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 INDICE INTRODUZIONE ………………………………………………………………… 1 1. L’IMPRESA E IL MERCATO DEL CAPITALE …………………………… 3 2. ESISTE UNA STRUTTURA FINANZIARIA OTTIMALE? ….……………. 8 2.1 La teoria dell’indifferenza di Modigliani & Miller ………………………. 8 2.1.1 La Proposizione I di Modigliani & Miller …………………………. 8 2.1.2 La Proposizione II di Modigliani & Miller ………………………... 11 2.1.3 L’irrilevanza della politica dei dividendi ………….......................... 20 2.2 Il problema delle imposte e dei costi de l dissesto ……………………….. 21 2.2.1 Lo scudo fiscale del debito ………………………………………... 21 2.2.2 I costi dell’indebitamento: costi del dissesto e costi di agenzia …... 27 2.2.3 L’influenza delle aliquote fiscali sul redd ito personale …………... 31 2.3 Le ‘teorie dell’ordine di scelta’ e la non perfetta efficienza dei mercati finanziari …………………………………………………………………….. 32 2.4 Il valore del controllo e l’estrazione di benefici privati …………………. 35 2.5 La separazione fra proprietà e controllo ………………………………….40 3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO ……………………………... 42 3.1 Tassi di interesse e attualizzazione dei flussi di cassa …………………... 42 3.1.1 Formule pratiche di matematica finanziaria ………………………. 44 3.1.2 Tasso di interesse reale e tasso di interesse nominale …………….. 47 3.1.3 Regime di capitalizzazione dei tassi di interesse e tassi equivalenti . 48 3.1.4 Tassi di interesse e rischio ………………………………………… 54 3.1.5 La struttura per scadenza dei tassi di interesse ……………………. 55 3.1.6 Equilibrio del mercato finanziario e arbitraggio …………………... 57 3.2 Titoli obbligazionari ……………………………………………………... 60 3.2.1 Obbligazioni con remunerazione fissa …………………………….. 63 3.2.2 Obbligazioni con remunerazione variabile ………………………... 64 3.3 La valutazione dei titoli obbligazionari …………………………………..67

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INDICE

INTRODUZIONE ………………………………………………………………… 1

1.  L’IMPRESA E IL MERCATO DEL CAPITALE …………………………… 3

2.  ESISTE UNA STRUTTURA FINANZIARIA OTTIMALE? ….……………. 8

2.1 La teoria dell’indifferenza di Modigliani & Miller ………………………. 8

2.1.1 La Proposizione I di Modigliani & Miller …………………………. 8

2.1.2 La Proposizione II di Modigliani & Miller ………………………... 11

2.1.3 L’irrilevanza della politica dei dividendi ………….......................... 20

2.2 Il problema delle imposte e dei costi del dissesto ……………………….. 21

2.2.1 Lo scudo fiscale del debito ………………………………………... 212.2.2 I costi dell’indebitamento: costi del dissesto e costi di agenzia …... 27

2.2.3 L’influenza delle aliquote fiscali sul reddito personale …………... 31

2.3 Le ‘teorie dell’ordine di scelta’ e la non perfetta efficienza dei mercati

finanziari …………………………………………………………………….. 32

2.4 Il valore del controllo e l’estrazione di benefici privati …………………. 35

2.5 La separazione fra proprietà e controllo …………………………………. 40

3.  LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO ……………………………... 42

3.1 Tassi di interesse e attualizzazione dei flussi di cassa …………………... 42

3.1.1 Formule pratiche di matematica finanziaria ………………………. 44

3.1.2 Tasso di interesse reale e tasso di interesse nominale …………….. 47

3.1.3 Regime di capitalizzazione dei tassi di interesse e tassi equivalenti . 48

3.1.4 Tassi di interesse e rischio ………………………………………… 54

3.1.5 La struttura per scadenza dei tassi di interesse ……………………. 55

3.1.6 Equilibrio del mercato finanziario e arbitraggio …………………... 57

3.2 Titoli obbligazionari ……………………………………………………... 60

3.2.1 Obbligazioni con remunerazione fissa …………………………….. 63

3.2.2 Obbligazioni con remunerazione variabile ………………………... 64

3.3 La valutazione dei titoli obbligazionari ………………………………….. 67

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3.3.1 Corso tel quel, rateo e corso secco ………………………………… 71

3.3.2 Rendimento effettivo e duration di un’obbligazione ……………… 76

3.4 Il trattamento fiscale dei titoli obbligazionari …………………………… 81

3.5 Il debito bancario ………………………………………………………… 82

3.5.1 Project financing …………………………………………………... 87

3.6 Altre forme di finanziamento ……………………………………………. 88

3.6.1 Certificati di deposito ……………………………………………… 88

3.6.2 Accettazioni bancarie e carte commerciali ………………………... 89

3.6.3 Cambiali finanziarie e certificati di investimento …………………. 89

3.6.4 Operazioni pronti contro termine (PCT) …………………………... 90

3.6.5 Leasing …………………………………………………………….. 91

3.6.6 Factoring …………………………………………………..……… 95

3.6.7 Securitization ……………………………………………………… 96

4.  LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO …………………………….. 98

4.1 Tipologie di titoli azionari e modalità di imposizione fiscale …………... 98

4.2 La valutazione dei titoli azionari ………………………………………. 102

4.2.1 La formula Dividend Discount Model (DDM) ……………………104

4.2.2 Il modello di Gordon & Shapiro ……………………………….… 107

4.2.3 Il modello di Fuller & Hsia …………………………………….… 108

4.2.4 Modelli basati sulla profittabilità dell’impresa …………………... 111

4.2.5 Il valore attuale dell’opportunità di crescita (VAOC) ……...……. 115

4.2.6 Gli indici ‘market/book ’ e ‘ price/earnings’ ……………………… 118

4.2.7 La crescita sostenibile e la crescita finanziata con capitale esterno. 120

4.3 La teoria del portafoglio ………………………..…………………….… 124

4.3.1 Rischio e rendimento: il modello di Markowitz ……………..…... 124

4.3.2 Il modello di Tobin ………………………………………………. 142

4.3.3 Il modello di Sharpe: il Capital Asset Pricing Model (CAPM) ….. 145

4.3.4 Interazione fra valutazione dell’impresa e modalità di finanziamento. 152

4.3.5 Altri modelli di equilibrio fra rischio e rendimento………………. 171

4.4 L’emissione di titoli azionari …………………………………………... 173

4.4.1 Private equity placements e venture capital ……………………... 173

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4.4.2 La quotazione sui mercati borsistici ……………………………... 177

4.4.2.1 Costi e benefici della quotazione …………………………….. 179

4.4.2.2 I mercati borsistici in Italia …………………………………… 181

4.4.2.3 I mercati borsistici all’estero …………………………………. 185

4.4.3 Le offerte pubbliche …………………………..…………….…..... 188

4.4.3.1 Le offerte pubbliche iniziali ( Initial Public Offerings, IPOs) ... 188

4.4.3.2 Le offerte pubbliche seasoned …………………………...…... 192

4.4.3.3 Il modello di Myers & Majluf ………………………………... 195

4.4.4 Gli aumenti di capitale in opzione ai soci esistenti ………………. 199

4.4.5 La raccolta di capitale attraverso warrant ……………………….. 205

Appendice: Il risparmio gestito e la Direttiva MIFID ……….…..………… 206

5.  GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO …………………..... 209

5.1 I titoli derivati: contratti forward …………………………………….… 209

5.1.1 Caratteristiche dei contratti forward ……………...……………… 210

5.1.2 Valutazione dei contratti forward ………………...……………… 211

5.1.3 Il prezzo forward di un’attività …………………...……………… 217

5.1.4 Contratti future …………………………………………………… 218

5.1.5 Swaps …………………………………………………………….. 220

5.1.6 Copertura del rischio attraverso contratti forward …………..…… 222

5.2 I titoli derivati: opzioni ………………………………...………………. 226

5.2.1 Payoff a scadenza delle opzioni ………………...……………...… 227

5.2.2 La relazione di parità put-call ………………………………...….. 229

5.2.3 Limiti del valore delle opzioni in equilibrio ………………...…… 232

5.2.4 Determinanti del valore delle opzioni ……………………………. 238

5.2.5 Modelli di valutazione delle opzioni ……………………...……... 241

5.2.5.1 Modello della binomiale ……………………………………… 242

5.2.5.2 Modello di Black & Scholes ……………………………...….. 255

5.2.6 Opzioni su attività che generano flussi di cassa ……………...….. 259

5.3 Applicazioni della teoria delle opzioni a contratti finanziari ……..…… 262

5.3.1 Rischiosità del debito e costi di agenzia …………………...…….. 262

5.3.2 Obbligazioni indicizzate e convertibili …………………..……… 264

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5.3.3 Warrant ………………………..………………………..……….. 271

5.3.4 Garanzie su operazioni di finanziamento ………………………… 275

5.3.5 Titoli derivati atipici: packages e opzioni esotiche ………………. 275

5.3.6 Opzioni reali di investimento …………………………...……….. 282

Appendice: Tabelle ……………………..………………………………….. 284

6.  OPERAZIONI DI FINANZA STRAORDINARIA ……………………….. 287

6.1 Acquisizioni .………………………..………………………………….. 288

6.1.1 Valutazione di un’acquisizione …………………………………... 289

6.1.2 Offerte pubbliche di acquisto (OPA) …………………………….. 297

6.1.3 Leveraged buy-out (LBO) e Management buy-out (MBO) ……… 298

6.1.4 Tecniche di difesa dalle acquisizioni ostili ………………………. 299 

6.1.5 Buyback ………………………..…………………………….…… 300

6.2 Fusioni ………………………..………………………………………… 302

6.3 Scissioni ………………………..………………………..………….….. 303

6.4 Costituzione di gruppi di imprese ……………………………………… 305

6.5 Piani di incentivazione azionari e stock options ……………………….. 310

BIBLIOGRAFIA ………………………..……………………………………… 312

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INTRODUZIONE

Scrivere un libro è arrivare ad un certo punto della propria attività universitaria,guardarsi indietro e sentire l’esigenza di raccogliere in forma organica materiale,

conoscenze, esempi, definizioni, formule, finora relegate a qualche angolo della

memoria o qualche foglio appuntato. È anche l’occasione per approfondire parte di

quelle conoscenze ancora marginali, e consolidarle in un quadro esaustivo

attraverso un percorso logico.

Scrivere due libri in uno è quindi moltiplicare per due gli sforzi, ma con

l’ambizione di fare qualcosa di nuovo, che si aggiunga al contributo di chi ci

precede. Ecco perché l’idea di scrivere non uno ma due volumi, ‘Gestire le Risorse

dell’Impresa’ dedicato all’Economia Aziendale, e ‘Finanziare le Risorsedell’Impresa’ dedicato alla Finanza Aziendale. Il filo conduttore dei due volumi è

l’analisi delle risorse dell’impresa, così come compaiono nello Stato Patrimoniale

di Bilancio: il primo volume è dedicato alla gestione delle attività dell’impresa, e a

come il loro valore viene determinato, mentre il secondo volume è dedicato alla

gestione delle passività, e cioè come le attività e gli investimenti sono finanziati dal

capitale.

Sono però del tutto convinto che la scrittura di un libro è un’attività caratterizzata

da economie di scala, e in questo caso, anche di scopo. Pagina dopo pagina, la mia

convinzione che i temi dell’Economia Aziendale e della Finanza Aziendale siintrecciano così strettamente si è rafforzata, e lo dimostrano i numerosi ‘segnalibri’

inseriti qua e là nel testo, che rimandano dall’uno all’altro volume e viceversa, per

ulteriori approfondimenti. Lo sforzo è stato anche quello di inserire numerosi

esempi e, ogni tanto, il ‘punto’ della situazione, per dare modo al lettore di

evidenziare i concetti più importanti.

L’audience a cui si rivolge il libro sono senza dubbio gli studenti dei corsi di

Laurea di primo e secondo livello dell’Università, in particolare Ingegneria

Gestionale per il taglio decisamente quantitativo e modellistico dei capitoli, ma

anche gli studenti dei Master e del Dottorato, per quegli argomenti che

inevitabilmente non si riesce mai a trattare approfonditamente nei corsi di Laurea.

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INTRODUZIONE

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Ciò non toglie che chi intende avvicinarsi ai temi della Gestione d’Impresa per un

interesse professionale oltre che didattico potrà trovare del valore aggiunto in

questa doppia edizione. Ovviamente non ci si aspetti di trovare un corpus organico

di una disciplina, quale è la Gestione d’Impresa, così vasta e dinamica, che spazia

in diverse aree qui solo marginalmente trattate, quali la Gestione della Produzione,

la Gestione dei Progetti, l’Economia Industriale.

Certamente questo lavoro non avrebbe potuto essere realizzato senza il background  

di appunti, letture e libri ereditati dai corsi di Ingegneria Gestionale al Politecnico

di Milano, in particolare dei professori – rigorosamente in ordine alfabetico –

Giovanni Azzone, Umberto Bertelè, Francesco Brioschi, Luigi Buzzacchi, Sergio

Mariotti, Rocco Mosconi, Stefano Paleari, Andrea Rangone.

In questa nuova edizione, il lavoro ha beneficiato inoltre di diverse revisioni ed

integrazioni, grazie alle segnalazioni di colleghi e studenti. Numerosi sono anche

gli aggiornamenti, legati all’evoluzione dell’organizzazione dei mercati finanziari e

della normativa (in particolare l’introduzione dei principi contabili IAS/IFRS, la

riforma del diritto societario del 2004, l’introduzione della direttiva MIFID).

Non so se questo lavoro riuscirà effettivamente ad incrementare (anche di un

epsilon direbbero gli ingegneri) l’utilità dei suoi lettori. Io credo di sì. E comunque,

come Frank Sinatra cantava: ‘ And more, much more than this, I did it my way’.

Giancarlo Giudici

[email protected] 

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1.  L’IMPRESA E IL MERCATO DEL CAPITALE

Il problema del finanziamento dell’attività d’impresa è stato studiato relativamentedi recente, se è vero che fino al Medioevo l’idea di remunerare il capitale con un

interesse era considerata eticamente perversa1. Smith (1776) nel celebre trattato

Wealth of Nations indica invece che la motivazione economica è forzatamente

incentrata sul ruolo dell’interesse personale, e si pone il problema della

remunerazione dell’imprenditore, identificato come il ‘capitalista’, ovvero colui

che assume il controllo del capitale e della produzione nell’impresa.

Keynes (1931) è fra i primi a proporre una teoria organica del rapporto fra

produzione, impresa, moneta, risparmio e investimenti. Egli, per enfatizzare

l’importanza dei mercati finanziari nella raccolta di capitale e nel progressoeconomico, cita l’esempio della regina Elisabetta I, definita ‘una forte azionista del

gruppo che aveva finanziato la spedizione di Drake nel 1580’, la quale con la sua

quota del tesoro sottratto agli spagnoli ripagò il debito estero della nazione e investì

la rimanente parte del bottino (40 mila sterline) nella Levant Company, che a sua

volta fondò la East India Company, i cui profitti costituiscono la base dei

successivi investimenti all’estero della Gran Bretagna2.

In anni più recenti, con lo sviluppo della teoria dell’impresa e della  financial

economics, molta attenzione è stata dedicata al rapporto fra impresa e mercati dei

capitali. Una visione organica del rapporto fra investimenti e risorse finanziarie è1 Già Aristotele nella ‘Politica’ affermava che ‘si ha pienissima ragione a detestarel’interesse, per il fatto che in tal caso i guadagni provengono dal denaro stesso’. Ilmedesimo principio è riaffermato da Tommaso d’Aquino nella ‘Summa theologica’. IlCorano riconosce la libertà nell’attività negoziale e imprenditoriale ma proibisce l’interesse(definito riba, letteralmente crescita, incremento, eccesso). A tutt’oggi nel mondo islamicoprestare denaro a interesse è considerato immorale, il che ha comportato per banche eistituzioni finanziarie islamiche l’adozione di contratti basati sul principio dicompartecipazione a profitti e perdite, evitando ogni forma di debito remunerato.2 Curiosamente, Keynes fa notare che 40.000 sterline del 1580, attualizzate ad un tassocomposto annuo del 3,25% (pari al tasso di reinvestimento del reddito prodotto all’esterodall’industria britannica al tempo di Keynes) corrispondono circa a 4 miliardi di sterline del

1930, ovvero proprio l’ammontare dello stock  di investimenti all’estero della GranBretagna in quell’anno.

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1. L’IMPRESA E IL MERCATO DEL CAPITALE

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stata proposta da Alchian e Demsetz (1972), che assimilano l’impresa di capitale a

una funzione super-additiva e non separabile delle attività che la compongono

(capitale, tecnologia e lavoro). In tal senso l’impresa ‘crea ricchezza’, poiché è in

grado di generare valore aggiunto rispetto al valore delle risorse che la

compongono. Tale ricchezza serve per remunerare le risorse produttive, e in misura

residuale i proprietari del capitale, e cioè gli azionisti. Il valore dell’impresa

discende direttamente dalla capacità dell’impresa di generare extra-profitti e quindi

in ultima analisi di implementare investimenti che siano in grado di remunerare il

lavoro, le materie prime e quindi anche il capitale degli azionisti, attraverso la

produzione di beni e servizi.

Figura 1.1 – Uno schema del rapporto fra impresa capitalistica e mercati finanziari.

Tipicamente, un investimento di un’impresa rappresenta un progetto che, a frontedell’impiego iniziale di un ammontare definito di risorse, genera una serie non

definita, se non in valore atteso e con un grado di rischio differenziato, di flussi di

cassa futuri. Le risorse inizialmente assorbite da un investimento possono essere di

diversa natura: materiale (beni strumentali, materie prime), immateriale

(competenze, tecnologia) o finanziaria (moneta, titoli e contratti finanziari). In

generale esse rappresentano uno stock che l’impresa può detenere a disposizione

oppure no. In questo ultimo caso è necessario ricorrere a fonti esterne, in maniera

tale da reperire tali risorse al minor costo possibile.

Impresa

RISORSE:CapitaleLavoro

Tecnologia

OUTPUT:ProdottiServizi

Remunerazione

PROFITTI

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1. L’IMPRESA E IL MERCATO DEL CAPITALE

5

•  Il segnalibro

Le tecniche di valutazione e di gestione degli investimenti sono descritte nel

Volume ‘Gestire le Risorse dell’Impresa’, rispettivamente nel Capitolo 4,

Paragrafo 4.2, e nel Capitolo 5, Paragrafo 5.3.3.

Il mercato finanziario è uno dei canali attraverso il quale l’impresa può raccogliere

dall’esterno risorse finanziarie necessarie per i propri investimenti. Esso può essere

distinto in diversi segmenti (si veda la Figura 1.2):

•  il mercato mobiliare, a sua volta distinto in mercato primario e secondario;

•  il mercato creditizio.

Il mercato mobiliare rappresenta un canale diretto di finanziamento fra le imprese e

il mercato. In tal caso è individuabile una relazione diretta e biunivoca fra

l’impresa che raccoglie capitale e l’investitore che lo cede. Il flusso del capitale dalmercato alle imprese avviene attraverso il segmento primario, che non è attivo con

continuità nel tempo, ma viene aperto il più delle volte dalle imprese nel momento

in cui decidono di raccogliere capitale sul mercato. Il segmento secondario invece è

aperto con continuità nel tempo (si pensi ad esempio al mercato borsistico), e

permette agli investitori di scambiare fra loro i titoli, riallocando i propri portafogli.

Figura 1.2 – Il mercato finanziario: mercato mobiliare primario e secondario, mercato

creditizio.

Impresa

Capitale

Titoli

Mercato Titoli

IntermediariCapitale CapitaleTitoli Titoli

MERCATO PRIMARIO MERCATOSECONDARIO

MERCATO CREDITIZIO

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1. L’IMPRESA E IL MERCATO DEL CAPITALE

6

È evidente che gli scambi che avvengono sul segmento secondario non riguardano

in via diretta l’impresa, e che la raccolta di capitale avviene solo sul segmento

primario.

Il mercato creditizio è invece caratterizzato dalla presenza di intermediari finanziari

(tipicamente gli istituti di credito) che si fanno promotori della raccolta di capitale

e a loro volta individuano gli impieghi in investimenti finanziari più opportuni sul

mercato. In questo caso non è individuabile direttamente una relazione biunivoca

fra impresa finanziata e finanziatore ultimo.

Ovviamente gli intermediari hanno un ruolo importante anche nelle transazioni che

avvengono attraverso il mercato mobiliare primario, ma in questo caso il loro

compito è solo quello di facilitare l’incontro fra domanda e offerta di capitale, ad

esempio collocando titoli emessi dalle imprese, con ciò rendendo più efficiente il

mercato stesso. Inoltre, l’organizzazione del mercato secondario spesso limita

l’operatività agli intermediari, che operano per conto dei propri clienti.

La forma di governo delle transazioni che avvengono sul mercato mobiliare è un

particolare contratto, il ‘titolo finanziario’. Attraverso l’emissione di titoli,

l’impresa concorda con gli investitori le modalità di remunerazione e di rimborso

del capitale: a tal proposito è possibile distinguere fra:

•  titoli obbligazionari, o titoli di debito: in tal caso l’impresa si impegna a

remunerare a condizioni contrattualmente concordate il capitale e a restituirlo

integralmente; la remunerazione avviene attraverso il pagamento di interessi

nel corso della vita residua del prestito (ad esempio attraverso il pagamento dicedole) oppure con il riconoscimento di un determinato rendimento sul capitale

al momento del rimborso del prestito;

•  titoli azionari, o titoli equity: in questo caso la remunerazione del capitale non è

oggetto di contrattazione ma è residuale, ovvero il reddito degli azionisti viene

determinato al netto della remunerazione degli altri fattori produttivi (materie

prime, lavoro, capitale di debito, anche lo Stato attraverso il pagamento delle

imposte). In altre parole, solo se l’impresa realizza un reddito netto positivo

essa sarà in grado di remunerare le azioni attraverso il pagamento di dividendi.

I titoli azionari inoltre conferiscono al detentore la titolarità (ovviamente pro-

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1. L’IMPRESA E IL MERCATO DEL CAPITALE

7

quota) della proprietà del capitale dell’impresa e il controllo attraverso il diritto

di voto in assemblea sociale.

Nella realtà i titoli che le imprese emettono sono molto vari, e possono assumere

caratteristiche ibride fra le due categorie introdotte. Ad esempio, le obbligazioni

convertibili sono titoli di debito che possono essere convertiti in titoli azionari.

Ancora, esistono le azioni a diritto di voto limitato (in Italia le azioni di risparmio e

privilegiate) che, a fronte di limitazioni nel potere di controllo sull’impresa,

concedono privilegi nel pagamento dei dividendi.

Le imprese possono inoltre stipulare contratti finanziari che non rappresentano

titoli di raccolta di capitale, ma possono comunque essere utili per la gestione della

liquidità (ad esempio le operazioni di leasing) o per la copertura del rischio (ad

esempio i titoli derivati).

L’obiettivo dei prossimi capitoli sarà quello di capire innanzitutto se esiste una

struttura finanziaria ottimale per l’impresa, in funzione delle proprie caratteristiche,

o se le diverse forme di finanziamento sono indifferenti l’una rispetto all’altra. In

secondo luogo esamineremo tutte le tecniche di raccolta di capitale sul mercato, sia

esso capitale di debito o capitale di rischio. Passeremo quindi a esaminare le

tecniche finanziarie di copertura del rischio attraverso i titoli derivati, e infine

analizzeremo le più rilevanti operazioni di finanza straordinaria.

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2. ESISTE UNA STRUTTURA FINANZIARIA OTTIMALE?

La letteratura finanziaria da tempo si è posta il problema di capire se i diversicanali e i diversi titoli che l’impresa ha a disposizione per raccogliere capitale sono

equivalenti fra loro, oppure se esistono strategie di finanziamento opportune, che

definiscono un mix ottimale di risorse finanziarie per ogni specifico investimento

da implementare. La scelta fondamentale è fra la raccolta di capitale di rischio

(equity) e la raccolta di capitale di debito. In questo capitolo ci si chiederà se una

delle due forme di finanziamento è superiore all’altra.

Partiremo da un modello molto semplice, ma che vale in condizioni molto

restrittive, per poi rilassare queste ipotesi e considerare la pluralità dei fattori che

influenzano le scelte finanziarie.

2.1 La teoria dell’indifferenza di Modigliani & Miller

Modigliani e Miller (1958) dimostrano, in un loro notissimo modello, che sotto

opportune condizioni la struttura finanziaria dell’impresa è irrilevante rispetto alla

massimizzazione del valore delle attività. In altre parole, risulta del tutto

indifferente come finanziare ogni singolo investimento. Questo concetto riassume

la Proposizione I di Modigliani e Miller, che però vale se si immagina un’economia

senza imposte sul reddito, caratterizzata da un unico tasso attivo e passivo di

mercato, senza asimmetrie informative e costi transazionali. Si deve inoltreipotizzare che la politica di finanziamento degli investimenti sia indipendente dalla

composizione del portafoglio degli investimenti, ovvero che non ci siano vincoli

endogeni sulle scelte possibili di finanziamento.

2.1.1 La Proposizione I di Modigliani & Miller 

Per dimostrare la validità del teorema, gli autori considerano due imprese, del tutto

uguali rispetto al portafoglio di attività, ma l’una (l’impresa U, unlevered )

finanziata solo con capitale azionario (equity), l’altra (l’impresa L, levered )

finanziata anche con debito, remunerato attraverso il pagamento di oneri finanziari

ad un tasso annuale r . Il valore di mercato dell’equity dell’impresa U è E U, mentre

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2. ESISTE UNA STRUTTURA FINANZIARIA OTTIMALE?

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il valore dell’equity dell’impresa L è  E L. Il valore di mercato del debito emesso

dall’impresa L è  DL. Il valore totale delle attività dell’impresa U è V U, mentre il

valore delle attività dell’impresa L è V L. Entrambe le imprese, essendo

caratterizzate dalle stesse attività di bilancio, realizzano un margine operativo di

bilancio identico, pari a MO.

Il valore delle attività delle due imprese rappresenta anche la ricchezza dei

rispettivi stakeholders, ovvero di tutti coloro (detentori di azioni e di debito) che

vantano claims sull’impresa:

V U = E U V L = E L + DL 

Dimostrando che V U = V L si proverebbe la teoria dell’indifferenza, e cioè che la

struttura finanziaria dell’impresa è irrilevante. In altre parole, un maggiore o

minore indebitamento non influenza il valore di mercato delle attività.

Figura 2.1 – Dimostrazione della proposizione I di Modigliani e Miller.

Consideriamo un investitore che acquista il 5% delle azioni dell’impresa U. Il suo

investimento iniziale I 1 sarà pari al 5% di E U. Contemporaneamente, consideriamo

un investitore che acquista il 5% delle azioni dell’impresa L, e ne sottoscrive il 5%

del suo debito. L’investimento I 2 in questo caso è pari al 5% di E L più il 5% di DL.

Il payoff  P1 maturato dall’investimento nel primo caso sarà il 5% dei profitti UN U 

dell’impresa, ovvero il 5% di MO dal momento che l’impresa U non paga interessi

passivi sul debito e non ci sono imposte. Il payoff  P2 maturato dall’investimento nel

secondo caso sarà il 5% dei profitti dell’impresa UN L, ovvero il 5% di ( MO – r · DL),

più il 5% degli interessi pagati sul debito, pari al 5% di rDL.

V U  V L  E U  E L 

 DL 

Impresa U, unlevered  Impresa L, levered  

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2. ESISTE UNA STRUTTURA FINANZIARIA OTTIMALE?

10

P1 = 5% UN U = 5% MO 

P2 = 5% UN L + 5% rDL = 5% ( MO – r · DL) + 5% r · DL = 5% MO = P1 

In aggregato dunque il  payoff  ottenuto dai due investitori è identico. Affinché il

mercato del capitale sia in equilibrio, strategie che generano lo stesso  payoff  

devono anche implicare uno stesso investimento iniziale (altrimenti tutti

vorrebbero sottoscrivere solo debito o solo equity). Dunque deve verificarsi:

 I 1 = I 2 5% E U = 5% E L + 5% DL 

 E U = E L + DL  ⇒  V U = V L 

Il valore di mercato delle attività delle due imprese deve essere identico.

Una seconda dimostrazione, molto simile alla precedente, può essere ricavata

considerando da una parte un investitore che acquista il 5% dell’equity 

dell’impresa L, e dall’altra parte un altro investitore che invece acquista il 5%

dell’equity dell’impresa U, e in più si indebita all’unico tasso di mercato r per un

valore pari al 5% di DL. L’investimento I 1′ nel primo caso sarà pari al 5% di E L, nel

secondo caso l’investimento  I 2′ sarà pari al 5% di  E U, al netto dell’indebitamento

pari al 5% di DL.

I payoff  P1′ e P2′ generati dalle due strategie questa volta saranno:

P1′ = 5% UN L = 5% ( MO – r · DL)

P2′ = 5% UN U – 5% r · DL = 5% ( MO) – 5% r · DL = 5% ( MO – r · DL) = P1′ 

Nel secondo caso, infatti, l’investitore deve remunerare al tasso r  il debito

contratto. Anche in questo caso dunque le due strategie generano gli stessi payoff , e

quindi deve verificarsi:

 I 1′ = I 2′ 5% E L = 5% E U – 5% DL 

 E U = E L + DL ⇒  V U = V L 

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2. ESISTE UNA STRUTTURA FINANZIARIA OTTIMALE?

11

Questa seconda dimostrazione della Proposizione I di Modigliani e Miller

evidenzia una cosa interessante. Il fatto che un’impresa si indebiti in misura più o

meno elevata non genera di per sé valore, perché ogni investitore può ‘ricostruirsi’

una qualsiasi ‘propria’ struttura finanziaria desiderata, acquistando titoli azionari

dell’impresa unlevered  e indebitandosi sul mercato. Risulta cruciale però che le

condizioni a cui si indebitano le imprese e gli investitori siano le stesse. In altre

parole, il tasso r di indebitamento (come specificato nelle ipotesi di partenza) deve

essere lo stesso per tutti. È quindi chiaro che se le imprese potessero indebitarsi a

tassi migliori rispetto alle persone, gli investitori non vorrebbero mai indebitarsi,

ma preferirebbero che a farlo fossero le imprese di cui sono azionisti.

•  Il punto

La Proposizione I di Modigliani e Miller afferma che sotto opportune condizioni lastruttura finanziaria dell’impresa è irrilevante rispetto alla massimizzazione del

valore delle attività.

2.1.2 La Proposizione II di Modigliani & Miller 

La prima proposizione di Modigliani e Miller sembra però contrastare con la

relazione della ‘leva finanziaria’, nota agli studiosi di Economia Aziendale,

secondo cui le imprese, facendo leva su un maggiore indebitamento, sono in grado

di generare rendimenti sul capitale azionario (return on equity, ROE) più elevati,

nella condizione che il rendimento del capitale investito netto (return on assets,ROA) sia maggiore del tasso di indebitamento r .

•  Il segnalibro

La relazione contabile della ‘leva finanziaria’ fra redditività attesa del capitale

azionario (ROE) e redditività del capitale totale attivo (ROA) in funzione

dell’indebitamento è presentata nel Volume ‘Gestire le Risorse dell’Impresa’ nel

Capitolo 2, Paragrafo 2.3.

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2. ESISTE UNA STRUTTURA FINANZIARIA OTTIMALE?

12

Modigliani e Miller dimostrano che la relazione della ‘leva finanziaria’ è

compatibile con il loro modello. In effetti, il rendimento dell’equity cresce se

cresce l’indebitamento di un’impresa, e questo riassume il risultato della

Proposizione II di Modigliani e Miller. La dimostrazione è semplice, definendo r A 

come il rendimento del capitale totale investito e r E come il rendimento dell’equity:

r A =V 

 MO  r E =

 E 

UN  

dove, in base anche ai risultati della proposizione I:

UN = MO – r · D 

V = E + D 

Elaborando la definizione di r E si ottiene:

r E = E 

UN =

)(

)()(

 E  D

 E  D

 E 

rD MO

+

+⋅

−=

 E 

 Dr 

 E 

 E  D

 E  D

 MO−

+⋅

+

)(

)(=

 E 

 Dr 

 E 

 E  Dr  ⋅−

+⋅

)(A  

r E = )( AA r r  E 

 Dr  −⋅+  

•  Il puntoLa Proposizione II di Modigliani e Miller introduce, sotto le stesse condizioni della

Proposizione I, la relazione della leva finanziaria, secondo cui il rendimento del

capitale azionario cresce al crescere dell’indebitamento, se il tasso di rendimento

degli investimenti è superiore al tasso di remunerazione del debito.

È dunque verificato che, così come riscontrato per gli indici contabili ROE e ROA,

esiste una relazione lineare crescente fra il rendimento (questa volta a valori di

mercato) dell’equity  r E e il rendimento del capitale investito r A, in funzione

dell’indebitamento. In particolare, se l’impresa è in grado di remunerare il capitale

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2. ESISTE UNA STRUTTURA FINANZIARIA OTTIMALE?

13

di debito ad un tasso inferiore rispetto al tasso di rendimento degli investimenti

(ovvero r < r A), l’indebitamento può accrescere la remunerazione dell’equity.

Figura 2.2 – La relazione fra leverage (D/E) e rendimento dell’equity (r E) nella

Proposizione II di Modigliani e Miller.

La Figura 2.2 mostra come (in una situazione in cui la redditività r A del capitale

investito in impianti, progetti, capitale circolante è superiore rispetto al tasso di

indebitamento r ) al crescere del leverage si possa accrescere linearmente la

redditività per gli azionisti. La Proposizione I ci assicura che r A non dipende dal

leverage, ed è costante, in quanto il valore delle attività dell’impresa (su cui èmisurato il rendimento) non dipende da come esse sono finanziate.

In effetti la Proposizione II può essere riformulata in un modo alternativo, questa

volta in funzione di r A:

r E = )( AA r r  E 

 Dr  −⋅+  

r A =  

  

 

+⋅

 

  

 ⋅+

 D E 

 E r 

 E 

 Dr E =

 

  

 

+⋅+

 

  

 

+⋅

 D E 

 Dr 

 D E 

 E r E  

r E 

 D/E 

r E 

r A 

 D /  E (r A – r )

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2. ESISTE UNA STRUTTURA FINANZIARIA OTTIMALE?

14

Si capisce che il rendimento dell’equity e del debito sono le componenti di una

‘media ponderata’ che rappresenta il rendimento del capitale totale investito r A (che

in tal caso rappresenta appunto il ‘costo medio ponderato’ del capitale). Poiché –

per quanto argomentato sopra – r A non dipende dal leverage del passivo,

all’aumentare del debito (che è caratterizzato da una remunerazione

contrattualmente nota), non può che aumentare il rendimento atteso del capitale

azionario, che è invece residuale.

•  Il punto

Il rendimento del capitale investito rappresenta il costo medio ponderato fra il

capitale di debito e il capitale di rischio, la cui remunerazione è residuale.

Il risultato della Proposizione II sembra però ancora in contrasto con laProposizione I. Come è possibile che la struttura finanziaria dell’impresa sia

indifferente se al crescere dell’indebitamento cresce anche il tasso di rendimento

dell’equity?

La risposta all’obiezione può essere ricavata dal seguente Esempio.

•  Esempio

Si consideri un’impresa non indebitata (U) che realizza un margine operativo

annuale pari a  MO, il cui capitale è composto da un numero n di azioni che sul

mercato valgono p, dove: MO = 1,5 mln. €

n = 1 mln.

 p = 10 €

Il valore dell’equity dell’impresa coincide con il valore delle sue attività, ovvero:

 E U = V U = n ⋅ p = 10 mln. €

Dal momento che il margine operativo è anche il reddito per gli azionisti, il

rendimento dell’equity r E coincide con il rendimento delle attività r A, ed è pari a:

r E = r A =UV 

 MO= 15%

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2. ESISTE UNA STRUTTURA FINANZIARIA OTTIMALE?

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L’utile per azione EPS (earnings per share) associato all’impresa non indebitata è:

EPSU =n

 MO= 1,5 €

Supponiamo che l’impresa acquisti sul mercato attraverso un buyback metà delleproprie azioni, per un controvalore  D pari a 5 mln. €, finanziandosi con debito,

remunerato ad un tasso annuo r pari al 10%.

Il reddito UN per gli azionisti questa volta sarà:

UN = MO – r ·D = 1,5 mln. € – 0,5 mln. € = 1 mln. €

La Proposizione I di Modigliani e Miller ci assicura che il valore delle azioni

dell’impresa non varia, e quindi dovrebbe valere, considerando che metà del

capitale azionario è stato rimborsato:

 p = 10 €

V L = 10 mln. € (irrilevanza della struttura finanziaria) E L = V L – D = 5 mln. €

La Proposizione II di Modigliani e Miller ci assicura invece che il rendimento

dell’equity r E è destinato a salire, dal momento che r < r A:

r E = )( AL

LA r r 

 E 

 Dr  −⋅+ = 15% + 1 · (15% – 10%) = 20%

e in effetti:

r E =L E 

UN = 20%

Ovviamente anche l’utile per azione EPS cresce, dal momento che si distribuiscesu un numero di titoli azionari pari alla metà:

EPSL =n

UN 

⋅50%= 2 €

I risultati delle due proposizioni sono assolutamente compatibili, e lo si può

provare considerando le seguenti strategie di investimento:

1)  acquistare un’azione dell’impresa indebitata;

2)  acquistare due azioni dell’impresa non indebitata e indebitarsi per un valore di

10 €.

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16

Nel caso 1) l’investimento ‘costa’ p (10 €) e genera un reddito pari a EPSL, ovvero

2 €.

Nel caso 2) l’investimento ‘costa’ 2 ·  p (20 €) al netto della liquidità incassata col

debito (10 €), quindi il costo netto è 10 €; il reddito invece è 2⋅EPSU (3 €), al nettodegli interessi pagati sul debito (il 10% di 10 €, quindi 1 €), in totale 2 €.

Come si vede, le due strategie hanno lo stesso ‘costo’ e generano lo stesso reddito.

Il fatto che l’impresa si indebiti non genera quindi alcun valore per gli investitori,

poiché essi possono costruirsi come meglio credono la ‘loro’ struttura finanziaria

ottimale. Infatti, il prezzo dei titoli azionari rimasti in circolazione non cresce, ma

rimane costante.

La struttura finanziaria dell’impresa, pur influendo sulla redditività del capitale,

non ha effetti sul valore di mercato delle azioni.

Qualcuno potrebbe essere tentato di proporre una terza strategia:3)  acquistare tre azioni dell’impresa non indebitata e indebitarsi per un valore di

20 €.

Questa terza strategia ‘costa’ anch’essa 10 € (3 ·  p ovvero 30 € al netto della

liquidità incassata col debito pari a 20 €), ma genera un risultato in termini di

rendimento maggiore rispetto alle prime due. Infatti si otterrà 3 ⋅ EPSU (4,5 €), al

netto degli interessi pagati sul debito (il 10% di 20 €, quindi 2 €), in totale 2,5 €.

Siamo forse di fronte ad una clamorosa confutazione? Assolutamente no, anzi

l’esempio è una ulteriore conferma della Proposizione II.

I portafogli 1) e 2) infatti sono caratterizzati da un ‘leverage’ D/E pari a 1 dato cheentrambi sono finanziati per metà da equity e per metà da debito.

Il portafoglio 3) è invece caratterizzato da un leverage maggiore, e quindi non

potrà generare lo stesso risultato degli altri due. In altre parole esso è più rischioso.

Il rapporto di leva è infatti pari a 2 (dal momento che raccogliamo 20 € con debito

e autofinanziamo la rimanente quota dell’investimento pari a 10 €).

Secondo Modigliani e Miller il rendimento atteso del portafoglio dovrebbe essere:

r E = )( AL

LA r r 

 E 

 Dr  −⋅+ = 15% + 2 · (15% – 10%) = 25%

E infatti 2,5 € / 10 € = 25%.

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17

Un’ulteriore osservazione sui risultati ottenuti evidenzia che potenzialmente

l’indebitamento dell’impresa accresce il rendimento del capitale azionario, ma ne

accresce anche la rischiosità, in maniera tale che il suo valore di mercato rimane lo

stesso.

Consideriamo infatti la redditività del capitale r E come una variabile aleatoria, e

non più deterministica.

La sua varianza σ2 (in funzione del rischio associato al rendimento del capitale

investito e considerando costante il tasso di mercato r ) in base al risultato della

Proposizione II può essere descritta da:

σ2(r E) = σ2 ( )( AA r r  E 

 Dr  −⋅+ ) = σ2[(1+

 E 

 D) · r A] = 2)1(

 E 

 D+ · σ2 (r A)

Dunque, l’aleatorietà del rendimento dell’equity (ovvero il rischio) si moltiplica al

crescere del leverage rispetto al rendimento del capitale investito. La Figura 2.3

evidenzia tale fenomeno. Sul grafico è riportato il livello EPS dell’utile per azione,

in funzione del reddito operativo MO, per ogni livello dello stock di debito D. La

linea continua descrive la crescita dell’utile per azione nell’impresa non indebitata,

mentre invece la linea tratteggiata rappresenta la stessa funzione per l’impresa

indebitata. Nella parte destra del grafico, al crescere dell’indebitamento, la

variazione marginale di EPS rispetto a MO è positiva, come mostrato nell’Esempio

precedente (EPSL > EPSU). Si noti però che nel caso in cui il margine operativorisulti più basso (ovvero r A peggiora fino a diventare, nella parte sinistra del

grafico, inferiore a r ), l’utile per azione è destinato a scendere. Consideriamo la

situazione di un’impresa non indebitata: se il margine operativo  MO (che

corrisponde a r A  ⋅ E) è inferiore a r  ⋅  E (cioè se il rendimento delle attività è

inferiore al costo del debito) un eventuale indebitamento peggiorerebbe la

redditività degli azionisti, e quindi l’utile per azione EPS. In altre parole si avrebbe

quindi EPSU > EPSL.

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18

Figura 2.3 – Proposizione II di Modigliani e Miller: variazione dell’utile per azione EPS

rispetto al reddito operativo MO in funzione del leverage.

In ultimo luogo, è difficile affermare che il tasso di rendimento r  richiesto dai

finanziatori sul debito rimanga costante al crescere del leverage, come ipotizzato

nella Figura 2.2. Nella realtà, è più verosimile che vi sia una correlazione fra

dimensione dello stock  del debito, e quindi rischiosità dell’impresa, e tasso di

rendimento richiesto all’impresa. Di conseguenza, è probabile che la crescita di r E 

all’aumentare del leverage sia meno che proporzionale.

Attraverso la Figura 2.3 possiamo ulteriormente capire il ‘senso’ della

Proposizione I.

Poniamoci infatti l’obiettivo di ‘replicare’ il  payoff  dell’impresa indebitata

(rappresentato dalla linea tratteggiata) investendo nelle azioni dell’impresa non

indebitata, e indebitandoci personalmente. La Figura 2.4 ci mostra come è

possibile… moltiplicando per  x le azioni dell’impresa U da acquistare, e

indebitandoci per un importo pari a  D*, riusciamo a replicare l’utile per azione

dell’impresa L per ogni valore del margine operativo MO. Ancora una volta,

EPS

MO

Impresa U

EPSL 

MO

Impresa L

r ⋅ D

D ↑ EPSU 

r A > r  

EPSL > EPSU 

r A < r  

EPSU > EPSL 

r ⋅ EU 

D ↑ 

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2. ESISTE UNA STRUTTURA FINANZIARIA OTTIMALE?

19

l’impresa indebitata non crea valore perché ogni investitore può ricostruire

autonomamente sul mercato il payoff che essa offre.

Figura 2.4 – Replica del payoff dell’impresa indebitata L investendo nelle azioni

dell’impresa non indebitata U ed emettendo debito.

