni di breve termine, mentre le altre tre forme finanziano operazioni di
medio-lungo termine.
L’apertura di credito in conto corrente (‘scoperto’ di conto corrente, o anche ‘fido’
di conto corrente) viene concessa dall’istituto bancario per importi generalmente
non elevati e scadenze variamente ripartite nel tempo. Alcune volte il cliente èesplicitamente autorizzato senza alcuna formalità a prelevare denaro dal conto
corrente bancario in misura eccedente la disponibilità; sullo scoperto di conto
viene addebitato un interesse percentuale contrattualmente stabilito, in genere
legato al tasso ufficiale interbancario. È possibile che la banca imponga una
commissione di ‘massimo scoperto’ anche sulle linee di credito non utilizzate,
anche se il pressing di Banca d’Italia sta portando molti gruppi bancari ad
eliminare questo balzello.
Lo sconto è un prestito monetario garantito da crediti vantati dall’impresa (crediti
commerciali, depositi, cambiali, ricevute bancarie). Il finanziamento, pari alcredito iscritto a bilancio, viene erogato al netto degli interessi richiesti. Può
accadere che la banca applichi la clausola ‘salvo buon fine’; in tal caso essa
concede un prestito sull’intero importo del credito da incassare, ed addebita gli
interessi solo in caso di utilizzo effettivo.
L’anticipazione è un prestito monetario garantito da pegno a favore dell’istituto
bancario. Si compone di due contratti: la polizza di anticipazione (che definisce
l’ammontare del prestito in funzione del valore dei pegni dati in garanzia, tenendo
conto di un margine di sicurezza per l’eventuale loro svalutazione) e il diritto di
pegno (che definisce le modalità di rivalsa sui beni concessi in pegno in caso di
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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO
84
insolvenza). La rivalsa avviene tramite vendita dei pegni, di cui l’istituto bancario
non può diventare proprietario. Il tasso di interesse richiesto dall’intermediario è in
genere inferiore al tasso di scoperto di conto corrente, grazie all’esistenza della
garanzia di pegno. Il rimborso di un’anticipazione può avvenire a scadenza fissaoppure in fasi dilazionate nel tempo.
Il mutuo è un’operazione di finanziamento di lungo termine tipicamente assistita da
garanzia di ipoteca su immobili o impianti. L’importo erogato D copre in genere il
60%/70% del valore degli assets ipotecati (alcune banche particolarmente aggressive
erogano prestiti anche su percentuali maggiori).
Il prestito può essere a tasso fisso o indicizzato e prevede, oltre al versamento degli
interessi, la restituzione graduale del capitale, attraverso il pagamento di rate
periodiche in genere costanti di importo R.
Il valore della rata può essere determinato in funzione della durata del prestito T edel tasso annuale r D richiesto dall’istituto che eroga il credito: il valore attuale dei
pagamenti deve essere infatti pari al valore del prestito D:
D = ∑= +
T
t t
Dr
R
0 )(1
Nel caso la rata R sia annuale potremo semplificare l’equazione:
D =
+−⋅
T
D D r r
R
)1(
11
Per individuare la quota-parte della rata destinata ogni anno a remunerare il
capitale e la quota-parte destinata al rimborso graduale del capitale, possiamo
procedere come mostrato nell’Esempio seguente.
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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO
85
• Esempio
Un istituto bancario concede un finanziamento per un valore di 318.000€ ad un
tasso annuale r D del 7% a scadenza 6 anni. Gli interessi e il rimborso del capitale
vengono corrisposti con rate annuali. L’onere dovuto all’apertura della pratica difinanziamento è pari a 1.000€.
Per determinare la rata del prestito applichiamo la formula:
D =
+−⋅
T
D D r r
R
)1(
11 = 318.000€
R = 66.715€
Il tasso effettivo del finanziamento non sarà pari al 9%, ma sarà più elevato per il
costo di apertura della pratica. Come nell’Esempio del Paragrafo 3.1.2 relativo al
calcolo del TAEG, possiamo calcolare l’onere effettivo del debito r ′ D da:
D – 1.000€ =
′+−⋅
′ T
D D r r
R
)1(
11 = 317.000€
r D-eff = 7,10%
Per ragioni contabili, è interessante determinare la frazione delle rate del mutuo
riconducibili al rimborso del capitale (‘quota capitale’) e agli interessi (‘quota
interessi’). La quota capitale infatti va a ridurre il debito di Stato Patrimoniale,
mentre la quota interessi rappresenta un costo di Conto Economico.
Costruiamo una Tabella nella quale anno dopo anno suddividiamo la rata R nelle
due rispettive quote, e calcoliamo alla fine di ogni periodo il debito residuo ancorada rimborsare. La quota interessi sarà determinata ogni anno dal 7% del capitale
residuo dal periodo precedente. La quota capitale è la rimanente frazione della
rata. Si può notare che la quota-interessi della rata tende a decrescere nel tempo,
dal momento che il capitale residuo ancora da rimborsare decresce ogni anno.
Essendo la rata costante, cresce invece la quota-capitale. Alla fine del prestito il
capitale residuo è ovviamente nullo: l’intero prestito è stato rimborsato.
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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO
86
t = 0 t = 1 t = 2 t = 3 t = 4 t = 5 t = 6
Importo finanziato 318.000
Rata annuale 66.715 66.715 66.715 66.715 66.715 66.715
Interessi annuali 7% 22.260 19.148 15.818 12.256 8.444 4.364
Quota rimborso capitale 44.455 47.567 50.897 54.459 58.271 62.351
Capitale residuo fine anno 273.545 225.978 175.081 120.622 62.351 Zero
Il prestito in partecipazione viene organizzato in genere da istituti bancari di
grande dimensione, che si fanno carico di organizzare un pool di intermediari, cui
viene ceduta una frazione del prestito con il consenso dell’impresa finanziata; la
partecipazione può essere ulteriormente negoziata con altri intermediari, come su
un qualsiasi mercato secondario.
Nel contratto di prestito sindacato, invece, ogni banca del pool ha un contratto diprestito separato con il richiedente.
I prestiti gestiti da pool di banche non prevedono in genere garanzie tangibili, dal
momento che sono spesso affidati a clienti primari, e il rischio viene condiviso con
altri finanziatori. A volte, la concessione dei prestiti nei pool viene organizzata
attraverso asta competitiva (bid line). La linea di credito – ovvero il capitale messo
a disposizione dell’impresa finanziata – viene concessa a scadenza determinata
(prestiti stand-by) oppure a scadenza indeterminata (prestiti evergreen) e viene
prevista una commissione anche sulla porzione di linea di credito eventualmente
non utilizzata dall’impresa.I prestiti a lungo termine sono classificati in base alla loro seniority, e cioè alla
precedenza rispetto al rimborso del capitale in caso di fallimento dell’impresa. Ad
esempio, un prestito ‘postergato’ sarà rimborsato per ultimo rispetto agli altri
debiti.
Spesso le imprese chiedono agli intermediari finanziari non solo di aprire una linea
di credito, ma anche di garantire l’adempimento di contratti verso terzi, come il
regolare pagamento di una commessa, la consegna di una fornitura, il rimborso di
un’obbligazione finanziaria. In questo caso, l’istituto bancario emette un ‘prestito di
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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO
87
firma’, che tecnicamente si presenta come un’accettazione bancaria, piuttosto che
una fideiussione (cioè una garanzia di pagamento in caso di insolvibilità del cliente).
Può accadere anche che l’istituto di credito vincoli il prestito alla realizzazione di
un determinato investimento (‘prestito finalizzato’), oppure che il prestito siaerogato ad una partecipata estera dell’impresa da una filiale estera dell’istituto di
credito (operazioni ‘back to back ’), a volte per motivi su cui è meglio sorvolare,
dal momento che sono oggetto di reato.
• Il punto
L’impresa può raccogliere capitale di debito anche sul mercato creditizio,
attraverso prestiti concordati con uno o più istituti di finanziamento, negoziando la
loro remunerazione, le modalità di rimborso del capitale e la loro scadenza.
3.5.1 Project financing
Una particolare forma di prestito ‘finalizzato’ è il ‘ project financing’. In questo
caso il finanziamento è associato ad un singolo progetto, fisicamente isolato (e
anche giuridicamente, dal momento che viene costituita una società ad hoc per la
sua gestione) e che possa costituire una garanzia tangibile per i finanziatori. La
maggior parte dei progetti riguarda impianti di elevato costo e di grande
dimensione (estrazione e lavorazione di minerali, grandi infrastrutture, centrali
energetiche, …).
Gli attori coinvolti nel project financing sono essenzialmente tre (si veda la Figura
3.13): (i) l’impresa che realizza il progetto fondando una nuova società (in gergo
Newco o SPV, special vehicle purpose), (ii) il finanziatore, (iii) i fruitori del
progetto dai quali l’impresa ricava i cash flows. Molte volte sono coinvolte nel
progetto anche le amministrazioni pubbliche, interessate a realizzare infrastrutture
di utilità generale coinvolgendo i privati nel finanziamento, in cambio di una parte
dei relativi introiti futuri.
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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO
88
Figura 3.13 – Schema tipico di project financing.
Il fatto che il progetto sia fisicamente distinto dagli altri investimenti dell’impresa
in una società autonoma (ring fence) fa sì che il finanziamento venga remunerato
attraverso i flussi di cassa generati dal progetto ( production payment financing) e
che vi sia una garanzia tangibile determinata dagli assets della società stessa; in
questo modo il project financing può coprire tramite indebitamento la quasi
totalità degli investimenti iniziali. Spesso sono comunque previste garanzieaddizionali per i finanziatori, fra cui ad esempio il ‘completion bonding’ (ovvero la
garanzia di completamento del progetto anche in caso di problemi inizialmente non
previsti).
3.6 Altre forme di finanziamento
In quest’ultimo paragrafo sono presentati altri strumenti di finanziamento meno
diffusi, in parte assimilabili a titoli di debito (certificati di deposito, cambiali
finanziarie), in parte riconducibili a semplici operazioni di raccolta di liquidità
(leasing, factoring).
3.6.1 Certificati di deposito
Sono titoli che rappresentano una forma di raccolta di risorse finanziarie da parte
di alcune categorie di istituti di credito, simili ai libretti vincolati al portatore.
Sono delle ricevute rilasciate dall'istituto all'investitore a fronte di una somma di
denaro depositata per un periodo di tempo predeterminato. La scadenza del
certificato è nel medio termine (fra tre e sessanta mesi). Gli interessi sono
generalmente tassati al 27% per le persone fisiche e ciò rende poco appetibile
l’investimento per i risparmiatori. Il taglio minimo è abitualmente 1.000€.
Istituti
finanziatoriSPV Progetto
Finanziamento Finanziamento
Remunerazione Cash flows
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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO
89
3.6.2 Accettazioni bancarie e carte commerciali
Le accettazioni bancarie sono cambiali con scadenza inferiore ai 12 mesi in cui
un’impresa ordina a un istituto bancario di liquidare una certa somma in virtù di un
accordo preliminare. Tramite l’accettazione bancaria l’impresa sostituisce allapropria capacità di solvibilità quella dell’istituto bancario. L’accettazione può
essere ‘girata’ sul mercato con la clausola ‘senza garanzia’, per la quale la banca
accettante rimane l’unico obbligato al pagamento.
Le carte commerciali sono documenti per i quali la società emittente contrae un
debito a scadenza prefissata (generalmente inferiore a un anno) con un'altra società
a fronte di un finanziamento ottenuto. Contestualmente all'emissione del
documento, la società debitrice riceve una fideiussione da una banca, a favore
della società creditrice e di qualunque cessionario del credito. La carta
commerciale differisce dall’accettazione bancaria principalmente perché ilfinanziatore non è una banca o una società finanziaria bensì un'altra impresa. Gli
interessi sia per le accettazioni bancarie sia per le carte commerciali sono soggetti
ad una ritenuta fiscale del 27%.
3.6.3 Cambiali finanziarie e certificati di investimento
Introdotti nell’ordinamento giuridico italiano nel 1994, le cambiali finanziarie ed i
certificati di investimento rappresentano un nuovo strumento finanziario a
disposizione delle imprese.
Per quanto riguarda le cambiali finanziarie, il nome deriva dalla contemporaneaconsiderazione di due fattori: cambiale, perché si tratta di una vera e propria
cambiale, più precisamente un comunissimo vaglia cambiario, e finanziaria, perché
viene emessa dalle imprese per finanziarsi e non, come accade per le normali
cambiali, per pagare in via differita uno scambio commerciale.
Le cambiali finanziarie, al pari delle obbligazioni, consentono alle imprese che le
emettono di raccogliere risorse monetarie presso il pubblico dei risparmiatori. La
differenza rispetto alle obbligazioni è che non sono titoli a medio termine, ma di
breve scadenza. La loro durata è non inferiore a 3 mesi e non superiore ai 12 mesi.
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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO
90
Un altro aspetto che le diversifica rispetto alle obbligazioni è il taglio. Il valore
minimo delle cambiali finanziarie è di circa 50.000€. L’aliquota fiscale sugli
interessi è del 12,5% operata a titolo di imposta per le persone fisiche ed i fondi
comuni di investimento ed a titolo di acconto per le persone giuridiche.Le cambiali finanziarie sono trasferibili mediante girata con la clausola ‘senza
garanzia’, così liberando chi le cede dalla responsabilità dell’eventuale mancato
pagamento da parte dell’emittente.
Le società quotate possono emettere cambiali finanziarie semplicemente dopo il
via libera del consiglio di amministrazione evitando quindi il laborioso iter
necessario per lanciare un prestito obbligazionario. Le società non quotate possono
emettere cambiali finanziarie soltanto per il tramite di banche, imprese
assicuratrici ed altri intermediari finanziari autorizzati. Esse inoltre dovranno
prestare opportune garanzie (come una fideiussione per almeno il 50%dell’importo delle emissioni, che può determinare un maggior costo della raccolta
dallo 0,1% allo 0,5% in termini di tasso di remunerazione), nonché presentare
bilanci degli ultimi tre esercizi in utile.
Complessivamente il costo per l’emittente dipenderà dal rating dato dagli analisti
prima dell’emissione. Il controvalore massimo dei titoli emessi (comprensivo di
altre obbligazioni eventualmente già in circolazione) è dato dal patrimonio netto
dell’impresa risultante dall’ultimo bilancio.
I certificati di investimento sono del tutto simili alle cambiali finanziarie, salvo il
fatto che la loro durata è superiore all'anno.
3.6.4 Operazioni pronti contro termine (PCT)
L’operazione pronti contro termine (PCT) detta anche ‘prestito in riporto’
costituisce un accordo fra l’impresa che intende finanziarsi e un istituto
finanziario. L’accordo consiste nella cessione di titoli detenuti in portafoglio
dall’impresa all’istituto, che si impegna a rivenderli a scadenza (in genere entro
pochi mesi, ma a volte anche entro pochi giorni) all’impresa a condizioni
prefissate, che comprendono un margine di interesse per l’intermediario.
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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO
91
L’impresa si finanzia ottenendo liquidità in cambio di titoli, e rimborsa il
finanziamento a scadenza ricomprando i titoli stessi.
3.6.5 LeasingUn contratto di leasing è sostanzialmente un accordo di noleggio di un bene
strumentale (‘cespite’) che si protrae per un lungo periodo di tempo, con la
possibilità di riscatto dell’asset stesso a scadenza. Il proprietario del bene (lessor )
permette all’utilizzatore (lessee) di usufruire del bene in cambio del pagamento di
canoni periodici. Esistono moltissime tipologie di leasing. Nel leasing operativo il
lessor si accolla il rischio di obsolescenza del bene e il lessee può recedere dal
contratto prima della scadenza, il che rende opportuno questo tipo di accordo per
fabbisogni di attrezzature per una breve durata. Nel leasing finanziario (che si
protrae per un periodo di tempo più prolungato e non può essere revocato primadella scadenza) è il lessee ad assumersi il rischio. Da questo punto di vista, il
leasing finanziario equivale a un prestito garantito per finanziare l’acquisto del
bene, e quindi a una forma di finanziamento.
I vantaggi del leasing oltre alla flessibilità possono essere anche di tipo fiscale,
attraverso la deducibilità del canone dal reddito d’impresa. Siccome infatti in
genere la durata del contratto di locazione è inferiore alla vita utile contabile del
cespite (in particolare per gli investimenti immobiliari), il leasing equivale ad un
ammortamento anticipato, ed ha quindi un effetto di riduzione delle imposte
rispetto all’acquisto del cespite. Vi è da dire comunque che in Italia l’evoluzionedella normativa fiscale ha reso sempre meno appetibile il leasing.
Il contratto di leasing può comprendere anche le spese di assicurazione e di
assistenza ( full service leasing) e in genere viene garantito da un intermediario.
Un’altra tecnica particolare è il ‘leasing addossè’, in cui la vendita del cespite è
effettuata alla società di leasing dallo stesso produttore che riceverà il bene in
locazione per poi affidarlo alla sua clientela retail. In tal modo il produttore offre
alla sua clientela un pagamento dilazionato, pur incassando in contanti dalla
vendita al lessor , che ha interesse ad avere come controparte il produttore,
piuttosto che la clientela diffusa. Inoltre, il produttore può utilizzare i fondi
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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO
92
incassati per ridurre il proprio debito (sale and lease back ) inserendo comunque il
canone di leasing fra le spese deducibili.
Un contratto di leasing si valuta ricorrendo ancora una volta alle tecniche DCF
(discounted cash flows). Si tratta di calcolare il valore attuale netto VAN delleasing, confrontato con l’investimento necessario per acquistare il bene,
comprendendo o meno l’eventuale prestito finanziario.
• Il segnalibro
Il VAN (valore attuale netto) di un progetto di investimento è ampiamente trattato
nel Volume ‘Gestire le Risorse dell’Impresa’, Capitolo 4, Paragrafo 4.2.1.
A tal fine, è necessario tenere conto dei flussi di cassa differenziali del leasing
rispetto all’acquisto del bene, e in particolare di quelli legati ai risparmi fiscali e aicosti annui di mantenimento.
• Esempio
Una società produttrice di biscotti secchi ha bisogno di un furgone. Le alternative
sono due:
1) acquistare il furgone, con un investimento iniziale di 25.000€; il veicolo può
essere ammortizzato nei cinque anni successivi, e si pensa di poterlo rivendere
al termine della campagna a 4.000€; ogni anno sarà necessario sostenere costi
assicurativi e imposte per un valore di 1.000€;
2) stipulare un contratto di full service leasing con una società, che a fronte del
pagamento di un canone annuo anticipato di 4.500€ per sei anni si prende
carico dei costi assicurativi e delle imposte; non vi è però possibilità di riscatto
del cespite.
Ipotizziamo che l’aliquota fiscale t c cui è soggetta l’impresa sul reddito annuale sia
pari al 45%, e che essa possa indebitarsi a qualsiasi scadenza futura ad un tasso r d
del 7% annuo.
Confrontiamo i flussi di cassa associati alle due alternative:
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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO
93
* Acquisto del furgone: in questo caso l’ammortamento annuo è pari a (25.000€ /
5) = 5.000€, e può essere dedotto dal reddito generando un risparmio fiscale annuo
pari al 45% dell’ammortamento (45% ⋅ 5.000€ = 2.250€).
t = 0 t = 1 t = 2 t = 3 t = 4 t = 5
Investimento iniziale –25.000
Risparmio fiscale +2.250 +2.250 +2.250 +2.250 +2.250
Costi annui –1.000 –1.000 –1.000 –1.000 –1.000
Risparmio fiscale +450 +450 +450 +450 +450
Plusvalenza +4.000
Imposta 45% –1.800
Flusso totale acquisto –25.000 +1.700 +1.700 +1.700 +1.700 +3.900
Si deve tenere conto però anche dei costi annui di mantenimento (che comunque
generano un secondo risparmio fiscale pari a 45% ⋅ 1.000€ = 450€) e della possibilità
di rivendere il furgone a scadenza (la plusvalenza però sarà tassata). Attenzione a
non considerare l’ammortamento come un flusso di cassa: si tratta di un costo non
cash!
* Leasing: in questo caso gli unici flussi sono generati dal pagamento del canone e
dal risparmio fiscale associato, pari a 45% ⋅ 4.500€ = 2.025€
t = 0 t = 1 t = 2 t = 3 t = 4 t = 5
Canone annuo –4.500 –4.500 –4.500 –4.500 –4.500 –4.500
Risparmio fiscale +2.025 +2.025 +2.025 +2.025 +2.025 +2.025
Flusso totale leasing –2.475 –2.475 –2.475 –2.475 –2.475 –2.475
Per confrontare le due alternative cominciamo a calcolare il flusso di cassa annuale
differenziale del leasing rispetto all’acquisto del furgone:
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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO
94
t = 0 t = 1 t = 2 t = 3 t = 4 t = 5
Flusso totale leasing –2.475 –2.475 –2.475 –2.475 –2.475 –2.475
– Flusso totale acquisto +25.000 –1.700 –1.700 –1.700 –1.700 –3.900
Flusso differenziale +22.525 –4.175 –4.175 –4.175 –4.175 –6.375
Possiamo ora calcolare il tasso interno di rendimento (TIR) associato alla scelta
del leasing rispetto all’acquisto del furgone. Il TIR deve verificare la seguente
uguaglianza:
0TIR)(1
6.375
TIR)(1
4.175
TIR)(1
4.175
TIR)(1
4.175
TIR)(1
4.17522.525
5432=
+−
+−
+−
+−
+−+
da cui si ricava:
TIR = 0,76%
Si può già intuire che il leasing è un’alternativa valida rispetto all’acquisto delfurgone, poiché un eventuale indebitamento per acquistare il furgone dovrebbe
essere remunerato invece ad un tasso effettivo netto k d pari a:
k d = r d · (1 – t c) = 3,85%
che risulta più oneroso rispetto al costo relativo del leasing espresso dal TIR.
Per provare che il valore attuale netto (VAN) del leasing è positivo, considerando
un costo opportunità del capitale pari proprio a k d , bisogna calcolare:
VAN =5432 )(1
6.375
)(1
4.175
)(1
4.175
)(1
4.175)(1
4.17522.525
d d d d d k k k k k +−
+−
+−
+−
+−+
VAN = 2.039€
In altre parole, il valore attuale del finanziamento tramite leasing è positivo,
rispetto all’alternativa del finanziamento con debito. Per provarlo, se ancora ce ne
fosse bisogno, si consideri il seguente indebitamento a cinque anni (dove ogni
anno viene liquidato un interesse r d pari al 7% del capitale residuo, che genera un
risparmio fiscale pari al 45% dell’interesse stesso, e viene restituita una frazione
variabile del capitale):
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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO
95
t = 0 t = 1 t = 2 t = 3 t = 4 t = 5
Importo finanziato +20.486
Interessi annuali 7% –1.434 –1.197 –951 –695 –430
Risparmio fiscale +645 +539 +428 +313 +193Rimborso capitale –3.386 –3.517 –3.652 –3.793 –6.138
Capitale residuo 20.486 17.100 13.583 9.931 6.138 /
Flusso annuo netto +20.486 –4.175 –4.175 –4.175 –4.175 –6.375
Si osservi che il prestito è stato concepito proprio per generare flussi di cassa
annuali equivalenti (per t = 1, …, 5) a quelli associati alla scelta del leasing. Vi è
una sola differenza: l’importo iniziale finanziato, a parità di flussi ripagati negli
anni successivi, è pari a 20.486€. Attraverso il leasing invece era possibile farsi
finanziare, allo stesso costo, un importo iniziale più elevato, pari a 22.525€.Il maggior valore del leasing è dunque pari a (22.525 – 20.486) = 2.039€ che non a
caso coincide con il VAN del leasing.
Riassumendo i risultati, quindi, il leasing è decisamente conveniente rispetto
all’acquisto del bene; sarebbe molto più oneroso per l’impresa finanziare
l’investimento con il debito. Non vi sarebbe convenienza se l’impresa potesse
finanziare l’acquisto del cespite con debito ad un tasso netto dello 0,76%, che
equivale ad un interesse annuo lordo dell’1,38%.
3.6.6 Factoring
Il factoring, disciplinato in Italia dalla Legge 52/1991, consiste nella delega della
riscossione dei crediti commerciali e finanziari vantati dall’impresa a una società
specializzata ( factor ) che deve essere iscritta in un apposito albo presso la Banca
d’Italia. L’impresa cede i propri crediti al factor , che provvede a riscuoterli,
anticipando all’impresa una somma compresa fra il 70% e l’80% del valore di
rimborso dei crediti. Il contratto di factoring può essere del tipo ‘ pro solvendo’ (in
questo caso l’impresa sopporta in proprio il rischio di eventuali insolvenze) oppure
del tipo ‘ pro soluto’ (in questo caso la società di factoring si assume il rischio di
insolvenza dei crediti). La commissione fissata dal factor varia fra l’1% e il 2% del
5/12/2018 libro_finanza - slidepdf.com
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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO
96
valore facciale del credito, oltre al costo degli interessi sull’anticipazione del
credito.
Un accordo di factoring solleva l’impresa dal doversi occupare della riscossione
dei crediti, può garantire una copertura assicurativa contro le insolvenze e permettedi liquidare immediatamente una frazione dei crediti in portafoglio, come una vera
e propria operazione di finanziamento.
3.6.7 Securitization
La securitization è la trasformazione di particolari classi di crediti vantati
dall’impresa in titoli finanziari (‘cartolarizzazione’). I crediti sottostanti sono in
genere di tipo finanziario (ad esempio canoni su contratti di leasing, interessi su
mutui, crediti generati dall’utilizzo di carte di credito); possono prevedere
l’esistenza di garanzie reali sul rimborso ed, eventualmente, sul pagamento diinteressi. Le tecniche operative con cui si procede alla trasformazione dei crediti in
titoli sono due: (i) il modello pay-through e (ii) il modello pass-through. La
procedura pay-through prevede innanzitutto la cessione dei crediti ad una società
ad hoc di apposita costituzione, che si finanzia tramite l’emissione di titoli di
debito sul mercato. In tal modo il rischio relativo al portafoglio di crediti viene
‘isolato’ dal resto delle attività del creditore; questo consente di stabilire con
precisione un rating del portafoglio crediti. La procedura pass-through differisce
dalla precedente solo perché i titoli non vengono ceduti, ma depositati presso la
società di nuova istituzione.
Figura 3.14 – Schema di securitization.
Il processo di securitization è simile al processo di factoring: anche in questo caso
i crediti vengono ‘trasformati’ in liquidità attraverso una loro cessione, o deposito,
Istitutocreditore
Societàad hoc
Investitori
Liquidità
Crediti
Liquidità
Titoli di debito
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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO
97
presso una società ad hoc. Anch’esso si configura dunque come una forma di
finanziamento.
• Il puntoAbbiamo passato in rassegna diverse forme alternative di finanziamento, rispetto
all’emissione di titoli obbligazionari o al debito bancario. Alcune si basano
sull’emissione di titoli sul mercato (certificati di deposito, cambiali finanziarie, …)
mentre altre sono contratti che permettono all’impresa di ridurre il capitale
immobilizzato (leasing, factoring, securitization, …).
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98
4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
In questo capitolo viene affrontato il tema della raccolta di capitale azionario evengono analizzati i modelli di valutazione dell’equity. Definiamo come raccolta di
capitale azionario, o capitale di rischio, un’operazione di finanziamento nella quale
vengono emessi titoli azionari, che rappresentano titoli di proprietà del capitale
dell’impresa, e non offrono una remunerazione contrattualmente stabilita, ma anzi
residuale rispetto alla produzione del reddito.
4.1 Tipologie di titoli azionari e modalità di imposizione fiscale
I titoli azionari si differenziano per le modalità di riscossione del dividendo, e di
esercizio del potere di voto in assemblea. In particolare, è possibile distinguere fraazioni con diritto di voto pieno (in Italia le azioni ordinarie) e azioni a diritto di
voto limitato (in Italia le azioni privilegiate e di risparmio, così come le actions à
dividende prioritaire in Francia, le Vorzugsaktien in Germania, le preference
shares in Gran Bretagna). Un caso a parte è costituito dalle azioni delle società
cooperative (ad esempio le banche popolari) in cui il diritto di voto non è
proporzionale, ma ad ogni azionista è associato un voto indipendentemente dal
numero di titoli posseduti. Fuori dal nostro paese, esistono da tempo anche azioni
cosiddette ‘superior voting’ a cui vengono associati più voti rispetto alle azioni
ordinarie (è il caso delleactions à vote double
in Francia e delle A-aktier
inSvezia).
Alle azioni ordinarie compete pro-quota la riscossione del dividendo e il potere di
voto nell’assemblea dei soci sia ordinaria (in cui viene approvato il bilancio e
vengono nominati gli amministratori) sia straordinaria (in cui vengono decise
operazioni di finanza straordinaria quali aumenti di capitale, fusioni, scissioni).
Alle azioni privilegiate compete il diritto di voto solo nell’assemblea straordinaria;
per contro, ad esse viene in genere garantito un privilegio (misurato in percentuale
sul valore nominale del titolo) nella distribuzione degli utili.
Le azioni di risparmio non prevedono alcun diritto di voto nelle assemblee
societarie. Per contro, oltre al beneficio del privilegio, prevedono in genere una
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
99
maggiorazione nella distribuzione del dividendo (sempre misurata in percentuale
sul valore nominale). In alcuni casi possono essere convertite in azioni ordinarie a
discrezione del detentore. Un terzo beneficio possibile è la cumulabilità del
privilegio, per cui se in un certo esercizio annuale l’impresa non è in grado di
assicurare il privilegio agli azionisti, deve tenerne conto nell’esercizio successivo,
liquidando i privilegi accumulati negli esercizi precedenti. La definizione dei
benefici specifici associati alle azioni privilegiate e di risparmio è contenuta nello
Statuto sociale dell’impresa1.
La Tabella 4.1 riporta i valori di privilegio e maggiorazione per alcuni titoli quotati
sulla Borsa Italiana al 1/9/2010.
Tabella 4.1 – Privilegio e maggiorazione per alcuni titoli azionari quotati sulla Borsa
Italiana al 1/9/2010.
Titolo Valore nominale Privilegio Maggiorazione
Exor privilegiate 1€ 5,17% n.e.
Fiat privilegiate 5€ 6,20% n.e.
Unipol privilegiate 1€ 7% 1% a
Pirelli & c. risparmio 0,52€ 7% 2%
Edison risparmio 1€ 5% 3%
Italcementi risparmio 1€ 5% 3%
Telecom Italia risparmio 0,55€ 5% 2%
Unicredit risparmio 0,50€ 5% 3%
Banco di Desio e della Brianza risparmio 0,52€ 7% 20% b a Prevista da Statuto sociale.b In percentuale non sul valore nominale, ma sul dividendo distribuito agli azionisti
ordinari.
1 Il D.L. 58/1998 (‘Testo Unico dei Mercati Finanziari’) ha abolito alcune norme che finoad allora stabilivano in modo inderogabile il contenuto minimo del privilegio e dellamaggiorazione. La riforma del diritto societario (D.L. 6/03 entrato in vigore il 1/1/2004noto come ‘Riforma Vietti’) ha ulteriormente concesso gradi di libertà alle impresenell’emissione di azioni con caratteristiche differenziate. È stata introdotta anche la
possibilità di istituire un ‘patrimonio separato’ emettendo azioni dedicate ad uno specificoaffare, isolandolo dal resto delle attività.
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
100
Mentre il privilegio è un beneficio in termini di ‘priorità’ nella distribuzione
dell’utile (se il profitto è sufficiente, nulla impedisce che il dividendo distribuito ad
azionisti ordinari e privilegiati sia lo stesso), la maggiorazione è un beneficio
‘quantitativo’ nel senso che il dividendo pagato agli azionisti di risparmio deve
essere sempre strettamente maggiore di quello pagato agli azionisti ordinari. La
Figura 4.1 riporta il dividendo che può essere distribuito ad un titolo azionario di
risparmio rispetto al corrispondente titolo ordinario, in funzione del monte
dividendi dell’impresa.
Si può notare che finché non viene assicurato il privilegio alle azioni di risparmio,
non è possibile distribuire dividendi alle azioni ordinarie. Successivamente, può
essere remunerata anche l’azione ordinaria, salvo mantenere una differenza fra i
dividendi pari alla maggiorazione. Per le azioni privilegiate il meccanismo è
identico nella prima parte, ma come già detto nessuno impedisce che, se il monte
dividendi è sufficientemente elevato, la remunerazione delle azioni ordinarie e
delle azioni privilegiate sia la stessa (essendo la maggiorazione nulla per i titoli
privilegiati).
Figura 4.1 – Il dividendo distribuibile ad azionisti ordinari e di risparmio, in funzione del
monte dividendi.
Dividendoper azione
Monte dividendi
Privilegio
Maggiorazione
Azione diRisparmio
AzioneOrdinaria
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
101
Può quindi risultare controintuitiva l’evidenza empirica che molte delle azioni di
risparmio quotate in Italia siano scambiate a prezzi di borsa significativamente
inferiori rispetto alle azioni ordinarie. Come già affermato nel Capitolo 2, questa
evidenza viene associata all’esistenza di un ‘valore del controllo’ abbinato al diritto
di voto in assemblea accanto ad un valore ‘reddituale’ dell’impresa abbinato al
pagamento dei dividendi.
• Il punto
I titoli azionari sono titoli di proprietà del capitale e sono remunerati residualmente
rispetto agli altri contratti finanziari. Si differenziano per il diritto di voto in
assemblea (pieno, limitato o nullo) e per eventuali privilegi o maggiorazioni nella
distribuzione dei dividendi.
Per quanto riguarda l’imposizione fiscale, essa colpisce: (i) i dividendi associati ai
titoli azionari e (ii) l’eventuale plusvalenza maturata dalla vendita dei titoli stessi.
Fino al 2003, i dividendi venivano tassati secondo il meccanismo del credito
d’imposta. Il credito d’imposta era un’agevolazione concessa a chi percepisce
dividendi, dal momento che essi hanno già subito a monte un’imposizione fiscale
in capo all’impresa. Serviva dunque ad evitare una ‘doppia tassazione’ sullo stesso
reddito.
Il regime fiscale attualmente in vigore in Italia distingue tre casi, a seconda della
tipologia di azionista che riceve il dividendo:1) società di capitale; viene accordata un’esenzione sul 95% del dividendo
ricevuto e in questo caso rientra nella base imponibile solo il 5% del dividendo
stesso; vi è quindi una piccola ‘doppia tassazione’2;
2) società di persone; viene accordata un’esenzione solo sul 60% del dividendo
ricevuto; vi è quindi una ‘doppia tassazione’ più rilevante rispetto al caso
precedente;
2
La doppia tassazione può essere evitata nei gruppi di imprese attraverso il meccanismo del‘consolidato fiscale’. In tal caso i dividendi infra-gruppo sono del tutto esenti da tassazione.
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
102
3) persona fisica; si applica l’imposta sostitutiva (‘cedolare secca’); se però la
partecipazione azionaria è classificata come ‘qualificata’3 viene applicato il
trattamento previsto per le società di persone (punto 2).
La ‘cedolare secca’ è una ritenuta alla fonte, pari attualmente al 12,5%, che viene
applicata al momento del pagamento del dividendo. Si riceve dunque il dividendo
al netto della ritenuta (versata direttamente al Fisco dalla società partecipata) e tale
reddito non deve essere iscritto nella Dichiarazione annuale dei redditi, e non va
quindi ad assommarsi agli altri profitti imponibili.
La plusvalenza (capital gain) matura invece nel momento in cui un investitore cede
un titolo ad un valore più elevato rispetto a quello di acquisizione. Le modalità di
tassazione sono complesse e dipendono dal regime fiscale scelto dall’investitore,
ma in generale viene applicata un’imposta del 12,5% (27% per cessioni di
partecipazioni ‘qualificate’) sulla differenza fra prezzo di vendita e prezzo di
acquisizione. Le plusvalenze possono essere compensate con eventuali
minusvalenze, derivanti dalla vendita di titoli ad un prezzo inferiore rispetto a
quello di acquisizione.
Con l’obiettivo di incentivare gli investimenti nel capitale di rischio, da qualche
anno in Italia è in vigore il regime della ‘ participation exemption’ in base al quale
gli investitori che detengono in portafoglio una partecipazione azionaria per più di
18 mesi sono esentati dall’imposta sulle plusvalenze al momento della successiva
cessione, sotto alcune condizioni.
• Il punto
L’imposizione fiscale sui titoli azionari si manifesta sui dividendi (con modalità
differenti a seconda di chi percepisce il dividendo stesso) e sui capital gain.
4.2 La valutazione dei titoli azionari
Sotto un certo punto di vista, un titolo azionario è simile ad un titolo
obbligazionario. Mentre a quest’ultimo è associato il pagamento di una serie di
3
Una partecipazione è definita ‘qualificata’ se corrisponde ad almeno il 2% del capitale perun’impresa quotata, ed il 20% del capitale per un’impresa non quotata.
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
103
flussi di cassa, contrattualmente stabiliti, ad un’azione è associato il pagamento di
dividendi, nella misura in cui l’impresa realizza profitti. La differenza sta nel fatto
che i dividendi non sono contrattualmente stabiliti, ma possono essere conosciuti
solo in valore atteso, e quindi con un certo grado di aleatorietà.
Anche per la valutazione dei titoli azionari possiamo ricorrere quindi in prima
battuta alle tecniche DCF (discounted cash flows) salvo tenere conto del fatto che
non possiamo utilizzare il tasso r f risk free di mercato nell’attualizzazione, ma un
opportuno tasso k , ovvero il costo del capitale azionario, che comprende un premio
per il rischio ∆r :
k = r f + ∆r
Nei modelli di valutazione di seguito introdotti, in genere, si ipotizza che idividendi DIV t (t = 1, 2, …, n) siano distribuiti con cadenza annuale e, in
particolare, che il primo dividendo venga distribuito esattamente a un anno di
distanza dal momento in cui viene effettuata la valutazione (si veda la Figura 4.2).
Vale la pena sottolineare, però, che anche in Italia è diventata prassi da pochi anni
(così come accade normalmente negli USA) che le società quotate in Borsa
distribuiscano durante l’anno porzioni di dividendi a titolo di acconto su quello
approvato definitivamente a chiusura dell’esercizio.
Figura 4.2 – I dividendi attesi associati ad un titolo azionario.
DIV 1 DIV 2 … DIV t -1 DIV t
Anno 1 2 t
Istante 0 1 2 ... t -1 t
Si noti che in linea di principio il tasso k , in sintonia con quanto visto per i titoli
obbligazionari, dovrebbe essere diverso per i vari istanti t in cui vengono distribuiti
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
104
i dividendi; nonostante questo, di solito, si considera per semplicità un tasso
costante. Esso rappresenta il costo del capitale azionario dell’impresa, la cui
individuazione viene ripresa approfonditamente nel Paragrafo 4.3.3. Per ora ci
limitiamo a dire che rappresenta il rendimento annuale richiesto in equilibrio dal
mercato ai titoli azionari dell’impresa, in funzione del suo rischio.
4.2.1 La formula Dividend-Discount-Model (DDM)
Per ricavare una prima formula di valutazione dei titoli azionari si osservi che il
prezzo di un’azione, in un generico istante, deve essere uguale al valore attuale dei
flussi di cassa futuri ad essa associabili. Se ad esempio pensiamo di acquistare il
titolo oggi e di mantenerlo in portafoglio per un anno, incassando quindi il
dividendo atteso all’istante 1 DIV 1 e rivendendo immediatamente dopo l’azione, il
prezzo P0 dell’azione all’istante 0 deve essere uguale alla somma del valore attuale
del dividendo e del prezzo atteso dell’azione P1 all’istante 1:
)(111
0k
P DIV P
++
=
La formula precedente può essere utile anche per determinare ex post il rendimento
effettivo r associato al possesso di un titolo azionario (concettualmente diverso da
k ). La differenza nell’approccio è la seguente: nel primo caso si determina il prezzo
di equilibrio odierno dell’azione sulla base delle aspettative future e del rendimentoatteso k , mentre invece nel secondo caso sulla base dei prezzi effettivi osservati sul
mercato si determina il rendimento passato r :
0
1
0
1
P
PP
P
DIV r 0−
+=
È interessante osservare che il rendimento effettivo è composto da due parti; la
prima (il dividendo percentuale rispetto al prezzo iniziale) viene chiamata
‘dividend yield ’ mentre la seconda (l’incremento di prezzo percentuale) viene
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
105
chiamata ‘capital gain’. Mentre il dividend yield è sempre positivo, nessuno ci
assicura altrettanto sul capital gain, e quindi anche il rendimento effettivo potrebbe
rivelarsi negativo (non per niente i titoli azionari sono rischiosi!). Alcune volte il
capital gain non viene misurato in termini percentuali, ma in valore logaritmico.
L’utilità sta nel fatto che i rendimenti logaritmici si possono sommare, mentre
quelli percentuali no:
0
0T
1-T
1-TT
2
23
1
12
0
01 ...P
PP
P
PP
P
PP
P
PP
P
PP −≠
−++
−+
−+
−
=
++
+
+
0
T
1-T
T
2
3
1
2
0
1 lnln...lnlnlnP
P
P
P
P
P
P
P
P
P
Infatti, se il valore di un titolo sale in termini percentuali del 50% in un anno, e poil’anno successivo scende in termini percentuali del 50%, non si può dire che
sull’arco di due anni la sua variazione di prezzo sia nulla (sarà invece pari a –25%).
Lo si può dire invece se il rendimento è misurato su base logaritmica.
Proviamo ora a considerare quale sarà all’istante t = 1 il prezzo atteso dell’azione
P1, ipotizzando di riacquistarla subito appena dopo il pagamento del dividendo
DIV 1, di mantenerla per altri 12 mesi, di incassare il dividendo atteso DIV 2 e di
rivenderla appena dopo al prezzo atteso P2:
k
P DIV P
++=
122
1
Il prezzo dell’azione all’istante 0, di conseguenza, può essere espresso in funzione
dei dividendi attesi fino all’istante 2 e del prezzo atteso dell’azione all’istante 2:
( )2k
P DIV
k
DIV P
+
++
+=
11221
0
Generalizzando si ottiene un primo modello di valutazione dei titoli azionari:
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
106
( ) ( )T
T T
t t
t
k
P
k
DIV P
++
+= ∑
= 1110
Secondo questo modello le determinanti del valore di un’azione sono perciò tre:a) la successione dei dividendi attesi futuri DIV t nel periodo da 1 a T ;
b) il prezzo atteso dell’azione PT all’istante T ;
c) il rendimento di mercato k richiesto dagli investitori.
Chiaramente il peso del valore dei dividendi futuri diminuisce quanto più si dilata
l’orizzonte temporale T .
• Esempio
Vogliamo determinare il prezzo di equilibrio per un titolo azionario, che
presumibilmente distribuirà questa serie di dividendi: DIV 1 = 0,30€ DIV 2 = 0,33€ DIV 3 = 0,35€
Si stima che al tempo T =3 il titolo potrà essere venduto al prezzo di 25€. Il costo
del capitale k è pari al 12%. Applicando la formula precedente:
( ) ( )T
T T
t t
t
k
P
k
DIV P
++
+= ∑
= 1110 =
332 (1,12)
25
(1,12)
0,35
(1,12)
0,33
(1,12)
0,30+++ = 18,575€
Il procedimento che ci ha portato a un primo modello di valutazione dei titoli
azionari può essere ripetuto fino ad arrivare ad un tempo infinito, come se
l’investitore decidesse di non vendere mai il titolo ma di mantenerlo
indefinitamente in portafoglio. Si ottiene quindi un secondo modello noto come
Dividend-Discount-Model (DDM) :
∑∞
= +=
10
)1(t t
t
k
DIV P
Il modello rappresenta P0 come la somma dei contributi in valore attuale di tutti i
dividendi attesi nel futuro. In realtà è inverosimile pensare di disporre di stime del
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
107
flusso di dividendi su un orizzonte temporale infinito come richiesto dal DDM;
generalmente sono disponibili previsioni attendibili (consensus) della crescita dei
dividendi nel breve periodo (3-5 anni) elaborate periodicamente da società operanti
nel campo dei servizi finanziari (tra le più note Value Line Investment Survey e
Institutional Brokers Estimate System-IBES). Il problema che affronta analista
finanziario è perciò la stima dell’andamento dei dividendi distribuiti nel lungo
periodo. Tipicamente esso viene affrontato ipotizzando delle regolarità
nell’andamento dei dividendi, ovvero dei cosiddetti ‘sentieri di crescita’. La
difficoltà diventa quindi quella di stimare il tasso di crescita percentuale annuale gt
dei dividendi:
1
1
−
−−=
t
t t t
DIV
DIV DIV g
Sono stati proposti vari sentieri di crescita che applicati al DDM permettono di
ottenere un’espressione del prezzo di un’azione in forma chiusa.
4.2.2 Il modello di Gordon & Shapiro
Il sentiero di crescita dei dividendi proposto da Gordon e Shapiro (1962) è il primo
tentativo di rendere operativo il modello DDM. Le ipotesi alla base di questo
modello sono le seguenti: (i) la crescita dei dividendi gt è costante per l’intero
orizzonte temporale(gt = g); (ii) il tasso di crescita dei dividendi g è strettamenteminore del tasso di attualizzazione k (k > g).
Sulla base di queste ipotesi, secondo il modello di Gordon e Shapiro, il valore di
una azione risulta essere pari a:
gk
g DIV
gk
DIV P
−+⋅
=−
=)1(01
0 con k > g.
La formula si può dimostrare ricorrendo alla proprietà della serie geometrica:
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
108
( ) ( )K+
++
++
+=
32k
DIV
k
DIV
k
DIV P
111321
0
P0 =( )
( )
( )
( )K+
+
+⋅+
+
+⋅+
+ 3
2111
1
1
1
1
1 k
g DIV
k
g DIV
k
DIV
2
( )
( )∑∞
= ++
+⋅=
0 11
1
1
t t
t
k
g DIV
Se è verificata l’ipotesi che k sia maggiore di g, la serie geometrica converge:
( )
( )∑∞
=++
+
0 1
1
t 1t
t
k
g=
gk −1
e il prezzo del titolo risulta pari a:
gk
g DIV
gk
DIV P
−
+⋅=
−=
)1(010
Dalla formula di Gordon e Shapiro risulta chiaro che le determinanti del valore di
un titolo azionario sono tre:
1) la redditività corrente, espressa dal dividendo DIV 0;
2) il sentiero di crescita della redditività stessa, sintetizzato da g;
3) il costo del capitale k associato all’azione.
Il principale problema relativo all’applicazione del modello di crescita di Gordon eShapiro è legato alla stima del tasso di crescita g. In primo luogo non è certamente
entusiasmante immaginare che esso rimanga costante. In secondo luogo il valore
del titolo che si ricava è estremamente sensibile al tasso g scelto: in particolare al
convergere del tasso di crescita al tasso di attualizzazione k , il prezzo tende
all’infinito.
4.2.3 Il modello di Fuller & Hsia
Il modello di Fuller e Hsia (1984) ipotizza un sentiero di crescita dei dividendi più
realistico rispetto al modello di Gordon e Shapiro. Il prezzo da pagare per questo
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
109
maggiore realismo è la precisione: il modello di Fuller e Hsia, infatti, è un modello
approssimato.
Il modello ipotizza che il tasso di crescita dei dividendi corrente g0 decresca
linearmente in un intervallo transitorio di tempo pari a T anni fino ad un livello gT ,
tasso costante di lungo periodo (si veda la Figura 4.3).
Può essere la situazione di un’impresa che si trova in una situazione di vantaggio
competitivo temporaneo (quindi genera extra-profitti) ma tale vantaggio è destinato
ad essere eroso gradualmente nel tempo dalle forze competitive di mercato.
• Il segnalibro
Il concetto di ‘vantaggio competitivo’ è ampiamente discusso nel volume ‘Gestire
le Risorse dell’Impresa’, Capitolo 5, Paragrafo 5.2.1. Nello stesso capitolo è
introdotto il modello delle ‘5 forze competitive’ di Porter.
Il sentiero di crescita dei dividendi è così descritto (si veda la Figura 4.3):
DIV t = DIV t -1 · (1 + g0 )( T 0 ggT
t −⋅− ) t = 1, … T
DIV T+j = DIV T+j-1 · (1 + gT ) j j = 1,2,3, …, ∞
Figura 4.3 - Sentiero del tasso di crescita dei dividendi nel modello di Fuller-Hsia.
gt
g0
gT
0T t
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
110
Sulla base di queste ipotesi secondo il modello di Fuller e Hsia il valore di una
azione risulta essere pari a:
)( )()1(T
T 00
T
T 00
gk gg DIV
2T
gk g DIV P − −⋅⋅+− +⋅=
Si può notare che se T = 0 o se g0 = gT (assenza di transitorio) la formula di Fuller e
Hsia coincide con quella di Gordon e Shapiro. Va evidenziato che i dividendi sono
sempre crescenti nel tempo, anche nel lungo periodo: ciò che si riduce e si
stabilizza è il loro tasso di crescita. Si può osservare quindi che il prezzo del titolo è pari alla somma di due termini. Il
primo addendo è pari a una perpetuity con crescita costante gT (tasso di crescita dei
dividendi di lungo periodo); il secondo addendo rappresenta un premio dovuto alladifferenza tra g0 e gT , proporzionale a T /2.
• Esempio
Un titolo azionario ha appena distribuito un dividendo DIV 0 pari a 2€. Sapendo che
il costo del capitale di rischio k è pari al 15%, vogliamo determinare il prezzo
teorico del titolo nei due casi:
(i) il dividendo crescerà ancora con un tasso costante annuo g pari al 4%;
(ii) il dividendo è finora cresciuto con un tasso g0 pari al 4%, destinato però a
ridursi nel giro di sei anni ad un livello gT del 2%.Nel primo caso basta applicare la formula di Gordon e Shapiro:
gk
g DIV
gk
DIV P
−
+⋅=
−=
)1(010 = 18,909€
Nel secondo caso applichiamo la formula di Fuller e Hsia:
)(
)()(
T
T 00
T
T 00
gk
gg DIV
2
T
gk
g1 DIV P
−−⋅
⋅+−
+⋅= = 16,615€
Ovviamente il prezzo trovato nel secondo caso è minore, poiché l’ipotesi sulla
distribuzione dei dividendi risulta pessimistica rispetto al primo caso.
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
111
In conclusione il modello di Fuller e Hsia si adatta a quelle aziende che stanno
crescendo rapidamente ma per le quali ci si attende una graduale riduzione della
crescita, ad esempio a causa dell’attenuarsi dei vantaggi competitivi rispetto ai
propri concorrenti.
Modelli più complessi possono essere concepiti ipotizzando sentieri alternativi di
crescita dei dividendi. Comunque, nessuno di loro sarà adeguato per la stima del
valore di titoli di imprese che distribuiscono inizialmente dividendi bassi o nulli, o
che per scelta aziendale preferiscono reinvestire i profitti senza pagare dividendi.
• Il punto
Il prezzo di mercato di un titolo azionario può essere individuato come la
sommatoria attualizzata dei suoi dividendi attesi. Il tasso di attualizzazione è il
costo del capitale di rischio. In questo paragrafo abbiamo visto le formule dautilizzare nel caso in cui i dividendi seguano diversi percorsi di crescita.
4.2.4 Modelli basati sulla profittabilità dell’impresa
I modelli appartenenti a questa categoria rappresentano il tentativo di rendere
operativo il DDM di base attraverso delle ipotesi di regolarità sull’andamento della
profittabilità dell’impresa. La loro caratteristica peculiare è che permettono di
calcolare il valore di un titolo azionario in funzione dei principali indici
economico-finanziari, superando la visione d’impresa come black box che era alla
base dei modelli basati sulla crescita dei dividendi.È opportuno definire le principali variabili che saranno coinvolte nell'analisi:
Bt = book equity per share al tempo t : si tratta del patrimonio netto contabile per
azione, misurato come stock disponibile alla fine del periodo t ;
EPSt = earnings per share atteso nel periodo t : si tratta dell’utile netto contabile per
azione;
DIV t = dividendo unitario atteso nel periodo t ;
ROE t = return on equity nell'anno t : si tratta del rapporto fra utile netto generato in
un esercizio contabile e patrimonio netto esistente alla fine del periodo precedente,
o se si preferisce del rapporto fra EPSt e Bt -1;
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
112
PRt = coefficiente di distribuzione degli utili ( payout ratio): si tratta del rapporto
fra monte dividendi e utile netto (o se si preferisce fra DIV t e EPSt );
ht = coefficiente di ritenzione degli utili ( ploughed-back ratio): si tratta del rapporto
fra utile netto accantonato a riserva e utile netto (è quindi il complemento a uno
rispetto a PRt );
gt = tasso di crescita dei dividendi nel periodo t .
Rispetto alle definizioni date, vale la seguente relazione, che indica come l’utile
netto generato nel periodo t dipenda dal patrimonio netto esistente nel periodo
precedente e dalla redditività del capitale:
1−⋅= t t t B ROE EPS
Inoltre, alla fine dello stesso periodo, la quota parte degli utili distribuita agliazionisti sotto forma di dividendi è pari a:
)1()1( 1 t t t t t t h B ROE h EPS DIV −⋅⋅=−⋅= −
Se ipotizziamo che l’unica fonte di finanziamento per l’impresa sia costituita dagli
utili trattenuti, l’incremento del patrimonio netto da un periodo all’altro è
determinato solo dal reinvestimento parziale dei profitti:
t t t t t t EPSh DIV EPS B B ⋅=−=− −1
In base alle ipotesi adottate sull’andamento nel tempo di ROE t e PRt , è quindi
possibile determinare la dinamica di crescita dei dividendi.