I parametri x e D* si possono determinare, imponendo che il payoff del portafoglio

equivalente sia uguale a quello dell’azione dell’impresa L:

 x · n

 MO– r  ·  D* = EPSL =

 Ln

rD MO −=

n

 MO · (1 +

 E 

 D) – r · 

n

 D · (1 +

 E 

 D)

dal momento che la relazione fra n e n L è così definita:

n L =) / 1(  E  D

nn

 E  D

 E n

 E 

 p

 E 

+=⋅

+=⋅=  

I valori ricercati sono quindi:

 x = (1 + E 

 D)

EPS

MO

1 azione (U)

 x azioni (U)EPS

 x azioni (U)e debito D*

 x azioni (U)

MO

 x

r ⋅ DL 

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2. ESISTE UNA STRUTTURA FINANZIARIA OTTIMALE?

20

 D* =n

 D · (1 +

 E 

 D) =

n

 D · 

 E 

V = p · 

 E 

 D 

2.1.3 L’irrilevanza della politica dei dividendiIl modello di Modigliani e Miller ha un’importante conseguenza relativa all’effetto

della politica dei dividendi sul valore d’impresa.

I dividendi rappresentano la frazione degli utili netti di conto economico che viene

distribuita agli azionisti, che alternativamente può essere reinvestita nell’attività

imprenditoriale. Il fatto che venga pagato ai soci un dividendo più o meno

consistente ha un effetto sul valore del loro portafoglio? In base alle due

Proposizioni di Modigliani & Miller la risposta è no.

Il pagamento di un dividendo (così come un riacquisto di azioni proprie sul

mercato, buyback ) ha l’effetto di aumentare il leverage del passivo. Infatti, si hauna riduzione dell’attivo di bilancio (causato dall’uscita di liquidità pagata

dall’impresa al mercato, sotto forma di dividendo o di corrispettivo per l’acquisto

delle azioni) e quindi l’incidenza di eventuali debiti (nel caso rimangano invariati)

sul totale del passivo aumenta. Sappiamo però che questo non ha impatto sul valore

delle attività rimaste. In altre parole, il pagamento di un dividendo elevato porterà

maggiore liquidità nelle tasche degli azionisti, ma i loro titoli in portafoglio

varranno di meno per un pari importo (si veda la Figura 2.5). La differenza fra il

valore di mercato delle azioni prima e dopo il pagamento del dividendo sarà infatti,

sotto le ipotesi di Modigliani & Miller, esattamente pari al dividendo stesso poichénon si è generato né distrutto valore.

Figura 2.5 – Valore dell’impresa prima e dopo il pagamento di un dividendo.

V L  V L- Dividendi E L- Dividendi

 DL 

Prima del pagamento del dividendo

 E L 

 DL 

Dopo il pagamento del dividendo

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2. ESISTE UNA STRUTTURA FINANZIARIA OTTIMALE?

21

2.2 Il problema delle imposte e dei costi del dissesto

Nonostante abbiano consentito a Franco Modigliani il riconoscimento del Premio

Nobel per l’Economia nel 1985 (e a Merton Miller lo stesso riconoscimento nel

1990), le due Proposizioni di Modigliani e Miller offrono una chiave di lettura

delle decisioni finanziarie delle imprese tanto immediata ed efficace quanto

palesemente lontana dalla realtà.

Il problema fondamentale sta nelle ipotesi teoriche – fortemente restrittive – che

sono alla base del modello di irrilevanza della struttura finanziaria. Poiché invece

nella realtà queste ipotesi non valgono (prima fra tutte l’assenza di imposte), è del

tutto evidente che la scelta delle modalità di finanziamento è un passo importante

nella definizione del portafoglio degli investimenti dell’impresa.

2.2.1 Lo scudo fiscale del debito

Modigliani e Miller (1963) stessi in un successivo lavoro analizzano l’effetto

dell’imposizione fiscale sul reddito d’impresa rispetto alle scelte di finanziamento.

Essi ammettono che sul reddito d’impresa (in termine di utile di bilancio) gravi

un’imposta societaria, con aliquota costante pari a t c. Dal momento che gli interessi

passivi sul debito possono essere dedotti dal reddito di bilancio, al contrario dei

dividendi pagati agli azionisti, è evidente che il capitale di debito genera

potenzialmente uno ‘scudo fiscale’ ovvero un risparmio nel pagamento delle

imposte, a parità di reddito prodotto. Tale scudo può essere effettivamente sfruttato

sotto alcune condizioni: in particolare l’impresa deve essere in grado di generare un

margine operativo netto sufficientemente elevato, che può essere abbattuto dagli

interessi passivi. In caso contrario, l’impresa potrebbe ottenere solo un parziale

risparmio fiscale, portando a nuovo le perdite di bilancio negli anni successivi,

compatibilmente con le norme tributarie.

Il risparmio fiscale può essere quantificato attraverso il seguente modo.

Riconsideriamo ancora le imprese U ed L del paragrafo precedente, introducendo

questa volta l’aliquota fiscale sul reddito corporate t c.

Il reddito netto distribuito dall’impresa non indebitata UN U′ ai suoi azionisti sarà:

UN U′ = (1 – t c) ·  MO 

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2. ESISTE UNA STRUTTURA FINANZIARIA OTTIMALE?

22

Esso coincide con il reddito totale ΠU distribuito dall’impresa.

Il reddito distribuito dall’impresa indebitata UN L′ agli azionisti sarà:

UN L′= (1 – t c)

·

( MO – r ·

 DL) se MO > r ·

 DL 

Bisogna però tenere conto anche del reddito distribuito dall’impresa L ai detentori

del debito sotto forma di interessi, pari a r · DL. In aggregato, quindi il reddito ΠL 

distribuito dall’impresa L sarà pari a:

ΠL = UN L′ + r · DL = (1 – t c) · ( MO – r · DL) + r · DL = (1 – t c) ·  MO + t c·r · DL 

Il maggiore reddito distribuito agli investitori dall’impresa indebitata rispetto

all’impresa non indebitata discenda dal risparmio fiscale ed è quindi pari a:

ΠL – ΠU = t c·r · DL 

Il risparmio fiscale, relativo ad un singolo esercizio di bilancio, rappresenta a tutti

gli effetti un flusso di cassa differenziale, sotto la condizione che  MO > rDL. È

come se l’impresa, indebitandosi, effettui un investimento che crea valore, in

quanto genera minori costi, e quindi maggiori cash flows nella logica del capitale

investito.

Ipotizzando quindi che il debito sia perpetuo, e che l’impresa sia in grado didedurre in ogni esercizio annuale gli interessi passivi dal reddito, il valore attuale

VA dello scudo fiscale sarà pari al valore di una  perpetuity (si veda il successivo

Paragrafo 3.3):

VA =k 

 Dr t c L⋅⋅

 

dove k rappresenta il costo del capitale dell’impresa indebitata.

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2. ESISTE UNA STRUTTURA FINANZIARIA OTTIMALE?

23

Se in seconda battuta ipotizziamo che lo stock  di debito sia fissato in futuro, i

risparmi fiscali annui saranno certi e conosciuti in anticipo, e potranno essere

scontati al tasso r stesso. Si ottiene quindi:

VA =r 

 Dr t c L⋅⋅

= t c ·  DL 

A questo punto il valore VA rappresenta una funzione lineare rispetto allo stock del

debito, di cui in generale si approprieranno gli azionisti, la cui remunerazione è

residuale. Siamo quindi in grado di rappresentare, nella Figura 2.6, il valore delle

attività dell’impresa in funzione dell’indebitamento.

Figura 2.6 – La relazione fra indebitamento e valore d’impresa in presenza di imposte

societarie, secondo Modigliani e Miller.

Fissato quindi V U, ovvero il valore delle attività dell’impresa unlevered , si nota che

il valore delle attività V  cresce linearmente al crescere dello stock  di debito  D 

contratto. L’incremento di valore è pari al valore attuale dello scudo fiscale VA. Si

noti che più onerosa è l’imposizione fiscale, più si favorisce il debito rispetto al

capitale azionario. La Proposizione I di Modigliani & Miller diventa:

V L = V U + t c ·  DL 

 DL   D

V L 

V U 

VA = t c ·  DL 

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2. ESISTE UNA STRUTTURA FINANZIARIA OTTIMALE?

24

Attenzione! Non stiamo dicendo che in presenza di imposte sul reddito il valore

dell’impresa è maggiore rispetto al caso in cui non ci sono prelievi fiscali (anzi è

vero il contrario). Abbiamo semplicemente dimostrato che in questo caso il debito

dà un vantaggio differenziale.

•  Il punto

Considerando il fattore fiscale, l’emissione di debito risulta favorita in quanto gli

interessi sul capitale di debito sono deducibili dal reddito, e quindi generano uno

scudo fiscale, ovvero una creazione di valore legata al risparmio di imposte, a

parità di reddito operativo generato dall’impresa.

Chiediamoci ora cosa succede, in presenza di imposte sul reddito, alla Proposizione

II di Modigliani & Miller.Riprendiamo le definizioni esposte nel Paragrafo 2.1.2 considerando però l’utile

UN ′ al metto delle imposte:

r A =V 

 MO  r E =

 E 

UN ' 

 

r E =)(

)()1()(

 E  D

 E  D

 E 

t rD MO c

+

+⋅

−⋅−= )1(

)(

)( ct  E 

 Dr 

 E 

 E  D

 E  D

 MO−⋅

 

  

 −

+⋅

+=

r E = )1()( c A t  E  Dr 

 E  E  Dr  −⋅

  

   ⋅−+⋅ = )1()( c A A t r r 

 E  Dr  −⋅

  

   −⋅+  

Si noterà che quando t c = 0 si ritorna alla classica formulazione della leva

finanziaria. Quando però esiste un prelievo fiscale sul reddito d’impresa, la

redditività per gli azionisti è minore rispetto a prima, perché l’erario vuole la sua

parte. La complicazione sta nel fatto che il valore V  ora non è più indipendente

dalla leva finanziaria, mentre il margine operativo  MO (essendo solo funzione di

costi e ricavi operativi) rimane costante.

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2. ESISTE UNA STRUTTURA FINANZIARIA OTTIMALE?

25

Riassumendo, in caso di possibilità di dedurre dal reddito imponibile gli interessi

pagati sul debito:

1)  il valore delle attività dell’impresa cresce al crescere del debito, e di

conseguenza cresce anche il valore delle azioni per gli azionisti;

2)  il rendimento del capitale azionario cresce al crescere del debito, ma con

meno intensità rispetto alla situazione di assenza di imposte; gli azionisti si

‘accontentano’ di un incremento del rendimento più contenuto perché – in

ultima analisi – condividono una parte del rischio d’impresa con il fisco!

3)  di conseguenza anche l’utile per azione aumenterà al crescere del debito,

ma con meno intensità rispetto alla situazione di assenza di imposte.

•  Esempio

Consideriamo di nuovo l’impresa non indebitata (U) che realizza un margineoperativo annuale MO pari a 1,5 mln. €, il cui capitale è composto da un numero n 

di azioni pari a 1 mln. che sul mercato valgono di nuovo  p=10 €. In questo caso

però consideriamo che sull’utile lordo d’impresa ci sia una tassazione con aliquota

t c pari al 30%.

Il valore dell’equity dell’impresa coincide con il valore delle sue attività, ovvero:

 E U = V U = n ⋅ p = 10 mln. €

Al margine operativo ora dobbiamo applicare l’aliquota fiscale t c per determinare

l’utile netto UN .

UN = (1 – t c) ·  MO = 1,05 mln. €Il rendimento dell’equity r E sarà pari a:

r E =U  E 

UN = 10,5%

L’utile per azione EPS (earnings per share) associato all’impresa non indebitata è:

EPSU =n

UN = 1,05 €

Come nell’Esempio precedente l’impresa acquista sul mercato attraverso un

buyback  metà delle proprie azioni, per un controvalore  DL pari a 5 mln. €,

finanziandosi con debito, remunerato ad un tasso annuo r pari al 10%.

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2. ESISTE UNA STRUTTURA FINANZIARIA OTTIMALE?

26

Il reddito UN per gli azionisti questa volta sarà:

UN = (1 – t c) · ( MO – r · DL) = 0,7 mln. €

Sotto le ipotesi che il debito sia perpetuo e costante, e che i risparmi fiscali annuali

correlati all’indebitamento siano perfettamente prevedibili, si avrà una creazione divalore VA in termini attuali pari a:

VA = t c ·  DL = 1,5 mln. €

Il valore delle attività V L aumenta fino a:

V L = V U + VA = 11,5 mln. €

Non valendo la Proposizione I di Modigliani & Miller, il valore dell’equity sale a:

 E L = V L – DL = 6,5 mln. €

Inoltre varia anche la redditività sul capitale investito r A, per come è definita:

r A = LV 

 MO= 13,04%

Si noti che il grado di leva, a parità di buyback , non sarà più pari a 1, ma più basso

grazie alla creazione di nuovo valore:

 L

 L

 E 

 D= 76,92%

In condizioni di efficienza del mercato, la creazione di valore si spalma

immediatamente sulle n azioni in circolazione appena prima del buyback . Il nuovo

prezzo di mercato pL delle azioni sarà:

 pL

= p +n

VA= 11,5 €

Le azioni rimaste in circolazione sul mercato nL saranno dunque:

nL = L

 L

 p

 E = 565.217

Si poteva arrivare allo stesso risultato calcolando le azioni acquistabili attraverso il

buyback  nB e sottraendole a n:

nB = L

 L

 p

 D= 434.783

nL = n – nB = 565.217

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2. ESISTE UNA STRUTTURA FINANZIARIA OTTIMALE?

27

La Proposizione II di Modigliani e Miller modificata per tenere conto delle imposte

mostra che:

r E = )1()( c A

 L

 L A t r r 

 E 

 Dr  −⋅

 

 

 

 −⋅+ = (13,04% + 0,7692 · (13,04% – 10%)) · 0,7

r E = 10,77%

e in effetti:

r E =L E 

UN = 10,77%

Anche l’utile per azione EPS cresce:

EPSL = Ln

UN = 1,238 €

Si noti che dopo l’operazione di indebitamento l’incremento del rendimento delcapitale di rischio e dell’utile per azione sono molto più contenuti rispetto

all’Esempio in cui non vi erano le imposte.

In questo caso non valendo la Proposizione I di Modigliani & Miller non possiamo

costruire portafogli equivalenti operando sulle azioni delle imprese U e L.

2.2.2 I costi dell’indebitamento: costi del dissesto e costi di agenzia

La conclusione paradossale dell’analisi precedente è che le imprese dovrebbero

finanziarsi esclusivamente con debito, poiché così massimizzerebbero l’incremento

di valore legato allo scudo fiscale, ma ancora una volta la realtà dei fatti non èquesta.

Infatti l’emissione di debito genera dei benefici di natura fiscale, ma anche dei

costi. Ad esempio, è probabile che incrementare l’indebitamento oltre una certa

soglia non generi più alcuno scudo fiscale, perché la possibilità di ridurre il reddito

imponibile è inferiormente limitata dal margine operativo netto dell’impresa. In

secondo luogo, se il leverage è elevato il tasso di remunerazione del debito è

destinato a crescere, poiché l’impresa diventa più rischiosa.

Poi, al crescere del debito l’impresa incorre nei ‘costi del dissesto’, ovvero in costi

di natura amministrativa e legale che sorgono quando vi è il pericolo di fallimento

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2. ESISTE UNA STRUTTURA FINANZIARIA OTTIMALE?

28

il cui valore atteso viene scontato in anticipo dal mercato. Infine, quando l’impresa

è eccessivamente indebitata possono sorgere costi di ‘agenzia’, poiché gli azionisti

– grazie al privilegio della responsabilità limitata nelle società di capitali – possono

essere indotti ad implementare investimenti molto rischiosi, che possono anche

distruggere valore (Myers, 1977).

Consideriamo un esempio numerico: si ipotizzi che il valore delle attività di

un’impresa sia pari a 400, mentre il valore di rimborso del suo debito a scadenza

sia pari a 390. In questo caso, se la scadenza del debito fosse vicina, l’impresa

sarebbe prossima al dissesto, poiché vi è il rischio che il valore di liquidazione

delle attività non sia sufficiente per il rimborso del debito. Supponiamo che gli

azionisti, il cui valore di portafoglio è pari a (400 – 390) = 10, possano scegliere fra

due investimenti alternativi, che possono contribuire a risollevare le sorti

dell’impresa:

1)  l’investimento A con il 100% di probabilità genera un valore netto pari a 10;

2)  l’investimento B con il 90% di probabilità distrugge valore, sottraendo 30 al

valore dell’impresa, ma con il 10% di probabilità crea un valore elevato, pari a

200.

Si nota subito che l’investimento B è rischioso, e presenta un valore netto atteso

negativo pari a: 10% (200) – 90% (30) = –7. Dunque, l’investimento più efficiente

è chiaramente A, poiché crea sicuramente valore, mentre il secondo probabilmente

lo distrugge.

Esaminiamo però nella Tabella 2.1 il  payoff a scadenza di azionisti e creditori nel

caso siano effettuati i due investimenti.

Dalla Tabella emerge che l’investimento A è effettivamente preferibile per

l’impresa nel suo complesso, lascia inalterata la ricchezza dei creditori e

residualmente incrementa quella degli azionisti. L’investimento B invece nel 90%

dei casi manderà in fallimento l’impresa, poiché essa non sarà in grado di

rimborsare il debito; in tal caso i creditori incasseranno la ricchezza disponibile e

gli azionisti perderanno il controllo dell’impresa. Nel 10% dei casi invece le cose

andranno bene e il valore di portafoglio degli azionisti crescerà parecchio.

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2. ESISTE UNA STRUTTURA FINANZIARIA OTTIMALE?

29

Tabella 2.1 – Payoff a scadenza per azionisti e creditori, rispetto alla situazione attuale,

nel caso siano effettuati gli investimenti A e B.

Valore atteso delle

attività

Payoff atteso

(creditori)

Payoff atteso

(azionisti)

Situazione attuale 400 390 400 – 390 = 10

Investimento A 400 + 10 = 410 390 410 – 390 = 20

Investimento B

p. 90% : 400 – 30 = 370

p. 10% : 400 + 200 = 600

Valore atteso = 393

p. 90% : 370 (fallimento)

p. 10% : 390

Valore atteso = 372

p. 90% : 0

p. 10% : 210

Valore atteso = 21

Come si vede, nonostante sia inefficiente, gli azionisti sceglieranno l’investimento

B. In questo caso il loro  payoff  atteso infatti è maggiore rispetto alla scelta

dell’investimento A. Si può notare invece che i creditori sono danneggiati dallascelta, poiché essa rende più rischiosa l’impresa, e quindi il loro debito, il cui

valore atteso scende. La ragione ultima è dovuta al fatto che nel caso l’impresa

fallisca (cioè molto facilmente se viene scelto l’investimento B) gli azionisti

possono abbandonare il controllo grazie alla responsabilità limitata. È loro

interesse quindi, se l’impresa è vicina al dissesto, fare investimenti che ne

incrementino la rischiosità. Al peggio, il loro  payoff  sarà zero, al meglio sarà

destinato a crescere.

•  Il segnalibroDopo aver esplorato la teoria delle opzioni nel Capitolo 5, sarà chiaro che gli

azionisti detengono un’opzione call sul valore delle attività, il cui valore cresce al

crescere della rischiosità dell’attività sottostante. I creditori invece hanno ceduto

all’impresa un’opzione put sul capitale stesso.

L’esempio precedente spiega chiaramente come i detentori del debito siano esposti

a comportamenti opportunistici degli azionisti, i quali possono ‘espropriare’ il

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2. ESISTE UNA STRUTTURA FINANZIARIA OTTIMALE?

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valore dell’impresa decidendo quali investimenti effettuare. Ciò genera dei costi di

‘agenzia’3 che fanno incrementare l’onere del debito.

Evidenziato che quindi emettere ‘troppo’ debito può vanificare i benefici fiscali,

introducendo i costi del debito, la Figura 2.6 può essere modificata, ottenendo la

Figura 2.7, dove si ipotizza che i costi del debito C ( D) siano crescenti, al crescere

dell’indebitamento. Dalla Figura emerge che al crescere del leverage il beneficio

fiscale viene eroso gradualmente dai costi del debito, finché i costi diventano

maggiori dei benefici.

Ci attendiamo quindi, al crescere dello stock di debito  D, una crescita meno che

lineare del valore delle attività V , e un contestuale incremento dei costi del debito,

cosicché ad un certo punto i costi saranno superiori al valore dello scudo fiscale. In

effetti, dalla Figura 2.7 è possibile individuare un livello ottimale di D, ovvero D*,

che massimizza il valore totale delle attività dell’impresa indebitata V L′, e risolve il

trade-off fra costi e benefici dell’indebitamento.

Figura 2.7 – La relazione fra indebitamento e valore d’impresa in presenza di imposte

societarie e dei costi dell’indebitamento, secondo Modigliani e Miller.

3 I costi di agenzia (Williamson, 1985) sorgono ogni qual volta un soggetto (‘principale’)delega ad un altro (‘agente’) la gestione di un contratto economico cui è legata la ricchezzadi entrambi. In tal caso l’agente – nell’esempio gli azionisti che detengono il controllo

 D*   D 

V L 

V U 

VAV L′ 

C(D)

V L′ MAX  

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2. ESISTE UNA STRUTTURA FINANZIARIA OTTIMALE?

31

Dunque, è necessario tenere presente non solo i benefici, ma anche i costi di ogni

possibile forma di finanziamento di un investimento. Ciò rappresenta la

conclusione fondamentale delle trade-off theories, ovvero di quelle teorie

sviluppate nella letteratura finanziaria secondo le quali le imprese scelgono la

forma di finanziamento più opportuna ottimizzando il trade-off fra costi e benefici

di ogni possibile decisione.

2.2.3 L’influenza delle aliquote fiscali sul reddito personale

Una prospettiva diversa è introdotta dal modello di Miller (1977). L’elemento

originale di questo modello è quello di considerare non solo la fiscalità sul reddito

d’impresa, ma anche quella che grava sugli investitori. L’idea è che gli

stakeholders (azionisti e creditori) non siano tanto interessati al valore delle attività

dell’impresa, quanto al reddito netto che essi percepiscono. A tale proposito,

bisogna considerare l’impatto dell’imposizione fiscale sui dividendi (o più in

generale sul reddito da titoli azionari) e sugli interessi percepiti dai creditori.

Miller ipotizza che i detentori dell’equity siano tassati con un’aliquota pari a t  E ,

mentre i detentori del debito siano tassati con un’aliquota pari a t  D. Su ogni singola

unità di reddito generata dall’impresa, il reddito netto percepito dagli investitori

sarà quindi (1 – t  D) per i detentori del debito, e (1 – t c)⋅(1 – t  E ) per i detentori

dell’equity. Ciò accade perché ogni unità di reddito distribuita ai detentori di equity 

sconta prima l’imposizione fiscale in capo all’impresa (con aliquota t c) e poi in

capo all’azionista (con aliquota t  E 

) mentre ogni unità di reddito distribuita ai

detentori di debito sfugge all’imposizione fiscale in capo all’impresa grazie alla

deducibilità degli interessi, ma non a quella in capo all’investitore (con aliquota t  D).

La scelta degli investitori di detenere equity o debito dipenderà quindi dalla

disuguaglianza fra i redditi netti: se (1 – t  D) > (1 – t c)⋅(1 – t  E ) gli investitori

vorranno acquistare obbligazioni, mentre al contrario vorranno sottoscrivere equity.

È chiaro che la scelta dipende dall’aliquota marginale t  D e t  E  cui sono soggetti gli

individui, fissata l’aliquota corporate t c.

dell’impresa – può essere incentivato a massimizzare la propria utilità a danno delprincipale, ovvero nell’esempio i creditori, che hanno apportato capitale all’impresa.

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2. ESISTE UNA STRUTTURA FINANZIARIA OTTIMALE?

32

Miller si rifà al sistema fiscale americano prima della riforma del 1986, in cui t  D è

variabile secondo lo scaglione di reddito personale e t  E  costante. In tale situazione,

è chiaro che i contribuenti più ‘agiati’ (con aliquota fiscale marginale elevata)

preferiranno sottoscrivere equity, mentre gli investitori che non hanno altre

rilevanti fonti di reddito preferiranno sottoscrivere debito.

In Italia fino a qualche anno fa l’aliquota sul reddito da partecipazione azionaria

(ovvero i dividendi) era variabile secondo gli scaglioni di reddito (attraverso il

meccanismo del credito d’imposta), e l’aliquota sugli interessi percepiti era

costante. È chiaro che in quella situazione gli investitori più ‘ricchi’ preferivano

detenere debito, mentre quelli meno ‘ricchi’ trovavano conveniente sottoscrivere

equity. Oggi invece tutte le aliquote sono generalmente fisse per ogni investitore (si

vedano i Paragrafi 3.4 e 4.1).

Le conclusioni del modello di Miller non individuano quindi un equilibrio per la

singola impresa, in termini di livello ottimale di indebitamento, ma piuttosto un

equilibrio generale per il sistema, determinato dall’incontro fra domanda aggregata

di capitale (espressa dalle imprese) e offerta aggregata di capitale (espressa dagli

investitori, che a seconda delle proprie aliquote marginali saranno disposti a

sottoscrivere debito piuttosto che equity). Il modello di Miller non definisce quindi

il livello D* dell’indebitamento per ogni impresa, ma piuttosto lo stock aggregato

del debito che gli investitori sottoscrivono sul mercato del capitale.

•  Il puntoConsiderando anche i costi del debito, oltre al risparmio fiscale, la struttura

finanziaria ottimale dell’impresa può essere determinata risolvendo il trade-off fra

vantaggi e costi dell’indebitamento stesso. Nella realtà bisogna anche tenere conto

della fiscalità sul reddito percepito dagli investitori.

2.3 Le ‘teorie dell’ordine di scelta’ e la non perfetta efficienza dei mercati

finanziari

Diverse verifiche empiriche delle trade-off theories mostrano che nella realtà le

imprese si indebitano molto meno di quello che sarebbe ottimale, da un punto di

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2. ESISTE UNA STRUTTURA FINANZIARIA OTTIMALE?

33

vista del bilanciamento di costi e benefici del debito. Un rapporto della Federal

 Reserve4 stima che fra il 1981 e il 1994 le risorse generate internamente dalle

imprese statunitensi hanno coperto tre quarti del loro fabbisogno totale di cassa e il

ricorso all’indebitamento è stato poco frequente. In Italia, uno studio di

Mediobanca5 arriva a conclusioni molto simili: addirittura nella seconda metà degli

anni ‘90, in coincidenza di un ciclo economico favorevole, i fondi interni generati

sono stati superiori agli impieghi. In generale, l’evidenza mostra che le imprese in

migliore salute (quindi quelle con reddito imponibile più alto) sono anche quelle

meno indebitate, contrariamente a quanto predicono Modigliani e Miller.

L’insoddisfazione verso la teoria del trade-off ha dato quindi linfa ad un diverso

filone della letteratura, riassumibile nella ‘  pecking order theory’, i cui primi

contributi rilevanti appartengono a Donaldson (1961) e Myers (1984). La  pecking

order theory parte da una prospettiva del tutto diversa. Secondo tale visione esiste

un ‘criterio gerarchico’ nella definizione della forma di finanziamento preferita

dagli imprenditori. Essi preferirebbero ricorrere in primis all’autofinanziamento, e

solo quando esso non è disponibile al debito, e quindi come ultima scelta emettere

titoli azionari. L’idea è quindi che le imprese tendono a fuggire il mercato del

capitale, a volte rinunciando persino a sfruttare opportunità di crescita se esse

richiedono il ricorso a finanziamenti dall’esterno. I motivi per cui le scelte

finanziarie delle imprese sono così complesse sarebbero la coesistenza di altri

obiettivi, accanto a quelli della massimizzazione del valore delle attività

dell’impresa, e la non perfetta efficienza dei mercati finanziari.

•  Il punto

Le teorie dell’ordine di scelta si contrappongono alle teorie del trade-off , e

affermano che i managers delle imprese seguono un criterio gerarchico nella scelta

della struttura finanziaria dell’impresa, considerando altri obiettivi accanto alla

massimizzazione del valore delle attività.

4 Si veda il documento annuale ‘  Boards of Governors of the Federal Reserve System, Division of Research and Statistics, Flow of Funds Account ’.5

Si veda la pubblicazione annuale ‘Dati Cumulativi di 1740 Società Italiane’, a cura diMediobanca.

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2. ESISTE UNA STRUTTURA FINANZIARIA OTTIMALE?

34

Potremmo definire ‘efficiente’ un mercato finanziario in cui tutti gli agenti

dispongono delle stesse informazioni, allo stesso costo6. È condivisibile quindi che

nella realtà i mercati finanziari non siano perfettamente efficienti, poiché esistono

investitori che hanno informazioni migliori rispetto ad altri, oppure le possono

ottenere a costo più basso.

In altre parole, se i mercati finanziari non sono perfettamente efficienti possono

esistere asimmetrie informative fra soggetti finanziatori e soggetti finanziati. In tale

situazione, il mercato (e il meccanismo dei prezzi che lo governa) perderebbe le

sue caratteristiche di efficienza allocativa, fenomeno ben evidenziato dalla teoria

dei costi transazionali (Williamson, 1975).

Akerlof (1970), premio Nobel per l’Economia nel 2001, descrive il fallimento del

mercato in maniera efficace ricorrendo al noto modello delle vetture di seconda

mano. Supponiamo che sul mercato delle automobili usate esistano vetture di

buona qualità (il cui valore è V B), e – in numero uguale – vetture di cattiva qualità

(il cui valore è V C). I clienti che intendono acquistare una vettura usata non sono in

grado di capire, guardando una macchina, se essa è di buona qualità o no. I

venditori non possono comunicare credibilmente la qualità della vetture al cliente,

perché tutti ovviamente sarebbero incentivati a dichiarare al cliente che la vettura è

di buona qualità, per massimizzare le vendite. Gli acquirenti scontano questo

effetto – ovvero il fatto di rimanere potenzialmente ‘imbrogliati’ dal venditore – e

quindi attribuiscono alle vetture un valore medio pari a2

B C V V  +. Questo

rappresenta anche il prezzo che gli automobilisti sono disposti a versare per

acquistare la vettura. È chiaro che se questo fosse il prezzo di mercato, i

concessionari per massimizzare i profitti non metterebbero mai sul mercato le

vetture di buona qualità, ma solo quelle di cattiva qualità. Questa informazione è

facilmente comprensibile dai clienti, i quali penseranno di trovare solo auto di

cattiva qualità, e in effetti nel lungo periodo esse rimarranno le sole sul mercato, al

prezzo V C.

6

Per una trattazione più approfondita del tema dell’efficienza dei mercati si rimanda alsuccessivo Capitolo 4.

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2. ESISTE UNA STRUTTURA FINANZIARIA OTTIMALE?

35

Le vetture di buona qualità, le migliori quindi, non avranno più mercato. Tornando

alle imprese, l’esistenza di asimmetrie informative e l’incapacità di comunicare

credibilmente le informazioni finanziarie può portare al fallimento del mercato nel

finanziarie le imprese più efficienti (adverse selection). Le imprese di buona

qualità non potranno infatti comunicare credibilmente il loro status agli investitori,

e saranno quindi sottovalutate. Esse non troveranno conveniente ricorrere a

finanziamenti esterni per non cedere titoli ad un valore più basso rispetto al ‘vero’

valore ed essere scambiate per imprese ‘sopravvalutate’7. Esse preferiranno

ricorrere all’autofinanziamento, e solo se costrette al mercato.

2.4 Il valore del controllo e l’estrazione di benefici privati

Il problema fondamentale sollevato nel paragrafo precedente è capire come l’impresa

può ridurre le asimmetrie informative rispetto al mercato per poter raccogliere

capitale da nuove fonti esterne (outside finance) invece che ricorrere

all’autofinanziamento o ai finanziatori già esistenti (inside finance). Allo stesso

tempo, però, occorre garantire i finanziatori che il capitale concesso all’impresa non

venga utilizzato per fini altri rispetto alla massimizzazione del valore delle attività.

Abbiamo già mostrato che in determinate occasioni gli interessi di azionisti e

creditori possono divergere, generando costi di agenzia del debito.

Un altro problema, che può riguardare anche il finanziamento con equity, è relativo

al fatto che gli azionisti controllanti potrebbero essere spinti ad estrarre una parte

delle risorse dell’impresa sotto forma di benefici privati (consumption on the job) a

danno del valore dell’impresa. Potrebbero essere esempi di benefici privati

l’assunzione di più segretarie rispetto a quanto sarebbe efficiente, e magari non fra

le più qualificate ma seguendo altri criteri più estetici, piuttosto che i  fringe benefits 

concessi ai managers (auto aziendali, viaggi, ma anche sparizioni di beni8, …).

7 La stessa conclusione è derivata nel modello di Myers & Majluf, presentato nel successivoCapitolo 4, Paragrafo 4.4.3.3.8 Una ricerca della società Jack L. Hayes International fatta su oltre 10.000 magazzini

americani stima che nel 2000 dipendenti e managers hanno sottratto merci per un valore dicirca 56 mln. $, su un fatturato totale di 355 mld. $.

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2. ESISTE UNA STRUTTURA FINANZIARIA OTTIMALE?

36

In generale, definiamo i benefici privati come l’utilizzo, a scopi personali, delle

risorse aziendali in maniera non ottimale, tale cioè da non eguagliare il ricavo

marginale associato al loro consumo con il loro costo marginale.

Il pericolo che gli insiders possa tenere comportamenti devianti (moral hazard )

rispetto alla massimizzazione del valore contribuisce ulteriormente a diminuire

l’efficienza dei mercati e a generare altri ‘costi di agenzia’ (relativi ad esempio

all’attività di monitoring sulle decisioni dei managers, o alla raccolta di

informazioni sugli investimenti effettuati).

Jensen e Meckling (1976) considerano un modello nel quale un imprenditore estrae

benefici privati dall’impresa, ed intende cedere una quota del capitale ad azionisti

esterni di minoranza, incrementando però in tal modo il proprio incentivo a

comportamenti devianti rispetto alla massimizzazione del valore.

Nel loro modello, l’imprenditore-azionista unico è caratterizzato da una funzione di

utilità U (V , B) crescente sia rispetto al valore V  delle attività dell’impresa sia

rispetto ai benefici privati estratti B. Inoltre, si ipotizza che il consumo di benefici

privati abbia un effetto negativo sul valore dell’impresa, per cui vale la relazione:

V = V  – B

dove V  rappresenta il valore dell’impresa nel caso in cui non vengano estratti

benefici privati.

Anche nel caso in cui l’imprenditore sia l’unico azionista, egli non massimizzerà ilvalore V , ma la propria funzione di utilità U (V , B) e quindi estrarrà una certa

frazione di benefici privati  B*, e V 

* sarà il valore ‘pubblico’ dell’impresa. Nella

Figura 2.8 questa situazione è descritta dal punto di tangenza della curva di iso-

utilità con la retta di bilancio del valore dell’impresa (che rappresenta il vincolo sul

massimo valore di portafoglio rispetto ai benefici privati estratti).

Nel momento in cui i finanziatori esterni si apprestano ad acquistare una frazione

minoritaria α del capitale, essi scontano il fatto che l’imprenditore sarà incentivato

ad estrarre maggiori benefici privati, a discapito del valore dell’impresa. Infatti,

l’imprenditore continua a controllare l’allocazione delle risorse aziendali anche se

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2. ESISTE UNA STRUTTURA FINANZIARIA OTTIMALE?

37

non possiede più il 100% del capitale, e a godere in via esclusiva dei benefici

privati. D’altro canto per ogni unità monetaria di risorse estratta il costo di tale

comportamento ricade per una frazione α sugli azionisti outsider , e solo per una

frazione (1–α

) sull’imprenditore stesso. In precedenza, il costo era sopportatointeramente dall’imprenditore.

Figura 2.8 – Il modello di Jensen e Meckling: situazione iniziale.

Il soggetto controllante si ‘muove’ dunque su una nuova retta di bilancio personale

più inclinata rispetto alla retta di bilancio del valore dell’impresa, e massimizza la

propria utilità modificando il mix fra valore d’impresa e benefici privati, a favore

di questi ultimi e a detrimento del valore dell’impresa V . In realtà se i nuovi

azionisti di minoranza conoscono la funzione di utilità del manager-azionista

controllante, prevederanno la maggiore estrazione di benefici privati, e non

saranno disposti a cedere le loro azioni al valore corrente di mercato V *.

Jensen e Meckling dimostrano invece che il nuovo equilibrio si pone in (  BV  ˆ,ˆ ),

dove la curva di utilità U ˆ è tangente alla retta di bilancio dell’azionista

controllante (con pendenza –α) e passa per la retta di bilancio del valore

dell’impresa (si veda la Figura 2.9). Come detto, gli azionisti di minoranza

 B

U (V , B)

V   

V * 

 B* 

V  – B 

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2. ESISTE UNA STRUTTURA FINANZIARIA OTTIMALE?

38

prevedono la reazione dell’imprenditore, e quindi saranno disposti a pagare αV ̂  

per il capitale acquistato.

Si può verificare che, nonostante l’utilità dell’azionista controllante U ˆ  sia inferiore

rispetto all’utilità iniziale U , la sua ‘ricchezza’ non varia. Prima della cessione diparte del capitale, la sua ricchezza totale era data dalla somma di V * e  B*, cioè il

valore totale V  dell’impresa (ovvio, visto che era l’unico proprietario).

Dopo l’ingresso degli azionisti di minoranza, il suo valore di portafoglio sarà la

somma di  B̂   (i benefici privati che estrae in via esclusiva)  e di (1–α)⋅V ̂  (la

frazione del valore dell’impresa di sua proprietà) più la liquidità α⋅V ̂ricevuta in

cambio della vendita dei titoli. Il totale è sempre V  . L’efficienza del sistema

economico è però diminuita, dal momento che il valore dell’impresa è inferiore a

prima a causa del maggiore consumo non efficiente delle risorse.

Figura 2.9 – Il modello di Jensen e Meckling: situazione finale.

L’estrazione di benefici privati è in definitiva un altro esempio di ‘costi di agenzia’

simili a quelli analizzati nel precedente Paragrafo 2.2.2, questa volta generati dal

finanziamento con capitale di rischio.

U ˆ  

V   

V * 

V ̂  

 B*   B̂ B 

tg = – (1–α)

U  

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2. ESISTE UNA STRUTTURA FINANZIARIA OTTIMALE?

39

•  Il punto

L’estrazione di benefici privati, o più in generale il consumo di risorse dell’impresa

per fini diversi dalla massimizzazione del valore delle attività, può condizionare la

relazione di finanziamento, a discapito dell’efficienza economica. Tale fenomenodiscende dalla relazione di agenzia che si stabilisce fra finanziatore e finanziato,

già analizzata per la raccolta di capitale di debito, e ora anche per la raccolta di

capitale azionario.

Correlata all’estrazione dei benefici privati è la nozione di ‘valore del controllo’.

C’è accordo nella teoria finanziaria sull’evidenza che accanto al valore

‘patrimoniale-reddituale’ di un’impresa, legato alla generazione di flussi di cassa,

sia individuabile un ‘valore del controllo’ correlato allo status di azionista

controllante. Contrariamente al valore ‘patrimoniale-reddituale’ che compete pro-quota a tutti gli azionisti, il ‘valore del controllo’ compete solo all’azionista

controllante, e deriva dai benefici privati che esso attribuisce al suo status (non solo

al consumo di risorse dell’impresa, come Jensen e Meckling ipotizzano, ma anche

prestigio e auto-realizzazione, che non necessariamente impattano negativamente

sul valore dell’impresa).

Indizi dell’esistenza di un ‘valore del controllo’ rispetto al semplice valore

‘patrimoniale-reddituale’ dell’impresa sono la differenza che spesso si riscontra fra

il valore di mercato delle azioni ordinarie, rispetto alle azioni di risparmio (che

escludono il diritto di voto in assemblea). In molti casi, anche sul mercatoazionario italiano, si riscontra uno ‘sconto’ delle azioni di risparmio rispetto a

quelle ordinarie vicino al 50%. Tale evidenza contrasta con il fatto che, come

spiegato nel Capitolo 4, Paragrafo 4.1, le azioni di risparmio danno diritto a un

dividendo strettamente maggiore rispetto a quello delle azioni ordinarie.

Un secondo indizio è il ‘premio di prezzo’ legato alla vendita di pacchetti

consistenti di azioni rispetto al prezzo corrente di mercato, che hanno quindi un

‘peso’ elevato nella determinazione degli assetti di controllo dell’impresa.

In definitiva, se l’impresa desidera raccogliere capitale da fonti esterne, i suoi

managers devono scontare fenomeni di asimmetria informativa e il sospetto che

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2. ESISTE UNA STRUTTURA FINANZIARIA OTTIMALE?

40

essi possano non agire nell’interesse dei finanziatori. È necessario capire come gli

obiettivi di queste due categorie di soggetti possano allinearsi sufficientemente.

2.5 La separazione fra proprietà e controllo

Negli esempi considerati nei paragrafi precedenti, abbiamo sempre assunto che i

soggetti controllanti dell’impresa (quelli che quindi decidono quali investimenti

effettuare) siano anche gli azionisti di maggioranza, e quindi i principali proprietari

del capitale.

Spesso però gli azionisti non sono in grado di dirigere le attività dell’impresa, e

quindi di controllarne le politiche di investimento e di finanziamento. Innanzitutto

la proprietà dell’impresa può essere estremamente frazionata, il che indebolisce il

controllo da parte degli azionisti a favore dell’autonomia dei managers. In secondo

luogo, i proprietari possono non avere né le competenze né il tempo necessario per

amministrare l’impresa, e quindi delegano il controllo ai managers, che agiscono

da ‘agenti’. Se l’operato dei managers potesse essere perfettamente osservabile e

verificabile, non vi sarebbero disallineamenti di incentivi fra le due categorie di

soggetti. Sarebbe infatti possibile specificare in un contratto come il manager  

dovrebbe agire nell’interesse degli azionisti. Nella realtà però possono esistere

asimmetrie informative fra managers e azionisti (hidden information), le azioni dei

managers non sono perfettamente osservabili e verificabili (hidden action), e

possono essere orientate a comportamenti opportunistici, volti a massimizzare la

funzione di utilità personale piuttosto che massimizzare il valore dell’impresa.

Lo stesso problema esiste fra azionisti di maggioranza e azionisti di minoranza. I

primi detengono il controllo dell’impresa, possedendo la maggioranza dei diritti di

voto in assemblea. I secondi sono estromessi dal controllo, rappresentando la

minoranza dei diritti di voto. Può però accadere che gli azionisti che controllano

l’impresa non detengano la maggioranza del capitale azionario. In altre parole, può

accadere che gli azionisti controllanti possiedano meno del 50% del capitale. Se la

proprietà del capitale è molto diffusa, il controllo dell’assemblea degli azionisti può

essere raggiunto anche con percentuali molto più basse.

Uno degli strumenti attraverso i quali è possibile separare la proprietà dal controllo

è il ricorso al gruppo di imprese, tecnica che verrà meglio approfondita nel

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2. ESISTE UNA STRUTTURA FINANZIARIA OTTIMALE?

41

Capitolo 6. Un altro metodo è l’emissione di azioni con diritto di voto limitato (in

Italia ad esempio le azioni di risparmio e le azioni privilegiate).

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42

3.  LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO

In questo capitolo affrontiamo il tema della raccolta di capitale di debito, e inparticolare delle tecniche di emissione e di valutazione del debito.

Definiamo come raccolta di capitale di debito un’operazione di finanziamento

nella quale l’impresa si impegna a rimborsare il capitale e a remunerarlo a

condizioni contrattualmente note. Il finanziamento può avvenire nella maggior

parte dei casi o sul mercato mobiliare attraverso l’emissione di obbligazioni o sul

mercato creditizio attraverso il debito bancario.

3.1. Tassi di interesse e attualizzazione dei flussi di cassa

L’emissione di debito viene remunerata attraverso il riconoscimento di un tasso diinteresse sul capitale. Esso è determinato dal prezzo di equilibrio tra domanda e

offerta di capitale a una certa scadenza. La domanda di capitale da parte delle

imprese dipende essenzialmente dalla presenza di opportunità di investimento

mentre l'offerta di capitale dalle preferenze intertemporali dei consumatori. È

chiaro però che non tutte le imprese attraverso i loro titoli sono in grado di

promettere le stesse garanzie di rimborso e remunerazione del capitale alle stesse

scadenze temporali.

Quindi, per confrontare e valutare contratti e titoli finanziari che prevedono una

stringa di flussi monetari relativi a imprese diverse e istanti di tempo differenti ènecessaria una relazione di ‘equivalenza’.

Ipotizziamo in prima istanza di voler confrontare stringhe di  payoff caratterizzati

dallo stesso grado di rischio. In sostanza abbiamo bisogno di una relazione che

generi indifferenza fra ricevere oggi un flusso C0 piuttosto che un flusso Ct  relativo

ad un successivo istante t . Tale relazione, come evidenziato nel volume ‘Gestire le

Risorse dell’Impresa’ nel Capitolo 4, è l’attualizzazione dei flussi di cassa stessi

(tecnica DCF, discounted cash flow), che consente di calcolare il valore di

pagamenti futuri ‘equivalente’ alla data attuale. L’attualizzazione consiste nel

dividere il flusso di cassa futuro per un fattore (1 + r t )t , e quindi per una quantità

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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO

43

maggiore di uno (essendo r t  > 0), il che implica che il valore attuale VA di un

flusso di cassa è sempre inferiore rispetto al flusso stesso:

( ) t t 

t t r 

C C )1(VA

+=  

dove r t rappresenta il tasso di interesse di mercato relativo alla scadenza t .

Una delle proprietà della tecnica DCF è l’additività. Ciò vuol dire che il valore

attuale di una stringa di flussi di cassa distribuiti nel tempo (C t 1, C t 2, C t 3, C t4) è la

somma del valore attuale dei flussi di cassa stessi:

VA(C t 1, C t 2, C t 3, C t4) =44

4

33

3

22

2

11

1

)1()1()1()1( t t 

t t 

t t 

t t 

+

+

+

+

+

+

+

 

o più in generale:

VA(C t 1, C t 2, …, C T ) = ∑= +

t ii

i

i

1 )1( 

Si noti che r  dipende dal tempo in quanto rappresenta un tasso di crescita del

capitale investito e quindi va riferito ad un determinato arco temporale a partire daoggi. Convenzionalmente il tasso è misurato su base annuale, con t  espresso in

anni (o frazione di anni).

•  Il punto

Il tasso di interesse di mercato rappresenta il tasso di rendimento del capitale ad

una specifica scadenza temporale futura, e permette di determinare il valore attuale

equivalente di flussi monetari variamente distribuiti nel tempo.

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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO

44

Così come è possibile attualizzare flussi finanziari relativi a istanti di tempo

diversi, allo stesso modo è possibile capitalizzare gli stessi flussi ad un identico

istante futuro T , in maniera da ottenere il montante M T . In altre parole, il montante

 M T  rappresenta il capitale disponibile all’istante T nel caso in cui i flussi monetarivengano accreditati su un fondo, e maturino interessi nel tempo. Questa volta sarà

necessario non dividere, ma moltiplicare i flussi di cassa per il fattore )1( ,T ir + ,

dove T ir , rappresenta il tasso di interesse alla scadenza T relativo all’istante i.

 M T (C t 1, C t 2, …, C T ) = iT 

T i

t i

i r C −

=

+∑ )1( ,1

 

•  EsempioSi determini il valore attuale VA e il montante  M a tre anni per la seguente serie di

pagamenti:

C 1 = 200€ C 2 = 120€ C 3 = 80€

sapendo che i tassi di interesse alle diverse scadenze sono:

r 1 = 4% r 2 = 5% r 3 = 5,5%

Applicando le formule si ottiene:

VA =32 5,5%)(1

80

5%)(1

120

4%)(1

200

++

++

+= 192,31 + 108,84 + 68,13

VA = 369,28€Per quanto riguarda il montante, occorrerebbe conoscere i tassi di interesse che

alla scadenza T = 3 ci saranno al tempo t = 1 e al tempo t = 2. Si può ovviare a

questo problema capitalizzando direttamente il valore attuale VA con il tasso r 3:

 M 3 = VA (1 + r 3)3 = 433,62€

3.1.1 Formule pratiche di matematica finanziaria

Esistono alcune formule di matematica finanziaria, che agevolano enormemente il

calcolo del valore attuale di una serie di flussi di cassa.

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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO

45

Consideriamo il pagamento di una somma fissa annuale C a partire dall’anno 1 per

tutta l’eternità ( perpetuity). Il suo valore, sfruttando le proprietà della serie

geometrica1, converge a:

VA = ...)1()1()1( 32

++

++

++ r 

C = C  ·∑

= +1 )1(

1

t t 

r =

C  

Dalla formula della  perpetuity si può ricavare il valore di un contratto che

garantisce il pagamento di una somma fissa C ma solo fino all’anno T (annuity).

Tale rendita ‘troncata’ può essere vista come la somma di due rendite perpetue:

una che parte al tempo 1 e paga un flusso pari a C , l’altra che parte al tempo T +1 e

che paga un flusso pari a –C . Dalla formula precedente siamo in grado di calcolare il

valore attuale delle due rendite perpetue, a meno di attualizzare la seconda di T anni:

VA =T 

)1(...

)1()1()1( 32+

+++

++

++

= C ⋅ ∑= +

t t 

r 1 )1(

VA =T r r 

)1(1+

⋅− =  

  

 

+−⋅

T r r 

)1(

11  

Si noti che se T tende all’infinito il valore dell’annuity tende a una perpetuity.

Ora, consideriamo un contratto ( perpetuity con tasso di crescita g) che garantisce ilpagamento di una somma C 1 a partire dall’anno t = 1, che cresce nel tempo al tasso

g con C t +1 = C t (1 + g): anche in questo caso ricordiamoci delle formule legate alla

convergenza della serie geometrica.

VA =( ) ( )

.....)1(

1

)1(

1

)1( 3

21

211

++

+⋅+

+

+⋅+

+ r 

gC 

gC 

C = ∑

=

 

  

 

+

+⋅

+ 1

1

1

1

)1( t 

g

g

C  

1 Ricordare che ∑

= −→

0 11

qq , e quindi q

qq

qt 

−=−

−→∑

= 111 11

.

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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO

46

VA =gr 

1 (con r > g)

Se nel caso precedente i flussi di cassa si interrompono al tempo T (annuity contasso di crescita g), si ottiene:

VA =( ) ( )

.....)1(

1

)1(

1

)1( 3

21

211

++

+⋅+

+

+⋅+

+ r 

gC 

gC 

C +

( )T 

gC 

)1(

1 1-1

+

+⋅= ∑

=

 

  

 

+

+⋅

+

g

g

1

1

11

)1( 

VA =  

  

 

+

+−⋅

−T 

g

gr 

)1()1(

11  

Infine una regola mnemonica di calcolo finanziario è la ‘regola del 72’. Essa

afferma che (con buona approssimazione) il numero di anni necessari per

raddoppiare il valore di una somma di denaro investita al tasso r % è pari a 72 / r. 

•  Esempio

Considerando un tasso di interesse di mercato r pari al 5%, calcoliamo il valore

oggi VA di una rendita perpetua, in cui dall’anno 1 riceviamo una somma C pari a

1.000€:

VA =r 

C =

05,0

000.1= 20.000€

Se la rendita dura ‘solo’ 25 anni il suo valore oggi è:

VA =  

  

 

+−⋅

T r r 

)1(

11 =

 

  

 −⋅ 25)05,1(

11

05,0

000.1= 14.093,94€

Se la rendita perpetua crescesse ad un tasso annuale g pari all’1%, saremmo

disposti a pagare oggi, pur di assicurarci la rendita:

VA =gr 

1 =01,005,0

000.1

−= 25.000€

Limitando quest’ultima rendita a 20 anni, otteniamo:

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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO

47

VA =  

  

 

+

+−⋅

−T 

g

gr 

)1()1(

11 =  

  

 −⋅

−20

20

)05,1()01,1(

101,005,0

000.1= 13.503,08€

Infine chiediamoci depositando 1.000€ oggi su un conto che offre una

remunerazione annua pari al 5%, in quanti anni possiamo sperare di raddoppiare ilcapitale.

Applicando la ‘regola del 72’ si ottiene: 72 / 5 = 14,4 anni

Ed infatti il montante M rispettivamente dopo 14 e 15 anni sarà:

 M 14 = 1.000 € · (1,05)14 = 1.979,93€

 M 14 = 1.000 € · (1,05)15 = 2.078,93€

3.1.2 Tasso di interesse reale e tasso di interesse nominale

Finora abbiamo considerato, pur non avendolo specificato, tassi di interesse

nominali, riferiti cioè a grandezze monetarie. Ciononostante, accanto ai tassi di

interesse nominali sono considerati anche i tassi di interesse riferiti a grandezze

reali. Tra tassi di interesse reali e nominali esiste la relazione di Fisher (1965):

( ) ( ) ( ) pr  &+⋅+=+ 111 ρ   

dove:

r : tasso di interesse nominale;

 ρ  : tasso di interesse reale;0 p : livello dei prezzi al tempo 0 (si fa riferimento ad un paniere rappresentativo di

merci);

1 p : livello dei prezzi al tempo 1;

 p& : saggio di inflazione, incremento percentuale dei prezzi (0

01

 p

 p p p

−=& ).

Per dimostrare questa relazione si supponga di voler investire al tasso r una certa

somma C che al periodo t = 0 permette di acquistare una quantità reale di beni pari

a C  /  p0. Al periodo t  = 1 (a distanza di un anno) di conseguenza sarà possibile

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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO

48

capitalizzare il montante e acquistare una quantità di beni pari a C  ⋅ (1 + r ) /  p1 e

quindi il tasso di interesse reale  ρ sarà:

( )

0

01

1

 p

 pC 

 pr C  −+⋅

= ρ   

La stessa uguaglianza, rielaborata, genera la relazione di Fisher. In particolare se il

tasso di interesse reale e il tasso di inflazione sono molto piccoli vale

l’approssimazione:

 pr &+≅ ρ   

In pratica, i tassi di interesse nominali vanno adottati per ‘scontare’ e capitalizzare

flussi di cassa espressi in termini nominali (quindi monetari, come ipotizzato nel

resto del libro), ma a flussi di reddito espressi in termini reali dovranno essere

applicati i tassi di interesse reali.

3.1.3 Regime di capitalizzazione dei tassi di interesse e tassi equivalenti

I tassi di interesse si differenziano non solo per la loro diversa scadenza t , ma

anche per il regime di capitalizzazione, ovvero la modalità di liquidazione degli

interessi. A questo proposito si consideri il seguente esempio, sintetizzato in

Figura 3.1.

Si supponga di considerare le condizioni contrattuali offerte da due istituti bancari

diversi, per l’apertura di un conto corrente:

1)  la Banca A offre queste condizioni: tasso attivo r  del 4% con liquidazione

degli interessi annuali;

2)  la Banca B offre lo stesso tasso ma con liquidazione degli interessi

semestrale.

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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO

49

Si ipotizzi di depositare 100€ in due conti aperti presso le due banche. Nel primo

caso dopo un anno sarà possibile liquidare il conto ritirando 104€. Nel secondo

caso invece sarà possibile ritirare già dopo 6 mesi la frazione degli interessi

relativa al primo semestre, e cioè 2€ (la metà degli interessi pari al 4%) mentre afine anno saranno liquidati sul conto anche gli interessi relativi al secondo

semestre (altri 2€), più il capitale iniziale.

Figura 3.1 – Confronto fra le condizioni dei depositi bancari A e B.

Banca A Banca B

Calcoliamo i rendimenti effettivi r A e r B offerti dalle due banche. Essi devono

soddisfare le seguenti relazioni:

100€ =)1(

104Ar +

  € da cuir A = 4%

100€ =0,5)(1

2

 Br + € +

)(1

102

 Br +  € da cuir B = 4,04%

La seconda banca offre dunque condizioni migliori. Infatti, il tasso di rendimento

annuale del 4% con interessi composti ogni 6 mesi corrisponde ad un rendimento

implicito del 4,04%. In altre parole, per essere indifferenti fra le proposte delle due

banche dovremmo chiedere alla prima banca (quella che liquida gli interessi

annualmente) di offrirci un tasso del 4,04%, e non del 4%.

t =0 t =1

100€

104€

t =0 t =1/2 t =1

100€

102€

2€

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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO

50

Allo stesso risultato potremmo arrivare ipotizzando, nel caso del conto aperto

presso la banca B, di non incassare gli interessi pagati dopo 6 mesi, ma di lasciarli

sul conto, e ritirare il montante alla scadenza successiva. In tal caso, gli interessi

maturati dopo 6 mesi (2€) genereranno a loro volta interessi, pari a 0,04€, ovvero il4% di 2€, diviso 2 in quanto rimangono sul conto solo per altri 6 mesi (si veda la

Figura 3.2). A fine anno incasseremo il capitale e gli interessi totali (comprensivi

degli interessi sugli interessi).

Figura 3.2 – Il montante generato dalle condizioni della banca B.

Banca B

Seguendo questa strategia, il rendimento effettivo r B sarà pari a:

100€ =)(1

104,04 Br +

  € da cui ancorar B = 4,04%

La lezione è che non si possono confrontare direttamente tassi relativi alla stessa

scadenza i cui interessi, però, vengono composti in istanti diversi. Inoltre, da

quest’ultimo esempio si vede chiaramente che il metodo dell’attualizzazione dei

flussi di cassa ipotizza implicitamente il reinvestimento dei flussi di cassa

intermedi alle stesse condizioni contrattuali di remunerazione, altrimenti non

avrebbe alcun valore percepire un flusso finanziario prima della scadenza. È

t =0 t =1/2 t =1

100€

102€ + 2€ + 0,04€ = 104,04€

2€

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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO

51

necessario quindi individuare un tasso di rendimento ‘equivalente’ che renda

confrontabili i diversi regimi di capitalizzazione.

In particolare, per tassi di interesse r  composti semestralmente (in cui cioè gli

interessi vengono pagati ogni sei mesi), si può ottenere il corrispondente tasso direndimento effettivo r eff dalla formula seguente:

( )2

211

 

  

 +=+

r r eff    ⇒ 1

21 −

 

  

 +=

2

eff 

r r   

Più in generale, per tassi di interesse composti m volte all’anno (ad esempio, se gli

interessi vengono pagati ogni quadrimestre, m = 3) deve verificarsi:

m

eff m

r r 

 

  

 +=+ 1)1( ⇒ 11 −

 

  

 +=

m

eff m

r r   

Ad esempio, il tasso effettivo richiesto da un prestito remunerato al 9% annuo, con

pagamento degli interessi ogni trimestre, sarà pari a 9,308%:

9,308%14

0,091

4

=− 

  

 +=eff r   

Per m che tende all'infinito possiamo arrivare a definire un tasso di interesse r ~  

composto nel continuo, e dalle proprietà delle serie si dimostra che vale la

seguente relazione:

∞→mlimm

m

r  

  

 +

~1 = r 

e~

  ⇒ 1~−=

r eff  er   

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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO

52

Per capitalizzare di un anno, dunque, un flusso di cassa con un tasso composto nel

continuo, occorrerà moltiplicarlo per r e

~. Al contrario, per attualizzare un flusso di

cassa con lo stesso tasso, occorrerà moltiplicare per r e

~− . In generale:

( ) T r 

T  eC C ~

00M ⋅=   ( ) t r 

t t  eC C ~

VA −⋅=  

La Figura 3.3 chiarisce le modalità di capitalizzazione di una somma di denaro nel

tempo, con tassi composti in istanti di tempo discreti e invece nel continuo.

Figura 3.3 – Capitalizzazione di una somma di denaro C nel tempo, con tassi composti m

volte all’anno (a) e nel continuo (b).

(a) (b)

•  Il punto

Non si possono confrontare direttamente tassi di interesse con diverso regime di

capitalizzazione, anche se relativi alla stessa scadenza. In particolare, il pagamento

anticipato degli interessi equivale ad un incremento del tasso di rendimento

effettivo del capitale grazie alla possibilità di reinvestimento.

La necessità di definire un ‘rendimento equivalente’ per confrontare diversi

finanziamenti con diverso regime di composizione degli interessi ha spinto la

Commissione Europea a rendere obbligatoria (così come impone la Legge

 Montante 

t  

 Montante 

t  

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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO

53

154/1992) la pubblicazione del TAEG (‘tasso annuo effettivo globale’), in

contrapposizione al TAN (tasso annuo nominale) ogni qualvolta venga proposto un

finanziamento.

Il TAN corrisponde al tasso di interesse semplice, mentre il TAEG è un tasso effettivoche tiene conto non solo della composizione degli interessi, ma anche delle spese

accessorie (ad esempio diritti e spese di apertura pratica) che gravano sul consumatore.

•  Esempio

Un giovane studente intende acquistare un motorino per muoversi velocemente nel

traffico di Milano.

Il ciclomotore può essere acquistato beneficiando di un finanziamento su cinque

anni di 2.500€, che possono essere restituiti con comode rate trimestrali costanti (il

contratto prevede un tasso annuo nominale TAN pari al 5,00%). Le speseaccessorie per avviare la pratica sono pari a 20€.

Se non ci fossero spese accessorie, il finanziamento (in base alle formule

precedenti) comporterebbe un onere effettivo r eff pari a:

14

TAN1

4

− 

  

 +=eff r  = 5,0945%

La rata trimestrale  Rt  comprenderà una quota-parte relativa al pagamento degli

interessi, e una quota-parte relativa alla restituzione del finanziamento: essa dovrà

soddisfare:

2.500€ = ∑= +

5

1/4step4 / 1 )(1t t 

eff r 

 R   R = 142,051€

In pratica, il valore del finanziamento erogato deve essere uguale alla sommatoria

dei flussi di pagamento trimestrali successivi attualizzati al tasso di rendimento

effettivo.

Per calcolare il TAEG è sufficiente individuare il tasso che soddisfa la seguente

relazione:

2.500€ – 20€ = ∑= +

5

1/4step4 / 1 TAEG)(1t t 

 R

 

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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO

54

In pratica, il finanziamento al netto delle spese accessorie deve essere uguale al

valore attuale delle rate corrisposte in ogni trimestre, attualizzato dal costo netto

effettivo globale del capitale.

Facendo i conti si ottiene:TAEG = 5,429%

Si noti che il TAEG è più elevato nel TAN, per l’effetto sia della composizione

anticipata degli interessi, sia delle spese accessorie.

3.1.4 Tassi di interesse e rischio

Fino ad ora è stata fatta l’ipotesi di certezza sui flussi di cassa futuri. Il tasso di

interesse r in tali casi è chiamato tasso di interesse in assenza di rischio (r  f , o tasso

risk free di mercato), o costo del capitale privo di rischio. In realtà il tasso di

interesse che viene utilizzato per attualizzare i flussi di cassa dipende anche dalrischio connesso a tali flussi di cassa. Nel caso di un prestito, ad esempio, i flussi

di cassa previsti contrattualmente sono in realtà dei ‘flussi promessi’: di

conseguenza se il debitore non è in grado di soddisfare le promesse fornite, il

creditore non viene remunerato per quanto dovuto. Addirittura, la restituzione

stessa del capitale è messa in discussione. In questi casi il tasso r  che viene

utilizzato per scontare flussi di cassa incerti deve tenere conto di un premio per il

rischio addizionale:

r = r  f + ∆r 

dove:

r  f  = tasso risk free di mercato;

∆r = correzione legata al rischio (o ‘premio per il rischio’, risk premium).

L’entità del premio per il rischio dipende dall’attendibilità degli impegni presi

dall'emittente e quindi dalla percezione della sua solvibilità futura. Nel Capitolo 4

verrà dedicato molto spazio a determinare quale debba essere in equilibrio sul

mercato questo ‘premio’.

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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO

55

3.1.5 La struttura per scadenza dei tassi di interesse

È importante notare come i tassi di interesse per le diverse scadenze non siano

necessariamente uguali; per questo motivo si introduce il concetto di struttura per

scadenza. Essa rappresenta nell’istante attuale l’insieme dei tassi di interesse diequilibrio per ogni possibile scadenza futura, riferiti per convenzione a

investimenti privi di rischio (‘risk free’) a partire dalla scadenza di investimento

più breve, quella dei prestiti interbancari overnight . La curva della struttura per

scadenza può variare nel tempo, e quindi in generale la struttura che osserviamo

oggi è diversa da quella osservata fra un anno piuttosto che fra un mese.

Figura 3.4 – Esempio di struttura per scadenza dei tassi di interesse (in scala logaritmica).

Molto spesso per semplicità si adotta un unico tasso di sconto per tutte le

scadenze. In tal caso la struttura per scadenza dei tassi si definisce ‘piatta’. Se

invece i tassi di sconto sono crescenti alle diverse scadenze, la struttura è definita

‘crescente’, mentre in caso opposto è definita ‘decrescente’ nel tempo.

Ma perché esiste una struttura per scadenza dei tassi di interesse e in particolare

perché ha una certa forma? Una spiegazione è fornita dalla ‘teoria delle

aspettative’ (Lutz e Lutz, 1951). Secondo questa teoria la struttura per scadenza

dei tassi in un certo momento è crescente, se per investimenti effettuati in una data

r t  

O/N 1m 3m 1Y 2Y 5Y 10Y 20Y 30Y

(overnight )

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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO

56

futura si attendono tassi di interesse a breve termine superiori a quelli evidenziati

in quel momento dalla struttura per scadenza. Viceversa se la struttura per

scadenza in un certo momento è decrescente, per investimenti effettuati in una data

futura si attendono tassi di interesse a breve inferiori ai tassi di interesse a breveevidenziati in quel momento dalla struttura per scadenza.

Una spiegazione alternativa è avanzata dalla ‘teoria della preferenza per la

liquidità’ (Hicks, 1946), secondo cui nella struttura per scadenza è implicito un

premio per gli investimenti di lunga durata. Il premio può essere dovuto, ad

esempio, al fatto che decidendo investimenti di lunga durata si è soggetti ad un

rischio inflazionistico.

La struttura per scadenza è un costante punto di riferimento per gli investitori, gli

emittenti e gli intermediari finanziari sia nel segmento primario sia in quello

secondario. Il rendimento offerto da emissioni di titoli sul segmento primario deveessere in linea con il rendimento offerto in quel momento sul mercato, che è

rappresentato dalla struttura per scadenza. Anche nel segmento secondario, i prezzi

dipendono fortemente dalla struttura per scadenza dei tassi di interesse che riflette

le aspettative degli investitori sui rendimenti futuri del mercato finanziario.

Una terza spiegazione è offerta dalla ‘teoria della segmentazione del mercato’,

secondo cui il mercato dei titoli a rendimento privo di rischio è segmentato in due

gruppi: gli investitori che scelgono titoli a breve scadenza e quelli che scelgono

titoli a lunga scadenza. In tale scenario, non deve necessariamente esistere una

relazione fra i tassi di interesse a breve e quelli a lungo termine, ed essi possonomuoversi in modo indipendente.

•  Il punto

Flussi di cassa caratterizzati da diverso grado di rischio sono remunerati con tassi

di interesse diversi, che in genere comprendono un premio per il rischio. L’insieme

dei tassi di interesse privi di rischio a tutte le scadenze rappresenta la ‘struttura per

scadenza’ dei tassi di mercato.

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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO

57

3.1.6 Equilibrio del mercato finanziario e arbitraggio

Chi non conosce i mercati finanziari in genere crede che essi siano solo un

ricettacolo della speculazione. Tutti i modelli classici di valutazione finanziaria,

invece, si basano sull’equilibrio del mercato, che all’opposto teorizzal’impossibilità di individuare investimenti finanziari caratterizzati da valore attuale

netto positivo. In altre parole, il mercato del capitale si dice essere in equilibrio

quando tutti i titoli finanziari sono trattati ad un prezzo P esattamente uguale al

rispettivo valore V . Se così non fosse, tutti vorrebbero acquistare titoli

sottovalutati, il cui valore V è superiore al rispettivo prezzo di mercato P, e tutti

vorrebbero vendere titoli sopravvalutati, il cui valore V  è inferiore al rispettivo

prezzo di mercato P. Si creerebbe una pressione infinita su domanda e offerta, tale

da riportare il livello dei prezzi all’equilibrio. La ricchezza dell’economia non si

misura quindi dai mercati finanziari, ma dagli investimenti e dalla produzione delleimprese e in generale delle attività economiche, che costituiscono la vera fonte di

reddito.

Quando il mercato non è in equilibrio, vuol dire che il prezzo di mercato P di

almeno un titolo finanziario è diverso dal suo valore teorico V . Questa condizione

è necessaria, ma comunque non sempre sufficiente, affinché si possano individuare

strategie di investimento profittevoli a rischio nullo.

La possibilità di creare posizioni speculative sul mercato del capitale, maturando

flussi monetari positivi senza rischio, viene individuata con il termine di

‘arbitraggio’. L’idea è quella di costruire un portafoglio di titoli finanziari, il cuiprezzo P sia inferiore al suo valore V , determinato dai flussi generati alle diverse

scadenze. Il seguente Esempio mostra come conseguire questo obiettivo.

•  Esempio

Sul mercato finanziario è possibile investire (oppure indebitarsi) a scadenza 1 anno

al tasso del 3%, mentre è possibile investire (oppure indebitarsi) a scadenza 2 anni

al tasso annuale del 4%. La struttura per scadenza dei tassi è dunque crescente.

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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO

58

Supponiamo che ci venga offerta anche la possibilità certa di investire fra 12 mesi

la nostra ricchezza alla scadenza di 1 anno al tasso del 4,5%. Dimostreremo che a

queste condizioni il mercato non è in equilibrio.

La Figura 3.5 chiarisce le possibilità di investimento (indebitamento) sul mercato.

Figura 3.5 – Possibilità di investimento o di indebitamento alle diverse scadenze.

Per individuare se esistono opportunità di arbitraggio, consideriamo queste due

strategie alternative:

1)  investire 100€ alla scadenza 2 anni: in questo caso la nostra ricchezza fra due

anni sarà pari a: 100€ · (1,04)2 = 108,16€;

2)  investire 100€ alla scadenza 1 anno, capitalizzare il montante e reinvestirlo

immediatamente per altri 12 mesi al tasso garantito del 4,5%: in questo caso il

montante fra un anno sarà pari a 100€ · (1,03) = 103€ e a scadenza genererà

una ricchezza pari a 103€ · (1,045) = 107,635€.

Se il mercato fosse in equilibrio, non ci dovrebbero essere differenze fra le duestrategie, ma invece abbiamo scoperto che il primo investimento genera una

ricchezza più elevata.

Per costruire il portafoglio di arbitraggio, decideremo quindi di acquistare il

(ovvero investire nel) portafoglio migliore, il primo, e di vendere il (ovvero

indebitarci nel) portafoglio peggiore, il secondo.

Analizziamo tutti i flussi di cassa generati alle diverse scadenze dalla nostra strategia.

Si tratterà quindi di investire sul mercato a scadenza due anni, finanziandosi con

l’indebitamento a 12 mesi. Fra un anno dovremo però rimborsare il debito, e lo

faremo indebitandoci ancora a scadenza 12 mesi al tasso ‘promesso’ del 4,5%.

1 anno 2 anniOggi

3%

4%

4,5%

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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO

59

Posizione Oggi Fra 1 anno Fra 2 anni Investimento a scadenza due anni – 100€ / + 108,16€ Indebitamento a scadenza un anno +100€ – 103€ /  Indebitamento fra un anno a scadenza 12 mesi / + 103€ – 107,635€

Portafoglio totale / / + 0,525€

In definitiva, siamo coperti sia oggi sia alla scadenza 12 mesi, e fra due anni

incasseremo un flusso monetario positivo pari a 0,525€. Scoperta questa possibilità

di arbitraggio, non ci accontenteremo di puntare 100€, ma magari 100 mln.€, tanto

siamo comunque coperti fino alla scadenza, quando incasseremo ben 525.000€.

Evidentemente se tutti realizzassero la possibilità di profitto, si creerebbe una

pressione enorme: tutti vorrebbero investire alla scadenza 2 anni (e quindi il

rendimento alla stessa scadenza tenderebbe a scendere) oppure indebitarsi a 1 anno

(e quindi il tasso di remunerazione del debito tenderebbe a salire) annullando le

possibilità di arbitraggio.

È chiaro che il dis-equilibrio discende dalla possibilità, che ci è stata promessa, di

investire sul mercato fra 12 mesi al tasso del 4,5%. Questo tasso r è troppo basso

rispetto alle aspettative di mercato: per realizzare l’equilibrio esso dovrebbe

soddisfare la relazione:

(1 + 4%)2 = (1 + 3%) ⋅ (1 + r ) ⇒  r = 5,01%

Evidentemente quindi la curva attuale dei tassi di interesse esprime l’aspettativa

che fra un anno si possa investire alla scadenza 12 mesi al tasso del 5,01%. Se tale

aspettativa si dovesse modificare, per evitare situazioni di possibile arbitraggio, i

tassi di mercato odierni si modificheranno per raggiungere un nuovo equilibrio.

Nei mercati finanziari reali, le possibilità di arbitraggio sono limitate da eventuali

costi di commissione legati alla compravendita di titoli, ed al fatto che

difficilmente i tassi passivi di indebitamento siano uguali a quelli attivi di

investimento. Inoltre, se la strategia di arbitraggio lo richiedesse, non è facile

vendere un titolo sopravvalutato senza possederlo (concetto di ‘vendita allo

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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO

60

scoperto’) a meno che la valuta dei relativi contratti non venga regolata in un

tempo differito.

•  Il puntoSe i prezzi dei titoli finanziari sul mercato non rispecchiano i rendimenti del

mercato (a parità di rischio) alle diverse scadenze future, l’economia non è in

equilibrio. È possibile in tale situazione verificare l’esistenza di strategie di

arbitraggio, finalizzate a maturare dei payoff positivi a rischio nullo.

3.2 Titoli obbligazionari

I titoli obbligazionari, o titoli a reddito fisso, sono titoli finanziari emessi sul

mercato mobiliare, stipulati tra un’impresa emittente e un investitore, nei quali si

stabilisce una remunerazione del capitale investito a condizioni contrattualmentenote al momento dell’emissione. Di conseguenza si considerano titoli a reddito

fisso anche quelli per i quali, pur essendo il tasso di interesse variabile, è noto

l’algoritmo con il quale questo tasso di interesse è calcolato (ad esempio fra i

Titoli di Stato i CcT, il cui tasso è indicizzato al rendimento di mercato dei BoT).

I titoli a reddito fisso si contrappongono ai titoli azionari per i quali non esiste, per

definizione, un impegno contrattuale circa la remunerazione, che è invece residuale.

Un’ulteriore distinzione tra titoli azionari e titoli obbligazionari è di carattere

giuridico; infatti, se l’emittente non onora gli impegni assunti con l’emissione di un

titolo di debito, può essere soggetto ad una procedura di carattere fallimentare.

Le caratteristiche principali di un titolo a reddito fisso sono:

1)  l’emittente;

2)  la valuta;

3)  la modalità di remunerazione e di rimborso del capitale investito;

4)  la scadenza.

L’emittente può essere una società privata, un’organizzazione sovranazionale (ad

esempio la BEI, Banca Europea per gli Investimenti), un ente pubblico locale

(Comuni, Regioni) o un ente pubblico nazionale.

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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO

61

La recente riforma del diritto societario in Italia (D.L. 6/03 entrato in vigore il

1/1/2004 noto come ‘Riforma Vietti’) ha esteso la possibilità di emettere

obbligazioni anche alle Srl, mentre prima tale opportunità era limitata alle Spa.

La conoscenza dell’emittente di un titolo a reddito fisso è importante in quanto iflussi di cassa previsti contrattualmente sono in realtà dei ‘flussi promessi’: di

conseguenza se l’emittente non è in grado di soddisfare le promesse fornite, il

possessore dell’obbligazione non viene remunerato per quanto dovuto. Per questo

motivo due titoli a reddito fisso con identiche condizioni contrattuali sono valutati

diversamente dagli investitori, in relazione alla probabilità di insolvenza che questi

ultimi attribuiscono all’emittente. Gli investitori, per stimare il rischio di

insolvenza connesso con un titolo a reddito fisso, utilizzano generalmente un

‘merito di credito’ o rating fornito da apposite agenzie (ad esempio Moody’s e

Standard & Poor’s, le cui sigle di rating sono riassunte nella Tabella 3.1).

Tabella 3.1 – Classi di rating di Standard & Poor’s e Moody’s.

Standard & Poor’s Moody’s

AAA – Elevata capacità di ripagare il debito Aaa – Livello minimo di rischio

AA – Alta capacità di ripagare il debito Aa – Debito di alta qualità

A – Solida capacità di ripagare il debito, che

potrebbe essere influenzata da circostanze avverse

A – Debito di buona qualità, ma soggetto

a rischio in futuro

BBB – Adeguata capacità di rimborso e di

pagamento degli interessi, che potrebbe peggiorare

rapidamente a fronte di circostanze avverse

BB,B – Debito prevalentemente speculativo

CCC, CC – Debito altamente speculativo

D – Debito in stato di insolvenza

Baa – Debito con grado di protezione medio

Ba – Debito con un certo rischio speculativo

B – Debito con bassa probabilità di

ripagamento

Caa, Ca, C – Debito in stato di insolvenza

Il processo di rating si articola in diverse fasi: (i) raccolta di informazioni

sull’impresa da valutare e analisi dei bilanci, (ii) incontro con i managers, (iii)

presentazione dell’analisi alla commissione di rating dell’agenzia, (iv) discussione

e decisione sul rating.

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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO

62

Titoli caratterizzati da una rischiosità più elevata sono in genere associati a cedole

promesse di ammontare maggiore, per assicurare un premio per il maggiore rischio

agli investitori. All’estremo, esistono i cosiddetti ‘  junk bonds’ (titoli spazzatura)

caratterizzati da un elevato tasso di rendimento atteso, ma anche da una notevolerischiosità di insolvenza.

La valuta di riferimento è un’altra delle caratteristiche principali dei titoli a reddito

fisso (si tenga presente che un’impresa può emettere titoli anche in una valuta

estera) in quanto per titoli emessi in valute diverse, a parità di condizioni

contrattuali, si osservano, normalmente, tassi di interesse diversi. Questa

differenza può essere dovuta, oltre che alla qualità dell’emittente, anche a un

differente equilibrio del mercato monetario. L’idea è che, affinché il mercato dei

capitali sia in equilibrio, la differenza tra i tassi di interesse nelle diverse economie

sia legata a diversi fattori, fra cui le aspettative di rivalutazione/svalutazione dellemonete rispettive. Titoli espressi in valuta estera sono caratterizzati anche da un

‘rischio di valuta’ poiché il valore dei relativi flussi di cassa nella valuta nazionale

dipende dall’andamento dei tassi di cambio. In particolare, in caso di svalutazione

della moneta estera, i pagamenti che vengono ricevuti saranno tradotti in un

ammontare di euro più basso.

Un’obbligazione si caratterizza poi per le modalità di remunerazione e restituzione

del capitale investito. A questo proposito una prima classificazione distingue tra

gli   zero coupon bonds e le obbligazioni con cedola. Gli   zero coupon bonds

(letteralmente obbligazioni ‘con cedola zero’) sono titoli che non prevedonopagamento di interessi sotto forma di cedole, ma vengono emessi a un prezzo

scontato rispetto al valore di rimborso alla scadenza. Le obbligazioni con cedola,

invece, pagano gli interessi in istanti precedenti il rimborso del valore nominale,

oltre che alla scadenza. Le cedole possono essere costanti o variabili nel tempo. Ad

esempio, le obbligazioni step-down e step-up, sono caratterizzate da cedole

rispettivamente decrescenti e crescenti con l’avvicinarsi della scadenza. A volte,

può essere imposto un limite massimo (cap) piuttosto che un limite minimo ( floor )

alle cedole nel caso siano variabili.

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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO

63

Infine, la scadenza (maturity) è l’istante di tempo futuro che coincide con

l’estinzione del titolo, e in genere con la restituzione del capitale investito. Essa

può variare dai pochi mesi ai molti anni, come nel caso delle obbligazioni emesse

dalla Walt Disney nel 1993, in scadenza nel 2093!

•  Il punto

Le obbligazioni sono titoli di debito emessi dalle imprese sul mercato mobiliare, in

valuta nazionale o estera. Si distinguono per la modalità di remunerazione e

rimborso del capitale a scadenza, e per la loro rischiosità connessa alla solvibilità

dell’emittente.

3.2.1 Obbligazioni con remunerazione fissa

Le obbligazioni, in genere, sono caratterizzate da un valore nominale che puòessere diverso dal prezzo di emissione e a volte anche dal valore di rimborso a

scadenza. Il valore nominale rappresenta il valore contabile del prestito, riportato

in Bilancio, ma non ha nulla a che vedere con il suo valore di mercato o con la

liquidità che effettivamente il prestito consente di raccogliere. La differenza tra

valore di rimborso, che di solito coincide con il valore nominale, e prezzo di

emissione (differenza detta disaggio di emissione) è una delle modalità per

remunerare una obbligazione (al limite per gli zero coupon bonds è l’unica forma

di remunerazione). Le eventuali cedole, invece, vengono espresse in percentuale

rispetto al valore nominale e sono caratterizzate, oltre che dal tasso nominale

annuo, anche dalla data di godimento che rappresenta gli istanti di pagamento delle

cedole. Infatti spesso i titoli obbligazionari pagano cedole semestrali, e questo –

alla luce dei risultati ottenuti nel Paragrafo 3.1.2 – equivale ad un rendimento più

elevato, poiché il pagamento di metà della cedola viene anticipato. In genere, più

l’impresa è rischiosa, più elevate dovranno essere le cedole promesse in

pagamento, per convincere gli investitori a sottoscrivere le obbligazioni.

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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO

64

3.2.2 Obbligazioni con remunerazione variabile

Esistono obbligazioni per cui, al momento dell’emissione, non sono noti i flussi

monetari futuri corrisposti all’investitore, perché essi sono correlati (indicizzati) ad

altri parametri osservabili. In questa categoria troviamo:1)  Obbligazioni in cui è previsto un piano di ammortamento del prestito non

omogeneo: in questo caso (che deve essere evidenziato nel prospetto

informativo di emissione del prestito) la restituzione del capitale avviene in

diverse date attraverso un piano di ammortamento del capitale (una parte degli

investitori, ad esempio, si vede rimborsare il prestito prima della scadenza

mediante un sorteggio). Questo chiaramente determina al momento

dell’acquisto di un titolo una aleatorietà sui flussi di remunerazione del

capitale investito e sulle date in cui gli investitori riceveranno tali flussi.

2)  Obbligazioni indicizzate: in questo caso o la cedola o il valore di rimborso oentrambi sono funzione crescente di un indice di riferimento, in genere un

indice azionario o obbligazionario, un tasso di interesse, il rendimento di un

altro titolo finanziario; frequentemente, l’indice di riferimento può essere il

rendimento dei titoli obbligazionari a breve termine (ad esempio il rendimento

dei titoli di stato, piuttosto che il tasso LIBOR,   London Inter Bank Offered 

 Rate o altri tassi di riferimento sul mercato creditizio), il tasso di cambio di

una valuta (si parla in questo caso di currency index bond ), un indice

rappresentativo di una materia prima o di un paniere di materie prime (si parla

in questo caso di commodity linked bond ), un paniere di titoli o un indiceazionario (si parla in questo caso di equity linked bond ).

La correlazione può anche essere negativa, come per i reverse floating rate

note e i  fixed-reverse. I reverse floating rate note sono titoli caratterizzati da

cedole variabili correlate inversamente a un parametro d’indicizzazione. Per

esempio un algoritmo può essere tale per cui la cedola viene calcolata come

‘15% – 2 ⋅ LIBOR a 12 mesi’; è chiaro che se i tassi LIBOR scendono o si

mantengono su valori bassi la cedola rimane elevata, altrimenti no. Le

obbligazioni  fixed-reverse, invece, sono titoli obbligazionari che durante i

primi anni dopo l’emissione remunerano il capitale con una cedola fissa

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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO

65

piuttosto elevata (rispetto ai tassi di mercato) mentre durante i restanti anni la

remunerazione è indicizzata con algoritmi che possono addirittura annullare il

rendimento cedolare.

Altro strumento finanziario che ha avuto una notevole diffusione in questiultimi anni è il collar  (o collared ) bond  che remunera il capitale con un

interesse variabile compreso in un intervallo prefissato. Il tasso di interesse in

particolare ha un tetto minimo detto  floor  e uno massimo detto cap. La

funzione degli strumenti collar è di garantire sia l’emittente che l’acquirente

da ampi movimenti dei tassi di interesse. Il cap garantisce l’emittente che così

pone un limite al costo del contratto, il  floor invece tutela l’acquirente che cosi

conosce fin dall’inizio il valore minimo del contratto. Un caso particolare è

quello del drop lock bond , che si converte automaticamente in un’obbligazione

a tasso fisso se il parametro di indicizzazione scende al di sotto del tasso floor .3)  Le obbligazioni con possibilità di chiamata (callable bonds): sono emissioni

obbligazionarie che prevedono, per l’emittente, la possibilità di rimborsare

anticipatamente il capitale ricevuto (la cosiddetta opzione di richiamabilità) a

condizioni fissate nell’istante di emissione del titolo. Naturalmente l’emittente

eserciterà tale diritto solo se lo riterrà conveniente, in particolare quando,

relativamente alla data di emissione, si è verificata una riduzione dei tassi di

mercato e l’impresa intende raccogliere capitale a condizioni più favorevoli.

Titoli obbligazionari con opzione di richiamabilità vengono emessi a tassi

generalmente superiori a quelli di mercato; la differenza è in realtà daricondursi al valore dell’opzione di conversione. Il rischio di rimborso

anticipato è da considerarsi un rischio finanziario a tutti gli effetti, così come il

rischio di solvibilità dell’emittente. Bisogna infine notare una differenza fra i

callable bonds e le obbligazioni rimborsabili anticipatamente considerate nel

punto (1): qui la società emittente può decidere se rimborsare o no il prestito a

sua discrezione, nel precedente caso il piano di ammortamento è prestabilito e

non viene modificato a discrezione dell’impresa;

4)  Obbligazioni convertibili: sono titoli a reddito fisso che offrono al

sottoscrittore la possibilità di esercitare una scelta. Infatti l'obbligazionista può

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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO

66

optare per chiedere il rimborso dell'obbligazione sottoscritta, oppure chiedere

la conversione del titolo in azioni secondo un rapporto prestabilito. Per

l'emittente costituiscono un'alternativa di finanziamento, il cui costo

immediato è più contenuto di quello delle obbligazioni ordinarie, comecompensazione del vantaggio connesso alla facoltà di conversione.

All’emissione di un’obbligazione convertibile la società deve deliberare un

aumento potenziale del capitale sociale per un ammontare corrispondente al

valore nominale delle azioni da attribuire in conversione (‘azioni di

compendio’). Il periodo in cui è ammessa la conversione può essere

continuativo oppure limitato a determinati periodi dell’anno, fino alla

scadenza;

5)  I convertible reverse (o reverse convertible): in questo caso il rimborso del

capitale è ancora collegato all’andamento di un’azione sottostante, ma essoavviene a discrezione dell’emittente. Il funzionamento di questi convertible 

reverse è quindi speculare rispetto a quello di un’obbligazione convertibile, in

cui l’investitore ha l'opportunità di chiedere la consegna di un numero

prefissato di azioni invece del rimborso del capitale; viceversa, con

un’obbligazione convertible reverse l’investitore si assume il rischio di vedersi

consegnare un numero prefissato di azioni invece del rimborso del capitale (a

convenienza dell'emittente)2.