Ad esempio, la cosa più facile da immaginare in prima istanza è che i due
parametri, che rispettivamente rappresentano la redditività attesa del capitale e la
politica dei dividendi, siano costanti nel tempo (quindi ROE t = ROE , PRt = PR e
ht = h per ogni t ). Se vale questa ipotesi si può dimostrare che il tasso di incremento
dello stock di patrimonio netto, dell’utile netto e dei dividendi è identico:
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
113
g =t
t t
t
t t
t
t t
EPS
EPS EPS
EPSPR
EPS EPSPR
DIV
DIV DIV −=
⋅
−⋅=
− +++ 111 )(
g =t
t t
EPS
EPS EPS −+1 =1
1
1
1)(
−
−
−
− −=
⋅
−⋅
t
t t
t
t t
B
B B
B ROE
B B ROE
Ma vale anche:
g = ROE h B
EPSh
B
B B
t
t
t
t t ⋅=⋅
=−
−−
−
11
1
Sulla base di queste ipotesi il valore P0 del titolo azionario risulta essere pari a:
( ) ( )
ROE hk
ROE Bh
ROE hk
EPSh
gk
DIV P
⋅−⋅⋅−
=⋅−⋅−
=−
= 0110
11con k > g ROE, h costanti
La relazione precedente può essere riscritta anche nella seguente forma:
P0
⋅−
−⋅
⋅=
k
ROE h
h
k
ROE B0
1
1( k > h · ROE )
Dunque, affinché il prezzo dell'azione di una impresa sia superiore al suo valore di
libro B0 occorre che la redditività del capitale sia superiore al tasso di
attualizzazione richiesto dal mercato ( ROE > k ). Se rappresentiamo tale formula sul
grafico di Figura 4.4 otteniamo la relazione della ‘linea del valore’, che evidenzia
come il valore delle azioni di un’impresa dipendano dalla politica di ritenzione
degli utili e dalla redditività del capitale ROE .
Ovviamente il prezzo aumenta all’aumentare della profittabilità dell’impresa,
espressa da ROE . In presenza di extra-profittabilità ( ROE > k ) è inoltre conveniente
trattenere più utili per cogliere le opportunità di investimento; al crescere di h
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
114
l’impresa decide di trattenere una quota superiore di utili, e il prezzo del titolo
tende ad esplodere (il limite è dato dal valore ROE/k = 1/ h oltre il quale la
sommatoria dei dividendi attualizzati non converge più al valore determinato, in
quanto g = h · ROE > k ). In assenza di extra-profittabilità (quindi ROE = k ) la
politica dei dividendi è del tutto irrilevante (come Modigliani e Miller avevano
pronosticato, dal momento che il rendimento del capitale dell’impresa è uguale a
quello richiesto dagli azionisti). Inoltre, se la redditività del capitale è inferiore a
quella richiesta dal mercato ( ROE < k ), la Figura 4.4 mostra che trattenere degli
utili distrugge parte del valore.
Figura 4.4 – La ‘linea del valore’: il prezzo P0 di un’azione in funzione della redditività e
della politica dei dividendi.
Infine, si nota che il prezzo dell'azione per un’impresa che decide di non crescere
(h = g = 0) è pari semplicemente al valore attuale di una perpetuity in cui il singolo
flusso di cassa è pari all’utile corrente EPS1.
• Il punto
Il valore di un titolo azionario può essere espresso anche in funzione della
redditività del capitale dell’impresa; in particolare, se il capitale aumenta grazie al
k
ROE
P0
h = 0
1 1/ h
B0
h > 0
h ↑
h ↑
0
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
115
reinvestimento di parte degli utili, anche i dividendi futuri possono crescere.
Questa condizione non è però sufficiente affinché il prezzo dell’azione cresca:
infatti, è necessario che la redditività dell’impresa sia superiore al costo del capitale
richiesto dagli azionisti. In altre parole, è necessario che l’impresa generi extra-
profitti.
4.2.5 Il valore attuale dell’opportunità di crescita (VAOC)
Il prezzo di equilibrio P0 determinato in precedenza – sempre con ROE e h costanti
– può essere scomposto in due parti:
( ) ( )
ROE hk
ROE Bh
ROE hk
EPShP0 ⋅−
⋅⋅−=
⋅−⋅−
= 01 11=
)(
)(11
ROE hk k
k ROE EPSh
k
EPS
⋅−⋅
−⋅⋅+
La prima componente è una perpetuity che fornisce il valore attualizzato degli utili
futuri in assenza di crescita, la seconda componente sintetizza il valore attuale delle
opportunità di profittabilità futura. Chiameremo la prima componente ‘valore in
assenza di crescita’ e la seconda ‘valore attuale dell’opportunità di crescita’ VAOC
(‘ present value of growth opportunity’, PVGO).
Nel modello specifico, affinché il valore di un’azione di un’impresa sia superiore al
suo ‘valore in assenza di crescita’ devono essere verificate le due seguenti
condizioni:
• h > 0 ⇒ è necessario trattenere degli utili per finanziare la crescita, dalmomento che – come si è dimostrato – il tasso di crescita del reddito dipende
da h;
• ROE > k ⇒ il rendimento degli investimenti dell’impresa deve essere superiore
a quello richiesto dal mercato, ovvero l’impresa deve generare extra-profitti.
Perciò, quando l’impresa è in grado di remunerare il capitale più di quanto faccia il
mercato la ritenzione degli utili è uno strumento per finanziare la crescita
dell’impresa e aumentarne il valore come già evidenziato nel Paragrafo precedente.
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
116
Si può osservare inoltre che se h = 0 ( full-payout dei dividendi senza alcun
reinvestimento degli utili), il prezzo P0 è pari ad una perpetuity di valore EPS1 e il
VAOC si annulla completamente:
k
ROE B
k
EPShP
⋅=== 01
0 )0(
Più in generale, per qualsiasi andamento di ROE e di h (nelle pagine precedenti
abbiamo visto solo dei casi particolari) il prezzo di una azione può essere sempre
visto come somma delle due componenti: la prima rappresenta il valore
dell'impresa in assenza di opportunità di crescita, e la seconda rappresenta il valore
attuale delle opportunità di crescita VAOC :
P0 = VAOC k
EPS+1 per ogni ROE t , ht
Ovviamente le aspettative del mercato circa la redditività futura e la politica degli
investimenti dell’impresa sono incluse nella componente del VAOC , mentre la
prima componente esprime unicamente la redditività corrente.
• Il punto
Il VAOC (valore attuale dell’opportunità di crescita) rappresenta la frazione delvalore di un titolo azionario legato alle aspettative del mercato sulla possibilità di
crescita dell’impresa, rispetto alla redditività attuale.
A seconda che prevalga la prima componente o la seconda componente il titolo
viene classificato rispettivamente come ‘income stock ’ (o anche ‘value stock ’)
oppure come ‘growth stock ’. Molte volte si osservano sui mercati prezzi positivi (e
magari elevati) per titoli di imprese attualmente non profittevoli (per le quali quindi
la prima componente è nulla o addirittura negativa: si pensi ad esempio agli
Internet stocks): evidentemente si tratta di titoli cui il mercato attribuisce un valore
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
117
attuale dell’opportunità di crescita molto elevato, dovuto agli investimenti futuri e
alle opzioni di business detenute dall’impresa.
Un’analisi interessante di efficienza del mercato consisterebbe nel considerare
quali sono i ‘fondamentali’ impliciti nella valutazione del mercato di un titolo (ad
esempio la redditività futura attesa, piuttosto che il valore delle opportunità di
crescita), e chiedersi se risultano coerenti con le informazioni disponibili.
• Esempio
Vogliamo stimare il valore di un titolo azionario, per cui è noto che:
- si può ragionevolmente pensare che l’utile netto nel prossimo esercizio annuale
sarà pari a 10 mln. €; ciò equivale ad un indice di redditività ROE pari al 18%;
- l’impresa ha un capitale composto da 50 mln. di azioni;
-
attualmente l’impresa è solita distribuire il 70% degli utili come dividendo(quindi PR = 70% e h = 30%);
- il costo opportunità del capitale k per gli azionisti è pari al 15%.
I dati relativi all’utile per azione EPS1 e al dividendo DIV 1 distribuito fra un anno
sono quindi:
EPS1 = 10 mln. € / 50 mln. = 20 cent
DIV 1 = PR ⋅ EPS1 = 70% (20 cent) = 14 cent
In condizioni stazionarie (ovvero se l’impresa in futuro manterrà la stessa politica
dei dividendi e la stessa redditività del capitale) il tasso di crescita annuale g dei
dividendi sarà pari a:g = h ⋅ ROE = 5,4%
Se valgono queste condizioni, il prezzo P0 di equilibrio sarebbe:
gk
DIV P
−= 1
0 = 1,458€
Per determinare il valore attuale dell’opportunità di crescita VAOC implicito basta
considerare:
P0 = VAOC k
EPS+1
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
118
VAOC = P0 –k
EPS1 = 1,458€ – 1,333€ = 0,125€
Il valore del titolo riflette quindi una componente poco rilevante rispetto alla
crescita futura, e a queste condizioni può essere classificato come ‘ income stock ’.Proviamo però a considerare cosa accade al variare dei parametri rappresentativi
della politica aziendale (redditività ROE e payout degli utili PR):
PR = 50% PR = 70% PR = 90%
ROE = 15% g = 7,5% g = 4,5% g = 1,5%
P0 = 1,333€ P0 = 1,333€ P0 = 1,333€
VAOC = 0 VAOC = 0 VAOC = 0
ROE = 18% g = 9,0% g = 5,4% g = 1,8%
P0 = 1,667€ P0 = 1,458€ P0 = 1,364€
VAOC = 0,333€ VAOC = 0,125€ VAOC = 0,030€ ROE = 21% g = 10,5% g = 6,3% g = 2,1%
P0 = 2,222€ P0 = 1,609€ P0 = 1,395€
VAOC = 0,889€ VAOC = 0,276€ VAOC = 0,062€
Come si vede, se il mercato si attende una redditività futura dell’impresa pari al
15%, e quindi al costo del capitale richiesto dagli azionisti, la politica dei dividendi
non influisce sul valore dell’impresa, in quanto gli utili sarebbero reinvestiti ad un
tasso annuale esattamente uguale a quello richiesto. In altre parole, l’impresa non
realizza extra-profitti, e il valore dell’opportunità di crescita è nullo. Il prezzo diequilibrio dell’azione è maggiore invece al migliorare delle aspettative sulla
redditività, e conseguentemente della possibilità di crescere reinvestendo quanto
più è possibile gli utili generati.
4.2.6 Gli indici ‘market/book’ e ‘price/earnings’
Molto spesso si preferisce attribuire a un titolo azionario una valutazione ‘relativa’
a grandezze contabili più che fare riferimento ad un prezzo assoluto di mercato.
Ciò permette di confrontare facilmente e velocemente titoli diversi, e di valutarne
la sopravvalutazione (o sottovalutazione) relativa.
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
119
Gli indici cui si fa più spesso riferimento sono: (i) l’indice price/earnings (P/E) e
(ii) l’indice market/book (M/B).
P/E =1
0 EPS
P
M/B =0
0
B
P
L’indice price/earnings può essere calcolato come prezzo di mercato del titolo su
utile per azione, ma anche come capitalizzazione di mercato su utile netto totale.
Esso viene anche definito a livello di settore, facendo una media fra le diverse
società di uno stesso settore quotate in Borsa, oppure addirittura a livello di
mercato borsistico. In tal caso viene utilizzato anche per misurare l’esistenza dibolle speculative sul mercato, laddove il suo valore è eccessivamente elevato, e
quindi indica un disallineamento fra redditività di bilancio e quotazione di mercato.
L’indice market/book (calcolato come prezzo dell’azione su book value, piuttosto
che capitalizzazione di mercato su patrimonio netto contabile) è invece una misura
della valutazione che il mercato attribuisce agli assets dell’impresa. Più è elevato,
più vuol dire che il valore dell’impresa è espresso dalle opportunità di crescita e
dagli investimenti in risorse intangibili, non iscritte a bilancio.
Nel caso ipotizziamo ROE e h costanti, si ottiene:
P/E =1
0
EPS
P=
)()(1
ROE hk k
k ROE h
k ⋅−⋅−⋅
+
M/B =0
0
B
P=
( ) ROE hk
ROE h
⋅−⋅−1
Gli indici di mercato vengono comunemente applicati nella valutazione d’impresa
nell’ambito del cosiddetto metodo dei ‘multipli comparabili’ per stabilire il valore
di un’azione, di cui non si conosce il prezzo perché relativa, ad esempio, ad
un’impresa non quotata in Borsa, in attesa di quotazione, o ad un progetto di start-
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
120
up. L’idea è quella di esaminare gli indici di mercato di imprese già quotate e simili
all’impresa da valutare, per dimensione, età e settore di attività, in maniera da
ricavare, attraverso il confronto dei dati contabili, un valore di mercato ‘in linea’
con i multipli delle società comparabili.
Parimenti i ‘multipli’ sono utili per un primo confronto fra società quotate nello
stesso settore, per individuare i titoli più ‘convenienti’ in termini di prezzo di
mercato rispetto alla profittabilità di bilancio.
• Il segnalibro
Il metodo dei ‘multipli comparabili’ nella valutazione d’impresa è presentato nel
Volume ‘Gestire le Risorse dell’Impresa’, Capitolo 4, Paragrafo 4.1.6.
4.2.7 La crescita sostenibile e la crescita finanziata con capitale esternoNei modelli precedenti, l’impresa può finanziare la crescita futura solo attraverso il
reinvestimento degli utili. Abbiamo visto che questo non sempre implica una
creazione di valore per gli azionisti: dipende dal rapporto fra profittabilità degli
investimenti dell’impresa e costo del capitale per gli azionisti.
Si tratta ora di abbandonare questa restrizione, introducendo la possibilità di
finanziare nuovi investimenti attraverso la raccolta di nuovo capitale esterno, ad
esempio sotto forma di debito o di ulteriore capitale di rischio.
Definiamo:
Dt = stock di debito disponibile alla fine del periodo t , remunerato al tasso diinteresse annuale r ;
∆ Dt = nuovo debito raccolto dall’impresa durante il periodo t , remunerato al tasso
di interesse annuale r ;
PN t = patrimonio netto contabile disponibile alla fine del periodo t (pari a Bt per il
numero di azioni che compongono il capitale)
∆PN t = nuovo capitale azionario sottoscritto e disponibile alla fine del periodo t ;
At = valore contabile degli asset disponibili alla fine del periodo t ; si tratta dello
stock di capitale investito risultante in Stato Patrimoniale, pari alla somma di Dt e
E t ;
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
121
MOt = margine operativo realizzato dall’impresa nel periodo t ;
ROAt = return on assets nell'anno t : si tratta del rapporto fra margine operativo
generato in un esercizio contabile e totale dell’attivo investito alla fine del periodo
precedente.
Vale la relazione (in assenza di imposte):
1−⋅= t t t A ROA MO
Inoltre periodo dopo periodo, in equilibrio finanziario, il valore contabile delle
attività dell’impresa è destinato ad aumentare grazie a tre contributi: (i) gli utili
reinvestiti e non distribuiti come dividendo, (ii) il nuovo debito raccolto, (iii) il
nuovo capitale azionario raccolto:
At = At-1 + ht · ROE t · PN t -1 + ∆ Dt + ∆PN t
Il tasso di crescita delle attività dell’impresa g A sarà pari, periodo per periodo, a:
g A =1
1
−
−−
t
t t
A
A A=
11
1
−−
−
+∆+∆+⋅⋅
t t
t t t t t
DPN
PN DPN ROE h
Ricordando la relazione della leva finanziaria, a valori contabili di bilancio, in
assenza di tasse:
ROE t = ROAt +1
1
−
−
t
t
PN
D( ROAt – r )
g A =11
11
1 ))((
−−
−−
−
+
∆+∆+⋅−+⋅
t t
t t t t
t
t t t
DPN
PN DPN r ROAPN
D ROAh
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
122
L’equazione precedente rappresenta il tasso di equilibrio ‘sostenibile’ in funzione
delle scelte finanziarie dell’impresa. Un tasso di crescita delle risorse investite
nell’impresa maggiore di gA determina un cosiddetto ‘fabbisogno finanziario
esterno’ (FFE) e non può essere ottenuto se non modificando uno dei parametri.
Vediamo alcuni casi particolari:
1) impresa non indebitata ( D = 0; ∆ D = 0); in tal caso la crescita può essere
sostenuta solo o dagli utili reinvestiti o da nuovi apporti di capitale di rischio
(aumenti di capitale a pagamento):
g A =1
1
−
− ∆+⋅⋅
t
t t t t
PN
PN PN ROAh=
1−
∆+⋅
t
t t t
PN
PN ROAh
2) impresa indebitata che non raccoglie nuovo capitale (∆ D = 0; ∆PN = 0); lacrescita è sostenuta solo dalla marginalità operativa al netto della remunerazione
del debito, sempre per la parte che non viene distribuita ai soci:
g A =11
11
1 ))((
−−
−−
−
+
⋅−+⋅
t t
t t
t
t t t
DPN
PN r ROAPN
D ROAh
=
+⋅
−⋅−−
−
11
1
t t
t t t
DPN
Dr ROAh
3) impresa che intende mantenere nel tempo lo stesso livello di leva finanziaria
contabile ( D/PN = ∆ D /∆PN = Q); la crescita è sostenuta dal nuovo capitale
raccolto (in egual misura debito ed equity) e dagli utili non distribuiti; si noti che si
ha un effetto di leva legato al differenziale fra ROA ed r :
g A =11
1))((
−−
−
+
∆+∆+⋅−⋅+⋅
t t
t t t t t t
DPN
PN DPN r ROAQ ROAh
g A =11
))((
−
∆+
+−⋅+⋅
t
t t t t
D
D
Q
r ROAQ ROAh
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
123
• Esempio
Il bilancio contabile di un’impresa è caratterizzato dai seguenti dati:
PN 0 (patrimonio netto) = 2.000
A0 (attività investite) = 3.000 D0 (debito finanziario remunerato ad un tasso annuale r pari al 7%) = 1.000
La redditività media delle attività investite ROA (return on assets) è uguale al
12%.
Determinare il tasso di crescita ‘sostenibile’ delle attività g A per i prossimi 12 mesi
nei seguenti scenari:
a) l’impresa distribuisce ogni anno il 60% degli utili come dividendi e non
raccoglie nuovo capitale;
b) l’impresa distribuisce ogni anno il 25% degli utili e intende raccogliere nuovo
capitale di debito incrementando il valore di bilancio del 3% ogni anno;c) l’impresa distribuisce ogni anno il 25% degli utili e intende raccogliere nuovo
capitale incrementando il valore del passivo di bilancio del 3% ogni anno, ma
mantenendo costante il rapporto contabile fra debito e patrimonio netto.
Nel primo caso avremo:
g A =
+⋅
−⋅−−
−
11
1
t t
t t t
DPN
Dr ROAh = 40% · (12% – 70 / 3.000) = 3,87%
Negli anni successivi ci si attenderà invece un tasso di crescita più elevato, perché
il debito rimane costante in valore assoluto, mentre il margine operativo e gli utili
aumentano (rimanendo costante la marginalità operativa percentuale).Nel secondo caso:
g A =11
11
1 ))((
−−
−−
−
+
∆+⋅−+⋅
t t
t t t
t
t t t
DPN
DPN r ROAPN
D ROAh
g A = (75% · 14,5% · 2.000 + 30) / (3.000) = 8,25%
Nel terzo caso:
g A =
11
))((
−
∆+
+
−⋅+⋅
t
t t t t
D
D
Q
r ROAQ ROAh= (75% · 14,5%) / 1,5 + 3% = 10,25%
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
124
Rispetto al secondo caso, nel terzo caso la crescita è maggiore perché oltre
all’incremento dell’indebitamento, sarà raccolto nuovo capitale di rischio per
mantenere costante il rapporto di leva contabile.
Potremmo chiederci, fissando la politica di finanziamento (ad esempio ponendo unvincolo sulla raccolta di nuovo capitale annuale, con incremento massimo del 2% e
rapporto di leva costante), quale potrebbe essere il tasso di crescita ‘sostenibile’
delle attività:
g A =11
))((
−
∆+
+
−⋅+⋅
t
t t t t
D
D
Q
r ROAQ ROAh= (75% · 14,5%) / 1,5 + 2% = 9,25%
E se l’impresa volesse mantenere come obiettivo un tasso di crescita dell’attivo
pari al 10,25% occorrerebbe attuare una di queste scelte gestionali (o una loro
combinazione): (1) raccogliere più capitale, nella misura di un incremento del 3%,
come nel caso precedente, (2) reinvestire una quota maggiore di utili, nella misuradel 85,34%, (3) incrementare la redditività operativa (aumentando efficienza e/o
produttività) fino a 16,5%.
4.3 La teoria del portafoglio
Nei paragrafi precedenti si è considerato come ‘esogeno’ il costo del capitale di
rischio k . È giunto il momento di capire da cosa esso dipende, e in particolare da
cosa dipende il premio per il rischio ∆r .
4.3.1 Rischio e rendimento: il modello di Markowitz
La teoria del portafoglio afferma che il premio per il rischio dipende dall’equilibrio
del mercato dei titoli azionari, e in particolare dalla possibilità di comporre dei
portafogli efficienti di titoli rischiosi, diversificando il rischio associato ai singoli
titoli. Nella sua versione più semplice, introdotta da Markowitz (1952), premio
Nobel per l’Economia nel 1990, viene ipotizzato che sul mercato siano presenti
investitori in numero sufficiente da far pensare che ognuno di loro non abbia il
potere di influenzare il mercato da posizioni dominanti, e che le imposte non
abbiano effetto sulle scelte degli investitori stessi. I titoli azionari scambiati sono
perfettamente divisibili, e ognuno è caratterizzato da un certo rendimento annuale
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
125
atteso (k i) e da una certa varianza statistica di tale rendimento (σ2i) – o se si
preferisce dalla deviazione standard (σi). Tali parametri dipendono ovviamente
dalle ipotesi che vengono adottate sulla distribuzione statistica f (r i) del rendimento
r i del titolo; in generale sarà:
k i = ∫ +∞
∞−
⋅ iii dr r r f )(
σ2i = [ ]∫
+∞
∞−
−⋅ iiii dr k r r f 2)(
In altre parole, k rappresenta la media dei possibili rendimenti a scadenza, e σ la
deviazione standard dei rendimenti stessi rispetto alla media. Tanto più ladeviazione sarà elevata, tanto maggiore sarà la dispersione dei rendimenti, tanto
più elevato sarà il rischio percepito dagli investitori.
Se la distribuzione statistica dei rendimenti può assumere solo un insieme discreto
di valori r ij (a ciascuno dei quali è associata una probabilità p j) le formule
precedenti diventano:
k i = ∑ ⋅ j
ij j r p
σ2
i = [ ]∑ −⋅ j
2
iij j k r p
Introduciamo fra diversi titoli azionari una relazione di ‘dominanza’ secondo cui
un generico fondo X è ‘dominato’ da un altro Y se vale una delle seguenti
relazioni:
k Y ≥ k X con σY < σX oppure
σY ≤ σX con k Y > k X
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
126
Quindi, se Y domina X ciò accade perché il suo rischio σY è più contenuto, e il suo
rendimento k Y è al minimo uguale a quello di X, oppure perché il suo rendimento è
più elevato, e il suo rischio è al massimo pari a quello di X.
Nella Figura 4.5 viene rappresentato un piano (k , σ), ovvero il piano ‘rischio-rendimento’, in cui appare chiaro quali titoli, fra quelli rappresentati come A, B e
C, sono dominanti/dominati rispetto a X. Il titolo C domina X, poiché vanta sia un
rendimento atteso più elevato, sia un rischio più contenuto. Il titolo B è invece
dominato da X; il suo rischio è più elevato e oltretutto il suo rendimento atteso è
inferiore. Tutti i titoli presenti nel quadrante superiore sinistro rispetto a X sono
‘dominanti’ rispetto a X, mentre tutti quelli presenti nel quadrante inferiore destro
sono ‘dominati’ da X.
Figura 4.5 – Titoli azionari dominanti e dominati.
Infine, non è possibile individuare alcuna relazione di dominanza fra X e A (A
infatti è un titolo meno rischioso, ma offre anche un rendimento atteso inferiore),
così come per tutti i titoli/fondi rappresentati al di fuori delle aree evidenziate.
Vale la pena sottolineare che titoli dominanti e dominati non contribuiscono a
definire eventuali posizioni di arbitraggio, e quindi sono compatibili con una
situazione di equilibrio di mercato. Infatti, per i titoli azionari si parla di
k
σ
A
B
k C
k X
k B
k A
σB σA σC σX
C
X
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
127
rendimento atteso, e quindi ex ante non è possibile stabilire con certezza il loro
payoff futuro, né costruire strategie di investimento che generano flussi positivi
senza rischio. In altre parole, indebitarsi per acquistare un titolo rischioso che
promette un rendimento atteso elevato non genera la certezza di un payoff positivo
a scadenza, e quindi il fatto che esistano titoli con diverso rendimento atteso non
rappresenta una situazione di arbitraggio e di dis-equilibrio del mercato finanziario.
È chiaro inoltre che il rendimento atteso non rappresenta in assoluto un parametro
di preferibilità del titolo. Infatti, un investitore può considerare ottimale allocare la
propria ricchezza in un fondo caratterizzato da un rendimento atteso contenuto, ma
da un rischio ugualmente contenuto. Un altro investitore potrà invece ritenere più
premiante investire in un fondo più rischioso, ma allo stesso modo caratterizzato da
un elevato rendimento atteso.
Le diverse preferenze dipendono dal grado di avversione/propensione al rischio.
Per capire questo concetto, può essere utile considerare questo gioco, proposto ogni
anno agli studenti dei corsi di Ingegneria. Al termine della lezione, ogni studente
uscendo dall’aula dovrà decidere se ricevere 50€ dal docente, oppure lanciare un
dado. In questo ultimo caso, se esce pari lo studente riceverà 100€, mentre se esce
dispari lo studente non riceverà alcuna somma. Mediamente, 2/3 degli studenti
decidono di accettare i 50€, mentre i rimanenti sono disposti a sottoporsi al gioco
del dado. Mentre i primi sono investitori avversi al rischio, i secondi sono
investitori propensi al rischio.
Infatti, consideriamo il payoff atteso delle due alternative.
Nel primo caso è un payoff certo, C , pari a 50€. Nel secondo caso è un payoff
rischioso, il cui valore atteso C * (a meno che il docente non trucchi il dado) è pari a
50% ⋅ 100€ + 50% ⋅ 0€ = 50€, quindi uguale a C .
Definiamo investitore avverso al rischio un agente economico che scegliendo fra i
payoff C e C * (con uguale valore atteso) associa un’utilità U maggiore a quello
caratterizzato da rischio più contenuto:
U (C ) > U (C *) ⇒ U”(C ) < 0
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
128
Nell’esempio precedente un investitore avverso al rischio piuttosto che tirare il
dado accetterebbe un payoff alternativo anche inferiore a 50€. Il suo ‘equivalente
certo’ EC (il livello di ricchezza privo di rischio avente utilità uguale all’alternativa
rischiosa, che è data dalla media delle utilità ottenibili nei due casi aleatori) è infatti
inferiore al valore atteso del payoff (si veda la Figura 4.6a).
Figura 4.6 – Curve di utilità ed equivalente certo EC in funzione dei payoff Π del gioco
proposto per investitori avversi (a), propensi (b) e indifferenti (c) al rischio.
Definiamo invece investitore propenso al rischio un agente che associa un’utilità U
maggiore all’alternativa con rischio più elevato, a parità di rendimento atteso:
U (C ) < U (C *) ⇒ U”(C ) > 0
Si capisce che l’investitore propenso al rischio calcola un equivalente certo EC
sempre superiore al valore atteso del payoff rischioso (Figura 4.6b). Nell’esempio
precedente, egli sarebbe disposto a rifiutare il tiro del dado solo in cambio di un
compenso certo superiore a 50€.
Infine, definiamo un investitore indifferente al rischio un agente che associa la
stessa utilità ad investimenti che generano lo stesso payoff , indipendentemente dal
grado di rischio, e che quindi calcola un equivalente certo EC uguale al valore
atteso del payoff rischioso (Figura 4.6c):
U
Π0€ EC 50€ 100€
U
Π
U
Π
U(C)
U(C*
)
(a)
U(C*
)U(C)(b)
U(C
*
)
(c)
0€ 50€ EC 100€ 0€ 50€=EC 100€
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
129
U (C ) = U (C *) ⇒ U”(C ) = 0
Se volessimo rappresentare sul piano rischio-rendimento (definito da k e σ) le
curve di iso-utilità (ovvero il luogo delle combinazioni rischio-rendimento chegenerano la stessa utilità per l’investitore) associate agli investitori
avversi/propensi/indifferenti al rischio, otterremmo i grafici di Figura 4.7.
Nel grafico (a) infatti notiamo che l’investitore, per essere indifferente nella scelta
fra due titoli caratterizzati da diversa rischiosità, chiede un rendimento più elevato
(ovvero un premio per il rischio) al titolo più rischioso. Per contro, nel caso (b),
l’investitore propenso al rischio è disposto a considerare un rendimento atteso più
contenuto, pur di investire in un titolo più rischioso. Infine, l’investitore
indifferente al rischio considera come criterio di scelta unicamente il rendimento
atteso, disinteressandosi del rischio.
Figura 4.7 – Curve di iso-utilità per investitori avversi (a), propensi (b) e indifferenti (c) al
rischio.
Ricorrendo alla definizione di titoli dominanti e dominati, potremo dire che un
investitore avverso al rischio non sceglierà mai di investire tutta la sua ricchezza in
un titolo che è ‘dominato’ da un altro titolo. Questa regola non contraddistingue
l’investitore propenso al rischio, che può associare benissimo la stessa utilità a due
titoli, uno dei quali ‘domina’ l’altro.
k
σ
U k
σ
U
k
σ
U
(a) (b) (c)
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
130
Dopo aver chiarito il significato di rischio e rendimento atteso per un titolo
azionario, passiamo ora a considerare gli stessi parametri per un portafoglio
composto da più titoli rischiosi.
Un generico portafoglio P, composto da n titoli secondo un peso percentuale xi,
determinato dalla frazione di ricchezza investita in ogni titolo del paniere, sarà
caratterizzato da un certo rendimento atteso k P e da una varianza σ2P, definiti dalle
seguenti formule statistiche:
k P = ∑=
⋅n
i
ii k x1
σ2P = ∑
=
⋅n
i
ii x1
22 σ +∑∑= =
⋅⋅n
i
n
j
ji jicov x x1 1
),( i ≠ j
con cov(i,j) = [ ] [ ]∫ +∞
∞−
−⋅−⋅ ji j jii ji dr dr k r k r r r f ),( (funzione continua)
cov(i,j) = [ ] [ ]∑ −⋅−⋅n
j jniinn k r k r p (funzione discreta)
Il rendimento atteso k P è quindi la media pesata dei rendimenti attesi dei titoli in
portafoglio, mentre la varianza σ2P non coincide con la sommatoria pesata delle
varianze dei singoli titoli. Bisogna infatti tenere conto della covarianza statistica
cov(i, j) fra i generici titoli i e j che compongono il portafoglio, e cioè dellacorrelazione che esiste fra il rendimento dei titoli stessi ed è funzione della
distribuzione di probabilità congiunta f (r i,r j) o delle singole probabilità nel caso di
eventi discreti. Una misura ‘comoda’ di tale correlazione è il coefficiente di
correlazione ρij:
ρij = ji
jicov
σσ
),(
⋅
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
131
Esso può assumere solo valori compresi fra –1 e +1. Diremo quindi che due titoli
azionari sono:
1) correlati positivamente, se ρij > 0; in tal caso in ogni stato di natura possibile è
molto probabile che quando il rendimento del titolo i è superiore (o inferiore)
rispetto al suo rendimento atteso, succeda altrettanto per il titolo j;
2) non correlati, se ρij = 0; la performance di un titolo è dunque statisticamente
indipendente da quella dell’altro;
3) correlati negativamente, se ρij < 0; in tal caso, invece, in ogni stato di natura
possibile è molto probabile che quando il rendimento del titolo i è superiore (o
inferiore) rispetto al suo rendimento atteso, succeda l’opposto per il titolo j.
• Esempio
Il rendimento annuale r di due titoli azionari, G e F, è definito da questi possibiliscenari, cui viene attribuita una certa probabilità:
- Scenario 1 (probabilità 20%): r G = 2% e r F = 12%
- Scenario 2 (probabilità 15%): r G = 6% e r F = 16%
- Scenario 3 (probabilità 25%): r G = 10% e r F = 10%
- Scenario 4 (probabilità 40%): r G = 15% e r F = 8%
Si tratta di definire rendimento atteso, varianza e covarianza dei due titoli, e le
caratteristiche di un portafoglio composto per il 40% da G e per il 60% da F.
Il rendimento atteso k G del titolo G è la media pesata dei rendimenti nei diversi
scenari:
k G = ∫ +∞
∞−
⋅ GGG dr r r f )( = ∑ ⋅i
G ir i prob )()( i = scenario 1, 2, 3, 4
k G = 20% ⋅ 2% + 15% ⋅ 6% + 25% ⋅ 10% + 40% ⋅ 15% = 9,8%
La varianza del rendimento è determinata dalla media pesata dello scarto
quadratico medio:
σ2G = [ ]∫
+∞
∞−
−⋅ GGGG dr k r r f 2)( = ( )∑ −⋅
i
GG k ir i prob2)()( i = scenario 1, 2, 3, 4
σ2G = 20% ⋅ (2% – 9,8%)2 + 15% ⋅ (6%– 9,8%)2 + 25% ⋅ (10%– 9,8%)2 + 40% ⋅ (15%– 9,8%)2
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
132
σ2G = 0,002516
σG = 5,02%
Applicando le stesse formule al titolo F si ottiene:
k F = 10,5%σF = 2,75%
Il titolo F domina quindi il titolo G; infatti esso è caratterizzato sia da un rischio più
contenuto sia da un rendimento atteso superiore.
Calcoliamo a questo punto la covarianza statistica fra i due titoli cov(G,F) e il
coefficiente di correlazione ρGF:
cov(G ,F) = [ ] [ ]∫ +∞
∞−
−⋅−⋅ GF GGF F GF dr dr k r k r r r f ),(
cov(G ,F) = ( ) ( )∑ −⋅−⋅i
F F GG k ir k ir i prob )()()( i = scenario 1, 2, 3, 4
cov(G ,F) = 20% ⋅ (2% – 9,8%) ⋅ (12% – 10,5%) + 15% ⋅ (6%– 9,8%)⋅ (16% – 10,5%) +
+ 25% ⋅ (10%– 9,8%)⋅ (10% – 10,5%) + 40% ⋅ (15%– 9,8%)⋅ (8% – 10,5%) = – 0,00107
ρGF =F G
cov
σσ
)F,G(⋅
= – 77,51%
I due titoli sono caratterizzati da una correlazione negativa significativamente
elevata, e in effetti è molto facile, osservando le probabilità dei diversi stati di
natura, che quando il rendimento dell’uno è elevato rispetto al valore atteso k ,
quello dell’altro sia basso, e viceversa.Il portafoglio P composto per il 60% da G e il 40% da F sarà quindi caratterizzato
da questi parametri:
k P = ∑=
⋅n
i
ii k x1
= 40% ⋅ 9,8% + 60% ⋅ 10,5% = 10,22%
σ2P =∑
=
⋅n
i
ii x1
22 σ +∑∑= =
⋅⋅n
i
n
j
ji jicov x x1 1
),(
σ2P = (40% ⋅ 5,11%)2 + (60% ⋅ 2,75%)2 – 2 ⋅ (60% ⋅ 40% ⋅ 0,00107) = 0,00018
σP = 1,33%
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
133
È interessante osservare che il portafoglio P offre un rendimento atteso intermedio
fra i due titoli, ma un rischio più contenuto di entrambi, grazie alla covarianza
negativa fra F e G, e nonostante quest’ultimo sia dominato da F. In altre parole, un
investitore avverso al rischio non allocherà mai tutta la ricchezza nel titolo G, mapotrebbe trovare ottimale allocarne solo una parte abbinandolo ad F, per
diversificare il rischio del portafoglio.
Consideriamo nel dettaglio il caso di un portafoglio P composto solo da due titoli,
A e B, nessuno dei quali dominante rispetto all’altro. La composizione di P è
determinata dai pesi (in funzione del valore del portafoglio) xA e xB; il rendimento
atteso k P e il rischio σ2P sono definiti da:
k P = xA · k A + xB · k B σ2
P = xA2
· σ2
A + xB2 · σ
2B + 2 · ρAB · xA · xB · σA · σB
xA + xB = 1 xA, xB ≥ 0
Possiamo individuare sul piano rischio-rendimento il luogo dei portafogli
ammissibili, ovvero dei portafogli (infiniti) che possono essere composti al variare
dei pesi xA e xB, fissato ρAB. In particolare, se ρAB = +1, il sistema che definisce il
luogo dei portafogli ammissibili è dato da:
k P = xA · k A + xB · k B σ2
P = xA2 · σ
2A + xB
2 · σ
2B + 2 · xA · xB · σA · σB = ( xA · σA + xB · σB)2 ⇒ σP = xA · σA + xB · σB
xA + xB = 1 xA, xB ≥ 0
Volendo rappresentare il luogo sul piano rischio-rendimento, in funzione di k e σ,
otterremmo il grafico di Figura 4.8. Il luogo è un segmento che congiunge i punti
rappresentativi dei due titoli A e B. Percorrendo il segmento da A verso B, la
composizione del portafoglio generico cambia con un incremento della frazione di
ricchezza investita in B e un decremento della frazione investita in A. Il rendimento
atteso cresce (solo perché k A < k B) , ma anche il rischio.
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
134
Figura 4.8 – Il luogo dei portafogli ammissibili sul piano rischio-rendimento, nel caso
ρ AB=+1.
Rilassiamo ora uno dei vincoli introdotti, e cioè la non-negatività di xi. Ciò
equivale a consentire eventuali vendite allo scoperto dei titoli rischiosi. Nel caso
dei titoli a reddito fisso la vendita allo scoperto equivale all’indebitamento al tasso
risk-free: infatti in entrambi i casi otteniamo un flusso monetario positivo, che va
coperto nel futuro con il rimborso del capitale o la consegna del titolo venduto allo
scoperto. Per i titoli azionari la vendita allo scoperto equivale alla cessione dei
diritti relativi al possesso di un titolo i ( xi < 0) per finanziare l’acquisto, oltre la
ricchezza disponibile di un altro titolo j (in tal caso si ha x j > 1). La vendita allo
scoperto sui mercati azionari nel passato era ampiamente consentita dalla
regolazione mensile dei contratti di Borsa (le famose ‘scadenze tecniche’ in
chiusura del mese borsistico). Oggi, dal momento che la regolazione dei contratti
deve avvenire entro pochi giorni, lo stesso effetto può essere ottenuto tramite
contratti di riporto titoli e usufrutto4.
4 Alcune società bancarie che offrono servizi di trading on line ammettono vendite alloscoperto, salvo richiedere la chiusura delle posizioni entro un tempo limite e accantonare unmargine di sicurezza su eventuali perdite.
k
σ
A
Bk B
k A
σB σ
A
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
135
Se quindi può accadere che xA < 0 e xB > 1 (in questo caso vendiamo allo scoperto il
titolo A per finanziare l’acquisto oltre la ricchezza disponibile del titolo B) o
viceversa xB < 0 e xA > 1, il luogo dei portafogli ammissibili di Figura 4.8 si estende
così come rappresentato in Figura 4.9, lungo le semirette tratteggiate. Nella
semiretta a destra, vendendo allo scoperto il titolo con rendimento atteso più basso
(A) possiamo ottenere portafogli con rendimento atteso superiore a quello di B.
Nella semiretta a sinistra, venderemo allo scoperto invece il titolo B, per ottenere
portafogli caratterizzati da rendimento atteso inferiore a quello di A.
Figura 4.9 – Il luogo dei portafogli ammissibili sul piano rischio-rendimento, ancora nel
caso ρ AB = 1, con vendite allo scoperto consentite.
La Figura 4.9 evidenzia che comporre un portafoglio con due titoli perfettamente
correlati non consente di diversificare il rischio, ma di ottenere semplici
combinazioni lineari delle caratteristiche dei titoli di partenza. Notiamo inoltre che
non esistono relazioni di dominanza fra tutti i portafogli ammissibili.
Fissiamo ora ρAB = –1, ottenendo questa volta:
k P = xA · k A + xB · k B
σ2P = xA
2 · σ
2A + xB
2 · σ
2B – 2 · xA · xB · σA · σB = ( xA · σA – xB · σB)2
xB > 1 xA < 0
0 > xB, xA > 1
xA>1 xB<0
k
σ
A
Bk B
k A
σB σA
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
136
xA + xB = 1
Poiché dobbiamo considerare solo valori positivi di σ, dobbiamo imporre il modulo
su σP:
σP = | xA · σA – xB · σB|
Il luogo dei portafogli ammissibili, nel caso siano consentite o no vendite allo
scoperto, è tracciato nella Figura 4.10.
Figura 4.10 – Il luogo dei portafogli ammissibili sul piano rischio-rendimento, nel caso in
cui ρ AB = -1.
La spezzata di Figura 4.10 (dovuta all’introduzione del modulo) suggerisce un
risultato importante, e cioè che combinando due titoli perfettamente correlati
negativamente è possibile comporre un portafoglio N caratterizzato da rischio
nullo, e cioè assimilabile a un titolo a reddito fisso, con rendimento (non atteso ma
certo) pari a r N.
La composizione del portafoglio N è definita dai pesi Aˆ x e Bˆ x :
k
σ
A
Bk B
k A
σB σA
r N
xB > 1 xA < 0
N
xA > 1 xB < 0
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
137
σN = | xA · σA – xB · σB| = 0 con xA + xB = 1 da cui:
Aˆ x =BA
B
σσ
σ
+ Bˆ x =
BA
A
σσ
σ
+
Inoltre, notiamo che solo una parte dei portafogli ammissibili, precisamente quelli
rappresentati nella parte superiore della spezzata, caratterizzati da una
composizione definita da ( xA <BA
B
σσ
σ
+, xB >
BA
A
σσ
σ
+), sono ‘efficienti’ in
quanto dominanti rispetto agli altri portafogli ammissibili. In altre parole, nessun
investitore (nel caso ρAB = –1) vorrà investire tutta la sua ricchezza nel titolo A, in
questo caso indipendentemente dalla sua avversione/propensione al rischio. Gli
investitori avversi al rischio preferiranno ad esempio investire nel portafoglio N,
dominante rispetto ad A.L’insieme dei portafogli ammissibili non dominati da alcun altro fondo/portafoglio
viene definito sul piano rischio-rendimento ‘frontiera efficiente’.
L’ultimo esempio particolare che consideriamo è ρAB = 0. In questo caso il sistema
di equazioni diventa:
k P = xA · k A + xB · k B
σ2P = xA
2 · σ
2A + xB
2 · σ
2B
xA + xB = 1
Il luogo dei portafogli ammissibili, sempre nel caso siano consentite o no vendite
allo scoperto, non è questa volta definito da una relazione lineare, ma da una curva,
così come rappresentato in Figura 4.11.
Questa volta, non è possibile comporre portafogli non rischiosi, ma è importante
notare che è possibile comunque abbattere parte del rischio dei due singoli titoli –
non correlati fra loro – e ottenere per esempio il portafoglio Z, che è caratterizzato
da una rischiosità minore rispetto a entrambi i fondi A e B e a tutti gli altri
portafogli ammissibili. La composizione del portafoglio di varianza minima è
facilmente determinabile annullando la derivata della funzione σ2 = σ2( xi) che nel
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
138
sistema precedente definisce il rischio del generico portafoglio ammissibile, in
funzione di uno dei pesi xi (ad esempio xA):
0)(σA
A
2
=∂∂ x
x ⇒ 2 · xA · σ2A + 2 · xA · σ2B – 2 · σ2B = 0
Aˆ x =2B
2A
2B
σσ
σ
+
Bˆ x = 1 – xA =2B
2A
2A
σσ
σ
+
Figura 4.11 – Il luogo dei portafogli ammissibili sul piano rischio-rendimento, nel caso in
cui ρ AB = 0.
Inoltre, anche questa volta sarà possibile individuare una frontiera efficiente, che
comprende tutti i portafogli non dominati, e cioè tutti quelli ammissibili compresi
fra il portafoglio caratterizzato da varianza minima Z e il titolo B.
k
σ
A
Bk B
k A
σB σA σZ
k Z Z
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
139
In generale, per qualsiasi valore di ρAB, il luogo dei portafogli ammissibili varierà
con continuità fra quelli raffigurati negli schemi precedenti, così come
rappresentato in Figura 4.12.
• Il punto
Un portafoglio è un fondo costituito da più titoli azionari, il cui rendimento atteso è
la media pesata dei rendimenti attesi dei diversi titoli, ma il cui rischio può essere
abbattuto – all’estremo completamente eliminato – grazie alla proprietà di alcuni
titoli di non essere correlati o di essere correlati negativamente l’uno con l’altro.
Figura 4.12 – Il luogo dei portafogli ammissibili sul piano rischio-rendimento, al variare
di ρ AB.
L’ultimo passo dell’analisi è introdurre la possibilità di investire non solo in due
titoli, ma in un numero n > 2 di azioni esistenti sul mercato. Immaginiamo di
comporre un portafoglio cominciando ad allocare frazioni di ricchezza in due titoli,
cui progressivamente aggiungiamo quote di altri fondi disponibili.
Questa volta, non sarà definita una curva, ma una ‘nuvola’ di punti, che
rappresentano tutte le possibili combinazioni di portafoglio di n titoli. In altre
k
σ
A
Bk B
k A
σB σA
ρ ↑
N
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
140
parole, se con due titoli il numero di portafogli ammissibili era pari a ∞, ora è ∞n-1.
La frontiera efficiente viene definita dall’inviluppo di tutte le curve ottenute
combinando a due a due i titoli, ed è rappresentata nella Figura 4.13. Solo sulla
frontiera evidenziata in grassetto individueremo portafogli efficienti, cioè non
dominati.
Figura 4.13 – Il luogo dei portafogli ammissibili e la frontiera efficiente sul piano rischio-
rendimento, nel caso n > 2.
A questo punto, introduciamo le preferenze dei singoli investitori, i quali devono
scegliere in quali portafogli investire, ovviamente fra quelli appartenenti alla
frontiera efficiente (in caso contrario la scelta sarebbe subottimale).
Ipotizzando che gli investitori siano avversi al rischio, la loro curva di utilità nel
piano rischio-rendimento sarà come quelle rappresentate in Figura 4.7(a). Il
portafoglio ottimale P* sarà dunque tale da ottimizzare la funzione U (k P,σP):
max U (k P,σP)
s.v. k P = ∑=
⋅n
i
ii k x1
k
σ
Frontiera efficiente
Luogo deiportafogli
ammissibili
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
141
σ2P = ∑
=
⋅n
i
ii x1
22 σ + ∑∑= =
⋅⋅⋅⋅n
i
n
j
ij ji ji x x1 1
σσ ρ
∑=
n
i i
x1
= 1
In altre parole, si tratta di individuare il portafoglio ammissibile che massimizza
l’utilità dell’investitore.
La soluzione grafica del problema è individuata dalla curva di utilità tangente alla
frontiera efficiente, nel punto P* di Figura 4.14 che rappresenta il portafoglio
ottimale.
• Il punto
Nel modello di Markowitz, fra tutti i portafogli ammissibili componendo diversi
titoli rischiosi, alcuni (quelli che appartengono alla frontiera efficiente) hanno la
proprietà di non essere mai dominati e un investitore avverso al rischio sceglierà
fra questi quello ottimale. A parità di rendimento atteso, infatti, tali portafogli sono
quelli caratterizzati da rischio più contenuto.
Figura 4.14 – La determinazione dei portafogli ottimali.
k
σ
U 1(k ,σ)
P*
P**
U 2(k,σ)
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
142
4.3.2 Il modello di Tobin
Il problema della soluzione proposta da Markowitz è che essa non individua un
equilibrio di mercato. Infatti, ogni investitore individuerà un portafoglio ottimale
diverso, secondo la propria funzione di utilità. Ad esempio, nella Figura 4.14 si
evidenzia che l’investitore con curva di iso-utilità U 2 (la cui dis-utilità marginale è
più bassa al crescere del rischio) facilmente individuerà come ottimale un
portafoglio P** diverso da P*, che invece rappresenta il portafoglio ottimale per un
investitore più avverso al rischio, con curva di iso-utilità U 1.
A tale riguardo, Tobin (1958), Premio Nobel per l’Economia nel 1981, introduce
nel modello di Markowitz la possibilità di investire anche nei titoli a reddito fisso,
che offrono un rendimento privo di rischio pari a r f . A questo punto, è possibile
comporre dei portafogli sia con titoli rischiosi, sia con titoli risk-free.
Figura 4.15 – Il modello di Tobin.
Sul piano rischio-rendimento di Figura 4.15 il titolo risk free (essendo
caratterizzato da varianza del rendimento nulla) si posiziona certamente sull’asse
delle ordinate. Per lo stesso motivo, il luogo dei portafogli composti da un qualsiasi
fondo di titoli rischiosi (ad esempio P) e dal titolo a reddito fisso è rappresentato
dal segmento r f –P. Inoltre, nel caso in cui sia possibile indebitarsi al tasso r f (=
vendere allo scoperto il titolo a reddito fisso), si può procedere anche sulla parte
k
σ
r f
P
M
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
143
tratteggiata. È chiaro però che la scelta di investire nel titolo a reddito fisso e in P
non è una scelta efficiente. Scegliendo altri fondi (composti solo da titoli rischiosi)
che dominano P e combinandoli con il titolo risk free si possono ottenere dei
portafogli più efficienti. Al limite, considerando il fondo M, la cui proprietà è
quella di essere il punto di tangenza fra la frontiera efficiente di Markowitz e la
retta uscente da r f , si possono ottenere una serie di portafogli che sono dominanti
rispetto alla frontiera efficiente stessa.
La ‘nuova’ frontiera viene individuata come la ‘capital market line’, nel senso che
essa rappresenta l’insieme dei portafogli più efficienti che possono essere
individuati investendo nel titolo risk free e nei titoli rischiosi. Se è consentito
indebitarsi al tasso r f per finanziare l’acquisto dei titoli azionari, oltre la ricchezza
disponibile, la capital market line comprende anche la retta tratteggiata, altrimenti
a destra del punto di tangenza M è necessario riconsiderare la ‘vecchia’ frontiera
efficiente di Markowitz.
Il portafoglio M è lo stesso per tutte le categorie di investitori avversi al rischio, e
viene quindi identificato come il ‘portafoglio di mercato’. Questo è un importante
risultato del ‘teorema di separazione’, secondo cui la decisione di selezione del
portafoglio nel modello di Tobin si riduce a un processo in due fasi: nella prima
fase viene individuato il portafoglio di mercato M, unico per tutti gli investitori,
mentre nella seconda fase ogni investitore, sulla base della propria funzione di
utilità, decide quanta ricchezza allocare nei titoli a reddito fisso e quanta nel
portafoglio di mercato. Il problema viene quindi ‘separato’ in due fasi distinte.
È importante sottolineare che la frazione relativa della ricchezza investita in ogni
titolo rischioso rispetto agli altri è la stessa: si perviene dunque, diversamente
rispetto al modello di Markowitz, ad un equilibrio di mercato. In altre parole, non
tutti gli investitori allocheranno la stessa frazione della ricchezza in titoli rischiosi,
ma tutti acquisteranno gli stessi singoli titoli in proporzione uguale. Ciò può
sembrare controintuitivo rispetto alla realtà, eppure implica che tutti gli investitori
avranno in portafoglio gli stessi titoli (cioè tutti quelli sul mercato).
Una conseguenza del teorema di separazione è che ogni portafoglio PCML della
capital market line può essere identificato come la composizione di due fondi: il
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
144
portafoglio di mercato M e i titoli a reddito fisso. Rendimento atteso e rischio di
tali portafogli possono quindi essere espressi come:
k CML = xM · k M + xrf · r f
σCML = xM · σM (il titolo risk free è caratterizzato da varianza del rendimento nulla)
Come mostrato in Figura 4.16, ogni investitore sceglierà sulla capital market line,
fra i portafogli efficienti, quello ottimale P* al solito massimizzando la propria
funzione di utilità U (k ,σ).
Figura 4.16 – La scelta del portafoglio ottimale sulla capital market line CML nel modello
di Tobin.
• Il punto
Se nel modello del portafoglio di Markowitz si considera anche la possibilità di
investire (e al limite anche di indebitarsi) nei titoli a reddito fisso, le possibilità di
comporre dei nuovi portafogli crescono. In generale, tutti gli investitori avversi al
rischio trovano ottimale investire una frazione della ricchezza nel titolo risk free e
la rimanente quota in un portafoglio di equilibrio M, ovvero il portafoglio di
equilibrio di mercato, unico per tutti.
P*
U (k ,σ)k
σ
r f
P
M
CML
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
145
4.3.3 Il modello di Sharpe: il Capital Asset Pricing Model (CAPM)
L’ultimo problema da risolvere è capire come i prezzi di tutti i titoli azionari
quotati sul mercato si ‘assestino’ per generare l’equilibrio definito dal portafoglio
di mercato M. In altre parole siamo giunti al punto cruciale: quale deve essere il
prezzo di equilibrio sul mercato di un titolo rischioso?
Introducendo l’ipotesi che gli investitori siano caratterizzati da aspettative razionali
ed omogenee, Sharpe (1964) – Premio Nobel per l’Economia nel 1990 – risolve il
problema attraverso il noto modello del Capital Asset Pricing Model (CAPM).
Prima di proseguire però è opportuno aprire una parentesi circa l’efficienza dei
mercati finanziari.