•  Il puntoLe obbligazioni – per quanto riguarda sia la remunerazione sia il rimborso del

capitale – possono generare flussi monetari fissi, oppure variabili e indicizzati a

parametri esogeni (come il rendimento di altri strumenti finanziari) oppure legati a

scelte discrezionali dell’emittente (ad esempio i callable bonds) o dell’investitore

(ad esempio le obbligazioni convertibili).

2 Non a caso le autorità di vigilanza dei mercati negli ultimi anni hanno scoraggiatoattivamente l’emissione di titoli di questo genere.

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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO

67

Come abbiamo visto, le modalità di remunerazione e di rimborso del capitale

obbligazionario sono molto diversificate. Nei casi più semplici esistono consolidati

metodi di valutazione, che saranno analizzati nel Paragrafo successivo. Nei casi

più complessi è necessario ricorrere a modelli di valutazione delle opzioni, chesaranno analizzati nel Capitolo 5.

3.3 La valutazione dei titoli obbligazionari

Un titolo obbligazionario è un contratto associato al pagamento nel tempo di una

stringa di flussi finanziari. Il suo valore nel caso più generale può quindi essere

agevolmente determinato dal valore attuale dei flussi monetari che lo

caratterizzano. Indichiamo con:

T = scadenza del prestito obbligazionario; 

F t = stringa dei flussi monetari (cedole) attesi (t = t 1, t 2, …, T );V  N = valore nominale del titolo (in generale uguale al valore di rimborso);

r t  = tassi di interesse annuali alle diverse scadenze, evidenziati dalla struttura per

scadenza.

Si può calcolare P0, ovvero il valore di equilibrio del titolo obbligazionario oggi:

 N T 

t t 

F P

)1()1(1t0

++

+=∑

=

 

Cioè, il valore del titolo deve essere pari alla somma attualizzata delle cedole

staccate e del rimborso del valore nominale a scadenza. Molto spesso in Europa il

valore di un’obbligazione viene misurato fatto 100 il valore nominale3. Diremo

quindi, ad esempio, che il prezzo di un titolo a reddito fisso è 103,54 se il prezzo di

questo titolo, per un valore nominale di 1.000€, equivale a 1.035,40€. Diremo

inoltre che un titolo obbligazionario quota sopra la pari se il suo prezzo è superiore

a 100, sotto la pari se il prezzo è inferiore a 100, alla pari se il prezzo è 100.

3 Negli USA vige una convenzione diversa, per cui il titolo quota sulla stessa scala, ma i

decimali di prezzo sono espressi in trentaduesimi. Una quotazione negli USA pari a 98-8significa che in Europa il prezzo del titolo sarebbe 98 + 8/32 = 98,25.

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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO

68

Se i flussi F t  fossero indicizzati, e quindi non noti ex ante, se ne può determinare

una previsione, oppure – come spesso accade – si può ipotizzare che le cedole

future siano uguali a quella (nota) attualmente in maturazione.

Implicitamente si ipotizza che il titolo non sia rischioso: è evidente che in casoopposto è necessario scontare i flussi monetari e il rimborso del capitale con tassi

che comprendono un adeguato premio per il rischio, così come evidenziato nel

Paragrafo 3.1.3.

Per un titolo  zero-coupon, che non paga cedole, il valore di mercato coincide

semplicemente con il valore attuale del capitale nominale. Ne consegue che un

titolo  zero-coupon quota sempre sotto la pari, e viene remunerato attraverso lo

‘sconto’ del prezzo del titolo rispetto al valore di rimborso alla scadenza. La stessa

affermazione può non essere vera, come vedremo, per titoli che pagano cedole.

Figura 3.6 – Andamento nel tempo del prezzo P0 di un’obbligazione zero-coupon.

La Figura 3.6 riporta l’andamento nel tempo del valore di mercato di uno  zero-

coupon. È evidente che all’avvicinarsi della scadenza T , in condizioni stazionarie

dei tassi di mercato, il valore del titolo si avvicina al valore nominale di rimborso.

P

P0 

T t  

100

0

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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO

69

•  Esempio

Un titolo  zero-coupon scade fra 2 anni e 3 mesi. Considerato che il tasso di

mercato alla stessa scadenza è pari al 2,3%, il prezzo di equilibrio P0 del titolo

sarà:

P0 =3/122(1,023)

100+

= 95,01

Ipotizzando che il tasso di mercato rimanga costante alla stessa scadenza, fra 3

mesi il valore del titolo P3/12 sarà maggiore, avvicinandosi la fine del prestito:

P3/12 =2(1,023)

100= 95,55

Esaminiamo ora le obbligazioni che pagano cedole. Nel caso in cui la cedola sia

costante e la struttura per scadenza sia piatta (r costante) possiamo recuperare le

formule di matematica finanziaria viste nel Paragrafo 3.1.1 che ci permettono di

valutare facilmente il prezzo P0. Se ipotizziamo che l’obbligazione garantisca il

pagamento di una somma fissa annuale C  (si ipotizza che il primo pagamento

avvenga esattamente fra un anno) per tutta l’eternità (in tal caso si parla di titoli

‘irredimibili’) il suo valore converge a:

P0 = ...

)1()1()1(32+

+

+

+

++

C = C  ·∑

= +1 )1(

1

=

C  

Se invece consideriamo un bond che offre il pagamento di una somma fissa C solo

fino all’anno T per poi rimborsare nello stesso momento il valore nominale V  N :

P0 =T 

)1(...

)1()1()1( 32+

+++

++

++

+T 

 N 

)1( + 

P0 =

 

 

 

 

+−⋅

r r 

)1(

11 +

 N 

)1(+

 

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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO

70

Nel caso dovessimo valutare un titolo irredimibile che garantisce il pagamento di

una somma C 1 a partire dall’anno t = 1, che cresce nel tempo al tasso g con C t +1 =

C t (1 + g):

P0 =( ) ( )

.....)1(

1

)1(

1

)1( 3

21

211

++

+⋅+

+

+⋅+

+ r 

gC 

gC 

C = ∑

=

 

  

 

+

+⋅

+ 1

1

1

1

)1( t 

g

g

C  

P0 =gr 

1 (con r > g)

Infine per un titolo obbligazionario (o una qualsiasi rendita) che paga un flusso C 1 

al tempo 1, che cresce successivamente al tasso g, interrompendosi al tempo T con

il rimborso del valore nominale (o di un qualsiasi altro riscatto):

P0 =( ) ( )

.....)1(

1

)1(

1

)1( 3

21

211

++

+⋅+

+

+⋅+

+ r 

gC 

gC 

C +

( )T 

gC 

)1(

1 1-1

+

+⋅+

 N 

)1( + 

P0 =  

  

 

+

+−⋅

−T 

g

gr 

)1()1(

1 +T 

 N 

)1( + 

Le relazioni precedenti evidenziano che esiste una relazione negativa fra prezzo di

equilibrio di un’obbligazione con cedole fisse e tassi di mercato (Figura 3.7). Al

crescere dei tassi di mercato il prezzo di un titolo è destinato a scendere, mentre

invece quando i tassi di mercato scendono i titoli obbligazionari si rivalutano4. Se

il tasso di mercato fosse al limite nullo, il prezzo P0 tenderebbe alla semplice

sommatoria di cedole e rimborso del capitale. Un investitore che si attende tassi di

mercato in discesa dovrebbe dunque investire in obbligazioni a tasso fisso, poiché

il loro valore di mercato dovrebbe salire.

4 Naturalmente se le cedole pagate dal titolo sono indicizzate (positivamente onegativamente) ai tassi di mercato, la relazione diventa più complessa.

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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO

71

Figura 3.7 – Relazione fra valore di un titolo obbligazionario e tassi di mercato.

Viceversa, un’impresa che ha le stesse aspettative ed intende finanziarsi non

dovrebbe emettere titoli a tasso fisso, perché rimarrebbe spiazzata dal calo dei

rendimenti del mercato, e sarebbe costretta a remunerare il capitale a tassi elevati

fino alla scadenza T mentre sul mercato è possibile ottenere condizioni migliori.

3.3.1 Corso tel quel, rateo e corso secco

Il prezzo P0 di equilibrio calcolato con le formule precedenti è detto corso tel quel.

Quando un’obbligazione paga cedole, in condizioni stazionarie (ad esempio se

ipotizziamo che il tasso di mercato r  rimanga costante nel tempo per tutte lescadenze) l’evoluzione del suo prezzo di mercato assume il caratteristico

andamento a ‘dente di sega’ rappresentato in Figura 3.8. L’esempio si riferisce ad

un titolo con vita residua di quattro anni.

Le discontinuità di prezzo corrispondono agli istanti in cui viene messa in

pagamento la cedola. È evidente che appena prima di tali scadenze il prezzo di un

titolo incorpora ancora il valore della corrispondente cedola, mentre un attimo

dopo tale valore cessa di esistere. La discontinuità di prezzo è proprio pari al

valore della cedola C . In altre parole, chi acquista il titolo appena prima del

pagamento di una cedola lo pagherà di più perché il giorno dopo incassa la cedola,

P0 

r  

∑=

+T 

 N t  V F 0

 

0

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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO

72

mentre chi lo acquista dopo il godimento della cedola lo paga meno perché non

incasserà più il flusso monetario.

Figura 3.8 – Andamento nel tempo del prezzo P0 di un titolo obbligazionario (c% > r).

Si può infine evidenziare che la Figura 3.8 si riferisce ad un bond  che paga una

cedola costante C che in percentuale sul valore nominale (c%) è maggiore del tasso

di mercato r . Sotto le condizioni enunciate, ripresa la formula dell’annuity, si ottiene:

P0 =  

  

 

+−⋅

T r r 

)1(

11 +

 N 

)1( + 

 N V 

P0 =  

  

 

+−⋅

T r r 

c

)1(

11

%+

T r )1(

1

 N V 

P0 > 1 ⇔ r 

c%> 1

 N V 

P0 < 1 ⇔ r 

c%< 1

L’idea è che se un titolo paga una cedola annuale c% più elevata rispetto alla

remunerazione annuale richiesta dal mercato r , esso venga premiato con un valore

P0 

t  

100

1 2 3 4

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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO

73

tel quel sempre sopra la pari, che tende a decrescere nel tempo (si veda la Figura

3.8) fino alla scadenza T . Il prezzo P0 cresce al dilatarsi della vita residua T , perché

il mercato premia il fatto che il titolo remuneri il capitale con una cedola elevata

per un periodo di tempo maggiore.

Figura 3.9 – Andamento nel tempo del prezzo P0 di un titolo obbligazionario (c% < r).

La Figura 3.9 rappresenta un’altra situazione, in cui invece la cedola c% risulta

inferiore rispetto al tasso di mercato r (c% < r ). In questa situazione, il prezzo tel

quel del titolo tende a crescere nel tempo, e molto spesso è sotto la pari. Infatti, il

mercato attribuisce uno ‘sconto’ al prezzo del titolo, poiché remunera meno di

quanto richiesto.Lo ‘sconto’ è tanto più elevato quanto è maggiore la vita residua T : il mercato

infatti tende a penalizzare il fatto che la cedola è inferiore al tasso di mercato per

un periodo ampio. L’estremo è costituito dallo zero-coupon, la cui cedola è nulla, e

come abbiamo visto quota sempre sotto la pari.

Infine, la Figura 3.10 riporta il caso di un titolo le cui cedole percentuali

rispecchiano esattamente il tasso di mercato (c% = r ). In tal caso, la remunerazione

offerta dal titolo con la cedola è esattamente uguale a quella richiesta dal mercato,

e il prezzo tel quel quota alla pari appena dopo il pagamento della cedola. Stavolta

la vita residua T del titolo non ha effetto sul valore del titolo.

P0 

100

t  1 2 3 4

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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO

74

Figura 3.10 – Andamento nel tempo del prezzo P0 di un titolo obbligazionario (c% = r).

Non si deve quindi pensare che titoli obbligazionari quotati a prezzi molto diversi,

alcuni sopra la pari, altri sotto la pari, siano preferibili l’uno all’altro. Essirispecchiano tranquillamente il fatto che non tutti pagano la stessa cedola, e non

tutti hanno la stessa scadenza. In secondo luogo, se per caso l’obbligazione liquida

la cedola annuale ogni semestre (come succede spesso per i Titoli di Stato) bisogna

tenere conto del suo rendimento effettivo equivalente. Infatti, il suo valore sarà più

elevato di quello di un titolo con stessa cedola pagata però annualmente, dal

momento che metà della cedola viene liquidata in anticipo5.

Le Figure precedenti evidenziano inoltre che il prezzo tel quel di un’obbligazione è

molto variabile nel tempo, e dipende dall’istante in cui è stata pagata l’ultima

cedola. Una misura del prezzo di un titolo depurata da questa ‘distorsione’ èinvece il ‘corso secco’.

Il corso secco Pcs è definito come il prezzo tel quel del titolo, al netto del rateo,

ovvero la quota-parte della prossima cedola già maturata:

Pcs = P0 – rateo

5 Il ragionamento è assolutamente identico rispetto a quello percorso nell’Esempio

numerico del Paragrafo 3.1.3, laddove si confrontavano due conti bancari con liquidazionedegli interessi annuale o semestrale.

P0 

t  

100

1 2 3 4

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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO

75

Il rateo (anche se concettualmente si tratta solo di un’approssimazione, del resto

utilizzata da tutti gli intermediari finanziari) viene misurato ipotizzando che la

cedola C maturi linearmente nel tempo:

rateo = C   ⋅ cedoledellepagamentoilfraintermedigiorni

cedolaultimadell'pagamentodaltrascorsigiorni 

Dalla definizione data risulta evidente che il rateo è nullo nell'istante immediatamente

successivo allo stacco della cedola (in questo caso prezzo secco e prezzo tel quel 

coincidono), ed è invece massimo appena prima del pagamento della cedola.

Ritornando alle Figure precedenti si può quindi affermare che (come appare anche

dalla Figura 3.11) la linea continua (in tratto-punto) rappresenta il corso secco, e la

differenza rispetto al prezzo P0 rappresenta il rateo. Diremo anche che il corsosecco di un’obbligazione è sempre sotto la pari (sopra la pari) e tende a crescere

(decrescere) nel tempo se la cedola percentuale c% è inferiore (superiore) al tasso

r di mercato, che noi supponiamo stabile sul mercato. In caso di uguaglianza fra

c% e r , esso sarà sempre pari a 100. Chiaramente nel momento in cui i tassi di

mercato variano, i prezzi delle obbligazioni sul mercato si assesteranno su un

nuovo equilibrio seguendo le stesse regole.

Figura 3.11 – Corso secco e corso tel quel (c% > r).

Corso tel quel 

Corso secco

Rateo

P0 

t  

100

1 2 3 4

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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO

76

•  Il punto

Il valore tel quel di un’obbligazione si può determinare sommando il valore attuale

di tutti i flussi monetari futuri generati dal suo possesso. Il corso secco (ovvero il

prezzo tel quel depurato dalla cedola in maturazione) delle obbligazioni chepagano cedole percentuali inferiori (superiori) al tasso r di mercato quota sempre

sotto la pari (sopra la pari). Gli zero coupon bonds quotano sempre sotto la pari.

3.3.2 Rendimento effettivo e duration di un’obbligazione

Il rendimento effettivo di un’obbligazione, r eff , è quel tasso di interesse che

eguaglia il valore attuale dei flussi di cassa futuri (cedole e rimborso alla scadenza)

al prezzo tel quel P0 del titolo:

r eff : T eff 

 N T 

t t 

eff 

F P

)1()1(00

++

+= ∑

=

 

Il rendimento effettivo rappresenta la remunerazione media riconosciuta dal

mercato ai diversi flussi di cassa e, di conseguenza, è una media ponderata dei

tassi di interesse alle diverse scadenze espressa dalla struttura per scadenza. Anche

in questo caso per i titoli ad indicizzazione finanziaria il rendimento effettivo netto

è calcolato stimando i flussi futuri oppure ipotizzando che siano uguali a quello in

pagamento.Il rendimento effettivo è concettualmente simile al tasso interno di rendimento

(TIR) di un investimento, ma in questo caso non rappresenta un parametro di

preferibilità di un titolo rispetto ad un altro. È chiaro invece che se la struttura per

scadenza dei tassi di interesse è crescente nel tempo, ci si attende che titoli più

‘lunghi’ (con vita residua maggiore) saranno caratterizzati da rendimenti effettivi

maggiori, mentre titoli più ‘corti’ (con vita residua minore) siano caratterizzati da

rendimenti effettivi minori. Questo accade perché i flussi monetari più ‘lontani’

nel tempo saranno remunerati con tassi crescenti. L’opposto invece accade se la

struttura per scadenza dei tassi è decrescente nel tempo. Se infine la struttura per

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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO

77

scadenza dei tassi fosse piatta, in equilibrio tutti i titoli avrebbero lo stesso

rendimento effettivo, pari al tasso r di mercato.

•  Il segnalibroIl tasso interno di rendimento (TIR) di un investimento è analizzato nel Volume

‘Gestire le Risorse dell’Impresa’, Capitolo 4, Paragrafo 4.2.2.

Molto spesso si definisce anche un tasso di rendimento effettivo netto, che tiene

conto dei flussi di cassa al netto di eventuali prelievi fiscali, per la cui

determinazione si rimanda al successivo Paragrafo 3.4.

•  Esempio

Si consideri un’obbligazione con vita residua pari a 1 anno e 5 mesi. Il titolo paga

una cedola annuale fissa c% pari al 5% e rimborsa il capitale alla scadenza.

Per determinare il suo prezzo di equilibrio tel quel, il rateo, il corso secco e il suo

rendimento effettivo è necessario conoscere il tasso di interesse di mercato alle

diverse scadenze. Gli istanti in cui saranno pagate le prossime cedole sono fra 5

mesi (non fra un anno!) e fra 17 mesi alla scadenza. La struttura per scadenza dei

tassi è rappresentata in Figura 3.12.

Figura 3.12 – Struttura per scadenza dei tassi di interesse nell’esempio.

r  

4,7%

4,5%

4,3%

4,1%

2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30 32 Mesi

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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO

78

Se ne deduce che il tasso di interesse a 5 mesi r 5/12 è pari a 4,2%, mentre quello a

scadenza 17 mesi è pari a 4,4%.

Il prezzo di equilibrio P0 del titolo è uguale a:

T T 

 N T 

t t 

r V 

r F P

)1()1(00

++

+= ∑

=

= 17/1217/125/12 (1,044)100

(1,044)5

(1,042)5 ++  

P0 = 103,70

Il rateo, ovvero la cedola in maturazione, è pari a:

Rateo = cedola ⋅ cedoledellepagamentoilfraintermedigiorni

cedolaultimadell'pagamentodaltrascorsigiorni= 5 ⋅ 

mesi12mesi7

 

Rateo = 2,92

Il corso secco Pcs è:

Pcs = P0 – rateo = 103,70 – 2,92 = 100,78

Il titolo quindi quota sopra la pari: infatti, la cedola c% è superiore rispetto alla

remunerazione media del mercato offerta alle scadenze interessate.

Per calcolare il rendimento effettivo r eff è necessario determinare:

r eff : T eff 

 N T 

0t t 

eff 

F P

)1()1(0

++

+= ∑

=

 

ovvero:

r eff : 103,70 =17/1217/125/12 )(1

100

)(1

5

)(1

5

eff eff eff  r r r  ++

++

Si ottiene r eff = 4,398%

Il rendimento effettivo è un po’ inferiore al tasso alla scadenza 17 mesi, perché

risulta una media ponderata fra i tassi alle due scadenze (4,2% e 4,4%) dove però

l’ultimo flusso (il rimborso del capitale) conta decisamente di più.

Osservando la struttura per scadenza dei tassi, è anche possibile dire che sul

mercato in equilibrio i titoli obbligazionari con scadenza superiore a quello

considerato avranno rendimenti effettivi maggiori. Ciò rispecchia il fatto che la

struttura per scadenza tende ad essere crescente nel tempo, e non implica affatto

una preferibilità dei titoli ‘lunghi’ rispetto a quelli a breve termine.

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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO

79

Nell’esempio precedente si è introdotto il concetto di titoli ‘lunghi’ e titoli ‘brevi’.

La duration  D rappresenta appunto la vita media residua del titolo, espressa in anni

e giorni. La formula teoricamente corretta per il calcolo della duration di un titolo

è la seguente:

 

  

 

+

⋅+

+

⋅⋅= ∑

=

 N T 

t t 

T V 

t F 

P D

)1()1(

1

00

 

Per come è definita, la duration si configura come un ‘baricentro finanziario’,

ovvero rappresenta una media degli istanti di liquidazione dei flussi monetari,

ponderata dal valore attuale dei flussi stessi. Nella pratica la duration viene spesso

calcolata dagli intermediari finanziari come vita media ponderata dei flussi futuri

attualizzati al rendimento effettivo del titolo (si parla in questi casi di modified 

duration, o duration di  Macaulay):

 

 

 

 

+

⋅+

+

⋅⋅= ∑

=

eff 

 N T 

t t 

eff 

T V 

t F 

P D

)1()1(

1

00

 

La duration di un titolo gode di importanti proprietà tra cui quella di essere

correlata alla volatilitàσ

di un’obbligazione, cioè alla variazione percentuale P

P∆

 del prezzo tel quel dell’obbligazione causata da una variazione unitaria dei tassi di

mercato, e quindi è correlata al rischio di tasso. Come mostrato dalla Figura 3.5

tale variazione è negativa nel caso di incremento del tasso, e viceversa, e può

essere stimata6 dalla relazione:

6 La stima che si ottiene è lineare ed è in realtà distorta in eccesso, per via del fenomenodella ‘convexity’, ovvero della relazione non lineare fra prezzo e rendimento diun’obbligazione, come appare chiaro dalla Figura 3.5. Si veda l’esempio numerico in

Giudici (2001), pagina 32.

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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO

80

r r 

 D

P

P

eff 

∆⋅+

−≈∆

dove r ∆ rappresenta la variazione subita dai tassi di mercato alle diverse scadenzedella struttura per scadenza, della quale vogliamo determinare l’effetto sul prezzo

dell’obbligazione.

•  Il punto

Il rendimento effettivo e la duration contraddistinguono la quotazione di mercato

di un’obbligazione. Il primo parametro rappresenta la remunerazione media

riconosciuta dal mercato ai suoi flussi monetari, il secondo rappresenta una vita

media ponderata dei flussi stessi, ed è proporzionale alla volatilità del prezzo del

titolo.

Sulla stampa economico-finanziaria la duration è indicata in anni e giorni. Quindi

se la duration di un’obbligazione è indicata con 1,120 significa che essa è pari a un

anno e 120 giorni.

•  Esempio

Un’obbligazione ha una vita residua di 3 anni e paga una cedola annuale fissa del

6%. Il capitale viene rimborsato a scadenza. Ipotizzando che il tasso sul mercato

obbligazionario sia costante a tutte le scadenze, e pari al 3%, vogliamo determinare

il prezzo tel quel di equilibrio, la duration e la volatilità stimata.

Il prezzo tel quel  P0 coincide con il corso secco, poiché l’ultima cedola è stata

appena messa in pagamento (= il rateo è nullo) ed è pari a:

 N T 

t t 

F P

)1()1(00

++

+= ∑

=

 

Sfruttando il fatto che le cedole C sono costanti e la struttura per scadenza dei tassi

è piatta:

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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO

81

P0 =  

  

 

+−⋅

T r r 

)1(

11 +

 N 

)1( +=

 

  

 −⋅

3(1,03)

11

0,03

6+

3(1,03)

100= 108,49

Si può notare che il titolo quota sopra la pari, poiché in effetti paga una cedola

superiore al tasso di mercato.La duration  D è pari a:

 

  

 ⋅

++⋅

+⋅= ∑

=

T r 

V t 

P D

 N T 

t t 

)1()1(

1

00

=

 

 

 

  ⋅+

⋅+

32 (1,03)

3106

(1,03)

26

1,03

16

108,49

1= 2,84

 D = 2 anni 307 giorni

La duration risulta solo leggermente inferiore alla vita residua, dal momento che

l’ultimo flusso di cassa (quello alla scadenza tre anni) ha un peso rilevante nel

calcolo.

La volatilità σ può essere stimata da:

r r 

 D∆⋅

+−≈

1σ   = – 2,76 ∆r  

Ciò vuol dire che se per caso il tasso di mercato sale di un punto percentuale, ci

attendiamo che il prezzo tel quel del titolo scenda del 2,76%.

3.4 Il trattamento fiscale dei titoli obbligazionari

In Italia il trattamento fiscale non è sempre omogeneo per tutti gli investitori che

acquistano titoli obbligazionari. In particolare per i Titoli di Stato (cioè le

obbligazioni emesse dal Ministero del Tesoro) si individuano due categorie di

investitori: investitori ‘lordisti’ e investitori ‘nettisti’. Gli investitori ‘lordisti’

all’atto dell’acquisto del titolo non sono soggetti a prelievo fiscale: i loro redditi

ottenuti attraverso titoli obbligazionari confluiscono, di conseguenza, nella

dichiarazione dei redditi e sono soggetti all’aliquota personale di ogni singolo

investitore. Tra gli investitori ‘lordisti’ troviamo le persone giuridiche residenti in

Italia e gli investitori esteri.

Gli investitori ‘nettisti’ (in pratica le persone fisiche residenti, e in generale tutti

gli investitori che acquistano obbligazioni corporate emesse cioè da imprese

private), invece, sono assoggettati a due tipi di ritenute. La prima riguarda la

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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO

82

tassazione, con ritenuta alla fonte  f operata dall’impresa emittente pari al 12,5%,

delle cedole nel momento in cui vengono liquidate. La seconda riguarda la

tassazione alla scadenza del titolo, sempre con aliquota  f  pari al 12,5%, del

disaggio di emissione (la differenza, se positiva, fra valore nominale e prezzo diemissione Pem). Nel caso però l’investitore venda il titolo prima della scadenza, è

soggetto alla tassazione, ancora con aliquota  f  pari al 12,5%, della plusvalenza,

ovvero della differenza (se positiva) tra prezzo di vendita e prezzo di acquisto. La

modalità di tassazione delle plusvalenze è più complessa e dipende dal regime

fiscale scelto dall’investitore.

Se vogliamo conoscere il rendimento effettivo al netto delle imposte r ′eff  che un

investitore matura dal possesso di un titolo obbligazionario fino alla sua scadenza,

dobbiamo attualizzare non i flussi monetari lordi, ma quelli effettivamente ricevuti,

al netto dell’eventuale ritenuta fiscale:

( )T 

eff 

em N  N T 

t t 

eff 

PV  f V 

F  f P

)1()1(

)1(

00

′+

−⋅−+

′+

⋅−=∑

=

 

3.5 Il debito bancario

La raccolta di capitale di debito sul mercato mobiliare, attraverso l’emissione di

titoli obbligazionari, è spesso affiancata dal debito bancario, acceso presso

intermediari finanziari. Anzi, in Italia questo secondo canale è spesso privilegiato

dalle imprese, se è vero che nel 2006 la consistenza dei prestiti bancari alle

imprese di capitale industriali era pari a oltre 705 miliardi € (865 miliardi

comprendendo i prestiti ad altre istituzioni finanziarie), contro uno stock di debito

obbligazionario pari a poco più di 50 miliardi € (780 miliardi comprendendo anche

le emissioni di istituti finanziari, a loro volta erogatori di credito)7.

La differenza fondamentale fra la raccolta di capitale di debito sul mercato

obbligazionario e quella sul mercato creditizio sta nel fatto che nel primo caso

l’impresa si rivolge direttamente agli investitori sul mercato mobiliare offrendo

7 Il dato è tratto dalla Relazione annuale della Banca d’Italia presentata il 31/5/2007.

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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO

83

titoli in cambio di liquidità, mentre nel secondo caso l’impresa si rivolge ad un

istituto finanziario, il quale a sua volta provvederà a raccogliere il capitale dal

mercato presso altre fonti diversificate.

I prestiti bancari, benché eterogenei rispetto alle tecniche di erogazione del creditoe alle scadenze, sono accomunati dalla loro natura di operazioni di scambio di

mezzi monetari, e possono essere distinti fra: (i) apertura di credito in conto

corrente, (ii) sconto, (iii) anticipazione, (iv) mutuo bancario, (v) prestito in

partecipazione e (vi) prestito sindacato. Le prime tre forme sono generalmente

operazioni di breve termine, mentre le altre tre forme finanziano operazioni di

medio-lungo termine.

L’apertura di credito in conto corrente (‘scoperto’ di conto corrente, o anche ‘fido’

di conto corrente) viene concessa dall’istituto bancario per importi generalmente

non elevati e scadenze variamente ripartite nel tempo. Alcune volte il cliente èesplicitamente autorizzato senza alcuna formalità a prelevare denaro dal conto

corrente bancario in misura eccedente la disponibilità; sullo scoperto di conto

viene addebitato un interesse percentuale contrattualmente stabilito, in genere

legato al tasso ufficiale interbancario. È possibile che la banca imponga una

commissione di ‘massimo scoperto’ anche sulle linee di credito non utilizzate,

anche se il  pressing di Banca d’Italia sta portando molti gruppi bancari ad

eliminare questo balzello.

Lo sconto è un prestito monetario garantito da crediti vantati dall’impresa (crediti

commerciali, depositi, cambiali, ricevute bancarie). Il finanziamento, pari alcredito iscritto a bilancio, viene erogato al netto degli interessi richiesti. Può

accadere che la banca applichi la clausola ‘salvo buon fine’; in tal caso essa

concede un prestito sull’intero importo del credito da incassare, ed addebita gli

interessi solo in caso di utilizzo effettivo.

L’anticipazione è un prestito monetario garantito da pegno a favore dell’istituto

bancario. Si compone di due contratti: la polizza di anticipazione (che definisce

l’ammontare del prestito in funzione del valore dei pegni dati in garanzia, tenendo

conto di un margine di sicurezza per l’eventuale loro svalutazione) e il diritto di

pegno (che definisce le modalità di rivalsa sui beni concessi in pegno in caso di

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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO

84

insolvenza). La rivalsa avviene tramite vendita dei pegni, di cui l’istituto bancario

non può diventare proprietario. Il tasso di interesse richiesto dall’intermediario è in

genere inferiore al tasso di scoperto di conto corrente, grazie all’esistenza della

garanzia di pegno. Il rimborso di un’anticipazione può avvenire a scadenza fissaoppure in fasi dilazionate nel tempo.

Il mutuo è un’operazione di finanziamento di lungo termine tipicamente assistita da

garanzia di ipoteca su immobili o impianti. L’importo erogato  D copre in genere il

60%/70% del valore degli assets ipotecati (alcune banche particolarmente aggressive

erogano prestiti anche su percentuali maggiori).

Il prestito può essere a tasso fisso o indicizzato e prevede, oltre al versamento degli

interessi, la restituzione graduale del capitale, attraverso il pagamento di rate

periodiche in genere costanti di importo R.

Il valore della rata può essere determinato in funzione della durata del prestito T edel tasso annuale r  D richiesto dall’istituto che eroga il credito: il valore attuale dei

pagamenti deve essere infatti pari al valore del prestito D:

 D = ∑= +

t t 

 Dr 

 R

 0 )(1 

Nel caso la rata R sia annuale potremo semplificare l’equazione:

 D =  

  

 

+−⋅

 D D r r 

 R

)1(

11  

Per individuare la quota-parte della rata destinata ogni anno a remunerare il

capitale e la quota-parte destinata al rimborso graduale del capitale, possiamo

procedere come mostrato nell’Esempio seguente.

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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO

85

•  Esempio

Un istituto bancario concede un finanziamento per un valore di 318.000€ ad un

tasso annuale r  D del 7% a scadenza 6 anni. Gli interessi e il rimborso del capitale

vengono corrisposti con rate annuali. L’onere dovuto all’apertura della pratica difinanziamento è pari a 1.000€.

Per determinare la rata del prestito applichiamo la formula:

 D =  

  

 

+−⋅

 D D r r 

 R

)1(

11 = 318.000€

 R = 66.715€

Il tasso effettivo del finanziamento non sarà pari al 9%, ma sarà più elevato per il

costo di apertura della pratica. Come nell’Esempio del Paragrafo 3.1.2 relativo al

calcolo del TAEG, possiamo calcolare l’onere effettivo del debito r ′ D da:

 D – 1.000€ =  

  

 

′+−⋅

′ T 

 D D r r 

 R

)1(

11 = 317.000€

r  D-eff = 7,10%

Per ragioni contabili, è interessante determinare la frazione delle rate del mutuo

riconducibili al rimborso del capitale (‘quota capitale’) e agli interessi (‘quota

interessi’). La quota capitale infatti va a ridurre il debito di Stato Patrimoniale,

mentre la quota interessi rappresenta un costo di Conto Economico.

Costruiamo una Tabella nella quale anno dopo anno suddividiamo la rata  R nelle

due rispettive quote, e calcoliamo alla fine di ogni periodo il debito residuo ancorada rimborsare. La quota interessi sarà determinata ogni anno dal 7% del capitale

residuo dal periodo precedente. La quota capitale è la rimanente frazione della

rata. Si può notare che la quota-interessi della rata tende a decrescere nel tempo,

dal momento che il capitale residuo ancora da rimborsare decresce ogni anno.

Essendo la rata costante, cresce invece la quota-capitale. Alla fine del prestito il

capitale residuo è ovviamente nullo: l’intero prestito è stato rimborsato.

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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO

86

t = 0 t = 1 t = 2 t = 3 t = 4 t = 5 t = 6

Importo finanziato 318.000

Rata annuale 66.715 66.715 66.715 66.715 66.715 66.715

Interessi annuali 7% 22.260 19.148 15.818 12.256 8.444 4.364

Quota rimborso capitale 44.455 47.567 50.897 54.459 58.271 62.351

Capitale residuo fine anno 273.545 225.978 175.081 120.622 62.351 Zero

Il prestito in partecipazione viene organizzato in genere da istituti bancari di

grande dimensione, che si fanno carico di organizzare un  pool di intermediari, cui

viene ceduta una frazione del prestito con il consenso dell’impresa finanziata; la

partecipazione può essere ulteriormente negoziata con altri intermediari, come su

un qualsiasi mercato secondario.

Nel contratto di prestito sindacato, invece, ogni banca del  pool ha un contratto diprestito separato con il richiedente.

I prestiti gestiti da pool di banche non prevedono in genere garanzie tangibili, dal

momento che sono spesso affidati a clienti primari, e il rischio viene condiviso con

altri finanziatori. A volte, la concessione dei prestiti nei  pool viene organizzata

attraverso asta competitiva (bid line). La linea di credito – ovvero il capitale messo

a disposizione dell’impresa finanziata – viene concessa a scadenza determinata

(prestiti stand-by) oppure a scadenza indeterminata (prestiti evergreen) e viene

prevista una commissione anche sulla porzione di linea di credito eventualmente

non utilizzata dall’impresa.I prestiti a lungo termine sono classificati in base alla loro seniority, e cioè alla

precedenza rispetto al rimborso del capitale in caso di fallimento dell’impresa. Ad

esempio, un prestito ‘postergato’ sarà rimborsato per ultimo rispetto agli altri

debiti.

Spesso le imprese chiedono agli intermediari finanziari non solo di aprire una linea

di credito, ma anche di garantire l’adempimento di contratti verso terzi, come il

regolare pagamento di una commessa, la consegna di una fornitura, il rimborso di

un’obbligazione finanziaria. In questo caso, l’istituto bancario emette un ‘prestito di

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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO

87

firma’, che tecnicamente si presenta come un’accettazione bancaria, piuttosto che

una fideiussione (cioè una garanzia di pagamento in caso di insolvibilità del cliente).

Può accadere anche che l’istituto di credito vincoli il prestito alla realizzazione di

un determinato investimento (‘prestito finalizzato’), oppure che il prestito siaerogato ad una partecipata estera dell’impresa da una filiale estera dell’istituto di

credito (operazioni ‘back to back ’), a volte per motivi su cui è meglio sorvolare,

dal momento che sono oggetto di reato.

•  Il punto

L’impresa può raccogliere capitale di debito anche sul mercato creditizio,

attraverso prestiti concordati con uno o più istituti di finanziamento, negoziando la

loro remunerazione, le modalità di rimborso del capitale e la loro scadenza.

3.5.1 Project financing

Una particolare forma di prestito ‘finalizzato’ è il ‘  project financing’. In questo

caso il finanziamento è associato ad un singolo progetto, fisicamente isolato (e

anche giuridicamente, dal momento che viene costituita una società ad hoc per la

sua gestione) e che possa costituire una garanzia tangibile per i finanziatori. La

maggior parte dei progetti riguarda impianti di elevato costo e di grande

dimensione (estrazione e lavorazione di minerali, grandi infrastrutture, centrali

energetiche, …).

Gli attori coinvolti nel project   financing sono essenzialmente tre (si veda la Figura

3.13): (i) l’impresa che realizza il progetto fondando una nuova società (in gergo

Newco o SPV, special vehicle purpose), (ii) il finanziatore, (iii) i fruitori del

progetto dai quali l’impresa ricava i cash flows. Molte volte sono coinvolte nel

progetto anche le amministrazioni pubbliche, interessate a realizzare infrastrutture

di utilità generale coinvolgendo i privati nel finanziamento, in cambio di una parte

dei relativi introiti futuri.

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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO

88

Figura 3.13 – Schema tipico di project financing.

Il fatto che il progetto sia fisicamente distinto dagli altri investimenti dell’impresa

in una società autonoma (ring fence) fa sì che il finanziamento venga remunerato

attraverso i flussi di cassa generati dal progetto ( production payment financing) e

che vi sia una garanzia tangibile determinata dagli assets della società stessa; in

questo modo il   project financing può coprire tramite indebitamento la quasi

totalità degli investimenti iniziali. Spesso sono comunque previste garanzieaddizionali per i finanziatori, fra cui ad esempio il ‘completion bonding’ (ovvero la

garanzia di completamento del progetto anche in caso di problemi inizialmente non

previsti).

3.6 Altre forme di finanziamento

In quest’ultimo paragrafo sono presentati altri strumenti di finanziamento meno

diffusi, in parte assimilabili a titoli di debito (certificati di deposito, cambiali

finanziarie), in parte riconducibili a semplici operazioni di raccolta di liquidità

(leasing, factoring).

3.6.1 Certificati di deposito

Sono titoli che rappresentano una forma di raccolta di risorse finanziarie da parte

di alcune categorie di istituti di credito, simili ai libretti vincolati al portatore.

Sono delle ricevute rilasciate dall'istituto all'investitore a fronte di una somma di

denaro depositata per un periodo di tempo predeterminato. La scadenza del

certificato è nel medio termine (fra tre e sessanta mesi). Gli interessi sono

generalmente tassati al 27% per le persone fisiche e ciò rende poco appetibile

l’investimento per i risparmiatori. Il taglio minimo è abitualmente 1.000€.

Istituti

finanziatoriSPV Progetto

Finanziamento Finanziamento

Remunerazione Cash flows

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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO

89

3.6.2 Accettazioni bancarie e carte commerciali

Le accettazioni bancarie sono cambiali con scadenza inferiore ai 12 mesi in cui

un’impresa ordina a un istituto bancario di liquidare una certa somma in virtù di un

accordo preliminare. Tramite l’accettazione bancaria l’impresa sostituisce allapropria capacità di solvibilità quella dell’istituto bancario. L’accettazione può

essere ‘girata’ sul mercato con la clausola ‘senza garanzia’, per la quale la banca

accettante rimane l’unico obbligato al pagamento.

Le carte commerciali sono documenti per i quali la società emittente contrae un

debito a scadenza prefissata (generalmente inferiore a un anno) con un'altra società

a fronte di un finanziamento ottenuto. Contestualmente all'emissione del

documento, la società debitrice riceve una fideiussione da una banca, a favore

della società creditrice e di qualunque cessionario del credito. La carta

commerciale differisce dall’accettazione bancaria principalmente perché ilfinanziatore non è una banca o una società finanziaria bensì un'altra impresa. Gli

interessi sia per le accettazioni bancarie sia per le carte commerciali sono soggetti

ad una ritenuta fiscale del 27%.

3.6.3 Cambiali finanziarie e certificati di investimento

Introdotti nell’ordinamento giuridico italiano nel 1994, le cambiali finanziarie ed i

certificati di investimento rappresentano un nuovo strumento finanziario a

disposizione delle imprese.

Per quanto riguarda le cambiali finanziarie, il nome deriva dalla contemporaneaconsiderazione di due fattori: cambiale, perché si tratta di una vera e propria

cambiale, più precisamente un comunissimo vaglia cambiario, e finanziaria, perché

viene emessa dalle imprese per finanziarsi e non, come accade per le normali

cambiali, per pagare in via differita uno scambio commerciale.

Le cambiali finanziarie, al pari delle obbligazioni, consentono alle imprese che le

emettono di raccogliere risorse monetarie presso il pubblico dei risparmiatori. La

differenza rispetto alle obbligazioni è che non sono titoli a medio termine, ma di

breve scadenza. La loro durata è non inferiore a 3 mesi e non superiore ai 12 mesi.

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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO

90

Un altro aspetto che le diversifica rispetto alle obbligazioni è il taglio. Il valore

minimo delle cambiali finanziarie è di circa 50.000€. L’aliquota fiscale sugli

interessi è del 12,5% operata a titolo di imposta per le persone fisiche ed i fondi

comuni di investimento ed a titolo di acconto per le persone giuridiche.Le cambiali finanziarie sono trasferibili mediante girata con la clausola ‘senza

garanzia’, così liberando chi le cede dalla responsabilità dell’eventuale mancato

pagamento da parte dell’emittente.

Le società quotate possono emettere cambiali finanziarie semplicemente dopo il

via libera del consiglio di amministrazione evitando quindi il laborioso iter

necessario per lanciare un prestito obbligazionario. Le società non quotate possono

emettere cambiali finanziarie soltanto per il tramite di banche, imprese

assicuratrici ed altri intermediari finanziari autorizzati. Esse inoltre dovranno

prestare opportune garanzie (come una fideiussione per almeno il 50%dell’importo delle emissioni, che può determinare un maggior costo della raccolta

dallo 0,1% allo 0,5% in termini di tasso di remunerazione), nonché presentare

bilanci degli ultimi tre esercizi in utile.

Complessivamente il costo per l’emittente dipenderà dal rating dato dagli analisti

prima dell’emissione. Il controvalore massimo dei titoli emessi (comprensivo di

altre obbligazioni eventualmente già in circolazione) è dato dal patrimonio netto

dell’impresa risultante dall’ultimo bilancio.

I certificati di investimento sono del tutto simili alle cambiali finanziarie, salvo il

fatto che la loro durata è superiore all'anno.

3.6.4 Operazioni pronti contro termine (PCT)

L’operazione pronti contro termine (PCT) detta anche ‘prestito in riporto’

costituisce un accordo fra l’impresa che intende finanziarsi e un istituto

finanziario. L’accordo consiste nella cessione di titoli detenuti in portafoglio

dall’impresa all’istituto, che si impegna a rivenderli a scadenza (in genere entro

pochi mesi, ma a volte anche entro pochi giorni) all’impresa a condizioni

prefissate, che comprendono un margine di interesse per l’intermediario.

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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO

91

L’impresa si finanzia ottenendo liquidità in cambio di titoli, e rimborsa il

finanziamento a scadenza ricomprando i titoli stessi.

3.6.5 LeasingUn contratto di leasing è sostanzialmente un accordo di noleggio di un bene

strumentale (‘cespite’) che si protrae per un lungo periodo di tempo, con la

possibilità di riscatto dell’asset stesso a scadenza. Il proprietario del bene (lessor )

permette all’utilizzatore (lessee) di usufruire del bene in cambio del pagamento di

canoni periodici. Esistono moltissime tipologie di leasing. Nel leasing operativo il

lessor  si accolla il rischio di obsolescenza del bene e il lessee può recedere dal

contratto prima della scadenza, il che rende opportuno questo tipo di accordo per

fabbisogni di attrezzature per una breve durata. Nel leasing finanziario (che si

protrae per un periodo di tempo più prolungato e non può essere revocato primadella scadenza) è il lessee ad assumersi il rischio. Da questo punto di vista, il

leasing finanziario equivale a un prestito garantito per finanziare l’acquisto del

bene, e quindi a una forma di finanziamento.

I vantaggi del leasing oltre alla flessibilità possono essere anche di tipo fiscale,

attraverso la deducibilità del canone dal reddito d’impresa. Siccome infatti in

genere la durata del contratto di locazione è inferiore alla vita utile contabile del

cespite (in particolare per gli investimenti immobiliari), il leasing equivale ad un

ammortamento anticipato, ed ha quindi un effetto di riduzione delle imposte

rispetto all’acquisto del cespite. Vi è da dire comunque che in Italia l’evoluzionedella normativa fiscale ha reso sempre meno appetibile il leasing.

Il contratto di leasing può comprendere anche le spese di assicurazione e di

assistenza (  full service leasing) e in genere viene garantito da un intermediario.

Un’altra tecnica particolare è il ‘leasing addossè’, in cui la vendita del cespite è

effettuata alla società di leasing dallo stesso produttore che riceverà il bene in

locazione per poi affidarlo alla sua clientela retail. In tal modo il produttore offre

alla sua clientela un pagamento dilazionato, pur incassando in contanti dalla

vendita al lessor , che ha interesse ad avere come controparte il produttore,

piuttosto che la clientela diffusa. Inoltre, il produttore può utilizzare i fondi

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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO

92

incassati per ridurre il proprio debito (sale and lease back ) inserendo comunque il

canone di leasing fra le spese deducibili.

Un contratto di leasing si valuta ricorrendo ancora una volta alle tecniche DCF

(discounted cash flows). Si tratta di calcolare il valore attuale netto VAN delleasing, confrontato con l’investimento necessario per acquistare il bene,

comprendendo o meno l’eventuale prestito finanziario.

•  Il segnalibro

Il VAN (valore attuale netto) di un progetto di investimento è ampiamente trattato

nel Volume ‘Gestire le Risorse dell’Impresa’, Capitolo 4, Paragrafo 4.2.1.

A tal fine, è necessario tenere conto dei flussi di cassa differenziali del leasing 

rispetto all’acquisto del bene, e in particolare di quelli legati ai risparmi fiscali e aicosti annui di mantenimento.

•  Esempio

Una società produttrice di biscotti secchi ha bisogno di un furgone. Le alternative

sono due:

1)  acquistare il furgone, con un investimento iniziale di 25.000€; il veicolo può

essere ammortizzato nei cinque anni successivi, e si pensa di poterlo rivendere

al termine della campagna a 4.000€; ogni anno sarà necessario sostenere costi

assicurativi e imposte per un valore di 1.000€;

2)  stipulare un contratto di   full service leasing con una società, che a fronte del

pagamento di un canone annuo anticipato di 4.500€ per sei anni si prende

carico dei costi assicurativi e delle imposte; non vi è però possibilità di riscatto

del cespite.

Ipotizziamo che l’aliquota fiscale t c cui è soggetta l’impresa sul reddito annuale sia

pari al 45%, e che essa possa indebitarsi a qualsiasi scadenza futura ad un tasso r d  

del 7% annuo.

Confrontiamo i flussi di cassa associati alle due alternative:

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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO

93

* Acquisto del furgone: in questo caso l’ammortamento annuo è pari a (25.000€ / 

5) = 5.000€, e può essere dedotto dal reddito generando un risparmio fiscale annuo

pari al 45% dell’ammortamento (45% ⋅ 5.000€ = 2.250€).

t = 0 t = 1 t = 2 t = 3 t = 4 t = 5

Investimento iniziale –25.000

Risparmio fiscale +2.250 +2.250 +2.250 +2.250 +2.250

Costi annui –1.000 –1.000 –1.000 –1.000 –1.000

Risparmio fiscale +450 +450 +450 +450 +450

Plusvalenza +4.000

Imposta 45% –1.800

Flusso totale acquisto –25.000 +1.700 +1.700 +1.700 +1.700 +3.900

Si deve tenere conto però anche dei costi annui di mantenimento (che comunque

generano un secondo risparmio fiscale pari a 45% ⋅ 1.000€ = 450€) e della possibilità

di rivendere il furgone a scadenza (la plusvalenza però sarà tassata). Attenzione a

non considerare l’ammortamento come un flusso di cassa: si tratta di un costo non

cash!

* Leasing: in questo caso gli unici flussi sono generati dal pagamento del canone e

dal risparmio fiscale associato, pari a 45% ⋅ 4.500€ = 2.025€

t = 0 t = 1 t = 2 t = 3 t = 4 t = 5

Canone annuo –4.500 –4.500 –4.500 –4.500 –4.500 –4.500

Risparmio fiscale +2.025 +2.025 +2.025 +2.025 +2.025 +2.025

Flusso totale leasing –2.475 –2.475 –2.475 –2.475 –2.475 –2.475

Per confrontare le due alternative cominciamo a calcolare il flusso di cassa annuale

differenziale del leasing rispetto all’acquisto del furgone:

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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO

94

t = 0 t = 1 t = 2 t = 3 t = 4 t = 5

Flusso totale leasing –2.475 –2.475 –2.475 –2.475 –2.475 –2.475

– Flusso totale acquisto +25.000 –1.700 –1.700 –1.700 –1.700 –3.900

Flusso differenziale +22.525 –4.175 –4.175 –4.175 –4.175 –6.375

Possiamo ora calcolare il tasso interno di rendimento (TIR) associato alla scelta

del leasing rispetto all’acquisto del furgone. Il TIR deve verificare la seguente

uguaglianza:

0TIR)(1

6.375

TIR)(1

4.175

TIR)(1

4.175

TIR)(1

4.175

TIR)(1

 4.17522.525

5432=

+−

+−

+−

+−

+−+  

da cui si ricava:

TIR = 0,76%

Si può già intuire che il leasing è un’alternativa valida rispetto all’acquisto delfurgone, poiché un eventuale indebitamento per acquistare il furgone dovrebbe

essere remunerato invece ad un tasso effettivo netto k d pari a:

k d = r d  · (1 – t c) = 3,85%

che risulta più oneroso rispetto al costo relativo del leasing espresso dal TIR.

Per provare che il valore attuale netto (VAN) del leasing è positivo, considerando

un costo opportunità del capitale pari proprio a k d , bisogna calcolare:

VAN =5432 )(1

6.375

)(1

4.175

)(1

4.175

)(1

4.175)(1

4.17522.525

d d d d d  k k k k k  +−

+−

+−

+−

+−+  

VAN = 2.039€

In altre parole, il valore attuale del finanziamento tramite leasing è positivo,

rispetto all’alternativa del finanziamento con debito. Per provarlo, se ancora ce ne

fosse bisogno, si consideri il seguente indebitamento a cinque anni (dove ogni

anno viene liquidato un interesse r d  pari al 7% del capitale residuo, che genera un

risparmio fiscale pari al 45% dell’interesse stesso, e viene restituita una frazione

variabile del capitale):

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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO

95

t = 0 t = 1 t = 2 t = 3 t = 4 t = 5

Importo finanziato +20.486

Interessi annuali 7% –1.434 –1.197 –951 –695 –430

Risparmio fiscale +645 +539 +428 +313 +193Rimborso capitale –3.386 –3.517 –3.652 –3.793 –6.138

Capitale residuo 20.486 17.100 13.583 9.931 6.138 / 

Flusso annuo netto +20.486 –4.175 –4.175 –4.175 –4.175 –6.375

Si osservi che il prestito è stato concepito proprio per generare flussi di cassa

annuali equivalenti (per t = 1, …, 5) a quelli associati alla scelta del leasing. Vi è

una sola differenza: l’importo iniziale finanziato, a parità di flussi ripagati negli

anni successivi, è pari a 20.486€. Attraverso il leasing invece era possibile farsi

finanziare, allo stesso costo, un importo iniziale più elevato, pari a 22.525€.Il maggior valore del leasing è dunque pari a (22.525 – 20.486) = 2.039€ che non a

caso coincide con il VAN del leasing.

Riassumendo i risultati, quindi, il leasing è decisamente conveniente rispetto

all’acquisto del bene; sarebbe molto più oneroso per l’impresa finanziare

l’investimento con il debito. Non vi sarebbe convenienza se l’impresa potesse

finanziare l’acquisto del cespite con debito ad un tasso netto dello 0,76%, che

equivale ad un interesse annuo lordo dell’1,38%.

3.6.6 Factoring

Il factoring, disciplinato in Italia dalla Legge 52/1991, consiste nella delega della

riscossione dei crediti commerciali e finanziari vantati dall’impresa a una società

specializzata ( factor ) che deve essere iscritta in un apposito albo presso la Banca

d’Italia. L’impresa cede i propri crediti al  factor , che provvede a riscuoterli,

anticipando all’impresa una somma compresa fra il 70% e l’80% del valore di

rimborso dei crediti. Il contratto di factoring può essere del tipo ‘ pro solvendo’ (in

questo caso l’impresa sopporta in proprio il rischio di eventuali insolvenze) oppure

del tipo ‘ pro soluto’ (in questo caso la società di  factoring si assume il rischio di

insolvenza dei crediti). La commissione fissata dal factor varia fra l’1% e il 2% del

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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO

96

valore facciale del credito, oltre al costo degli interessi sull’anticipazione del

credito.

Un accordo di  factoring solleva l’impresa dal doversi occupare della riscossione

dei crediti, può garantire una copertura assicurativa contro le insolvenze e permettedi liquidare immediatamente una frazione dei crediti in portafoglio, come una vera

e propria operazione di finanziamento.

3.6.7 Securitization

La securitization è la trasformazione di particolari classi di crediti vantati

dall’impresa in titoli finanziari (‘cartolarizzazione’). I crediti sottostanti sono in

genere di tipo finanziario (ad esempio canoni su contratti di leasing, interessi su

mutui, crediti generati dall’utilizzo di carte di credito); possono prevedere

l’esistenza di garanzie reali sul rimborso ed, eventualmente, sul pagamento diinteressi. Le tecniche operative con cui si procede alla trasformazione dei crediti in

titoli sono due: (i) il modello  pay-through e (ii) il modello  pass-through. La

procedura  pay-through prevede innanzitutto la cessione dei crediti ad una società

ad hoc di apposita costituzione, che si finanzia tramite l’emissione di titoli di

debito sul mercato. In tal modo il rischio relativo al portafoglio di crediti viene

‘isolato’ dal resto delle attività del creditore; questo consente di stabilire con

precisione un rating del portafoglio crediti. La procedura  pass-through differisce

dalla precedente solo perché i titoli non vengono ceduti, ma depositati presso la

società di nuova istituzione.

Figura 3.14 – Schema di securitization.

Il processo di securitization è simile al processo di factoring: anche in questo caso

i crediti vengono ‘trasformati’ in liquidità attraverso una loro cessione, o deposito,

Istitutocreditore

Societàad hoc

Investitori

Liquidità

Crediti

Liquidità

Titoli di debito

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3. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI DEBITO

97

presso una società ad hoc. Anch’esso si configura dunque come una forma di

finanziamento.

•  Il puntoAbbiamo passato in rassegna diverse forme alternative di finanziamento, rispetto

all’emissione di titoli obbligazionari o al debito bancario. Alcune si basano

sull’emissione di titoli sul mercato (certificati di deposito, cambiali finanziarie, …)

mentre altre sono contratti che permettono all’impresa di ridurre il capitale

immobilizzato (leasing, factoring, securitization, …).

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98

4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

In questo capitolo viene affrontato il tema della raccolta di capitale azionario evengono analizzati i modelli di valutazione dell’equity. Definiamo come raccolta di

capitale azionario, o capitale di rischio, un’operazione di finanziamento nella quale

vengono emessi titoli azionari, che rappresentano titoli di proprietà del capitale

dell’impresa, e non offrono una remunerazione contrattualmente stabilita, ma anzi

residuale rispetto alla produzione del reddito.

4.1 Tipologie di titoli azionari e modalità di imposizione fiscale

I titoli azionari si differenziano per le modalità di riscossione del dividendo, e di

esercizio del potere di voto in assemblea. In particolare, è possibile distinguere fraazioni con diritto di voto pieno (in Italia le azioni ordinarie) e azioni a diritto di

voto limitato (in Italia le azioni privilegiate e di risparmio, così come le actions à

dividende prioritaire in Francia, le Vorzugsaktien in Germania, le  preference

shares in Gran Bretagna). Un caso a parte è costituito dalle azioni delle società

cooperative (ad esempio le banche popolari) in cui il diritto di voto non è

proporzionale, ma ad ogni azionista è associato un voto indipendentemente dal

numero di titoli posseduti. Fuori dal nostro paese, esistono da tempo anche azioni

cosiddette ‘superior voting’ a cui vengono associati più voti rispetto alle azioni

ordinarie (è il caso delleactions à vote double

in Francia e delle A-aktier 

inSvezia).

Alle azioni ordinarie compete pro-quota la riscossione del dividendo e il potere di

voto nell’assemblea dei soci sia ordinaria (in cui viene approvato il bilancio e

vengono nominati gli amministratori) sia straordinaria (in cui vengono decise

operazioni di finanza straordinaria quali aumenti di capitale, fusioni, scissioni).

Alle azioni privilegiate compete il diritto di voto solo nell’assemblea straordinaria;

per contro, ad esse viene in genere garantito un privilegio (misurato in percentuale

sul valore nominale del titolo) nella distribuzione degli utili.

Le azioni di risparmio non prevedono alcun diritto di voto nelle assemblee

societarie. Per contro, oltre al beneficio del privilegio, prevedono in genere una

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

99

maggiorazione nella distribuzione del dividendo (sempre misurata in percentuale

sul valore nominale). In alcuni casi possono essere convertite in azioni ordinarie a

discrezione del detentore. Un terzo beneficio possibile è la cumulabilità del

privilegio, per cui se in un certo esercizio annuale l’impresa non è in grado di

assicurare il privilegio agli azionisti, deve tenerne conto nell’esercizio successivo,

liquidando i privilegi accumulati negli esercizi precedenti. La definizione dei

benefici specifici associati alle azioni privilegiate e di risparmio è contenuta nello

Statuto sociale dell’impresa1.

La Tabella 4.1 riporta i valori di privilegio e maggiorazione per alcuni titoli quotati

sulla Borsa Italiana al 1/9/2010.

Tabella 4.1 – Privilegio e maggiorazione per alcuni titoli azionari quotati sulla Borsa

 Italiana al 1/9/2010.

Titolo Valore nominale Privilegio Maggiorazione

Exor privilegiate 1€ 5,17% n.e.

Fiat privilegiate 5€ 6,20% n.e.

Unipol privilegiate 1€ 7% 1% a 

Pirelli & c. risparmio 0,52€ 7% 2%

Edison risparmio 1€ 5% 3%

Italcementi risparmio 1€ 5% 3%

Telecom Italia risparmio 0,55€ 5% 2%

Unicredit risparmio 0,50€ 5% 3%

Banco di Desio e della Brianza risparmio 0,52€ 7% 20% b a Prevista da Statuto sociale.b In percentuale non sul valore nominale, ma sul dividendo distribuito agli azionisti

ordinari. 

1 Il D.L. 58/1998 (‘Testo Unico dei Mercati Finanziari’) ha abolito alcune norme che finoad allora stabilivano in modo inderogabile il contenuto minimo del privilegio e dellamaggiorazione. La riforma del diritto societario (D.L. 6/03 entrato in vigore il 1/1/2004noto come ‘Riforma Vietti’) ha ulteriormente concesso gradi di libertà alle impresenell’emissione di azioni con caratteristiche differenziate. È stata introdotta anche la

possibilità di istituire un ‘patrimonio separato’ emettendo azioni dedicate ad uno specificoaffare, isolandolo dal resto delle attività.

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

100

Mentre il privilegio è un beneficio in termini di ‘priorità’ nella distribuzione

dell’utile (se il profitto è sufficiente, nulla impedisce che il dividendo distribuito ad

azionisti ordinari e privilegiati sia lo stesso), la maggiorazione è un beneficio

‘quantitativo’ nel senso che il dividendo pagato agli azionisti di risparmio deve

essere sempre strettamente maggiore di quello pagato agli azionisti ordinari. La

Figura 4.1 riporta il dividendo che può essere distribuito ad un titolo azionario di

risparmio rispetto al corrispondente titolo ordinario, in funzione del monte

dividendi dell’impresa.

Si può notare che finché non viene assicurato il privilegio alle azioni di risparmio,

non è possibile distribuire dividendi alle azioni ordinarie. Successivamente, può

essere remunerata anche l’azione ordinaria, salvo mantenere una differenza fra i

dividendi pari alla maggiorazione. Per le azioni privilegiate il meccanismo è

identico nella prima parte, ma come già detto nessuno impedisce che, se il monte

dividendi è sufficientemente elevato, la remunerazione delle azioni ordinarie e

delle azioni privilegiate sia la stessa (essendo la maggiorazione nulla per i titoli

privilegiati).

Figura 4.1 – Il dividendo distribuibile ad azionisti ordinari e di risparmio, in funzione del

monte dividendi.

Dividendoper azione

Monte dividendi

Privilegio

Maggiorazione

Azione diRisparmio

AzioneOrdinaria

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

101

Può quindi risultare controintuitiva l’evidenza empirica che molte delle azioni di

risparmio quotate in Italia siano scambiate a prezzi di borsa significativamente

inferiori rispetto alle azioni ordinarie. Come già affermato nel Capitolo 2, questa

evidenza viene associata all’esistenza di un ‘valore del controllo’ abbinato al diritto

di voto in assemblea accanto ad un valore ‘reddituale’ dell’impresa abbinato al

pagamento dei dividendi.

•  Il punto

I titoli azionari sono titoli di proprietà del capitale e sono remunerati residualmente

rispetto agli altri contratti finanziari. Si differenziano per il diritto di voto in

assemblea (pieno, limitato o nullo) e per eventuali privilegi o maggiorazioni nella

distribuzione dei dividendi.

Per quanto riguarda l’imposizione fiscale, essa colpisce: (i) i dividendi associati ai

titoli azionari e (ii) l’eventuale plusvalenza maturata dalla vendita dei titoli stessi.

Fino al 2003, i dividendi venivano tassati secondo il meccanismo del credito

d’imposta. Il credito d’imposta era un’agevolazione concessa a chi percepisce

dividendi, dal momento che essi hanno già subito a monte un’imposizione fiscale

in capo all’impresa. Serviva dunque ad evitare una ‘doppia tassazione’ sullo stesso

reddito.

Il regime fiscale attualmente in vigore in Italia distingue tre casi, a seconda della

tipologia di azionista che riceve il dividendo:1)  società di capitale; viene accordata un’esenzione sul 95% del dividendo

ricevuto e in questo caso rientra nella base imponibile solo il 5% del dividendo

stesso; vi è quindi una piccola ‘doppia tassazione’2;

2)  società di persone; viene accordata un’esenzione solo sul 60% del dividendo

ricevuto; vi è quindi una ‘doppia tassazione’ più rilevante rispetto al caso

precedente;

2

La doppia tassazione può essere evitata nei gruppi di imprese attraverso il meccanismo del‘consolidato fiscale’. In tal caso i dividendi infra-gruppo sono del tutto esenti da tassazione.

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

102

3)  persona fisica; si applica l’imposta sostitutiva (‘cedolare secca’); se però la

partecipazione azionaria è classificata come ‘qualificata’3 viene applicato il

trattamento previsto per le società di persone (punto 2).

La ‘cedolare secca’ è una ritenuta alla fonte, pari attualmente al 12,5%, che viene

applicata al momento del pagamento del dividendo. Si riceve dunque il dividendo

al netto della ritenuta (versata direttamente al Fisco dalla società partecipata) e tale

reddito non deve essere iscritto nella Dichiarazione annuale dei redditi, e non va

quindi ad assommarsi agli altri profitti imponibili.

La plusvalenza (capital gain) matura invece nel momento in cui un investitore cede

un titolo ad un valore più elevato rispetto a quello di acquisizione. Le modalità di

tassazione sono complesse e dipendono dal regime fiscale scelto dall’investitore,

ma in generale viene applicata un’imposta del 12,5% (27% per cessioni di

partecipazioni ‘qualificate’) sulla differenza fra prezzo di vendita e prezzo di

acquisizione. Le plusvalenze possono essere compensate con eventuali

minusvalenze, derivanti dalla vendita di titoli ad un prezzo inferiore rispetto a

quello di acquisizione.

Con l’obiettivo di incentivare gli investimenti nel capitale di rischio, da qualche

anno in Italia è in vigore il regime della ‘ participation exemption’ in base al quale

gli investitori che detengono in portafoglio una partecipazione azionaria per più di

18 mesi sono esentati dall’imposta sulle plusvalenze al momento della successiva

cessione, sotto alcune condizioni.

•  Il punto

L’imposizione fiscale sui titoli azionari si manifesta sui dividendi (con modalità

differenti a seconda di chi percepisce il dividendo stesso) e sui capital gain.

4.2 La valutazione dei titoli azionari

Sotto un certo punto di vista, un titolo azionario è simile ad un titolo

obbligazionario. Mentre a quest’ultimo è associato il pagamento di una serie di

3

Una partecipazione è definita ‘qualificata’ se corrisponde ad almeno il 2% del capitale perun’impresa quotata, ed il 20% del capitale per un’impresa non quotata.

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

103

flussi di cassa, contrattualmente stabiliti, ad un’azione è associato il pagamento di

dividendi, nella misura in cui l’impresa realizza profitti. La differenza sta nel fatto

che i dividendi non sono contrattualmente stabiliti, ma possono essere conosciuti

solo in valore atteso, e quindi con un certo grado di aleatorietà.

Anche per la valutazione dei titoli azionari possiamo ricorrere quindi in prima

battuta alle tecniche DCF (discounted cash flows) salvo tenere conto del fatto che

non possiamo utilizzare il tasso r  f  risk free di mercato nell’attualizzazione, ma un

opportuno tasso k , ovvero il costo del capitale azionario, che comprende un premio

per il rischio ∆r :

k = r  f + ∆r  

Nei modelli di valutazione di seguito introdotti, in genere, si ipotizza che idividendi  DIV t  (t  = 1, 2, …, n) siano distribuiti con cadenza annuale e, in

particolare, che il primo dividendo venga distribuito esattamente a un anno di

distanza dal momento in cui viene effettuata la valutazione (si veda la Figura 4.2). 

Vale la pena sottolineare, però, che anche in Italia è diventata prassi da pochi anni

(così come accade normalmente negli USA) che le società quotate in Borsa

distribuiscano durante l’anno porzioni di dividendi a titolo di acconto su quello

approvato definitivamente a chiusura dell’esercizio.

Figura 4.2 – I dividendi attesi associati ad un titolo azionario. 

 DIV 1 DIV 2 … DIV t -1 DIV t  

Anno 1 2 t 

Istante 0 1 2 ... t -1 t 

Si noti che in linea di principio il tasso k , in sintonia con quanto visto per i titoli

obbligazionari, dovrebbe essere diverso per i vari istanti t in cui vengono distribuiti

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

104

i dividendi; nonostante questo, di solito, si considera per semplicità un tasso

costante. Esso rappresenta il costo del capitale azionario dell’impresa, la cui

individuazione viene ripresa approfonditamente nel Paragrafo 4.3.3. Per ora ci

limitiamo a dire che rappresenta il rendimento annuale richiesto in equilibrio dal

mercato ai titoli azionari dell’impresa, in funzione del suo rischio.

4.2.1 La formula Dividend-Discount-Model (DDM)

Per ricavare una prima formula di valutazione dei titoli azionari si osservi che il

prezzo di un’azione, in un generico istante, deve essere uguale al valore attuale dei

flussi di cassa futuri ad essa associabili. Se ad esempio pensiamo di acquistare il

titolo oggi e di mantenerlo in portafoglio per un anno, incassando quindi il

dividendo atteso all’istante 1 DIV 1 e rivendendo immediatamente dopo l’azione, il

prezzo P0 dell’azione all’istante 0 deve essere uguale alla somma del valore attuale

del dividendo e del prezzo atteso dell’azione P1 all’istante 1:

)(111

0k 

P DIV P

++

=  

La formula precedente può essere utile anche per determinare ex post il rendimento

effettivo r associato al possesso di un titolo azionario (concettualmente diverso da

k ). La differenza nell’approccio è la seguente: nel primo caso si determina il prezzo

di equilibrio odierno dell’azione sulla base delle aspettative future e del rendimentoatteso k , mentre invece nel secondo caso sulla base dei prezzi effettivi osservati sul

mercato si determina il rendimento passato r :

0

1

0

1

P

PP

P

 DIV r  0−

+=  

È interessante osservare che il rendimento effettivo è composto da due parti; la

prima (il dividendo percentuale rispetto al prezzo iniziale) viene chiamata

‘dividend yield ’ mentre la seconda (l’incremento di prezzo percentuale) viene

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

105

chiamata ‘capital gain’. Mentre il dividend yield  è sempre positivo, nessuno ci

assicura altrettanto sul capital gain, e quindi anche il rendimento effettivo potrebbe

rivelarsi negativo (non per niente i titoli azionari sono rischiosi!). Alcune volte il

capital gain non viene misurato in termini percentuali, ma in valore logaritmico.

L’utilità sta nel fatto che i rendimenti logaritmici si possono sommare, mentre

quelli percentuali no:

0

0T

1-T

1-TT

2

23

1

12

0

01 ...P

PP

P

PP

P

PP

P

PP

P

PP −≠

−++

−+

−+

− 

 

  

 =

 

  

 ++

 

  

 +

 

  

 +

 

  

 

0

T

1-T

T

2

3

1

2

0

1 lnln...lnlnlnP

P

P

P

P

P

P

P

P

Infatti, se il valore di un titolo sale in termini percentuali del 50% in un anno, e poil’anno successivo scende in termini percentuali del 50%, non si può dire che

sull’arco di due anni la sua variazione di prezzo sia nulla (sarà invece pari a –25%).

Lo si può dire invece se il rendimento è misurato su base logaritmica.

Proviamo ora a considerare quale sarà all’istante t = 1 il prezzo atteso dell’azione

P1, ipotizzando di riacquistarla subito appena dopo il pagamento del dividendo

 DIV 1, di mantenerla per altri 12 mesi, di incassare il dividendo atteso  DIV 2 e di

rivenderla appena dopo al prezzo atteso P2:

P DIV P

++=

122

1  

Il prezzo dell’azione all’istante 0, di conseguenza, può essere espresso in funzione

dei dividendi attesi fino all’istante 2 e del prezzo atteso dell’azione all’istante 2:

( )2k 

P DIV 

 DIV P

+

++

+=

11221

0  

Generalizzando si ottiene un primo modello di valutazione dei titoli azionari:

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

106

( ) ( )T 

T T 

t t 

P

 DIV P

++

+= ∑

= 1110  

Secondo questo modello le determinanti del valore di un’azione sono perciò tre:a)  la successione dei dividendi attesi futuri DIV t nel periodo da 1 a T ;

b)  il prezzo atteso dell’azione PT  all’istante T ;

c)  il rendimento di mercato k richiesto dagli investitori.

Chiaramente il peso del valore dei dividendi futuri diminuisce quanto più si dilata

l’orizzonte temporale T .

•  Esempio

Vogliamo determinare il prezzo di equilibrio per un titolo azionario, che

presumibilmente distribuirà questa serie di dividendi: DIV 1 = 0,30€  DIV 2 = 0,33€  DIV 3 = 0,35€

Si stima che al tempo T =3 il titolo potrà essere venduto al prezzo di 25€. Il costo

del capitale k è pari al 12%. Applicando la formula precedente:

( ) ( )T 

T T 

t t 

P

 DIV P

++

+= ∑

= 1110 =

332 (1,12)

25

(1,12)

0,35

(1,12)

0,33

(1,12)

0,30+++ = 18,575€

Il procedimento che ci ha portato a un primo modello di valutazione dei titoli

azionari può essere ripetuto fino ad arrivare ad un tempo infinito, come se

l’investitore decidesse di non vendere mai il titolo ma di mantenerlo

indefinitamente in portafoglio. Si ottiene quindi un secondo modello noto come

 Dividend-Discount-Model (DDM) :

∑∞

= +=

10

)1(t t 

 DIV P  

Il modello rappresenta P0 come la somma dei contributi in valore attuale di tutti i

dividendi attesi nel futuro. In realtà è inverosimile pensare di disporre di stime del

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

107

flusso di dividendi su un orizzonte temporale infinito come richiesto dal DDM;

generalmente sono disponibili previsioni attendibili (consensus) della crescita dei

dividendi nel breve periodo (3-5 anni) elaborate periodicamente da società operanti

nel campo dei servizi finanziari (tra le più note Value Line Investment Survey e

  Institutional Brokers Estimate System-IBES). Il problema che affronta analista

finanziario è perciò la stima dell’andamento dei dividendi distribuiti nel lungo

periodo. Tipicamente esso viene affrontato ipotizzando delle regolarità

nell’andamento dei dividendi, ovvero dei cosiddetti ‘sentieri di crescita’. La

difficoltà diventa quindi quella di stimare il tasso di crescita percentuale annuale gt  

dei dividendi:

1

1

−−=

t t t 

 DIV 

 DIV  DIV g  

Sono stati proposti vari sentieri di crescita che applicati al DDM permettono di

ottenere un’espressione del prezzo di un’azione in forma chiusa.

4.2.2 Il modello di Gordon & Shapiro

Il sentiero di crescita dei dividendi proposto da Gordon e Shapiro (1962) è il primo

tentativo di rendere operativo il modello DDM. Le ipotesi alla base di questo

modello sono le seguenti: (i) la crescita dei dividendi gt   è costante per l’intero

orizzonte temporale(gt  = g); (ii) il tasso di crescita dei dividendi g è strettamenteminore del tasso di attualizzazione k (k > g).

Sulla base di queste ipotesi, secondo il modello di Gordon e Shapiro, il valore di

una azione risulta essere pari a:

gk 

g DIV 

gk 

 DIV P

−+⋅

=−

=)1(01

0 con k > g.

La formula si può dimostrare ricorrendo alla proprietà della serie geometrica:

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

108

( ) ( )K+

++

++

+=

32k 

 DIV 

 DIV 

 DIV P

111321

0  

P0 =( )

( )

( )

( )K+

+

+⋅+

+

+⋅+

+ 3

2111

1

1

1

1

1 k 

g DIV 

g DIV 

 DIV 

2

 ( )

( )∑∞

= ++

+⋅=

0 11

1

1

t  t 

g DIV   

Se è verificata l’ipotesi che k sia maggiore di g, la serie geometrica converge:

( )

( )∑∞

=++

+

0 1

1

t 1t 

g=

gk  −1

 

e il prezzo del titolo risulta pari a:

gk 

g DIV 

gk 

 DIV P

+⋅=

−=

)1(010  

Dalla formula di Gordon e Shapiro risulta chiaro che le determinanti del valore di

un titolo azionario sono tre:

1)  la redditività corrente, espressa dal dividendo DIV 0;

2)  il sentiero di crescita della redditività stessa, sintetizzato da g;

3)  il costo del capitale k associato all’azione.

Il principale problema relativo all’applicazione del modello di crescita di Gordon eShapiro è legato alla stima del tasso di crescita g. In primo luogo non è certamente

entusiasmante immaginare che esso rimanga costante. In secondo luogo il valore

del titolo che si ricava è estremamente sensibile al tasso g scelto: in particolare al

convergere del tasso di crescita al tasso di attualizzazione k , il prezzo tende

all’infinito.

4.2.3 Il modello di Fuller & Hsia 

Il modello di Fuller e Hsia (1984) ipotizza un sentiero di crescita dei dividendi più

realistico rispetto al modello di Gordon e Shapiro. Il prezzo da pagare per questo

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

109

maggiore realismo è la precisione: il modello di Fuller e Hsia, infatti, è un modello

approssimato.

Il modello ipotizza che il tasso di crescita dei dividendi corrente g0 decresca

linearmente in un intervallo transitorio di tempo pari a T anni fino ad un livello gT ,

tasso costante di lungo periodo (si veda la Figura 4.3).

Può essere la situazione di un’impresa che si trova in una situazione di vantaggio

competitivo temporaneo (quindi genera extra-profitti) ma tale vantaggio è destinato

ad essere eroso gradualmente nel tempo dalle forze competitive di mercato.

•  Il segnalibro

Il concetto di ‘vantaggio competitivo’ è ampiamente discusso nel volume ‘Gestire

le Risorse dell’Impresa’, Capitolo 5, Paragrafo 5.2.1. Nello stesso capitolo è

introdotto il modello delle ‘5 forze competitive’ di Porter.

Il sentiero di crescita dei dividendi è così descritto (si veda la Figura 4.3):

 DIV t = DIV t -1 · (1 + g0 )( T 0 ggT 

t −⋅− ) t = 1, … T  

 DIV T+j = DIV T+j-1 · (1 + gT ) j   j = 1,2,3, …, ∞ 

Figura 4.3 - Sentiero del tasso di crescita dei dividendi nel modello di Fuller-Hsia.

gt  

g0 

gT  

0T t 

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

110

Sulla base di queste ipotesi secondo il modello di Fuller e Hsia il valore di una

azione risulta essere pari a:

)( )()1(T 

T 00

T 00

gk gg DIV 

2T 

gk g DIV P − −⋅⋅+− +⋅=  

Si può notare che se T = 0 o se g0 = gT (assenza di transitorio) la formula di Fuller e

Hsia coincide con quella di Gordon e Shapiro. Va evidenziato che i dividendi sono

sempre crescenti nel tempo, anche nel lungo periodo: ciò che si riduce e si

stabilizza è il loro tasso di crescita. Si può osservare quindi che il prezzo del titolo è pari alla somma di due termini. Il

primo addendo è pari a una perpetuity con crescita costante gT (tasso di crescita dei

dividendi di lungo periodo); il secondo addendo rappresenta un premio dovuto alladifferenza tra g0 e gT , proporzionale a T  /2.

•  Esempio

Un titolo azionario ha appena distribuito un dividendo DIV 0 pari a 2€. Sapendo che

il costo del capitale di rischio k  è pari al 15%, vogliamo determinare il prezzo

teorico del titolo nei due casi:

(i)  il dividendo crescerà ancora con un tasso costante annuo g pari al 4%;

(ii)  il dividendo è finora cresciuto con un tasso g0 pari al 4%, destinato però a

ridursi nel giro di sei anni ad un livello gT del 2%.Nel primo caso basta applicare la formula di Gordon e Shapiro:

gk 

g DIV 

gk 

 DIV P

+⋅=

−=

)1(010 = 18,909€

Nel secondo caso applichiamo la formula di Fuller e Hsia:

)(

)()(

T 00

T 00

gk 

gg DIV 

2

gk 

g1 DIV P

−−⋅

⋅+−

+⋅= = 16,615€

Ovviamente il prezzo trovato nel secondo caso è minore, poiché l’ipotesi sulla

distribuzione dei dividendi risulta pessimistica rispetto al primo caso.

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

111

In conclusione il modello di Fuller e Hsia si adatta a quelle aziende che stanno

crescendo rapidamente ma per le quali ci si attende una graduale riduzione della

crescita, ad esempio a causa dell’attenuarsi dei vantaggi competitivi rispetto ai

propri concorrenti.

Modelli più complessi possono essere concepiti ipotizzando sentieri alternativi di

crescita dei dividendi. Comunque, nessuno di loro sarà adeguato per la stima del

valore di titoli di imprese che distribuiscono inizialmente dividendi bassi o nulli, o

che per scelta aziendale preferiscono reinvestire i profitti senza pagare dividendi.

•  Il punto

Il prezzo di mercato di un titolo azionario può essere individuato come la

sommatoria attualizzata dei suoi dividendi attesi. Il tasso di attualizzazione è il

costo del capitale di rischio. In questo paragrafo abbiamo visto le formule dautilizzare nel caso in cui i dividendi seguano diversi percorsi di crescita.

4.2.4 Modelli basati sulla profittabilità dell’impresa

I modelli appartenenti a questa categoria rappresentano il tentativo di rendere

operativo il DDM di base attraverso delle ipotesi di regolarità sull’andamento della

profittabilità dell’impresa. La loro caratteristica peculiare è che permettono di

calcolare il valore di un titolo azionario in funzione dei principali indici

economico-finanziari, superando la visione d’impresa come black box che era alla

base dei modelli basati sulla crescita dei dividendi.È opportuno definire le principali variabili che saranno coinvolte nell'analisi:

 Bt   = book equity per share al tempo t : si tratta del patrimonio netto contabile per

azione, misurato come stock disponibile alla fine del periodo t ;

 EPSt = earnings per share atteso nel periodo t : si tratta dell’utile netto contabile per

azione;

 DIV t = dividendo unitario atteso nel periodo t ;

 ROE t  = return on equity nell'anno t : si tratta del rapporto fra utile netto generato in

un esercizio contabile e patrimonio netto esistente alla fine del periodo precedente,

o se si preferisce del rapporto fra EPSt e Bt -1;

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

112

PRt  = coefficiente di distribuzione degli utili ( payout ratio): si tratta del rapporto

fra monte dividendi e utile netto (o se si preferisce fra DIV t e EPSt );

ht = coefficiente di ritenzione degli utili ( ploughed-back ratio): si tratta del rapporto

fra utile netto accantonato a riserva e utile netto (è quindi il complemento a uno

rispetto a PRt );

gt = tasso di crescita dei dividendi nel periodo t .

Rispetto alle definizioni date, vale la seguente relazione, che indica come l’utile

netto generato nel periodo t  dipenda dal patrimonio netto esistente nel periodo

precedente e dalla redditività del capitale:

1−⋅= t t t   B ROE  EPS  

Inoltre, alla fine dello stesso periodo, la quota parte degli utili distribuita agliazionisti sotto forma di dividendi è pari a:

)1()1( 1 t t t t t t  h B ROE h EPS DIV  −⋅⋅=−⋅= −  

Se ipotizziamo che l’unica fonte di finanziamento per l’impresa sia costituita dagli

utili trattenuti, l’incremento del patrimonio netto da un periodo all’altro è

determinato solo dal reinvestimento parziale dei profitti:

t t t t t t   EPSh DIV  EPS B B ⋅=−=− −1  

In base alle ipotesi adottate sull’andamento nel tempo di  ROE t  e PRt , è quindi

possibile determinare la dinamica di crescita dei dividendi.

Ad esempio, la cosa più facile da immaginare in prima istanza è che i due

parametri, che rispettivamente rappresentano la redditività attesa del capitale e la

politica dei dividendi, siano costanti nel tempo (quindi ROE t  = ROE , PRt  = PR e

ht = h per ogni t ). Se vale questa ipotesi si può dimostrare che il tasso di incremento

dello stock di patrimonio netto, dell’utile netto e dei dividendi è identico:

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

113

g =t 

t t 

t t 

t t 

 EPS

 EPS EPS

 EPSPR

 EPS EPSPR

 DIV 

 DIV  DIV  −=

−⋅=

− +++ 111 )( 

g =t 

t t 

 EPS

 EPS EPS −+1 =1

1

1

1)(

− −=

−⋅

t t 

t t 

 B

 B B

 B ROE 

 B B ROE  

Ma vale anche:

g =  ROE h B

 EPSh

 B

 B B

t t  ⋅=⋅

=−

−−

11

1  

Sulla base di queste ipotesi il valore P0 del titolo azionario risulta essere pari a:

( ) ( )

 ROE hk 

 ROE  Bh

 ROE hk 

 EPSh

gk 

 DIV P

⋅−⋅⋅−

=⋅−⋅−

=−

= 0110

11con k > g ROE, h costanti

La relazione precedente può essere riscritta anche nella seguente forma:

P0

 

  

 ⋅−

−⋅

 

  

 ⋅=

 ROE h

h

 ROE  B0

1

1( k > h · ROE )

Dunque, affinché il prezzo dell'azione di una impresa sia superiore al suo valore di

libro  B0 occorre che la redditività del capitale sia superiore al tasso di

attualizzazione richiesto dal mercato ( ROE > k ). Se rappresentiamo tale formula sul

grafico di Figura 4.4 otteniamo la relazione della ‘linea del valore’, che evidenzia

come il valore delle azioni di un’impresa dipendano dalla politica di ritenzione

degli utili e dalla redditività del capitale ROE .

Ovviamente il prezzo aumenta all’aumentare della profittabilità dell’impresa,

espressa da ROE . In presenza di extra-profittabilità ( ROE > k ) è inoltre conveniente

trattenere più utili per cogliere le opportunità di investimento; al crescere di h 

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

114

l’impresa decide di trattenere una quota superiore di utili, e il prezzo del titolo

tende ad esplodere (il limite è dato dal valore  ROE/k  = 1/ h oltre il quale la

sommatoria dei dividendi attualizzati non converge più al valore determinato, in

quanto g = h  ·  ROE > k ). In assenza di extra-profittabilità (quindi  ROE  = k ) la

politica dei dividendi è del tutto irrilevante (come Modigliani e Miller avevano

pronosticato, dal momento che il rendimento del capitale dell’impresa è uguale a

quello richiesto dagli azionisti). Inoltre, se la redditività del capitale è inferiore a

quella richiesta dal mercato ( ROE < k ), la Figura 4.4 mostra che trattenere degli

utili distrugge parte del valore.

Figura 4.4 – La ‘linea del valore’: il prezzo P0 di un’azione in funzione della redditività e

della politica dei dividendi.

Infine, si nota che il prezzo dell'azione per un’impresa che decide di non crescere

(h = g = 0) è pari semplicemente al valore attuale di una perpetuity in cui il singolo

flusso di cassa è pari all’utile corrente EPS1.

•  Il punto

Il valore di un titolo azionario può essere espresso anche in funzione della

redditività del capitale dell’impresa; in particolare, se il capitale aumenta grazie al

 ROE  

P0 

h = 0

1 1/ h 

 B0 

h > 0

h ↑ 

h ↑ 

0

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

115

reinvestimento di parte degli utili, anche i dividendi futuri possono crescere.

Questa condizione non è però sufficiente affinché il prezzo dell’azione cresca:

infatti, è necessario che la redditività dell’impresa sia superiore al costo del capitale

richiesto dagli azionisti. In altre parole, è necessario che l’impresa generi extra-

profitti.

4.2.5 Il valore attuale dell’opportunità di crescita (VAOC)

Il prezzo di equilibrio P0 determinato in precedenza – sempre con ROE e h costanti

– può essere scomposto in due parti:

( ) ( )

 ROE hk 

 ROE  Bh

 ROE hk 

 EPShP0 ⋅−

⋅⋅−=

⋅−⋅−

= 01 11=

)(

)(11

 ROE hk k 

k  ROE  EPSh

 EPS

⋅−⋅

−⋅⋅+  

La prima componente è una perpetuity che fornisce il valore attualizzato degli utili

futuri in assenza di crescita, la seconda componente sintetizza il valore attuale delle

opportunità di profittabilità futura. Chiameremo la prima componente ‘valore in

assenza di crescita’ e la seconda ‘valore attuale dell’opportunità di crescita’ VAOC 

(‘ present value of growth opportunity’, PVGO).