Si definisce ‘efficiente in forma debole’ un mercato finanziario in cui i prezzi dei
titoli rispecchiano tutte le informazioni disponibili sull’andamento passato dei
prezzi stessi. In altre parole, in un tale mercato conoscere la performance passata di
un titolo non serve a nulla, perché non aggiunge nessuna nuova informazione utile
a prevederne l’andamento futuro.
Si definisce invece ‘efficiente in forma semi-forte’ un mercato finanziario in cui i
prezzi dei titoli rispecchiano le informazioni pubblicamente disponibili. In altre
parole, in un tale mercato i prezzi scontano tutte le notizie contenute nei bilanci
pubblici delle imprese, o pubblicati sulle varie fonti di informazione.
Infine, si definisce ‘efficiente in forma forte’ un mercato finanziario in cui i prezzi
dei titoli rispecchiano tutte le informazioni, pubbliche e non. In altre parole, in un
tale mercato – ben difficile da individuare nella realtà – tutti gli investitori
dispongono delle stesse informazioni allo stesso costo, e nessuno ha accesso a
informazioni privilegiate.
Sharpe dimostra che sotto l’ipotesi di aspettative omogenee sul valore futuro iP̂
degli n titoli azionari presenti sul mercato, e quindi valendo l’opzione
dell’efficienza in forma forte del mercato, deve valere nel modello uniperiodale
finora considerato:
Pi =)1(
ˆ
i
i
k
P
+
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
146
Spesso questo concetto non è facile da comprendere. Sui mercati finanziari, non
sono i prezzi futuri che si modificano sulla base delle aspettative, generando i
valori iP̂ . Sono invece le aspettative future che determinano i prezzi oggi dei titoli,
generando i rendimenti k i di equilibrio.Sharpe dimostra anche che per un portafoglio di titoli ottimale P (e quindi anche
per il portafoglio di mercato) deve valere la seguente relazione, che sintetizza il
risultato del CAPM:
k i = r f +i
f
x
r k
∂∂⋅
−P
M
M σ
σ i = 1, 2, …, n
Cioè, in equilibrio il rendimento atteso di ogni titolo azionario deve essere uguale
al tasso risk free di mercato, più un certo premio per il rischio, che è proporzionale
al contributo marginale che il titolo azionario stesso apporta al rischio del
portafoglio P. Finalmente siamo in grado di capire da cosa dipende il premio per il
rischio ∆r richiesto in equilibrio dal mercato alle azioni di un’impresa: esso
dipende dalla capacità del titolo di incrementare o abbattere il rischio marginale del
portafoglio di mercato.
In altre parole, se il contributo marginale che un certo titolo apporta al rischio del
mercato è nullo, non vi è ragione per cui venga richiesto ad esso un premio per il
rischio addizionale rispetto ai titoli a reddito fisso.
La relazione precedente, in virtù del teorema di separazione (che ricordiamo
afferma che un portafoglio ottimale può sempre essere considerato come composto
dai titoli risk free e dal portafoglio di mercato) può anche essere riscritta in questa
maniera:
k i = r f + ii
f r k σρ
σM
M
M ⋅⋅−
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
147
dove ρiM rappresenta il coefficiente di correlazione fra il portafoglio di mercato M
e il titolo i considerato. La formulazione del Capital Asset Pricing Model (CAPM)
più nota è però un’altra:
k i = r f + βi · (k M – r f )
con il parametro beta (βi) definito come:
βi =M
M
σ
σρii ⋅
Il numeratore del parametro beta viene spesso indicato come ‘rischio non
diversificabile’ σNDIV di un generico titolo azionario i:
σNDIV = ii σρM ⋅
Ciò significa che il premio per il rischio domandato a un titolo è proporzionale non
a tutto il rischio, ma solo a quella parte che è sistematica (= non eliminabile)
diversificando in maniera efficiente un portafoglio, cioè investendo in un fondo che
appartiene alla capital market line. La parte residua (‘rischio diversificabile’) può
invece essere eliminata attraverso la diversificazione del portafoglio.
Per differenza, il rischio diversificabile di un titolo σDIV è pari a:
σDIV = σi – ii σρ M ⋅ = σi · (1 – ρiM)
La Figura 4.17 evidenzia come graficamente sia possibile scomporre il rischio
diversificabile e sistematico di un generico titolo/portafoglio P.
Dalla Figura risulta chiaro che il titolo/portafoglio P non può essere associato a un
rendimento atteso diverso da quello del fondo K. Chi mai fra gli investitori avversi
al rischio vorrebbe investire tutta la sua ricchezza in P? Nessuno. Invece di
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
148
investire solo in P, è possibile investire nel titolo a reddito fisso e nel portafoglio di
mercato M, diversificando il rischio e ottenendo – ad esempio – un fondo K
caratterizzato da stesso rendimento atteso rispetto a P ma da minore rischio. Se
dunque è possibile, grazie alla diversificazione di portafoglio, ‘abbattere’ una parte
del rischio di P (ovvero quello diversificabile σDIV), non c’è ragione per cui il
mercato chieda un premio per il rischio diverso ai due titoli. In altre parole, è
possibile ottenere un portafoglio ammissibile caratterizzato da rendimento atteso
uguale a quello di P, e da rischio nullo? La risposta è no: il massimo che possiamo
ottenere è abbattere solo una parte del rischio σP (quella diversificabile), ma la
frazione σNDIV è ineliminabile e costituisce quindi il rischio ‘sistematico’. Il
mercato chiede una remunerazione solo per questa frazione.
Figura 4.17 – Rischio sistematico e rischio diversificabile.
Il beta gode della proprietà additiva, nel senso che il beta di un portafoglio P è
uguale alla somma pesata del beta dei titoli che lo compongono:
βP = ∑=
⋅n
i
ii x
1
β
k
k P
σ
r f
P
M
σDIV σNDIV σP
K
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
149
Ciò vuol dire che il rischio di un portafoglio (a causa della covarianza) non è
uguale alla somma pesata del rischio dei titoli che lo compongono, ma invece il
rischio non diversificabile di un portafoglio è la somma pesata del rischio
sistematico dei titoli che lo compongono.
Dalla funzione che lega k i a r f e βi, appare evidente che il beta del titolo a reddito
fisso è nullo, mentre il beta del portafoglio di mercato M è uguale a uno. Da ciò si
deduce che il beta di un portafoglio che appartiene alla capital market line grazie al
teorema di separazione è uguale alla frazione di ricchezza investita nel portafoglio
di mercato:
βCML = xM · βM + xrf · βrf = xM
Il rischio σCML di un portafoglio efficiente, che appartiene alla capital market line,sarà interamente non diversificabile, e tenuto conto che il suo rendimento è
correlato solo al portafoglio di mercato (ρiM = 1) sarà pari a:
σCML = xM · σM = βCML· σM
• Il punto
Il premio per il rischio richiesto in equilibrio dal mercato ad un titolo/portafoglio
azionario è proporzionale al parametro beta, che rappresenta il rischio sistematico,
o non diversificabile, rispetto al rischio del portafoglio di mercato.
Titoli (o portafogli) che hanno beta maggiore di uno vengono individuati come
fondi ‘aggressivi’, nel senso che il loro rendimento atteso amplifica (in positivo o
in negativo) l’andamento del mercato, come è evidente dalla relazione lineare che
definisce il CAPM. Per contro, titoli (o portafogli) caratterizzati da beta minore di
uno sono indicati come fondi ‘difensivi’ nel senso che tendono a smorzare le
oscillazioni del mercato contenendone il rischio.
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
150
Purtroppo il beta ha un difetto: non è un parametro osservabile, e può solo essere
stimato attraverso tecniche econometriche. La relazione del CAPM ben si presta
infatti ad una regressione lineare:
k i = r f + βi · (k M – r f ) = (1 – βi ) · r f + βi · k M = αi + βi · k M con αi = (1 – βi ) · r f
Mettendo in relazione dunque una serie storica ‘sufficientemente’ lunga di
rendimenti (ad esempio giornalieri) di un titolo i rispetto al rendimento del
portafoglio di mercato (che può essere ben approssimato dal rendimento di un
indice rappresentativo del listino), si può ottenere una stima dei parametri alfa αi e
beta βi. Purtroppo si baserà su dati passati, e quindi non vi è alcuna garanzia che il
beta del titolo rimanga lo stesso nel futuro.
Se poi non esistono dati di rendimento del titolo i (ad esempio perché non è quotatoin Borsa), siamo veramente nei guai. La prassi è quella di considerare dei beta ‘di
settore’ (beta book ) andando a vedere quanto vale questo parametro per imprese
simili, operanti nello stesso business, quotate su un mercato borsistico (si veda ad
esempio la Tabella 4.2).
Tabella 4.2 – Esempio di beta settoriali (tratto dal sito web del prof. Damodaran della
Stern University di New York http://pages.stern.nyu.edu/~adamodar
).
Settore Beta medio Settore Beta medio
Aerospace/Defense 1,99 Metal Fabricating 2,44Bank 0,89 Natural Gas (Distribution) 0,83Biotechnology 5,16 Semiconductor 6,35Cement & Aggregates 1,81 Telecom Services 2,89Electric Utilities 0,87 Tyre & Rubber 2,33Food Processing 1,51 Tobacco 1,21
Si può osservare come esistano settori produttivi considerati tradizionalmente come
‘difensivi’ dal mercato (ad esempio le utilities e le banche) e come altri comparti
quali le biotecnologie e i semiconduttori siano considerati molto rischiosi e quindi
‘aggressivi’.
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
151
Il parametro αi è invece chiamato ‘alfa di Jensen’. Esso rappresenta il rendimento
di un titolo azionario i differenziale rispetto al premio per il rischio correlato al
beta. Viene utilizzato come misura di performance assoluta ad esempio per i fondi
di investimento, poiché quando esso è maggiore di r f , indica un rendimento
superiore a quello che predice il CAPM (e quindi una particolare bravura del
gestore a catturare rendimenti positivi), e viceversa.
Un secondo parametro molto utilizzato nell’asset management (gestione di
portafogli mobiliari) è lo Sharpe ratio. Esso è dato dal rapporto fra (k i – r f ) e σi,
ovvero fra rendimento differenziale rispetto ai titoli risk free e rischio. È evidente
che un gestore avverso al rischio cercherà di massimizzare tale rapporto, cercando
di ‘battere’ il profilo rischio/rendimento di ogni altro portafoglio (ovvero di
posizionarsi ‘sopra’ la Capital Market Line).
• Esempio
Sul mercato è quotato il titolo azionario A caratterizzato da un rendimento annuale
atteso k A pari al 12% e da una deviazione standard σA del rendimento pari al 7%.
Il rendimento atteso del portafoglio di mercato k M è pari al 15%, mentre il rischio
del portafoglio di mercato σM è pari al 6%. Il rendimento annuale dei titoli risk free
r f è pari al 2%.
Si deduce che il beta βA del titolo è pari a:
βA = f
f
r k
r k
−
−
M
A
= 0,769
Il rischio non diversificabile σNDIV del titolo A è pari a:
σNDIV = AAM σρ ⋅ = MA σβ ⋅ = 4,614%
Evidentemente il rischio diversificabile σDIV è pari a:
σDIV = σA – σNDIV = 2,386%
Ciò vuol dire che investendo nei titoli a rischio fisso e nel portafoglio di mercato
M, rispettivamente una frazione xrf e xM della ricchezza, possiamo costruire un
portafoglio più efficiente rispetto ad A, caratterizzato da stesso rendimento atteso
ma da rischio più contenuto. La composizione di tale portafoglio sarà definita da:
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
152
xrf · r f + xM · k M = k A = 12% (con xrf + xM = 1)
da cui si ottiene:
xrf = 23,08%
xM = 76,92%Il rischio σ del portafoglio così composto (dal momento che appartiene alla capital
market line) può essere calcolato da:
σ = xM · σM = 4,614%
Il portafoglio identificato è quindi più efficiente di A, e il suo rischio è uguale a
quello non diversificabile di A. In effetti, quindi, investendo dei titoli risk free e nel
portafoglio di mercato (che comprende anche A) possiamo abbattere parte del
rischio del titolo A, e il mercato richiederà un premio di rendimento solo per il
rischio residuo.
4.3.4 Interazione fra valutazione dell’impresa e modalità di finanziamento
Questo paragrafo non servirebbe se il mercato finanziario fosse simile a quello
immaginato da Modigliani e Miller nella loro Proposizione I (si veda il Capitolo 2).
In tale situazione, abbiamo mostrato che il valore d’impresa non dipende da come
essa è finanziata.
Nella realtà, invece esiste un’interazione fra decisioni di investimento e modalità di
finanziamento, per almeno tre motivi:
1) i meccanismi di tassazione sul reddito non sono ‘neutrali’ rispetto a come
l’impresa viene finanziata (ad esempio, esiste uno ‘scudo fiscale’ associato aldebito);
2) l’impresa ha a disposizione diverse modalità di raccolta di capitale, con
caratteristiche e costi diversificati;
3) non tutti i progetti di investimento presentano lo stesso profilo di rischio
sistematico; il costo del capitale k non è dunque un parametro esogeno, ma
dipende esso stesso dalla scelta degli investimenti che vogliamo valutare.
La teoria della valutazione degli investimenti risponde ai primi due problemi
introducendo il concetto del ‘costo del capitale medio ponderato’ (weighted
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
153
average cost of capital, WACC) e di ‘valore attuale modificato’ (VAM) di un
investimento.
Il WACC è la media ponderata del costo del capitale azionario k E e del costo netto
del capitale di debito k D, in cui i pesi sono considerati rispetto al valore di mercato
(market value) del capitale azionario (E) e del capitale di debito finanziario (D),
non rispetto al valore contabile (book value):
WACC = D E k E D
Dk
E D
E ⋅
++⋅
+
In presenza di imposte (con aliquota sul reddito d’impresa pari a t c) il
finanziamento con equity piuttosto che con debito non è equivalente, poiché gli
interessi sul debito possono essere dedotti dal reddito mentre i dividendi no: in altreparole, il costo netto del capitale di debito k D è più contenuto rispetto al tasso lordo
di indebitamento r D (che rappresenta il tasso di remunerazione contrattuale del
debito):
k D = r D · (1 – t c)
WACC = D E r E D
Dk
E D
E ⋅
++⋅
+· (1 – t c)
Ad esempio, se abbiamo la possibilità di indebitarci al tasso del 6%, e l’aliquotafiscale sul reddito è pari al 40%, in realtà su ogni euro pagato in interessi passivi
riusciremo a ‘far rientrare’ 0,4€ risparmiando in imposte. Il costo ‘reale’ del debito
sarà quindi pari al 60% del tasso (ovvero 3,6%).
Se invece l’aliquota fiscale fosse pari a zero, ricadremmo nelle ipotesi delle
Proposizioni I e II di Modiglioni e Miller. In tal situazione abbiamo già mostrato,
nel Capitolo 2, che il rendimento delle attività dell’impresa è costante e non
dipende da come l’impresa è finanziata. Infatti partendo dalla Proposizione II si
otterrebbe:
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
154
r E = )( AA r r E
Dr −⋅+
r A = )1( / )1( / E
E
D
E
Dr
E
Dr +⋅++ =
)()(
E
E D
Dr
E D
E r
+
⋅+
+
⋅ = WACC = costante
Attualizzare flussi finanziari di un progetto di investimento con il costo del capitale
medio ponderato WACC consente di tenere conto del fatto che il costo del capitale
per l’impresa può essere inferiore al tasso k E per due motivi: (i) finanziarsi con
debito è relativamente più conveniente rispetto al capitale azionario, grazie alla
deducibilità fiscale degli interessi, (ii) l’impresa può comunque (a maggior
ragione) sfruttare la ‘leva finanziaria’ raccogliendo capitale di debito per finanziare
progetti di investimento con rendimento superiore, e amplificando il rendimento
atteso per gli azionisti (Proposizione II di Modigliani e Miller). I flussi da scontaresaranno quelli ‘unlevered ’ (cioè quelli che l’impresa registrerebbe se non ci fosse il
debito).
Il VAM (‘valore attuale modificato’) è invece la somma del VAN, valore attuale
netto, e del valore attuale del finanziamento.
VAM = VAN base + VA(finanziamento)
L’idea è quella di separare la valutazione dell’investimento, di cui misureremo il
VAN come se fosse generato da un’impresa unlevered finanziata solo con equity(‘VAN base’) rispetto al valore attuale del finanziamento, che dipende invece dalle
scelte finanziarie e dagli effetti collaterali che esse generano.
• Il segnalibro
Le definizioni del WACC (weighted average cost of capital) e del VAM (valore
attuale modificato) sono introdotte anche nel Volume ‘Gestire le Risorse
dell’Impresa’, Capitolo 4, Paragrafo 4.2, nell’ambito dei modelli di valutazione dei
progetti di investimento.
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
155
Il VAN base sarà calcolato scontando i flussi di cassa che il progetto genera nel
caso non esista il debito (quindi, i flussi operativi al netto delle tasse) attraverso il
costo del capitale k E unlevered .
Il valore attuale del finanziamento viene determinato considerando tutti i flussi
differenziali connessi alla decisione di finanziamento (ad esempio risparmi o maggiori
oneri fiscali, possibili costi di agenzia e costi del dissesto, costi di collocamento titoli).
Peraltro, il VAM può tenere conto di tutti gli effetti collaterali del finanziamento,
mentre l’uso del WACC tiene conto solo dell’eventuale risparmio fiscale.
È importante osservare che il valore misurato dal VAM e attraverso il WACC non
è il valore del progetto per gli azionisti, ma il valore per tutti coloro che lo hanno
finanziato (azionisti e detentori del debito).
I metodi del WACC e del VAM devono però essere applicati con attenzione. Il
costo del capitale azionario k E non può essere considerato indipendente dal mix
debito / equity. Ad un livello di indebitamento crescente corrisponde un costo del
capitale azionario crescente (si veda la Proposizione II di Modigliani e Miller), così
come è probabile che per un elevato livello dell’indebitamento il tasso di
remunerazione del capitale di debito r D sia anche esso crescente, poiché i
finanziatori chiedono un premio per la maggiore rischiosità del debito.
Figura 4.18 – Andamento del costo del capitale azionario k E , del tasso di remunerazione
del debito r D e del WACC in funzione del leverage D/E dell’impresa.
k E
D/E
r D
WACC
k* k*
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
156
La Figura 4.18 sintetizza questa ipotesi tipica: quando l’impresa non è indebitata
(leverage D/E = 0), il costo del capitale coincide con il costo del capitale
dell’impresa unlevered (indichiamolo con k *); al crescere del debito invece sia il
costo del capitale k E , sia ad un certo punto il tasso nominale del debito r D
cresceranno, determinando un costo medio ponderato del capitale prima
decrescente (se r D < k *) poi crescente.
Per mettere in relazione il costo del capitale delle diverse fonti di finanziamento
con il WACC dell’impresa possiamo invocare due formule: (i) la formula di Miles
e Ezzell, oppure (ii) la formula di Modigliani e Miller.
La formula di Miles e Ezzell mette in relazione il costo medio ponderato del
capitale (WACC) con il costo del capitale azionario che avrebbe l’impresa se fosse
finanziata solo con capitale azionario k* (riportato anche nella Figura precedente),
considerando il livello L del leverage del progetto (calcolato come valore del
debito contratto su valore finanziario di mercato totale del progetto, non contabile),
l’aliquota fiscale sul reddito t C , il tasso di indebitamento r D:
WACC = k * – L ⋅ r D ⋅ t c ⋅ )1(
*)1(
Dr
k
++
La formula di Modigliani e Miller è simile, vale solo per progetti che generano
flussi di cassa costanti all’infinito, ma fornisce un’ottima stima del valore del
progetto anche in altri casi:
WACC = k * ⋅ (1 – L ⋅ t c)
Entrambe le formule ci permettono di ricavare indirettamente il costo del capitale
azionario k E implicito nel WACC (che non è uguale a k*), poiché vale:
WACC = D E r E D
Dk
E D
E ⋅
++⋅
+· (1 – t c) = (1 – L) · k E + L · r D · (1– t c) ⇒
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
157
k E =)(1
)1(WACC
L
t r L c D
−−⋅⋅−
Le due formule sono differenti, perché diverse sono le ipotesi alla base sullemodalità di finanziamento dell’investimento, come sarà chiaro dall’esempio
seguente. Entrambe ipotizzano implicitamente che il livello L del leverage di
finanziamento del progetto sia lo stesso degli altri investimenti già esistenti. Se così
non fosse, vuol dire che l’impresa intende modificare la propria capacità di
indebitamento. Ad esempio, se un progetto viene finanziato per il 90% da debito
mentre le altre attività sono finanziate solo per il 50% da debito, vuol dire che
l’impresa sta ‘scaricando’ una porzione del debito sulle attività esistenti.
Le formule sono però utili anche nei casi in cui i progetti di investimento da
valutare non siano finanziati esattamente come è finanziata l’impresa. In tal caso illivello L deve rispecchiare il leverage effettivo del progetto, e come effetto si
otterrà un maggiore costo del capitale (sia riferito al WACC sia al solo capitale
azionario) rispetto a quello corrente.
• Esempio
Si consideri il caso di un investimento effettuato da un’impresa, che ha le seguenti
caratteristiche:
Investimento iniziale I 0 = 100.000€
Flusso di cassa annuale legato alla gestione operativa generato dall’investimento, apartire dall’anno t =1, F = 28.000€ (al lordo del prelievo fiscale)
Ipotizziamo che l’investimento iniziale venga finanziato interamente con capitale
proprio e, per semplicità, che la rendita generata dal progetto sia perpetua.
L’aliquota fiscale t c sul reddito d’impresa è pari al 36%. Il costo del capitale
azionario k * è pari al 15%.
Determiniamo il VAN dell’investimento, considerando la rendita annuale al netto
delle tasse F * e sfruttando la formula della perpetuity:
F * = F ⋅ (1 – t c) = 17.920€
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
158
VAN = ∑∞
= ++−
1*
*
0)1(t
t k
F I =
*
*
0k
F I +− = 19.467€
Il VAN così calcolato rappresenta il ‘VAN base’ del progetto.
Può essere interessante determinare il tasso interno di rendimento TIR (o internal
rate of return) del progetto:
VAN = ∑∞
= ++−
1
*
0 )1(t t TIR
F I =
TIR
F I
*
0 +− = 0 da cui TIR = 17,92%
Consideriamo invece come la determinazione del valore del progetto interagisce
con alcune scelte di finanziamento alternative rispetto al ‘caso base’:
• L’investimento viene finanziato con un aumento di capitale attraverso
un’offerta pubblica; gli intermediari incaricati del collocamento chiedono una
commissione pari al 4% del controvalore dell’offerta
La formula più immediata da utilizzare è quella del VAM:
VAM = VAN base + VA (finanziamento)
Il valore attuale del finanziamento è semplicemente il margine richiesto dagli
intermediari (considerando la deducibilità fiscale del costo):
VA (finanziamento) = –4% (100.000€) · (1 – 36%) = –2.560€
VAM = 19.467€ – 2.560€ = 16.907€
Il valore del progetto decresce: la creazione di valore derivante dall’operazione
viene parzialmente assorbita dal compenso per gli intermediari finanziari.
• Supponiamo che invece di essere finanziata solo con equity l’impresa è
finanziata anche da debito, e si intende finanziare il nuovo progetto per 1/3 di
I 0 attraverso l’accensione di un mutuo bancario, con pagamento di interessi
annuali pari al 9%.
In questo caso, a parità del resto, non possiamo più dire che il costo del capitale
azionario k E sarà pari sempre al 15%. Esso vale per l’impresa unlevered : in realtà,
noi sappiamo che essendo indebitata l’impresa avrà un costo del capitale totale più
basso del 15% e un costo del capitale azionario più elevato. Inoltre, non possiamo
dire che l’effettiva incidenza del debito sia pari a 1/3, perché essa va calcolata sul
valore totale del progetto.
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
159
Partiamo calcolando il VAM. In questo caso per determinare il valore attuale del
finanziamento occorre determinare il flusso finanziario annuale RF legato al
risparmio fiscale. Esso sarà pari al 36% degli oneri finanziari, calcolati sul debito
contratto (33.333€). Infatti, per ogni euro pagato come interesse sul debito, èpossibile risparmiare 0,36€ nel pagamento di imposte.
RF = t c ⋅ r D · D = 36% · 9% ⋅ 33.333€ = 1.080€
Assumendo che l’indebitamento sia perpetuo, il valore attuale del risparmio fiscale
è pari ad una perpetuity, che però andrà scontata non al costo del capitale azionario,
ma al costo del capitale di debito. La ragione è che i flussi finanziari legati al
progetto di investimento sono rischiosi, mentre i flussi legati al risparmio fiscale
sono perfettamente prevedibili, essendo noto il valore del debito contratto
dall’impresa.
VA (finanziamento) = Dr
RF = 12.000€
VAM = VAN base + VA (finanziamento) = 31.467€
Il valore del progetto è ovviamente maggiore rispetto al ‘caso base’, grazie
all’incremento del debito (che genera maggiori risparmi in imposte e permette di
amplificare la redditività per gli azionisti grazie alla ‘leva finanziaria’). Si noti
anche che abbiamo attualizzato al costo lordo del debito (r D) e non al costo netto
(k D) poiché abbiamo già tenuto conto del risparmio fiscale al numeratore. In caso
contrario avremmo conteggiato due volte lo stesso vantaggio.
Il valore totale V del progetto è pari a:V = I 0 + VAM = 131.467€
Il peso effettivo L del debito raccolto D sul valore del progetto è inferiore a 1/3,
pari al 25,35% (ovvero 33.333€ su 131.467€) mentre il peso del capitale azionario
E è pari al 74,65% (la parte residua).
Per determinare il WACC applichiamo la formula di Modigliani e Miller:
WACC = k * ⋅ (1 – L ⋅ t c ) = 13,6308%
Per determinare il costo del capitale azionario k E applichiamo la definizione del
WACC:
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
160
WACC = D E r E D
Dk
E D
E ⋅
++⋅
+· (1 – t c) = 74,65% ⋅ k E + 25,35% ⋅ 9% ⋅ (1 – 36%)
WACC = 13,6308% ⇒ (salvo arrotondamenti) k E = 16,30%
Come si prevedeva, il costo del capitale azionario per l’impresa indebitata èsuperiore al costo del capitale azionario k
* ‘unlevered ’.
Verifichiamo che il rendimento atteso del capitale azionario è proprio pari a k E ,
confrontandolo con il rapporto fra reddito netto RN generato dal progetto per gli
azionisti, al netto di interessi sul debito e imposte, e valore dell’equity E :
RN = (F – r D ⋅D) ⋅ (1 – t C ) = 16.000€
E
RN =
33.333-131.46716.000
= 16,30%
Il valore del progetto utilizzando il WACC sarà:
VAN = ∑∞
= ++−
1
*0
)1(t t
WACC
F I =
WACC
F I
*0 +− = 31.467€
Si noti che il flusso di cassa F* considerato è lo stesso impiegato nel calcolo del
VAN ‘base’. Non tiene conto del flusso di interessi passivi sul debito, perché sono
considerati un flusso positivo di reddito, che remunera comunque l’investimento.
Dunque, applicando la formula del WACC il risultato a cui perveniamo è lo stesso
ottenuto con la formula del VAM.
Vale la pena osservare che nel calcolo del VAM i risparmi fiscali potranno essere
considerati privi di rischio se realmente l’impresa avrà un reddito imponibile
positivo negli anni futuri. In caso contrario, i risparmi fiscali potrebbero essere non
effettivi, e quindi dovranno essere considerati rischiosi, come avviene nel punto
successivo.
• Come nel punto precedente, ma si intende ribilanciare il livello del debito
futuro ogni anno, per mantenere costante il leverage
In questo caso l’obiettivo è mantenere in ogni anno futuro un rapporto L debito /
valore del progetto costante. In altre parole, se per caso ci accorgiamo che nel
futuro i flussi di reddito generati dal progetto saranno maggiori rispetto alle
aspettative, incrementeremo leggermente il debito. Al contrario, se per caso i flussi
operativi saranno minori rispetto alle aspettative, ridurremo il debito.
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
161
La differenza rispetto al caso precedente è la seguente: in ogni istante di tempo
futuro il livello degli oneri finanziari correnti è noto, ma non è conosciuto negli
anni successivi. Il flusso legato al risparmio fiscale è noto, in ogni istante futuro,
solo per i 12 mesi successivi dal momento che all’inizio di ogni anno fisseremo illivello di D fino all’anno dopo: esso andrà attualizzato utilizzando per un anno il
costo del capitale di debito r D, e per gli altri anni il costo del capitale azionario k*
(ovvero quello relativo all’impresa ‘unlevered ’, se no terremmo conto due volte
dell’effetto del risparmio fiscale).
Calcoliamo quindi il valore attuale del finanziamento:
VA (finanziamento) = ∑∞
= +⋅+11-*)(1)(1t
t
Dk r
RF = ∑
∞
= +⋅
++
1*
*
)(1)(1
)1(
t t
D k
RF
r
k =
*
*
)(1
)1(
k
RF
r
k
D
⋅++
VA (finanziamento) = 7.596€
VAM = VAN base + VA (finanziamento) = 27.063€In questo caso il valore attuale del finanziamento è inferiore rispetto al caso
precedente, poiché stiamo considerando non conosciuti con certezza, ma
dipendenti dall’esito del progetto, i risparmi fiscali associati al debito.
Il valore totale V del progetto è pari a:
V = I 0 + VAM = 127.063€
Il peso effettivo L del debito raccolto D sul valore del progetto è superiore rispetto
al caso precedente, pari al 26,23% (ovvero 33.333€ su 127.063€) mentre il peso del
capitale azionario E è pari al 73,77% (la parte residua).
Mostriamo come si arriva allo stesso risultato calcolando il WACC, ma questavolta applicando la formula di Miles e Ezzell:
WACC = k * – L ⋅ r D ⋅ t c⋅ )1(
*)1(
Dr
k
++
= 14,1032%
VAN = ∑∞
= ++−
1
*
0)1(t
t WACC
F I =
WACC
F I
*
0 +− = 27.063€
Per determinare il costo del capitale azionario torniamo ad applicare la definizione
del WACC:
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
162
WACC = D E r E D
Dk
E D
E ⋅
++⋅
+· (1 – t c) = 73,77% ⋅ k E + 26,23% ⋅ 9% ⋅ (1 – 36%)
WACC = 14,1032% ⇒ (salvo arrotondamenti) k E = 17,07%
Il costo del capitale azionario è superiore anche rispetto al caso precedente, dalmomento che stiamo giudicando ‘più rischiosi’ i flussi di cassa del progetto, in
particolare legati al risparmio fiscale.
Verifichiamo ancora che il rendimento atteso del capitale azionario è pari a k E :
RN = (F – r D ⋅D) ⋅ (1 – t C ) = 16.000€
E
RN =
33.333-127.063
16.000= 17,07%
Si conclude che la formula di Miles e Ezzell è coerente con una politica di
ribilanciamento del debito durante la vita utile dell’investimento, per mantenere
costante l’incidenza sul valore del progetto, mentre la formula di Modigliani eMiller considera lo stock del debito come fisso.
• Infine, consideriamo il caso in cui l’impresa è indebitata per il 25% del valore
di mercato dei propri investimenti, mentre il progetto in questione viene
finanziato per il 50% del suo valore con debito bancario, alle stesse condizioni
di prima (con ribilanciamento annuo del livello D)
Implicitamente, nei casi precedenti si era ipotizzato che il peso L del debito sul
valore del progetto fosse uguale a quello di tutti gli altri investimenti. Nell’ultimo
caso, ad esempio, così come l’incidenza del nuovo debito sul valore del progetto
era pari al 26,23%, la stessa incidenza doveva avere il debito esistente su altriprogetti già esistenti nelle attività aziendali. In questo caso invece l’impresa intende
ampliare la propria capacità di indebitamento.
L’errore classico sarebbe calcolare il costo medio del capitale considerando il costo
del capitale azionario corrente (k E = 17,07%):
WACC = 50% ⋅ 17,07% + 50% ⋅ 9% ⋅ (1 – 36%) = 11,415%
Con un tasso di attualizzazione così contenuto, il progetto apparirebbe molto
interessante.
In realtà dalla formula di Miles e Ezzell ricaviamo:
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
163
WACC = k * – L ⋅ r D ⋅ t c ⋅ )1(
*)1(
Dr
k
++
= 15% – 50% ⋅ 9% ⋅ 36% ⋅ (1,15) / (1,09)
WACC = 13,2908%
Il valore del progetto diventa:
VAN = ∑∞
= ++−
1
*
0)1(t
t WACC
F I =
WACC
F I
*
0 +− = 34.830€
Possiamo mostrare che il livello del debito D che corrisponde al rapporto L pari al
50% è pari a:
D = 50% ⋅ (VAN + I 0) = 67.419€
Gli oneri finanziari attesi ogni anno sarebbero pari al 9%, con un risparmio fiscale
annuo RF pari a:
RF = t c ⋅ 9% ⋅ 67.419€ = 2.184,38€
Calcoliamo il VAM:
VA (finanziamento) = ∑∞
= +⋅+11-*)(1)(1t
t
D k r
RF =
*
*
)(1
)1(
k
RF
r
k
D
⋅++
= 15.363€
VAM = VAN base + VA (finanziamento) = 34.830€
Il costo del capitale k E sostenuto dagli azionisti che finanziano il progetto per il
50% può essere ricavato da:
WACC = ⋅⋅+
+⋅+ D E r
E D
Dk
E D
E (1 – t c) = 50% ⋅ k E + 50% ⋅ 9% ⋅ (1 – 36%) = 13,2908%
k E = 20,82%Il costo del capitale è quindi molto più alto rispetto a quello prevedibile, a causa
dell’ampliamento della capacità di debito.
Riassumendo, nel seguente schema vengono riassunti i risultati dell’analisi:
Ipotesi iniziale Valore netto progetto Costo del capitale k E
Caso base (impresa finanziata solo con equity) 19.467€ 15,00%
Raccolta di capitale con offerta pubblica 16.907€ 15,00%
Indebitamento di importo costante predeterminato 31.467€ 16,30%
Indebitamento con leverage costante (ribilanciato) 27.063€ 17,07%
Indebitamento con leverage superiore all’attuale 34.830€ 20,82%
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
164
Ricordiamo che in tutte le situazioni si ipotizza implicitamente che il profilo di
rischio sistematico del progetto sia uguale a quello degli altri progetti in
portafoglio.
Infine, dobbiamo considerare il terzo problema, ovvero il fatto che non tutti i
progetti di investimento presentano lo stesso profilo di rischio sistematico al di là
di come sono finanziati. Il tema viene affrontato nelle prossime pagine.
La Figura 4.19 rappresenta, questa volta sul piano beta-rendimento, la security
market line, ovvero la retta di equilibrio dei rendimenti attesi associati ai diversi
titoli azionari presenti sul mercato in funzione del loro beta, e quindi del rischio
sistematico. Essa deriva direttamente dalla relazione fondamentale del CAPM, e
suggerisce anche quali investimenti dovrebbero essere accettati piuttosto che
rifiutati dall’impresa, in funzione della loro rischiosità (cioè del beta dell’investimento) e del rendimento del capitale azionario atteso k . In particolare,
saranno accettati gli investimenti che si posizionano a sinistra della security market
line, mentre saranno rifiutati quelli che si posizionano a destra della retta. Il tasso di
rendimento degli investimenti accettati dovrà infatti comprendere un premio per il
rischio tanto più elevato quanto più essi contribuiscono ad incrementare al margine
il rischio dell’impresa.
Figura 4.19 – La security market line sul piano beta-rendimento.
k
β
r f
0
k M
1Titoli difensivi Titoli aggressivi
Investimenti da rifiutare
Investimenti da accettare
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
165
Non è del tutto corretto, quindi, affermare che un investimento andrebbe
implementato se il suo tasso interno di rendimento TIR (o internal rate of return,
IRR) è superiore al costo del capitale k ; ciò vale a parità di rischio: se così non
fosse bisogna considerare anche l’effetto che l’investimento ha sulla rischiosità del
portafoglio di attività esistenti.
In altre parole, stiamo dicendo che se un investimento presenta un grado di rischio
non diversificabile diverso da quelle delle altre attività dell’impresa (ad esempio la
volatilità dei flussi di reddito attesi è maggiore), modificherà il rischio sistematico
dell’impresa e quindi il beta dell’impresa.
La Figura 4.20 riassume le possibili conseguenze che la scelta di un investimento
può avere sull’equilibrio rischio-rendimento corrente dell’impresa, caratterizzato
da un certo costo del capitale k E (con cui si confronta il TIR del progetto) e dal beta
corrente del capitale azionario (che può essere incrementato o ridotto dalla
rischiosità del progetto o da come esso è finanziato).
Figura 4.20 – Selezione di investimenti, in base al tasso interno di rendimento.
La proprietà additiva dei beta ci permette di quantificare la variazione del beta del
capitale azionario rispetto ad una variazione della rischiosità degli assets. Se infatti
TIR
β
r f
0
k E
βcorrente
TIR>k
e rischio ridotto
OK
TIR<k ma rischioridotto
OK
TIR>k ma
rischio troppo elevato
NO
TIR<k e oltretutto rischio
incrementato
NOTIR<k e rischio ridotto
non in maniera sufficiente
NO
TIR>k che compensa
il maggiore rischio
OK
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http://slidepdf.com/reader/full/librofinanza 170/318
4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
166
il valore delle attività dell’impresa si suddivide fra valore dell’equity E e valore del
debito D, deve verificarsi anche:
β A = E D
E
+ · β E + E D
D
+ · β D
dove β A è il beta delle attività dell’impresa, β E il beta del capitale azionario (così
come rappresentato dal CAPM) e β D il beta del capitale di debito (che quindi
diventa un parametro di rischiosità del debito)5.
L’espressione precedente ci suggerisce diverse osservazioni:
1) se un progetto di investimento modifica il beta del portafoglio di attività
dell’impresa, possiamo ricavare di quanto varia β E , e quindi il premio per il
rischio da applicare al costo del capitale k (supponendo che la rischiosità deldebito non cambi);
2) se un progetto di investimento non modifica il rischio delle attività, ma
comunque viene finanziato con un mix debito/ equity diverso rispetto alla
struttura finanziaria dell’impresa (problema affrontato nelle pagine precedenti),
esso andrà a modificare ugualmente β E , e quindi il costo del capitale k (ad
esempio, se è finanziato con molto debito incrementerà il rischio del debito, e
quindi β D); infatti, abbiamo già visto come il costo del capitale deve essere
modificato attraverso le relazioni di Miles e Ezzell oppure di Modigliani e Miller;
se ad esempio ipotizziamo di considerare il debito dell’impresa non rischioso(β D=0) si ottiene, introducendo il peso del debito L sul valore degli assets:
β A = E D
E
+· β E = (1 – L) ⋅ β E
3) dal momento che anche β A rappresenta il beta di un portafoglio, e cioè la media
ponderata dei beta di tutti i progetti di investimento che compaiono nell’attivo
5
La formula implicitamente assume che il debito sia ribilanciato ogni anno per mantenerecostante il leverage dell’impresa.
5/12/2018 libro_finanza - slidepdf.com
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
167
di bilancio, le considerazioni precedenti diventano tanto più critiche nella
valutazione dell’impresa e degli investimenti quanto più consideriamo progetti
di grandi dimensioni, i cui effetti marginali sull’impresa e sul suo profilo di
rischio non sono trascurabili.
• Esempio
Un’impresa, non indebitata, può scegliere fra tre investimenti:
1) il primo investimento è caratterizzato da un profilo di rischio identico a quello
degli altri assets esistenti; si stima che grazie a questo investimento il valore fra
un anno delle attività dell’impresa sarà maggiore del 10% rispetto alle
aspettative diffuse oggi;
2) il secondo investimento genera aspettative sul valore fra un anno dell’equity
analoghe al punto precedente, ma è finanziato anche da nuovo debito(ribilanciato nel tempo);
3) il terzo investimento è finanziato solo con capitale proprio ma è più rischioso
rispetto al primo; si stima che grazie a questo investimento il valore fra un
anno delle attività dell’impresa sarà maggiore del 20% rispetto alle aspettative
diffuse oggi, ma farà incrementare di 2 punti percentuali il rischio non
diversificabile d’impresa percepito dagli investitori.
Si tratta di studiare gli effetti di ognuno di questi investimenti sul valore d’impresa
e sul costo del capitale. Per semplicità escludiamo eventuali effetti fiscali.
Il beta azionario corrente dell’impresa è pari a 1,18 mentre il prezzo corrente delleazioni P0 è pari a 7€. Il tasso risk free di mercato r f è pari al 3% annuo, il
rendimento atteso del portafoglio di mercato k M è pari al 9%, mentre il rischio del
portafoglio di mercato σM è pari al 4%.
Innanzitutto calcoliamo il tasso di rendimento atteso k del capitale azionario
implicito nel valore dell’azione. Dal Capital Asset Pricing Model si ottiene:
k = r f + β · (k M – r f ) = 10,08%
Il valore atteso P1 dell’azione fra un anno sarebbe attualmente:
P1 = P0 ⋅ (1 + k ) = 7,7056€
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
168
Se l’impresa lancia l’investimento 1), il valore atteso P1,1 sarà superiore del 10%
grazie alla creazione di valore del progetto (a parità di numero di azioni in
circolazione, si intende):
P1,1 = P1 ⋅ (1 + 10%) = 8,47616€Il costo del capitale k non varierà, dal momento che non vengono modificati né il
profilo di rischio dell’impresa, né la struttura finanziaria.
La reazione del mercato all’annuncio del progetto 1) dovrebbe essere tale da far
crescere il prezzo al livello P0,1:
P0,1 =)(1
1,1
k
P
+= 7,7€
Non a caso, l’incremento del valore dell’azione è uguale all’incremento di valore
atteso futuro (+10%).
Nel caso venga lanciato il progetto 2) bisogna considerare l’effettodell’indebitamento. Ormai sappiamo bene che il debito fa crescere il rendimento
atteso del capitale azionario e quindi il costo del capitale. Dal momento che il
progetto ha un profilo di rischio paragonabile agli altri investimenti aziendali, vorrà
dire che il beta delle attività rimarrà costante. Quando l’impresa non era indebitata,
esso era pari al beta dell’equity, ovvero 1,18. Adesso, se consideriamo per
semplicità il debito come privo di rischio, possiamo sfruttare la formula:
β A = E D
E
+· β E = (1 – L) ⋅ β E = 1,18
Se supponiamo che il peso del nuovo debito sul totale delle attività in portafoglio(compreso il nuovo investimento) sia pari al 5%, il beta dell’equity diventa:
β E = 1,18 / 0,95 = 1,2421
Si capisce bene che l’impresa, finanziando il nuovo progetto con debito, sta in
realtà ‘spalmando’ il rischio del progetto sulle altre attività esistenti, con un peso
del 5% sul loro valore.
Il CAPM predice il nuovo rendimento atteso del capitale azionario k 2 nel caso
venga lanciato il progetto 2):
k 2 = r f + βΕ · (k M – r f ) = 10,45%
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
169
È interessante osservare che potevamo arrivare allo stesso risultato applicando la
formula di Miles e Ezzell per tutto il capitale dell’impresa (in questo caso t C = 0):
WACC = k * – L ⋅ r D ⋅ t c ⋅
)1(
*)1(
Dr
k
+
+= k * = 10,08%
La formula ci dice che il costo medio ponderato del capitale non dovrebbe
cambiare (questo rispecchia l’invarianza della rischiosità delle attività in
portafoglio). Applicando la definizione del WACC e ricordando che il debito andrà
a pesare sul 5% del valore degli assets si ottiene:
WACC = D E r E D
Dk
E D
E ⋅
++⋅
+= 95% ⋅ k E + 5% ⋅3% = 10,08% ⇒ k E = 10,45%
Si noti che abbiamo dovuto ipotizzare che il tasso di remunerazione del debito sia
pari al tasso risk free di mercato, dal momento che il debito emesso dall’impresa è
considerato privo di rischio.Se le aspettative sono tali che il prezzo dell’azione fra un anno sarà sempre pari a
8,47616€, il prezzo di equilibrio oggi sarà:
P0,2 =)(1
1,1
E k
P
+= 7,674€
Il prezzo è inferiore al caso precedente, a causa del maggiore rischio percepito
dagli investitori, a parità di reddito.
Nel terzo caso, non abbiamo effetti legati alla struttura finanziaria, ma solo alla
modifica del profilo di rischio percepito dagli investitori. Attualmente il rischio
sistematico σNDIV implicito nel prezzo del titolo è pari a:
σNDIV = β ⋅ σM = 4,72%
Lanciando l’investimento, esso diventerebbe:
σNDIV = 4,72% + 2% = 6,72%
Il beta del titolo varierà, così come il rendimento atteso richiesto dagli azionisti:
β = σNDIV / σM = 1,68
k 3 = r f + βΕ · (k M – r f ) = 13,08%
Non a caso il rendimento atteso dagli azionisti cresce, poiché cresce il rischio e il
premio di rendimento esigibile dagli azionisti.
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
170
L’investimento avrà però un effetto positivo sulle aspettative relative a P1:
P1,3 = P1 ⋅ (1 + 20%) = 9,24672€
Le aspettative vengono scontate al nuovo tasso k 3:
P0,3 =)(1 3
1,3
k P+
= 8,177€
Si noti che l’incremento di valore dell’azione (+16,8%) è inferiore rispetto alla
creazione di valore attesa futura (+20%) proprio a causa del maggiore rischio
percepito dal mercato. La Figura 4.21 riassume il tutto sul piano beta-rendimento,
evidenziando la relazione positiva fra beta e costo del capitale azionario.
Figura 4.21 – La security market line dell’impresa considerata nell’esercizio.
• Il punto
Abbiamo visto come le alternative di finanziamento e la rischiosità più o meno
elevata di un progetto possono avere un impatto (positivo o negativo) sul valore
d’impresa e sul beta del capitale azionario. Se ne tiene conto o modificando il tasso
di attualizzazione dei flussi finanziari (attraverso il WACC, le formule di Miles e
Ezzell e di Modigliani e Miller) o calcolando il VAM (valore attuale modificato).
k
β
r f = 3%
0
k = 10,08%
1,18 1,24
k =13,08%
k = 10,45%
1,68
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
171
4.3.5 Altri modelli di equilibrio fra rischio e rendimento
Il CAPM è un modello di pricing dei titoli azionari molto conosciuto. Il parametro
beta è spesso impiegato come elemento di analisi per determinare il costo del
capitale k E nei processi di valutazione, e per prevedere il rendimento futuro di un
titolo, ma è lecito chiedersi se effettivamente i mercati azionari ‘funzionano’ così.
Purtroppo le verifiche empiriche del CAPM non hanno dato risultati molto
incoraggianti, tanto che sono state proposte numerose varianti. Del resto, la
precisione di un modello di pricing nel prevedere esattamente l’equilibrio di
mercato discende in ultima analisi dall’efficienza del mercato.
Nella realtà è chiaro che difficilmente i mercati sono efficienti in forma forte come
ipotizzato da Sharpe.
Del resto, il modello del CAPM mostra dei limiti intrinseci, ad esempio nel non
considerare un orizzonte multitemporale. Merton (1973) ha cercato di estendere il
CAPM in questa direzione attraverso un modello ( Intertemporal CAPM ) in cui il
premio per il rischio di ogni titolo azionario è associato anche alle opportunità di
investimento future.
Fama e French (1992) hanno proposto un modello multi-fattoriale (noto come
‘modello a 3 fattori’) in cui il rendimento atteso di un titolo dipende non solo dal
beta (e quindi dal rischio sistematico) ma anche dalla ‘dimensione’ dell’impresa, e
dalla composizione delle sue attività, in termini di rapporto market/book (M/B).
Diversi riscontri empirici mostrano infatti una sottovalutazione sistematica per le
imprese di piccola dimensione (SMB, small minus big portfolio) e per gli ‘income
stocks’ rispetto ai ‘growth stocks’ (HML, high minus low portfolio). A parità di
aspettative future, questo significa che in equilibrio questo tipo di imprese deve
mostrare un rendimento atteso maggiore.
Modello a 3 fattori di Fama & French: k = α + β1 · k M + β2 · SMB + β3 · HML
Successive ricerche hanno mostrato che (ancora una volta in barba a quanto la
teoria dell’efficienza vorrebbe negare) titoli azionari che nei 12 mesi precedenti
hanno registrato una performance migliore rispetto a quanto Fama & French
prevedono, probabilmente nei prossimi 12 mesi faranno altrettanto. È stata
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
172
proposta quindi una ulteriore variante (il modello ‘a 4 fattori’ di Fama, French &
Carhart) che tiene conto anche della performance passata dei titoli ( prior 1 year
momentum, PR1YR).
Modello di Fama, French & Carhart: k = α+ β1 · k M + β2 · SMB + β3 ·HML +β4 · PR1YR
Ross (1976) ha presentato un modello ( Arbitrage Pricing Theory, APT) in cui il
rendimento atteso di un’azione rispecchia l’effetto di una serie di variabili sia di
tipo macroeconomico sia specifiche della singola impresa (a tutte le quali viene
attribuito un premio per il rischio), ma senza alcuna definizione di un portafoglio di
mercato di equilibrio.
In una prospettiva del tutto diversa si pongono infine i modelli di analisi tecnica. In
questo caso è la lettura dei prezzi e dei volumi di scambio passati che permette di
inferire previsioni sugli andamenti futuri. La teoria dell’analisi tecnica, partendo
dai primi contributi di Dow (fondatore del Wall Street Journal), si è evoluta
rapidamente negli ultimi anni. Le sue basi muovono dall’identificazione di trend di
lungo, di medio e di breve periodo nell’andamento dei prezzi di mercato, e
nell’anticipazione di fasi di accumulo, espansione e flessione che si succedono nei
cicli borsistici. Gli strumenti utilizzati spaziano dall’analisi grafica, al calcolo di
medie mobili e di momenti oscillatori, fino a più sofisticati modelli basati su reti
neurali e algoritmi genetici.
È chiaro che i modelli di analisi tecnica negano che il mercato sia efficiente
addirittura in forma debole, perché altrimenti nessuno potrebbe ottenere buoni
risultati di previsione da modelli che guardano al prezzo passato dei titoli.
• Il punto
Abbiamo terminato l’analisi dei modelli di pricing dei titoli azionari mettendo in
evidenza che accanto ai modelli basati sulla stima della redditività (analizzati nel
Paragrafo 4.2) e sull’analisi del rischio (Paragrafo 4.3) esistono anche altri modelli, come
il modello di Fama e French, l’ Arbitrage Pricing Theory (APT) e l’Analisi Tecnica.
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
173
4.4 L’emissione di titoli azionari
Nei paragrafi precedenti si sono introdotte tutte le caratteristiche e i modelli di
valutazione dei titoli azionari. A questo punto è possibile analizzare le diverse
tecniche di raccolta di capitale di rischio attraverso un ‘aumento di capitale’.
Una prima distinzione può essere fatta fra raccolta di capitale sul mercato aperto ed
emissioni riservate ( private placements): nel primo caso l’impresa si rivolge al
pubblico indistinto dei risparmiatori, offrendo titoli in sottoscrizione, mentre nel
secondo caso l’impresa individua un intermediario esclusivo come finanziatore. È
chiaro che la raccolta di capitale presso il pubblico richiede come condizione
necessaria l’ingresso dell’impresa su un mercato borsistico, dove gli investitori
possano agevolmente vendere o comprare i titoli. Laddove invece il finanziamento
con capitale di rischio non transita attraverso il mercato borsistico, si parla di
‘ private equity’.
Infine, l’impresa può anche proporre in primo luogo la sottoscrizione di nuovi titoli
in opzione agli azionisti esistenti, i quali possono decidere se aderire e versare
nuovo capitale, oppure vendere il diritto di sottoscrizione sul mercato borsistico. In
questo caso essi dunque hanno priorità rispetto al pubblico nella sottoscrizione dei
titoli di nuova emissione.
4.4.1 Private equity placements e venture capital
L’impresa che intende raccogliere nuove risorse può innanzitutto rivolgersi a
finanziatori legati al gruppo imprenditoriale esistente (inside equity). A fronte
dell’emissione di nuovi titoli, possono essere conferite all’impresa risorse come
liquidità piuttosto che brevetti, immobili, impianti o altri assets.
A volte però può essere necessario rivolgersi a finanziatori esterni (outside equity),
che in generale possono essere investitori istituzionali (istituti di credito, fondi di
investimento, banche d’affari) oppure partners strategici (ad esempio grandi gruppi
industriali) il cui coinvolgimento non si limita all’apporto finanziario ma anche alla
gestione operativa e strategica. In genere si usa fare ricorso a queste forme di
finanziamento – che non coinvolgono un pubblico indistinto di investitori – con il
termine private equity placements.
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
174
Il private equity interviene nel finanziamento dell’impresa in tutte le fasi del suo
ciclo di vita, in particolare quando la società non è quotata in Borsa. Molto spesso i
finanziatori coinvolti sono investitori istituzionali (fondi comuni, banche private,
finanziarie appartenenti a gruppi industriali) interessati a sostenere la crescita e
l’espansione dell’impresa (bridge financing) per sfruttare le opportunità di
creazione di valore.
Il finanziamento attraverso private equity è certamente fondamentale per le imprese
che operano in settori caratterizzati da una rischiosità elevata e da una forte
intensità di attività intangibili, come i comparti high-tech. Esse, non potendo
accedere (per mancanza di adeguate garanzie ed assets recuperabili) al debito,
possono subire notevoli penalizzazioni nel finanziamento delle attività se non si
rendono disponibili capitali di rischio immobilizzabili per un tempo
sufficientemente lungo. Il vincolo può essere ancora più stringente nella fase di
start-up e per le imprese di piccole dimensioni, perché più rischiose rispetto alle
altre, e perché incapaci di generare liquidità e cash flows tali da remunerare
eventuali prestiti.