Nel modello specifico, affinché il valore di un’azione di un’impresa sia superiore al

suo ‘valore in assenza di crescita’ devono essere verificate le due seguenti

condizioni:

•  h > 0 ⇒ è necessario trattenere degli utili per finanziare la crescita, dalmomento che – come si è dimostrato – il tasso di crescita del reddito dipende

da h;

•   ROE > k  ⇒ il rendimento degli investimenti dell’impresa deve essere superiore

a quello richiesto dal mercato, ovvero l’impresa deve generare extra-profitti.

Perciò, quando l’impresa è in grado di remunerare il capitale più di quanto faccia il

mercato la ritenzione degli utili è uno strumento per finanziare la crescita

dell’impresa e aumentarne il valore come già evidenziato nel Paragrafo precedente.

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

116

Si può osservare inoltre che se h = 0 ( full-payout  dei dividendi senza alcun

reinvestimento degli utili), il prezzo P0 è pari ad una perpetuity di valore EPS1 e il

VAOC si annulla completamente: 

 ROE  B

 EPShP

⋅=== 01

0 )0(

Più in generale, per qualsiasi andamento di  ROE e di h (nelle pagine precedenti

abbiamo visto solo dei casi particolari) il prezzo di una azione può essere sempre

visto come somma delle due componenti: la prima rappresenta il valore

dell'impresa in assenza di opportunità di crescita, e la seconda rappresenta il valore

attuale delle opportunità di crescita VAOC :

P0 = VAOC k 

 EPS+1 per ogni ROE t  , ht  

Ovviamente le aspettative del mercato circa la redditività futura e la politica degli

investimenti dell’impresa sono incluse nella componente del VAOC , mentre la

prima componente esprime unicamente la redditività corrente.

•  Il punto

Il VAOC  (valore attuale dell’opportunità di crescita) rappresenta la frazione delvalore di un titolo azionario legato alle aspettative del mercato sulla possibilità di

crescita dell’impresa, rispetto alla redditività attuale.

A seconda che prevalga la prima componente o la seconda componente il titolo

viene classificato rispettivamente come ‘income stock ’ (o anche ‘value stock ’)

oppure come ‘growth stock ’. Molte volte si osservano sui mercati prezzi positivi (e

magari elevati) per titoli di imprese attualmente non profittevoli (per le quali quindi

la prima componente è nulla o addirittura negativa: si pensi ad esempio agli

 Internet stocks): evidentemente si tratta di titoli cui il mercato attribuisce un valore

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

117

attuale dell’opportunità di crescita molto elevato, dovuto agli investimenti futuri e

alle opzioni di business detenute dall’impresa.

Un’analisi interessante di efficienza del mercato consisterebbe nel considerare

quali sono i ‘fondamentali’ impliciti nella valutazione del mercato di un titolo (ad

esempio la redditività futura attesa, piuttosto che il valore delle opportunità di

crescita), e chiedersi se risultano coerenti con le informazioni disponibili.

•  Esempio

Vogliamo stimare il valore di un titolo azionario, per cui è noto che:

-  si può ragionevolmente pensare che l’utile netto nel prossimo esercizio annuale

sarà pari a 10 mln. €; ciò equivale ad un indice di redditività ROE pari al 18%;

-  l’impresa ha un capitale composto da 50 mln. di azioni;

attualmente l’impresa è solita distribuire il 70% degli utili come dividendo(quindi PR = 70% e h = 30%);

-  il costo opportunità del capitale k per gli azionisti è pari al 15%.

I dati relativi all’utile per azione  EPS1 e al dividendo DIV 1 distribuito fra un anno

sono quindi:

 EPS1 = 10 mln. € / 50 mln. = 20 cent

 DIV 1 = PR ⋅  EPS1 = 70% (20 cent) = 14 cent

In condizioni stazionarie (ovvero se l’impresa in futuro manterrà la stessa politica

dei dividendi e la stessa redditività del capitale) il tasso di crescita annuale g dei

dividendi sarà pari a:g = h ⋅  ROE = 5,4%

Se valgono queste condizioni, il prezzo P0 di equilibrio sarebbe:

gk 

 DIV P

−= 1

0 = 1,458€

Per determinare il valore attuale dell’opportunità di crescita VAOC implicito basta

considerare:

P0 = VAOC k 

 EPS+1  

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

118

VAOC = P0 –k 

 EPS1 = 1,458€ – 1,333€ = 0,125€

Il valore del titolo riflette quindi una componente poco rilevante rispetto alla

crescita futura, e a queste condizioni può essere classificato come ‘ income stock ’.Proviamo però a considerare cosa accade al variare dei parametri rappresentativi

della politica aziendale (redditività ROE e payout degli utili PR):

PR = 50% PR = 70% PR = 90%

 ROE = 15% g = 7,5% g = 4,5% g = 1,5%

P0 = 1,333€ P0 = 1,333€ P0 = 1,333€

VAOC = 0 VAOC = 0 VAOC = 0

 ROE = 18% g = 9,0% g = 5,4% g = 1,8%

P0 = 1,667€ P0 = 1,458€ P0 = 1,364€

VAOC = 0,333€ VAOC = 0,125€ VAOC = 0,030€ ROE = 21% g = 10,5% g = 6,3% g = 2,1%

P0 = 2,222€ P0 = 1,609€ P0 = 1,395€

VAOC = 0,889€ VAOC = 0,276€ VAOC = 0,062€

Come si vede, se il mercato si attende una redditività futura dell’impresa pari al

15%, e quindi al costo del capitale richiesto dagli azionisti, la politica dei dividendi

non influisce sul valore dell’impresa, in quanto gli utili sarebbero reinvestiti ad un

tasso annuale esattamente uguale a quello richiesto. In altre parole, l’impresa non

realizza extra-profitti, e il valore dell’opportunità di crescita è nullo. Il prezzo diequilibrio dell’azione è maggiore invece al migliorare delle aspettative sulla

redditività, e conseguentemente della possibilità di crescere reinvestendo quanto

più è possibile gli utili generati.

4.2.6 Gli indici ‘market/book’ e ‘price/earnings’

Molto spesso si preferisce attribuire a un titolo azionario una valutazione ‘relativa’

a grandezze contabili più che fare riferimento ad un prezzo assoluto di mercato.

Ciò permette di confrontare facilmente e velocemente titoli diversi, e di valutarne

la sopravvalutazione (o sottovalutazione) relativa.

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

119

Gli indici cui si fa più spesso riferimento sono: (i) l’indice  price/earnings (P/E) e

(ii) l’indice market/book (M/B).

P/E =1

0 EPS

P

 

M/B =0

0

 B

L’indice  price/earnings può essere calcolato come prezzo di mercato del titolo su

utile per azione, ma anche come capitalizzazione di mercato su utile netto totale.

Esso viene anche definito a livello di settore, facendo una media fra le diverse

società di uno stesso settore quotate in Borsa, oppure addirittura a livello di

mercato borsistico. In tal caso viene utilizzato anche per misurare l’esistenza dibolle speculative sul mercato, laddove il suo valore è eccessivamente elevato, e

quindi indica un disallineamento fra redditività di bilancio e quotazione di mercato.

L’indice market/book (calcolato come prezzo dell’azione su book value, piuttosto

che capitalizzazione di mercato su patrimonio netto contabile) è invece una misura

della valutazione che il mercato attribuisce agli assets dell’impresa. Più è elevato,

più vuol dire che il valore dell’impresa è espresso dalle opportunità di crescita e

dagli investimenti in risorse intangibili, non iscritte a bilancio.

Nel caso ipotizziamo ROE e h costanti, si ottiene:

P/E =1

0

 EPS

P=

)()(1

 ROE hk k 

k  ROE h

k  ⋅−⋅−⋅

+  

M/B =0

0

 B

P=

( ) ROE hk 

 ROE h

⋅−⋅−1

 

Gli indici di mercato vengono comunemente applicati nella valutazione d’impresa

nell’ambito del cosiddetto metodo dei ‘multipli comparabili’ per stabilire il valore

di un’azione, di cui non si conosce il prezzo perché relativa, ad esempio, ad

un’impresa non quotata in Borsa, in attesa di quotazione, o ad un progetto di start-

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

120

up. L’idea è quella di esaminare gli indici di mercato di imprese già quotate e simili

all’impresa da valutare, per dimensione, età e settore di attività, in maniera da

ricavare, attraverso il confronto dei dati contabili, un valore di mercato ‘in linea’

con i multipli delle società comparabili.

Parimenti i ‘multipli’ sono utili per un primo confronto fra società quotate nello

stesso settore, per individuare i titoli più ‘convenienti’ in termini di prezzo di

mercato rispetto alla profittabilità di bilancio.

•  Il segnalibro

Il metodo dei ‘multipli comparabili’ nella valutazione d’impresa è presentato nel

Volume ‘Gestire le Risorse dell’Impresa’, Capitolo 4, Paragrafo 4.1.6.

4.2.7 La crescita sostenibile e la crescita finanziata con capitale esternoNei modelli precedenti, l’impresa può finanziare la crescita futura solo attraverso il

reinvestimento degli utili. Abbiamo visto che questo non sempre implica una

creazione di valore per gli azionisti: dipende dal rapporto fra profittabilità degli

investimenti dell’impresa e costo del capitale per gli azionisti.

Si tratta ora di abbandonare questa restrizione, introducendo la possibilità di

finanziare nuovi investimenti attraverso la raccolta di nuovo capitale esterno, ad

esempio sotto forma di debito o di ulteriore capitale di rischio.

Definiamo:

 Dt   = stock di debito disponibile alla fine del periodo t , remunerato al tasso diinteresse annuale r ;

∆ Dt  = nuovo debito raccolto dall’impresa durante il periodo t , remunerato al tasso

di interesse annuale r ;

PN t  = patrimonio netto contabile disponibile alla fine del periodo t (pari a Bt  per il

numero di azioni che compongono il capitale) 

∆PN t  = nuovo capitale azionario sottoscritto e disponibile alla fine del periodo t ; 

 At   = valore contabile degli asset disponibili alla fine del periodo t ; si tratta dello

stock di capitale investito risultante in Stato Patrimoniale, pari alla somma di  Dt  e 

 E t ; 

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

121

 MOt = margine operativo realizzato dall’impresa nel periodo t ; 

 ROAt  = return on assets nell'anno t : si tratta del rapporto fra margine operativo

generato in un esercizio contabile e totale dell’attivo investito alla fine del periodo

precedente.

Vale la relazione (in assenza di imposte):

1−⋅= t t t   A ROA MO  

Inoltre periodo dopo periodo, in equilibrio finanziario, il valore contabile delle

attività dell’impresa è destinato ad aumentare grazie a tre contributi: (i) gli utili

reinvestiti e non distribuiti come dividendo, (ii) il nuovo debito raccolto, (iii) il

nuovo capitale azionario raccolto:

 At  = At-1 + ht  ·  ROE t  · PN t -1 + ∆ Dt  + ∆PN t  

Il tasso di crescita delle attività dell’impresa g A sarà pari, periodo per periodo, a:

g A =1

1

−−

t t 

 A

 A A=

11

1

−−

+∆+∆+⋅⋅

t t 

t t t t t 

 DPN 

PN  DPN  ROE h 

Ricordando la relazione della leva finanziaria, a valori contabili di bilancio, in

assenza di tasse:

 ROE t = ROAt +1

1

PN 

 D( ROAt – r )

g A =11

11

1 ))((

−−

−−

+

∆+∆+⋅−+⋅

t t 

t t t t 

t t t 

 DPN 

PN  DPN r  ROAPN 

 D ROAh

 

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

122

L’equazione precedente rappresenta il tasso di equilibrio ‘sostenibile’ in funzione

delle scelte finanziarie dell’impresa. Un tasso di crescita delle risorse investite

nell’impresa maggiore di gA determina un cosiddetto ‘fabbisogno finanziario

esterno’ (FFE) e non può essere ottenuto se non modificando uno dei parametri.

Vediamo alcuni casi particolari:

1) impresa non indebitata ( D = 0; ∆ D = 0); in tal caso la crescita può essere

sostenuta solo o dagli utili reinvestiti o da nuovi apporti di capitale di rischio

(aumenti di capitale a pagamento):

g A =1

1

− ∆+⋅⋅

t t t t 

PN 

PN PN  ROAh=

1−

∆+⋅

t t t 

PN 

PN  ROAh  

2) impresa indebitata che non raccoglie nuovo capitale (∆ D = 0; ∆PN  = 0); lacrescita è sostenuta solo dalla marginalità operativa al netto della remunerazione

del debito, sempre per la parte che non viene distribuita ai soci:

g A =11

11

1 ))((

−−

−−

+

⋅−+⋅

t t 

t t 

t t t 

 DPN 

PN r  ROAPN 

 D ROAh

=  

  

 

+⋅

−⋅−−

11

1

t t 

t t t 

 DPN 

 Dr  ROAh  

3) impresa che intende mantenere nel tempo lo stesso livello di leva finanziaria

contabile ( D/PN  = ∆ D /∆PN  = Q); la crescita è sostenuta dal nuovo capitale

raccolto (in egual misura debito ed equity) e dagli utili non distribuiti; si noti che si

ha un effetto di leva legato al differenziale fra ROA ed r :

g A =11

1))((

−−

+

∆+∆+⋅−⋅+⋅

t t 

t t t t t t 

 DPN 

PN  DPN r  ROAQ ROAh 

g A =11

))((

∆+

+−⋅+⋅

t t t t 

 D

 D

Q

r  ROAQ ROAh 

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

123

•  Esempio

Il bilancio contabile di un’impresa è caratterizzato dai seguenti dati:

PN 0 (patrimonio netto) = 2.000

 A0 (attività investite) = 3.000 D0 (debito finanziario remunerato ad un tasso annuale r pari al 7%) = 1.000

La redditività media delle attività investite  ROA (return on assets) è uguale al

12%.

Determinare il tasso di crescita ‘sostenibile’ delle attività g A per i prossimi 12 mesi

nei seguenti scenari:

a) l’impresa distribuisce ogni anno il 60% degli utili come dividendi e non

raccoglie nuovo capitale;

b) l’impresa distribuisce ogni anno il 25% degli utili e intende raccogliere nuovo

capitale di debito incrementando il valore di bilancio del 3% ogni anno;c) l’impresa distribuisce ogni anno il 25% degli utili e intende raccogliere nuovo

capitale incrementando il valore del passivo di bilancio del 3% ogni anno, ma

mantenendo costante il rapporto contabile fra debito e patrimonio netto.

Nel primo caso avremo:

g A =  

  

 

+⋅

−⋅−−

11

1

t t 

t t t 

 DPN 

 Dr  ROAh = 40% · (12% – 70 / 3.000) = 3,87%

Negli anni successivi ci si attenderà invece un tasso di crescita più elevato, perché

il debito rimane costante in valore assoluto, mentre il margine operativo e gli utili

aumentano (rimanendo costante la marginalità operativa percentuale).Nel secondo caso:

g A =11

11

1 ))((

−−

−−

+

∆+⋅−+⋅

t t 

t t t 

t t t 

 DPN 

 DPN r  ROAPN 

 D ROAh

 

g A = (75% · 14,5% · 2.000 + 30) / (3.000) = 8,25%

Nel terzo caso:

g A =

11

))((

∆+

+

−⋅+⋅

t t t t 

 D

 D

Q

r  ROAQ ROAh= (75% · 14,5%) / 1,5 + 3% = 10,25%

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

124

Rispetto al secondo caso, nel terzo caso la crescita è maggiore perché oltre

all’incremento dell’indebitamento, sarà raccolto nuovo capitale di rischio per

mantenere costante il rapporto di leva contabile.

Potremmo chiederci, fissando la politica di finanziamento (ad esempio ponendo unvincolo sulla raccolta di nuovo capitale annuale, con incremento massimo del 2% e

rapporto di leva costante), quale potrebbe essere il tasso di crescita ‘sostenibile’

delle attività:

g A =11

))((

∆+

+

−⋅+⋅

t t t t 

 D

 D

Q

r  ROAQ ROAh= (75% · 14,5%) / 1,5 + 2% = 9,25%

E se l’impresa volesse mantenere come obiettivo un tasso di crescita dell’attivo

pari al 10,25% occorrerebbe attuare una di queste scelte gestionali (o una loro

combinazione): (1) raccogliere più capitale, nella misura di un incremento del 3%,

come nel caso precedente, (2) reinvestire una quota maggiore di utili, nella misuradel 85,34%, (3) incrementare la redditività operativa (aumentando efficienza e/o

produttività) fino a 16,5%.

4.3 La teoria del portafoglio

Nei paragrafi precedenti si è considerato come ‘esogeno’ il costo del capitale di

rischio k . È giunto il momento di capire da cosa esso dipende, e in particolare da

cosa dipende il premio per il rischio ∆r .

4.3.1 Rischio e rendimento: il modello di Markowitz

La teoria del portafoglio afferma che il premio per il rischio dipende dall’equilibrio

del mercato dei titoli azionari, e in particolare dalla possibilità di comporre dei

portafogli efficienti di titoli rischiosi, diversificando il rischio associato ai singoli

titoli. Nella sua versione più semplice, introdotta da Markowitz (1952), premio

Nobel per l’Economia nel 1990, viene ipotizzato che sul mercato siano presenti

investitori in numero sufficiente da far pensare che ognuno di loro non abbia il

potere di influenzare il mercato da posizioni dominanti, e che le imposte non

abbiano effetto sulle scelte degli investitori stessi. I titoli azionari scambiati sono

perfettamente divisibili, e ognuno è caratterizzato da un certo rendimento annuale

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

125

atteso (k i) e da una certa varianza statistica di tale rendimento (σ2i) – o se si

preferisce dalla deviazione standard (σi). Tali parametri dipendono ovviamente

dalle ipotesi che vengono adottate sulla distribuzione statistica f (r i) del rendimento

r i del titolo; in generale sarà:

k i = ∫ +∞

∞−

⋅ iii dr r r  f  )(  

σ2i = [ ]∫ 

+∞

∞−

−⋅ iiii dr k r r  f 2)(  

In altre parole, k rappresenta la media dei possibili rendimenti a scadenza, e σ la

deviazione standard dei rendimenti stessi rispetto alla media. Tanto più ladeviazione sarà elevata, tanto maggiore sarà la dispersione dei rendimenti, tanto

più elevato sarà il rischio percepito dagli investitori.

Se la distribuzione statistica dei rendimenti può assumere solo un insieme discreto

di valori r ij (a ciascuno dei quali è associata una probabilità  p j) le formule

precedenti diventano:

k i = ∑ ⋅ j

ij j r  p  

σ2

i = [ ]∑ −⋅ j

2

iij j k r  p  

Introduciamo fra diversi titoli azionari una relazione di ‘dominanza’ secondo cui

un generico fondo X è ‘dominato’ da un altro Y se vale una delle seguenti

relazioni:

k Y ≥  k X con σY < σX oppure

σY ≤ σX con k Y > k X 

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

126

Quindi, se Y domina X ciò accade perché il suo rischio σY è più contenuto, e il suo

rendimento k Y è al minimo uguale a quello di X, oppure perché il suo rendimento è

più elevato, e il suo rischio è al massimo pari a quello di X.

Nella Figura 4.5 viene rappresentato un piano (k , σ), ovvero il piano ‘rischio-rendimento’, in cui appare chiaro quali titoli, fra quelli rappresentati come A, B e

C, sono dominanti/dominati rispetto a X. Il titolo C domina X, poiché vanta sia un

rendimento atteso più elevato, sia un rischio più contenuto. Il titolo B è invece

dominato da X; il suo rischio è più elevato e oltretutto il suo rendimento atteso è

inferiore. Tutti i titoli presenti nel quadrante superiore sinistro rispetto a X sono

‘dominanti’ rispetto a X, mentre tutti quelli presenti nel quadrante inferiore destro

sono ‘dominati’ da X.

Figura 4.5 – Titoli azionari dominanti e dominati. 

Infine, non è possibile individuare alcuna relazione di dominanza fra X e A (A

infatti è un titolo meno rischioso, ma offre anche un rendimento atteso inferiore),

così come per tutti i titoli/fondi rappresentati al di fuori delle aree evidenziate.

Vale la pena sottolineare che titoli dominanti e dominati non contribuiscono a

definire eventuali posizioni di arbitraggio, e quindi sono compatibili con una

situazione di equilibrio di mercato. Infatti, per i titoli azionari si parla di

σ

A

B

k C 

k X 

k B 

k A 

σB σA  σC  σX 

C

X

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

127

rendimento atteso, e quindi ex ante non è possibile stabilire con certezza il loro

 payoff  futuro, né costruire strategie di investimento che generano flussi positivi

senza rischio. In altre parole, indebitarsi per acquistare un titolo rischioso che

promette un rendimento atteso elevato non genera la certezza di un payoff positivo

a scadenza, e quindi il fatto che esistano titoli con diverso rendimento atteso non

rappresenta una situazione di arbitraggio e di dis-equilibrio del mercato finanziario.

È chiaro inoltre che il rendimento atteso non rappresenta in assoluto un parametro

di preferibilità del titolo. Infatti, un investitore può considerare ottimale allocare la

propria ricchezza in un fondo caratterizzato da un rendimento atteso contenuto, ma

da un rischio ugualmente contenuto. Un altro investitore potrà invece ritenere più

premiante investire in un fondo più rischioso, ma allo stesso modo caratterizzato da

un elevato rendimento atteso.

Le diverse preferenze dipendono dal grado di avversione/propensione al rischio.

Per capire questo concetto, può essere utile considerare questo gioco, proposto ogni

anno agli studenti dei corsi di Ingegneria. Al termine della lezione, ogni studente

uscendo dall’aula dovrà decidere se ricevere 50€ dal docente, oppure lanciare un

dado. In questo ultimo caso, se esce pari lo studente riceverà 100€, mentre se esce

dispari lo studente non riceverà alcuna somma. Mediamente, 2/3 degli studenti

decidono di accettare i 50€, mentre i rimanenti sono disposti a sottoporsi al gioco

del dado. Mentre i primi sono investitori avversi al rischio, i secondi sono

investitori propensi al rischio.

Infatti, consideriamo il payoff atteso delle due alternative.

Nel primo caso è un  payoff  certo, C , pari a 50€. Nel secondo caso è un  payoff  

rischioso, il cui valore atteso C * (a meno che il docente non trucchi il dado) è pari a

50% ⋅ 100€ + 50% ⋅ 0€ = 50€, quindi uguale a C .

Definiamo investitore avverso al rischio un agente economico che scegliendo fra i

 payoff   C  e C * (con uguale valore atteso) associa un’utilità U  maggiore a quello

caratterizzato da rischio più contenuto:

U (C ) > U (C *) ⇒  U”(C ) < 0

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

128

Nell’esempio precedente un investitore avverso al rischio piuttosto che tirare il

dado accetterebbe un  payoff alternativo anche inferiore a 50€. Il suo ‘equivalente

certo’ EC (il livello di ricchezza privo di rischio avente utilità uguale all’alternativa

rischiosa, che è data dalla media delle utilità ottenibili nei due casi aleatori) è infatti

inferiore al valore atteso del payoff (si veda la Figura 4.6a).

Figura 4.6 – Curve di utilità ed equivalente certo EC in funzione dei payoff  Π del gioco

 proposto per investitori avversi (a), propensi (b) e indifferenti (c) al rischio. 

Definiamo invece investitore propenso al rischio un agente che associa un’utilità U  

maggiore all’alternativa con rischio più elevato, a parità di rendimento atteso:

U (C ) < U (C *) ⇒  U”(C ) > 0

Si capisce che l’investitore propenso al rischio calcola un equivalente certo EC

sempre superiore al valore atteso del  payoff rischioso (Figura 4.6b). Nell’esempio

precedente, egli sarebbe disposto a rifiutare il tiro del dado solo in cambio di un

compenso certo superiore a 50€.

Infine, definiamo un investitore indifferente al rischio un agente che associa la

stessa utilità ad investimenti che generano lo stesso  payoff , indipendentemente dal

grado di rischio, e che quindi calcola un equivalente certo EC uguale al valore

atteso del payoff rischioso (Figura 4.6c):

Π0€ EC 50€ 100€

Π

Π

U(C)

U(C*

)

(a)

U(C*

)U(C)(b)

U(C

*

)

(c)

0€ 50€ EC  100€ 0€ 50€=EC 100€

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

129

U (C ) = U (C *) ⇒  U”(C ) = 0

Se volessimo rappresentare sul piano rischio-rendimento (definito da k  e σ) le

curve di iso-utilità (ovvero il luogo delle combinazioni rischio-rendimento chegenerano la stessa utilità per l’investitore) associate agli investitori

avversi/propensi/indifferenti al rischio, otterremmo i grafici di Figura 4.7. 

Nel grafico (a) infatti notiamo che l’investitore, per essere indifferente nella scelta

fra due titoli caratterizzati da diversa rischiosità, chiede un rendimento più elevato

(ovvero un premio per il rischio) al titolo più rischioso. Per contro, nel caso (b),

l’investitore propenso al rischio è disposto a considerare un rendimento atteso più

contenuto, pur di investire in un titolo più rischioso. Infine, l’investitore

indifferente al rischio considera come criterio di scelta unicamente il rendimento

atteso, disinteressandosi del rischio.

Figura 4.7 – Curve di iso-utilità per investitori avversi (a), propensi (b) e indifferenti (c) al

rischio. 

Ricorrendo alla definizione di titoli dominanti e dominati, potremo dire che un

investitore avverso al rischio non sceglierà mai di investire tutta la sua ricchezza in

un titolo che è ‘dominato’ da un altro titolo. Questa regola non contraddistingue

l’investitore propenso al rischio, che può associare benissimo la stessa utilità a due

titoli, uno dei quali ‘domina’ l’altro.

σ

U k 

σ

σ

(a) (b) (c)

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

130

Dopo aver chiarito il significato di rischio e rendimento atteso per un titolo

azionario, passiamo ora a considerare gli stessi parametri per un portafoglio

composto da più titoli rischiosi.

Un generico portafoglio P, composto da n titoli secondo un peso percentuale  xi,

determinato dalla frazione di ricchezza investita in ogni titolo del paniere, sarà

caratterizzato da un certo rendimento atteso k P e da una varianza σ2P, definiti dalle

seguenti formule statistiche:

k P = ∑=

⋅n

i

ii k  x1

 

σ2P = ∑

=

⋅n

i

ii x1

22 σ +∑∑= =

⋅⋅n

i

n

 j

 ji  jicov x x1 1

),(   i ≠  j 

con cov(i,j) = [ ] [ ]∫ +∞

∞−

−⋅−⋅  ji j jii ji dr dr k r k r r r  f  ),( (funzione continua)

cov(i,j) = [ ] [ ]∑ −⋅−⋅n

 j jniinn k r k r  p (funzione discreta)

Il rendimento atteso k P è quindi la media pesata dei rendimenti attesi dei titoli in

portafoglio, mentre la varianza σ2P non coincide con la sommatoria pesata delle

varianze dei singoli titoli. Bisogna infatti tenere conto della covarianza statistica

cov(i, j) fra i generici titoli i e  j che compongono il portafoglio, e cioè dellacorrelazione che esiste fra il rendimento dei titoli stessi ed è funzione della

distribuzione di probabilità congiunta  f (r i,r  j) o delle singole probabilità nel caso di

eventi discreti. Una misura ‘comoda’ di tale correlazione è il coefficiente di

correlazione ρij:

ρij = ji

 jicov

σσ

),(

⋅ 

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

131

Esso può assumere solo valori compresi fra –1 e +1. Diremo quindi che due titoli

azionari sono:

1)  correlati positivamente, se ρij > 0; in tal caso in ogni stato di natura possibile è

molto probabile che quando il rendimento del titolo i è superiore (o inferiore)

rispetto al suo rendimento atteso, succeda altrettanto per il titolo j;

2)  non correlati, se ρij = 0; la performance di un titolo è dunque statisticamente

indipendente da quella dell’altro;

3)  correlati negativamente, se ρij < 0; in tal caso, invece, in ogni stato di natura

possibile è molto probabile che quando il rendimento del titolo i è superiore (o

inferiore) rispetto al suo rendimento atteso, succeda l’opposto per il titolo j.

•  Esempio

Il rendimento annuale r di due titoli azionari, G e F, è definito da questi possibiliscenari, cui viene attribuita una certa probabilità:

-  Scenario 1 (probabilità 20%): r G = 2% e r F = 12%

-  Scenario 2 (probabilità 15%): r G = 6% e r F = 16%

-  Scenario 3 (probabilità 25%): r G = 10% e r F = 10%

-  Scenario 4 (probabilità 40%): r G = 15% e r F = 8%

Si tratta di definire rendimento atteso, varianza e covarianza dei due titoli, e le

caratteristiche di un portafoglio composto per il 40% da G e per il 60% da F.

Il rendimento atteso k G del titolo G è la media pesata dei rendimenti nei diversi

scenari:

k G = ∫ +∞

∞−

⋅ GGG dr r r  f  )( = ∑ ⋅i

G ir i prob )()(   i = scenario 1, 2, 3, 4

k G = 20% ⋅ 2% + 15% ⋅ 6% + 25% ⋅ 10% + 40% ⋅ 15% = 9,8%

La varianza del rendimento è determinata dalla media pesata dello scarto

quadratico medio:

σ2G = [ ]∫ 

+∞

∞−

−⋅ GGGG dr k r r  f 2)( = ( )∑ −⋅

i

GG k ir i prob2)()(   i = scenario 1, 2, 3, 4

σ2G = 20% ⋅ (2% – 9,8%)2 + 15% ⋅ (6%– 9,8%)2 + 25% ⋅ (10%– 9,8%)2 + 40% ⋅ (15%– 9,8%)2 

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

132

σ2G = 0,002516

σG = 5,02%

Applicando le stesse formule al titolo F si ottiene:

k F = 10,5%σF = 2,75%

Il titolo F domina quindi il titolo G; infatti esso è caratterizzato sia da un rischio più

contenuto sia da un rendimento atteso superiore.

Calcoliamo a questo punto la covarianza statistica fra i due titoli cov(G,F) e il

coefficiente di correlazione ρGF:

cov(G ,F) = [ ] [ ]∫ +∞

∞−

−⋅−⋅ GF GGF F GF  dr dr k r k r r r  f  ),(  

cov(G ,F) = ( ) ( )∑ −⋅−⋅i

F F GG k ir k ir i prob )()()(   i = scenario 1, 2, 3, 4

cov(G ,F) = 20% ⋅ (2% – 9,8%) ⋅ (12% – 10,5%) + 15% ⋅ (6%– 9,8%)⋅ (16% – 10,5%) +

+ 25% ⋅ (10%– 9,8%)⋅ (10% – 10,5%) + 40% ⋅ (15%– 9,8%)⋅ (8% – 10,5%) = – 0,00107

ρGF =F G

cov

σσ

)F,G(⋅

= – 77,51%

I due titoli sono caratterizzati da una correlazione negativa significativamente

elevata, e in effetti è molto facile, osservando le probabilità dei diversi stati di

natura, che quando il rendimento dell’uno è elevato rispetto al valore atteso k ,

quello dell’altro sia basso, e viceversa.Il portafoglio P composto per il 60% da G e il 40% da F sarà quindi caratterizzato

da questi parametri:

k P = ∑=

⋅n

i

ii k  x1

= 40% ⋅ 9,8% + 60% ⋅ 10,5% = 10,22%

σ2P =∑

=

⋅n

i

ii x1

22 σ +∑∑= =

⋅⋅n

i

n

 j

 ji  jicov x x1 1

),(  

σ2P = (40% ⋅ 5,11%)2 + (60% ⋅ 2,75%)2 – 2 ⋅ (60% ⋅ 40% ⋅ 0,00107) = 0,00018

σP = 1,33%

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

133

È interessante osservare che il portafoglio P offre un rendimento atteso intermedio

fra i due titoli, ma un rischio più contenuto di entrambi, grazie alla covarianza

negativa fra F e G, e nonostante quest’ultimo sia dominato da F. In altre parole, un

investitore avverso al rischio non allocherà mai tutta la ricchezza nel titolo G, mapotrebbe trovare ottimale allocarne solo una parte abbinandolo ad F, per

diversificare il rischio del portafoglio.

Consideriamo nel dettaglio il caso di un portafoglio P composto solo da due titoli,

A e B, nessuno dei quali dominante rispetto all’altro. La composizione di P è

determinata dai pesi (in funzione del valore del portafoglio)  xA e xB; il rendimento

atteso k P e il rischio σ2P sono definiti da:

k P = xA · k A + xB · k B σ2

P = xA2

 · σ2

A + xB2 · σ

2B + 2 · ρAB ·  xA ·  xB · σA · σB 

 xA + xB = 1  xA, xB ≥ 0

Possiamo individuare sul piano rischio-rendimento il luogo dei portafogli

ammissibili, ovvero dei portafogli (infiniti) che possono essere composti al variare

dei pesi xA e xB, fissato ρAB. In particolare, se ρAB = +1, il sistema che definisce il

luogo dei portafogli ammissibili è dato da:

k P = xA · k A + xB · k B σ2

P = xA2 · σ

2A + xB

2 · σ

2B + 2 ·  xA ·  xB · σA · σB = ( xA · σA + xB · σB)2  ⇒  σP = xA · σA + xB · σB 

 xA + xB = 1  xA, xB ≥ 0

Volendo rappresentare il luogo sul piano rischio-rendimento, in funzione di k e σ,

otterremmo il grafico di Figura 4.8. Il luogo è un segmento che congiunge i punti

rappresentativi dei due titoli A e B. Percorrendo il segmento da A verso B, la

composizione del portafoglio generico cambia con un incremento della frazione di

ricchezza investita in B e un decremento della frazione investita in A. Il rendimento

atteso cresce (solo perché k A < k B) , ma anche il rischio.

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

134

Figura 4.8 – Il luogo dei portafogli ammissibili sul piano rischio-rendimento, nel caso

 ρ  AB=+1.

Rilassiamo ora uno dei vincoli introdotti, e cioè la non-negatività di  xi. Ciò

equivale a consentire eventuali vendite allo scoperto dei titoli rischiosi. Nel caso

dei titoli a reddito fisso la vendita allo scoperto equivale all’indebitamento al tasso

risk-free: infatti in entrambi i casi otteniamo un flusso monetario positivo, che va

coperto nel futuro con il rimborso del capitale o la consegna del titolo venduto allo

scoperto. Per i titoli azionari la vendita allo scoperto equivale alla cessione dei

diritti relativi al possesso di un titolo i ( xi < 0) per finanziare l’acquisto, oltre la

ricchezza disponibile di un altro titolo  j (in tal caso si ha  x j > 1). La vendita allo

scoperto sui mercati azionari nel passato era ampiamente consentita dalla

regolazione mensile dei contratti di Borsa (le famose ‘scadenze tecniche’ in

chiusura del mese borsistico). Oggi, dal momento che la regolazione dei contratti

deve avvenire entro pochi giorni, lo stesso effetto può essere ottenuto tramite

contratti di riporto titoli e usufrutto4.

4 Alcune società bancarie che offrono servizi di trading on line ammettono vendite alloscoperto, salvo richiedere la chiusura delle posizioni entro un tempo limite e accantonare unmargine di sicurezza su eventuali perdite.

σ

A

Bk B 

k A 

σB σ

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

135

Se quindi può accadere che xA < 0 e xB > 1 (in questo caso vendiamo allo scoperto il

titolo A per finanziare l’acquisto oltre la ricchezza disponibile del titolo B) o

viceversa xB < 0 e xA > 1, il luogo dei portafogli ammissibili di Figura 4.8 si estende

così come rappresentato in Figura 4.9, lungo le semirette tratteggiate. Nella

semiretta a destra, vendendo allo scoperto il titolo con rendimento atteso più basso

(A) possiamo ottenere portafogli con rendimento atteso superiore a quello di B.

Nella semiretta a sinistra, venderemo allo scoperto invece il titolo B, per ottenere

portafogli caratterizzati da rendimento atteso inferiore a quello di A.

Figura 4.9 – Il luogo dei portafogli ammissibili sul piano rischio-rendimento, ancora nel

caso ρ  AB = 1, con vendite allo scoperto consentite.

La Figura 4.9 evidenzia che comporre un portafoglio con due titoli perfettamente

correlati non consente di diversificare il rischio, ma di ottenere semplici

combinazioni lineari delle caratteristiche dei titoli di partenza. Notiamo inoltre che

non esistono relazioni di dominanza fra tutti i portafogli ammissibili.

Fissiamo ora ρAB = –1, ottenendo questa volta:

k P = xA · k A + xB · k B 

σ2P = xA

2 · σ

2A + xB

2 · σ

2B – 2 ·  xA ·  xB · σA · σB = ( xA · σA – xB · σB)2 

 xB > 1 xA < 0

0 > xB, xA > 1

 xA>1 xB<0

σ

A

Bk B 

k A 

σB σA 

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

136

 xA + xB = 1

Poiché dobbiamo considerare solo valori positivi di σ, dobbiamo imporre il modulo

su σP:

σP = | xA · σA – xB · σB|

Il luogo dei portafogli ammissibili, nel caso siano consentite o no vendite allo

scoperto, è tracciato nella Figura 4.10.

Figura 4.10 – Il luogo dei portafogli ammissibili sul piano rischio-rendimento, nel caso in

cui ρ  AB = -1.

La spezzata di Figura 4.10 (dovuta all’introduzione del modulo) suggerisce un

risultato importante, e cioè che combinando due titoli perfettamente correlati

negativamente è possibile comporre un portafoglio N caratterizzato da rischio

nullo, e cioè assimilabile a un titolo a reddito fisso, con rendimento (non atteso ma

certo) pari a r N.

La composizione del portafoglio N è definita dai pesi Aˆ x e Bˆ x :

σ

A

Bk B 

k A 

σB σA 

r N 

 xB > 1 xA < 0

N

 xA > 1 xB < 0

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

137

σN = | xA · σA – xB · σB| = 0 con  xA + xB = 1 da cui:

Aˆ x =BA

B

σσ

σ

+  Bˆ x =

BA

A

σσ

σ

Inoltre, notiamo che solo una parte dei portafogli ammissibili, precisamente quelli

rappresentati nella parte superiore della spezzata, caratterizzati da una

composizione definita da ( xA <BA

B

σσ

σ

+,  xB >

BA

A

σσ

σ

+), sono ‘efficienti’ in

quanto dominanti rispetto agli altri portafogli ammissibili. In altre parole, nessun

investitore (nel caso ρAB = –1) vorrà investire tutta la sua ricchezza nel titolo A, in

questo caso indipendentemente dalla sua avversione/propensione al rischio. Gli

investitori avversi al rischio preferiranno ad esempio investire nel portafoglio N,

dominante rispetto ad A.L’insieme dei portafogli ammissibili non dominati da alcun altro fondo/portafoglio

viene definito sul piano rischio-rendimento ‘frontiera efficiente’.

L’ultimo esempio particolare che consideriamo è ρAB = 0. In questo caso il sistema

di equazioni diventa:

k P = xA · k A + xB · k B 

σ2P = xA

2 · σ

2A + xB

2 · σ

2B 

 xA + xB = 1

Il luogo dei portafogli ammissibili, sempre nel caso siano consentite o no vendite

allo scoperto, non è questa volta definito da una relazione lineare, ma da una curva,

così come rappresentato in Figura 4.11.

Questa volta, non è possibile comporre portafogli non rischiosi, ma è importante

notare che è possibile comunque abbattere parte del rischio dei due singoli titoli –

non correlati fra loro – e ottenere per esempio il portafoglio Z, che è caratterizzato

da una rischiosità minore rispetto a entrambi i fondi A e B e a tutti gli altri

portafogli ammissibili. La composizione del portafoglio di varianza minima è

facilmente determinabile annullando la derivata della funzione σ2 = σ2( xi) che nel

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

138

sistema precedente definisce il rischio del generico portafoglio ammissibile, in

funzione di uno dei pesi xi (ad esempio xA):

0)(σA

A

2

=∂∂ x

 x   ⇒ 2 ·  xA · σ2A + 2 ·  xA · σ2B – 2 · σ2B = 0

Aˆ x =2B

2A

2B

σσ

σ

Bˆ x = 1 – xA =2B

2A

2A

σσ

σ

Figura 4.11 – Il luogo dei portafogli ammissibili sul piano rischio-rendimento, nel caso in

cui ρ  AB = 0.

Inoltre, anche questa volta sarà possibile individuare una frontiera efficiente, che

comprende tutti i portafogli non dominati, e cioè tutti quelli ammissibili compresi

fra il portafoglio caratterizzato da varianza minima Z e il titolo B.

σ

A

Bk B 

k A 

σB σA σZ 

k Z Z

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

139

In generale, per qualsiasi valore di ρAB, il luogo dei portafogli ammissibili varierà

con continuità fra quelli raffigurati negli schemi precedenti, così come

rappresentato in Figura 4.12.

•  Il punto

Un portafoglio è un fondo costituito da più titoli azionari, il cui rendimento atteso è

la media pesata dei rendimenti attesi dei diversi titoli, ma il cui rischio può essere

abbattuto – all’estremo completamente eliminato – grazie alla proprietà di alcuni

titoli di non essere correlati o di essere correlati negativamente l’uno con l’altro.

Figura 4.12 – Il luogo dei portafogli ammissibili sul piano rischio-rendimento, al variare

di ρ  AB.

L’ultimo passo dell’analisi è introdurre la possibilità di investire non solo in due

titoli, ma in un numero n > 2 di azioni esistenti sul mercato. Immaginiamo di

comporre un portafoglio cominciando ad allocare frazioni di ricchezza in due titoli,

cui progressivamente aggiungiamo quote di altri fondi disponibili.

Questa volta, non sarà definita una curva, ma una ‘nuvola’ di punti, che

rappresentano tutte le possibili combinazioni di portafoglio di n titoli. In altre

σ

A

Bk B 

k A 

σB σA 

 ρ ↑ 

N

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

140

parole, se con due titoli il numero di portafogli ammissibili era pari a ∞, ora è ∞n-1.

La frontiera efficiente viene definita dall’inviluppo di tutte le curve ottenute

combinando a due a due i titoli, ed è rappresentata nella Figura 4.13. Solo sulla

frontiera evidenziata in grassetto individueremo portafogli efficienti, cioè non

dominati.

Figura 4.13 – Il luogo dei portafogli ammissibili e la frontiera efficiente sul piano rischio-

rendimento, nel caso n > 2.

A questo punto, introduciamo le preferenze dei singoli investitori, i quali devono

scegliere in quali portafogli investire, ovviamente fra quelli appartenenti alla

frontiera efficiente (in caso contrario la scelta sarebbe subottimale).

Ipotizzando che gli investitori siano avversi al rischio, la loro curva di utilità nel

piano rischio-rendimento sarà come quelle rappresentate in Figura 4.7(a). Il

portafoglio ottimale P* sarà dunque tale da ottimizzare la funzione U (k P,σP):

max U (k P,σP)

s.v. k P = ∑=

⋅n

i

ii k  x1

 

σ

Frontiera efficiente

Luogo deiportafogli

ammissibili

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

141

σ2P = ∑

=

⋅n

i

ii x1

22 σ + ∑∑= =

⋅⋅⋅⋅n

i

n

 j

ij ji ji  x x1 1

σσ  ρ   

∑=

n

i i

 x1

= 1

In altre parole, si tratta di individuare il portafoglio ammissibile che massimizza

l’utilità dell’investitore.

La soluzione grafica del problema è individuata dalla curva di utilità tangente alla

frontiera efficiente, nel punto P* di Figura 4.14 che rappresenta il portafoglio

ottimale.

•  Il punto

Nel modello di Markowitz, fra tutti i portafogli ammissibili componendo diversi

titoli rischiosi, alcuni (quelli che appartengono alla frontiera efficiente) hanno la

proprietà di non essere mai dominati e un investitore avverso al rischio sceglierà

fra questi quello ottimale. A parità di rendimento atteso, infatti, tali portafogli sono

quelli caratterizzati da rischio più contenuto.

Figura 4.14 – La determinazione dei portafogli ottimali.

σ

U 1(k ,σ)

P* 

P** 

U 2(k,σ)

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

142

4.3.2 Il modello di Tobin

Il problema della soluzione proposta da Markowitz è che essa non individua un

equilibrio di mercato. Infatti, ogni investitore individuerà un portafoglio ottimale

diverso, secondo la propria funzione di utilità. Ad esempio, nella Figura 4.14 si

evidenzia che l’investitore con curva di iso-utilità U 2 (la cui dis-utilità marginale è

più bassa al crescere del rischio) facilmente individuerà come ottimale un

portafoglio P** diverso da P*, che invece rappresenta il portafoglio ottimale per un

investitore più avverso al rischio, con curva di iso-utilità U 1.

A tale riguardo, Tobin (1958), Premio Nobel per l’Economia nel 1981, introduce

nel modello di Markowitz la possibilità di investire anche nei titoli a reddito fisso,

che offrono un rendimento privo di rischio pari a r  f . A questo punto, è possibile

comporre dei portafogli sia con titoli rischiosi, sia con titoli risk-free.

Figura 4.15 – Il modello di Tobin.

Sul piano rischio-rendimento di Figura 4.15 il titolo risk free (essendo

caratterizzato da varianza del rendimento nulla) si posiziona certamente sull’asse

delle ordinate. Per lo stesso motivo, il luogo dei portafogli composti da un qualsiasi

fondo di titoli rischiosi (ad esempio P) e dal titolo a reddito fisso è rappresentato

dal segmento r  f –P. Inoltre, nel caso in cui sia possibile indebitarsi al tasso r  f  (=

vendere allo scoperto il titolo a reddito fisso), si può procedere anche sulla parte

σ

r  f  

P

M

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

143

tratteggiata. È chiaro però che la scelta di investire nel titolo a reddito fisso e in P

non è una scelta efficiente. Scegliendo altri fondi (composti solo da titoli rischiosi)

che dominano P e combinandoli con il titolo risk free si possono ottenere dei

portafogli più efficienti. Al limite, considerando il fondo M, la cui proprietà è

quella di essere il punto di tangenza fra la frontiera efficiente di Markowitz e la

retta uscente da r  f , si possono ottenere una serie di portafogli che sono dominanti

rispetto alla frontiera efficiente stessa.

La ‘nuova’ frontiera viene individuata come la ‘capital market line’, nel senso che

essa rappresenta l’insieme dei portafogli più efficienti che possono essere

individuati investendo nel titolo risk free e nei titoli rischiosi. Se è consentito

indebitarsi al tasso r  f  per finanziare l’acquisto dei titoli azionari, oltre la ricchezza

disponibile, la capital market line comprende anche la retta tratteggiata, altrimenti

a destra del punto di tangenza M è necessario riconsiderare la ‘vecchia’ frontiera

efficiente di Markowitz.

Il portafoglio M è lo stesso per tutte le categorie di investitori avversi al rischio, e

viene quindi identificato come il ‘portafoglio di mercato’. Questo è un importante

risultato del ‘teorema di separazione’, secondo cui la decisione di selezione del

portafoglio nel modello di Tobin si riduce a un processo in due fasi: nella prima

fase viene individuato il portafoglio di mercato M, unico per tutti gli investitori,

mentre nella seconda fase ogni investitore, sulla base della propria funzione di

utilità, decide quanta ricchezza allocare nei titoli a reddito fisso e quanta nel

portafoglio di mercato. Il problema viene quindi ‘separato’ in due fasi distinte.

È importante sottolineare che la frazione relativa della ricchezza investita in ogni

titolo rischioso rispetto agli altri è la stessa: si perviene dunque, diversamente

rispetto al modello di Markowitz, ad un equilibrio di mercato. In altre parole, non

tutti gli investitori allocheranno la stessa frazione della ricchezza in titoli rischiosi,

ma tutti acquisteranno gli stessi singoli titoli in proporzione uguale. Ciò può

sembrare controintuitivo rispetto alla realtà, eppure implica che tutti gli investitori

avranno in portafoglio gli stessi titoli (cioè tutti quelli sul mercato).

Una conseguenza del teorema di separazione è che ogni portafoglio PCML della

capital market line può essere identificato come la composizione di due fondi: il

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

144

portafoglio di mercato M e i titoli a reddito fisso. Rendimento atteso e rischio di

tali portafogli possono quindi essere espressi come:

k CML = xM · k M + xrf  · r  f  

σCML = xM · σM (il titolo risk free è caratterizzato da varianza del rendimento nulla)

Come mostrato in Figura 4.16, ogni investitore sceglierà sulla capital market line,

fra i portafogli efficienti, quello ottimale P* al solito massimizzando la propria

funzione di utilità U (k ,σ).

Figura 4.16 – La scelta del portafoglio ottimale sulla capital market line CML nel modello

di Tobin.

•  Il punto

Se nel modello del portafoglio di Markowitz si considera anche la possibilità di

investire (e al limite anche di indebitarsi) nei titoli a reddito fisso, le possibilità di

comporre dei nuovi portafogli crescono. In generale, tutti gli investitori avversi al

rischio trovano ottimale investire una frazione della ricchezza nel titolo risk free e

la rimanente quota in un portafoglio di equilibrio M, ovvero il portafoglio di

equilibrio di mercato, unico per tutti.

P* 

U (k ,σ)k 

σ

r  f  

P

M

CML

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

145

4.3.3 Il modello di Sharpe: il Capital Asset Pricing Model (CAPM)

L’ultimo problema da risolvere è capire come i prezzi di tutti i titoli azionari

quotati sul mercato si ‘assestino’ per generare l’equilibrio definito dal portafoglio

di mercato M. In altre parole siamo giunti al punto cruciale: quale deve essere il

prezzo di equilibrio sul mercato di un titolo rischioso?

Introducendo l’ipotesi che gli investitori siano caratterizzati da aspettative razionali

ed omogenee, Sharpe (1964) – Premio Nobel per l’Economia nel 1990 – risolve il

problema attraverso il noto modello del Capital Asset Pricing Model (CAPM).

Prima di proseguire però è opportuno aprire una parentesi circa l’efficienza dei

mercati finanziari.

Si definisce ‘efficiente in forma debole’ un mercato finanziario in cui i prezzi dei

titoli rispecchiano tutte le informazioni disponibili sull’andamento passato dei

prezzi stessi. In altre parole, in un tale mercato conoscere la performance passata di

un titolo non serve a nulla, perché non aggiunge nessuna nuova informazione utile

a prevederne l’andamento futuro.

Si definisce invece ‘efficiente in forma semi-forte’ un mercato finanziario in cui i

prezzi dei titoli rispecchiano le informazioni pubblicamente disponibili. In altre

parole, in un tale mercato i prezzi scontano tutte le notizie contenute nei bilanci

pubblici delle imprese, o pubblicati sulle varie fonti di informazione.

Infine, si definisce ‘efficiente in forma forte’ un mercato finanziario in cui i prezzi

dei titoli rispecchiano tutte le informazioni, pubbliche e non. In altre parole, in un

tale mercato – ben difficile da individuare nella realtà – tutti gli investitori

dispongono delle stesse informazioni allo stesso costo, e nessuno ha accesso a

informazioni privilegiate.

Sharpe dimostra che sotto l’ipotesi di aspettative omogenee sul valore futuro iP̂  

degli n titoli azionari presenti sul mercato, e quindi valendo l’opzione

dell’efficienza in forma forte del mercato, deve valere nel modello uniperiodale

finora considerato:

Pi =)1(

ˆ

i

i

P

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

146

Spesso questo concetto non è facile da comprendere. Sui mercati finanziari, non

sono i prezzi futuri che si modificano sulla base delle aspettative, generando i

valori iP̂ . Sono invece le aspettative future che determinano i prezzi oggi dei titoli,

generando i rendimenti k i di equilibrio.Sharpe dimostra anche che per un portafoglio di titoli ottimale P (e quindi anche

per il portafoglio di mercato) deve valere la seguente relazione, che sintetizza il

risultato del CAPM:

k i = r  f +i

 f 

 x

r k 

∂∂⋅

−P

M

M σ

σ  i = 1, 2, …, n 

Cioè, in equilibrio il rendimento atteso di ogni titolo azionario deve essere uguale

al tasso risk free di mercato, più un certo premio per il rischio, che è proporzionale

al contributo marginale che il titolo azionario stesso apporta al rischio del

portafoglio P. Finalmente siamo in grado di capire da cosa dipende il premio per il

rischio ∆r  richiesto in equilibrio dal mercato alle azioni di un’impresa: esso

dipende dalla capacità del titolo di incrementare o abbattere il rischio marginale del

portafoglio di mercato.

In altre parole, se il contributo marginale che un certo titolo apporta al rischio del

mercato è nullo, non vi è ragione per cui venga richiesto ad esso un premio per il

rischio addizionale rispetto ai titoli a reddito fisso.

La relazione precedente, in virtù del teorema di separazione (che ricordiamo

afferma che un portafoglio ottimale può sempre essere considerato come composto

dai titoli risk free e dal portafoglio di mercato) può anche essere riscritta in questa

maniera:

k i = r  f + ii

 f r k σρ

σM

M

M ⋅⋅−

 

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

147

dove ρiM rappresenta il coefficiente di correlazione fra il portafoglio di mercato M

e il titolo i considerato. La formulazione del Capital Asset Pricing Model (CAPM)

più nota è però un’altra:

k i = r  f + βi  · (k M – r  f )

con il parametro beta (βi) definito come:

βi =M

M

σ

σρii ⋅

 

Il numeratore del parametro beta viene spesso indicato come ‘rischio non

diversificabile’ σNDIV di un generico titolo azionario i:

σNDIV = ii σρM ⋅  

Ciò significa che il premio per il rischio domandato a un titolo è proporzionale non

a tutto il rischio, ma solo a quella parte che è sistematica (= non eliminabile)

diversificando in maniera efficiente un portafoglio, cioè investendo in un fondo che

appartiene alla capital market line. La parte residua (‘rischio diversificabile’) può

invece essere eliminata attraverso la diversificazione del portafoglio.

Per differenza, il rischio diversificabile di un titolo σDIV è pari a:

σDIV = σi – ii σρ M ⋅ = σi  · (1 – ρiM)

La Figura 4.17 evidenzia come graficamente sia possibile scomporre il rischio

diversificabile e sistematico di un generico titolo/portafoglio P.

Dalla Figura risulta chiaro che il titolo/portafoglio P non può essere associato a un

rendimento atteso diverso da quello del fondo K. Chi mai fra gli investitori avversi

al rischio vorrebbe investire tutta la sua ricchezza in P? Nessuno. Invece di

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

148

investire solo in P, è possibile investire nel titolo a reddito fisso e nel portafoglio di

mercato M, diversificando il rischio e ottenendo – ad esempio – un fondo K

caratterizzato da stesso rendimento atteso rispetto a P ma da minore rischio. Se

dunque è possibile, grazie alla diversificazione di portafoglio, ‘abbattere’ una parte

del rischio di P (ovvero quello diversificabile σDIV), non c’è ragione per cui il

mercato chieda un premio per il rischio diverso ai due titoli. In altre parole, è

possibile ottenere un portafoglio ammissibile caratterizzato da rendimento atteso

uguale a quello di P, e da rischio nullo? La risposta è no: il massimo che possiamo

ottenere è abbattere solo una parte del rischio σP (quella diversificabile), ma la

frazione σNDIV è ineliminabile e costituisce quindi il rischio ‘sistematico’. Il

mercato chiede una remunerazione solo per questa frazione.

Figura 4.17 – Rischio sistematico e rischio diversificabile.

Il beta gode della proprietà additiva, nel senso che il beta di un portafoglio P è

uguale alla somma pesata del beta dei titoli che lo compongono:

βP = ∑=

⋅n

i

ii x

1

β  

k P 

σ

r  f  

P

M

σDIV σNDIV σP 

K

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

149

Ciò vuol dire che il rischio di un portafoglio (a causa della covarianza) non è

uguale alla somma pesata del rischio dei titoli che lo compongono, ma invece il

rischio non diversificabile di un portafoglio è la somma pesata del rischio

sistematico dei titoli che lo compongono.

Dalla funzione che lega k i a r  f  e βi, appare evidente che il beta del titolo a reddito

fisso è nullo, mentre il beta del portafoglio di mercato M è uguale a uno. Da ciò si

deduce che il beta di un portafoglio che appartiene alla capital market line grazie al

teorema di separazione è uguale alla frazione di ricchezza investita nel portafoglio

di mercato:

βCML = xM · βM + xrf  · βrf = xM 

Il rischio σCML di un portafoglio efficiente, che appartiene alla capital market line,sarà interamente non diversificabile, e tenuto conto che il suo rendimento è

correlato solo al portafoglio di mercato (ρiM = 1) sarà pari a:

σCML = xM · σM = βCML· σM 

•  Il punto

Il premio per il rischio richiesto in equilibrio dal mercato ad un titolo/portafoglio

azionario è proporzionale al parametro beta, che rappresenta il rischio sistematico,

o non diversificabile, rispetto al rischio del portafoglio di mercato.

Titoli (o portafogli) che hanno beta maggiore di uno vengono individuati come

fondi ‘aggressivi’, nel senso che il loro rendimento atteso amplifica (in positivo o

in negativo) l’andamento del mercato, come è evidente dalla relazione lineare che

definisce il CAPM. Per contro, titoli (o portafogli) caratterizzati da beta minore di

uno sono indicati come fondi ‘difensivi’ nel senso che tendono a smorzare le

oscillazioni del mercato contenendone il rischio.

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

150

Purtroppo il beta ha un difetto: non è un parametro osservabile, e può solo essere

stimato attraverso tecniche econometriche. La relazione del CAPM ben si presta

infatti ad una regressione lineare:

k i = r  f + βi  · (k M – r  f ) = (1 – βi ) · r  f + βi · k M = αi + βi · k M con αi = (1 – βi ) · r  f  

Mettendo in relazione dunque una serie storica ‘sufficientemente’ lunga di

rendimenti (ad esempio giornalieri) di un titolo i rispetto al rendimento del

portafoglio di mercato (che può essere ben approssimato dal rendimento di un

indice rappresentativo del listino), si può ottenere una stima dei parametri alfa αi e

beta βi. Purtroppo si baserà su dati passati, e quindi non vi è alcuna garanzia che il

beta del titolo rimanga lo stesso nel futuro.

Se poi non esistono dati di rendimento del titolo i (ad esempio perché non è quotatoin Borsa), siamo veramente nei guai. La prassi è quella di considerare dei beta ‘di

settore’ (beta book ) andando a vedere quanto vale questo parametro per imprese

simili, operanti nello stesso business, quotate su un mercato borsistico (si veda ad

esempio la Tabella 4.2).

Tabella 4.2 – Esempio di beta settoriali (tratto dal sito web del prof. Damodaran della

Stern University di New York http://pages.stern.nyu.edu/~adamodar 

 

).

Settore  Beta medio Settore  Beta medio

Aerospace/Defense 1,99 Metal Fabricating 2,44Bank 0,89 Natural Gas (Distribution) 0,83Biotechnology 5,16 Semiconductor 6,35Cement & Aggregates 1,81 Telecom Services 2,89Electric Utilities 0,87 Tyre & Rubber 2,33Food Processing 1,51 Tobacco 1,21

Si può osservare come esistano settori produttivi considerati tradizionalmente come

‘difensivi’ dal mercato (ad esempio le utilities e le banche) e come altri comparti

quali le biotecnologie e i semiconduttori siano considerati molto rischiosi e quindi

‘aggressivi’.

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

151

Il parametro αi è invece chiamato ‘alfa di Jensen’. Esso rappresenta il rendimento

di un titolo azionario i differenziale rispetto al premio per il rischio correlato al

beta. Viene utilizzato come misura di performance assoluta ad esempio per i fondi

di investimento, poiché quando esso è maggiore di r  f , indica un rendimento

superiore a quello che predice il CAPM (e quindi una particolare bravura del

gestore a catturare rendimenti positivi), e viceversa.

Un secondo parametro molto utilizzato nell’asset management  (gestione di

portafogli mobiliari) è lo Sharpe ratio. Esso è dato dal rapporto fra (k i – r  f ) e σi,

ovvero fra rendimento differenziale rispetto ai titoli risk free e rischio. È evidente

che un gestore avverso al rischio cercherà di massimizzare tale rapporto, cercando

di ‘battere’ il profilo rischio/rendimento di ogni altro portafoglio (ovvero di

posizionarsi ‘sopra’ la Capital Market Line).

•  Esempio

Sul mercato è quotato il titolo azionario A caratterizzato da un rendimento annuale

atteso k A pari al 12% e da una deviazione standard σA del rendimento pari al 7%.

Il rendimento atteso del portafoglio di mercato k M è pari al 15%, mentre il rischio

del portafoglio di mercato σM è pari al 6%. Il rendimento annuale dei titoli risk free

r  f è pari al 2%.

Si deduce che il beta βA del titolo è pari a:

βA =  f 

 f 

r k 

r k 

M

A

= 0,769

Il rischio non diversificabile σNDIV del titolo A è pari a:

σNDIV = AAM σρ ⋅ = MA σβ ⋅ = 4,614%

Evidentemente il rischio diversificabile σDIV è pari a:

σDIV = σA – σNDIV = 2,386%

Ciò vuol dire che investendo nei titoli a rischio fisso e nel portafoglio di mercato

M, rispettivamente una frazione  xrf   e  xM della ricchezza, possiamo costruire un

portafoglio più efficiente rispetto ad A, caratterizzato da stesso rendimento atteso

ma da rischio più contenuto. La composizione di tale portafoglio sarà definita da:

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

152

 xrf  · r  f  + xM · k M = k A = 12% (con xrf  + xM = 1)

da cui si ottiene:

 xrf  = 23,08%

 xM = 76,92%Il rischio σ del portafoglio così composto (dal momento che appartiene alla capital

market line) può essere calcolato da:

σ = xM · σM = 4,614%

Il portafoglio identificato è quindi più efficiente di A, e il suo rischio è uguale a

quello non diversificabile di A. In effetti, quindi, investendo dei titoli risk free e nel

portafoglio di mercato (che comprende anche A) possiamo abbattere parte del

rischio del titolo A, e il mercato richiederà un premio di rendimento solo per il

rischio residuo.

4.3.4 Interazione fra valutazione dell’impresa e modalità di finanziamento

Questo paragrafo non servirebbe se il mercato finanziario fosse simile a quello

immaginato da Modigliani e Miller nella loro Proposizione I (si veda il Capitolo 2).

In tale situazione, abbiamo mostrato che il valore d’impresa non dipende da come

essa è finanziata.

Nella realtà, invece esiste un’interazione fra decisioni di investimento e modalità di

finanziamento, per almeno tre motivi:

1)  i meccanismi di tassazione sul reddito non sono ‘neutrali’ rispetto a come

l’impresa viene finanziata (ad esempio, esiste uno ‘scudo fiscale’ associato aldebito);

2)  l’impresa ha a disposizione diverse modalità di raccolta di capitale, con

caratteristiche e costi diversificati;

3)  non tutti i progetti di investimento presentano lo stesso profilo di rischio

sistematico; il costo del capitale k  non è dunque un parametro esogeno, ma

dipende esso stesso dalla scelta degli investimenti che vogliamo valutare.

La teoria della valutazione degli investimenti risponde ai primi due problemi

introducendo il concetto del ‘costo del capitale medio ponderato’ (weighted 

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

153

average cost of capital, WACC) e di ‘valore attuale modificato’ (VAM) di un

investimento.

Il WACC è la media ponderata del costo del capitale azionario k  E  e del costo netto

del capitale di debito k  D, in cui i pesi sono considerati rispetto al valore di mercato

(market value) del capitale azionario (E) e del capitale di debito finanziario (D),

non rispetto al valore contabile (book value):

WACC =  D E  k  E  D

 Dk 

 E  D

 E ⋅

++⋅

In presenza di imposte (con aliquota sul reddito d’impresa pari a t c) il

finanziamento con equity piuttosto che con debito non è equivalente, poiché gli

interessi sul debito possono essere dedotti dal reddito mentre i dividendi no: in altreparole, il costo netto del capitale di debito k  D è più contenuto rispetto al tasso lordo

di indebitamento r  D (che rappresenta il tasso di remunerazione contrattuale del

debito):

k  D = r  D · (1 – t c)

WACC =  D E  r  E  D

 Dk 

 E  D

 E ⋅

++⋅

+· (1 – t c)

Ad esempio, se abbiamo la possibilità di indebitarci al tasso del 6%, e l’aliquotafiscale sul reddito è pari al 40%, in realtà su ogni euro pagato in interessi passivi

riusciremo a ‘far rientrare’ 0,4€ risparmiando in imposte. Il costo ‘reale’ del debito

sarà quindi pari al 60% del tasso (ovvero 3,6%).

Se invece l’aliquota fiscale fosse pari a zero, ricadremmo nelle ipotesi delle

Proposizioni I e II di Modiglioni e Miller. In tal situazione abbiamo già mostrato,

nel Capitolo 2, che il rendimento delle attività dell’impresa è costante e non

dipende da come l’impresa è finanziata. Infatti partendo dalla Proposizione II si

otterrebbe:

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

154

r E = )( AA r r  E 

 Dr  −⋅+  

r A = )1( / )1( / E

 E 

 D

 E 

 Dr 

 E 

 Dr  +⋅++ =

)()(

E

 E  D

 Dr 

 E  D

 E r 

+

⋅+

+

⋅ = WACC = costante 

Attualizzare flussi finanziari di un progetto di investimento con il costo del capitale

medio ponderato WACC consente di tenere conto del fatto che il costo del capitale

per l’impresa può essere inferiore al tasso k E per due motivi: (i) finanziarsi con

debito è relativamente più conveniente rispetto al capitale azionario, grazie alla

deducibilità fiscale degli interessi, (ii) l’impresa può comunque (a maggior

ragione) sfruttare la ‘leva finanziaria’ raccogliendo capitale di debito per finanziare

progetti di investimento con rendimento superiore, e amplificando il rendimento

atteso per gli azionisti (Proposizione II di Modigliani e Miller). I flussi da scontaresaranno quelli ‘unlevered ’ (cioè quelli che l’impresa registrerebbe se non ci fosse il

debito).

Il VAM (‘valore attuale modificato’) è invece la somma del VAN, valore attuale

netto, e del valore attuale del finanziamento.

VAM = VAN base + VA(finanziamento)

L’idea è quella di separare la valutazione dell’investimento, di cui misureremo il

VAN come se fosse generato da un’impresa unlevered finanziata solo con equity(‘VAN base’) rispetto al valore attuale del finanziamento, che dipende invece dalle

scelte finanziarie e dagli effetti collaterali che esse generano.

•  Il segnalibro

Le definizioni del WACC (weighted average cost of capital) e del VAM (valore

attuale modificato) sono introdotte anche nel Volume ‘Gestire le Risorse

dell’Impresa’, Capitolo 4, Paragrafo 4.2, nell’ambito dei modelli di valutazione dei

progetti di investimento.

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

155

Il VAN base sarà calcolato scontando i flussi di cassa che il progetto genera nel

caso non esista il debito (quindi, i flussi operativi al netto delle tasse) attraverso il

costo del capitale k  E  unlevered .

Il valore attuale del finanziamento viene determinato considerando tutti i flussi

differenziali connessi alla decisione di finanziamento (ad esempio risparmi o maggiori

oneri fiscali, possibili costi di agenzia e costi del dissesto, costi di collocamento titoli).

Peraltro, il VAM può tenere conto di tutti gli effetti collaterali del finanziamento,

mentre l’uso del WACC tiene conto solo dell’eventuale risparmio fiscale.

È importante osservare che il valore misurato dal VAM e attraverso il WACC non

è il valore del progetto per gli azionisti, ma il valore per tutti coloro che lo hanno

finanziato (azionisti e detentori del debito).

I metodi del WACC e del VAM devono però essere applicati con attenzione. Il

costo del capitale azionario k  E  non può essere considerato indipendente dal mix

debito / equity. Ad un livello di indebitamento crescente corrisponde un costo del

capitale azionario crescente (si veda la Proposizione II di Modigliani e Miller), così

come è probabile che per un elevato livello dell’indebitamento il tasso di

remunerazione del capitale di debito r  D sia anche esso crescente, poiché i

finanziatori chiedono un premio per la maggiore rischiosità del debito.

Figura 4.18 – Andamento del costo del capitale azionario k  E   , del tasso di remunerazione

del debito r  D e del WACC in funzione del leverage D/E dell’impresa.

k  E  

 D/E 

r  D 

WACC

k* k*

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

156

La Figura 4.18 sintetizza questa ipotesi tipica: quando l’impresa non è indebitata

(leverage D/E = 0), il costo del capitale coincide con il costo del capitale

dell’impresa unlevered (indichiamolo con k *); al crescere del debito invece sia il

costo del capitale k  E , sia ad un certo punto il tasso nominale del debito r  D 

cresceranno, determinando un costo medio ponderato del capitale prima

decrescente (se r  D < k *) poi crescente.

Per mettere in relazione il costo del capitale delle diverse fonti di finanziamento

con il WACC dell’impresa possiamo invocare due formule: (i) la formula di Miles

e Ezzell, oppure (ii) la formula di Modigliani e Miller.

La formula di Miles e Ezzell mette in relazione il costo medio ponderato del

capitale (WACC) con il costo del capitale azionario che avrebbe l’impresa se fosse

finanziata solo con capitale azionario k* (riportato anche nella Figura precedente),

considerando il livello  L del leverage del progetto (calcolato come valore del

debito contratto su valore finanziario di mercato totale del progetto, non contabile),

l’aliquota fiscale sul reddito t C , il tasso di indebitamento r  D:

WACC = k * – L ⋅ r  D ⋅ t c ⋅ )1(

*)1(

 Dr 

++

 

La formula di Modigliani e Miller è simile, vale solo per progetti che generano

flussi di cassa costanti all’infinito, ma fornisce un’ottima stima del valore del

progetto anche in altri casi:

WACC = k * ⋅ (1 – L ⋅ t c)

Entrambe le formule ci permettono di ricavare indirettamente il costo del capitale

azionario k  E implicito nel WACC (che non è uguale a k*), poiché vale:

WACC =  D E  r  E  D

 Dk 

 E  D

 E ⋅

++⋅

+· (1 – t c) = (1 – L) · k  E + L · r  D · (1– t c) ⇒ 

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

157

k  E =)(1

)1(WACC

 L

t r  L c D

−−⋅⋅−

 

Le due formule sono differenti, perché diverse sono le ipotesi alla base sullemodalità di finanziamento dell’investimento, come sarà chiaro dall’esempio

seguente. Entrambe ipotizzano implicitamente che il livello  L del leverage di

finanziamento del progetto sia lo stesso degli altri investimenti già esistenti. Se così

non fosse, vuol dire che l’impresa intende modificare la propria capacità di

indebitamento. Ad esempio, se un progetto viene finanziato per il 90% da debito

mentre le altre attività sono finanziate solo per il 50% da debito, vuol dire che

l’impresa sta ‘scaricando’ una porzione del debito sulle attività esistenti.

Le formule sono però utili anche nei casi in cui i progetti di investimento da

valutare non siano finanziati esattamente come è finanziata l’impresa. In tal caso illivello  L deve rispecchiare il leverage effettivo del progetto, e come effetto si

otterrà un maggiore costo del capitale (sia riferito al WACC sia al solo capitale

azionario) rispetto a quello corrente.

•  Esempio

Si consideri il caso di un investimento effettuato da un’impresa, che ha le seguenti

caratteristiche:

Investimento iniziale I 0 = 100.000€

Flusso di cassa annuale legato alla gestione operativa generato dall’investimento, apartire dall’anno t =1, F = 28.000€ (al lordo del prelievo fiscale)

Ipotizziamo che l’investimento iniziale venga finanziato interamente con capitale

proprio e, per semplicità, che la rendita generata dal progetto sia perpetua.

L’aliquota fiscale t c sul reddito d’impresa è pari al 36%. Il costo del capitale

azionario k * è pari al 15%.

Determiniamo il VAN dell’investimento, considerando la rendita annuale al netto

delle tasse F * e sfruttando la formula della perpetuity:

F * = F  ⋅ (1 – t c) = 17.920€

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

158

VAN = ∑∞

= ++−

1*

*

0)1(t 

t k 

F  I  =

*

*

0k 

F  I  +− = 19.467€

Il VAN così calcolato rappresenta il ‘VAN base’ del progetto.

Può essere interessante determinare il tasso interno di rendimento TIR (o internal

rate of return) del progetto:

VAN = ∑∞

= ++−

1

*

0 )1(t t TIR

F  I  =

TIR

F  I 

*

0 +− = 0 da cui TIR = 17,92%

Consideriamo invece come la determinazione del valore del progetto interagisce

con alcune scelte di finanziamento alternative rispetto al ‘caso base’:

•  L’investimento viene finanziato con un aumento di capitale attraverso

un’offerta pubblica; gli intermediari incaricati del collocamento chiedono una

commissione pari al 4% del controvalore dell’offerta

La formula più immediata da utilizzare è quella del VAM:

VAM = VAN base + VA (finanziamento)

Il valore attuale del finanziamento è semplicemente il margine richiesto dagli

intermediari (considerando la deducibilità fiscale del costo):

VA (finanziamento) = –4% (100.000€) · (1 – 36%) = –2.560€

VAM = 19.467€ – 2.560€ = 16.907€

Il valore del progetto decresce: la creazione di valore derivante dall’operazione

viene parzialmente assorbita dal compenso per gli intermediari finanziari.

•  Supponiamo che invece di essere finanziata solo con equity l’impresa è

finanziata anche da debito, e si intende finanziare il nuovo progetto per 1/3 di

 I 0 attraverso l’accensione di un mutuo bancario, con pagamento di interessi

annuali pari al 9%.

In questo caso, a parità del resto, non possiamo più dire che il costo del capitale

azionario k  E  sarà pari sempre al 15%. Esso vale per l’impresa unlevered : in realtà,

noi sappiamo che essendo indebitata l’impresa avrà un costo del capitale totale più

basso del 15% e un costo del capitale azionario più elevato. Inoltre, non possiamo

dire che l’effettiva incidenza del debito sia pari a 1/3, perché essa va calcolata sul

valore totale del progetto.

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

159

Partiamo calcolando il VAM. In questo caso per determinare il valore attuale del

finanziamento occorre determinare il flusso finanziario annuale  RF  legato al

risparmio fiscale. Esso sarà pari al 36% degli oneri finanziari, calcolati sul debito

contratto (33.333€). Infatti, per ogni euro pagato come interesse sul debito, èpossibile risparmiare 0,36€ nel pagamento di imposte.

 RF = t c ⋅ r  D ·  D = 36% · 9% ⋅ 33.333€ = 1.080€

Assumendo che l’indebitamento sia perpetuo, il valore attuale del risparmio fiscale

è pari ad una perpetuity, che però andrà scontata non al costo del capitale azionario,

ma al costo del capitale di debito. La ragione è che i flussi finanziari legati al

progetto di investimento sono rischiosi, mentre i flussi legati al risparmio fiscale

sono perfettamente prevedibili, essendo noto il valore del debito contratto

dall’impresa.

VA (finanziamento) = Dr 

 RF  = 12.000€

VAM = VAN base + VA (finanziamento) = 31.467€

Il valore del progetto è ovviamente maggiore rispetto al ‘caso base’, grazie

all’incremento del debito (che genera maggiori risparmi in imposte e permette di

amplificare la redditività per gli azionisti grazie alla ‘leva finanziaria’). Si noti

anche che abbiamo attualizzato al costo lordo del debito (r  D) e non al costo netto

(k  D) poiché abbiamo già tenuto conto del risparmio fiscale al numeratore. In caso

contrario avremmo conteggiato due volte lo stesso vantaggio.

Il valore totale V del progetto è pari a:V = I 0 + VAM = 131.467€

Il peso effettivo  L del debito raccolto  D sul valore del progetto è inferiore a 1/3,

pari al 25,35% (ovvero 33.333€ su 131.467€) mentre il peso del capitale azionario

 E è pari al 74,65% (la parte residua).

Per determinare il WACC applichiamo la formula di Modigliani e Miller:

WACC = k * ⋅ (1 – L ⋅ t c ) = 13,6308%

Per determinare il costo del capitale azionario k  E  applichiamo la definizione del

WACC:

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

160

WACC =  D E  r  E  D

 Dk 

 E  D

 E ⋅

++⋅

+· (1 – t c) = 74,65% ⋅ k  E + 25,35% ⋅ 9% ⋅ (1 – 36%)

WACC = 13,6308% ⇒ (salvo arrotondamenti) k  E = 16,30%

Come si prevedeva, il costo del capitale azionario per l’impresa indebitata èsuperiore al costo del capitale azionario k 

* ‘unlevered ’.

Verifichiamo che il rendimento atteso del capitale azionario è proprio pari a k  E ,

confrontandolo con il rapporto fra reddito netto  RN generato dal progetto per gli

azionisti, al netto di interessi sul debito e imposte, e valore dell’equity  E :

 RN = (F – r  D ⋅D) ⋅ (1 – t C ) = 16.000€

 E 

 RN =

33.333-131.46716.000

= 16,30%

Il valore del progetto utilizzando il WACC sarà:

VAN = ∑∞

= ++−

1

*0

)1(t t 

WACC 

F  I  =

WACC 

F  I 

*0 +− = 31.467€

Si noti che il flusso di cassa F* considerato è lo stesso impiegato nel calcolo del

VAN ‘base’. Non tiene conto del flusso di interessi passivi sul debito, perché sono

considerati un flusso positivo di reddito, che remunera comunque l’investimento.

Dunque, applicando la formula del WACC il risultato a cui perveniamo è lo stesso

ottenuto con la formula del VAM.

Vale la pena osservare che nel calcolo del VAM i risparmi fiscali potranno essere

considerati privi di rischio se realmente l’impresa avrà un reddito imponibile

positivo negli anni futuri. In caso contrario, i risparmi fiscali potrebbero essere non

effettivi, e quindi dovranno essere considerati rischiosi, come avviene nel punto

successivo.

•  Come nel punto precedente, ma si intende ribilanciare il livello del debito

futuro ogni anno, per mantenere costante il leverage 

In questo caso l’obiettivo è mantenere in ogni anno futuro un rapporto  L debito / 

valore del progetto costante. In altre parole, se per caso ci accorgiamo che nel

futuro i flussi di reddito generati dal progetto saranno maggiori rispetto alle

aspettative, incrementeremo leggermente il debito. Al contrario, se per caso i flussi

operativi saranno minori rispetto alle aspettative, ridurremo il debito.

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

161

La differenza rispetto al caso precedente è la seguente: in ogni istante di tempo

futuro il livello degli oneri finanziari correnti è noto, ma non è conosciuto negli

anni successivi. Il flusso legato al risparmio fiscale è noto, in ogni istante futuro,

solo per i 12 mesi successivi dal momento che all’inizio di ogni anno fisseremo illivello di  D fino all’anno dopo: esso andrà attualizzato utilizzando per un anno il

costo del capitale di debito r  D, e per gli altri anni il costo del capitale azionario k* 

(ovvero quello relativo all’impresa ‘unlevered ’, se no terremmo conto due volte

dell’effetto del risparmio fiscale).

Calcoliamo quindi il valore attuale del finanziamento:

VA (finanziamento) = ∑∞

= +⋅+11-*)(1)(1t 

 Dk r 

 RF = ∑

= +⋅

++

1*

*

)(1)(1

)1(

t t 

 D k 

 RF 

k =

*

*

)(1

)1(

 RF 

 D

⋅++

 

VA (finanziamento) = 7.596€

VAM = VAN base + VA (finanziamento) = 27.063€In questo caso il valore attuale del finanziamento è inferiore rispetto al caso

precedente, poiché stiamo considerando non conosciuti con certezza, ma

dipendenti dall’esito del progetto, i risparmi fiscali associati al debito.

Il valore totale V del progetto è pari a:

V = I 0 + VAM = 127.063€

Il peso effettivo L del debito raccolto D sul valore del progetto è superiore rispetto

al caso precedente, pari al 26,23% (ovvero 33.333€ su 127.063€) mentre il peso del

capitale azionario E è pari al 73,77% (la parte residua).

Mostriamo come si arriva allo stesso risultato calcolando il WACC, ma questavolta applicando la formula di Miles e Ezzell:

WACC = k * – L ⋅ r  D ⋅ t c⋅ )1(

*)1(

 Dr 

++

= 14,1032%

VAN = ∑∞

= ++−

1

*

0)1(t 

t WACC 

F  I  =

WACC 

F  I 

*

0 +− = 27.063€

Per determinare il costo del capitale azionario torniamo ad applicare la definizione

del WACC:

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

162

WACC =  D E  r  E  D

 Dk 

 E  D

 E ⋅

++⋅

+· (1 – t c) = 73,77% ⋅ k  E + 26,23% ⋅ 9% ⋅ (1 – 36%)

WACC = 14,1032% ⇒ (salvo arrotondamenti) k  E = 17,07%

Il costo del capitale azionario è superiore anche rispetto al caso precedente, dalmomento che stiamo giudicando ‘più rischiosi’ i flussi di cassa del progetto, in

particolare legati al risparmio fiscale.

Verifichiamo ancora che il rendimento atteso del capitale azionario è pari a k  E :

 RN = (F – r  D ⋅D) ⋅ (1 – t C ) = 16.000€

 E 

 RN =

33.333-127.063

16.000= 17,07%

Si conclude che la formula di Miles e Ezzell è coerente con una politica di

ribilanciamento del debito durante la vita utile dell’investimento, per mantenere

costante l’incidenza sul valore del progetto, mentre la formula di Modigliani eMiller considera lo stock del debito come fisso.

•  Infine, consideriamo il caso in cui l’impresa è indebitata per il 25% del valore

di mercato dei propri investimenti, mentre il progetto in questione viene

finanziato per il 50% del suo valore con debito bancario, alle stesse condizioni

di prima (con ribilanciamento annuo del livello D)

Implicitamente, nei casi precedenti si era ipotizzato che il peso  L del debito sul

valore del progetto fosse uguale a quello di tutti gli altri investimenti. Nell’ultimo

caso, ad esempio, così come l’incidenza del nuovo debito sul valore del progetto

era pari al 26,23%, la stessa incidenza doveva avere il debito esistente su altriprogetti già esistenti nelle attività aziendali. In questo caso invece l’impresa intende

ampliare la propria capacità di indebitamento.

L’errore classico sarebbe calcolare il costo medio del capitale considerando il costo

del capitale azionario corrente (k  E = 17,07%):

WACC = 50% ⋅ 17,07% + 50% ⋅ 9% ⋅ (1 – 36%) = 11,415%

Con un tasso di attualizzazione così contenuto, il progetto apparirebbe molto

interessante.

In realtà dalla formula di Miles e Ezzell ricaviamo:

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

163

WACC = k * – L ⋅ r  D ⋅ t c ⋅ )1(

*)1(

 Dr 

++

= 15% – 50% ⋅ 9% ⋅ 36% ⋅ (1,15) / (1,09)

WACC = 13,2908%

Il valore del progetto diventa:

VAN = ∑∞

= ++−

1

*

0)1(t 

t WACC 

F  I  =

WACC 

F  I 

*

0 +− = 34.830€

Possiamo mostrare che il livello del debito D che corrisponde al rapporto L pari al

50% è pari a:

 D = 50% ⋅ (VAN + I 0) = 67.419€

Gli oneri finanziari attesi ogni anno sarebbero pari al 9%, con un risparmio fiscale

annuo RF pari a:

 RF = t c ⋅ 9% ⋅ 67.419€ = 2.184,38€

Calcoliamo il VAM:

VA (finanziamento) = ∑∞

= +⋅+11-*)(1)(1t 

 D k r 

 RF =

*

*

)(1

)1(

 RF 

 D

⋅++

= 15.363€

VAM = VAN base + VA (finanziamento) = 34.830€

Il costo del capitale k  E  sostenuto dagli azionisti che finanziano il progetto per il

50% può essere ricavato da:

WACC = ⋅⋅+

+⋅+  D E  r 

 E  D

 Dk 

 E  D

 E (1 – t c) = 50% ⋅ k  E + 50% ⋅ 9% ⋅ (1 – 36%) = 13,2908%

k  E = 20,82%Il costo del capitale è quindi molto più alto rispetto a quello prevedibile, a causa

dell’ampliamento della capacità di debito.

Riassumendo, nel seguente schema vengono riassunti i risultati dell’analisi:

Ipotesi iniziale Valore netto progetto Costo del capitale k  E  

Caso base (impresa finanziata solo con equity) 19.467€ 15,00%

Raccolta di capitale con offerta pubblica 16.907€ 15,00%

Indebitamento di importo costante predeterminato 31.467€ 16,30%

Indebitamento con leverage costante (ribilanciato) 27.063€ 17,07%

Indebitamento con leverage superiore all’attuale 34.830€ 20,82%

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

164

Ricordiamo che in tutte le situazioni si ipotizza implicitamente che il profilo di

rischio sistematico del progetto sia uguale a quello degli altri progetti in

portafoglio.

Infine, dobbiamo considerare il terzo problema, ovvero il fatto che non tutti i

progetti di investimento presentano lo stesso profilo di rischio sistematico al di là

di come sono finanziati. Il tema viene affrontato nelle prossime pagine.

La Figura 4.19 rappresenta, questa volta sul piano beta-rendimento, la security

market line, ovvero la retta di equilibrio dei rendimenti attesi associati ai diversi

titoli azionari presenti sul mercato in funzione del loro beta, e quindi del rischio

sistematico. Essa deriva direttamente dalla relazione fondamentale del CAPM, e

suggerisce anche quali investimenti dovrebbero essere accettati piuttosto che

rifiutati dall’impresa, in funzione della loro rischiosità (cioè del beta dell’investimento) e del rendimento del capitale azionario atteso k . In particolare,

saranno accettati gli investimenti che si posizionano a sinistra della security market 

line, mentre saranno rifiutati quelli che si posizionano a destra della retta. Il tasso di

rendimento degli investimenti accettati dovrà infatti comprendere un premio per il

rischio tanto più elevato quanto più essi contribuiscono ad incrementare al margine

il rischio dell’impresa.

Figura 4.19 – La security market line sul piano beta-rendimento.

β

r  f  

0

k  M  

1Titoli difensivi Titoli aggressivi

 Investimenti da rifiutare

 Investimenti da accettare

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

165

Non è del tutto corretto, quindi, affermare che un investimento andrebbe

implementato se il suo tasso interno di rendimento TIR (o internal rate of return,

IRR) è superiore al costo del capitale k ; ciò vale a parità di rischio: se così non

fosse bisogna considerare anche l’effetto che l’investimento ha sulla rischiosità del

portafoglio di attività esistenti.

In altre parole, stiamo dicendo che se un investimento presenta un grado di rischio

non diversificabile diverso da quelle delle altre attività dell’impresa (ad esempio la

volatilità dei flussi di reddito attesi è maggiore), modificherà il rischio sistematico

dell’impresa e quindi il beta dell’impresa.

La Figura 4.20 riassume le possibili conseguenze che la scelta di un investimento

può avere sull’equilibrio rischio-rendimento corrente dell’impresa, caratterizzato

da un certo costo del capitale k  E (con cui si confronta il TIR del progetto) e dal beta 

corrente del capitale azionario (che può essere incrementato o ridotto dalla

rischiosità del progetto o da come esso è finanziato).

Figura 4.20 – Selezione di investimenti, in base al tasso interno di rendimento.