La difficoltà per queste imprese di reperire capitale sta anche nel fatto che
l’orizzonte di finanziamento dei loro investimenti è sensibilmente prolungato nel
tempo, e molti intermediari non possiedono le competenze necessarie per valutare
il loro business.
Da questo punto di vista risulta indispensabile l’esistenza di investitori altamente
specializzati, disponibili a sottoscrivere capitale di rischio, ma anche a fornire
competenze manageriali, attività di monitoring, consulenza e contatti con fornitori
e clienti potenziali. Quando questa attività coinvolge iniziative imprenditoriali
nascenti, o ancora in fase di incubazione, in settori rischiosi e ad alta tecnologia, si
parla di venture capital.
Il processo di finanziamento può essere suddiviso in quattro fasi (si veda la Figura
4.22): (i) l’esame del business plan, (ii) la definizione del contratto di
finanziamento, (iii) il finanziamento vero e proprio e (iv) la dismissione
dall’investimento (exit ).
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
175
Figura 4.22 – Fasi dell’attività di venture capital.
Il business plan è il documento sottoposto al finanziatore dal gruppo
imprenditoriale che intende fondare l’impresa, o che l’ha appena fondata (start-up).
I possibili finanziatori sono i genere fondi di investimento, società finanziarie
pubbliche o appartenenti a gruppi privati (corporate venture capitalists) o anche
persone fisiche (business angels). Il documento contiene dati sulla strategia e sugli
obiettivi dell’impresa, un prospetto di budget e stime sui flussi di cassa futuri
generati dall’impresa. Esso viene esaminato dai finanziatori, con l’obiettivo di
individuare i progetti più promettenti (attività di seed , ovvero di esame delle
opportunità imprenditoriali). Il tasso di rifiuto delle proposte non giudicate idonee è
spesso molto alto.
La seconda fase è quella della definizione del contratto. Il venture capitalist deve
tutelarsi da comportamenti opportunistici del management (estrazione di benefici
privati, inefficienza, … insomma tutti i problemi evidenziati nel Paragrafo 2.4). A
tal fine, viene stipulato un contratto molto dettagliato, che definisce
minuziosamente il comportamento delle parti. Molto spesso, il finanziatore si
riserva il diritto di estromettere dal controllo l’imprenditore, se a suo giudizio
l’impresa non dovesse essere amministrata correttamente.
Il finanziamento avviene attraverso l’acquisto di una frazione minoritaria del
capitale e di titoli convertibili. Esso non viene erogato subito interamente, ma in
fasi successive (stage financing) così da lasciare più potere contrattuale al
finanziatore nel caso non siano stati conseguiti gli obiettivi dichiarati nel business
plan. Come detto, l’intervento del venture capitalist non è solo di tipo finanziario,
ma anche manageriale. Egli apporta competenze aziendali spesso mancanti
nell’impresa in fase di start-up, così come mette a disposizione la propria
esperienza e una rete di contatti per la potenziale clientela.
Esame delbusiness plan
Definizione delcontratto Finanziamento Exit
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
176
Ovviamente l’obiettivo ultimo del finanziatore è maturare un capital gain
sull’investimento uscendone al momento opportuno. L’exit dall’impresa può
avvenire in diversi modi:
1) attraverso la cessione della quota azionaria agli imprenditori (buy-out ) che
rilevano la totalità del capitale, oppure ad investitori esterni (ad esempio gruppi
industriali interessati al know-how maturato nell’impresa);
2) attraverso la cessione dei titoli in offerta pubblica, accompagnata dalla
quotazione in Borsa dell’impresa (IPO, Initial Public Offering); in tal caso è
raro però che il venture capitalist ceda tutto il capitale posseduto, perché
intende segnalare al mercato la sua fiducia sul futuro dell’impresa;
3) abbandonando l’impresa a sé stessa nel caso di risultati inferiori alle aspettative
(write-off ).
È chiaro che l’esistenza di mercati finanziari e borsistici efficienti che possano
facilitare l’exit dall’investimento è una condizione necessaria per lo sviluppo del
venture capital.
• Il punto
Il finanziamento attraverso private equity consiste nell’emissione di capitale
azionario riservata a soggetti esterni al management . Il venture capital è una
particolare forma di private equity che finanzia imprese nascenti e in fase di start-
up tipicamente in settori ad alta tecnologia e alto rischio.
L’interesse verso il private equity ha generato un’evoluzione nelle tecniche di
finanziamento, nella costante ricerca da parte degli investitori di garanzie adeguate
e di strumenti di contenimento del rischio. Alcune fra le tecniche nate più di
recente sono: (i) il private investment in public equity (PIPE), (ii) il death spiral
financing, e (iii) le equity lines of credit .
I contratti di private investment in public equity sono vere e proprie forme di
investimento di tipo equity, in cui l’investitore acquista titoli azionari dell’impresa
finanziata. L’unica peculiarità risiede nel fatto che il finanziamento è condizionato
all’impegno da parte dell’impresa di promuovere una successiva offerta pubblica in
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
177
cui il finanziatore si riserva l’opzione di reselling, ovvero di rivendere sul mercato i
titoli acquistati. L’impegno serve a garantire la possibilità di exit dell’investimento.
Il death spiral financing è un contratto nel quale un’impresa (questa volta quotata)
ottiene un finanziamento sotto forma di private equity, fissando non il prezzo delle
azioni cedute e il loro numero, ma l’ammontare totale in termini di valore di
mercato. Se esso scende, il finanziatore otterrà dei nuovi titoli, in misura crescente
fino a quando l’impresa eventualmente fallisce. Ad esempio, se l’impresa ha un
valore stimato pari a V , e il finanziamento è pari ad K = αV , il finanziatore otterrà
in azioni una percentuale α del capitale dell’impresa. Se però successivamente il
valore di mercato dell’impresa si dimezza, il finanziatore avrà diritto ad ottenere
nuove azioni fino a detenere una percentuale 2α, in maniera da mantenere costante
il proprio valore di portafoglio. È chiaro che questo sistema costringe le imprese in
crisi in una sorta di ‘circolo vizioso’ dal quale è difficile uscire, a maggior ragionese si pensa che l’investitore può essere incentivato a vendere allo scoperto titoli
della società finanziata, per spingere al ribasso il valore di mercato, e ottenere una
percentuale del capitale più elevata.
Le equity lines of credit rappresentano delle linee di finanziamento aperte in via
continuativa da un istituto finanziario a favore di un’impresa; sono simili alle linee
di credito bancarie tradizionali, ma consistono nella sottoscrizione di tranches di
titoli azionari e non di debito.
4.4.2 La quotazione sui mercati borsisticiNel momento in cui un’impresa intende aprire un canale di finanziamento diretto
con il pubblico indistinto dei risparmiatori, è necessario che essa si quoti su un
mercato borsistico, dove gli investitori possono agevolmente comprare e vendere i
suoi titoli. Nondimeno, abbiamo appena mostrato che l’esistenza di mercati
borsistici efficienti è importante anche per lo sviluppo del private equity.
I mercati borsistici sono mercati regolamentati e centralizzati nei quali vengono
scambiate in forma trasparente attività reali o finanziarie. In genere sono gestiti
come associazioni mutualistiche dei brokers partecipanti; più recentemente diversi
mercati sono stati affidati in gestione a società per azione private con scopo di
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
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lucro, tanto che non è infrequente che la società di Borsa stessa sia quotata sul
proprio listino.
I mercati borsistici hanno sostanzialmente quattro obiettivi: (i) centralizzare gli
scambi di titoli finanziari in maniera tale da generare mercati sufficientemente
liquidi ed efficienti, facendo incrociare domanda e offerta; (ii) pubblicare la
quotazione dei titoli stessi, istante per istante, derivante dall’insieme dei contratti
registrati, e diffondere l’informativa sulle società del mercato; (iii) offrire agli
investitori adeguate garanzie di trasparenza e di equità sugli scambi; (iv) consentire
all’impresa di accedere ad un vasto pubblico di potenziali investitori e finanziatori.
Le modalità attraverso le quali un’impresa può essere ammessa alla negoziazione
su in Borsa dipendono dalle regole di ammissione imposte dalle autorità che
gestiscono il mercato. In genere queste regole si basano su vincoli relativi alla
dimensione minima dell’impresa (in termini di attivo contabile di bilancio o
capitalizzazione prevedibile), trasparenza dei bilanci, redditività attuale o
potenziale, dimensione del capitale flottante sul mercato (per garantire la liquidità
degli scambi).
Può accadere che una società venga ammessa a quotazione in Borsa appena dopo
essere stata costituita, quando ancora non ha una attività operativa propria, ma solo
sulla base di un piano strategico di successive acquisizioni e investimenti,
finanziate proprio con il capitale raccolto in Borsa. In tal caso si parla di special
purpose acquisition companies (SPAC).
La tecnica più conosciuta attraverso la quale un’impresa si affaccia per la prima
volta su un mercato borsistico è l’Offerta Pubblica Iniziale ( Initial Public Offering,
IPO), che verrà analizzata nel Paragrafo 4.4.3. Esistono inoltre altre tecniche
attraverso le quali un’impresa può approdare alla Borsa. Ad esempio, attraverso la
fusione con una società già quotata: in tal caso, gli azionisti della vecchia società
non quotata ricevono in concambio azioni della società quotata. Se l’azionariato è
sufficientemente diffuso, un’impresa può accedere al listino anche senza alcun
collocamento (è il caso delle banche popolari e delle società cooperative, oppure
delle società già quotate in altri mercati borsistici esteri).
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
179
4.4.2.1 Costi e benefici della quotazione
La scelta della quotazione è in genere dettata da una pluralità di benefici,
riassumibili in quattro categorie:
1) benefici di natura operativa: l’ingresso di nuovi soci privati nell’impresa, in
particolare di investitori istituzionali, può generare guadagni di efficienza nella
gestione operativa dell’impresa; inoltre, la quotazione può essere una leva di
marketing per ampliare il mercato potenziale (ad esempio attraverso una
maggiore visibilità anche all’estero). La quotazione funge anche da
‘certificazione’ della qualità dell’impresa;
2) benefici di natura finanziaria: la quotazione può coincidere con una
ridefinizione della struttura finanziaria dell’impresa, con l’obiettivo di ridurre
l’indebitamento e quindi il costo del capitale, ad esempio attraverso una
rinegoziazione delle condizioni di credito e la diversificazione delle risorse
finanziarie; inoltre una società quotata può avere accesso al capitale a costi più
contenuti e con maggiore facilità rispetto a una società non quotata. Il capitale
eventualmente raccolto con la quotazione può finanziare la crescita esterna
attraverso future acquisizioni oppure la crescita interna attraverso nuovi
investimenti; la quotazione può anche rappresentare l’opportunità di sfruttare
momenti particolarmente favorevoli nel ciclo del mercato finanziario per
beneficiare di un pricing più favorevole dei titoli sul mercato;
3) benefici di natura organizzativa: la quotazione implica l’esistenza di un flusso
informativo interno all’impresa, e dall’impresa verso il mercato, che può avere
effetti positivi sul sistema di controllo di gestione; inoltre un’impresa quotata
più facilmente può decidere piani di incentivazione con assegnazione di azioni
a dipendenti e managers con l’obiettivo di incrementare la produttività;
4) benefici fiscali: vi possono essere incentivi fiscali legati alla quotazione di
un’impresa sul mercato borsistico; ad esempio, in Italia negli anni ’90 erano in
vigore sgravi fiscali – anche se temporanei – per le imprese neo-quotate su un
mercato borsistico regolamentato.
Per contro, la quotazione implica anche dei costi di natura diretta e indiretta, che
sono sostenuti dall’impresa al momento della quotazione ma anche in via
continuativa negli anni successivi:
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
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1) costi diretti di quotazione: si tratta del costo relativo alle consulenze legali e
strategiche fornite dagli advisor , alle pratiche amministrative (ad esempio per
eventuali modifiche statutarie), alla certificazione dei bilanci e alla redazione
della documentazione richiesta dalle autorità di vigilanza; se la quotazione
comporta un collocamento di titoli sul mercato, vi è anche il compenso per
l’intermediario che garantisce l’offerta (underwriter ) quantificabile in una
percentuale che varia dal 3% al 7% del capitale offerto; i costi di marketing
relativi alla pubblicizzazione dell’offerta, ai road show e alla diffusione del
prospetto informativo; la società di Borsa richiede inoltre un fee sia al
momento dell’ingresso nel listino, sia negli anni successivi (in questo secondo
caso esso è proporzionale al volume degli scambi); nel caso di un’IPO, poiché
non vi è certezza sul valore delle azioni offerte, l’impresa potrebbe incorrere
anche nel costo di ‘underpricing’, e cioè potrebbe subire un costo opportunità
cedendo azioni ad un valore inferiore rispetto a quello percepito dal mercato;
2) costi indiretti di quotazione: si tratta dei costi indotti dal nuovo status di
impresa quotata. Essere quotati in Borsa implica l’esistenza all’interno
dell’impresa di un servizio di ‘investor relation’ prima inesistente, deputato a
produrre informativa minuziosa e costante al mercato e alla comunità
finanziaria, e a gestire il flusso informativo aziendale; in tal senso anche il
sistema di controllo di gestione interno deve essere potenziato. Il regime di
trasparenza e di disclosure cui l’impresa si sottopone dopo la quotazione può
portare alla rinuncia di operazioni di pianificazione fiscale volte a ridurre il
pagamento di imposte poiché ciò implica una riduzione dell’utile di bilancio e
quindi dei dividendi; allo stesso modo è possibile che il flusso informativo
verso l’esterno possa arrecare danni all’impresa, che rischia di perdere alcuni
vantaggi competitivi svelando informazioni ai concorrenti.
Non va dimenticato che una società ha la possibilità di quotarsi su più mercati
azionari, anche all’estero (cross-listing). Fra i benefici di natura finanziaria esiste la
possibilità di ampliare il bacino di potenziali utenti e la liquidità del titolo, con
effetti positivi sul costo del capitale, abbattendo barriere di natura informativa e
costi transazionali. L’impresa può anche ottenere una copertura maggiore dagli
analisti finanziari, e se sceglie un mercato prestigioso caratterizzato da severi
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
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vincoli, segnala al mercato di volersi impegnare per mantenere trasparenza e
fornire costantemente informazioni. Esistono anche potenziali benefici di natura
operativa, legati al fatto che il mercato estero può essere un importante sbocco per i
prodotti e i servizi offerti dall’impresa6. Ovviamente esistono anche oneri
addizionali, legati alla duplicazione dei costi di quotazione.
La scelta della quotazione è anche legata a considerazioni sulla struttura
proprietaria: in genere gli azionisti controllanti si cautelano dall’indebolire la loro
influenza sull’impresa dopo l’ingresso in Borsa. Molti imprenditori vogliono
evitare la presenza di persone indesiderate fra gli azionisti di minoranza, che
possano potenzialmente ‘disturbare il conducente’. Altri, invece, sono ben lieti di
accogliere fra gli azionisti fondi di investimento e società finanziarie, che
assicurino la diffusione di informazioni e analisi sul valore dell’impresa (research
coverage) e possano monitorarne l’efficienza.
• Il punto
La quotazione di un’impresa sul mercato borsistico consente la negoziazione dei
suoi titoli presso un pubblico diffuso di investitori, rende accessibile un canale di
finanziamento diretto sul mercato mobiliare, dà visibilità e vantaggi all’impresa,
ma genera anche numerosi costi e oneri informativi.
4.4.2.2 I mercati borsistici in Italia
Negli anni ’90 la crescente integrazione dei mercati finanziari internazionali, inparticolare nell’ambito dell’Unione Europea, ha spinto i mercati borsistici nazionali
ad evolversi rapidamente modificando le proprie regole di funzionamento.
In Italia, i mercati borsistici nacquero in diverse città tra la fine del 1800 e l’inizio
del 1900 contemporaneamente all’unificazione. Per diversi anni la Borsa è stata
disciplinata dalle Camere di Commercio e dai Comitati Direttivi degli Agenti di
Cambio. Nel 1991 tale compito è stato assegnato al Consiglio di Borsa, organo
tecnico nominato dal Ministero del Tesoro, ed è stata conferita al mercato di
6
Ad esempio, diverse imprese italiane sono quotate negli USA e non in Italia (Fila, DeRigo, Natuzzi). Non a caso, si tratta di imprese dei settori della moda, griffe e arredamento.
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
182
Milano la promozione della Borsa Valori nazionale. Con il D.L. 415/1996 (meglio
noto come ‘decreto EuroSIM’) al mercato borsistico si è attribuita natura privata, e
la gestione è stata affidata a Borsa Italiana SpA, i cui maggiori azionisti sono i più
importanti gruppi bancari italiani. La società ha emanato il suo primo regolamento
nel dicembre 1997, dal 2007 fa parte del London Stock Exchange Group e oggi
gestisce molteplici mercati organizzati:
1) il mercato dei titoli obbligazionari e dei titoli di stato (MOT);
2) il mercato dei derivati ( futures e opzioni) su indici e titoli azionari (IDEM);
3) il mercato dove vengono scambiate quote di fondi quali exchange traded funds
e quote di exchange traded commodities (ETFplus);
4) il SEDEX, mercato dei securitised derivatives (covered warrant e certificates);
5) il mercato telematico azionario (MTA), sul quale sono scambiati titoli azionari,
ma anche obbligazioni convertibili, warrant e quote di fondi chiusi.
Peraltro va sottolineato che l’attività di gestione di mercati di scambi finanziari è
stata progressivamente liberalizzata ed oggi gli operatori finanziari hanno a
disposizione anche piattaforme alternative, gestite da altri soggetti (ad esempio in
Italia il circuito TLX).
I listini di Borsa Italiana dove vengono quotati titoli azionari sono tre: il Mercato di
Borsa, AIM Italia e il Mercato Alternativo del Capitale (MAC).
Dal 1991 il MTA è costituito da una rete di terminali che collega in tempo reale le
diverse borse italiane, e il matching degli ordini avviene appunto per via telematica.
Hanno accesso al sistema gli agenti di cambio, le banche e le SIM italiane, nonché
gli intermediari finanziari esteri autorizzati. Dal 2002 sul MTA è stato abolito il
vincolo del ‘lotto minimo’: tutti gli investitori possono dunque acquistare quanti titoli
vogliono, e non solo in quantità multipla del lotto minimo come in passato.
Nell’ambito del Mercato Telematico Azionario, i titoli a maggiore capitalizzazione,
superiore a 1 miliardo €, sono comunemente indicati come blue chips. Esiste poi il
segmento STAR (Segmento Titoli con Alti Requisiti): si tratta di imprese di media
capitalizzazione che si impegnano a mantenere un elevato standard
nell’informativa e nella trasparenza, in cambio di una visibilità particolare presso
gli investitori.
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
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Sul listino di Borsa Italiana sono quotate anche un gruppo di società estere
multinazionali, comprese nel segmento ‘MTA International’.
Infine il segmento MIV è dedicato alle linee di quotazione di fondi mobiliari e
immobiliari e delle ‘investment companies’ (società finanziarie di partecipazione
che investono esclusivamente in titoli di altre imprese).
Gli orari giornalieri di negoziazione sono così determinati:
08.00 – 09.00: asta di apertura (pre-asta, validazione e apertura);
09.00 – 17.25: negoziazione continua;
17.25 – 17.30: asta di chiusura (pre-asta, validazione e chiusura).
Nel 2007 è stato aperto un listino specifico, il Mercato Alternativo del Capitale
(MAC), destinato ad accogliere imprese di piccolissima dimensione, nella
convinzione di sostenere il tessuto industriale delle PMI italiane. Va sottolineato
che il MAC non è un mercato borsistico ai sensi delle direttive Europee, ma in base
alla MIFID viene classificato come ‘sistema multilaterale per la negoziazione’.
Infatti possono operare sul MAC solo investitori istituzionali (fondi, banche
d’affari, SIM) mentre è precluso l’accesso ai piccoli risparmiatori.
Nel 2009 è stato invece aperto un altro segmento ( AIM Italia), sempre dedicato alle
PMI, organizzato in collaborazione con l’AIM di Londra. Si tratta di un mercato
regolamentato, aperto anche ai piccoli investitori, che ha sostituito il listino
Expandi (ex Mercato Ristretto). In fase di ammissione non è richiesta la
pubblicazione di un prospetto informativo e successivamente non è richiesta la
pubblicazione dei resoconti trimestrali di gestione. Il mercato si basa sulla presenza
di una figura chiave: il Nominated Adviser (Nomad), soggetto responsabile nei
confronti di Borsa Italiana, incaricato di valutare l’appropriatezza della società ai
fini dell’ammissione e in seguito di assisterla, guidarla e accompagnarla per tutto il
periodo di permanenza sul mercato.
Il Mercato di Borsa, grazie anche alla privatizzazione di imprese di grande
dimensione, ha conosciuto di recente una discreta crescita del numero di società
quotate e della capitalizzazione, come testimoniato dalla Tabella 4.3, in cui
vengono riportate alcune statistiche sui mercati borsistici del MTA. La
capitalizzazione ha seguito i cicli di volatilità degli indici azionari.
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
184
Tabella 4.3 – Statistiche sui mercati borsistici azionari italiani, al 1/8/2010.
Mercato borsistico Società quotate Capitalizzazione totale (mln. €)
Mercato di Borsa MTA 274 418.151
MTA International 36 -
MIV Investment companies 5 196
AIM Italia 9 375
MAC 7 253
Totale 331 418.975
L’ammissione a quotazione di uno strumento finanziario sui listini italiani è
subordinata al possesso di determinati requisiti di carattere generale. L’emittente
deve essere regolarmente costituito ed il suo statuto deve essere conforme alle leggi
vigenti. I titoli quotandi devono essere idonei ad essere oggetto di liquidazione diBorsa e liberamente trasferibili.
Per quanto riguarda specificatamente i titoli azionari quotati sul Mercato di Borsa,
la società deve innanzitutto fornire una serie di dati contabili: in generale deve
essere stato pubblicato il bilancio degli ultimi tre esercizi annuali, l’ultimo dei quali
deve essere certificato. Se la società è di nuova costituzione o ha recentemente
subito modifiche sostanziali nella struttura patrimoniale (ad esempio fusioni o
aumenti di capitale) deve produrre una ricostruzione della situazione economica
‘pro-forma’ precedente alla ristrutturazione. Inoltre, l’attività sociale dell’impresa
deve generare ‘in condizioni di autonomia gestionale, un’attività capace digenerare ricavi’ direttamente o indirettamente attraverso società controllate
operative. Il concetto di redditività aziendale viene considerato in chiave
prospettica, al contrario di quanto accadeva in passato, quando ci si basava sui
risultati passati dell’impresa (veniva richiesto che gli ultimi tre bilanci
presentassero un utile positivo).
Deve essere inoltre individuato un intermediario come sponsor , che deve porsi
come una sorta di garante nei confronti del mercato in merito al profilo qualitativo
dell’emittente: egli si assume per iscritto una serie di responsabilità in merito alla
completezza dei dati forniti dall’impresa, alla certifica dei requisiti di ammissione,
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
185
all’attendibilità dei dati previsionali esibiti e alla corretta impostazione e
realizzazione dell’offerta. Lo sponsor si impegna inoltre dopo la quotazione a
pubblicare o far pubblicare due analisi finanziarie all’anno concernenti la società
quotata e a organizzare incontri periodici con la comunità finanziaria.
Per quanto riguarda i titoli azionari, viene richiesta una capitalizzazione minima
‘prevedibile’ dopo la quotazione pari a 5 milioni di euro. Le azioni in circolazione
(‘flottante’) devono essere inoltre sufficientemente diffuse fra il pubblico in modo
da alimentare in misura adeguata le negoziazioni. Come riferimento viene indicato
che almeno il 25% del capitale dell’impresa deve essere flottante, comprendendo
anche le quote possedute da investitori istituzionali e fondi.
I requisiti di ammissione sono meno severi per l’AIM Italia e per il MAC. I costi di
quotazione sono quindi estremamente ridotti in questi due segmenti.
4.4.2.3 I mercati borsistici all’estero
La crescente integrazione internazionale e il ciclo macroeconomico espansivo nella
seconda metà degli anni ’90 hanno esaltato la crescita e la performance dei mercati
borsistici nei maggiori paesi industrializzati. Non di meno, la venuta alla ribalta dei
paesi in via di sviluppo (le nazioni del Far East prima, poi le maggiori democrazie
dei continenti africani, asiatici e latino-americani come Sudafrica, India e Brasile)
ha consentito ai mercati emergenti di conquistare attenzione e di giungere a livelli
ormai comparabili a quelli dei paesi occidentali, per capitalizzazione e per numero
di società quotate. Negli anni ‘2000 si è assistito poi ad un crescente processo di
integrazione, che ha portato i maggiori mercati mondiali a condurre fusioni e
alleanze strategiche, creando alcuni ‘poli’ globali.
Negli USA i maggiori mercati borsistici sono due: il New York Stock Exchange
(NYSE) e il NASDAQ.
Il NYSE è stato fondato nel maggio 1792 da 24 brokers, riuniti sotto un platano
nella Wall Street di New York, e in oltre duecento anni di vita ha caratterizzato la
storia dell’economia occidentale seguendone l’evoluzione tecnologica, politica e
commerciale. È il mercato con maggiore capitalizzazione nel mondo.
Il NASDAQ è conosciuto come un mercato più orientato alle imprese tecnologiche
rispetto al NYSE. Ha iniziato la sua attività nel febbraio 1971, e nel 1994 ha
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
186
sorpassato il NYSE in termini di valore medio annuale degli scambi, e poi anche
per numero di società quotate. A differenza del NYSE, le cui contrattazioni tuttora
avvengono fisicamente nella sede della Borsa con l’intervento degli intermediari e
degli specialists, le contrattazioni sul NASDAQ sono interamente gestite
elettronicamente.
Nel Regno Unito il listino principale (LSE, London Stock Exchange) è stato
affiancato nel 1995 dall’AIM ( Alternative Investment Market ), un mercato studiato
per le imprese di piccola dimensione appartenenti a settori in crescita. Nel 2007 il
London Stock Exchange e Borsa Italiana hanno raggiunto un accordo che ne ha
determinato la fusione sotto il controllo di una holding mista.
In Germania esistono diversi mercati borsistici nelle otto maggiori città della
federazione, ma la gestione è accentrata dalla Deutsche Börse e il listino principale
dove avviene il 75% degli scambi è quello di Francoforte (FWB, Frankfurter
Wertpapierbörse), dove già nel 1585 venne concordata una piattaforma comune di
scambio delle merci, che venne chiamata ‘Borsa’7 a partire dal 1605. I due listini
principali ( Amtlicher Handel e Geregelter Markt ) sono stati affiancati nel 1997 dal
Neuer Markt , studiato per le imprese emergenti ad alto tasso di crescita, chiuso nel
2003 e riassorbito nel listino principale per le difficoltà, gli scandali societari e i
fallimenti di numerose imprese.
In Francia è operativo l’accordo fra ParisBourse e i listini del Belgio, dei Paesi
Bassi e del Portogallo, che hanno costituito il gruppo EuroNext . I principali
segmenti del listino francese sono il Premier Marché e il Second Marché . Esiste un
segmento specifico per le imprese hi-tech ( Alternext ). Nel 2007 il NYSE e
l’ Euronext si sono integrati attraverso una fusione.
Nel resto dell’Europa spiccano per dimensione la Borsa svizzera e il polo borsistico
OMX (associato al NASDAQ), che raggruppa le principali piazze scandinave e dei
paesi baltici.
Le Borse sono ormai una realtà consolidata anche nell’Europa dell’est nonostante
in questi mercati siano presenti per lo più imprese statali in via di privatizzazione.
7 Il termine venne importato in realtà dal Belgio e in particolare da Bruges, nella cui piazza‘Van der Beurse’ i ricchi mercanti usavano incontrarsi.
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
187
In Giappone il mercato più sviluppato è quello di Tokyo, che affianca i listini di
Nagoya e Osaka, dove pure sono quotate centinaia di imprese.
Tabella 4.4 – Statistiche sui maggiori mercati borsistici esteri, al 1/7/2010.
Mercato borsistico Società quotate Capitalizzazione totale (mln. $)
NYSE New York Stock Exchange 2.326 11.670.279
Tokyo Stock Exchange 2.310 3.378.689
NASDAQ 2.807 3.294.928
London Stock Exchange 2.713 2.712.538
EuroNext 1.153 2.553.637
Shanghai Stock Exchange 881 2.381.801
Hong Kong Stock Exchange 1.352 2.338.758
Toronto Stock Exchange TSX 3.675 1.768.359Bombay Stock Exchange 4.990 1.402.698
National Stock Exchange India 1.497 1.366.258
Sao Paulo Stock Exchange BM&FB. 374 1.301.758
Deutsche Börse 772 1.203.688
Australian Stock Exchange 1.981 1.184.960
Fra i paesi in via di sviluppo, negli ultimi anni sono emersi come mercati in forte
crescita la borsa sudafricana e quella brasiliana, che insidiano la Borsa australiana
per il primato nell’emisfero sud del globo. Nel Far-East, la capitalizzazione delle
Borse ha raggiunto ormai livelli inaspettati fino a qualche anno fa. In Cinal’apertura di un mercato borsistico regolamentato, nell’ambito del sistema politico
comunista, ha destato particolare interesse. Attualmente i mercati borsistici ufficiali
sono due: lo Shanghai Stock Exchange e lo Shenzen Stock Exchange. Ogni anno, lo
Stato decide quali società possono accedere al mercato borsistico, allocando il
numero di azioni in offerta fra le diverse province: in particolare nelle Borse
nazionali sono scambiate le azioni di tipo ‘A’ che possono essere possedute solo da
cittadini cinesi, e azioni di tipo ‘B’ riservate agli investitori stranieri. Esistono poi
le azioni ‘H’ quotate a Hong Kong e le ‘N’ quotate a New York.
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
188
L’India possiede diversi mercati borsistici: i più noti sono il National Stock
Exchange of India e il Bombay Stock Exchange. Su questi listini l’offerta di titoli
azionari è stata liberalizzata nel 1992, e da allora il numero delle società quotate è
aumentato consistentemente.
4.4.3 Le offerte pubbliche
Un’offerta pubblica è un’operazione nella quale un’impresa si rivolge direttamente
al pubblico diffuso per vendere titoli finanziari esistenti, o per acquistarli, o per
invitare alla sottoscrizione di titoli di nuova emissione. In quest’ultimo caso
(l’unico nel quale l’offerta coincide con un aumento di capitale), si contrappongono
ai private equity placements in cui l’impresa si rivolge esclusivamente ad uno
specifico gruppo di possibili investitori.
Le offerte pubbliche, poiché si rivolgono indistintamente ai risparmiatori, sono
rigidamente tutelate dalle autorità di vigilanza del mercato finanziario (in Italia la
CONSOB). Esse consentono all’impresa di allargare in misura rilevante la base
azionaria, attraverso l’ingresso di molti piccoli nuovi azionisti. Ovviamente in
un’offerta pubblica l’impresa deve sostenere maggiori costi per superare le
asimmetrie informative fra il mercato e gli insiders, e quindi i costi di emissione
sono generalmente più alti rispetto alle offerte riservate.
Le offerte pubbliche finalizzate alla raccolta di capitale possono essere distinte in:
(i) offerte pubbliche iniziali (se la società non è quotata in Borsa ed intende farlo in
occasione dell’offerta pubblica) e (ii) offerte pubbliche ‘seasoned ’ (se la società è
già quotata in Borsa).
4.4.3.1 Le offerte pubbliche iniziali (Initial Public Offerings, IPOs)
Le offerte pubbliche iniziali ( Initial Public Offerings, IPOs) riguardano un’impresa
il cui capitale azionario è posseduto o da uno o più imprenditori, o da un ristretto
gruppo di azionisti (ad esempio investitori istituzionali o venture capitalists), che si
apre ad un pubblico di investitori più diffuso contestualmente alla quotazione in
Borsa. A tal fine, l’impresa offre sul mercato una quota del proprio capitale, o
attraverso l’alienazione di azioni possedute dai soggetti controllanti (in Italia OPV,
Offerta Pubblica di Vendita), o attraverso la possibilità di sottoscrivere nuove
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
189
azioni (OPS, Offerta Pubblica di Sottoscrizione), o sfruttando congiuntamente le
due modalità (OPVS, Offerta Pubblica di Vendita e di Sottoscrizione). Va notato
che attraverso un’OPS viene offerta la possibilità di sottoscrivere titoli di nuova
emissione: in questo caso l’offerta comporta un aumento di capitale e una raccolta
di capitale positiva per l’impresa. Per contro nell’OPV gli azionisti controllanti
dell’impresa e/o gli investitori istituzionali presenti nel capitale cedono in parte o
integralmente i loro titoli: in questo caso le azioni sono già esistenti e non vi è
raccolta di capitale per l’impresa, ma vi è una raccolta di liquidità da parte degli
offerenti.
L’IPO è forse una delle operazioni finanziarie più complesse e costose affrontate
dalle imprese. Le fasi principali, riassunte nella Figura 4.23, sono cinque:
1) la decisione strategica relativa alla convenienza della quotazione e alle sue
modalità;
2) l’individuazione degli intermediari che affiancano l’impresa nell’offerta
pubblica;
3) l’emissione del prospetto informativo e la decisione del prezzo dell’offerta;
4) il collocamento dei titoli;
5) la quotazione in Borsa.
Figura 4.23 – Fasi di un’offerta pubblica iniziale (IPO).
La decisione della quotazione viene presa considerando costi e benefici descritti
nel Paragrafo 4.4.2.1; in questa fase l’impresa è affiancata da un advisor strategico,
che fornisce consulenza e prepara uno studio di convenienza. Vengono anche
decise le modalità dell’offerta pubblica, e cioè: (i) quante azioni offrire; (ii) quante
azioni saranno di nuova emissione e quante saranno offerte dagli azionisti insider ,
(iii) i tempi della quotazione, (iv) un range di riferimento del prezzo di offerta delle
azioni.
Decisionestrategica
Individuazioneintermediari
Emissionedel prospetto
QuotazioneCollocamento
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
190
Successivamente (anche se in teoria non è necessario) l’impresa individua un
intermediario che funge da global co-ordinator dell’offerta, e cioè mantiene
contatti diretti fra l’impresa e gli investitori istituzionali interessati ad acquistare
titoli, si preoccupa di valutare l’impresa e di promuovere l’IPO, agisce da sponsor
certificando per l’impresa i requisiti di ammissione alla quotazione8.
È pratica diffusa che accanto all’offerta pubblica una frazione anche maggioritaria
dei titoli sia assegnata in private placement agli investitori istituzionali nazionali ed
esteri.
L’IPO è condotta da un sindacato di collocamento, di cui fanno parte il lead
manager (o underwriter ) e altri co-managers a volte esteri, che si assumono
l’onere di collocare sul mercato i titoli per conto dell’impresa, anche per la parte
riservata agli investitori istituzionali. Molto spesso, il contratto con l’impresa è del
tipo ‘best efforts’, ovvero l’underwriter non si assume alcuna garanzia di successo
del collocamento. In altri casi il consorzio si assume il rischio del collocamento, e
quindi si impegna a sottoscrivere le azioni eventualmente non richieste dal mercato
(‘ firm commitment ’) .
L’underwriter si riserva spesso l’opzione di collocare sul mercato un’ulteriore
frazione di titoli, in genere fra il 10% e il 15% dell’offerta totale (green shoe).
Frequentemente, gli azionisti esistenti prima della quotazione si impegnano a non
cedere le azioni rimaste in loro possesso per un periodo di tempo generalmente
compreso fra sei e dodici mesi (impegno di lock-up), per segnalare al mercato
aspettative positive sul futuro dell’impresa e sulla continuità aziendale.
È chiaro che la fase più cruciale è la decisione del range di prezzo dell’offerta. A
tal fine è necessario procedere ad una valutazione dell’impresa quotanda. Il metodo
più utilizzato è il metodo finanziario-reddituale: si tratta di stimare il reddito
operativo e i net cash flows futuri dell’impresa e di attualizzarli attraverso il costo
del capitale teorico dell’impresa. Per le imprese i cui assets sono tangibili e
facilmente valutabili si ricorre anche al metodo patrimoniale. Molto spesso viene
adottato il metodo dei ‘multipli comparabili’ osservando i dati fondamentali e la
capitalizzazione di imprese simili per settore di attività e dimensione, già quotate.
8 Anche grazie alla diffusione di Internet, diverse imprese negli ultimi anni hanno condotto
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
191
• Il segnalibro
I diversi metodi di valutazione dell’impresa, fra cui il metodo dei ‘multipli
comparabili’, sono presentati nel Volume ‘Gestire le Risorse dell’Impresa’,
Capitolo 4, Paragrafo 4.1.
Il range del prezzo di offerta giudicato ‘equo’ dall’impresa e dagli intermediari
partners, anche se spesso non vincolante nella decisione del presso finale, viene
pubblicato nel Prospetto Informativo ufficiale, insieme ad una dettagliata serie di
informazioni riguardanti le modalità dell’offerta, i principali dati contabili
dell’impresa e una relazione sulle strategie e prospettive future del business.
Nel frattempo, il global co-ordinator convoca una serie di incontri con la comunità
finanziaria (road show) per presentare l’IPO, e raccogliere insieme all’underwriter
potenziali adesioni di investimento da parte degli investitori istituzionali (book building).
Prima dell’apertura dell’offerta pubblica, viene pubblicato il prezzo massimo
dell’offerta, sulla base del feedback dell’attività di book building rispetto al range
precedentemente proposto nel Prospetto Informativo. Quasi sempre, il prezzo
finale dell’offerta viene deciso alla chiusura dell’offerta pubblica, appena prima
della quotazione in Borsa.
Durante il primo giorno di quotazione evidentemente tutti sono ansiosi di osservare
il prezzo di mercato della ‘matricola’ neo-quotata. Quello che spesso succede (in
media, ma non sempre!) è che il prezzo del titolo registrato durante il primo giornodi quotazione sia più alto del prezzo dell’offerta (underpricing)9. Non è escluso
però che in alcuni casi, in particolare nei giorni successivi, la performance sul
mercato borsistico sia più deludente; se accade questa evenienza, molto spesso
l’underwriter interviene direttamente sul mercato per sostenere il corso dei titoli,
riacquistandoli, per non deludere i risparmiatori!
delle Offerte Pubbliche direttamente sul mercato senza l’intervento di intermediari.9
Tesisti del corso di Finanza Aziendale del Politecnico di Milano hanno calcolato che dal1985 al 2007 l’underpricing medio delle IPOs italiane è stato pari +17,50%.
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
192
• Il punto
Le offerte pubbliche iniziali (IPOs) sono finalizzate a creare un capitale flottante
sufficientemente disperso per quotare l’impresa in Borsa. Si tratta di processi
complessi, in cui l’incertezza fondamentale è individuare un prezzo ‘equo’ diofferta dei titoli.
4.4.3.2 Le offerte pubbliche seasoned
Un’impresa già quotata in Borsa può ricorrere al mercato diffuso per raccogliere
capitale anche successivamente alla quotazione, attraverso un’offerta pubblica
‘seasoned ’. In Italia, le operazioni di raccolta di capitale effettuate da società già
quotate con offerta pubblica sono state però veramente poche10. All’estero, in
particolare sui mercati anglosassoni, queste operazioni – cosiddette seasoned equity
offerings – sono molto più diffuse11
.Le fasi di un’offerta pubblica seasoned sono molto simili a quelli di un’IPO, ma la
determinazione del prezzo dell’offerta è meno aleatoria, perché esiste già un valore
di mercato del titolo essendo l’impresa già presente in Borsa. Chiaramente i titoli
possono essere offerti solo ad un prezzo inferiore rispetto a quello espresso dal
mercato, perché altrimenti nessuno aderirebbe all’offerta: tutti preferirebbero
acquistare i titoli in Borsa. È anche opportuno mantenere un certo margine di
‘sconto’ rispetto al valore di mercato, per evitare che turbolenze successive
all’annuncio spingano troppo al ribasso il prezzo corrente del titolo facendo fallire
l’operazione. All’opposto però, gli azionisti esistenti non gradirebbero un prezzodell’offerta troppo basso, perché si verificherebbe un rilevante trasferimento di
ricchezza a favore dei nuovi azionisti.
Per determinare l’entità del trasferimento di ricchezza possiamo considerare il
seguente modello. Indichiamo con:
n : numero di azioni dell’impresa in circolazione prima dell’offerta pubblica;
10 I casi più recenti sono stati le offerte di Navigazione Montanari (1999), Banca PopolareCommercio e Industria (2001), Banca Lombarda (2002), Acque Potabili (2007).11 Negli anni ’90 sulle borse statunitensi ci sono state oltre 4.000 offerte pubbliche
‘seasoned ’ (più di metà sul NASDAQ) nelle quali le imprese hanno complessivamenteraccolto oltre 400 miliardi di dollari.
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
193
p : valore di mercato delle azioni prima dell’offerta;
p̂ : prezzo unitario di sottoscrizione delle azioni di nuova emissione;
n̂ : numero delle azioni offerte al pubblico;
n′ : numero delle azioni in circolazione dopo l’offerta pubblica; p′ : prezzo di mercato teorico delle azioni in circolazione dopo l’offerta pubblica.
La capitalizzazione di mercato V prima dell’offerta pubblica è pari a:
V = n · p
Il nuovo capitale di rischio raccolto ∆K , nel caso tutte le azioni siano sottoscritte, è
pari a:
∆K = n̂ · p̂
Dopo l’aumento di capitale invece la capitalizzazione prevedibile V ′ sarà:
V ′ = n′ · p′
Il prezzo teorico delle azioni dopo l’offerta è incognito, ma il numero di azioni in
circolazione n′ è dato da:
n′ = n + n̂
L’ipotesi più verosimile a cui possiamo pensare è che il valore dell’equity
dell’impresa dopo l’offerta pubblica sia uguale alla capitalizzazione iniziale, più la
raccolta di capitale ∆K :
V ′ = V + ∆K
n′ · p′ = n · p + n̂ · p̂
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
194
Se le cose stanno così, possiamo determinare il prezzo teorico dei titoli dopo la
chiusura dell’offerta:
p′ = n pn pn ′ ⋅+⋅ˆˆ
= pnn p
nn ˆ
ˆ⋅
′+⋅ ′
Si può osservare che il prezzo teorico finale è una media pesata del prezzo iniziale
p e del prezzo dell’offerta p̂ , dove i pesi sono il numero di azioni in circolazione e
il numero di azioni offerte.
Gli azionisti preesistenti all’offerta subiranno quindi un trasferimento di ricchezza
totale τold pari a:
τ old = n · ( p′ – p)
Dal momento che p′ < p (poiché per assicurare il successo dell’offerta deve essere
p̂ < p), essi subiranno una perdita di ricchezza a causa della diluizione del capitale.
Gli investitori che invece aderiscono all’offerta dovrebbero beneficiare di un
trasferimento di ricchezza positivo τ new opposto a quello dei ‘vecchi’ azionisti:
τ new = n̂ · ( p′ – p̂ ) = – n · ( p′ – p) = – τ old
• Esempio
Un’impresa quotata in Borsa ha un capitale composto da 7 mln. di azioni (n) che
quotano attualmente 23€ ( p). I managers decidono di raccogliere nuovo capitale
attraverso un’offerta pubblica, in cui vengono emesse 1 mln. di nuove azioni ( n̂ )
ad un prezzo di sottoscrizione p̂ pari a 22€.
La capitalizzazione V dell’impresa prima dell’offerta è pari a:
V = n · p = 161 mln. €
La raccolta di capitale ∆K è:
∆K = n̂ · p̂ = 22 mln. €
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
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I titoli azionari in circolazione dopo l’offerta saranno ovviamente n′:
n′ = n + n̂ = 8 mln.
Se vale la conservazione del valore dell’impresa, ci attendiamo che dopo l’offerta
pubblica delle nuove azioni la capitalizzazione dell’equity sarà pari a:V ′ = V + ∆K = 183 mln. €
Si può quindi prevedere che il prezzo del titolo p′ sarà:
p′ =n
V
′′
= 22,875€
La perdita di valore del portafoglio dei ‘vecchi’ azionisti τ sarà pari a:
τ old = n · ( p′ – p) = –875.000€
Simmetricamente l’incremento della ricchezza degli investitori che hanno aderito
all’offerta pubblica sarà pari a:
τ new = n̂ · ( p′ – p̂ ) = +875.000€
Dal modello e dall’esempio precedenti, sembrerebbe sempre conveniente aderire
ad un’offerta pubblica seasoned . Allo stesso modo, non si capisce perché gli
azionisti esistenti dovrebbero raccogliere capitale attraverso questa modalità, se
regolarmente subiscono una perdita di ricchezza. Nella realtà, le cose possono
anche essere più complesse, come suggerisce il modello seguente.
4.4.3.3 Il modello di Myers & Majluf
Myers e Majluf (1984) mostrano che le imprese capital-constrained possono essere
incentivate a rinunciare a raccogliere capitale per finanziare investimenti
profittevoli se esistono rilevanti asimmetrie informative fra managers e investitori
esterni.
Immaginiamo un’impresa che vuole finanziare un progetto di investimento con
valore attuale netto VAN pari a b. Il valore corrente delle attività fisse dell’impresa
(al netto del valore del debito) è pari ad a. La liquidità disponibile è pari a S,
mentre l’esborso iniziale necessario per implementare l’investimento è I , con I > S.
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
196
• Il segnalibro
La definizione di valore attuale netto (VAN) di un investimento e la sua
determinazione è discussa nel Volume ‘Gestire le Risorse dell’Impresa’ nel
Capitolo 4, Paragrafo 4.2.1.
Se vuole condurre in porto l’investimento, l’impresa deve dunque raccogliere
capitale. Myers e Majluf considerano che l’unica possibilità sia quella di
raccogliere capitale di rischio presso investitori esterni attraverso un’offerta
pubblica ‘seasoned ’.
In tal caso, l’aumento di capitale necessario sarà pari a E = I – S.
Due importanti ipotesi poste da Myers e Majluf sono: (i) esiste asimmetria
informativa fra l’impresa e i finanziatori, e (ii) l’impresa agisce nell’interesse dei
suoi attuali azionisti. Il mercato dà dunque una valutazione dell’equitydell’impresa, P′, che non necessariamente è congruente con il valore ‘vero’ di a e b
noto solo ai managers dell’impresa. In secondo luogo, si afferma che i managers
hanno l’obiettivo di massimizzare la ricchezza degli attuali azionisti, anche a
scapito dei nuovi arrivati.
Se l’impresa rinunciasse all’investimento e non emettesse nuove azioni, la
ricchezza degli azionisti attuali sarebbe pari alla somma delle attività nette, fisse e
liquide, cioè (a + S).
Se invece l’impresa si rivolgesse al mercato per raccogliere capitale e
successivamente fare l’investimento, il valore del portafoglio dei ‘vecchi’ azionistisarebbe pari a γ · (a + S + b + E ), dove γ è la frazione del capitale detenuto dai
‘vecchi’ azionisti. Bisogna infatti tenere conto che da una parte le risorse
dell’impresa acquisiscono valore, grazie alla raccolta di nuova liquidità E e al
valore attuale netto b dell’investimento, ma dall’altra la proprietà del capitale viene
‘diluita’ e condivisa con i nuovi finanziatori. Se l’aumento di capitale E viene fatto
in maniera che il prezzo di sottoscrizione dei titoli sia uguale a quello ‘stimato’ dal
mercato (espresso da P′) il capitale percentuale γ posseduto dai ‘vecchi’ azionisti
dopo l’aumento di capitale sarà:
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
197
γ = E P
P
+''
È chiaro che la decisione di effettuare l’investimento o meno dipende dalla
differenza fra ricchezza dei ‘vecchi’ azionisti nel caso venga raccolto il capitale e
lanciato l’investimento, o nel caso non si faccia nulla. In particolare:
a + S > γ · (a + S + b + E ) ⇒ non conviene raccogliere capitale e fare l’investimento
a + S < γ · (a + S + b + E ) ⇒ conviene raccogliere capitale e fare l’investimento
La precedente disuguaglianza, nel caso convenga fare l’investimento, può essere
riscritta anche come:
(1 – γ ) · (a + S) < γ · (b + E )
L’interpretazione è interessante: ai ‘vecchi’ azionisti conviene fare l’investimento
se il valore ‘vero’ della frazione del capitale esistente ‘ceduto’ ai nuovi finanziatori
è inferiore alla liquidità e al valore dell’investimento che i ‘vecchi’ azionisti
acquisiscono.
Se individuiamo su un grafico in Figura 4.24 le diverse scelte di investimento in
funzione di a e b (ignoti al mercato) la disuguaglianza precedente individua una
retta, al di sopra della quale conviene fare l’investimento (area ‘issue and invest ’),e al di sotto della quale conviene non fare nulla (area ‘do nothing’).
Notiamo due cose interessanti. Innanzitutto, è facile che nel caso in cui l’impresa
sia sottovalutata dal mercato (valori elevati di a) i managers preferiranno rinunciare
ad investimenti efficienti, per non essere costretti a collocare sul mercato titoli
azionari ‘sottovalutati’. Nel caso in cui l’impresa sia sopravvalutata (valori bassi di
a) i managers saranno disposti a procedere con l’aumento di capitale.
Il mercato non conosce con certezza se l’impresa è valutata correttamente, ma può
osservare il comportamento degli insiders. Questi ultimi, annunciando l’aumento di
capitale, segnaleranno al mercato che facilmente l’impresa è sopravvalutata, e
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
198
quindi potrebbe verificarsi una reazione negativa in Borsa, dovuta alla ‘correzione’
delle aspettative del mercato. Gli investitori sanno che un’impresa sottovalutata
non si presenterebbe per raccogliere capitale, ma facilmente lo farebbe un’impresa
sopravvalutata.
Figura 4.24 – Le scelte di finanziamento e investimento nel modello di Myers e Majluf, al
variare di a e b.
Inoltre, è interessante notare che può essere conveniente effettuare l’investimento
anche quando esso distrugge valore (b < 0) a patto che il valore delle attività a sia
‘basso’. In tale situazione, infatti, può accadere che il mercato sopravvaluti
l’impresa, e il maggior prezzo pagato dai finanziatori rispetto al ‘vero’ valore dei
titoli più che compensi gli azionisti esistenti della distruzione di valore causata
dall’investimento.
È chiaro che se l’impresa potesse finanziare l’investimento da sola ( I < S), o
comunicare credibilmente al mercato il proprio valore, gli investimenti che
sarebbero effettuati sarebbero tutti e solo quelli che creano valore (b > 0). In tal
senso, l’esistenza di asimmetrie informative crea inefficienza, perché può
incentivare le imprese a non fare investimenti che creano valore, e a raccogliere
capitale per farne invece altri che lo distruggono.
b
P′ – S a
– )1(P
S E
′−⋅
‘issue and
invest’
‘do
nothing’
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
199
L’evidenza empirica sembra supportare il modello di Myers e Majluf. In
particolare nell’economia statunitense, l’annuncio di un’offerta pubblica di raccolta
di capitale viene interpretato negativamente dal mercato, che reagisce con una
correzione al ribasso sul prezzo di Borsa del titolo stesso. In Italia l’evidenza è
meno significativa, anche perché gran parte degli aumenti di capitale seasoned
vengono offerti in opzione agli azionisti esistenti e non in offerta pubblica.
• Il punto
Le offerte pubbliche seasoned sono condotte da imprese già quotate in Borsa, che
si rivolgono al pubblico indistinto per raccogliere nuovo capitale. L’incertezza nel
valore dei titoli è minore rispetto alle offerte pubbliche iniziali, ma può comunque
provocare inefficienze e distorsioni come mostrato dal modello di Myers e Majluf.
4.4.4 Gli aumenti di capitale in opzione ai soci esistenti
Storicamente in Italia, in particolare per quanto riguarda le società quotate di
grande dimensione, la tecnica preferita di raccolta di capitale è stata l’offerta
riservata agli azionisti esistenti, invece dell’offerta pubblica ‘seasoned ’. Essa
prevede la priorità di sottoscrizione dei titoli per gli azionisti esistenti, ai quali
consente di mantenere costante il possesso percentuale del capitale. Al contrario,
nel caso di offerta pubblica, gli azionisti esistenti di un’impresa vedrebbero diluito
il proprio possesso sul capitale, e potenzialmente anche il controllo.
Inoltre le norme societarie italiane prevedono esplicitamente che il diritto diopzione degli azionisti esistenti sia escluso solo in caso di conferimenti in natura,
quando lo richieda l’interesse della società e (limitatamente ad un massimo di un
quarto delle azioni emesse) quando le azioni siano riservate ai dipendenti
dell’impresa. In questi casi la decisione deve essere approvata dall’assemblea
straordinaria dei soci a maggioranza assoluta del capitale sociale. Inoltre le ragioni
che portano all’esclusione (o alla limitazione) dei diritti di opzione devono essere
elencate dagli amministratori in una apposita relazione accompagnata da una
dichiarazione del collegio sindacale, da una dichiarazione dei revisori del bilancio
e, in caso di conferimenti in natura, da una relazione giurata di un esperto nominato
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
200
dal presidente del tribunale competente. In questa situazione l’aumento di capitale
prevede che l’azionista abbia il diritto di sottoscrivere pro-quota l’aumento di
capitale, oppure – se lo preferisce – di vendere il diritto ad altri. In teoria, viene
quindi evitato l’effetto di diluizione e ogni azionista può mantenere inalterata la
percentuale di possesso dell’impresa. Inoltre, il prezzo di sottoscrizione delle azioni
non impatta direttamente sulla ricchezza degli azionisti già esistenti, come si vedrà
nel prossimo Esempio, al contrario del caso dell’offerta pubblica seasoned .
Solitamente, l’aumento di capitale in opzione agli azionisti viene annunciato
qualche settimana prima dell’operazione effettiva, con la decisione di quanti titoli
di nuova emissione possono sottoscrivere gli azionisti esistenti per ogni azione
posseduta. Dopo l’annuncio, si dice che il titolo quota ‘cum’. Nel momento in cui
viene effettuato l’aumento di capitale, gli azionisti hanno qualche giorno per
decidere se aderire all’aumento di capitale e versare la liquidità;
contemporaneamente si apre in Borsa il mercato dei diritti, che possono essere
venduti dagli azionisti che rinunciano all’adesione alla raccolta di capitale. Alla
chiusura dell’aumento di capitale si usa indicare che l’azione quota ‘ex’ in quanto
non contiene più il valore del diritto. Il prezzo di sottoscrizione deve essere fissato
al di sotto del valore corrente di mercato (altrimenti nessuno aderirebbe
all’operazione trovando più conveniente acquistare le azioni sul segmento
secondario). Anche in questo caso è opportuno mantenere un certo margine di
‘sconto’, per evitare che trend negativi di mercato successivi all’annuncio facciano
fallire l’aumento di capitale.
Il valore teorico del diritto di sottoscrizione, così come il prezzo ‘ex’ del titolo,
possono essere determinati attraverso opportune ipotesi di comportamento del
mercato. L’ipotesi più ‘conservativa’ che può essere fatta è ancora una volta che il
valore di mercato dell’equity dell’impresa dopo l’operazione V ′ sia pari alla
capitalizzazione di mercato prima dell’operazione V , più la raccolta di capitale ∆K :
V ′ = V + ∆K
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
201
È importante capire che l’assunzione rappresenta una ipotesi, e non è detto
assolutamente che il mercato si comporti così. Ad esempio, potrebbero esserci
degli effetti di segnalazione legati all’annuncio dell’aumento di capitale (negativi
come nel modello di Myers e Majluf, o positivi se ad esempio il mercato si attende
un rilancio della redditività dell’impresa grazie al finanziamento).
Indichiamo con:
n : numero di azioni dell’impresa in circolazione prima dell’aumento di capitale;
p : valore di mercato delle azioni prima dell’annuncio;
p̂ : prezzo unitario di sottoscrizione delle azioni di nuova emissione (in Italia non
può essere inferiore al valore nominale del titolo);
n̂ : numero delle azioni di nuova emissione;
n′ : numero delle azioni in circolazione dopo l’aumento di capitale.
Il rapporto di emissione α indica il numero di nuovi titoli che gli azionisti hannodiritto a sottoscrivere, per ogni azione posseduta:
α =n
n̂
Il prezzo ex teorico delle azioni dopo l’aumento di capitale pex può essere
determinato a partire dall’ipotesi adottata:
V ′ = V + ∆K
n′ · pex = n · p + pn ˆˆ ⋅ con n′ = n + n̂ = n · (1 + α)
pex =n
pn pn
′⋅+⋅ ˆˆ
= p pn
p pnˆ
α1
α
α1
1
)α1(
)ˆα(⋅
++⋅
+=
+⋅⋅+⋅
Si può notare che il prezzo ex rappresenta una media ponderata del prezzo corrente
delle azioni e del prezzo di sottoscrizione. Si può anche verificare che gli azionisti
coinvolti non dovrebbero subire variazioni nella loro ricchezza. Consideriamo ad
esempio il proprietario di un’azione, il cui valore di portafoglio è pari a p: egli avrà
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
202
diritto a sottoscrivere α nuove azioni al prezzo p̂ , trovandosi infine (1 + α) azioni
che – nel caso quotino pex – manterrebbero costante la sua ricchezza:
(1 + α) · pex = (1 + α) · )α1(
)ˆα(+⋅⋅+⋅
n p pn = p + α · p̂
Se invece l’azionista non ha intenzione di aderire all’aumento di capitale, si troverà
in portafoglio titoli con un valore ex più basso, ma potrà vendere i diritti associati
ad ogni azione in portafoglio. In tal caso il valore teorico del diritto di
sottoscrizione d associato ad ogni azione, affinché la ricchezza dell’azionista
rimanga costante, dovrebbe valere:
d = p – pex
L’equilibrio del valore può essere verificato anche sul mercato dei diritti: un
investitore, acquistando un diritto al prezzo d , potrà diventare azionista e
sottoscrivere α titoli versando per ognuna di essere il prezzo p̂ e ottenendo α
azioni che quotano ex:
d + α · p̂ = α · pex
• Esempio
Un’impresa quotata in Borsa annuncia un aumento di capitale, in cui offrirà ai soci
esistenti la possibilità di acquistare 4 nuove azioni ogni 10 possedute al prezzo
unitario p̂ di 4€. Il valore di mercato p delle azioni oggi è pari a 5€, e il capitale
sociale è composto da un numero n di azioni pari a 10 mln.
La capitalizzazione di Borsa V dell’impresa è pari a:
V = n · p = 50 mln. €
Il rapporto di emissione α dei nuovi titoli è pari a 4/10, e quindi i titoli in
circolazione n′ dopo l’aumento di capitale saranno 14 mln:
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
203
n̂ = α · n = 4 mln.
n′ = n + n̂ = 14 mln.
La raccolta di capitale ∆K è pari a:
∆K = n̂ · p̂ = α · n · p̂ = 16 mln. €Il prezzo ex teorico pex dei titoli dopo l’aumento di capitale sarà pari a:
pex =n
pn pn
′⋅+⋅ ˆˆ
= 4,714€
Esso consente sia agli azionisti che sottoscrivono, sia a quelli che non aderiscono
all’aumento di capitale, di mantenere costante la propria ricchezza. Per esempio,
chi possiede 10 azioni cum (per un valore pari a 50€) aderendo all’aumento di
capitale acquisterà altre 4 azioni versando altri 16€. Dopo l’aumento di capitale si
ritrova 14 azioni che quotano ex (per un valore complessivo di appunto 66€).
Il valore teorico del diritto di sottoscrizione d sul mercato dei diritti sarà pari a:d = p – pex = 0,286€
Lo stesso azionista che possiede 10 titoli (per un valore di 50€) se non aderisce
all’aumento di capitale venderà 10 diritti (incassando 2,86€) e si troverà in mano
10 azioni che quotano ex (pari appunto a 47,14€).
Si può verificare che un investitore può acquistare 10 diritti sul mercato e
sottoscrivere 4 nuove azioni al prezzo p̂ , che teoricamente varranno dopo
l’aumento di capitale pex:
10 · d + 4 · p̂ = 4 · pex
= 18,856€
Appare chiaro che a cavallo di un aumento di capitale in opzione ai soci esistenti il
prezzo di Borsa del titolo subisce una discontinuità ‘tecnica’ legata al passaggio
dalla quotazione cum alla quotazione ex (si veda la Figura 4.25). Come abbiamo
mostrato, la differenza non è però legata direttamente a variazioni della ricchezza
degli azionisti. Proprio per questo gli analisti calcolano dei ‘fattori di rettifica’ che
vengono applicati al prezzo dei titoli per calcolarne il rendimento di mercato a
cavallo di un aumento di capitale senza distorsioni.
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
204
Figura 4.25 – Differenza fra prezzo cum e prezzo ex nell’intorno di un aumento di capitale.
Nella realtà gli aumenti di capitale sono spesso ben più complessi di quanto
esemplificato. A volte, il capitale dell’impresa non è omogeneo (ad esempio può
essere composto anche da azioni con diritto di voto limitato, come azioni
privilegiate e di risparmio), e quindi è necessario decidere quante azioni e di quale
categoria assegnare a quale tipologia di azionista. Altre volte, viene data agli
investitori la possibilità di sottoscrivere contemporaneamente azioni, obbligazioni,
titoli convertibili e warrant . In tali situazioni, è indispensabile introdurre delle
ipotesi operative sul rapporto relativo che i prezzi delle diverse tipologie di titoli
assumeranno sul mercato dopo l’aumento di capitale. Non è poi affatto detto che il
valore totale dell’impresa si conservi a cavallo dell’operazione.
• Il punto
L’impresa può raccogliere capitale di rischio anche decidendo un’offerta in
opzione agli attuali azionisti, i quali possono o aderire all’aumento di capitale o
vendere sul mercato il diritto di sottoscrizione. In tal caso il prezzo di
sottoscrizione non influisce direttamente sulla ricchezza degli investitori coinvolti.
p
Tempo
Annuncio Aumento di capitale
Reazione del mercato
pcum
d pex
Mercato dei diritti
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
205
4.4.5 La raccolta di capitale attraverso warrant
Un ulteriore strumento di raccolta di capitale, questa volta non nell’immediato ma
a termine, è il warrant . Il warrant è un titolo che consente, a discrezione del
possessore, di acquistare titoli azionari a condizioni prefissate, entro una certa
scadenza temporale in via continuativa, oppure solo in determinati periodi
dell’anno. Esso si configura quindi come un’opzione, dal momento che non vi è
nessun obbligo di effettiva sottoscrizione dei titoli.
Il warrant viene emesso da un’impresa come strumento di finanziamento, nel senso
che può essere collocato sul mercato o attraverso un’offerta pubblica o attraverso
un’offerta riservata agli azionisti esistenti. Molto spesso l’emissione di warrant
affianca l’emissione di nuovi titoli azionari in un aumento di capitale a pagamento.
Ciò consente di rendere più ‘appetibile’ l’aumento di capitale, e potenzialmente di
raccogliere nuovo capitale in fasi successive, ovvero in coincidenza dell’esercizio
dei warrant .
Alcune volte, le azioni sottostanti l’esercizio dei warrant non sono di nuova
sottoscrizione, ma sono già esistenti e detenute in portafoglio dall’emittente, e
quindi l’eventuale esercizio dell’opzione non comporta aumenti di capitale.
Le caratteristiche di un warrant sono il prezzo di esercizio (cioè il prezzo di
acquisto o sottoscrizione a termine dell’azione) e la scadenza, ovvero il termine
ultimo di esercizio dell’opzione di acquisto (in genere la possibilità di esercitare il
warrant viene limitata a determinati periodi annuali). Una volta emesso, il warrant
può essere negoziato sul mercato borsistico.
Il warrant è a tutti gli effetti valutabile come un’opzione finanziaria, e quindi si
rimanda l’analisi di valutazione al successivo Capitolo 5, Paragrafo 5.3.3.
Non si confondano i warrant con i covered warrant , che non consentono di
sottoscrivere titoli azionari e quindi non sono strumenti di finanziamento, ma
semplicemente sono delle opzioni finanziarie negoziate in Borsa.
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
206
Appendice – Il risparmio gestito e la Direttiva MIFID
Negli ultimi anni i mercati si sono ‘popolati’ di molti e nuovi strumenti di
investimento, che consentono di diversificare ulteriormente il portafoglio
finanziario.
I prodotti più tradizionali sono i fondi comuni di investimento collettivo, che in
Italia possono essere istituiti dalle SGR (società di gestione del risparmio), e gestiti
da intermediari autorizzati da Banca d’Italia, anche localizzati in altri paesi
dell’Unione Europea.
I fondi di investimento possono effettuare la raccolta di denaro presso il pubblico
indistinto dei risparmiatori (in tal caso debbono diffondere un Prospetto
Informativo approvato dalla CONSOB), oppure possono essere riservati ai
cosiddetti investitori ‘qualificati’ (società bancarie, assicurazioni, fondazioni,
persone fisiche che dimostrano consapevolezza del rischio dell’investimento).
I fondi vengono in genere classificati in:
- fondi di liquidità (o monetari), se investono esclusivamente in titoli di stato o
comunque titoli obbligazionari a bassissimo rischio;
- fondi obbligazionari, se la componente investita in bond e obbligazioni è
predominante;
- fondi azionari, se invece è predominante la componente azionaria;
- fondi bilanciati, se offrono un mix bilanciato di diverse asset class;
- fondi flessibili, se le componenti obbligazionarie e azionarie possono variare
anche sensibilmente, in funzione dell’andamento del mercato;
- fondi immobiliari, se investono in proprietà e attività immobiliari;
- fondi ‘speculativi’ (o fondi ‘hedge’); si tratta di fondi che a differenza degli altri
possono indebitarsi per sfruttare la leva finanziaria e vendere allo scoperto titoli,
per ricercare rendimenti più aggressivi (ma con maggiore rischio).
In genere i fondi prevedono il reinvestimento di dividendi e proventi incassati, più
raramente distribuiscono annualmente una ‘cedola’ ai sottoscrittori.
Coerentemente con la specializzazione di investimento, i fondi debbono prevedere
un ‘benchmark ’ che fa da riferimento per la valutazione del rendimento del fondo.
Sta alla bravura dei gestori del fondo costruire portafogli di titoli (‘stock picking’)
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
207
che, nel corso del tempo, coerentemente con i vincoli di specializzazione del fondo,
offrano agli investitori rendimenti migliori rispetto al benchmark .
I fondi debbono prevedere un Regolamento, che definisce le politiche di
investimento e di gestione, le modalità di partecipazione al fondo, le spese a carico
degli investitori (che in genere consistono in commissioni annuali percentuali, e in
commissioni di performance nel caso il rendimento del fondo batta il benchmark di
riferimento).
I fondi ‘aperti’ danno possibilità all’investitore di entrare o uscire dall’investimento
a piacimento, attraverso il pagamento o la riscossione della quota unitaria del
fondo, che viene calcolata e pubblicata quotidianamente.
Esistono invece i fondi ‘chiusi’ (tipicamente i fondi di private equity e di venture
capital) in cui l’investitore è vincolato a mantenere il capitale nella gestione per un
certo periodo di tempo (in genere 10 anni) per dare certezza della disponibilità del
capitale nel medio/lungo termine. Nulla però impedisce che si costituisca un
mercato ‘secondario’ delle quote di tali fondi, con la cessione della quota
sottoscritta ad un altro investitore.
Le società assicurative promuovono polizze ‘vita’ che prevedono il versamento di
denaro in fondi comuni (contratti ‘unit linked ’) o in gestioni indicizzate (contratti
‘index linked ’). Alcuni prodotti garantiscono all’assicurato il rimborso del capitale
investito, e anche un rendimento minimo. In altri casi l’assicurato è completamente
esposto al rischio dell’investimento. È prassi che la compagnia assicurativa
trattenga una parte del rendimento del fondo (in genere fra il 20% e il 25%)
retrocedendo al cliente la parte rimanente.
Da poco tempo sono operativi in Italia anche i ‘fondi pensione’ (promossi da
società assicurative o da sindacati di categoria), che erogano prestazioni
previdenziali a fronte di versamenti cumulati in gestioni mobiliari. Dal 2007 i
lavoratori del settore privato possono conferire a tali fondi le trattenute del TFR.
Negli ultimi anni hanno avuto un certo successo gli Exchange Traded Funds
(ETF). Si tratta di fondi a gestione ‘passiva’ (contrapposti invece ai fondi di
investimento tradizionali a gestione ‘attiva’) che a fronte di costi e commissioni più
contenute, replicano semplicemente il benchmark di riferimento rinunciando alla
ricerca di portafogli più efficienti.
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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO
208
Analogo successo stanno avendo i certificates che permettono di investire in
panieri che replicano la performance di determinati settori industriali o di singoli
mercati esteri, piuttosto che di materie prime, metalli, energia, in genere
difficilmente raggiungibili dai piccoli risparmiatori.
Si tratta di titoli cartolarizzati che possono prevedere clausole di protezione del
capitale (parziale o totale) che salvaguardano l’investitore da repentini cali del
valore del portafoglio.
Il vantaggio di fondi, ETF e certificates è certamente quello di offrire la possibilità
di un investimento sufficientemente diversificato e personalizzato rispetto al
profilo rischio-rendimento, anche con importi minimi e con la possibilità di
versamenti periodici (piani di accumulo del capitale, PAC). L’altra faccia della
medaglia è nelle commissioni e nei costi espliciti e impliciti che caratterizzano
questi prodotti, che possono avere un impatto significativo sul rendimento netto.
Il 1/11/2007 è entrata in vigore in tutti i paesi dell’Unione Europea la Direttiva
MIFID ( Markets in Financial Instruments Directive) che introduce novità
significative nel funzionamento dei mercati finanziari. Le più importanti sono:
- la precisa regolamentazione dei mercati borsistici e dei sistemi multilaterali
alternativi per la negoziazione (multilateral trading facilities) che devono
offrire garanzie di trasparenza e tutela per gli investitori;
- l’applicazione del principio di ‘best execution’ nell’esecuzione degli ordini di
compravendita sul mercato da parte degli intermediari, ovvero la ricerca
sistematica – nell’interesse del cliente – della migliore combinazione fra
prezzo, costi di commissione e rapidità;
- la classificazione degli investitori in clienti ‘al dettaglio’, ‘professionali’ o
‘controparti qualificate’ a seconda del grado di consapevolezza, profilo di
rischio e competenza finanziaria; ogni intermediario deve dunque censire i
propri clienti attraverso un test di adeguatezza e appropriatezza, e individuare
adeguate norme di comportamento e comunicazione nel rapporto con ciascuno
di essi;
- una più severa regolamentazione della consulenza finanziaria e di eventuali
conflitti di interesse fra intermediari e clienti.
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209
5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
In questo capitolo vengono analizzati i titoli finanziari che le imprese possonoutilizzare non per raccogliere capitale e finanziare i propri investimenti, ma per
coprirsi dal rischio degli investimenti stessi. In particolare, vengono presentati i
contratti forward e le opzioni. Come si vedrà, i modelli considerati saranno utili
per valutare diversi contratti e investimenti, di frequente applicazione non solo
nella Finanza Aziendale ma anche nella Gestione d’Impresa in generale.
5.1 I titoli derivati: contratti forward
I titoli derivati sono strumenti finanziari il cui valore dipende (quindi deriva) dal
valore di un’altra attività (attività sottostante o ‘underlying’) che può essere reale(una merce) o finanziaria (tassi d’interesse, valute, titoli obbligazionari, indici di
Borsa, azioni). In particolare, la dipendenza non è di natura economica, ma di
natura contrattuale, essendo appunto da contratto fissato l’algoritmo che definisce
tale dipendenza.
Una seconda caratteristica importante dei titoli derivati è il fatto che regolano
‘transazioni a termine’ cioè scambi di attività (reali, finanziarie, virtuali) in una
data futura e a condizioni contrattualmente prefissate.
Esistono due grandi categorie di titoli derivati:
1. forward : si tratta di contratti che impegnano all’acquisto o alla vendita a unacerta scadenza di una determinata quantità di un’attività a un prezzo prefissato
(delivery price o prezzo alla consegna). Fanno parte di questa categoria, fra gli
altri, i contratti future e gli swaps;
2. opzioni: contratti che conferiscono all’acquirente il diritto, ma non l’obbligo, di
comprare o vendere un bene a una certa scadenza (oppure entro una certa
scadenza) a un prezzo prefissato (‘strike price’ o prezzo base). Fanno parte di
questa categoria le opzioni call (opzioni di acquisto) e le opzioni put (opzioni
di vendita).
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
210
La differenza fra forward e opzioni sta quindi nella discrezionalità che caratterizza
chi detiene un’opzione di decidere se portare a termine la transazione oppure no,
cosa che invece non è ammessa nei forward .
5.1.1 Caratteristiche dei contratti forward
Un contratto forward è un accordo di compravendita di un’attività ad una certa
data futura a un determinato prezzo (detto ‘delivery price’ o prezzo di consegna)
fissato al momento dell’accordo. Nella pratica si dice che il soggetto che si
impegna ad acquistare a termine l’attività sottostante (underlying) assume una
‘posizione lunga’ , mentre il soggetto che si impegna a vendere a termine assume
una ‘posizione corta’. La regolazione del contratto alla scadenza può essere fatta
con la consegna materiale dell’attività, ma più spesso viene fatta ‘per contanti’,
ovvero attraverso uno scambio di flussi di cassa monetari, coincidente con il payoff a scadenza generato dal forward .
La nascita e la prima diffusione dei contratti forward si è avuta nei mercati delle
merci e delle materie prime (commodities). I primi accordi del genere (più o meno
espliciti) si possono leggere in Aristotele ne ‘La politica’ a proposito dell’affitto
dei frantoi di Mileto e Chio da parte di Talete e, in periodi più recenti (XVII
secolo), nel comportamento dei latifondisti giapponesi produttori di riso o dei
mercanti olandesi di bulbi di tulipano.
Infatti attraverso un contratto forward un produttore può mettersi al riparo da
possibili fluttuazioni del prezzo del prodotto venduto stabilendo, anticipatamenterispetto alla consegna, le condizioni del contratto. L’interesse può essere
convergente con quello della sua controparte, che intende acquistare l’attività in
futuro proteggendosi da variazioni del prezzo. In passato nel contratto forward si
manifestava semplicemente l’accordo tra un compratore e un venditore, che poteva
assumere le più differenti articolazioni. Con il tempo però i contratti a termine
hanno iniziato ad essere scambiati in forma autonoma rispetto al mercato dei beni
reali o finanziari da cui derivavano, trasformandosi a loro volta in titoli finanziari
negoziati sui mercati borsistici. Naturalmente per assicurare liquidità al mercato è
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
211
stato necessario prevedere una standardizzazione dei contratti, con la fissazione di
scadenze e quantità vincolate per ciascun bene oggetto di contrattazione.
5.1.2 Valutazione dei contratti forward Il modello di valutazione di un contratto forward è molto semplice. Si ipotizzi (i)
la non esistenza di costi di transazione sul mercato; (ii) uniformità del trattamento
fiscale fra diversi redditi finanziari; (iii) esistenza di un unico tasso di interesse
risk free (attivo e passivo) di mercato, composto nel continuo (si veda il Capitolo 3
per la sua definizione) e pari a r .
Si indichi con:
T : tempo mancante alla scadenza del contratto forward (in anni), a cui è riferito
anche il tasso r ;
S0: prezzo spot dell’attività sottostante il contratto forward ; X : prezzo di consegna (delivery price) previsto nel contratto forward ;
long f (o più semplicemente f ): valore di un contratto forward in posizione lunga;
short f : valore di un contratto forward in posizione corta;
ST : prezzo a scadenza T dell’attività sottostante (incognito).
Prima di valutare un contratto forward in un istante qualsiasi prima della scadenza
T è opportuno considerare i payoff dei contraenti alla scadenza. Questi payoff sono
uguali e opposti (si veda la Figura 5.1). In particolare per colui che si è impegnato
ad acquistare l’attività sottostante (detentore della long position) il payoff è:
X S f f T long −==
mentre per colui che si è impegnato a vendere l’attività sottostante (detentore della
short position) il payoff è:
T short S X f −= = – f
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
212
Nel primo caso infatti il detentore del forward è obbligato ad acquistare a scadenza
T al prezzo X qualcosa che sul mercato vale ST . È chiaro che il valore di tale
contratto (positivo o negativo che sia) nel momento in cui viene chiuso è pari alla
differenza fra i due prezzi. La controparte si è impegnata a cedere l’underlying ascadenza, e quindi il payoff associato all’obbligo è simmetrico al precedente.
Di conseguenza il detentore della long position guadagna quanto più il prezzo
dell’attività sottostante diventa maggiore del delivery price X , mentre il detentore
della short position guadagna quanto più il prezzo dell’attività sottostante diventa
inferiore rispetto al delivery price.
Figura 5.1 – Payoff a scadenza associati ad un contratto forward.
Prima della scadenza T , il valore di un contratto forward è in generale diverso.
Nell’istante attuale, per il detentore della posizione lunga, è dato da:
rT long e X S f f −⋅−== 0
Lo logica con la quale si perviene a questa relazione è una logica di ‘non
arbitraggio’ nel senso che si dimostrerà che se un contratto forward avesse un
X ST
ST – X
X ST X – ST
Long Position Short Position f
long f
short
– X
X
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
213
valore diverso da quello indicato, il mercato non sarebbe in equilibrio in quanto
potrebbero essere costruite relazioni di arbitraggio a rischio nullo. Non si fa
ricorso quindi alle tecniche di attualizzazione dei flussi di cassa, come per le
obbligazioni e le azioni, dal momento che essi non possono essere previstinemmeno in valore atteso (addirittura come è chiaro dalla Figura 5.1 essi possono
essere positivi quanto negativi!)
Si considerino quindi i due portafogli seguenti:
1. Portafoglio A: un contratto forward in posizione long di valore f (incognito)
più il valore attuale del delivery price, rT e X −⋅ (ad esempio liquidità o titoli
risk free investiti al tasso r composto nel continui);
2. Portafoglio B: l’attività sottostante il cui valore oggi è S0.
A scadenza il payoff dei due portafogli è lo stesso in quanto la liquidità rT e X −⋅
del primo portafoglio avrà generato un montante pari a X e verrà impiegata nel
contratto forward per acquistare l’attività sottostante, il cui valore sarà ST . Il
secondo portafoglio avrà allo stesso modo un valore ST .
Se quindi due portafogli a scadenza danno lo stesso payoff (anche se incognito), in
base alla logica di ‘non arbitraggio’, il loro valore deve coincidere in qualsiasi
istante precedente alla scadenza in quanto, se questo non fosse vero, un investitore
teoricamente potrebbe realizzare un profitto privo di rischio comprando il
portafoglio meno costoso e vendendo allo scoperto quello più costoso.
Uguagliando il valore al tempo t = 0 dei due portafogli si ottiene:
0Se X f rT =⋅+ − ⇒ rT e X S f −⋅−= 0
• Il punto
Un contratto forward regola una transazione a scadenza, in cui due controparti si
accordano per la compravendita di un’attività sottostante (underlying) a condizioni
prefissate oggi. Il valore di un forward si determina in una logica di non-
arbitraggio, ed è uguale al prezzo spot dell’underlying meno il valore attuale del
prezzo di consegna (delivery price).
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
214
Si può dimostrare che se la relazione precedente non è soddisfatta sul mercato, ad
esempio se il valore del forward fosse inferiore a quello di equilibrio, sarebbe
possibile sfruttare il disequilibrio acquistando il forward , investendo al tasso r per
un valore a scadenza T pari a X e vendendo allo scoperto l’attività sottostante alprezzo S0. A scadenza, chiuderemmo tutte le posizioni, acquistando come da
contratto forward l’attività al prezzo X (che incassiamo grazie all’investimento al
tasso r ), e cedendo l’attività stessa a chi l’abbiamo venduta allo scoperto.
All’istante iniziale invece beneficiamo di un payoff positivo, pari arT e X S f −⋅−+− 0 che è positivo per l’ipotesi di partenza fatta su f .
• Esempio
Un titolo azionario quota oggi 40€. Sapendo che sul mercato è possibile investire
ed indebitarsi al tasso r composto nel continuo pari al 3%, vogliamo determinare il
valore di equilibrio di un contratto forward a scadenza T pari a 2 anni e prezzo di
consegna X (delivery price) pari a 45€.
Applicando la formula:rT e X S f −⋅−= 0 = 40€ – 45€ · (e–0,03 ⋅ 2) = – 2,38€
Il valore del forward è negativo, e perciò vorremo essere pagati 2,38€ oggi per
accordarci con una controparte, dalla quale acquisteremo fra 2 anni il titolo a 45€.
La controparte simmetricamente sarà disposta a pagare oggi 2,38€ per entrare nel
contratto.Se per caso il delivery price fosse stato pari a 35€:
rT e X S f −⋅−= 0 = 40€ – 35€ · (e-0,03 ⋅ 2) = + 7,04€
Questa volta saremmo disposti a pagare 7,04€ per entrare in contratto (e
ovviamente la controparte vorrà essere pagata 7,04€ per accettare un prezzo di
consegna pari a 35€). Evidentemente stavolta le condizioni sono più favorevoli per
chi acquista a scadenza.
Chiediamoci cosa accadrebbe se in quest’ultima situazione sul mercato fosse
possibile entrare nel forward al prezzo di 7,00€ invece di 7,04€.
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
215
Se è vero quello che abbiamo scritto, una strategia profittevole di arbitraggio
sarebbe quella descritta nel seguente schema:
Strategia Payoff a t = 0 Payoff a T = 2Entrata nel forward (long) – f = – 7,00€ ST – X = ST – 35€
Vendita allo scoperto del titolo + S0 = + 40€ – ST
Investimento sul mercato al tasso r – rT e X −
⋅ = –32,96€ + X = + 35€
Payoff totale +0,04€ //
La strategia consiste nello stipulare un forward per acquistare l’azione a scadenza,
contemporaneamente vendendola allo scoperto, e investendo il ricavato sul
mercato al tasso risk free. A scadenza non sappiamo quanto varrà ST . Noi però
siamo certi di chiudere alla pari la nostra posizione. In altre parole, ci siamocoperti dal rischio relativo a S. Di più, possiamo beneficiare oggi di un payoff
certo, non rischioso, pari a 4 centesimi.
Alcuni potranno obiettare che questa posizione di arbitraggio rende poco, ma non
ci costa nulla ripetere lo stesso giochetto non su un titolo, ma su 1.000 titoli (con
1.000 contratti forward ): a scadenza saremo sempre coperti, e beneficeremo di un
profitto speculativo immediato di 40€. Il giochetto finirà quando altri investitori si
accorgeranno della nostra strategia: ci sarà una pressione sul mercato cosicché tutti
vorranno entrare long nel forward , tutti vorranno vendere allo scoperto il titolo,
tutti vorranno investire al tasso r . Sotto questa spinta, il mercato si riporterà ad unequilibrio (ad esempio il valore del forward salirà, piuttosto che scenderà quello
dell’attività sottostante) annullando tutte le possibilità di arbitraggio.
È chiaro che se il prezzo di mercato del forward fosse stato più alto di quello di
equilibrio (ad esempio 7,10€) la strategia sarebbe cambiata: si trattava di entrare
short nel forward , acquistare il titolo e indebitarsi al tasso r . La copertura a
scadenza così come il payoff positivo nell’istante iniziale sono ancora garantiti.
La formula riportata in precedenza per la valutazione del forward non ha però
validità generale. Le attività sottostanti sulle quali vengono stipulati contratti
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
216
derivati possono offrire redditi (è il caso, ad esempio, dei dividendi per i titoli
azionari e delle cedole per i titoli obbligazionari) e/o comportare dei costi
prevedibili con certezza prima della scadenza del contratto (è il caso, ad esempio,
degli eventuali costi di stoccaggio o di assicurazione per le merci, in gergo costs of carry). In questi casi le formule precedenti devono essere opportunamente
rielaborate in quanto chi acquista l’attività sottostante a termine non beneficia dei
redditi prodotti da quella attività e allo stesso tempo non sostiene i costi ad essa
associati. In altre parole, i portafogli A e B considerati all’inizio del Paragrafo non
sono più equivalenti.
Si dimostra, nuovamente attraverso la logica di non arbitraggio, che in questi casi
il valore di un contratto forward in posizione lunga è dato da:
[ ]rT long
e X RICAVI VACOSTI VAS f f −
⋅−−+== )()(0
La formula deve dunque essere corretta tenendo conto in aggregato del valore
attuale dei flussi di cassa positivi (i ricavi) e negativi (i costi) associati al possesso
dell’attività sottostante. Si sottolinea che eventuali costi esaltano il valore del
forward , mentre i ricavi ne deprimono il valore. Infatti, chi detiene il forward in
posizione lunga non ha in portafoglio il sottostante, e quindi non ne sopporta i
costi, ma non ne incassa neanche i ricavi.
La presenza di costi rende dunque più ‘appetibile’ acquistare l’underlying a
scadenza attraverso il forward , così come la presenza di ricavi penalizza tale
strategia.
Un particolare esempio di attività che genera flussi di cassa intermedi è la moneta.
Esistono contratti a termine su valute estere, in cui bisognerà tenere conto del tasso
di rendimento privo di rischio sul mercato monetario in questione. In altre parole,
il flusso di cassa associato ad una valuta estera è il relativo costo del capitale risk-
free. Chi detiene un forward su una valuta, rinuncia a tale rendimento pari al
delivery price scontato al tasso estero fino alla data di consegna. La formula di
valutazione di un forward su una valuta estera, con tasso di cambio attuale pari a
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
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S0 e con prezzo di consegna X (espressi in euro/valuta), sapendo che sul mercato
monetario estero il tasso di rendimento privo di rischio è pari a r * sarà:
[ ]rT long
e X RICAVI VAS f f −
⋅−−== )(0 VA(RICAVI) = VA(INTERESSI) = T r e
⋅− * )( 0*
0 SeST r −⋅⋅ ⋅
f = T r T r e X eS
⋅−⋅− ⋅−⋅ *0
La formula precedente è una determinante importante dell’equilibrio sul mercato
monetario internazionale, perché ci dice che eventuali differenziali fra i tassi di
rendimento in mercati esteri devono essere correlati alle aspettative sui tassi di
cambio relativi delle valute nel futuro. In altre parole, se il tasso estero r * è
maggiore rispetto a quello nazionale r , ciò sottintende un’aspettativa di tassi dicambio in diminuzione (svalutazione della moneta estera, rafforzamento della
valuta nazionale). Al contrario, tassi esteri inferiori rispetto a quelli nazionali
contengono aspettative di tassi di cambio in crescita (rivalutazione della moneta
estera, indebolimento di quella nazionale).
5.1.3 Il prezzo forward di un’attività
Il prezzo forward di un’attività (non si riferisce quindi a un contratto forward ma
all’attività sottostante!) viene definito per una determinata scadenza futura T ed è il
prezzo di consegna che rende nullo il valore di un contratto forward sull’attivitàstessa alla scadenza T . Dal paragrafo precedente, se ne deduce che il prezzo
forward S f di una attività deve soddisfare la relazione:
f ( X = S f , T ) = 0 ⇒ 00 SeSrT
f =⋅+ − ⇒ rT f eSS ⋅= 0
È interessante notare la relazione che sussiste fra prezzo forward e valore del
contratto, dalla quale emerge chiaramente come quest’ultimo è nullo quando il
prezzo di consegna è stabilito uguale al prezzo forward :
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
218
rT e X S f −⋅−= 0 = rT rT
f e X eS−− ⋅−⋅ = rT
f e X S−⋅− )(
Se per caso all’attività sottostante sono associati flussi di cassa positivi o negativi,
come nel paragrafo precedente è necessario tenerne conto. Si ottiene:
[ ])()(0 0 RICAVI VACOSTI VASeSrT
f −+=⋅+ −
[ ] rT f e RICAVI VACOSTI VASS ⋅−+= )()(0
Il prezzo forward viene spesso associato al mercato monetario, e in particolare alla
definizione del tasso di cambio forward . Il tasso di cambio come si è visto nel paragrafo
precedente non è altro che il prezzo di una moneta, espresso in un’altra valuta.
• Il punto
I flussi di cassa positivi (negativi) associati al possesso dell’underlying influiscono
negativamente (positivamente) sul valore del forward . Un parametro associato
all’attività sottostante è il prezzo forward a una certa scadenza, ovvero quel
particolare prezzo di consegna che rende nullo il valore del corrispondente
contratto forward .
5.1.4 Contratti future
Un contratto future è un particolare contratto forward standardizzato e negoziato
sui mercati borsistici. La Tabella 5.1 riassume le principali differenze tra contratti
forward e futures.
I contratti forward sono specifici contratti privati definiti ad hoc dalle controparti,
mentre i future sono scambiati sui mercati borsistici e per questo sono
standardizzati rispetto alla scadenza (in genere trimestrale) e alle caratteristiche
dell’attività sottostante.
Se due investitori stipulano un contratto forward per scambiarsi in futuro
un’attività ad un certo prezzo, ci sono notevoli rischi che l’impegno a scadenza
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
219
non sia onorato. Per questo motivo nei mercati organizzati è previsto che ogni
contraente versi un margine di garanzia (in genere fra il 6% e il 12,5% del valore
del contratto) che serve a coprire la controparte nel caso di inadempienza.
Il contratto future viene regolato giornalmente con il sistema ‘marking to market ’(letteralmente ‘aggancio al mercato’). L’organo che gestisce l’operazione è la
‘clearing house’, in Italia la Cassa di Compensazione e Garanzia (CC&G), il cui
compito è calcolare e decidere giorno per giorno i margini relativi a ogni contratto.
Alla chiusura della giornata borsistica essa osserva i movimenti sul mercato del
prezzo dell’attività sottostante, e procede a trasferire fra i conti di garanzia delle
due controparti una somma di denaro in funzione di chi ha ‘virtualmente’
guadagnato o perso. Se necessario, in caso di prolungate perdite, può richiedere
un’integrazione della somma di denaro inizialmente depositata. In tal senso il
future è uno strumento molto rischioso (come tutti i derivati) perché può generareperdite anche superiori a quanto inizialmente depositato.
La dimensione del contratto è data dal prodotto fra la quotazione del future ed il
valore del moltiplicatore del contratto stabilito dalla Borsa.
Tabella 5.1 - Confronto tra contratti forward e future.
Contratti forward Contratti future
Contratti privati tra due controparti Titoli trattati in Borsa
Contratti non standardizzati Contratti standardizzati
Regolati alla fine del contratto Regolati ogni giorno (marking to market )
In genere chiusi alla scadenza In genere chiusi prima della scadenza
La maggior parte dei contratti future che vengono stipulati non si conclude con la
consegna dell’attività sottostante; a volte gli investitori decidono di chiudere le
posizioni prima del periodo di consegna previsto vendendo il future sul mercato.
Inoltre, in genere non è prevista contrattualmente la consegna fisica dell’attività
sottostante che è ‘virtuale’ (è il caso, ad esempio, degli indici azionari), ma
semplicemente i contratti vengono liquidati in contanti considerando il prezzo spot
dell’attività sottostante all’ultimo giorno.
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
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• Esempio
Un investitore vuole scommettere su un ribasso del mercato azionario.
In Borsa ha a disposizione ad oggi due contratti future sull’indice del mercato
italiano S&P/MIB: il FIB (moltiplicatore pari a 5 euro) e il mini-FIB(moltiplicatore pari a 1 euro).
L’investitore decide di vendere il future mini-FIB (posizione short ).
La quotazione attuale sul mercato del mini-FIB alla scadenza più vicina è 28.000
punti indice. Il valore minimo del contratto è quindi 28.000 € (quotazione x
moltiplicatore).
Il deposito richiesto dalla CC&G è il 7,5%. L’investitore dovrà quindi depositare il
mattino seguente il 7,5% di 28.000 €, ovvero 2.100 €.
Supponiamo che durante la giornata la quotazione del mini-FIB scenda del 2% (a
quota 27.440). A fine contrattazione al nostro investitore sarà accreditata la sommadi 560 € (pari alla perdita di valore del contratto), in base al meccanismo del
‘marking-to-market ’. Si noti che il payoff positivo rappresenta il 26,67% di quanto
depositato! In tal senso l’investitore è stato fortunato sfruttando l’effetto ‘leva’ del
derivato.
Il giorno successivo però il mercato recupera nettamente, e il mini-FIB raggiunge
la quotazione di 28.800. Dal conto dell’investitore saranno sottratti 28.800 –
27.440 = 1.360 €, e il saldo del deposito andrà a 1.300 €.
L’investitore potrà decidere se chiudere il contratto in Borsa prima della scadenza
(avendo maturato un payoff in funzione della somma algebrica di accrediti edaddebiti operati dalla CC&G) o alla scadenza.
5.1.5 Swaps
Uno swap è un contratto derivato in cui le due controparti si accordano per
scambiarsi le posizioni sulle rispettive attività sottostanti. Esso può essere visto
come la somma di due diverse posizioni in due contratti forward , e quindi valutato
ricorrendo alle stesse formule.
Il più comune tipo di swap è costruito su tassi di interesse (interest rate swap, IRS)
e prevede che le controparti si scambino i flussi di cassa relativi a due rispettivi
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
221
contratti di finanziamento, dei quali uno a tasso fisso e l’altro a tasso variabile. In
tale maniera, i flussi di cassa relativi allo swap sono i pagamenti annuali degli
interessi. Due imprese potrebbero avere vantaggio a stipulare un contratto del
genere, se hanno accesso al capitale a condizioni diversificate (una riuscirà adottenere un tasso di interesse fisso meno oneroso rispetto all’altra, che invece può
indebitarsi a tasso variabile a condizioni migliori). In sostanza, ogni impresa
rimane titolale del proprio debito, ma può compensarne il rischio di tasso grazie
all’impegno dell’altra società a scambiarsi i relativi flussi di cassa.
I più diffusi quotidiani finanziari rilevano giornalmente i valori di tasso applicati
nei contratti IRS dalle banche, ovvero il tasso (fisso) che si è disposti a
‘scambiare’ con quello variabile alle diverse scadenze future.
Un altro tipo di contratto è lo swap su valute (currency swap), in cui le due
posizioni scambiate sono denominate in valute diverse. Ad esempio, si considerinoun’impresa europea che ha contratto un debito in dollari (ed è quindi esposta al
rischio di rivalutazione del dollaro) e un’impresa americana che ha contratto un
debito in euro (e corre quindi il rischio opposto). Con un currency swap, le due
imprese possono impegnarsi a scambiarsi i relativi flussi di pagamenti degli
interessi, compensando le due posizioni e annullando il rischio di cambio.
Larga diffusione stanno avendo i credit default swap (CDS), strumenti finanziari
che consentono di proteggersi dal rischio di insolvenza di un creditore, ad esempio
una società che ha emesso un’obbligazione. In caso di default , infatti, chi ha
sottoscritto un CDS potrà esigere il pagamento di una somma di denaro da chi loha collocato. In tal senso questo particolare contratto è del tutto simile ad una
‘polizza assicurativa’.
• Esempio
Due imprese stipulano un contratto swap, in cui si scambiano le posizioni su un
debito del valore nominale di 10 mln. € in scadenza fra un anno. La prima impresa
attualmente deve remunerare questo debito al tasso composto nel continuo pari al
5% fisso, mentre l’altra impresa deve remunerarlo al tasso variabile EURIBOR
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
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composto nel continuo. Il tasso risk-free annuo di mercato composto nel continuo
è pari al 2% mentre il tasso EURIBOR oggi è pari al 4%.
Essendo il capitale da rimborsare identico, i flussi di cassa interessati dallo
‘scambio’ sono solo quelli relativi al pagamento degli interessi. Dal punto di vistadella seconda impresa, essa si impegna a pagare sul capitale di 10 mln. € il 5%
fisso fra un anno, e in cambio le viene riconosciuto un interesse pari al tasso
EURIBOR fra un anno. Il flusso di cassa F a scadenza un anno è quindi incerto,
dipendente dal tasso EURIBOR osservabile fra un anno, e pari a:
F = (EURIBOR – 5%) · 10 mln. €
Per la prima impresa il flusso di cassa sarà opposto in segno.
Si può notare che F può essere interpretato come il payoff a scadenza un anno di
un contratto forward , con attività sottostante il tasso EURIBOR e prezzo di
consegna pari al 5%. Il valore s dello swap, dal punto di vista della secondaimpresa, ricorrendo alla formula di valutazione dei contratti forward sarà quindi:
s = 10 mln. € · (4% – 5% · e-0,02·1) = –90.099€
La seconda impresa vorrà quindi essere pagata 90.099€ per entrare nello swap. Dal
punto di vista della prima impresa, il valore dello swap sarà opposto in segno. Essa
sarà disposta a pagare per entrare nel contratto.
Va da sé che le controparti potrebbero accordarsi per un interest rate swap senza
scambio di payoff iniziali, scegliendo un tasso IRS diverso dal 5%. Esso dovrebbe
essere:
0 = 10 mln. € · (4% – IRS · e-0,02·
1) da cui IRS = 4,0808%In tal modo la seconda impresa si impegnerebbe a pagare sul capitale di 10 mln. €
il 4,0808% fisso, e in cambio le viene riconosciuto un interesse pari al tasso
EURIBOR fra un anno, che le permette di coprire il rischio di tasso sul debito.
Il tutto a costo zero inizialmente.
5.1.6 Copertura del rischio attraverso contratti forward
Appare ormai chiaro che attraverso un contratto forward è possibile coprirsi dal
rischio relativo alle fluttuazioni di prezzo sul mercato dell’attività sottostante. La
copertura dal rischio è un’attività importante nella gestione delle risorse aziendali
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
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e viene spesso identificata con il termine hedging. Coprirsi dal rischio è
desiderabile quando si vantano dei crediti a termine, o quando si detiene un debito
a termine, rispetto ad un’attività (quale può essere una valuta estera, un titolo
azionario, un titolo obbligazionario, una commodity) il cui valore di mercato èvariabile nel tempo. Consideriamo il seguente esempio.
• Esempio
Un commerciante di scarpe è riuscito a stipulare un contratto vantaggioso con un
compratore giapponese. In cambio di una fornitura di calzature all’ultima moda, il
compratore pagherà al commerciante fra un anno la somma di 3 mld. ¥.
Il commerciante intende coprirsi dal rischio di svalutazione dello yen contro
l’euro. Il suo problema è chiaro: per fornire le calzature sopporterà dei costi in
euro, ma fatturerà in yen. Il profitto dell’operazione è rischioso: in caso disvalutazione dello yen nel corso dei 12 mesi esso potrebbe diventare anche
negativo. C’è da dire che se per caso lo yen si rivalutasse, il profitto potrebbe
crescere, ma l’imprenditore è avverso al rischio e desidera avere delle certezze sul
margine dell’operazione.
La cosa che potrebbe fare è entrare in un contratto forward , vendendo yen a
scadenza un anno. Il tasso di cambio attuale S0 è pari a 115 ¥ / euro. Il tasso di
interesse risk free sul mercato giapponese r f J è pari all’1%, mentre nei paesi
dell’Euro r f € è pari al 3%.
Cominciamo col determinare il tasso di cambio forward S f dello yen contro l’euro,alla scadenza 12 mesi.
Si può ragionare in questa maniera: affinché il mercato finanziario sia in equilibrio,
deve essere equivalente investire alla scadenza T un euro, piuttosto che cambiare
l’euro in yen al cambio attuale S0, investirlo in Giappone fino alla scadenza T e
successivamente cambiare il montante al tasso atteso S f . In altre parole:
1€ ·T rf
eE
= 1€ · S0 ·T rf
eJ
/ S f
da cui si ottiene ancora:
S f = S0 · T rf rf e )(EJ
− = 112,72 ¥ / euro
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
224
Se il commerciante entra nel forward fissando come prezzo di consegna il tasso di
cambio forward , il valore del contratto sarà nullo e quindi l’operazione è a costo
zero per entrambe le parti coinvolte.
Indipendentemente dal tasso di cambio a scadenza, il commerciante sa che ilfatturato fra un anno in yen potrà essere convertito senza rischio al tasso forward ,
per un importo pari a 3 mld. ¥ / 112,72 = 26,614 mln. €.
Potremmo immaginare che la controparte (ad esempio un istituto di credito) abbia
un debito in yen, e quindi possa trovare utile coprirsi dal rischio acquistando a
scadenza yen. La posizione è assolutamente simmetrica a quella del commerciante,
che invece detiene un credito in yen, e desidera venderli a scadenza.
Una cosa interessante è notare che acquistando un contratto forward (o future) è
possibile coprirsi interamente dal rischio dell’attività sottostante, senza bisogno di‘rivedere’ il portafoglio di copertura a seconda dell’evoluzione sul mercato del
prezzo dell’attività. In altre parole, il ‘rapporto di copertura’ nei contratti forward
è sempre uguale a uno: per coprirsi dal rischio relativo ad un’unità dell’underlying
è sufficiente acquistare un forward .
Il problema è più complesso quando non è nota a priori la scadenza T alla quale si
rende opportuno realizzare la copertura. Ad esempio, si sa che l’impresa dovrà
incassare valuta estera, piuttosto che acquistare delle materie prime, ma non si è in
grado di individuare l’istante di tempo esatto. A maggior ragione il problema si fa
più interessante se non è noto con certezza nemmeno il controvalore dellaposizione da coprire, oppure se l’attività che si intende coprire non è esattamente
la stessa sottostante i derivati disponibili sul mercato. Tutti questi problemi fanno
emergere un fattore di rischio, chiamato ‘rischio base’ (basis risk ).
In questo scenario, le indicazioni operative possono essere tre: (i) scegliere come
scadenza del contratto derivato la scadenza più vicina, ma comunque successiva, a
quella che prevedibilmente è associata alla posizione da coprire, (ii) scegliere
un’attività sottostante il cui prezzo sia correlato positivamente con l’attività da
coprire, (iii) scegliere un rapporto di copertura maggiore di uno nel caso la
volatilità del prezzo spot dell’attività da coprire sia maggiore della volatilità del
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
225
prezzo forward dell’attività sottostante, e viceversa. In tal modo, sarà comunque
possibile vendere il contratto (facilmente se si tratta di un future) anche prima
della scadenza, e minimizzare il basis risk .
• Esempio
Una società di partecipazioni vuole coprire il proprio portafoglio titoli dal rischio
di improvvise turbolenze del mercato azionario. Il valore S0 del portafoglio oggi è
pari a 10 mln. €, e il beta del portafoglio è pari a 1,15. Nella difficoltà di trovare
derivati su un’attività sottostante che replichi esattamente il portafoglio specifico
dell’impresa, si sceglie di investire in derivati sull’indice di mercato, che ha beta
pari a 1. L’impresa, essendo ‘corta’ sull’attività sottostante (possiede i titoli), può
fare hedging entrando ‘corta’ in un forward per la vendita a scadenza dell’indice di
mercato ad esempio alla scadenza un anno. La copertura non sarà comunqueperfetta, poiché non vi è una scadenza precisa della posizione dell’impresa sui
titoli (che saranno mantenuti in portafoglio indefinitamente nel tempo).
Ovviamente la volatilità attesa dell’indice di mercato è inferiore a quella del
portafoglio, per cui il rapporto di copertura sarà maggiore di uno. Una buona proxy
per definirlo è proprio il rapporto dei coefficienti beta:
Rapporto di copertura = 1,2 / 1 = 1,2
Se l’impresa vuole minimizzare il basis risk , occorrerà acquistare contratti forward
(o futures) sull’indice per un controvalore dell’underlying (attenzione, non per un
importo in titoli derivati!) pari a 12 mln. €. Infatti, se per caso il portafoglio in unanno perderà valore per il 24% (ovvero 2,4 mln. €) ci si attende una perdita più
contenuta dell’indice di mercato (pari a 24% / 1,2 cioè 20%, che genererà un
payoff positivo dal forward pari al 20% di 12 mln. €, cioè proprio 2,4 mln. €).
Supponiamo però che l’impresa sia disposta a investire in derivati solo per un
controvalore dell’underlying pari a 4 mln. €. Quale sarà il grado di copertura
ottenibile?
Il rapporto fra 4 mln. € e 12 mln. € è pari a un terzo. Con questo investimento
l’impresa coprirà quindi solo il 33,3% del rischio base. Se infatti si avvera lo
stesso scenario precedente, il profitto dall’operazione di copertura con derivati
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
226
sull’indice sarà pari al 20% di 4 mln. €, ovvero 0,8 mln. €, cioè proprio un terzo
della perdita in conto capitale sul portafoglio titoli.
Non si dimentichi che se per caso il valore del portafoglio dovesse crescere, il
payoff dall’operazione di copertura sarà negativo. Ogni decisione di hedging dipende quindi dagli obiettivi dell’impresa, posto che nessuno ha la sfera di
cristallo per prevedere il futuro!
I contratti forward rispondono all’esigenza di copertura del rischio (hedging) ma
ciò non toglie che siano anche strumenti di speculazione sui mercati finanziari. A
parità di investimento, rispetto al mercato dell'attività sottostante, con i titoli
derivati si riesce ad assumere una posizione speculativa più ampia: è possibile cioè
ottenere un effetto di leva (leverage) ed un payoff elevato con investimento iniziale
più contenuto. Allo stesso tempo, però, appare chiaro che contrariamente ai titoliazionari le perdite possono essere anche superiori al capitale investito.
5.2 I titoli derivati: opzioni
Le opzioni sono contratti che conferiscono al detentore il diritto, ma non l'obbligo,
di comprare o vendere un’attività a una certa scadenza (oppure entro una certa
scadenza) ad un prezzo prefissato (prezzo di esercizio o strike price). In particolare
nel caso in cui l’opzione conferisca il diritto di acquisto si parla di opzione call,
mentre nel caso in cui l’opzione conferisca il diritto di vendita si parla di opzione
put . Con le opzioni, a differenza dei contratti forward , solo una delle duecontroparti ha il diritto di decidere se regolare la transazione alla scadenza, oppure
no. L’altra di conseguenza dovrà subire le decisioni del detentore dell’opzione.
Le opzioni che prevedono la possibilità di esercizio solo alla scadenza sono dette
di tipo ‘europeo’. Le opzioni che viceversa possono essere esercitate in qualsiasi
istante prima della scadenza sono dette di tipo ‘americano’1.
1 Queste sono le tipologie di opzioni più diffuse, ma esistono anche altri tipi di opzioni
come le ‘bermuda’ in cui le scadenze di esercizio consentite sono limitate nel tempo a dateo periodi specifici.
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
227
5.2.1 Payoff a scadenza delle opzioni
Prima di considerare i payoff a scadenza per le opzioni call e put è utile precisare
la simbologia adottata nel seguito. In particolare indicheremo con:
S0: prezzo corrente dell’attività sottostante; X : prezzo di esercizio;
T : scadenza dell’opzione (time to maturity);
ST : prezzo dell’azione a scadenza (incognito);
c: valore dell’opzione call europea;
C : valore dell’opzione call americana;
p: valore dell’opzione put europea;
P : valore dell’opzione put americana.
Il payoff a scadenza per un’opzione call (europea o americana) è riportato in
Figura 5.2. In particolare, alla scadenza T il valore di una opzione call (europea oamericana) sarà pari a:
( ) X SC c T −== ,0max
Figura 5.2 – Payoff a scadenza associati al possesso di opzioni call e put
Infatti, se a scadenza il prezzo di mercato dell’underlying è inferiore al prezzo di
esercizio (ST < X ) l’opzione non viene esercitata e il payoff è nullo: non sarebbe
Opzione call Opzione put
X ST
ST – X
X ST
X – ST
c p
X
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
228
conveniente acquistare l’attività ad un prezzo maggiore rispetto a quello corrente
di mercato. Al contrario, se il prezzo di mercato dell’underlying è superiore al
prezzo di esercizio (ST > X ), l’opzione viene esercitata e il payoff è pari a X ST −
come in un contratto forward . Siamo infatti ben lieti di acquistare l’underlying adun prezzo inferiore rispetto a quello di mercato.
In Figura 5.2 è riportato anche il payoff alla scadenza T di una opzione put
(europea o americana). In formule questo è dato da
( )T S X P p −== ,0max
Infatti, se a scadenza il prezzo dell’underlying è superiore al prezzo di esercizio
(cioè ST > X ) l’opzione non viene esercitata e il payoff è nullo, mentre se il prezzo
dell’underlying è inferiore al prezzo di esercizio (ST < X ) l’opzione viene esercitata
e il payoff è pari a T S X − . In altre parole, sfrutteremo l’opzione di vendita solo
quando ci permette di cedere l’attività ad un prezzo superiore rispetto a quello di
mercato.
I payoff a scadenza per coloro che hanno ceduto le opzioni call e put sono
simmetrici rispetto ai precedenti (si veda la Figura 5.3) e, in particolare, sono dati
rispettivamente da:
( ) ( )0,min,0max T T S X X SC c −=−−=−=− ( ) ( )0,min,0max X SS X P p T T −=−−=−=−
Una differenza è evidente: mentre il payoff a scadenza di un’opzione call è
superiormente illimitato (e quindi anche la perdita per chi simmetricamente ha
ceduto l’opzione di acquisto), quello di una put è al limite pari al prezzo di
esercizio X . È altrettanto evidente che chi detiene un’opzione call spera in un
rialzo del prezzo di mercato dell’attività sottostante (rialzista) mentre chi detiene
una put spera in un ribasso del valore (ribassista) al fine di massimizzare il proprio
payoff .
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
229
Figura 5.3 – Payoff a scadenza associati alla vendita di opzioni call e put
• Il punto
Le opzioni sono titoli derivati che conferiscono al detentore la possibilità di
acquistare (call) piuttosto che vendere ( put ) un’attività sottostante a condizioni
prefissate. Se l’esercizio dell’opzione è previsto solo alla scadenza, l’opzione è di
tipo europeo. Se l’esercizio è ammesso anche prima della scadenza l’opzione è di
tipo americano. Il payoff a scadenza di chi detiene un’opzione è sempre positivo.
5.2.2 La relazione di parità put-call
I valori di una call e di una put europea sulla stessa attività sottostante, non solo
alla scadenza ma anche in ogni istante precedente, sono legati dalla relazione del‘teorema di parità put-call’. Esso afferma che due portafogli, dei quali uno
costituito da un’opzione call e da liquidità investita sul mercato dei titoli a reddito
fisso al tasso composto nel continuo r alla scadenza T (pari al valore attuale del
prezzo di esercizio X ), e l’altro costituito dalla corrispondente opzione put e
dall’underlying che ha valore S0, sono equivalenti:
0S pe X c rT +=⋅+ −
Per dimostrare questo teorema si considerino due portafogli:
Opzione call Opzione put
X ST
X –ST
X ST
ST – X
c p
-X
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
230
a) Portafoglio A: una call europea con scadenza fra T anni più un importo di
denaro pari al valore attuale del prezzo di esercizio X della call, rT e X −⋅ ,
che a scadenza genera un montante pari a X (in termini equivalenti uno zero
coupon risk free con valore nominale pari a X );b) Portafoglio B: una put europea con scadenza fra T anni più una unità di
attività sottostante.
La Figura 5.4 descrive il payoff a scadenza associato ai due diversi portafogli, dato
dalla somma del payoff dei titoli che li compongono.
Figura 5.4 – La relazione di parità put-call: analisi dei payoff a scadenza.
Opzione call + Liquidità Totale
X ST
ST – X
X ST
X
ST
X
Opzione put + Underlying Totale
X ST
X–ST
X ST
X
ST
X
ST
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
231
Si può osservare che per entrambi i portafogli si ottiene a scadenza lo stesso
profitto monetario in ogni stato di natura (anche se incognito). Analogamente a
quanto sostenuto per i contratti forward è quindi possibile affermare che, in base
alla logica di ‘non arbitraggio’, il valore di questi portafogli deve coincidere inqualsiasi istante precedente alla scadenza in quanto, se questo non fosse vero, un
investitore potrebbe realizzare un profitto privo di rischio comprando il portafoglio
meno costoso e vendendo allo scoperto quello più costoso:
0S pe X c rT +=⋅+ −
Nella sua versione più generale, per ogni regime di composizione del tasso r (nel
continuo o in intervalli discreti) e per ogni funzione che definisce S(t ) fino alla
scadenza, il teorema di parità put-call afferma che il valore di un’opzione call europea più il valore attuale del suo prezzo di esercizio deve essere pari al prezzo
spot dell’attività sottostante più il valore dell’opzione put corrispondente:
0S p X VAc +=+ )(
Nel caso di put e call americane la relazione di parità non è più valida. Infatti,
come vedremo meglio successivamente, vale la relazione:
rT e X C SP −⋅+>+ 0
essendo il valore di una call americana uguale a quello della corrispondente call
europea e il valore di una put americana maggiore del valore della corrispondente
put europea.
Infine, se l’attività sottostante genera flussi di cassa positivi o negativi, la relazione
di parità deve essere corretta per tenere conto che i due portafogli di Figura 5.4
non sono più equivalenti: chi detiene la call e la liquidità non sopporta eventuali
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
232
costi e non incassa eventuali ricavi dal possesso dell’underlying, mentre chi
possiede la put e l’attività sottostante sì.
La relazione di parità deve essere quindi così modificata, tenendo conto del valore
attuale di flussi positivi e negativi:
0)( S p X VAc +=+ – VA(RICAVI) + VA(COSTI)
Analogamente al caso dei contratti forward , la presenza di flussi positivi associati
all’underlying favorisce chi detiene l’attività sottostante, e non chi detiene in
portafoglio l’opzione call, mentre invece la presenza di costi penalizza chi detiene
l’attività sottostante e favorisce chi detiene in portafoglio l’opzione call.
5.2.3 Limiti del valore delle opzioni in equilibrioIl prossimo passo nella direzione di individuare il prezzo di equilibrio delle
opzioni, non solo alla scadenza, ma anche in ogni istante precedente, è
determinarne i limiti superiori e inferiori di prezzo in equilibrio.
Una call americana o europea dà al possessore il diritto di comprare un’azione a
un certo prezzo. Non importa cosa possa accadere, ma sicuramente il prezzo
dell’opzione non può mai essere maggiore del prezzo dell’azione.
Pertanto il prezzo dell’azione rappresenta un limite superiore per la call:
c < S0 e C < S0
Se fosse altrimenti, nessuno vorrebbe acquistare un’opzione ma sarebbe più
conveniente acquistare direttamente l’attività sottostante. La call genererebbe, con
un investimento iniziale elevato (maggiore di S0), un payoff sicuramente inferiore
rispetto al valore a scadenza dell’attività sottostante (ovvero ST – X , invece di ST
per chi acquista subito l’underlying).
In secondo luogo, il limite inferiore per il prezzo di una call europea è dato da:
c > )0,max( 0rT e X S −⋅−
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
233
Per dimostrare questo limite si considerino i seguenti portafogli:
a) Portafoglio A: costituito da una call europea con scadenza fra T anni più un
importo di denaro VA( X ) pari al valore attuale del prezzo di esercizio;
b)
Portafoglio B: costituito dall’attività sottostante.Nel portafoglio A, il denaro, investito al tasso di interesse privo di rischio,
capitalizza un montante X al tempo T . Se in quell’istante ST > X , la call viene
esercitata: si consegna la liquidità X e si ottiene l’attività sottostante. Alla fine il
portafoglio A vale ST . Se invece ST < X , la call scade senza essere esercitata,
rimane la liquidità e il portafoglio vale X . Pertanto, al tempo T , il portafoglio A
vale il massimo fra ST e X .
Il portafoglio B a scadenza vale ST . Pertanto, al tempo T , il portafoglio A vale
sempre almeno quanto il portafoglio B, e talvolta di più. Ne segue che, in assenza
di opportunità di arbitraggio questa relazione deve valere anche oggi. Quindi:
0Se X c rT >⋅+ − ⇒ rT e X Sc −⋅−> 0
È interessante osservare che il limite appena introdotto corrisponde al valore di un
contratto forward , con stessa scadenza T e prezzo di consegna pari al prezzo di
esercizio X dell’opzione. Stiamo quindi dicendo che un’opzione call deve valere
strettamente di più del corrispondente forward . La cosa è perfettamente
condivisibile, se si pensa che una call equivale ad un contratto forward di acquisto,
con la differenza che chi detiene l’opzione può decidere se portare a termine la
transazione, ovviamente in caso di convenienza personale. Questa possibilità deve
avere un valore differenziale positivo.
Inoltre, il valore di una call deve essere sempre strettamente positivo, dal momento
che a scadenza genera un payoff al minimo nullo, a volte positivo. In altre parole,
in caso contrario sarebbe come se venissero regalati dei biglietti per una lotteria a
premi! In definitiva:
)0,max( 0
rT
e X Sc
−
⋅−>
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
234
Nel caso in cui questo limite non sia rispettato (ad esempio )0rT e X Sc −⋅−<
sarebbe possibile costruire una posizione di arbitraggio. Infatti, tutti vorrebbero
acquistare un’opzione call e investire al tasso r risk free finanziandosi con la
vendita allo scoperto dell’attività sottostante. Sia nell’istante attuale sia allascadenza il payoff sarebbe senza ombra di dubbio positivo o al minimo nullo, come
dimostra la Tabella 5.2.
Tabella 5.2 – Opportunità di arbitraggio, nel caso in cui c < S0 – VA(X).
Posizione Oggi (t = 0) Scadenza (t = T )
Acquisto dell’opzione call – c ST – X se ST > X )
0 se ST < X
Investimento al tasso r a scadenza T – VA( X ) + X Vendita allo scoperto dell’underlying + S0 – ST
Portafoglio totale > 0 0 se ST > X
X – ST > 0 se ST < X
• Il punto
In equilibrio, affinché non ci siano possibilità di arbitraggio, i valori di un’opzione
call e della corrispondente put sono legati dalla ‘relazione di parità’. Inoltre, il
valore di un’opzione call europea deve rispettare il vincolo:
S0 > )0,max( 0rT e X Sc −⋅−>
Una put americana o europea, invece, dà al possessore il diritto di vendere
un’azione ad un certo prezzo X . Non importa quanto in basso possa scendere
l’azione, il prezzo dell’opzione non può mai essere maggiore di X . Pertanto:
p < X e P < X
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
235
Se fosse altrimenti, nessuno vorrebbe acquistare una put , poiché il payoff finale
sarebbe addirittura al massimo pari all’investimento iniziale. Un cattivo affare!
Meglio mettere il denaro nel materasso.
In realtà una put europea anche nel caso in cui l’attività sottostante non ha piùvalore permette di incassare al massimo il prezzo di esercizio X ma solo a
scadenza. Pertanto il limite superiore di una put europea è il valore attuale di X :
p < rT e X −⋅
In secondo luogo, il limite inferiore per il prezzo di una put europea è dato da:
p > )0,max( 0Se X rT −⋅ −
Per dimostrare questo limite, oltre a ricorrere alla relazione di parità put-call, dati i
limiti di prezzo dimostrati per l’opzione call, si possono considerare i seguenti
portafogli:
a) Portafoglio C: costituito da una put europea, più un’unità dell’attività
sottostante;
b) Portafoglio D: un importo di denaro pari a rT e X −⋅ investito in titoli a
reddito fisso.
Se alla scadenza ST < X , la put del portafoglio C viene esercitata, viene consegnatal’attività sottostante in cambio del prezzo di esercizio, ed il portafoglio vale X . Se
invece ST > X , la put non viene esercitata e il portafoglio vale ST . Pertanto, al tempo
T , il portafoglio C vale il massimo valore fra ST e X .
Assumendo che il denaro venga investito al tasso di interesse privo di rischio, il
portafoglio D al tempo T genera un montante pari a X . Pertanto, alla scadenza il
portafoglio C vale sempre almeno quanto il portafoglio D, e talvolta di più. Ne
segue che, in assenza di opportunità di arbitraggio il portafoglio C deve valere più
del portafoglio D anche in ogni istante precedente. Quindi:
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rT e X S p −⋅>+ 0 ⇒ 0Se X p rT −⋅> −
Siccome il possesso dell’opzione put al peggio genera un payoff nullo, essa deve
avere come la call un valore strettamente positivo, e quindi:
)0,max( 0Se X p rT −⋅> −
Se fosse diversamente, tutti vorrebbero acquistare opzioni put e l’attività
sottostante, finanziandosi con l’indebitamento al tasso risk free di mercato, ancora
una volta ottenendo un payoff al peggio nullo a scadenza e positivo nell’istante
iniziale (gli scettici possono verificare ispirandosi alla Tabella 5.2).
• Il punto
In equilibrio, il valore di un’opzione put europea deve rispettare il vincolo:
rT e X −⋅ > )0,max( 0Se X p rT −⋅> −
Rimane da chiedersi che relazione ci sia fra i valori di opzioni europee e i valori
delle corrispondenti opzioni americane. Ipotizziamo per il momento che l’attività
sottostante non generi flussi di cassa (positivi o negativi) prima della scadenza.
In tal caso l’esercizio anticipato di una call americana non è mai conveniente. Il
valore di una call americana quindi è uguale a quello di una call europea e i limiti
inferiori e superiori al suo valore sono identici a quelli già osservati:
C = c
Per dimostrare questa affermazione si parte dalla considerazione già assodata che
deve valere:
)0,max( 0
rT
e X Sc
−
⋅−>
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
237
Cioè, un’opzione call non può valere meno del corrispondente contratto forward , e
non può avere un valore negativo.
Ma nel caso esercitassimo ora la call in anticipo, prima della scadenza, il payoff
che otterremmo (e quindi il valore della call) sarebbe pari a ( )0,max 0 X S − ,ovvero sempre inferiore al limite precedente. Se ne deduce che l’esercizio
anticipato della call distrugge una parte del suo valore, e quindi non è mai
razionale. In altre parole, piuttosto che esercitare in anticipo una call è meglio
venderla sul mercato: potremo sempre spuntare un prezzo maggiore del payoff
relativo all’esercizio anticipato.
Al contrario, l’esercizio anticipato di una put americana può essere conveniente. Il
valore di una put americana quindi è maggiore di quello di una put europea:
P > p
Per dimostrare questa affermazione si consideri un caso limite in cui l’attività
sottostante abbia un valore corrente S0 vicinissimo a zero. In questo caso
esercitando l’opzione alla scadenza T si otterrebbe al massimo X , mentre
esercitando l’opzione immediatamente si otterrebbe ugualmente X , con in più la
possibilità di maturare gli interessi sul payoff al tasso risk free investendo l’incasso
in titoli obbligazionari fino alla scadenza T . Si comprende quindi che nel caso di
una put americana può essere conveniente l’esercizio anticipato e, quindi,
l’opzione americana deve valere più di quella europea.Inoltre, dal momento che il payoff ottenibile al momento dell’esercizio immediato
è pari a 0S X − l’opzione put americana deve valere almeno quanto il payoff
stesso, e comunque deve avere un valore sempre positivo:
)0,max( 0S X P −>
Se il valore dell’opzione put americana fosse inferiore al limite ( X – S0), ci
affretteremmo a comprarne a man bassa, per poi subito esercitarle in anticipo ebeneficiare di un profitto positivo privo di rischio grazie all’arbitraggio.
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
238
• Il punto
Nel caso in cui l’attività sottostante non generi flussi di cassa intermedi, non è mai
conveniente esercitare un’opzione call prima della scadenza. Può essere invece
conveniente esercitare un’opzione put . Di conseguenza, solo per le put si puòaffermare che un’opzione americana vale più della corrispondente opzione
europea.
5.2.4 Determinanti del valore delle opzioni
Il valore di mercato di un’opzione (detto anche ‘premio’) è la somma di denaro che
chi acquista un opzione è disposto a spendere subito per acquistare il diritto di
ottenere il relativo payoff a scadenza, e viceversa è la somma di denaro che chi
cede l’opzione esige di incassare immediatamente. I principali fattori che
influenzano il prezzo di un’opzione sono:1. il prezzo nel tempo dell’attività sottostante S(t );
2. il prezzo di esercizio dell’opzione X ;
3. la vita residua T ;
4. la volatilità del prezzo dell’attività sottostante σ;
5. il tasso di interesse privo di rischio r ;
6. l’esistenza di flussi monetari intermedi positivi o negativi associati all’attività
sottostante prima della scadenza T .
Il payoff di una call (americana o europea) dipende dalla differenza tra il prezzo
dell’azione S e il prezzo di esercizio X . Pertanto, le call valgono di più al crescere del
prezzo dell’azione e di meno al crescere del prezzo di esercizio. Il payoff di una put ,
invece, è pari alla differenza tra il prezzo d’esercizio e il prezzo dell’azione S.
Pertanto la reazione delle put rispetto a variazioni di S e X è opposta rispetto alle call.
In particolare un’opzione call è definita at-the-money quando il prezzo di esercizio
è circa uguale al prezzo dell’attività sottostante, out-of-the-money quando il prezzo
di esercizio è maggiore del prezzo corrente dell’attività sottostante e in-the-money
quando il prezzo di esercizio è inferiore al prezzo corrente dell’attività sottostante.
Una opzione put , invece, è definita at-the-money quando il prezzo di esercizio è
uguale, o comunque molto vicino, al prezzo dell’attività sottostante, out-of-the-
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
239
money quando il prezzo di esercizio è inferiore al prezzo dell’attività sottostante e in-
the-money quando il prezzo di esercizio è superiore al prezzo dell’attività sottostante.
Un’opzione quindi è definita in-the-money quanto più è probabile che a scadenza
sia esercitata, out-of-the-money quanto più è probabile che a scadenza non siaesercitata, e at-the-money se l’esercizio è incerto.
Tabella 5.3 – Relazione fra valore delle opzioni e alcune variabili.
Variabile Call europea Put europea Call americana Put americana
S(t ) 0
S
c>
∂
∂ 0
S
p<
∂
∂ 0
S
C >
∂
∂ 0
S
P<
∂
∂
X
0 X
c
<∂
∂
0 X
p
>∂
∂
0 X
C
<∂
∂
0 X
P
>∂
∂
r
0r
c>
∂
∂ 0
r
p<
∂
∂ 0
r
C >
∂
∂ 0
r
P<
∂
∂
T
0T
c>
∂
∂
T
p
∂
∂incerto 0
T
C >
∂
∂ 0
T
P>
∂
∂
σ 0
c>
∂
∂
σ 0
p>
∂
∂
σ 0
C >
∂
∂
σ 0
P>
∂
∂
σ
Nel caso in cui il prezzo corrente S0 dell’attività sottostante sia molto superiore oinferiore al prezzo di esercizio gli altri parametri che influenzano il valore di una
opzione hanno, in genere, un peso limitato. Per quanto riguarda la scadenza T , sia le
call sia le put americane valgono di più al crescere della vita residua. Per capire
perché, si considerino due opzioni che differiscono tra loro solo per la data di
scadenza. Chi possiede l’opzione con vita residua maggiore ha tutte le opportunità di
esercizio del possessore dell’opzione con vita residua minore e altre ancora. Pertanto,
l’opzione con vita più lunga deve valere almeno quanto l’opzione con vita più breve.
Per quanto riguarda, invece, le opzioni europee, si ha che le call valgono di più al
crescere della vita residua (il loro valore è pari a quello delle opzioni americane
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
240
con la medesima scadenza), mentre per le put la situazione è incerta. Vi sono
infatti due effetti che si contrappongono: una vita residua maggiore significa una
maggiore possibilità di esercizio dell’opzione (e questo effetto è più rilevante
quando l’opzione è out-of-the-money), ma anche un valore attuale del massimo payoff ottenibile più basso (e questo effetto è più rilevante quando l’opzione è in-
the-money).
La volatilità σ del prezzo dell’attività sottostante misura in prima approssimazione
quanta incertezza esiste circa i futuri movimenti del prezzo del titolo. Al crescere
della volatilità cresce la probabilità che la performance del titolo risulti molto
brillante o molto modesta. Per chi possiede l’underlying, questi due risultati
tendono a compensarsi l’uno con l’altro e anzi, nell’ottica dell’investitore avverso
al rischio, viene penalizzato il valore del titolo per la percezione di un rischio
crescente. Non è invece così per chi possiede una call o una put . Chi possiede unacall trae beneficio dagli aumenti di prezzo dell’azione ma sopporta un rischio
inferiore limitato, perché nel caso di una riduzione del prezzo dell’azione al peggio
l’opzione non viene esercitata. Analogamente, chi possiede una put trae beneficio
dalle riduzioni del prezzo dell’azione ma sopporta un rischio inferiore limitato nel
caso di aumento del prezzo dell’azione. Pertanto, il valore delle opzioni call e delle
put cresce all’aumentare della volatilità σ.
Infine, un incremento del tasso r influisce positivamente sul prezzo della call e
negativamente sul prezzo della put in quanto se i tassi (costo dell’indebitamento)
aumentano, risulta più conveniente detenere una call, anziché indebitarsi ad untasso crescente per acquistare il sottostante (si dice che il cost of carry dell’attività
sottostante aumenta), mentre per le put diventa più conveniente vendere
immediatamente il sottostante, e quindi guadagnare interessi sulla somma
accreditata, piuttosto che detenere l’opzione di vendita.
L’effetto delle diverse variabili considerate sul valore delle opzioni è riassunto nella
Tabella 5.3.
Dato che, come si è visto, esiste una forte relazione fra il valore di un’opzione e
come varia nel tempo il prezzo dell’attività sottostante, gli analisti finanziari hanno
introdotto alcuni parametri importanti (le ‘greche’ facendo riferimento alle lettere
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
241
che li definiscono) che non sono null’altro che le derivate prime e seconde del valore
di un’opzione V rispetto ai parametri che abbiamo considerato. Le ‘greche’ più
diffuse sono:
δ =S
V
∂
∂
Γ =2
2
S
V
∂
∂
Θ =T
V
∂
∂
Il parametro delta δ indica di quanto varia il valore dell’opzione rispetto al prezzo
dell’attività sottostante. Come si vedrà, è un parametro estremamente importantenelle strategie di hedging (copertura dal rischio) perché ci dice quante unità
dell’attività sottostante riusciamo a ‘replicare’ con una singola opzione, in termini
di variazione di valore. In altre parole, se S aumenta di 1 €, V aumenta/diminuisce
di δ €.
Il gamma Γ è la derivata seconda rispetto a S. Ci dà informazioni sulla ‘sensitività’
del rapporto di hedging δ, ovvero di come esso va aggiustato al variare di S per
mantenere una strategia di copertura.
Il teta Θ misura la variazione temporale del valore dell’opzione, ed è anch’esso
utile per aggiustare nel tempo il rapporto di copertura nelle strategie di hedging.
5.2.5 Modelli di valutazione delle opzioni
Come per i contratti forward , anche per le valutazione delle opzioni si ricorre ad
una logica di non-arbitraggio, e cioè si individua un valore dell’opzione tale per
cui sul mercato non è possibile costruire una posizione di arbitraggio, compatibile
con i limiti e vincoli determinati nei paragrafi precedenti. La differenza rispetto ai
contratti forward sta nel fatto che in più è necessario fare delle ipotesi aggiuntive
sulla funzione S(t ) che definisce il valore di mercato dell’attività sottostante (nel
caso dei forward era sufficiente conoscere S0). Il payoff di un’opzione infatti non è
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
242
lineare, ma dipende dall’esercizio (o non esercizio) dell’opzione, che a sua volta
dipende da S(t ).
I modelli di valutazione più noti sono due:
1)
il modello della binomiale;2) il modello di Black e Scholes.
Nel modello della binomiale si ipotizza semplicemente che il valore dell’attività
sottostante, da un istante all’altro, possa assumere solo due valori. La distribuzione
di S(t ) è quindi discreta.
Nel modello di Black e Scholes invece si ipotizza che la funzione S(t ) sia definita
nel continuo, e governata da movimenti in parte prevedibili, in parte stocastici.
5.2.5.1 Modello della binomiale
Si ipotizza che il prezzo futuro dell’attività sottostante, dopo un periodo assegnatoT , possa assumere solo due valori, pari rispettivamente a ST 1 = u·S0 e ST 2 = d ·S0, con
u > d . La funzione di distribuzione dei valori di ST è quindi binomiale, con
probabilità incognite (si veda la Figura 5.5).
Figura 5.5 – Distribuzione di ST nel modello binomiale.
Tenendo presente questo comportamento di prezzo dell’attività sottostante
l’obiettivo è quello di determinare il valore nell’istante t = 0 di un’opzione europea
(call o put ) con scadenza T e con prezzo di esercizio X sapendo che il tasso risk
free alla stessa scadenza è pari a r (stavolta il tasso di interesse non è composto nel
continuo).
Per fare questo si possono utilizzare tre metodi, equivalenti fra loro:
S0
u·S0
d ·S0
t = 0 t = T
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
243
a) Metodo della costruzione di posizioni equivalenti a opzioni attraverso
l’attività sottostante e l’indebitamento;
b) Metodo della costruzione di una posizione equivalente non rischiosa;
c)
Metodo dell’indifferenza al rischio.Per tutti questi metodi è importante conoscere il payoff a scadenza dell’opzione.
Nel caso essa sia una call, il payoff Π nei due stati di natura sarà:
Π1 = max (0, u·S0 – X )
Π2 = max (0, d ·S0 – X )
Nel caso l’opzione sia una put :
Π1 = max (0, X – u·S0)Π2 = max (0, X – d ·S0)
a) Metodo della costruzione di posizioni equivalenti a opzioni attraverso
l’underlying e l’indebitamento.
Attraverso questo metodo si costruisce un portafoglio costituito dall’attività
sottostante e da debito in modo da replicare il payoff a scadenza dell’opzione.
Operando in questo modo il valore dell’opzione in un qualsiasi istante precedente
alla scadenza deve coincidere con il valore di questo portafoglio in quanto se esso
fosse diverso sarebbe possibile costruire una posizione di arbitraggio.Si consideri, in particolare, un portafoglio costituito da δ quote dell’attività
sottostante e da un indebitamento al tasso r con valore di rimborso pari a P. Il
valore di questo portafoglio oggi è )VA(δ 0 PS −⋅ mentre a scadenza il suo
valore PST −⋅δ dipende chiaramente dal prezzo dell’attività sottostante.
Per replicare il payoff a scadenza dell’opzione si deve verificare che:
Π=−⋅⋅
Π=−⋅⋅
20
10
dδ
uδ
PS
PS
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
244
Risolvendo questo sistema si ricava:
0
21
)(
δ
Sd u ⋅−
Π−Π=
21 Π⋅−
−Π⋅−
=d u
u
d u
d P
Il δ ottenuto risolvendo il precedente sistema è chiamato rapporto di copertura
(hedge ratio) o delta dell’opzione (si veda il Paragrafo precedente) e indica il
numero di unità dell’attività sottostante necessarie per costruire una posizione
equivalente all’opzione. Il suo inverso indica il numero di opzioni necessarie per
costruire un portafoglio coperto dal rischio di variazione del prezzo dell’attività
sottostante.Contrariamente a quanto sottolineato per i forward , nel caso delle opzioni il
rapporto di copertura non è sempre uguale a uno, ma anzi in generale inferiore
(ovvero δ < 1) . Oltretutto, esso varia con il variare del prezzo S(t ) dell’attività
sottostante. Con le opzioni non è possibile coprirsi sempre perfettamente dal
rischio, poiché il delta va sempre aggiustato rispetto all’evoluzione del mercato.
Per conoscere il valore V dell’opzione basta infine calcolare il valore attuale del
portafoglio costituito da δ quote dell’attività sottostante e da un indebitamento al
tasso r con valore di rimborso pari a P, che abbiamo dimostrato avere a scadenza
lo stesso payoff dell’opzione:
( )
Π⋅
−−Π⋅
−⋅
+−
−
Π−Π=−⋅= 21
210 )1(
1
)(Sδ
d u
u
d u
d
r d uPVAV
T
b) Metodo della costruzione di una posizione non rischiosa.
Attraverso questo metodo si costruisce un portafoglio costituito da α quote
dell’attività sottostante e dalla cessione dell’opzione. Il valore di questo
portafoglio oggi è V −⋅ 0Sα mentre a scadenza si fa in modo che il payoff di
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
245
questo portafoglio (pari a Π−⋅ T Sα ) sia sempre lo stesso indipendentemente dal
prezzo dell’azione ST . Di conseguenza si deve verificare che:
2010 αα Π−⋅⋅=Π−⋅⋅ Sd Su
da cui: δ)(
α
0
21 =⋅−
Π−Π=
Sd u
con α che non è altro che il delta dell’opzione già individuato prima. Si può
dimostrare che il valore a scadenza del portafoglio, applicando il rapporto di
copertura, è costante e pari a P.
2010 αα Π−⋅⋅=Π−⋅⋅ Sd Su = Pd u
u
d u
d =Π⋅
−−Π⋅
−21
Il valore attuale del portafoglio, invece, si ottiene attualizzando P con il tasso risk
free in quanto il payoff a scadenza è privo di rischio, essendo costante. Deve
verificarsi quindi:
T
r
PV
)(1Sα 0
+=−⋅
Il valore dell’opzione è pari, come nel caso precedente, a:
Π⋅
−−Π⋅
−⋅
+−
−
Π−Π= 21
21
)1(1
)( d u
u
d u
d
r d uV
T
c) Metodo dell’indifferenza al rischio.
Questo metodo, proposto da Cox, Ross e Rubinstein (1979), si pone in un’ottica
diversa rispetto ai precedenti, che però può risultare fuorviante. Esso infatti si basa
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
246
sull’attribuzione arbitraria di probabilità pu e pd (con pu + pd = 1) ai due stati di
natura previsti dall’albero binomiale. Si badi però che le due probabilità non
necessariamente coincidono con le ‘vere’ probabilità, ma sono semplicemente
quelle che un investitore indifferente al rischio attribuirebbe per essere disposto adacquistare l’attività sottostante oggi al prezzo S0. Sotto questa ipotesi è possibile
porre:
T
uu
T
d u
r
Sd pSu p
r
Sd pSu pS
)1(
)1(
)1(0000
0+
⋅⋅−+⋅⋅=
+
⋅⋅+⋅⋅=
Il valore attuale dell’attività sottostante deve rappresentare una sorta di media dei
possibili valori futuri ponderata dalle probabilità, opportunamente scontata dal
tasso risk free (l’investitore è indifferente al rischio). Dalla relazione si ottiene:
( )d u
d r p
T
u−
−+=
1
d u
r u p
T
d −
+−=
)1(
Si noti che le probabilità pu e pd sono entrambe positive se e solo se viene
rispettata la condizione:
d < (1 + r )T < u
Questa condizione viene identificata, ricorrendo all’ippica, anche con la possibilità
di costruire una metrica a ‘martingala’ (martingale equivalent ). Si può verificare
che laddove questa condizione non viene verificata, è possibile costruire una
posizione di arbitraggio, perché in sostanza stiamo considerando un’attività che
con certezza avrà un rendimento maggiore rispetto a quello del titolo privo di
rischio ((1 + r )
T
< d < u) e in questo caso tutti vorranno acquistarla indebitandosi
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
247
al tasso r , oppure avrà un rendimento sempre minore (d < u < (1 + r )T ) e in questo
caso tutti vorranno venderla allo scoperto.
Combinando queste probabilità con i payoff a scadenza dell’opzione si può
calcolare il valore dell’opzione stessa, come nel caso dei metodi precedenti, da:
( ) ( )21
11Π⋅
++Π⋅
+=
T
d
T
u
r
p
r
pV
Π⋅
−−Π⋅
−⋅
+−
−
Π−Π= 21
21
)1(
1
)( d u
u
d u
d
r d u T
L’idea è che il valore dell’opzione coincida con il valore attuale, scontato dal tasso
risk free per l’ipotesi di indifferenza al rischio, dei payoff attesi dell’opzione alla
scadenza, pesati dalle probabilità ‘fittizie’.
• Esempio
Un’attività ha un valore oggi S0 pari a 300€. Supponiamo che fra due anni il suo
valore ST possa essere 400€ oppure 250€. Vogliamo determinare il valore di
un’opzione call europea e della corrispondente opzione put con scadenza due anni
e prezzo di esercizio (strike price) pari a 350€. Il tasso risk free di mercato è pari al
5%.
La prima cosa da fare sempre è individuare il payoff a scadenza dell’opzione. Nel
caso della call esso sarà:
Π1 = max (0, u·S0 – X ) = 50€
Π2 = max (0, d ·S0 – X ) = 0
Nel caso l’opzione sia una put :
Π1 = max (0, X – u·S0) = 0
Π2 = max (0, X – d ·S0) = 100€
Applichiamo il metodo della costruzione di un portafoglio equivalente alla call: si
tratta di individuare un portafoglio composto da δ unità dell’attività e da debito
con valore di scadenza P tale che:
Π1 = δ·u·S0 – P = 50€
Π2 = δ·d ·S0 – P = 0
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
248
da cui si ottiene
δ = 1/3
P = 83,33€
Il valore oggi di questo portafoglio deve essere uguale a quello della call:c = δ·S0 –
T r
P
)(1 += 1/3 ⋅ 300€ – 83,33€
2)05,(1
1= 24,42€
Volendo costruire un portafoglio non rischioso, dovremmo costruire un secondo
portafoglio tale per cui:
2010 αα Π−⋅⋅=Π−⋅⋅ Sd Su
da cui si ottiene
α = δ = 1/3
2010αα
Π−⋅⋅=Π−⋅⋅ Sd Su =P
= 83,33€
c =T r
P
)(1Sα 0
+−⋅ = 24,42€
Se volessimo coprirci dal rischio relativo alla variazione di S0, potremmo farlo
quindi vendendo tre opzioni call sull’attività: nel caso il valore dell’attività salga,
le opzioni saranno esercitate, e noi avremo una ricchezza pari a 400€ – 50€ ⋅ 3 =
250€, cioè quella che avremmo esattamente nel caso il valore dell’attività scenda
(e quindi l’opzione non sarà esercitata). In più incasseremmo un flusso positivo
oggi grazie alla cessione dell’opzione.
Applicando il metodo dell’indifferenza al rischio dobbiamo risolvere la relazione:
200
0 )1,05(
250)1(400
)1(
⋅−+⋅=
+
⋅⋅+⋅⋅= uu
T
d u p p
r
Sd pSu pS = 300€
da cui:
pu = 53,83% pd = 46,17%
Il valore della call sarà:
( ) ( )21
11Π⋅
++Π⋅
+=
T
d
T
u
r
p
r
pV = 24,42€
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
249
Per quanto riguarda il valore della corrispondente opzione put , potremmo replicare
la procedura, considerando i nuovi payoff . La cosa più agile è comunque invocare
il teorema di parità put - call:
0)( S p X VAc +=+ p = 24,42€ + 317,46€ – 300€ = 41,88€
Gli alberi binomiali sono semplici da implementare, ma ovviamente presentano un
limite: prevedono solo due scenari possibili, cosa che raramente riflette la realtà 2.
Ciononostante è possibile ‘scomporre’ un albero binomiale in diversi ‘sottoalberi’
in maniera tale che alla fine di tutti gli stadi gli scenari possibili siano
sufficientemente numerosi. In tal caso il valore dell’opzione si determina con il
metodo di backward induction, e cioè partendo dai possibili stati finali e dai payoff
associati. Si percorrono i livelli dell’albero fino allo stato iniziale, determinandovolta per volta il valore dell’opzione. Questo metodo è molto comodo ad esempio
per determinare il valore delle opzioni americane (che possono essere esercitate
anche in istanti precedenti la scadenza) oppure delle opzioni ‘ path-dependent ’ in
cui il payoff alla scadenza non è funzione solo del valore ST , ma anche dei valori
che l’attività sottostante ha fatto registrare negli istanti di tempo precedenti.
Citiamo alcuni esempi:
a) le cosiddette opzioni ‘asiatiche’, il cui payoff a scadenza dipende da una
media dei valori che l’attività sottostante ha fatto registrare fino alla
scadenza. A queste opzioni è quindi associata una volatilità e un rischio
più basso, che ne rendono più contenuto, a parità del resto, il valore
rispetto alle opzioni comuni (cui si fa riferimento con il termine plain
vanilla options);
b) le opzioni cliquet (dette anche opzioni ratchet ), che periodicamente
prevedono una rideterminazione del prezzo di esercizio, che viene
resettato al livello del prezzo spot corrente, salvo capitalizzare nel payoff a
2 In realtà è stato sviluppato anche un modello ‘trinomiale’ che prevede tre scenari possibili(rialzo, ribasso, stabilità) invece che due. Si veda Boyle (1986).
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
250
scadenza la differenza fra il vecchio prezzo di esercizio e il nuovo prezzo
di esercizio;
c) le opzioni knock-out e knock-in; si tratta di opzioni (chiamate anche
barrier options) che decadono (nel primo caso) o entrano in azione (nelsecondo) se il prezzo dell’attività sottostante ad un certo punto supera una
certa soglia superiore o inferiore;
d) le parisian options il cui payoff a scadenza dipende non solo dai valori
fatti registrare dall’attività sottostante prima della scadenza, ma anche
dall’intervallo di tempo in cui il prezzo si è mantenuto all’interno di un
certo range.
• Esempio
Si consideri un titolo finanziario il cui prezzo di mercato S vale oggi 7€ e siprevede evolverà nei prossimi tre anni secondo questo percorso:
t =0 t =1 t =2 t =3
4€
4€
5€ 5€
7€ 7€
10€ 8€
11€12€
Si tratta di valutare le seguenti opzioni:
1) opzione call europea plain vanilla, prezzo di esercizio 6€, scadenza T =3;
2) opzione put americana plain vanilla, prezzo di esercizio 6€, scadenza T =3;
3) opzione call di tipo asiatico, prezzo di esercizio 6€, che a scadenza 3 anni
riconosce un payoff pari alla differenza fra prezzo medio registrato ad ogni
scadenza annuale nel triennio e strike price;
Valore del titolo S
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
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4) opzione put knock-in, con prezzo di esercizio 6€, che può essere esercitata alla
scadenza 3 anni solo se in almeno una scadenza annuale precedente il prezzo
del titolo ha superato la soglia dei 9€.
Il tasso annuo risk free di mercato è pari al 4%.La prima cosa da fare è calcolare le probabilità pu e pd attribuite da un investitore
indifferente al rischio ai diversi punti di transizione. In ogni nodo, il prezzo del
titolo deve essere la media ponderata e attualizzata di un anno dei prezzi nei due
stadi successivi. Ad esempio, per il primo nodo si ottiene:
7€ = pd · 5€ / 1,04 + pu · 10€ / 1,04
pd = 54,4%
pu = 45,6%
Facendo i calcoli per tutto l’albero si ottiene:
t =0 t =1 t =2 t =3
4€
4€
5€ 5€
7€ 7€
10€ 8€
11€
12€
A questo punto per ogni opzione considerata si determina il payoff a scadenza, in
ogni stato di natura, e a ritroso si arriva a determinare il valore dell’opzione al
tempo t =0. Per quanto riguarda la prima opzione call, il payoff finale sarà nullo
laddove essa non viene esercitata (se il prezzo fra tre anni sarà pari a 4€ o 5€) e
pari alla differenza fra valore del titolo e strike price negli altri casi.
Il valore dell’opzione in ogni nodo sarà la media attualizzata e ponderata dalle
probabilità prima calcolate del valore dell’opzione relativa ai due stadi successivi.
Ad esempio, nell’albero disegnato, al tempo t =2 il valore dell’opzione sarà
sicuramente nullo nell’evento più pessimistico (si sa che al tempo t =3 l’opzione
pd =54,4%
pu=45,6%
pd =60,0%
pd =84,0%
pd =15,0%
pd =24,0%
pd =14,0%
pu=40,0%
pu=85,0%
pu=86,0%
pu=76,0%
pu=16,0%
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
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non verrà mai esercitata) mentre nell’evento più ottimistico il valore corrente
dell’opzione sarà pari a 2€ · 14,0% / 1,04 + 6€ · 86,0% / 1,04 = 5,23€
t =0 t =1 t =2 t =30
0
0,56€ 0
2,26€ 1,46€
4,49€ 8€ – 6€ = 2€
5,23€
12€ – 6€ = 6€
Al tempo t =0 si ottiene un valore della call europea pari a:c = 2,26€
Dalla relazione di parità put-call potremmo ricavare il valore dell’opzione put
europea corrispondente:
p = c + VA( X ) – S0 = 0,59€
Passiamo all’opzione put americana (2). A scadenza essa sarà esercitata solo nel
caso in cui il prezzo del titolo è inferiore a 6€. Sappiamo che in generale il suo
valore è almeno pari a quello dell’opzione europea, poiché può essere ottimale
esercitarla prima della scadenza. Bisognerà quindi prestare attenzione al fatto che
in ogni nodo il valore dell’opzione sarà il massimo valore fra la media ponderata eattualizzata dei valori nei nodi successivi, e il payoff ottenibile dall’esercizio
anticipato. In particolare, nell’anno t =2, nel caso il prezzo dell’azione sia pari a 4€,
risulta ottimale l’esercizio anticipato. Il payoff ottenibile è infatti pari a 2€, che è
senz’altro superiore al valore attuale di ogni possibile payoff ottenibile a scadenza.
Negli altri stati di natura non risulta mai efficiente l’esercizio anticipato.
Si ottiene un prezzo dell’opzione americana maggiore rispetto a quello
dell’opzione europea, grazie al valore della possibilità dell’esercizio anticipato:
P = 0,66€
Opzione call europea (1)
Payoff
ascadenza
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
253
t =0 t =1 t =2 t =3
6€ – 4€ = 2€
2€1,24€ 6€ – 5€ = 1€
0,66€ 0,23€
0,03€ 0
0
0
Per quanto riguarda le ultime due opzioni, il ragionamento è più complesso poiché
si tratta di derivati path-dependent . Non dobbiamo quindi prestare attenzione solo
ai valori del titolo in ogni stato di natura, ma anche al sentiero che è stato percorsoper arrivare a quel punto.
L’opzione di tipo asiatico offre un payoff correlato alla media dei prezzi registrati
al tempo t =1, t =2 e t =3. Costruiamo l’albero degli eventi, distinguendo ogni
singolo percorso possibile del prezzo e individuando il prezzo medio alla scadenza.
t =0 t =1 t =2 t =3 Prezzo medio triennio
4€ 4,33€
4€
5€ 5€ 4,67€ / 5,67€ / 7,33€7€ 7€
10€ 8€ 9,67€ / 8,33€ / 6,67€
11€
12€ 11€
Dal disegno si nota che vi è un unico ‘percorso’ per cui il prezzo del titolo a
scadenza può essere pari a 4€, oppure 12€, ma invece vi possono essere tre diversi
percorsi con esito 5€ oppure 8€. Ad esempio, i percorsi che portano ad un prezzo
alla fine del triennio pari a 5€ sono: 5€ / 4€ / 5€, 5€ / 7€ / 5€, 10€ / 7€ / 5€. In
Opzione put americana (2)
Payoff
ascadenza
Esercizio anticipato
Valore del titolo S
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
254
totale, lungo l’albero il calcolo combinatorio ci dice che esistono 23 possibili
cammini (appunto 8). La cosa più semplice è calcolare la probabilità congiunta di
ogni singolo cammino, nella logica di indifferenza al rischio, associandola al
rispettivo payoff : si tratta di moltiplicare le probabilità prima individuate lungoogni cammino. Ad esempio per il cammino 7-5-4-4 la probabilità è 54,4% · 60,0%
· 84,0% = 27,4%.
Cammino Probabilità congiunta Payoff a scadenza Prodotto Valore attuale
7-5-4-4 27,4% 0 0 0
7-5-4-5 5,2% 0 0 0
7-5-7-5 5,2% 0 0 0
7-5-7-8 16,6% 6,67€ - 6€ = 0,67€ 0,11€ 0,098€
7-10-7-5 1,65% 7,33€ - 6€ = 1,33€ 0,022€ 0,019€
7-10-7-8 5,2% 8,33€ - 6€ = 2,33€ 0,12€ 0,11€7-10-11-8 5,45% 9,67 - 6€ = 3,67€ 0,20€ 0,18€
7-10-11-12 33,3% 11€ - 6€ = 5€ 1,67€ 1,48€
Totale 100% - - 1,89€
Il valore dell’opzione call asiatica risulta proprio pari alla somma dei payoff pesati
dalle probabilità congiunte, e attualizzati:
c* = 1,89€
Come previsto, esso risulta più contenuto rispetto al valore dell’opzione europea,
poiché ad essa è associata una volatilità dei payoff più contenuta (considerando lamedia dei valori registrati, la varianza del risultato si riduce notevolmente e questo
ha un impatto negativo sul valore di un’opzione, come si è visto nei paragrafi
precedenti).
L’ultimo contratto è un’opzione put di tipo ‘up and in’, ovvero si attiva solo se
prima della scadenza il prezzo dell’attività sottostante va oltre una certa soglia
(9€). Si tratta di individuare i cammini in cui l’opzione può essere esercitata,
ovvero laddove in almeno una scadenza annuale il prezzo è stato superiore a 9€
(trigger point ). Riprendiamo il grafico dei payoff a scadenza evidenziando i
cammini ‘utili’ a maturare l’esercizio:
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
255
t =0 t =1 t =2 t =3
0
00 6€ – 5€ = 1€
0,014€ 0,23€
0,03€ 0
0
0
Un solo ‘cammino’ passa per il trigger point e porta ad un payoff possibile
positivo. Al di fuori di questo sentiero il valore dell’opzione sarà sempre nullo, o
perché non viene esercitata o perché non è scattato il trigger point . Calcolando ilvalore dell’opzione lungo questo sentiero attraverso le probabilità di indifferenza
al rischio, si ottiene un valore dell’opzione pari a:
p* = 0,014€
Il valore è ovviamente più basso rispetto a quello delle opzioni put prima trovate,
perché si è introdotto un vincolo restrittivo sulla possibilità di esercizio
dell’opzione.
5.2.5.2 Modello di Black & Sholes
Il modello di Black e Scholes (1973), quest’ultimo vincitore del Premio Nobel perl’Economia nel 1997, permette di valutare un’opzione europea nel caso generale
in cui il prezzo futuro dell’azione possa assumere un valore qualsiasi con
distribuzione non binomiale ma continua. In particolare, nel loro modello, Black e
Scholes ipotizzano che il prezzo S(t ) dell’attività sottostante si evolva
stocasticamente nel tempo sotto una distribuzione di probabilità log-normale3.
Inoltre, indicano con r il tasso risk free di mercato, composto nel continuo.
3 Sotto tale assunzione, i rendimenti dei prezzi sono distribuiti secondo una funzionenormale gaussiana. Affinché la formula sia valida è però necessario che la volatilità σ del
Opzione put complessa (4)
Payoff
ascadenza
Trigger point
S = 10€
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
256
Sotto queste assunzioni, Black e Scholes determinano il valore di mercato di
un’opzione call verificando istante per istante nel tempo (ecco perché viene
introdotto il tasso di interesse composto nel continuo) l’impossibilità di costruire
posizioni di arbitraggio. Si ricava un’equazione differenziale che, introducendocondizioni al contorno opportune relative ai limiti di prezzo in equilibrio descritti
nel Paragrafo 5.2.3, genera questo risultato:
( ) ( )210 d N e X d N Sc rT ⋅⋅−⋅= −
2
σ
σ
ln
σ
2
σln 0
20
1
T
T
e X
S
T
T r X
S
d rT ⋅
+⋅
⋅=
⋅
⋅
++
=−
T d T
T
e X
S
T
T r X
S
d rT
⋅−=⋅
−⋅
⋅=
⋅
⋅
−+
=−
σ2
σ
σ
ln
σ
2
σln
1
02
0
2
( ) ∫ ∞−−
⋅=d x
dxed N 2
2
1
2
1
π
La funzione N (d ) è la funzione di probabilità di una variabile casuale normale
standardizzata. In altre parole è la probabilità che una variabile estratta da una
distribuzione normale standardizzata, φ(0,1), assuma un valore inferiore a d . I
valori di questa funzione sono riportati in una Tabella in Appendice.
Dalla formula precedente è possibile osservare come ancora una volta si possa
valutare una call attraverso un portafoglio costituito da N (d 1) quote dell’attività
sottostante ( N (d 1) quindi rappresenta il rapporto di copertura o delta dell’opzione)
e da un indebitamento pari a N (d 2) per il valore attuale del prezzo di esercizio.
rendimento dell’attività sottostante sia costante, e non varia in funzione del tempo o delprezzo S. Questa condizione non è sempre accettabile sui mercati finanziari.
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
257
Operativamente, la formula di Black e Scholes può essere facilmente implementata
su un calcolatore, oppure è agevole ricorrere alle Tabelle riportate in Appendice a
questo Capitolo, in cui il valore c può essere ricavato, in percentuale rispetto al
valore di S0, incrociando due parametri, ovvero il rapporto fra il prezzo spot dell’attività sottostante e il prezzo di esercizio attualizzato (
rT e X
S−⋅
0 ) e il
prodotto fra time to maturity (sotto radice) e rischio dell’attività sottostante
( T ⋅σ ), facendo opportune interpolazioni se i valori dei parametri non sono
esattamente quelli riportati nella Tabella.
Il valore della corrispondente opzione put europea può essere ricavato da:
p = c + X ⋅ e-rT – S0 = ( ) ( )102
rT d N Sd N e X ⋅−⋅⋅ −
La formula di Black e Scholes può essere dimostrata attraverso altri modelli. Può
essere provato che considerando un albero binomiale, i cui intervalli di tempo fra
un passo e il successivo tendono a zero, la formula della binomiale grazie al
teorema limite centrale della statistica, tende alla formula di Black e Scholes.
La Figura 5.6 descrive il valore di mercato di opzioni call e put in funzione di S0,
determinati dalla relazione di Black e Scholes.
Figura 5.6 – Valore delle opzioni call e put secondo Black e Scholes.
Opzione call Opzione put
X S
S -X
X S
X - S
c p
X
VA(X)
S- VA(X)
S
VA(X)-S
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
258
Come si vede, il valore della call tende a zero al decrescere di S, e tende al valore
del corrispondente contratto forward (S – VA( X )) al crescere di S. Il valore si
mantiene sempre fra i limiti che già conosciamo (S > c > S – VA( X )).
Per quanto riguarda la put , essa tende al suo limite massimo VA( X ) al decresceredi S, e tende a zero al crescere del valore dell’attività sottostante.
• Esempio
Vogliamo determinare il valore di un’opzione call europea (e della corrispondente
opzione put europea) con questi parametri:
S0 = 10€
X = 12€
T = 2 anni
r f = 5%σ = 14%
L’equazione di Black e Scholes genera questa soluzione:
( ) ( )210 d N e X d N ScrT −⋅−⋅= = 0,47€
Si può pervenire al risultato consultando anche le Tabelle in Appendice al
Capitolo (con S0 /VA( X ) = 0,92 e T ⋅σ = 0,20) che salvo approssimazioni
fornisce un valore della call pari a circa il 4,67% del prezzo S0.
Dalla relazione di parità put / call si ottiene infine:
p = c + X ⋅ e-r ·T
– S0 = 1,33€
La Figura 5.6 conferma una cosa molto importante già dimostrata nel Paragrafo
5.2.3: il valore di equilibrio di una call è sempre superiore al suo payoff a
scadenza. Il che vuol dire che non è mai razionale esercitare in anticipo una call: il
payoff che otterremmo è sempre inferiore al suo valore di mercato intrinseco.
Meglio cederla sul mercato che esercitarla in anticipo. In altre parole, sotto queste
ipotesi la possibilità di esercitare in anticipo l’opzione call non ha valore, e quindi
non vi è differenza fra il valore di mercato di un’opzione call americana e quello
della corrispondente opzione europea.
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
259
Per la put le cose non stanno così. Il valore di mercato a volte è inferiore al suo
payoff a scadenza (in particolare quando S è sufficientemente basso), e quindi
potrebbe essere razionale esercitare l’opzione prima della scadenza. Un’opzione
put americana vale più quindi dell’opzione europea.
• Il punto
Abbiamo considerato i due modelli principali di valutazione delle opzioni: gli
alberi binomiali e l’equazione di Black e Scholes. Entrambe si basano su una
logica di non-arbitraggio, individuando il valore dell’opzione costruendo una
posizione analoga attraverso l’indebitamento e l’attività sottostante.
5.2.6 Opzioni su attività che generano flussi di cassa
Nel caso in cui l’attività sottostante generi flussi di cassa positivi o negativiintermedi, alcune delle considerazioni fatte in precedenza non valgono più.
Nel caso delle opzioni europee, è sufficiente ricordare che il prezzo dell’attività
sottostante S* da utilizzare nella formula deve essere ridotto del valore attuale dei
flussi positivi che verranno distribuiti durante la vita dell’opzione, ed incrementato
del valore attuale dei flussi di cassa negativi:
S* = S0 – VA(RICAVI) + VA(COSTI)
La stessa correzione era già stata introdotta nella relazione di parità put-call (nel
Paragrafo 5.2.2), dal momento che chi detiene l’attività sottostante e l’opzione put
ottiene i flussi di cassa positivi e paga quelli negativi, al contrario di chi detiene la
liquidità e l’opzione call:
p = c + X ⋅ e-r ·T – S*
Nel caso delle opzioni americane, il caso è più complesso. Ad esempio, potrebbe
essere razionale esercitare un’opzione call prima della scadenza, se l’attività
sottostante è un’azione che paga dividendi. In tal caso potremmo incassare i
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
260
dividendi, che altrimenti non vedremmo fino alla scadenza. Allo stesso modo, se
l’attività genera costi, sarebbe forse ancora più conveniente esercitare in anticipo
un’opzione put , dal momento che potremmo evitare i costs of carry, oltre che
beneficiare di un payoff immediato.Il valore per questo tipo di opzioni si calcola o ricorrendo a modelli binomiali a più
stadi (ad ogni passo si tiene conto della possibilità di esercitare in anticipo
l’opzione e di incorrere nei relativi flussi di cassa positivi e negativi), oppure
ricorrendo al metodo dell’approssimazione di Black. In questo secondo caso, ad
esempio per un’opzione call americana, si tratta di valutare, sempre utilizzando S*:
a) un’opzione europea che ha la stessa scadenza dell’opzione americana;
b) le opzioni europee che scadono subito prima della liquidazione dei flussi di
cassa positivi nel corso della scadenza dell’opzione, nell’idea che non sarebbe
ottimale esercitare l’opzione call se non appena prima del pagamento deldividendo, se non sono previsti altri flussi di cassa intermedi.
Il prezzo dell’opzione americana è considerato uguale al maggiore dei prezzi di
queste call europee (questa valutazione rappresenta una sottostima del prezzo di
una opzione americana in quanto tale opzione nella realtà può essere esercitata in
un istante di tempo qualunque).
• Esempio
Vogliamo valutare un’opzione call americana a scadenza un anno con strike price
pari a 18€ su un titolo azionario che paga fra sei mesi un dividendo pari a 2€. Iltitolo quota 15€.
In primo luogo, optiamo per il metodo della binomiale. Le nostre migliori stime
sull’andamento del prezzo del titolo ex-dividendo nei prossimi due anni sono
rappresentate nel grafo seguente.
Le frecce verticali indicano il pagamento dei dividendi. In pratica, ci si aspetta che
al tempo t =1/2 il prezzo possa essere pari a 19€ o 14€, che ci si attende diventi
rispettivamente 17€ o 12€ dopo il pagamento del dividendo. Il tasso risk free
annuo di mercato è pari al 4%.
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
261
t =0 t =1/2 t =1
19€ 20€
17€14€ 15€
12€
11€
Individuiamo le probabilità di indifferenza al rischio, laddove servono, il payoff a
scadenza e a ritroso il valore dell’opzione, prestando attenzione ad un eventuale
possibilità di esercizio anticipato.
t =0 t =1/2 t =1
20€ – 18€ = 2€
max(0,916€, 19€–18€)
0,254€ 0
max(0, 14€–18€)0
Fra le scadenze 6 mesi e 1 anno, le uniche probabilità che serve calcolare sono
quelle relative all’evento più ottimistico, poiché in caso opposto l’opzione nonverrà esercitata. Utilizzeremo il prezzo previsto ex-dividendo:
17€ = ( pu · 20€ + pd · 15€) / (1,04)0,5 ⇒ pu = 46,7% pd = 53,3%
Fra sei mesi, prima dello stacco del dividendo, il valore del titolo potrà essere 19€
oppure 14€. Nel primo caso il valore dell’opzione call sarà il massimo valore fra il
payoff ottenibile dall’esercizio anticipato (19€–18€), e il valore dell’opzione in
quell’istante che sarà pari a 2€ · 46,7% · (1,04)0,5 ovvero 0,916€. In tal caso, è
conveniente l’esercizio anticipato. Nel secondo caso il valore sarà zero poiché
l’esercizio anticipato non è conveniente, e il payoff a scadenza sarà sempre nullo.
pu =46,7%
pd =53,3%
pd =74,1%
pd =25,9%
15€
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
262
Nell’istante iniziale bisogna calcolare le probabilità di indifferenza al rischio
considerando il prezzo prima del pagamento del dividendo. Si porrà quindi:
15€ = ( pu · 19€ + pd · 14€) / (1,04)0,5 ⇒ pu = 25,9% pd = 74,1%
Il valore della call C sarà dunque:C = 25,9% · 1€ · (1,04)0,5 = 0,254€
Utilizzando invece la formula di Black e Scholes, consideriamo un tasso annuale
composto nel continuo pari a:
1%4~−== r er =⇒ r ~ 3,92%
Ipotizziamo da una stima dei dati storici una volatilità del rendimento del titolo
azionario pari al 24% annua.
L’approssimazione di Black ci porta a valutare due opzioni call europee. La prima
scade fra sei mesi, e ci consente di incassare immediatamente dopo il dividendo; il
valore di S0 da introdurre nella formula è pari a 15€. La seconda fra un anno, manon permette di incassare il dividendo. In tal caso il valore corretto di S
*0 da
considerare è 15€ – 2€·e–0,0392·0,5 = 13,039€.
Applicando la formula si ottiene per la prima call (S0=15€, X =18€, r =3,92%,
T =0,5) 0,26€ , per la seconda (S0=13,039€, X =18€, r =3,92%, T =1) 0,22€.
Il valore della call americana è quindi, secondo l’approssimazione di Black:
C = 0,26€
5.3 Applicazioni della teoria delle opzioni a contratti finanziari
L’importanza della teoria delle opzioni nella Finanza Aziendale non è limitata
all’analisi dei titoli derivati scambiati sul mercato finanziario, o alla loro funzione
di hedging. Vi sono diversi contratti complessi e situazioni, che riguardano il
finanziamento dell’impresa, che possono essere meglio compresi e valutati
conoscendo la teoria delle opzioni.
5.3.1 Rischiosità del debito e costi di agenzia
Gli azionisti detengono un’opzione sul capitale dell’impresa. In caso di fallimento,
essi possono sottrarsi al rimborso dei crediti non coperti dal valore di liquidazione
delle attività, grazie alla loro responsabilità limitata. Come abbiamo visto nel
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
263
primo Capitolo, questo genera dei costi di agenzia, poiché quando l’impresa è
vicina al dissesto conviene agli azionisti effettuare investimenti sub-ottimali molto
rischiosi. La convenienza discende proprio dal fatto che la volatilità dell’attività
sottostante (il valore delle attività) ha un effetto positivo sul valore dell’opzionedetenuta dagli azionisti.
Figura 5.7 – Payoff Π di detentori del debito e dell’equity dell’impresa in caso di
liquidazione, e valore dell’equity V E e del debito V D.
Nella Figura 5.7 viene rappresentato su linea tratteggiata, in funzione del valore V delle attività dell’impresa, il payoff Π di azionisti e detentori del debito in caso di
liquidazione dell’impresa.
Se l’impresa non è insolvente, il payoff del debito coincide con il valore di
rimborso D del debito, e il valore residuale (V – D) è di pertinenza degli azionisti.
Se invece l’impresa è insolvente (V < D), il valore del debito è pari al valore di
liquidazione delle attività, mentre invece il payoff degli azionisti è nullo.
Riconosciamo nel payoff a scadenza degli azionisti quello di un’opzione call sul
valore delle attività V , con prezzo di esercizio D, il cui valore oggi V E è individuato
dal modello di Black e Scholes e tracciato sulla curva a tratto continuo.
D V
V-D
D
V D
V E
Π
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
264
Il valore del debito V D, anch’esso tracciato su curva continua, può essere
individuato come differenza fra il valore delle attività e il valore dell’ equity:
V D = V – V E
Si può osservare che il payoff del debito è la somma di due posizioni: un debito
non rischioso con valore di rimborso D, e un’opzione put , ceduta dai detentori del
debito sul valore delle attività V , con prezzo di esercizio D.
Il valore del debito V D può quindi essere calcolato anche come la differenza fra il
valore attuale di uno zero-coupon privo di rischio, con valore di rimborso D, e una
put sul valore delle attività V con prezzo di esercizio D.
I creditori hanno ceduto un’opzione put sul valore delle attività, perché in caso di
fallimento verrà loro liquidato il valore delle attività, al prezzo di esercizio del lorodebito insoluto.
Il modello che abbiamo rappresentato spiega come mai il valore di mercato delle
azioni V E di un’impresa, non in liquidazione immediata, ma che è vicina al
fallimento e sarebbe insolvente in caso di liquidazione, è comunque positivo (il
valore di una call anche se out-of-the-money è sempre strettamente positivo). C’è
sempre una probabilità, seppure remota, che le sorti dell’impresa si risollevino nel
futuro. Esso spiega anche come mai il valore del debito V D sia sempre minore del
valore attuale del rimborso a scadenza (il valore dell’opzione put che i creditori
hanno ceduto è sempre positivo): anche se lontana dal dissesto, l’impresa puòessere insolvente nel futuro, e quindi il debito presenta un certo grado di rischio,
tanto più elevato quanto maggiore è la volatilità del valore V della attività (e quindi
la probabilità di insolvenza).
5.3.2 Obbligazioni indicizzate e convertibili
Nel Capitolo 3 abbiamo visto che vi sono titoli obbligazionari le cui cedole, o il
cui rimborso del capitale, sono indicizzati ad altri titoli finanziari.
Il valore di questi titoli non può evidentemente essere determinato attualizzando
flussi di cassa che non sono prevedibili nemmeno in valore atteso. La teoria delle
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
265
opzioni può però aiutarci, dal momento che questi titoli rappresentano una sorta di
opzione sull’attività a cui sono indicizzati. Ad esempio, se il rimborso a scadenza
dell’obbligazione è funzione del rendimento di un titolo azionario, è come se il
proprietario dell’obbligazione detenga un’opzione call sull’azione, il cui prezzo diesercizio è l’obbligazione stessa.
Il suggerimento operativo del tutto generale per valutare obbligazioni di questo
tipo è quello di tracciare innanzitutto il payoff a scadenza, e di riconoscervi la
composizione di posizioni che già conosciamo, fra cui opzioni call e put .
La Figura 5.8 mostra ad esempio il payoff a scadenza di un’obbligazione zero-
coupon, che alla scadenza T rimborsa il valore massimo fra il valore nominale VN
e il valore di un indice azionario, il cui valore oggi è J 0.
Figura 5.8 – Payoff a scadenza Π associato ad un’obbligazione zero-coupon indicizzataall’indice azionario J.
Fintantoché il valore dell’indice a scadenza T sarà inferiore al valore nominale VN
dello zero-coupon, l’obbligazione rimborserà il valore nominale stesso. Se però a
scadenza il valore dell’indice è superiore a VN, sarà rimborsato un controvalore in
denaro pari all’indice stesso. È chiaro che è come se disponessimo di un’opzione
call sull’indice, il cui prezzo di esercizio è il valore nominale VN del titolo.
In effetti, osservando la Figura 5.8, riconosciamo la somma di due payoff : quello di
uno zero-coupon, con valore nominale VN, e un’opzione call, con prezzo di
VN J
VN
J 0
Π
J 0
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
266
esercizio VN (se non si è convinti basta tornare per un attimo alla Figura 5.4). Il
valore dell’obbligazione indicizzata sarà quindi pari alla somma di due
componenti: (i) il valore di uno zero-coupon con scadenza T e valore nominale
VN, (ii) un’opzione call sull’indice (che oggi vale J 0) con prezzo di esercizio VN,e time-to-maturity T .
Passiamo ad un secondo esempio. Le obbligazioni convertibili sono titoli di debito
che possono diventare titoli di tipo equity, a discrezione del detentore. Detenere
un’obbligazione convertibile è come detenere un’obbligazione comune, più
un’opzione call sul titolo azionario, il cui prezzo di esercizio è il valore
dell’obbligazione stessa. Ciò è evidente dalla Figura 5.9 in cui viene raffigurato il
payoff a scadenza associato allo stock di debito convertibile, in funzione del valore
di mercato delle attività dell’impresa stessa (per semplicità viene esclusa
l’esistenza di altro capitale di debito).
Figura 5.9 – Payoff a scadenza Π associato al debito convertibile, in funzione del valore
delle attività.
È chiaro che, come accade per il debito comune, al di sotto di un certo valore di
mercato delle attività, pari al valore di rimborso del debito D, l’impresa fallisce e il
payoff del debito è il valore residuo delle attività. Questo argomento è stato appena
trattato nel Paragrafo precedente. Se l’impresa non fallisce, il debito viene
rimborsato normalmente a scadenza: gli obbligazionisti non ritengono opportuno
D V
D
V *
Π
tg = γ
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
267
convertire i titoli, poiché in tal caso il loro payoff sarebbe minore del rimborso del
debito. Esiste però un’altra soglia del valore delle attività V * oltre la quale i
detentori del debito trovano conveniente convertire i loro titoli e diventare
azionisti. Tale soglia deve soddisfare il seguente vincolo:
D =δmn
δm
⋅+
⋅· V
* = γ · V *
con γ =δmn
δm
⋅+
⋅
dove m rappresenta il numero di obbligazioni convertibili in circolazione, n il
numero di azioni attualmente in circolazione, δ il rapporto di conversione delle
obbligazioni (ovvero il numero di azioni che si ottengono convertendo ogniobbligazione) e γ la frazione del capitale azionario che gli ex-obbligazionisti
deterranno dopo la conversione.
Infatti, bisogna tenere conto che nel momento in cui tutti i detentori delle
obbligazioni procedono alla conversione, si ha una diluizione sul valore del
capitale azionario. I titoli in circolazione aumentano (in relazione al rapporto di
conversione δ e al numero m di obbligazioni in circolazione) e il valore delle
attività si ‘spalma’ su un numero di azioni maggiore. In altre parole, il detentore di
un’obbligazione nel momento in cui valuta se procedere alla conversione non deve
guardare al valore di mercato corrente dei titoli azionari, ma deve guardare al
valore (inferiore) che avranno i titoli dopo la diluizione del capitale.
Se il valore V delle attività dell’impresa sarà inferiore a V *, gli obbligazionisti non
dovranno convertire i titoli, perché la ricchezza di cui sarebbero titolari è inferiori
al valore di rimborso del debito. Al contrario, la conversione sarà conveniente,
perché il valore di mercato dei titoli azionari in cui sono state ‘trasformate’ le
obbligazioni sarà comunque superiore al valore di rimborso del debito D.
Ancora una volta il suggerimento è osservare il payoff a scadenza e scomporlo in
diverse componenti; nel grafico di Figura 5.9 riconosciamo la somma di tre diverse
posizioni:
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
268
1) un’emissione obbligazionaria zero-coupon, con valore di rimborso pari a D;
2) un’opzione put , che corrisponde al fatto che il debito è rischioso; il contributo
di questo segmento è negativo e corrisponde al valore di un’opzione put sul
valore V con prezzo di esercizio D;3) un’opzione call, che corrisponde alla possibilità di convertire il debito; il
contributo di questo segmento è invece positivo e corrisponde alla frazione γ
del valore di un’opzione call sul valore V con prezzo di esercizio V *; ogni unità
marginale del valore delle attività deve essere infatti ‘spartita’ fra ex-
obbligazionisti (che vantano una quota della proprietà pari a γ ) e ‘vecchi’
azionisti.
Il valore del debito convertibile sarà dunque la somma algebrica di queste tre
componenti. Per trovare il valore di una singola obbligazione basterà dividere il
risultato per m.Se per caso la conversione è ammessa anche prima del termine T , possiamo
valutare la terza componente come un’opzione call americana, ricordando che se
l’impresa non paga alti dividendi, il valore non cambierà molto rispetto a quello di
un’opzione europea.
Infine, un discorso diverso vale per le obbligazioni ‘convertible-reverse’. Nel
Capitolo 3 abbiamo detto che si tratta di obbligazioni che possono essere
convertite in altri titoli a discrezione dell’emittente. È chiaro che in questo caso ci
troviamo di fronte ad un’opzione put , in quanto è come se la società emittente si
riserva l’opzione di vendere il titolo sottostante all’investitore, al prezzo diesercizio definito dal valore nominale dell’obbligazione.
La Figura 5.10 rappresenta il payoff a scadenza di un’obbligazione convertible-
reverse, in funzione del prezzo S del titolo in cui essa può essere convertito
(ipotizzando un rapporto di conversione 1:1). È chiaro che quando il valore ST sarà
superiore al valore nominale del titolo, l’impresa emittente rimborserà il valore
nominale, mentre convertirà il titolo nell’attività sottostante se il suo valore a
scadenza è inferiore al valore nominale. Il grafico mostra chiaramente che il payoff
è la somma di due posizioni: (i) uno zero-coupon con scadenza T e valore
nominale VN , e (ii) la cessione di un’opzione put sull’attività sottostante, il cui
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
269
valore odierno è S0, con scadenza T e prezzo di esercizio VN . Inoltre, il grafico ci
mostra che la posizione è assimilabile a quella del debito rischioso di un’impresa.
Figura 5.10 – Payoff a scadenza Π associato ad un’obbligazione convertible-reverse.
Il valore dell’obbligazione sarà quindi pari alla differenza fra il valore dello zero-
coupon e il valore dell’opzione put . In base alla relazione di parità put/call, può
essere calcolato anche come la differenza fra il valore dell’underlying S0 e della
corrispondente opzione call.
Un’ultima nota: se oltre al rimborso del capitale a scadenza il titolo
obbligazionario da valutare prevedesse delle cedole (fisse o indicizzate), al valore
del titolo, determinato con la teoria delle opzioni, sarà necessario sommare ancheil valore attuale delle cedole che saranno incassate.
• Esempio
Si tratta di individuare il valore V zc di un’obbligazione zero-coupon, con scadenza
T pari a 3 anni, con queste caratteristiche alternative:
1) rimborso a scadenza del valore nominale, pari a 1.000€;
2) rimborso a scadenza del massimo valore fra valore nominale dell’obbligazione
e valore in euro di un indice borsistico (la cui volatilità annua è pari al 15% e
oggi vale J 0 = 1.200);
VN S
VN
S0
Π
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
270
3) l’obbligazione è convertibile in azioni dell’impresa emittente, in rapporto δ
pari a 20 azioni per ogni obbligazione; il valore di mercato corrente V delle
attività dell’impresa è 115 mln. €; le azioni in circolazione (n) sono 2 mln.,
mentre le obbligazioni convertibili (m) sono 10.000; la volatilità annua delvalore V è pari all’8%;
4) l’obbligazione è convertibile a discrezione dell’emittente in titoli azionari
detenuti in portafoglio dall’impresa (in ragione di 10 titoli per ogni
obbligazione), il cui prezzo di mercato S0 oggi è pari a 110€, e la cui volatilità
annua è pari al 20%.
Sappiamo che il tasso risk free di mercato r alla scadenza 3 anni è pari al 2%, e che
il rischio del dissesto dell’impresa può essere trascurato.
Per quanto riguarda il punto (1) il calcolo è molto semplice, dal momento che il
rischio di dissesto del debito è trascurabile:
V zc(1) =T r
VN
)(1 += 942,32€
Nel secondo caso, l’obbligazione è indicizzata all’indice azionario. Il payoff sarà
superiore al valore nominale se fra tre anni l’indice borsistico sarà superiore a
1.000 punti. Seguendo le indicazioni precedenti, il valore dell’obbligazione sarà la
somma di V zc(1) e del valore di un’opzione call sull’indice stesso, con prezzo
d’esercizio VN , determinabile attraverso le Tabelle in Appendice al Capitolo:
V zc(2) = V zc(1) + call ( J 0 = 1.200, X = 1.000, σ = 15%, r = 2%, T = 3) = 1.224,72€
Nel terzo caso, l’obbligazione è convertibile in 20 azioni della stessa impresa.
Sappiamo che il suo valore V zc(3) è la somma di tre componenti. Oltre al valore
dello zero coupon V zc(1) abbiamo un’opzione put sul capitale in caso di dissesto (il
cui valore è trascurabile in questo caso) e un’opzione call sul capitale in caso di
conversione dei titoli, con però un effetto di diluizione. A scadenza, la conversione
sarà conveniente se il valore delle attività sarà pari a:
V * = D / γ = 110 mln. €
con γ =δ
mn
δm
⋅+
⋅= 9,09% e D = m ⋅ VN = 10 mln. €
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
271
Il valore di una singola obbligazione convertibile V zc(3) è la somma di:
V zc(3) = V zc(1) + γ / m ⋅ call (V = 115 mln., X = V * = 110 mln., σ = 8%, r = 2%, T = 3)
V zc(3) = 1.060,67€
Nel quarto caso, l’obbligazione è una convertible-reverse e alla scadenza ciattendiamo la liquidazione in azioni se il valore di mercato di 10 azioni (oggi pari a
1.100€) sarà inferiore a 1.000€. In caso contrario ci attendiamo il rimborso del
capitale nominale. Il valore V zc(4) sarà quindi la differenza fra due componenti:
V zc(4) = V zc(1) – put (S0 = 1.100, X = 1.000, σ = 25%, r = 2%, T = 3) = 836,14€
Come si vede, a parità di valore nominale del titolo, abbiamo ottenuto prezzi
teorici molto diversi nei quattro casi.
5.3.3 Warrant
I warrant sono stati considerati nel Capitolo precedente come strumenti di raccoltadi capitale a termine. Si tratta di opzioni call che conferiscono al detentore la
possibilità di acquistare titoli azionari – in realtà non necessariamente di nuova
emissione – oppure titoli obbligazionari (‘harmless warrant ’) a condizioni
prefissate entro una certa scadenza. Nel caso in cui i titoli sottostanti siano azioni
già in circolazione, infatti, non è prevista alcuna raccolta di capitale, e i warrant
sono in tutto e per tutto valutabili attraverso i modelli esaminati. Nel caso invece
in cui le azioni siano titoli di nuova sottoscrizione, bisogna tenere conto
dell’effetto di diluizione eventuale, e quindi non è possibile introdurre nel modello
di valutazione il prezzo corrente dei titoli azionari S0 senza altri accorgimenti.
Il metodo più noto in questo caso è il ricorso al modello dilution-adjusted della
relazione di Black e Scholes. Le variabili del modello sono:
S0 = prezzo dell'azione sottostante oggi;
n = numero di azioni in circolazione attualmente (destinato ad aumentare dopo
l’esercizio dei warrant );
W = valore di mercato in equilibrio del warrant (in questo caso da determinare);
γ = rapporto di sottoscrizione (nuove azioni sottoscritte / 1 warrant ); si tratta del
numero di azioni che è possibile sottoscrivere a scadenza grazie al possesso di un
warrant ;
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
272
m = numero di warrant in circolazione;
w p̂ = prezzo di unitario di sottoscrizione delle azioni a scadenza;
T = scadenza del periodo di esercizio del warrant ;
ST = prezzo dell'azione alla scadenza T (incognito);σ = volatilità annua del rendimento dell’azione sottostante.
Si consideri il payoff Π a scadenza di un'opzione call europea sul titolo azionario
considerato, con prezzo di esercizio w p̂ e scadenza T che ha valore c
(determinabile attraverso la formula di Black e Scholes):
Π1 = ST – w p̂ se ST > w p̂
Π2 = 0 se ST < w p̂
Il payoff a scadenza Πw del detentore del warrant sarà in generale diverso. Egli
infatti sconta il fatto che nel momento in cui tutti i possessori di warrant dovessero
sottoscrivere le nuove azioni, il prezzo dell'azione ST si modificherà per l'effetto di
diluizione. In particolare, definiamo SFDT come il prezzo dell'azione al tempo T nel
caso di piena diluizione (prezzo fully-diluted ), ovvero nel caso in cui tutti i
warrant siano esercitati. Le azioni in circolazione cresceranno, e in numero
saranno pari a (n + γ · m). Come nel caso degli aumenti di capitale, la cosa più
semplice da ipotizzare è che la capitalizzazione dell’equity dopo l’esercizio dei
warrant V ′ sia pari alla capitalizzazione prima, più la raccolta di capitale derivantedall’esercizio dell’opzione:
V ′ = (n + γ · m) · SFDT = n ⋅ ST + γ · m · w p̂
da cui si calcola il prezzo fully-diluted SFDT :
SFDT =mn
pmSn wT
⋅+
⋅⋅+⋅
γ
γ ˆche risulta comunque < ST
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
273
Il payoff del detentore del warrant sarà dunque legato al prezzo fully-diluted , non a
ST , e dipenderà anche dal numero di azioni γ che si possono sottoscrivere. La
decisione di convertire sarà però presa non basandosi sul prezzo di piena
diluizione, ma osservando il prezzo ST . Ogni investitore, preso singolarmente, saràincentivato a convertire appena ST è superiore a w p̂ : il problema è che se tutti lo
fanno, sarà inevitabile la diluizione del capitale.
Πw1 = γ · (SFDT – w p̂ ) se ST > w p̂
Πw2 = 0 se ST < w p̂
Si può dimostrare che esiste una relazione fra il payoff Πw del warrant e quello
dell’opzione call corrispondente Π:
Πw1 = (mn
n
+γ / ) · Π1 se ST > w p̂
Πw2 = Π2 = 0 se ST < w p̂
In condizioni di non-arbitraggio deve dunque essere, in ogni istante prima della
scadenza:
W = (mn
n
+γ / ) · c
Si noti che se l'effetto di diluizione è trascurabile (m << n) il valore del warrant
tende a quello dell'opzione equivalente (a meno del coefficiente γ ). Infatti, il basso
numero di warrant in circolazione non ha un impatto significativo sul valore delle
azioni al momento dell’esercizio dell’opzione.
Purtroppo questo modello non considera l'eventuale pagamento di dividendi
durante il periodo T (in tal caso se ne dovrebbe tenere conto nel calcolo del payoff
a scadenza e nel considerare il fatto che potrebbe essere razionale esercitare il
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
274
warrant prima della scadenza T ) ma soprattutto non tiene conto del fatto che S0
non rispecchia il valore di tutto l'equity dell'impresa. In altre parole, il valore E
dell'equity dell'impresa al momento iniziale si spalma sulle n azioni ma anche sui
warrant in circolazione (spesso però trascurabile).Anche il valore S0 dell'azione (che serve per determinare il valore dell’opzione
call) dovrebbe essere opportunamente corretto dall'effetto di diluizione del valore
dell'equity, così come dovrebbe essere corretta la volatilità del titolo. In altre
parole, il valore dei parametri di partenza dipende esso stesso dal valore W del
warrant che vogliamo individuare. La procedura di valutazione presentata è
approssimata e non è dunque esente da critiche teoriche, anche se dal punto di
vista pratico è più che soddisfacente.
• EsempioSi vuole valutare un warrant che consente di sottoscrivere entro 2 anni azioni di
nuova sottoscrizione al prezzo unitario w p̂ pari a 16€. Per sottoscrivere un titolo
sono necessari 4 warrant (ovvero γ = ¼). Le azioni in circolazione oggi (n) sono 4
mln. e quotano 15€. I warrant in circolazione (m) sono 500.000. Il tasso risk free
alla scadenza 2 anni è pari al 3%, mentre la volatilità σ del rendimento dell’equity
è pari al 9%.
Applicando la formula ‘dilution adjusted ’ di Black e Scholes si ottiene:
W = ( mn
n
+γ / ) · c
dove c è il valore di un’opzione call con S0 = 15€; X = 16€; T = 2; r f = 3%, σ = 9%.
Consultando le Tabelle di Black e Scholes in Appendice al Capitolo si ottiene:
W = 0,18€
Il metodo della ‘piena diluizione’ del capitale è particolarmente utile nell’analisi di
aumenti di capitale dove oltre ai titoli di nuova emissione vengono emessi
contemporaneamente warrant . In tal caso bisognerà tenere conto dell’effetto di
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
275
diluizione relativo sia all’esercizio dei warrant in futuro, sia all’aumento di
capitale nell’immediato.
5.3.4 Garanzie su operazioni di finanziamentoNel Capitolo precedente si è affermato che un’operazione di raccolta di capitale è
in genere garantita da un consorzio di collocamento, che procede alla
sottoscrizione dell’eventuale frazione dell’offerta inoptata, assicurando l’impresa
della riuscita dell’operazione. Un contratto di questo tipo si configura come
un’opzione put : gli offerenti si riservano il diritto di vendere al sindacato di
collocamento le azioni non sottoscritte dagli investitori, al prezzo di sottoscrizione.
Il valore di questo contratto può quindi essere individuato attraverso i modelli di
valutazione delle opzioni.
5.3.5 Titoli derivati atipici: packages e opzioni esotiche
Il panorama dei titoli derivati negli ultimi anni si è arricchito di strumenti
finanziari derivati sempre più complessi, non di rado abbinati all’investimento in
titoli obbligazionari (‘obbligazioni strutturate’). Il confine stesso fra titoli derivati
e titoli a reddito fisso è diventato sempre più labile4. Allo stesso tempo, la
possibilità di assumere posizioni diversificate (long o short ) sulle attività
finanziarie e sulle relative opzioni di acquisto o vendita, ha moltiplicato le tecniche
di copertura e/o di speculazione a disposizione degli investitori.
I titoli derivati ‘atipici’, che si contrappongono alle semplici opzioni call e put
plain vanilla, si distinguono in: (i) packages e (ii) opzioni esotiche. I packages
sono contratti che possono essere ‘scomposti’ in portafogli di opzioni, titoli
azionari e obbligazionari. Le opzioni esotiche sono contratti che non possono
essere ricondotti alle semplici opzioni, ma prevedono algoritmi e regole particolari
per la definizione del payoff a scadenza.
4 Ne è testimonianza l’incertezza che ha contraddistinto l’applicazione della ritenuta fiscale
per i guadagni sull’investimento nelle obbligazioni strutturate, con aliquota del 12,5% comeaccade per le obbligazioni o al 27% come accade per altre rendite finanziarie.
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
276
Ecco una panoramica dei packages più conosciuti:
1) contratti spread ;
2) contratti straddle;
3)
contratti strangle;4) contratti strap e strip;
In generale, tutte queste posizioni possono essere valutate come combinazioni di
opzioni call e put , osservando il loro payoff a scadenza.
I contratti spread sono caratterizzati da un payoff a scadenza variabile fra una
soglia minima e una soglia massima, in funzione del valore a scadenza dell’attività
sottostante, e si distinguono in: (i) bull vertical spread , in cui il payoff cresce al
crescere del valore di mercato dell’attività sottostante, (ii) bear vertical spread , in
cui il payoff decresce al crescere del valore di mercato dell’attività sottostante. Nel
primo caso (si veda la Figura 5.11) la posizione può essere costruita con dueopzioni call con identica scadenza, acquistando quella con prezzo di esercizio
minore X 1 e vendendo quella con prezzo di esercizio maggiore X 2. Lo stesso
risultato può essere ottenuto acquistando un’opzione put con stessa scadenza e
prezzo di esercizio X 1, vendendo una put con prezzo di esercizio X 2 e investendo in
titoli privi di rischio il valore attuale della differenza fra i due strike prices. Oltre
che graficamente, l’equivalenza può essere dimostrata ricorrendo al teorema di
parità put -call:
c( X 1) – c( X 2) = p( X 1) + S – rT e X −⋅1 – p( X 2) – S + rT e X −⋅2
c( X 1) – c( X 2) = p( X 1) – p( X 2) +rT e X X −⋅− )( 12
Nel secondo caso si procede nel modo opposto: si acquista l’opzione call con prezzo
di esercizio maggiore X 2 e si vende la call con strike price minore X 1.
Alternativamente, si acquista l’opzione put con prezzo di esercizio X 2 e si cede
l’opzione put con prezzo di esercizio X 1, indebitandosi al tasso risk-free per un valore
di rimborso pari alla differenza fra i due strike prices. Il payoff massimo per i bull
spread (o minimo per i bear spread ) è pari alla differenza fra gli strike prices.
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
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I contratti spread consentono di fare leva su piccole variazioni del prezzo
dell’attività sottostante. Costruendo un bull spread si scommette sul rialzo di S,
mentre con un bear spread si scommette su un ribasso. Da una parte si limitano
inferiormente le perdite, ma dall’altra vengono limitati anche i profitti: si tratta delprezzo da pagare in cambio dell’incasso del premio iniziale relativo alle opzioni
vendute. I bull vertical spread possono servire a coprire, con un investimento
contenuto, eventuali vendite allo scoperto sull’attività sottostante, per cui ci si
attende una volatilità contenuta del prezzo di mercato. I bear vertical spread
possono servire, anche in questo caso in intorni di prezzo limitati, a coprire il
rischio di portafoglio di chi detiene l’attività sottostante.
Figura 5.11 – Payoff a scadenza Π associato ai contratti spread.
Bull vertical spread Bear vertical spread
Combinando tre tipi di opzioni call (o put ) con prezzi di esercizio diversi X 1, X 2 e
X 3 (con X 2 pari alla media fra gli altri due prezzi di esercizio) è possibile costruire
un ‘butterfly spread ’, in cui il payoff diventa nullo se il prezzo S tende a discostarsi
molto dal valore degli strike prices, mentre è positivo per gli altri casi (Figura
5.12). In particolare, occorre acquistare le opzioni con prezzo di esercizio X 1 e X 3,
e cedere due opzioni con strike price X 2. Il payoff massimo sarà pari alla differenza
fra X 2 e X 1, che è anche pari alla differenza fra X 3 e X 2, e a2
13 X X − .
X 1 X 2 S
Π MAX = X 2 – X 1
Π
0
X 1 X 2 S
Π MIN
Π
0 Π MAX
Π MIN = X 1 – X 2
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
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Figura 5.12 – Payoff a scadenza Π associato ad un butterfly spread e valore di un bullish
horizontal spread.
Butterfly spread Bullish horizontal spread
Esistono poi gli horizontal spread in cui le due opzioni che vengono combinate
hanno lo stesso prezzo di esercizio X ma scadenza T 1 e T 2 diversa (T 1 > T 2). In un
bullish horizontal spread si vende l’opzione call con scadenza più ravvicinata, e si
acquista l’opzione alla scadenza maggiore (che ha un valore più elevato). In un
bearish horizontal spread all’opposto si acquista l’opzione call a più breve
scadenza e si vende quella a più lunga scadenza (si veda ancora la Figura 5.12,
dove viene riportato il valore del contratto e tratteggiato il payoff alle due
scadenze). Il risultato è, entro la scadenza della prima opzione, una posizione
simile a quella del butterfly spread .I contratti straddle consentono al detentore di vendere ad un certo prezzo di
esercizio X una quantità di titoli, oppure di acquistarne allo stesso prezzo la stessa
quantità. A differenza degli spread rappresentano combinazioni di opzioni diverse
(call e put ) con stesso prezzo di esercizio X e scadenza T . In un bottom straddle
entrambe le opzioni vengono acquistate (Figura 5.13). È chiaro che chi sceglie
questa strategia scommette sulla volatilità dell’attività sottostante, poiché in
cambio di un premio iniziale pagato per acquistare le due opzioni sarà felice se il
prezzo S subirà un tracollo o un’impennata. Al contrario, in un top straddle si
cedono l’opzione call e l’opzione put e contro l’incasso immediato dei premi
Π
0
X 1 X 2 X 3 S
V
0
X S
T 1
T 2
Π MAX = X 2 – X 1 Π MAX
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
279
relativi si spera in futuro che il prezzo del titolo non si discosti molto dallo strike
price.
Figura 5.13 – Payoff a scadenza Π associato ai contratti straddle.
Bottom straddle Top straddle
Lo strangle è molto simile allo straddle, ma le opzioni contenute nel contratto
hanno prezzi di esercizio diversi (si veda la Figura 5.14). Si tratta di una strategia
quindi meno rischiosa rispetto allo straddle, che comporta un investimento minore
per il bottom strangle (contro un payoff a scadenza più contenuto fissato il prezzo
di esercizio fra X 1 e X 2) e una possibile perdita più contenuta per il top strangle
(contro un incasso minore del premio iniziale). Maggiore è la differenza fra gli
strike prices, minore sarà il valore del contratto.
Figura 5.14 – Payoff a scadenza Π associato ai contratti strangle.
Bottom strangle Top strangle
X S
Π
0
Π
0
X S
Π
0
Π
0
X 1 X 2 S
X 1 X 2 S
X
–X
X 1
–X 1
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
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Infine, abbiamo i contratti strap, anche essi simili agli straddle, ma che consentono
al detentore di vendere ad un certo prezzo di esercizio una quantità di titoli, oppure
di acquistarne allo stesso prezzo una quantità doppia, e i contratti strip, che al
contrario consentono al detentore di acquistare ad un certo prezzo di esercizio unaquantità di titoli, oppure di venderne allo stesso prezzo una quantità doppia. Il
valore di uno strap è uguale alla somma di una put e di due call corrispondenti. Al
contrario, uno strip può essere scomposto in una call e due put .
Figura 5.15 – Payoff a scadenza Π associato ai contratti strip e strap.
Strip Strap
Per quanto riguarda le opzioni esotiche, fra cui le barrier options già anticipate nel
Paragrafo 5.2.5.1, possiamo citare diversi esempi. Esistono le binary options (o
digital options), in cui il payoff a scadenza può assumere solo due valori: zero senon viene esercitata l’opzione, un valore fisso pari a P se viene esercitata (si veda
la Figura 5.16). Nelle chooser options l’investitore ha facoltà di decidere, in istanti
di tempo predeterminati, se l’opzione che possiede è una call o una put . Le
compound options sono opzioni la cui attività sottostante è un’altra opzione
(opzioni su opzioni quindi).
Per queste opzioni non si può ricorrere al semplice metodo di Black e Scholes, ma
esistono strumenti di valutazione più complessi, a volte basati sugli alberi
binomiale (o anche trinomiali) o sulle simulazioni, attraverso pacchetti software
specifici come Matlab.
X S
Π
0
X S
Π
0
2· X X
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
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Figura 5.16 – Payoff a scadenza Π associato ad una binary option.
Binary option
• Esempio
Si vuole progettare dei portafogli in cui siano incluse opzioni su un titolo che oggiha un valore S0 pari a 8€. La volatilità del rendimento σ è pari al 12%. Il tasso risk
free di mercato composto nel continuo r è pari al 2,5%. Si tratta di costruire:
1) un bull vertical spread a scadenza T due anni, con payoff massimo pari a 5€;
2) un butterfly spread con payoff massimo pari a 3€;
3) un bottom straddle e uno strap con prezzo di esercizio 9€;
4) un bottom strangle, con prezzi di esercizio 7€ e 9€.
Per quanto riguarda il bull vertical spread , dobbiamo scegliere due opzioni con
prezzi di esercizio tali che la loro differenza è pari a 5€ (ad esempio, 11€ e 6€).
Si tratterà di acquistare un’opzione call con prezzo di esercizio 6€ e venderel’opzione call con prezzo d’esercizio 11€. L’investimento necessario I 1 sarà pari a:
I 1 = c(S0=8€, r =2,5%, T =2, σ=12%, X =6€) – c(S0=8€, r =2,5%, T =2, σ=12%, X =11€)
Utilizzando la formula di Black & Scholes si ottiene un ‘costo’ I 1 pari a 2,265€
Il butterfly spread può essere costruito con opzioni call con prezzi di esercizio pari
a 6€, 9€ e 12€. Infatti, il payoff massimo desiderato (3€) sarà pari alla differenza
fra gli strike prices della prima e seconda (o seconda e terza) opzione.
Si tratterà di acquistare un’opzione call con strike price 6€, vendere 2 opzioni call
con strike price 9€ e comprare una call con strike price 12€.
L’investimento necessario I 2 è:
X S
Π
0
P
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
282
I 2 = c(S0, r , T , σ, X =6€) – 2·c(S0, r , T , σ, X =9€) + c(S0, r , T , σ, X =12€) = 1,668€
Il bottom straddle si costruisce comprando un’opzione call e la corrispondente
opzione put , con strike price 9€. L’investimento necessario I 3 è:
I 3 = c(S0, r , T , σ, X =9€) + p(S0, r , T , σ, X =9€) = 1,207€Dal teorema di parità put-call I 3 è anche pari a:
I 3 = 2·c(S0, r , T , σ, X =9€) + VA( X =9€) – S0 = 1,207€
Lo strap è un portafoglio simile al bottom straddle, ma composto da due opzioni
call:
I 3 = 2·c(S0, r , T , σ, X =9€) + p(S0, r , T , σ, X =9€) = 1,530€
Infine, il bottom strangle comporterà un investimento I 4 certamente più contenuto
rispetto al corrispondente straddle e pari a:
I 4 = c(S0, r , T , σ, X =9€) + p(S0, r , T , σ, X =7€) = 0,412€
5.3.6 Opzioni reali di investimento
Il calcolo del valore attuale netto (VAN) risulta inadeguato per la valutazione di
progetti di investimento caratterizzati da forte incertezza nella previsione dei flussi
di cassa attesi e nella quantificazione del rischio, a maggior ragione questo è vero
se la fluidità del progetto è elevata e il suo successo dipende da scelte future
discrezionali. Ipotizzare che il management abbia un ruolo passivo dopo la
realizzazione dell’investimento non permette di cogliere le opportunità (o opzioni
reali) che sono legate all’investimento stesso, come la possibilità che il progetto
possa modificarsi in alcuni aspetti quali i costi effettivi o le modalità di
finanziamento, anche in risposta a fatti inaspettati.
• Il segnalibro
Le diverse tipologie di opzioni reali, fra cui le opzioni strategiche, sono descritte
nel Volume ‘Gestire le Risorse dell’Impresa’, Capitolo 4, Paragrafo 4.1.7.
La tecnica di attualizzazione dei flussi di cassa attesi non considera, dunque, che il
manager è di fatto un gestore di attività reali, e di conseguenza è in grado di
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
283
rispondere ai cambiamenti del mercato, di operare scelte strategiche che
consentono di trarre benefici dall’evoluzione positiva dello scenario e al contempo
di intervenire per contenere le conseguenze negative di una evoluzione sfavorevole
delle variabili incidenti sul valore del progetto.I progetti di investimento incorporano dunque delle opzioni reali, esercitabili dal
management nel momento più opportuno, il cui valore può essere ricavato dai
modelli esaminati.
• Il punto
Obbligazioni convertibili e indicizzate, warrant , garanzie su finanziamenti, titoli
derivati atipici, opzioni reali di investimento, …, in tutti questi ambiti la teoria
delle opzioni è in grado di fornire un prezioso strumento di analisi.
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
284
Appendice – Le Tabelle di Black & Scholes (1)
Valore di un’opzione call in percentuale rispetto al valore S0 dell’attività sottostante.
Valore dell’attività sottostante / Valore attuale del prezzo di esercizio S0 / VA(X)0.40 0.45 0.50 0.55 0.60 0.65 0.70 0.75 0.80 0.82 0.84 0.86 0.88 0.90 0.92 0.94 0.96 0.98 1.00
0.05 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.01 0.03 0.10 0.27 0.60 1.16 1.99
0.10 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.01 0.05 0.10 0.18 0.31 0.51 0.79 1.18 1.69 2.32 3.09 3.99
0.15 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.01 0.05 0.18 0.50 0.72 0.99 1.33 1.75 2.25 2.83 3.49 4.24 5.07 5.98
0.20 0.00 0.00 0.00 0.01 0.04 0.14 0.35 0.77 1.48 1.86 2.30 2.80 3.36 3.99 4.67 5.42 6.22 7.07 7.97
0.25 0.00 0.01 0.03 0.09 0.24 0.53 1.03 1.78 2.83 3.34 3.90 4.50 5.16 5.86 6.60 7.38 8.21 9.06 9.95
0.30 0.01 0.05 0.15 0.35 0.70 1.25 2.04 3.10 4.42 5.02 5.66 6.33 7.05 7.79 8.57 9.37 10.20 11.05 11.92
0.35 0.08 0.20 0.44 0.84 1.44 2.26 3.33 4.63 6.15 6.82 7.52 8.24 8.99 9.76 10.55 11.36 12.19 13.04 13.89
0.40 0.23 0.50 0.94 1.58 2.43 3.52 4.82 6.32 7.99 8.70 9.43 10.19 10.96 11.75 12.55 13.36 14.18 15.01 15.85
0.45 0.54 1.00 1.67 2.55 3.66 4.96 6.45 8.10 9.89 10.63 11.39 12.16 12.95 13.74 14.54 15.35 16.16 16.98 17.80
0.50 1.01 1.70 2.61 3.74 5.06 6.55 8.20 9.97 11.83 12.59 13.37 14.15 14.94 15.73 16.53 17.33 18.13 18.94 19.74
0.55 1.68 2.61 3.75 5.09 6.61 8.26 10.03 11.88 13.80 14.57 15.36 16.14 16.93 17.72 18.52 19.31 20.10 20.88 21.67
0.60 2.53 3.69 5.06 6.60 8.27 10.05 11.91 13.83 15.78 16.57 17.35 18.14 18.92 19.71 20.49 21.27 22.04 22.82 23.58
0.65 3.55 4.95 6.51 8.22 10.03 11.91 13.84 15.80 17.77 18.56 19.35 20.13 20.91 21.68 22.45 23.22 23.98 24.73 25.48
0.70 4.74 6.34 8.08 9.93 11.85 13.82 15.80 17.79 19.77 20.55 21.33 22.11 22.88 23.64 24.40 25.15 25.90 26.64 27.37
0.75 6.07 7.86 9.76 11.72 13.73 15.76 17.78 19.78 21.76 22.54 23.31 24.08 24.84 25.59 26.34 27.07 27.80 28.52 29.23
0.80 7.52 9.48 11.51 13.58 15.65 17.72 19.77 21.78 23.74 24.52 25.28 26.04 26.79 27.52 28.25 28.98 29.69 30.39 31.080.85 9.08 11.19 13.33 15.48 17.61 19.71 21.76 23.77 25.72 26.48 27.24 27.98 28.72 29.44 30.15 30.86 31.56 32.24 32.92
0.90 10.74 12.97 15.20 17.41 19.58 21.70 23.76 25.75 27.68 28.43 29.18 29.91 30.63 31.34 32.04 32.72 33.40 34.07 34.73
0.95 12.47 14.81 17.12 19.37 21.57 23.69 25.75 27.72 29.63 30.37 31.10 31.81 32.52 33.21 33.90 34.57 35.23 35.88 36.52
1.00 14.27 16.70 19.06 21.35 23.56 25.68 27.73 29.68 31.56 32.28 33.00 33.70 34.39 35.07 35.74 36.39 37.04 37.67 38.29
1.05 16.13 18.62 21.03 23.34 25.55 27.67 29.69 31.62 33.47 34.18 34.88 35.57 36.24 36.90 37.55 38.19 38.82 39.44 40.04
1.10 18.03 20.58 23.01 25.33 27.54 29.65 31.65 33.55 35.35 36.05 36.74 37.41 38.07 38.72 39.35 39.97 40.58 41.18 41.77
1.15 19.96 22.55 25.00 27.33 29.53 31.61 33.58 35.45 37.22 37.90 38.57 39.23 39.87 40.50 41.12 41.72 42.32 42.90 43.47
1.20 21.92 24.53 27.00 29.32 31.50 33.56 35.50 37.33 39.06 39.73 40.39 41.03 41.65 42.26 42.87 43.45 44.03 44.60 45.15
1.25 23.89 26.53 28.99 31.30 33.46 35.48 37.39 39.19 40.88 41.53 42.17 42.79 43.40 44.00 44.59 45.16 45.72 46.27 46.80
1.30 25.88 28.52 30.98 33.26 35.40 37.39 39.26 41.02 42.68 43.31 43.93 44.54 45.13 45.71 46.28 46.83 47.38 47.91 48.43
1.35 27.87 30.51 32.95 35.21 37.31 39.28 41.11 42.83 44.44 45.06 45.66 46.25 46.83 47.39 47.95 48.48 49.01 49.53 50.03
1.40 29.87 32.50 34.91 37.14 39.21 41.14 42.93 44.61 46.18 46.78 47.37 47.94 48.50 49.05 49.58 50.11 50.62 51.12 51.61
1.45 31.86 34.47 36.86 39.06 41.09 42.97 44.72 46.36 47.89 48.47 49.04 49.60 50.15 50.68 51.19 51.70 52.20 52.68 53.15
1.50 33.84 36.42 38.78 40.94 42.93 44.78 46.49 48.08 49.57 50.14 50.69 51.23 51.76 52.27 52.78 53.27 53.75 54.22 54.67
1.55 35.81 38.36 40.68 42.81 44.75 46.55 48.22 49.77 51.22 51.77 52.31 52.83 53.34 53.84 54.33 54.80 55.27 55.72 56.171.60 37.76 40.28 42.56 44.64 46.55 48.30 49.92 51.43 52.84 53.37 53.89 54.40 54.90 55.38 55.85 56.31 56.76 57.20 57.63
1.65 39.69 42.17 44.41 46.45 48.31 50.02 51.60 53.06 54.42 54.94 55.45 55.94 56.42 56.89 57.35 57.79 58.22 58.65 59.06
1.70 41.61 44.04 46.24 48.22 50.04 51.70 53.24 54.66 55.98 56.48 56.97 57.45 57.91 58.37 58.81 59.24 59.66 60.07 60.47
1.75 43.49 45.88 48.03 49.97 51.74 53.36 54.85 56.23 57.51 57.99 58.47 58.93 59.38 59.81 60.24 60.66 61.06 61.46 61.84
2.00 52.50 54.63 56.51 58.20 59.73 61.12 62.39 63.56 64.64 65.05 65.45 65.83 66.21 66.58 66.93 67.28 67.62 67.95 68.27
2.25 60.67 62.50 64.12 65.55 66.84 68.01 69.07 70.05 70.95 71.29 71.62 71.94 72.25 72.55 72.84 73.13 73.41 73.68 73.94
2.50 67.90 69.45 70.80 71.99 73.06 74.02 74.90 75.70 76.43 76.71 76.98 77.24 77.49 77.74 77.98 78.21 78.44 78.66 78.87
2.75 74.17 75.45 76.55 77.53 78.40 79.18 79.89 80.54 81.13 81.35 81.57 81.78 81.98 82.18 82.37 82.56 82.74 82.92 83.09
3.00 79.51 80.54 81.43 82.22 82.91 83.54 84.10 84.62 85.09 85.27 85.44 85.60 85.77 85.92 86.07 86.22 86.36 86.50 86.64
3.50 87.63 88.27 88.83 89.31 89.73 90.12 90.46 90.77 91.06 91.16 91.27 91.37 91.46 91.56 91.65 91.74 91.82 91.91 91.99
4.00 92.95 93.32 93.64 93.92 94.16 94.38 94.58 94.76 94.92 94.98 95.04 95.10 95.15 95.21 95.26 95.31 95.36 95.40 95.45
4.50 96.20 96.40 96.57 96.73 96.86 96.98 97.08 97.18 97.27 97.30 97.33 97.36 97.39 97.42 97.45 97.48 97.50 97.53 97.56
5.00 98.06 98.17 98.26 98.34 98.40 98.46 98.52 98.57 98.61 98.63 98.65 98.66 98.68 98.69 98.71 98.72 98.73 98.75 98.76
D e v i a z i o n e s t a n d a r d x R a d i c e q u a d r a t a d e l l a s c a d e n z a
σ √
T
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
285
Appendice – Le Tabelle di Black & Scholes (2)
Valore di un’opzione call in percentuale rispetto al valore S0 dell’attività sottostante.
Valore dell’attività sottostante / Valore attuale del prezzo di esercizio S0 / VA(X)1.02 1.04 1.06 1.08 1.10 1.12 1.14 1.16 1.18 1.20 1.25 1.30 1.35 1.40 1.45 1.50 1.75 2.00 2.50
0.05 3.11 4.45 5.95 7.54 9.14 10.73 12.29 13.80 15.25 16.67 20.00 23.08 25.93 28.57 31.03 33.33 42.86 50.00 60.00
0.10 5.01 6.13 7.34 8.63 9.96 11.32 12.70 14.07 15.44 16.79 20.04 23.09 25.93 28.57 31.03 33.33 42.86 50.00 60.00
0.15 6.95 7.99 9.07 10.20 11.36 12.55 13.76 14.97 16.19 17.41 20.40 23.29 26.04 28.63 31.06 33.35 42.86 50.00 60.00
0.20 8.91 9.88 10.90 11.93 12.99 14.07 15.16 16.26 17.36 18.46 21.19 23.85 26.43 28.89 31.24 33.46 42.87 50.00 60.00
0.25 10.86 11.80 12.76 13.73 14.72 15.72 16.72 17.73 18.74 19.75 22.27 24.73 27.13 29.44 31.66 33.78 42.94 50.01 60.00
0.30 12.81 13.72 14.63 15.56 16.49 17.43 18.37 19.32 20.26 21.20 23.53 25.83 28.06 30.23 32.32 34.32 43.13 50.07 60.01
0.35 14.76 15.63 16.51 17.40 18.29 19.18 20.07 20.96 21.85 22.73 24.92 27.07 29.16 31.20 33.16 35.06 43.47 50.22 60.03
0.40 16.70 17.54 18.39 19.25 20.10 20.95 21.80 22.64 23.49 24.32 26.39 28.42 30.39 32.30 34.16 35.95 43.95 50.47 60.09
0.45 18.62 19.45 20.27 21.09 21.91 22.73 23.54 24.35 25.15 25.95 27.91 29.83 31.69 33.51 35.26 36.96 44.57 50.83 60.21
0.50 20.54 21.34 22.14 22.93 23.72 24.51 25.29 26.06 26.83 27.59 29.46 31.29 33.06 34.78 36.45 38.06 45.30 51.31 60.41
0.55 22.45 23.23 24.00 24.77 25.53 26.29 27.04 27.78 28.52 29.25 31.04 32.78 34.47 36.11 37.69 39.23 46.13 51.88 60.67
0.60 24.34 25.10 25.85 26.59 27.33 28.06 28.78 29.50 30.21 30.91 32.62 34.29 35.91 37.47 38.98 40.44 47.03 52.53 61.01
0.65 26.22 26.96 27.69 28.41 29.12 29.83 30.52 31.21 31.90 32.57 34.22 35.82 37.36 38.86 40.30 41.70 47.99 53.26 61.42
0.70 28.09 28.80 29.51 30.21 30.90 31.58 32.26 32.92 33.58 34.23 35.81 37.35 38.83 40.26 41.65 42.98 49.00 54.04 61.90
0.75 29.94 30.63 31.32 32.00 32.67 33.33 33.98 34.62 35.25 35.88 37.41 38.88 40.31 41.68 43.01 44.29 50.05 54.88 62.43
0.80 31.77 32.44 33.11 33.77 34.42 35.06 35.69 36.31 36.92 37.52 39.00 40.42 41.78 43.11 44.38 45.61 51.12 55.75 63.010.85 33.58 34.24 34.89 35.52 36.15 36.77 37.38 37.98 38.57 39.16 40.58 41.94 43.26 44.53 45.75 46.93 52.22 56.66 63.63
0.90 35.38 36.01 36.64 37.26 37.87 38.47 39.06 39.64 40.21 40.77 42.14 43.46 44.73 45.95 47.13 48.26 53.34 57.60 64.30
0.95 37.15 37.77 38.38 38.98 39.57 40.15 40.72 41.28 41.84 42.38 43.70 44.97 46.19 47.37 48.50 49.59 54.47 58.56 64.99
1.00 38.90 39.51 40.10 40.68 41.25 41.81 42.36 42.91 43.44 43.97 45.24 46.47 47.65 48.78 49.87 50.92 55.60 59.53 65.71
1.05 40.64 41.22 41.79 42.36 42.91 43.45 43.99 44.51 45.03 45.54 46.77 47.96 49.09 50.18 51.23 52.24 56.74 60.51 66.45
1.10 42.35 42.91 43.47 44.01 44.55 45.08 45.59 46.10 46.60 47.09 48.28 49.43 50.52 51.57 52.58 53.55 57.88 61.51 67.21
1.15 44.03 44.58 45.12 45.65 46.17 46.68 47.18 47.67 48.15 48.63 49.78 50.88 51.93 52.95 53.92 54.85 59.02 62.50 67.98
1.20 45.69 46.23 46.75 47.26 47.76 48.26 48.74 49.22 49.68 50.14 51.25 52.31 53.33 54.31 55.24 56.14 60.15 63.50 68.77
1.25 47.33 47.85 48.35 48.85 49.33 49.81 50.28 50.74 51.19 51.63 52.71 53.73 54.71 55.65 56.56 57.42 61.28 64.50 69.56
1.30 48.94 49.44 49.93 50.41 50.88 51.34 51.80 52.24 52.68 53.10 54.14 55.13 56.08 56.98 57.85 58.69 62.40 65.49 70.35
1.35 50.53 51.01 51.49 51.95 52.41 52.85 53.29 53.72 54.14 54.55 55.55 56.51 57.42 58.29 59.13 59.93 63.50 66.48 71.15
1.40 52.09 52.55 53.01 53.46 53.90 54.34 54.76 55.17 55.58 55.98 56.94 57.86 58.74 59.58 60.39 61.16 64.60 67.46 71.95
1.45 53.62 54.07 54.52 54.95 55.38 55.79 56.20 56.60 56.99 57.38 58.31 59.20 60.05 60.86 61.63 62.38 65.68 68.43 72.74
1.50 55.12 55.56 55.99 56.41 56.82 57.22 57.62 58.01 58.38 58.76 59.65 60.51 61.33 62.11 62.86 63.57 66.75 69.39 73.54
1.55 56.60 57.02 57.44 57.84 58.24 58.63 59.01 59.38 59.75 60.11 60.97 61.80 62.59 63.34 64.06 64.75 67.81 70.34 74.321.60 58.05 58.46 58.86 59.25 59.63 60.01 60.38 60.74 61.09 61.43 62.27 63.06 63.82 64.55 65.24 65.90 68.84 71.28 75.10
1.65 59.47 59.86 60.25 60.63 61.00 61.36 61.71 62.06 62.40 62.74 63.54 64.31 65.04 65.73 66.40 67.04 69.87 72.21 75.88
1.70 60.86 61.24 61.61 61.98 62.34 62.68 63.03 63.36 63.69 64.01 64.78 65.52 66.23 66.90 67.54 68.15 70.87 73.12 76.64
1.75 62.22 62.59 62.95 63.30 63.64 63.98 64.31 64.63 64.95 65.26 66.00 66.71 67.39 68.04 68.65 69.24 71.86 74.02 77.40
2.00 68.58 68.89 69.19 69.48 69.76 70.04 70.31 70.58 70.84 71.10 71.71 72.30 72.85 73.38 73.89 74.37 76.50 78.26 81.00
2.25 74.20 74.45 74.69 74.93 75.17 75.39 75.62 75.83 76.05 76.26 76.76 77.23 77.68 78.11 78.52 78.92 80.64 82.06 84.27
2.50 79.08 79.28 79.48 79.67 79.86 80.05 80.23 80.40 80.57 80.74 81.15 81.53 81.89 82.24 82.57 82.88 84.26 85.40 87.16
2.75 83.25 83.42 83.57 83.73 83.88 84.03 84.17 84.31 84.45 84.58 84.90 85.21 85.50 85.77 86.03 86.28 87.38 88.28 89.67
3.00 86.77 86.90 87.02 87.15 87.26 87.38 87.49 87.60 87.71 87.82 88.07 88.31 88.54 88.75 88.96 89.16 90.01 90.72 91.80
3.50 92.07 92.14 92.22 92.29 92.36 92.43 92.50 92.57 92.63 92.69 92.84 92.99 93.12 93.25 93.37 93.49 94.00 94.41 95.05
4.00 95.49 95.54 95.58 95.62 95.66 95.70 95.74 95.78 95.81 95.85 95.94 96.02 96.09 96.16 96.23 96.30 96.59 96.82 97.18
4.50 97.58 97.60 97.63 97.65 97.67 97.69 97.71 97.73 97.75 97.77 97.82 97.86 97.90 97.94 97.98 98.01 98.16 98.29 98.48
5.00 98.77 98.78 98.79 98.81 98.82 98.83 98.84 98.85 98.86 98.87 98.89 98.91 98.93 98.95 98.97 98.99 99.07 99.13 99.23
D e v i a z i o n e s t a n d a r d x R a d i c e q u a d r a t a d e l l a
s c a d e n z a
σ √
T
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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO
286
Appendice – Valori della funzione di distribuzione normale cumulata
N ( x)=
Si ricorda che: N (– x) = 1 – N ( x)
Secondo decimale
U n i t à e p r i m o d e c i m a l e
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287
6. OPERAZIONI DI FINANZA STRAORDINARIA
Le strategie aziendali implicano a volte il ricorso a operazioni di caratterestraordinario che rappresentano eventi rilevanti non solo dal punto di vista
finanziario, ma anche dal punto di vista degli assetti proprietari dell’impresa. In
questo Capitolo analizzeremo diverse fra queste operazioni, dalle più consistenti
(fusioni e acquisizioni) fino alle più marginali.
6.1 Acquisizioni
Un’acquisizione è un’operazione attraverso la quale un’impresa rileva il capitale,
in maggioranza o nella sua totalità, di un’altra impresa. In realtà nella casistica
delle acquisizioni (M&A, mergers and acquisitions) vengono spesso considerateanche operazioni nelle quali un’impresa acquista una quota di minoranza del
capitale di un’altra, o perché intravede la possibilità di un buon investimento
finanziario, o per altri motivi di ordine strategico (alleanze, joint ventures, accordi
fra imprese).
L’acquisizione è una forma di crescita esterna, nel senso che l’impresa accresce le
proprie risorse acquisendole attraverso altre imprese, piuttosto che generandole
internamente. Le determinanti di una acquisizione possono essere la ricerca di
economie di scala o di scopo, piuttosto che economie di integrazione nella catena
del valore, piuttosto che la ricerca di risorse complementari rispetto a quelleesistenti.
• Il segnalibro
Le strategie di integrazione delle attività dell’impresa a monte o a valle della catena
produttiva sono discusse nel Volume ‘Gestire le Risorse dell’Impresa’, Capitolo 5,
Paragrafo 5.2.3.
A tale proposito le acquisizioni si distinguono in: (i) orizzontali, se riguardano
imprese operanti nello stesso business (e quindi potenzialmente concorrenti), (ii)
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6. OPERAZIONI DI FINANZA STRAORDINARIA
288
verticali, se riguardano imprese operanti a valle o a monte della catena del valore,
(iii) conglomerali, se riguardano imprese il cui business è scorrelato. Nel primo
caso i benefici sono essenzialmente legati alla possibilità di ampliare il mercato
servito e la gamma prodotti, nonché il potere di mercato (a meno di disposizioni
anti-trust ) e al conseguimento di economie di scala. Ad esempio, quando un
gruppo bancario ne acquisisce un altro, viene a disporre di una rete più estesa di
sportelli sul territorio, eredita un portafoglio clienti e – purtroppo per i diretti
interessati – si possono ottenere economie di scala attraverso il taglio di funzioni
aziendali prima duplicate. Nel caso delle acquisizioni verticali, le determinanti
sono essenzialmente le economie di integrazione, rispetto all’impresa che decide di
internalizzare funzioni di approvvigionamento piuttosto che di distribuzione del
proprio prodotto. Nel caso delle acquisizioni conglomerali, i maggiori benefici
sono legati alla diversificazione del business, e ad eventuali economie di scopo.
• Il segnalibro
Cause ed effetti delle economie di scopo e delle economie di scala sono trattate nel
Volume ‘Gestire le Risorse dell’Impresa’, Capitolo 3, Paragrafo 3.1.
L’acquisizione può essere condotta in porto per trattativa diretta con i proprietari
oppure passando attraverso il mercato finanziario. In questo ultimo caso, l’impresa
acquirente (bidder ) può rastrellare le azioni della società target in Borsa, oppure
lanciare un’Offerta Pubblica d’Acquisto rivolta agli azionisti. In questo casol’acquisizione può essere o accolta favorevolmente dagli azionisti e dal
management della società target , oppure può essere giudicata ostile (hostile
takeover ), in particolare se è finalizzata ad ottenere il controllo dell’impresa. I
managers, molto più spesso degli azionisti, sono decisamente avversi alle
acquisizioni condotte da un raider esterno all’impresa, perché molto probabilmente
potrebbero essere sostituiti dai nuovi futuri soggetti controllanti con altri
amministratori di fiducia.
Nel caso venga lanciata un’offerta pubblica, agli azionisti della società target viene
proposto di consegnare le loro azioni alla società bidder , in cambio di liquidità o di
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6. OPERAZIONI DI FINANZA STRAORDINARIA
289
altri titoli finanziari (generalmente azioni, oppure obbligazioni emesse dalla società
bidder stessa).
6.1.1 Valutazione di un’acquisizione
Per verificare se un’acquisizione è conveniente per un’impresa, bisogna
considerare le seguenti variabili:
V B = valore di mercato dell’equity della società bidder ;
n B = numero di azioni che compongono il capitale della società bidder ;
V T = valore dell’equity della società target ;
nT = numero di azioni che compongono il capitale della società target ;
∆V = creazione di valore netto attesa dalla società bidder attraverso l’acquisizione.
Particolare attenzione deve essere posta nel considerare correttamente V T . Spesso,
infatti, l’aspettativa di una possibile acquisizione spinge la quotazione delle azioni
della società target verso l’alto, così da incrementarne la capitalizzazione di borsa.
In realtà distingueremo fra:
V T = valore dell’equity della società target ‘considerata da sola’;
T V ′ = valore corrente di mercato dell’equity della società target , sotto possibili
aspettative di acquisizione.
Supponiamo che la società bidder intenda acquisire la target offrendo liquidità L
pronta cassa. Il costo C dell’acquisizione per la società bidder può essere valutato
dalla differenza fra la liquidità L offerta agli azionisti della società target in cambio
delle loro azioni, e il valore V T . Tale valore sarà sempre positivo, perché altrimentinessun azionista della target aderirebbe all’offerta.
C = L – V T
Il costo C può essere scomposto in due aggregati: il costo apparente C a (ovvero il
premio di prezzo offerto dall’impresa bidder rispetto al valore corrente di mercato
del titolo) e C p, ovvero il premio già attribuito dal mercato agli azionisti della
target . Considerando solo il costo apparente C a, l’impresa bidder sottostimerebbe il
costo reale dell’acquisizione, perché si appresta a comprare delle attività il cui
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6. OPERAZIONI DI FINANZA STRAORDINARIA
290
valore ‘vero’ dopo l’operazione sarà rispecchiato da V T , e non da T V ′ . Il premio C p
invece rispecchia l’incremento di valore già ottenuto dagli azionisti della target ,
rispetto alle aspettative di una possibile acquisizione.
C = ( L – T V ′ ) + ( T V ′ – V T ) = C a + C p
L’acquisizione risulterà conveniente per la società bidder se e solo se la creazione
di valore ∆V sarà superiore rispetto al costo reale dell’acquisizione:
∆V > C
In altre parole, si tratta di capire in che misura le due imprese, la bidder e la target ,
riusciranno a impossessarsi della creazione di valore netto attesa ∆V . Una frazione
di questa ricchezza è già stata attribuita dal mercato agli azionisti della target (la
frazione C p) solo per l’eventuale aspettativa dell’acquisizione. È chiaro che se
l’acquisizione non va in porto, tale ricchezza sarà annullata dal mercato, poiché la
capitalizzazione di borsa della società target si ridimensionerà. La frazione C a sarà
attribuita, nell’eventualità dell’acquisizione, ancora agli azionisti della target . La
differenza invece fra ∆V e C sarà di competenza degli azionisti della società bidder ,
e sarà tanto più elevata quanto più è facile convincere gli azionisti della società
target a vendere le loro azioni. Teoricamente, infatti, questi ultimi potrebbero
estrarre, oltre a C a e C p, anche la differenza residua rispetto a ∆V dichiarandosi
disponibili a vendere il capitale solo al prezzo L̂ pari a:
L̂ = V T + ∆V – ε con ε > 0
In tal caso si avrebbe il massimo incremento di ricchezza per gli azionisti della
target , pari a ∆V – ε, mentre si avrebbe il minimo incremento di ricchezza per i
proprietari della bidder , pari a ε. L’effettivo equilibrio finale dipende dunque
dall’elasticità della funzione di offerta sul mercato dei titoli della società target .
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6. OPERAZIONI DI FINANZA STRAORDINARIA
291
Supponiamo ora che l’acquisizione avvenga con uno scambio di azioni, ovvero
venga offerto agli azionisti della target di consegnare le loro azioni in cambio di
titoli di nuova emissione della società bidder . In tal caso l’operazione non è
finanziata con liquidità, ma con un concambio di azioni. Il rapporto di concambio,
ovvero il numero di azioni della bidder offerto per ogni azione della target
consegnata, viene stabilito sulla base del valore corrente di mercato p B e pT delle
azioni delle due imprese:
B
B B
n
V p =
T
T T
n
V p
′=
In particolare, per acquisire la totalità delle azioni della target dovranno essere
emesse Bn̂ nuove azioni:
Bn̂ = B
T
p
V ′=
B
T
p
p· nT
Se il rapporto di concambio α rispetta la valutazione del mercato, esso dovrà
valere:
α =T
B
n
n̂=
B
T
p
p
Dopo un eventuale successo dell’acquisizione, gli ex azionisti della target
deterranno Bn̂ azioni della società bidder , e i ‘vecchi’ azionisti ne deterranno
ancora n B. Il costo C dell’acquisizione, nell’ottica della società bidder , in questo
caso sarà dato da:
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6. OPERAZIONI DI FINANZA STRAORDINARIA
292
C = Bn̂ · p B – V T
Infatti, si tratta di valutare la differenza fra il valore dell’impresa target e la
frazione dell’equity dell’impresa bidder ceduta a chi aderisce all’offerta. Bisognaperò osservare che il costo dell’acquisizione C è un costo che potrebbe risultare
solo apparente. Non è detto infatti che dopo l’acquisizione il valore di mercato dei
titoli della società bidder p B rimanga tale. Anzi, dal momento che l’acquisizione
crea valore, la cosa più naturale è che esso valga di più, in maniera da rispecchiare
il maggiore valore della società bidder dopo l’integrazione con la target , che però
si suddivide su un numero di azioni in circolazione maggiore. Possiamo dunque
stimare il ‘vero’ valore delle azioni B p′ come il rapporto fra il valore atteso
dell’impresa dopo l’integrazione, sul numero totale di azioni:
B p′ = B B
T B
nn
V V V
ˆ+
∆++
Il costo reale C ′ dell’operazione sarà dunque:
C ′ = Bn̂ · B p′ – V T
L’acquisizione risulterà conveniente per gli azionisti della società bidder se il
valore del portafoglio che detengono dopo l’acquisizione, pari a una frazione
n B /(n B+ Bn̂ ), è maggiore di quello che detenevano prima dell’acquisizione (ovvero
il 100% di V B):
B B
B
nn
n
ˆ+· (V B + V T + ∆V ) > V B
La disuguaglianza precedente si può riscrivere e semplificare in questa forma:
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6. OPERAZIONI DI FINANZA STRAORDINARIA
293
∆V > T V ′ – V T
È interessante quindi osservare che anche nel caso di acquisizione finanziata con
titoli, se il concambio rispetta i valori correnti di mercato, la convenienza per lasocietà bidder di acquistare la target discende dalla creazione attesa di valore, che
deve essere superiore alla ‘perdita di valore’ relativa al fatto che si appresta ad
acquistare al prezzo T V ′ qualcosa che in realtà vale V T . La stessa relazione dimostra
che teoricamente anche in questo caso gli azionisti della società target possono
estrarre tutta la creazione di valore attesa ∆V . Per loro cedere i titoli è sempre
conveniente, a meno che dopo l’integrazione non si verifichi una distruzione di
valore, invece di una creazione di valore positivo, che compensi il premio di prezzo
espresso da T V ′ rispetto a V T .
La differenza fondamentale dell’offerta di scambio rispetto all’offerta cash sta nelfatto che in quest’ultimo caso gli azionisti della target liquidano il loro
investimento ed escono di scena. Nel primo caso invece essi diventano a tutti gli
effetti azionisti della bidder , senza uscire di scena. In un certo senso, essi
partecipano del ‘rischio’ dell’acquisizione poiché sono soggetti all’aleatorietà della
creazione di valore attesa ∆V , che potrà essere effettivamente realizzata oppure no.
Nel caso dell’offerta cash invece il loro incremento di ricchezza è certo, e
determinato dalla liquidità L.
• Esempio
Un’impresa, il cui capitale è composto da un numero di azioni n B pari a 10 mln.,
che sul mercato quotano un prezzo p B pari a 5€, intende acquistare il 100% delle
azioni di un’altra società, il cui capitale è composto da un numero nT di azioni pari
a 8 mln., che sul mercato quotano un prezzo pT pari a 2€. L’integrazione fra le due
imprese, secondo le stime degli analisti, dovrebbe generare un valore attuale netto
pari a 4 mln. €.
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6. OPERAZIONI DI FINANZA STRAORDINARIA
294
Appena si diffonde la voce della possibile acquisizione, il prezzo T p′ sul mercato
schizza a 2,2€. La società bidder viene allo scoperto e offre agli azionisti della
società target la possibilità di consegnare i loro titoli ad un prezzo p di 2,3€.
L’investimento totale L della società bidder è pari a: L = p · nT = 18,4 mln. €
I valori di capitalizzazione attuale V B e T V ′ delle sue imprese sono:
V B = p B · n B = 50 mln. €
T V ′ = T p′ · nT = 17,6 mln. €
In realtà sappiamo che parte di questo valore è ‘gonfiato’ dalle aspettative di un
take-over . Il ‘vero’ valore dell’equity V T è pari a:
V T = pT · nT = 16 mln. €
Il costo apparente dell’acquisizione C a è pari a:
C a = ( L – T V ′ ) = 0,8 mln. €
In realtà il costo ‘reale’ C dell’acquisizione è più elevato, perché il premio legato
alle aspettative dell’acquisizione non esisterà più dopo l’integrazione:
C = ( L – V T ) = 2,4 mln. €
L’acquisizione è comunque conveniente, perché la creazione di valore attesa, ∆V ,
pari a 4 mln. €, è maggiore rispetto al costo C. In particolare, la creazione di valore
sarà così suddivisa: 1,6 mln. € (pari a T V ′ - V T ) rappresentano la parte del valore di
cui si sono già appropriati gli azionisti della società target , grazie all’incremento
del valore di mercato dei loro titoli; 0,8 mln. € (ovvero il costo apparente C a)saranno ulteriormente attributi agli azionisti della target attraverso l’adesione
all’offerta, per un totale di 2,4 mln. €; la rimanente parte 1,6 mln. € (pari alla
differenza fra ∆V e C ) sarà invece di pertinenza degli azionisti della società bidder .
Supponiamo ora che l’acquisizione sia finanziata con emissione di titoli della
bidder , offerti agli azionisti della target in cambio dei loro titoli. Affinché l’offerta
sia percepita come equivalente rispetto alla modalità precedente, sarà necessario
proporre un concambio α pari a:
α = B p
p= 0,46
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6. OPERAZIONI DI FINANZA STRAORDINARIA
295
La proposta sarà quindi quella di ricevere 46 azioni della società bidder ogni 100
azioni della società target consegnate.
Le azioni di nuova emissione Bn̂ saranno:
Bn̂ = α · nT = 3,68 mln.Se tutti gli azionisti aderiscono all’offerta di scambio, il capitale della società
bidder , che controllerà il 100% della target , sarà posseduto per il 73,1% (pari a 10
mln. di azioni su 13,68 mln.) dai ‘vecchi’ azionisti, e per il 26,9% (pari a 3,68 mln.
di azioni su 13,68 mln.) dagli ex azionisti della target .
Il valore atteso dell’equity della società bidder dopo l’integrazione è pari a:
V B + V T + ∆V = 70 mln. €
Il valore di mercato atteso dei titoli sarà superiore a prima, grazie alla creazione di
valore attesa ∆V :
B p′ = B B
T B
nn
V V V
ˆ+
∆++= 5,17€
Il costo reale C ′ dell’acquisizione in questo caso sarà dunque:
C ′ = Bn̂ · B p′ – V T = 3,0256 mln. €
Il costo è più elevato rispetto al caso precedente, in cui era offerta liquidità, perché
il rapporto di concambio è proposto sulla base del valore attuale p B delle azioni
della bidder , e non sul loro valore teorico B p′ .
In effetti, l’incremento del valore di portafoglio per i ‘vecchi’ azionisti della
bidder , coerentemente con le formule viste in precedenza, è pari a:
B B
B
nn
n
ˆ+· (V B + V T + ∆V ) – V B = 73,1% (70 mln. €) – 50 mln. € = 1,17 mln. €
L’incremento del valore di portafoglio per gli azionisti della target è invece pari a:
B B
B
nn
n
ˆ
ˆ
+· (V B + V T + ∆V ) – V T = 26,9% (70 mln. €) – 16 mln. € = 2,83 mln. €
La creazione di valore ∆V pari a 4 mln. € si suddividerà quindi fra le due categorie
di azionisti proprio in queste proporzioni.
Essendo il costo dell’acquisizione più elevato nel secondo caso, i ‘vecchi’ azionisti
della società bidder beneficeranno di un incremento di valore pari a solo 1,17 mln.
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6. OPERAZIONI DI FINANZA STRAORDINARIA
296
€, contro 1,6 mln. € prevedibile nel caso dell’acquisizione finanziata con liquidità.
La differenza negativa nell’incremento di ricchezza coincide con la differenza
positiva dell’incremento del valore di portafoglio degli azionisti della bidder (2,83
mln. € contro 2,4 mln. €). Gli azionisti della società target riescono quindi ad
estrarre una frazione maggiore del valore netto ∆V , grazie alla possibilità di
mantenere titoli, invece di essere liquidati. Si noti però che se per caso la creazione
di valore effettiva fosse minore alle aspettative, rimanendo azionisti della bidder
probabilmente perderebbero ricchezza rispetto alla semplice cessione di titoli in
cambio di liquidità. Ovviamente, se invece la creazione di valore sarà maggiore ne
beneficeranno ulteriormente. Da questo punto di vista, essi partecipano al rischio
dell’acquisizione.
La modalità di finanziamento dell’acquisizione, oltre che influire sulla ricchezzadegli azionisti coinvolti, può inoltre avere un effetto segnaletico sul mercato.
Supponiamo infatti che il mercato non sia perfettamente efficiente, e che esistano
asimmetrie informative fra i managers della società bidder e gli investitori. In
particolare, i managers hanno migliori informazioni sul valore effettivo della loro
impresa. Nel caso l’impresa sia sottovalutata dal mercato, è difficile che essi
propongano un’offerta di scambio titoli, in quanto dovrebbero cedere titoli a cui il
mercato attribuisce un valore minore del loro valore reale. Molto più facilmente
saranno disposti a finanziare un’acquisizione con titoli azionari se essi sono
sopravvalutati dal mercato. In tal caso, acquisterebbero titoli della società target offrendo in cambio azioni il cui valore reale è inferiore rispetto alla percezione del
mercato. L’idea è assolutamente simmetrica al modello di Myers e Majluf,
considerato nel Paragrafo 4.4.3.3: l’emissione di titoli azionari sul mercato è
incoraggiata laddove essi siano sopravvalutati. L’acquisizione condotta con
un’offerta di scambio titoli, così come l’aumento di capitale, potrebbe così
segnalare al mercato che l’impresa è sopravvalutata, o quantomeno certamente non
sottovalutata.
Molto spesso, infatti, si è rilevato che il mercato borsistico reagisce male
all’annuncio di un’acquisizione finanziata con titoli azionari, penalizzando la
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6. OPERAZIONI DI FINANZA STRAORDINARIA
297
quotazione dei titoli della bidder . Al contrario, la reazione rispetto al prezzo di
borsa dei titoli della target è quasi sempre positiva: essi infatti come si è visto
hanno la possibilità di estrarre al limite tutta la creazione di valore derivante
dall’acquisizione.
Il costo di un’acquisizione deve comunque essere valutato avendo ben presenti le
‘regole del gioco’ e soprattutto vincoli e obblighi imposti dalla legge.
6.1.2 Offerte pubbliche di acquisto (OPA)
Le offerte pubbliche sono rigidamente disciplinate dalle autorità di vigilanza
poiché l’impresa bidder si rivolge al pubblico indistinto dei risparmiatori, e quindi
è necessario garantire parità di trattamento agli investitori. Ad esempio, in Italia
può essere lanciata volontariamente un’Offerta Pubblica di Acquisto (OPA) oppure
un’Offerta Pubblica di Scambio (OPSc). Nel primo caso l’offerta viene finanziata
con liquidità, mentre nel secondo caso con titoli finanziari. L’offerta deve essere
preceduta dalla diffusione di adeguati documenti e prospetti informativi, ed
autorizzata dalla CONSOB (l’ente che in Italia vigila sul corretto funzionamento
dei mercati finanziari).
L’Offerta Pubblica può fallire se gli azionisti non aderiscono alla sollecitazione
dell’impresa bidder , o se le adesioni sono inferiori rispetto a quanto desiderato e
dichiarato come obiettivo minimale.
Se l’acquisizione invece riesce, la società target può rimanere quotata sul mercato
borsistico nel caso in cui il capitale flottante sia ancora sufficientemente elevato (ad
esempio, se una frazione consistente degli azionisti di minoranza non ha aderito
all’offerta). Se invece quasi tutti gli azionisti della target aderiscono all’offerta, e il
capitale flottante ancora in circolazione è trascurabile, la società viene cancellata
dal listino. In questo caso, la società bidder può essere obbligata a lanciare una
ulteriore Offerta Pubblica Residuale, invitando una seconda volta gli azionisti di
minoranza a consegnare le loro azioni (solo in questa fase essi hanno
l’informazione che la società di cui sono azionisti non sarà più quotata in Borsa, e
quindi non sarà più così agevole in futuro liquidare i loro titoli).
L’impresa bidder è comunque obbligata a lanciare un’Offerta Pubblica successiva,
quando ottiene il controllo di una società quotata senza un’offerta volontaria
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6. OPERAZIONI DI FINANZA STRAORDINARIA
298
precedente. In Italia, ad esempio, se un soggetto ottiene il controllo di un’impresa
quotata possedendo almeno il 30% del capitale, deve lanciare un’offerta successiva
totalitaria sul 100% del capitale. L’idea è che anche gli altri azionisti non
controllanti debbano beneficiare del premio per il controllo incassato da quelli che
hanno ceduto il 30% del capitale al nuovo soggetto controllante, tanto è vero che il
prezzo dell’offerta viene imposto dalla CONSOB sulla base del prezzo di
acquisizione del pacchetto di controllo. Molto spesso però queste barriere vengono
aggirate attraverso l’acquisizione a monte delle società holding, nel cui portafoglio
azionario compare anche il pacchetto di controllo dell’impresa bidder 1.
6.1.3 Leveraged buy-out (LBO) e Management buy-out (MBO)
Un Leveraged buy-out (LBO) è un’acquisizione condotta in porto con un massiccio
impiego dell’indebitamento. Proprio per questo motivo il target è spesso
un’impresa consolidata di grande dimensione, capace di generare significativi cash
flows per poter poi ripagare dopo l’acquisizione il debito contratto dai raiders.
L’impresa bidder , rastrellate le azioni sul mercato e lanciata l’offerta di acquisto,
finanzia l’operazione tipicamente attraverso un prestito bancario di breve durata
(bridge loan) concordato con un pool di finanziatori. Ottenuto il controllo della
società target , il debito viene sostituito con un prestito obbligazionario a lunga
durata. Non è raro che l’acquisizione venga formalmente condotta da una società di
apposita costituzione (si veda la Figura 6.1), che si fonde dopo l’acquisizione con
la società target . In tal modo l’elevato debito della società bidder viene ‘scaricato’
proprio sulla società target , il cui rating di solvibilità tende a peggiorare
significativamente.
Allorché un LBO viene condotto in porto dai managers stessi dell’impresa, che in
tale maniera intendono acquisire la proprietà dell’impresa stessa, esso viene
chiamato Management Buy-Out (MBO). A volte un MBO viene deciso dai
1 Ad esempio, nel 2001 Telecom Italia è stata acquisita da una cordata guidata dal gruppoPirelli attraverso l’acquisizione a monte del pacchetto di controllo della societàlussemburghese Bell, azionista di riferimento di Olivetti, a sua volta azionista controllante
di Telecom Italia. In base alle norme in vigore, non si è dovuto procedere all’OPAsuccessiva né sul capitale Olivetti né sul capitale Telecom Italia.
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6. OPERAZIONI DI FINANZA STRAORDINARIA
299
managers per contrastare un’offerta ostile esterna, oppure per disaccordo rispetto
alle strategie dell’azionista controllante attuale.
Figura 6.1 – Schema di Leveraged buy-out. Situazione al lancio dell’offerta (a) e dopo
l’acquisizione in caso di fusione fra società target e bidder (b).
6.1.4 Tecniche di difesa dalle acquisizioni ostili
Nel caso in cui un’acquisizione non sia concordata con il management della società
target , sorge il problema per quest’ultima di difendersi dal tentativo di acquisizione
ostile (hostile take-over ). I metodi cui è possibile fare riferimento sono
principalmente tre: (i) rendere poco appetibile l’acquisizione, (ii) contrastare
l’acquisizione attraverso degli ‘alleati’, (iii) intraprendere la via giudiziaria.
Nel primo caso l’acquisizione può diventare poco appetibile o rendendola
eccessivamente costosa, oppure eliminando l’interesse dei raiders. Ciò può essere
ottenuto acquistando sul mercato azioni proprie (buyback ) per diminuire l’offerta di
RaidersSocietàbidder
Societàtarget
Bridge loan
Pool di istitutifinanziatori
Offerta(a)
Raiders
Societàbidder
Societàtarget
Prestitoobbligazionario
Mercato
(b)
Fusione
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6. OPERAZIONI DI FINANZA STRAORDINARIA
300
titoli (con ciò spingendo al rialzo il prezzo di mercato), oppure lanciando un
aumento di capitale, oppure facendo scattare alcune ‘trappole’, ad esempio
forzando la conversione di titoli convertibili, magari detenuti da investitori alleati
(in questo caso questi titoli vengono chiamati ‘ poison pills’ come se fossero degli
‘anticorpi’ emessi dall’impresa per proteggersi da scalate ostili), che
incrementando il capitale rendono più costosa l’acquisizione.
Spesso i managers esistenti si proteggono da eventuali defenestrazioni
introducendo clausole particolari nei loro contratti di lavoro (golden parachutes)
che rendono particolarmente costoso il loro licenziamento e la buonuscita. È
possibile anche introdurre dei vincoli statutari nel ricambio del consiglio di
amministrazione che rendono difficile inserire amministratori di fiducia una volta
ottenuta la maggioranza dei voti in assemblea dei soci.
Una ultima possibilità è procedere a operazioni di ristrutturazione interna, tese
eventualmente a dismettere le attività di elevato valore potenziale (crown jewels)
che sono nella mira dei raiders. Queste ultime tecniche sono però spesso ostacolate
dalla legge, che può imporre alla società oggetto di offerta pubblica di non
procedere con operazioni di rilevanza straordinaria per non turbare l’offerta.
Nel secondo caso viene spesso concordata una contro-offerta, lanciata da una
società alleata (white knight ) in contrapposizione a quella della società bidder .
L’offerta, per essere preferita dagli azionisti, deve in genere riguardare una
frazione maggiore del capitale e prevedere un prezzo di acquisto unitario delle
azioni più elevato. I raiders possono comunque rilanciare a loro volta, rendendo
ancora più ‘appetibili’ le condizioni della prima offerta.
Nel terzo caso viene invocata un’azione giudiziaria, atta a rendere nulla o ritardare
l’offerta. Spesso si chiama in causa la legislazione anti-trust , piuttosto che
l’autorità di protezione del mercato, invocando inadempienze procedurali o vizi di
forma negli adempimenti.
6.1.5 Buyback
Un’operazione di buyback è l’acquisizione sul mercato da parte di un’impresa di
azioni proprie. Dal punto di vista finanziario, un buyback equivale ad un rimborso
parziale del capitale agli azionisti. Infatti, l’impresa ritira titoli dal mercato contro il
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6. OPERAZIONI DI FINANZA STRAORDINARIA
301
pagamento di liquidità: vi sono quindi alcuni investitori cui viene liquidato il
portafoglio. L’operazione è del tutto opposta ad un aumento di capitale a
pagamento, in cui l’impresa offre titoli al mercato, contro l’incasso di liquidità. Dal
punto di vista contabile, però, l’operazione equivale ad una riduzione del
patrimonio netto solo se le azioni proprie vengono successivamente annullate.
Vi sono diversi motivi per cui questa operazione può risultare conveniente.
Innanzitutto, attraverso un buyback la società può remunerare gli azionisti esistenti,
come se pagasse un dividendo. Se l’impresa è in eccesso di liquidità e non si
profilano investimenti profittevoli nel breve termine, il buyback evita costi
opportunità e possibili distruzioni di valore per gli azionisti. In secondo luogo,
decidendo un buyback i managers dell’impresa segnalano al mercato il proprio
ottimismo rispetto alle opportunità di crescita future dell’impresa, e la loro
convinzione che il valore di mercato è quantomeno sottovalutato. Nessun manager
razionale acquisterebbe sul mercato azioni proprie sapendo che sono
sopravvalutate; nel momento in cui il mercato corregge la sua valutazione,
l’impresa realizzerebbe una minusvalenza. Questo è il motivo per cui spesso
l’annuncio di un buyback è associato ad una reazione positiva del mercato rispetto
al prezzo dell’azione. Oltre all’effetto di segnalazione, l’acquisto stesso delle azioni
incrementa la domanda del titolo sul mercato, con l’effetto di sostenerne la
quotazione.
Infine, attraverso un buyback gli azionisti controllanti possono rafforzare la loro
influenza sull’impresa, evitando che i titoli riacquistati finiscano in mani
‘indesiderate’. Supponiamo che un azionista controlli un’impresa possedendo il
45% del capitale, e che la rimanente frazione sia diffusa presso il pubblico. Per
rafforzare il controllo, l’azionista può fare due cose: acquistare almeno un altro 5%
del capitale, raggiungendo la soglia del 50%, oppure decidere un buyback del 10%
del capitale. In questo secondo modo, senza sopportarne direttamente il costo che
invece ricade sull’impresa, l’azionista deterrà comunque il 50% delle azioni in
circolazione (cioè il 45% rispetto al 90% del capitale non auto-posseduto).
Le azioni proprie non danno diritto alla riscossione del dividendo, e proprio per
prevenire situazioni di ‘ingessatura’ del controllo in Italia è fissato un limite alla
loro detenzione nella misura del 10% del capitale.
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6. OPERAZIONI DI FINANZA STRAORDINARIA
302
• Il punto
In un’acquisizione una società bidder acquista una quota, anche totalitaria, di una
società target . L’acquisizione può essere condotta sul mercato borsistico con
un’OPA oppure attraverso una trattativa privata, e può avere carattere amichevoleod ostile. Abbiamo visto come si valuta la convenienza di un’acquisizione
6.2 Fusioni
Un’acquisizione può procedere ad una successiva fusione fra l’impresa target e
l’impresa bidder , come caso particolare di integrazione fra le due società.
Nel caso della fusione, giuridicamente una delle due società cessa di esistere,
perché incorporata nell’altra. L’operazione è molto semplice se la società
incorporante possiede il 100% dei titoli dell’incorporata; si tratta di sommare le
attività della controllata a quelle della società madre, eliminando dal bilancio diquest’ultima il valore di carico della partecipazione contro il patrimonio netto
dell’impresa che cessa di esistere. In caso contrario agli azionisti della società
incorporata viene offerta la possibilità o di vendere i loro titoli o di concambiare le
loro azioni in titoli della società risultante dalla fusione.
Non è però necessario che una fusione sia preceduta da un’acquisizione: due
imprese possono decidere di fondersi per comune accordo anche senza legami
azionari reciproci. Tecnicamente, però, una delle due società cesserà di esistere, e
quindi ai suoi azionisti dovranno essere comunque assegnate azioni della società
incorporante.Le determinanti di una fusione sono diverse, e a quelle già considerate per le
acquisizioni si aggiungono benefici di natura finanziaria o fiscale.
I benefici finanziari riguardano la possibilità di accedere al capitale a condizioni
migliori, o per un maggiore potere contrattuale dell’impresa, o per il minore rischio
e maggiore solvibilità della società fusa.
Una fusione consente anche di ridurre i costi totali, dal momento che unifica
funzioni prima duplicate fra le due imprese (dall’amministratore delegato in giù).
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6. OPERAZIONI DI FINANZA STRAORDINARIA
303
Infine, vi possono essere dei benefici fiscali legati ad esempio alla possibilità di
sfruttare le perdite pregresse accumulate da una delle due imprese per abbattere il
carico fiscale dell’altra società.
Non è comunque detto che le fusioni rispondano a criteri di efficienza economica.
A volte, una determinante può essere semplicemente data dalla volontà dei
managers di incrementare le dimensioni delle attività gestite, o di investire i free
cash flows generati dall’impresa, piuttosto che pagarli agli azionisti sotto forma di
dividendi.
6.3 Scissioni
L’operazione simmetrica alla fusione è la scissione, in cui una società si scinde in
due diverse entità giuridiche, una delle quali di nuova costituzione, e alla quale
viene conferita una parte delle attività della società ‘madre’.
Una scissione può avvenire con o senza l’assegnazione di titoli della società scissa
(società ‘figlia’) agli azionisti della società madre. Nel primo caso (si veda la
Figura 6.2) l’operazione viene denominata spin-off . Essa consente agli azionisti di
diversificare il loro investimento, decidendo se mantenere interessi in entrambe le
società, oppure se mantenere azioni della sola società madre piuttosto che della
società figlia.
Figura 6.2 – Esempio di spin-off.
Nel secondo caso le azioni della società figlia vengono mantenute al 100% dalla
società madre (si veda la Figura 6.3). Gli azionisti non possono dunque
Societàmadre
Societàmadre
Societàfiglia
100%100% 100%
Azionisti Azionisti
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6. OPERAZIONI DI FINANZA STRAORDINARIA
304
diversificare il loro investimento, in quanto rimangono azionisti solo della società
madre.
Tipicamente, accade che una frazione dei titoli della società figlia venga ceduta con
una trattativa privata ad un acquirente interessato, oppure collocata sul mercato
borsistico attraverso un’offerta pubblica (con la vendita dei titoli posseduti dalla
società madre o la sottoscrizione di titoli di nuova emissione). Operazioni di questo
tipo vengono chiamate ‘equity carve-out ’. La peculiarità consiste nel fatto che
attraverso questa operazione il soggetto controllante della società madre può
raccogliere nuovo capitale attraverso la società figlia, senza che egli versi alcuna
liquidità, e senza che il suo grado di controllo venga diluito. Si consideri la Figura
6.3: se il soggetto controllante della società madre ne detiene il 70%, attraverso un
equity carve out potrà procedere a collocare sul mercato attraverso un’offerta
pubblica di sottoscrizione il 30% del capitale della società figlia. Senza aver
versato un euro, manterrà il controllo sul 70% dei voti in assemblea in entrambe le
società, il cui capitale è però cresciuto.
Figura 6.3 – Esempio di scissione della società madre senza assegnazione di titoli agli
azionisti.
Una scissione, a meno di effetti di segnalazione sul mercato, consente a tutti gli
azionisti di mantenere la propria ricchezza. Vi sono però delle determinanti che
possono creare valore in una scissione, come la maggiore focalizzazione della
società scissa nel suo business, la maggiore autonomia nelle fonti di finanziamento
e negli impieghi di investimento. In genere infatti le scissioni riguardano divisioni
Societàmadre
Societàmadre
Societàfiglia
100%
100%
100%
Azionisti Azionisti
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6. OPERAZIONI DI FINANZA STRAORDINARIA
305
di imprese attive in settori emergenti o in fase di espansione (si pensi alle numerose
scissioni di attività nel settore Internet avvenute in Italia negli ultimi anni).
6.4 Costituzione di gruppi di imprese
Un gruppo di imprese può essere definito come un insieme di imprese
giuridicamente indipendenti, ma sottoposte ad una direzione unitaria dal punto di
vista economico, grazie ad una rete interconnessa di partecipazioni azionarie.
Esistono diverse tipologie di gruppi: (i) il gruppo piramidale e (ii) il gruppo
federativo.
Il gruppo piramidale è composto da una società holding a monte, che attraverso
partecipazioni azionarie dirette o indirette (tramite società subholding) controlla a
cascata una moltitudine di società operative.
Da un certo punto di vista, il gruppo piramidale non è molto diverso da una società
multidivisionale, ma consente di separare la proprietà dal controllo del capitale,
attraverso la presenza di azionisti di minoranza ad ogni livello del gruppo.
Nell’esempio di Figura 6.4, l’azionista controllante della holding controlla la
maggioranza dei diritti di voto in tutte le assemblee delle consociate, pur detenendo
indirettamente solo il 33% (60% ⋅ 55%) del capitale della società A e il 42% (60% ⋅
70%) del capitale della società B.
Figura 6.4 – Esempio di gruppo piramidale.
I gruppi piramidali composti da imprese di grandi dimensioni sono tipici
dell’Europa continentale (Germania, Francia, Italia, Svezia) ma anche di economie
emergenti (India, paesi del Far East ). In questo caso non è raro che diverse società
Societàholding
Societàoperativa A
Azionistacontrollante
60%55%
Societàoperativa B70%
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6. OPERAZIONI DI FINANZA STRAORDINARIA
306
dello stesso gruppo siano quotate in Borsa. Nelle economie anglosassoni (USA,
UK, Australia) sono invece più diffuse le imprese a proprietà diffusa ( public
companies), indipendenti le une dalle altre.
I gruppi piramidali composti da imprese di piccole e medie dimensioni presentano
invece delle caratteristiche peculiari. La separazione fra proprietà e controllo viene
raramente perseguita, mentre sono più rilevanti altri obiettivi, legati per esempio a
considerazioni fiscali (ad esempio la localizzazione di società holding all’estero).
Il gruppo federativo invece è composto da diverse società legate fra loro da
possessi azionari incrociati, in cui non è individuabile una società holding, quanto
piuttosto un centro di coordinamento, spesso legato ad un istituto finanziario.
Questo modello di impresa caratterizza i grandi gruppi industriali giapponesi
(keiretsu), che grazie alla fitta rete di partecipazioni reciproche che li accomuna
hanno impedito finora l’ingresso significativo di soggetti stranieri nel loro capitale
attraverso scalate ostili.
Proprio per impedire situazioni di ‘ingessatura’ del controllo le autorità di mercato
limitano in genere le partecipazioni reciproche fra società dello stesso gruppo.
Brioschi, Buzzacchi e Colombo (1990) hanno presentato un modello matriciale
input-output à la Leontief che permette di calcolare la proprietà ‘integrata’ (diretta
e indiretta) che un soggetto detiene nelle società di un gruppo di imprese, e inoltre
consente di individuare il valore di un gruppo di imprese. Quest’ultimo infatti non
coincide con la somma della capitalizzazione di mercato delle imprese che lo
compongono, ma è minore. Il valore di mercato di un’impresa comprende infatti il
valore di mercato delle partecipazioni detenute in altre imprese dello stesso gruppo,
e quindi sommando i due valori conteremmo due volte la stessa ricchezza.
Individuiamo quindi due nozioni distinte del valore di un’impresa i appartenente ad
un gruppo composto da n società:
V i = valore di mercato dell’equity (ovvero la capitalizzazione totale di mercato,
sempre positiva);
wi = valore di mercato delle attività al netto del debito e delle partecipazioni in altre
imprese del gruppo (può anche essere negativa se ad esempio le partecipazioni
detenute nelle società del gruppo sono finanziate con debito).
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6. OPERAZIONI DI FINANZA STRAORDINARIA
307
Identifichiamo le varie partecipazioni nelle n società del gruppo con aij, ovvero la
frazione percentuale del capitale che la società i detiene nell’impresa j. Deve
verificarsi:
∑=
⋅+=
n
j
jijii V awV 1
i = 1, …, n
Il valore di mercato V i di un’impresa deve dunque essere pari al valore delle attività
al netto del debito, comprendendo il valore di mercato delle partecipazioni
infragruppo, non contate in wi.
In forma matriciale, il sistema di equazioni precedente può essere scritto come:
V = w + AV
dove V rappresenta il vettore (n x 1) composto dagli elementi V i , w rappresenta il
vettore (n x 1) composto dagli elementi wi e A la matrice dei possessi azionari (n x
n) composta dagli elementi aij.
Possiamo così ricavare il vettore w dal vettore V , e viceversa (‘modello del
valore’):
w = (I – A) V
V = (I – A)-1
w
Consideriamo ora un azionista del gruppo di imprese, che vanta una proprietà
diretta xi nella generica società i-esima fra le n del gruppo.
La sua proprietà ‘integrata’ yi nelle stesse imprese sarà data da:
∑=
⋅+=
n
j
j jiii ya x y1
i = 1, …, n
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6. OPERAZIONI DI FINANZA STRAORDINARIA
308
In altre parole, la proprietà integrata nell’impresa i è la somma della proprietà
diretta e della proprietà indiretta, vantata grazie al possesso integrato detenuto nelle
altre società j che possiedono azioni dell’impresa i.
In forma matriciale, introducendo il vettore x (n x 1) composto dagli elementi xi, e
il vettore y (n x 1) composto dagli elementi yi, otteniamo il ‘modello del possesso’
in cui, a differenza del ‘modello del valore’, la matrice A viene trasposta.
x = (I – AT) y
y = (I – AT)-1
x
Possiamo ora chiederci quale sia il valore del portafoglio P detenuto dall’azionista
considerato. Esso può essere calcolato come somma del valore V delle
partecipazioni dirette x detenute dall’azionista, ma anche – in forma duale – come
valore w delle partecipazioni integrate y:
P = ∑=
⋅
n
i
ii V x1
= xTV = x
T (I – A)-1w = [ x(I – A
T)-1]Tw = y
Tw = ∑
=
⋅
n
i
ii w y1
Infine, per quanto riguarda il valore del gruppo V g, possiamo ragionare in due
modi: si tratta infatti di determinare l’investimento minimo che un soggetto deve
effettuare per acquistare tutto il gruppo. Esso rappresenta in prima istanza il valore
aggregato di tutti i portafogli detenuti da azionisti del gruppo, escludendo lepartecipazione infragruppo:
V g = ∑ ∑= =
⋅−
n
i
ii
n
j
ji V a1 1
)1(
Risulta chiaro quindi che il valore del gruppo non coincide con la somma della
capitalizzazione di mercato di tutte le imprese che lo compongono, ma solo di
quella frazione direttamente posseduta da azionisti esterni.
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6. OPERAZIONI DI FINANZA STRAORDINARIA
309
In secondo luogo, sfruttando la relazione di dualità, possiamo affermare che il
valore del gruppo è anche pari alla somma dei valori ‘netti’ w: infatti, la proprietà
integrata detenuta dagli azionisti esterni sulle consociate sarà pari a 1 (direttamente
o indirettamente essi possiedono il 100% del capitale: è una banalità!):
V g = ∑=
⋅
n
i
iw1
)(1 = ∑=
n
i
iw1
• Esempio
Nella Figura 6.5 è rappresentato graficamente un gruppo di imprese composto dalle
società A, B e C.
La holding A controlla direttamente la società B e, grazie alla partecipazione di
quest’ultima, anche la società C, che oltretutto detiene il 10% della società B.La capitalizzazione di mercato delle tre imprese è pari a: V A = 45 mln. €, V B = 32
mln. €, V C = 34 mln. €.
Figura 6.5 – Struttura del gruppo considerata nell’esercizio.
La matrice A è così definita:
A =
00,10
0,4200
0,30,60
Applicando le formule del ‘modello del possesso’ e del ‘modello del valore’ si
ottiene:
w = (I – A) V
A B C60%
42%
30%
10%
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6. OPERAZIONI DI FINANZA STRAORDINARIA
310
w =
30,80
17,72
15,60
mln. €
Il valore del gruppo può essere calcolato in due modi (ovviamente il risultatocoincide):
V g = ∑ ∑= =
⋅−
n
i
ii
n
j
ji V a1 1
)1( = 100% (45) + 30% (32) + 28% (34) = 64,12 mln. €
V g = ∑=
n
i
iw1
= 64,12 mln. €
Consideriamo ora l’azionista controllante del gruppo, che supponiamo detenga il
55% ( xA) della holding A. Il suo possesso integrato sulle società del gruppo è pari
a:
y = (I – AT)-1
x
y =
31,7%
36,2%
55,0%
Si noti che nonostante l’azionista di controllo non detenga alcun titolo nelle
imprese B e C ( xB = xC = 0) e indirettamente ne possieda meno della metà del
capitale, riesce comunque a controllarne la maggioranza dei voti in assemblea.
Infine, calcoliamo il valore di portafoglio P:
P = ∑=
⋅n
i
ii V x1
= ∑=
⋅n
i
ii w y1
= 24,75 mln. €
6.5 Piani di incentivazione azionari e stock options
È sempre più diffusa la tendenza delle imprese a legare la remunerazione di
managers e dipendenti alla performance dell’impresa. Un sistema molto semplice
per realizzare questo obiettivo è correlare lo stipendio ad alcuni indici, come la
redditività dell’impresa, piuttosto che la performance di Borsa dei titoli. Questo
sistema può però generare distorsioni, perché orientato al breve periodo. Managers
e dipendenti sarebbero incentivati a lavorare per massimizzare i risultati di breve
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6. OPERAZIONI DI FINANZA STRAORDINARIA
311
periodo, trascurando investimenti profittevoli nel lungo periodo, ma inizialmente
costosi. Un sistema che riduce queste distorsioni è quello dei piani di
incentivazione azionari (ESOPs, Employee Stock Ownership Plans) in cui a
dipendenti e managers vengono assegnati (gratuitamente o con forte sconto) titoli
azionari, piuttosto che opzioni call sulle azioni. L’idea è che attraverso la
compartecipazione all’utile dell’impresa e alla creazione di valore, sia possibile
migliorare l’efficienza e la produttività dell’organizzazione. Inoltre le imprese che
utilizzano sistemi di incentivazione equity-based hanno uno strumento in più per
attirare gli individui che hanno (o credono di avere) maggior talento.
L’assegnazione di azioni, così come l’accantonamento dei titoli sottostanti alle
opzioni, viene in genere finanziata con un aumento di capitale, piuttosto che con
azioni proprie detenute in portafoglio. Spesso avviene in occasione della
quotazione in Borsa, riservando una frazione dei titoli offerti in sottoscrizione a
managers e dipendenti. Può capitare che l’impresa imponga dei vincoli ai
beneficiari, con clausole che restringono la possibilità di vendita dei titoli assegnati
per un certo numero di anni (vesting period ), oppure annullano i benefici in caso di
cessazione del rapporto di lavoro.
Una forte determinante dell’impiego di ESOPs è l’agevolazione fiscale che in
numerosi paesi viene concessa a questa forma di remunerazione del lavoro. Un
ulteriore beneficio è la possibilità di differire nel futuro i costi di remunerazione
delle risorse umane, con un risparmio di cassa immediato.
Per contro, gli ESOPs richiedono un aumento del livello atteso della
compensazione, per compensare il maggiore rischio sopportato da dipendenti e
managers. Inoltre, spesso provocano una riduzione del payout ratio dell’impresa,
dal momento che il pagamento di dividendi deprime il valore delle azioni e delle
opzioni call assegnate.
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