La proprietà additiva dei beta ci permette di quantificare la variazione del beta del

capitale azionario rispetto ad una variazione della rischiosità degli assets. Se infatti

TIR

β

r  f  

0

k  E  

βcorrente

TIR>k 

e rischio ridotto

OK 

TIR<k ma rischioridotto

OK 

TIR>k ma

rischio troppo elevato

 NO

TIR<k e oltretutto rischio

incrementato

 NOTIR<k e rischio ridotto

non in maniera sufficiente

 NO

TIR>k che compensa

il maggiore rischio

OK 

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

166

il valore delle attività dell’impresa si suddivide fra valore dell’equity  E e valore del

debito D, deve verificarsi anche:

β A =  E  D

 E 

+ · β E +  E  D

 D

+ · β D 

dove β A è il beta delle attività dell’impresa, β E  il beta del capitale azionario (così

come rappresentato dal CAPM) e β D il beta del capitale di debito (che quindi

diventa un parametro di rischiosità del debito)5.

L’espressione precedente ci suggerisce diverse osservazioni:

1)  se un progetto di investimento modifica il beta del portafoglio di attività

dell’impresa, possiamo ricavare di quanto varia β E , e quindi il premio per il

rischio da applicare al costo del capitale k (supponendo che la rischiosità deldebito non cambi);

2)  se un progetto di investimento non modifica il rischio delle attività, ma

comunque viene finanziato con un mix debito/ equity diverso rispetto alla

struttura finanziaria dell’impresa (problema affrontato nelle pagine precedenti),

esso andrà a modificare ugualmente β E , e quindi il costo del capitale k  (ad

esempio, se è finanziato con molto debito incrementerà il rischio del debito, e

quindi β D); infatti, abbiamo già visto come il costo del capitale deve essere

modificato attraverso le relazioni di Miles e Ezzell oppure di Modigliani e Miller;

se ad esempio ipotizziamo di considerare il debito dell’impresa non rischioso(β D=0) si ottiene, introducendo il peso del debito L sul valore degli assets:

β A = E  D

 E 

+· β E  = (1 – L) ⋅ β E  

3)  dal momento che anche β A rappresenta il beta di un portafoglio, e cioè la media

ponderata dei beta di tutti i progetti di investimento che compaiono nell’attivo

5

La formula implicitamente assume che il debito sia ribilanciato ogni anno per mantenerecostante il leverage dell’impresa.

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

167

di bilancio, le considerazioni precedenti diventano tanto più critiche nella

valutazione dell’impresa e degli investimenti quanto più consideriamo progetti

di grandi dimensioni, i cui effetti marginali sull’impresa e sul suo profilo di

rischio non sono trascurabili.

•  Esempio

Un’impresa, non indebitata, può scegliere fra tre investimenti:

1)  il primo investimento è caratterizzato da un profilo di rischio identico a quello

degli altri assets esistenti; si stima che grazie a questo investimento il valore fra

un anno delle attività dell’impresa sarà maggiore del 10% rispetto alle

aspettative diffuse oggi;

2)  il secondo investimento genera aspettative sul valore fra un anno dell’equity 

analoghe al punto precedente, ma è finanziato anche da nuovo debito(ribilanciato nel tempo);

3)  il terzo investimento è finanziato solo con capitale proprio ma è più rischioso

rispetto al primo; si stima che grazie a questo investimento il valore fra un

anno delle attività dell’impresa sarà maggiore del 20% rispetto alle aspettative

diffuse oggi, ma farà incrementare di 2 punti percentuali il rischio non

diversificabile d’impresa percepito dagli investitori.

Si tratta di studiare gli effetti di ognuno di questi investimenti sul valore d’impresa

e sul costo del capitale. Per semplicità escludiamo eventuali effetti fiscali.

Il beta azionario corrente dell’impresa è pari a 1,18 mentre il prezzo corrente delleazioni P0 è pari a 7€. Il tasso risk free di mercato r  f  è pari al 3% annuo, il

rendimento atteso del portafoglio di mercato k M è pari al 9%, mentre il rischio del

portafoglio di mercato σM è pari al 4%.

Innanzitutto calcoliamo il tasso di rendimento atteso k  del capitale azionario

implicito nel valore dell’azione. Dal Capital Asset Pricing Model si ottiene:

k = r  f + β · (k M – r  f ) = 10,08%

Il valore atteso P1 dell’azione fra un anno sarebbe attualmente:

P1 = P0 ⋅ (1 + k ) = 7,7056€

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

168

Se l’impresa lancia l’investimento 1), il valore atteso P1,1 sarà superiore del 10%

grazie alla creazione di valore del progetto (a parità di numero di azioni in

circolazione, si intende):

P1,1 = P1 ⋅ (1 + 10%) = 8,47616€Il costo del capitale k non varierà, dal momento che non vengono modificati né il

profilo di rischio dell’impresa, né la struttura finanziaria.

La reazione del mercato all’annuncio del progetto 1) dovrebbe essere tale da far

crescere il prezzo al livello P0,1:

P0,1 =)(1

1,1

P

+= 7,7€

Non a caso, l’incremento del valore dell’azione è uguale all’incremento di valore

atteso futuro (+10%).

Nel caso venga lanciato il progetto 2) bisogna considerare l’effettodell’indebitamento. Ormai sappiamo bene che il debito fa crescere il rendimento

atteso del capitale azionario e quindi il costo del capitale. Dal momento che il

progetto ha un profilo di rischio paragonabile agli altri investimenti aziendali, vorrà

dire che il beta delle attività rimarrà costante. Quando l’impresa non era indebitata,

esso era pari al beta dell’equity, ovvero 1,18. Adesso, se consideriamo per

semplicità il debito come privo di rischio, possiamo sfruttare la formula:

β A = E  D

 E 

+· β E  = (1 – L) ⋅ β E = 1,18

Se supponiamo che il peso del nuovo debito sul totale delle attività in portafoglio(compreso il nuovo investimento) sia pari al 5%, il beta dell’equity diventa:

β E = 1,18 / 0,95 = 1,2421

Si capisce bene che l’impresa, finanziando il nuovo progetto con debito, sta in

realtà ‘spalmando’ il rischio del progetto sulle altre attività esistenti, con un peso

del 5% sul loro valore.

Il CAPM predice il nuovo rendimento atteso del capitale azionario k 2 nel caso

venga lanciato il progetto 2):

k 2 = r  f + βΕ  · (k M – r  f ) = 10,45%

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

169

È interessante osservare che potevamo arrivare allo stesso risultato applicando la

formula di Miles e Ezzell per tutto il capitale dell’impresa (in questo caso t C = 0):

WACC = k * – L ⋅ r  D ⋅ t c ⋅ 

)1(

*)1(

 Dr 

+

+= k * = 10,08%

La formula ci dice che il costo medio ponderato del capitale non dovrebbe

cambiare (questo rispecchia l’invarianza della rischiosità delle attività in

portafoglio). Applicando la definizione del WACC e ricordando che il debito andrà

a pesare sul 5% del valore degli assets si ottiene:

WACC =  D E  r  E  D

 Dk 

 E  D

 E ⋅

++⋅

+= 95% ⋅ k  E + 5% ⋅3% = 10,08% ⇒  k  E = 10,45%

Si noti che abbiamo dovuto ipotizzare che il tasso di remunerazione del debito sia

pari al tasso risk free di mercato, dal momento che il debito emesso dall’impresa è

considerato privo di rischio.Se le aspettative sono tali che il prezzo dell’azione fra un anno sarà sempre pari a

8,47616€, il prezzo di equilibrio oggi sarà:

P0,2 =)(1

1,1

 E k 

P

+= 7,674€

Il prezzo è inferiore al caso precedente, a causa del maggiore rischio percepito

dagli investitori, a parità di reddito.

Nel terzo caso, non abbiamo effetti legati alla struttura finanziaria, ma solo alla

modifica del profilo di rischio percepito dagli investitori. Attualmente il rischio

sistematico σNDIV implicito nel prezzo del titolo è pari a:

σNDIV = β ⋅ σM = 4,72%

Lanciando l’investimento, esso diventerebbe:

σNDIV = 4,72% + 2% = 6,72%

Il beta del titolo varierà, così come il rendimento atteso richiesto dagli azionisti:

β = σNDIV / σM = 1,68

k 3 = r  f + βΕ  · (k M – r  f ) = 13,08%

Non a caso il rendimento atteso dagli azionisti cresce, poiché cresce il rischio e il

premio di rendimento esigibile dagli azionisti.

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

170

L’investimento avrà però un effetto positivo sulle aspettative relative a P1:

P1,3 = P1 ⋅ (1 + 20%) = 9,24672€

Le aspettative vengono scontate al nuovo tasso k 3:

P0,3 =)(1 3

1,3

k P+

= 8,177€

Si noti che l’incremento di valore dell’azione (+16,8%) è inferiore rispetto alla

creazione di valore attesa futura (+20%) proprio a causa del maggiore rischio

percepito dal mercato. La Figura 4.21 riassume il tutto sul piano beta-rendimento,

evidenziando la relazione positiva fra beta e costo del capitale azionario.

Figura 4.21 – La security market line dell’impresa considerata nell’esercizio.

•  Il punto

Abbiamo visto come le alternative di finanziamento e la rischiosità più o meno

elevata di un progetto possono avere un impatto (positivo o negativo) sul valore

d’impresa e sul beta del capitale azionario. Se ne tiene conto o modificando il tasso

di attualizzazione dei flussi finanziari (attraverso il WACC, le formule di Miles e

Ezzell e di Modigliani e Miller) o calcolando il VAM (valore attuale modificato).

β

r  f  = 3%

0

k = 10,08%

1,18 1,24

k =13,08%

k = 10,45%

1,68

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

171

4.3.5 Altri modelli di equilibrio fra rischio e rendimento

Il CAPM è un modello di pricing dei titoli azionari molto conosciuto. Il parametro

beta è spesso impiegato come elemento di analisi per determinare il costo del

capitale k E nei processi di valutazione, e per prevedere il rendimento futuro di un

titolo, ma è lecito chiedersi se effettivamente i mercati azionari ‘funzionano’ così.

Purtroppo le verifiche empiriche del CAPM non hanno dato risultati molto

incoraggianti, tanto che sono state proposte numerose varianti. Del resto, la

precisione di un modello di  pricing nel prevedere esattamente l’equilibrio di

mercato discende in ultima analisi dall’efficienza del mercato.

Nella realtà è chiaro che difficilmente i mercati sono efficienti in forma forte come

ipotizzato da Sharpe.

Del resto, il modello del CAPM mostra dei limiti intrinseci, ad esempio nel non

considerare un orizzonte multitemporale. Merton (1973) ha cercato di estendere il

CAPM in questa direzione attraverso un modello ( Intertemporal CAPM ) in cui il

premio per il rischio di ogni titolo azionario è associato anche alle opportunità di

investimento future.

Fama e French (1992) hanno proposto un modello multi-fattoriale (noto come

‘modello a 3 fattori’) in cui il rendimento atteso di un titolo dipende non solo dal

beta (e quindi dal rischio sistematico) ma anche dalla ‘dimensione’ dell’impresa, e

dalla composizione delle sue attività, in termini di rapporto market/book (M/B).

Diversi riscontri empirici mostrano infatti una sottovalutazione sistematica per le

imprese di piccola dimensione (SMB, small minus big portfolio) e per gli ‘income

stocks’ rispetto ai ‘growth stocks’ (HML, high minus low portfolio). A parità di

aspettative future, questo significa che in equilibrio questo tipo di imprese deve

mostrare un rendimento atteso maggiore.

Modello a 3 fattori di Fama & French: k = α + β1 · k M + β2 · SMB + β3 · HML

Successive ricerche hanno mostrato che (ancora una volta in barba a quanto la

teoria dell’efficienza vorrebbe negare) titoli azionari che nei 12 mesi precedenti

hanno registrato una performance migliore rispetto a quanto Fama & French

prevedono, probabilmente nei prossimi 12 mesi faranno altrettanto. È stata

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

172

proposta quindi una ulteriore variante (il modello ‘a 4 fattori’ di Fama, French &

Carhart) che tiene conto anche della performance passata dei titoli ( prior 1 year 

momentum, PR1YR).

Modello di Fama, French & Carhart: k = α+ β1 · k M + β2 · SMB + β3 ·HML +β4 · PR1YR

Ross (1976) ha presentato un modello ( Arbitrage Pricing Theory, APT) in cui il

rendimento atteso di un’azione rispecchia l’effetto di una serie di variabili sia di

tipo macroeconomico sia specifiche della singola impresa (a tutte le quali viene

attribuito un premio per il rischio), ma senza alcuna definizione di un portafoglio di

mercato di equilibrio.

In una prospettiva del tutto diversa si pongono infine i modelli di analisi tecnica. In

questo caso è la lettura dei prezzi e dei volumi di scambio passati che permette di

inferire previsioni sugli andamenti futuri. La teoria dell’analisi tecnica, partendo

dai primi contributi di Dow (fondatore del Wall Street Journal), si è evoluta

rapidamente negli ultimi anni. Le sue basi muovono dall’identificazione di trend di

lungo, di medio e di breve periodo nell’andamento dei prezzi di mercato, e

nell’anticipazione di fasi di accumulo, espansione e flessione che si succedono nei

cicli borsistici. Gli strumenti utilizzati spaziano dall’analisi grafica, al calcolo di

medie mobili e di momenti oscillatori, fino a più sofisticati modelli basati su reti

neurali e algoritmi genetici.

È chiaro che i modelli di analisi tecnica negano che il mercato sia efficiente

addirittura in forma debole, perché altrimenti nessuno potrebbe ottenere buoni

risultati di previsione da modelli che guardano al prezzo passato dei titoli.

•  Il punto

Abbiamo terminato l’analisi dei modelli di  pricing dei titoli azionari mettendo in

evidenza che accanto ai modelli basati sulla stima della redditività (analizzati nel

Paragrafo 4.2) e sull’analisi del rischio (Paragrafo 4.3) esistono anche altri modelli, come

il modello di Fama e French, l’ Arbitrage Pricing Theory (APT) e l’Analisi Tecnica.

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

173

4.4 L’emissione di titoli azionari

Nei paragrafi precedenti si sono introdotte tutte le caratteristiche e i modelli di

valutazione dei titoli azionari. A questo punto è possibile analizzare le diverse

tecniche di raccolta di capitale di rischio attraverso un ‘aumento di capitale’.

Una prima distinzione può essere fatta fra raccolta di capitale sul mercato aperto ed

emissioni riservate (  private placements): nel primo caso l’impresa si rivolge al

pubblico indistinto dei risparmiatori, offrendo titoli in sottoscrizione, mentre nel

secondo caso l’impresa individua un intermediario esclusivo come finanziatore. È

chiaro che la raccolta di capitale presso il pubblico richiede come condizione

necessaria l’ingresso dell’impresa su un mercato borsistico, dove gli investitori

possano agevolmente vendere o comprare i titoli. Laddove invece il finanziamento

con capitale di rischio non transita attraverso il mercato borsistico, si parla di

‘ private equity’.

Infine, l’impresa può anche proporre in primo luogo la sottoscrizione di nuovi titoli

in opzione agli azionisti esistenti, i quali possono decidere se aderire e versare

nuovo capitale, oppure vendere il diritto di sottoscrizione sul mercato borsistico. In

questo caso essi dunque hanno priorità rispetto al pubblico nella sottoscrizione dei

titoli di nuova emissione.

4.4.1 Private equity placements e venture capital

L’impresa che intende raccogliere nuove risorse può innanzitutto rivolgersi a

finanziatori legati al gruppo imprenditoriale esistente (inside equity). A fronte

dell’emissione di nuovi titoli, possono essere conferite all’impresa risorse come

liquidità piuttosto che brevetti, immobili, impianti o altri assets.

A volte però può essere necessario rivolgersi a finanziatori esterni (outside equity),

che in generale possono essere investitori istituzionali (istituti di credito, fondi di

investimento, banche d’affari) oppure partners strategici (ad esempio grandi gruppi

industriali) il cui coinvolgimento non si limita all’apporto finanziario ma anche alla

gestione operativa e strategica. In genere si usa fare ricorso a queste forme di

finanziamento – che non coinvolgono un pubblico indistinto di investitori – con il

termine private equity placements.

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

174

Il   private equity interviene nel finanziamento dell’impresa in tutte le fasi del suo

ciclo di vita, in particolare quando la società non è quotata in Borsa. Molto spesso i

finanziatori coinvolti sono investitori istituzionali (fondi comuni, banche private,

finanziarie appartenenti a gruppi industriali) interessati a sostenere la crescita e

l’espansione dell’impresa (bridge financing) per sfruttare le opportunità di

creazione di valore.

Il finanziamento attraverso private equity è certamente fondamentale per le imprese

che operano in settori caratterizzati da una rischiosità elevata e da una forte

intensità di attività intangibili, come i comparti high-tech. Esse, non potendo

accedere (per mancanza di adeguate garanzie ed assets recuperabili) al debito,

possono subire notevoli penalizzazioni nel finanziamento delle attività se non si

rendono disponibili capitali di rischio immobilizzabili per un tempo

sufficientemente lungo. Il vincolo può essere ancora più stringente nella fase di

start-up e per le imprese di piccole dimensioni, perché più rischiose rispetto alle

altre, e perché incapaci di generare liquidità e cash flows tali da remunerare

eventuali prestiti.

La difficoltà per queste imprese di reperire capitale sta anche nel fatto che

l’orizzonte di finanziamento dei loro investimenti è sensibilmente prolungato nel

tempo, e molti intermediari non possiedono le competenze necessarie per valutare

il loro business.

Da questo punto di vista risulta indispensabile l’esistenza di investitori altamente

specializzati, disponibili a sottoscrivere capitale di rischio, ma anche a fornire

competenze manageriali, attività di monitoring, consulenza e contatti con fornitori

e clienti potenziali. Quando questa attività coinvolge iniziative imprenditoriali

nascenti, o ancora in fase di incubazione, in settori rischiosi e ad alta tecnologia, si

parla di venture capital.

Il processo di finanziamento può essere suddiviso in quattro fasi (si veda la Figura

4.22): (i) l’esame del business plan, (ii) la definizione del contratto di

finanziamento, (iii) il finanziamento vero e proprio e (iv) la dismissione

dall’investimento (exit ).

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

175

Figura 4.22 – Fasi dell’attività di venture capital.

Il business plan è il documento sottoposto al finanziatore dal gruppo

imprenditoriale che intende fondare l’impresa, o che l’ha appena fondata (start-up).

I possibili finanziatori sono i genere fondi di investimento, società finanziarie

pubbliche o appartenenti a gruppi privati (corporate venture capitalists) o anche

persone fisiche (business angels). Il documento contiene dati sulla strategia e sugli

obiettivi dell’impresa, un prospetto di budget  e stime sui flussi di cassa futuri

generati dall’impresa. Esso viene esaminato dai finanziatori, con l’obiettivo di

individuare i progetti più promettenti (attività di seed , ovvero di esame delle

opportunità imprenditoriali). Il tasso di rifiuto delle proposte non giudicate idonee è

spesso molto alto.

La seconda fase è quella della definizione del contratto. Il venture capitalist deve

tutelarsi da comportamenti opportunistici del management (estrazione di benefici

privati, inefficienza, … insomma tutti i problemi evidenziati nel Paragrafo 2.4). A

tal fine, viene stipulato un contratto molto dettagliato, che definisce

minuziosamente il comportamento delle parti. Molto spesso, il finanziatore si

riserva il diritto di estromettere dal controllo l’imprenditore, se a suo giudizio

l’impresa non dovesse essere amministrata correttamente.

Il finanziamento avviene attraverso l’acquisto di una frazione minoritaria del

capitale e di titoli convertibili. Esso non viene erogato subito interamente, ma in

fasi successive (stage financing) così da lasciare più potere contrattuale al

finanziatore nel caso non siano stati conseguiti gli obiettivi dichiarati nel business

 plan. Come detto, l’intervento del venture capitalist non è solo di tipo finanziario,

ma anche manageriale. Egli apporta competenze aziendali spesso mancanti

nell’impresa in fase di start-up, così come mette a disposizione la propria

esperienza e una rete di contatti per la potenziale clientela.

Esame delbusiness plan 

Definizione delcontratto Finanziamento  Exit  

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

176

Ovviamente l’obiettivo ultimo del finanziatore è maturare un capital gain 

sull’investimento uscendone al momento opportuno. L’exit  dall’impresa può

avvenire in diversi modi:

1)  attraverso la cessione della quota azionaria agli imprenditori (buy-out ) che

rilevano la totalità del capitale, oppure ad investitori esterni (ad esempio gruppi

industriali interessati al know-how maturato nell’impresa);

2)  attraverso la cessione dei titoli in offerta pubblica, accompagnata dalla

quotazione in Borsa dell’impresa (IPO,   Initial Public Offering); in tal caso è

raro però che il venture capitalist  ceda tutto il capitale posseduto, perché

intende segnalare al mercato la sua fiducia sul futuro dell’impresa;

3)  abbandonando l’impresa a sé stessa nel caso di risultati inferiori alle aspettative

(write-off ).

È chiaro che l’esistenza di mercati finanziari e borsistici efficienti che possano

facilitare l’exit dall’investimento è una condizione necessaria per lo sviluppo del

venture capital.

•  Il punto

Il finanziamento attraverso   private equity consiste nell’emissione di capitale

azionario riservata a soggetti esterni al management . Il venture capital è una

particolare forma di private equity che finanzia imprese nascenti e in fase di start-

up tipicamente in settori ad alta tecnologia e alto rischio.

L’interesse verso il   private equity ha generato un’evoluzione nelle tecniche di

finanziamento, nella costante ricerca da parte degli investitori di garanzie adeguate

e di strumenti di contenimento del rischio. Alcune fra le tecniche nate più di

recente sono: (i) il  private investment in public equity (PIPE), (ii) il death spiral

 financing, e (iii) le equity lines of credit .

I contratti di   private investment in public equity sono vere e proprie forme di

investimento di tipo equity, in cui l’investitore acquista titoli azionari dell’impresa

finanziata. L’unica peculiarità risiede nel fatto che il finanziamento è condizionato

all’impegno da parte dell’impresa di promuovere una successiva offerta pubblica in

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

177

cui il finanziatore si riserva l’opzione di reselling, ovvero di rivendere sul mercato i

titoli acquistati. L’impegno serve a garantire la possibilità di exit dell’investimento.

Il death spiral financing è un contratto nel quale un’impresa (questa volta quotata)

ottiene un finanziamento sotto forma di private equity, fissando non il prezzo delle

azioni cedute e il loro numero, ma l’ammontare totale in termini di valore di

mercato. Se esso scende, il finanziatore otterrà dei nuovi titoli, in misura crescente

fino a quando l’impresa eventualmente fallisce. Ad esempio, se l’impresa ha un

valore stimato pari a V , e il finanziamento è pari ad K = αV , il finanziatore otterrà

in azioni una percentuale α del capitale dell’impresa. Se però successivamente il

valore di mercato dell’impresa si dimezza, il finanziatore avrà diritto ad ottenere

nuove azioni fino a detenere una percentuale 2α, in maniera da mantenere costante

il proprio valore di portafoglio. È chiaro che questo sistema costringe le imprese in

crisi in una sorta di ‘circolo vizioso’ dal quale è difficile uscire, a maggior ragionese si pensa che l’investitore può essere incentivato a vendere allo scoperto titoli

della società finanziata, per spingere al ribasso il valore di mercato, e ottenere una

percentuale del capitale più elevata.

Le equity lines of credit  rappresentano delle linee di finanziamento aperte in via

continuativa da un istituto finanziario a favore di un’impresa; sono simili alle linee

di credito bancarie tradizionali, ma consistono nella sottoscrizione di tranches di

titoli azionari e non di debito.

4.4.2 La quotazione sui mercati borsisticiNel momento in cui un’impresa intende aprire un canale di finanziamento diretto

con il pubblico indistinto dei risparmiatori, è necessario che essa si quoti su un

mercato borsistico, dove gli investitori possono agevolmente comprare e vendere i

suoi titoli. Nondimeno, abbiamo appena mostrato che l’esistenza di mercati

borsistici efficienti è importante anche per lo sviluppo del private equity.

I mercati borsistici sono mercati regolamentati e centralizzati nei quali vengono

scambiate in forma trasparente attività reali o finanziarie. In genere sono gestiti

come associazioni mutualistiche dei brokers partecipanti; più recentemente diversi

mercati sono stati affidati in gestione a società per azione private con scopo di

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

178

lucro, tanto che non è infrequente che la società di Borsa stessa sia quotata sul

proprio listino.

I mercati borsistici hanno sostanzialmente quattro obiettivi: (i) centralizzare gli

scambi di titoli finanziari in maniera tale da generare mercati sufficientemente

liquidi ed efficienti, facendo incrociare domanda e offerta; (ii) pubblicare la

quotazione dei titoli stessi, istante per istante, derivante dall’insieme dei contratti

registrati, e diffondere l’informativa sulle società del mercato; (iii) offrire agli

investitori adeguate garanzie di trasparenza e di equità sugli scambi; (iv) consentire

all’impresa di accedere ad un vasto pubblico di potenziali investitori e finanziatori.

Le modalità attraverso le quali un’impresa può essere ammessa alla negoziazione

su in Borsa dipendono dalle regole di ammissione imposte dalle autorità che

gestiscono il mercato. In genere queste regole si basano su vincoli relativi alla

dimensione minima dell’impresa (in termini di attivo contabile di bilancio o

capitalizzazione prevedibile), trasparenza dei bilanci, redditività attuale o

potenziale, dimensione del capitale flottante sul mercato (per garantire la liquidità

degli scambi).

Può accadere che una società venga ammessa a quotazione in Borsa appena dopo

essere stata costituita, quando ancora non ha una attività operativa propria, ma solo

sulla base di un piano strategico di successive acquisizioni e investimenti,

finanziate proprio con il capitale raccolto in Borsa. In tal caso si parla di special

 purpose acquisition companies (SPAC).

La tecnica più conosciuta attraverso la quale un’impresa si affaccia per la prima

volta su un mercato borsistico è l’Offerta Pubblica Iniziale ( Initial Public Offering,

IPO), che verrà analizzata nel Paragrafo 4.4.3. Esistono inoltre altre tecniche

attraverso le quali un’impresa può approdare alla Borsa. Ad esempio, attraverso la

fusione con una società già quotata: in tal caso, gli azionisti della vecchia società

non quotata ricevono in concambio azioni della società quotata. Se l’azionariato è

sufficientemente diffuso, un’impresa può accedere al listino anche senza alcun

collocamento (è il caso delle banche popolari e delle società cooperative, oppure

delle società già quotate in altri mercati borsistici esteri).

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

179

4.4.2.1 Costi e benefici della quotazione

La scelta della quotazione è in genere dettata da una pluralità di benefici,

riassumibili in quattro categorie:

1)  benefici di natura operativa: l’ingresso di nuovi soci privati nell’impresa, in

particolare di investitori istituzionali, può generare guadagni di efficienza nella

gestione operativa dell’impresa; inoltre, la quotazione può essere una leva di

marketing per ampliare il mercato potenziale (ad esempio attraverso una

maggiore visibilità anche all’estero). La quotazione funge anche da

‘certificazione’ della qualità dell’impresa;

2)  benefici di natura finanziaria: la quotazione può coincidere con una

ridefinizione della struttura finanziaria dell’impresa, con l’obiettivo di ridurre

l’indebitamento e quindi il costo del capitale, ad esempio attraverso una

rinegoziazione delle condizioni di credito e la diversificazione delle risorse

finanziarie; inoltre una società quotata può avere accesso al capitale a costi più

contenuti e con maggiore facilità rispetto a una società non quotata. Il capitale

eventualmente raccolto con la quotazione può finanziare la crescita esterna

attraverso future acquisizioni oppure la crescita interna attraverso nuovi

investimenti; la quotazione può anche rappresentare l’opportunità di sfruttare

momenti particolarmente favorevoli nel ciclo del mercato finanziario per

beneficiare di un pricing più favorevole dei titoli sul mercato;

3)  benefici di natura organizzativa: la quotazione implica l’esistenza di un flusso

informativo interno all’impresa, e dall’impresa verso il mercato, che può avere

effetti positivi sul sistema di controllo di gestione; inoltre un’impresa quotata

più facilmente può decidere piani di incentivazione con assegnazione di azioni

a dipendenti e managers con l’obiettivo di incrementare la produttività;

4)  benefici fiscali: vi possono essere incentivi fiscali legati alla quotazione di

un’impresa sul mercato borsistico; ad esempio, in Italia negli anni ’90 erano in

vigore sgravi fiscali – anche se temporanei – per le imprese neo-quotate su un

mercato borsistico regolamentato.

Per contro, la quotazione implica anche dei costi di natura diretta e indiretta, che

sono sostenuti dall’impresa al momento della quotazione ma anche in via

continuativa negli anni successivi:

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

180

1)  costi diretti di quotazione: si tratta del costo relativo alle consulenze legali e

strategiche fornite dagli advisor , alle pratiche amministrative (ad esempio per

eventuali modifiche statutarie), alla certificazione dei bilanci e alla redazione

della documentazione richiesta dalle autorità di vigilanza; se la quotazione

comporta un collocamento di titoli sul mercato, vi è anche il compenso per

l’intermediario che garantisce l’offerta (underwriter ) quantificabile in una

percentuale che varia dal 3% al 7% del capitale offerto; i costi di marketing 

relativi alla pubblicizzazione dell’offerta, ai road show e alla diffusione del

prospetto informativo; la società di Borsa richiede inoltre un  fee sia al

momento dell’ingresso nel listino, sia negli anni successivi (in questo secondo

caso esso è proporzionale al volume degli scambi); nel caso di un’IPO, poiché

non vi è certezza sul valore delle azioni offerte, l’impresa potrebbe incorrere

anche nel costo di ‘underpricing’, e cioè potrebbe subire un costo opportunità

cedendo azioni ad un valore inferiore rispetto a quello percepito dal mercato;

2)  costi indiretti di quotazione: si tratta dei costi indotti dal nuovo status di

impresa quotata. Essere quotati in Borsa implica l’esistenza all’interno

dell’impresa di un servizio di ‘investor relation’ prima inesistente, deputato a

produrre informativa minuziosa e costante al mercato e alla comunità

finanziaria, e a gestire il flusso informativo aziendale; in tal senso anche il

sistema di controllo di gestione interno deve essere potenziato. Il regime di

trasparenza e di disclosure cui l’impresa si sottopone dopo la quotazione può

portare alla rinuncia di operazioni di pianificazione fiscale volte a ridurre il

pagamento di imposte poiché ciò implica una riduzione dell’utile di bilancio e

quindi dei dividendi; allo stesso modo è possibile che il flusso informativo

verso l’esterno possa arrecare danni all’impresa, che rischia di perdere alcuni

vantaggi competitivi svelando informazioni ai concorrenti.

Non va dimenticato che una società ha la possibilità di quotarsi su più mercati

azionari, anche all’estero (cross-listing). Fra i benefici di natura finanziaria esiste la

possibilità di ampliare il bacino di potenziali utenti e la liquidità del titolo, con

effetti positivi sul costo del capitale, abbattendo barriere di natura informativa e

costi transazionali. L’impresa può anche ottenere una copertura maggiore dagli

analisti finanziari, e se sceglie un mercato prestigioso caratterizzato da severi

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

181

vincoli, segnala al mercato di volersi impegnare per mantenere trasparenza e

fornire costantemente informazioni. Esistono anche potenziali benefici di natura

operativa, legati al fatto che il mercato estero può essere un importante sbocco per i

prodotti e i servizi offerti dall’impresa6. Ovviamente esistono anche oneri

addizionali, legati alla duplicazione dei costi di quotazione.

La scelta della quotazione è anche legata a considerazioni sulla struttura

proprietaria: in genere gli azionisti controllanti si cautelano dall’indebolire la loro

influenza sull’impresa dopo l’ingresso in Borsa. Molti imprenditori vogliono

evitare la presenza di persone indesiderate fra gli azionisti di minoranza, che

possano potenzialmente ‘disturbare il conducente’. Altri, invece, sono ben lieti di

accogliere fra gli azionisti fondi di investimento e società finanziarie, che

assicurino la diffusione di informazioni e analisi sul valore dell’impresa (research

coverage) e possano monitorarne l’efficienza.

•  Il punto

La quotazione di un’impresa sul mercato borsistico consente la negoziazione dei

suoi titoli presso un pubblico diffuso di investitori, rende accessibile un canale di

finanziamento diretto sul mercato mobiliare, dà visibilità e vantaggi all’impresa,

ma genera anche numerosi costi e oneri informativi.

4.4.2.2 I mercati borsistici in Italia

Negli anni ’90 la crescente integrazione dei mercati finanziari internazionali, inparticolare nell’ambito dell’Unione Europea, ha spinto i mercati borsistici nazionali

ad evolversi rapidamente modificando le proprie regole di funzionamento.

In Italia, i mercati borsistici nacquero in diverse città tra la fine del 1800 e l’inizio

del 1900 contemporaneamente all’unificazione. Per diversi anni la Borsa è stata

disciplinata dalle Camere di Commercio e dai Comitati Direttivi degli Agenti di

Cambio. Nel 1991 tale compito è stato assegnato al Consiglio di Borsa, organo

tecnico nominato dal Ministero del Tesoro, ed è stata conferita al mercato di

6

Ad esempio, diverse imprese italiane sono quotate negli USA e non in Italia (Fila, DeRigo, Natuzzi). Non a caso, si tratta di imprese dei settori della moda, griffe e arredamento. 

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

182

Milano la promozione della Borsa Valori nazionale. Con il D.L. 415/1996 (meglio

noto come ‘decreto EuroSIM’) al mercato borsistico si è attribuita natura privata, e

la gestione è stata affidata a Borsa Italiana SpA, i cui maggiori azionisti sono i più

importanti gruppi bancari italiani. La società ha emanato il suo primo regolamento

nel dicembre 1997, dal 2007 fa parte del London Stock Exchange Group e oggi

gestisce molteplici mercati organizzati:

1)  il mercato dei titoli obbligazionari e dei titoli di stato (MOT);

2)  il mercato dei derivati ( futures e opzioni) su indici e titoli azionari (IDEM);

3)  il mercato dove vengono scambiate quote di fondi quali exchange traded funds 

e quote di exchange traded commodities (ETFplus);

4)  il SEDEX, mercato dei securitised derivatives (covered warrant e certificates);

5)  il mercato telematico azionario (MTA), sul quale sono scambiati titoli azionari,

ma anche obbligazioni convertibili, warrant e quote di fondi chiusi.

Peraltro va sottolineato che l’attività di gestione di mercati di scambi finanziari è

stata progressivamente liberalizzata ed oggi gli operatori finanziari hanno a

disposizione anche piattaforme alternative, gestite da altri soggetti (ad esempio in

Italia il circuito TLX).

I listini di Borsa Italiana dove vengono quotati titoli azionari sono tre: il Mercato di

Borsa, AIM Italia e il Mercato Alternativo del Capitale (MAC).

Dal 1991 il MTA è costituito da una rete di terminali che collega in tempo reale le

diverse borse italiane, e il matching degli ordini avviene appunto per via telematica.

Hanno accesso al sistema gli agenti di cambio, le banche e le SIM italiane, nonché

gli intermediari finanziari esteri autorizzati. Dal 2002 sul MTA è stato abolito il

vincolo del ‘lotto minimo’: tutti gli investitori possono dunque acquistare quanti titoli

vogliono, e non solo in quantità multipla del lotto minimo come in passato.

Nell’ambito del Mercato Telematico Azionario, i titoli a maggiore capitalizzazione,

superiore a 1 miliardo €, sono comunemente indicati come blue chips. Esiste poi il

segmento STAR (Segmento Titoli con Alti Requisiti): si tratta di imprese di media

capitalizzazione che si impegnano a mantenere un elevato standard

nell’informativa e nella trasparenza, in cambio di una visibilità particolare presso

gli investitori.

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

183

Sul listino di Borsa Italiana sono quotate anche un gruppo di società estere

multinazionali, comprese nel segmento ‘MTA International’.

Infine il segmento MIV è dedicato alle linee di quotazione di fondi mobiliari e

immobiliari e delle ‘investment companies’ (società finanziarie di partecipazione

che investono esclusivamente in titoli di altre imprese).

Gli orari giornalieri di negoziazione sono così determinati:

08.00 – 09.00: asta di apertura (pre-asta, validazione e apertura);

09.00 – 17.25: negoziazione continua;

17.25 – 17.30: asta di chiusura (pre-asta, validazione e chiusura).

Nel 2007 è stato aperto un listino specifico, il Mercato Alternativo del Capitale

(MAC), destinato ad accogliere imprese di piccolissima dimensione, nella

convinzione di sostenere il tessuto industriale delle PMI italiane. Va sottolineato

che il MAC non è un mercato borsistico ai sensi delle direttive Europee, ma in base

alla MIFID viene classificato come ‘sistema multilaterale per la negoziazione’.

Infatti possono operare sul MAC solo investitori istituzionali (fondi, banche

d’affari, SIM) mentre è precluso l’accesso ai piccoli risparmiatori.

Nel 2009 è stato invece aperto un altro segmento ( AIM Italia), sempre dedicato alle

PMI, organizzato in collaborazione con l’AIM di Londra. Si tratta di un mercato

regolamentato, aperto anche ai piccoli investitori, che ha sostituito il listino

Expandi (ex Mercato Ristretto). In fase di ammissione non è richiesta la

pubblicazione di un prospetto informativo e successivamente non è richiesta la

pubblicazione dei resoconti trimestrali di gestione. Il mercato si basa sulla presenza

di una figura chiave: il   Nominated Adviser (Nomad), soggetto responsabile nei

confronti di Borsa Italiana, incaricato di valutare l’appropriatezza della società ai

fini dell’ammissione e in seguito di assisterla, guidarla e accompagnarla per tutto il

periodo di permanenza sul mercato.

Il Mercato di Borsa, grazie anche alla privatizzazione di imprese di grande

dimensione, ha conosciuto di recente una discreta crescita del numero di società

quotate e della capitalizzazione, come testimoniato dalla Tabella 4.3, in cui

vengono riportate alcune statistiche sui mercati borsistici del MTA. La

capitalizzazione ha seguito i cicli di volatilità degli indici azionari.

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

184

Tabella 4.3 – Statistiche sui mercati borsistici azionari italiani, al 1/8/2010.

Mercato borsistico Società quotate Capitalizzazione totale (mln. €)

Mercato di Borsa MTA 274 418.151

MTA International 36 -

MIV Investment companies 5 196

AIM Italia 9 375

MAC 7 253

Totale 331 418.975

L’ammissione a quotazione di uno strumento finanziario sui listini italiani è

subordinata al possesso di determinati requisiti di carattere generale. L’emittente

deve essere regolarmente costituito ed il suo statuto deve essere conforme alle leggi

vigenti. I titoli quotandi devono essere idonei ad essere oggetto di liquidazione diBorsa e liberamente trasferibili.

Per quanto riguarda specificatamente i titoli azionari quotati sul Mercato di Borsa,

la società deve innanzitutto fornire una serie di dati contabili: in generale deve

essere stato pubblicato il bilancio degli ultimi tre esercizi annuali, l’ultimo dei quali

deve essere certificato. Se la società è di nuova costituzione o ha recentemente

subito modifiche sostanziali nella struttura patrimoniale (ad esempio fusioni o

aumenti di capitale) deve produrre una ricostruzione della situazione economica

‘pro-forma’ precedente alla ristrutturazione. Inoltre, l’attività sociale dell’impresa

deve generare ‘in condizioni di autonomia gestionale, un’attività capace digenerare ricavi’ direttamente o indirettamente attraverso società controllate

operative. Il concetto di redditività aziendale viene considerato in chiave

prospettica, al contrario di quanto accadeva in passato, quando ci si basava sui

risultati passati dell’impresa (veniva richiesto che gli ultimi tre bilanci

presentassero un utile positivo).

Deve essere inoltre individuato un intermediario come sponsor , che deve porsi

come una sorta di garante nei confronti del mercato in merito al profilo qualitativo

dell’emittente: egli si assume per iscritto una serie di responsabilità in merito alla

completezza dei dati forniti dall’impresa, alla certifica dei requisiti di ammissione,

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

185

all’attendibilità dei dati previsionali esibiti e alla corretta impostazione e

realizzazione dell’offerta. Lo sponsor  si impegna inoltre dopo la quotazione a

pubblicare o far pubblicare due analisi finanziarie all’anno concernenti la società

quotata e a organizzare incontri periodici con la comunità finanziaria.

Per quanto riguarda i titoli azionari, viene richiesta una capitalizzazione minima

‘prevedibile’ dopo la quotazione pari a 5 milioni di euro. Le azioni in circolazione

(‘flottante’) devono essere inoltre sufficientemente diffuse fra il pubblico in modo

da alimentare in misura adeguata le negoziazioni. Come riferimento viene indicato

che almeno il 25% del capitale dell’impresa deve essere flottante, comprendendo

anche le quote possedute da investitori istituzionali e fondi.

I requisiti di ammissione sono meno severi per l’AIM Italia e per il MAC. I costi di

quotazione sono quindi estremamente ridotti in questi due segmenti.

4.4.2.3 I mercati borsistici all’estero

La crescente integrazione internazionale e il ciclo macroeconomico espansivo nella

seconda metà degli anni ’90 hanno esaltato la crescita e la performance dei mercati

borsistici nei maggiori paesi industrializzati. Non di meno, la venuta alla ribalta dei

paesi in via di sviluppo (le nazioni del Far East prima, poi le maggiori democrazie

dei continenti africani, asiatici e latino-americani come Sudafrica, India e Brasile)

ha consentito ai mercati emergenti di conquistare attenzione e di giungere a livelli

ormai comparabili a quelli dei paesi occidentali, per capitalizzazione e per numero

di società quotate. Negli anni ‘2000 si è assistito poi ad un crescente processo di

integrazione, che ha portato i maggiori mercati mondiali a condurre fusioni e

alleanze strategiche, creando alcuni ‘poli’ globali.

Negli USA i maggiori mercati borsistici sono due: il  New York Stock Exchange 

(NYSE) e il NASDAQ.

Il NYSE è stato fondato nel maggio 1792 da 24 brokers, riuniti sotto un platano

nella Wall Street di New York, e in oltre duecento anni di vita ha caratterizzato la

storia dell’economia occidentale seguendone l’evoluzione tecnologica, politica e

commerciale. È il mercato con maggiore capitalizzazione nel mondo.

Il NASDAQ è conosciuto come un mercato più orientato alle imprese tecnologiche

rispetto al NYSE. Ha iniziato la sua attività nel febbraio 1971, e nel 1994 ha

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

186

sorpassato il NYSE in termini di valore medio annuale degli scambi, e poi anche

per numero di società quotate. A differenza del NYSE, le cui contrattazioni tuttora

avvengono fisicamente nella sede della Borsa con l’intervento degli intermediari e

degli specialists, le contrattazioni sul NASDAQ sono interamente gestite

elettronicamente.

Nel Regno Unito il listino principale (LSE,   London Stock Exchange) è stato

affiancato nel 1995 dall’AIM ( Alternative Investment Market ), un mercato studiato

per le imprese di piccola dimensione appartenenti a settori in crescita. Nel 2007 il

  London Stock Exchange e Borsa Italiana hanno raggiunto un accordo che ne ha

determinato la fusione sotto il controllo di una holding mista.

In Germania esistono diversi mercati borsistici nelle otto maggiori città della

federazione, ma la gestione è accentrata dalla  Deutsche Börse e il listino principale

dove avviene il 75% degli scambi è quello di Francoforte (FWB, Frankfurter 

Wertpapierbörse), dove già nel 1585 venne concordata una piattaforma comune di

scambio delle merci, che venne chiamata ‘Borsa’7 a partire dal 1605. I due listini

principali ( Amtlicher Handel e Geregelter Markt ) sono stati affiancati nel 1997 dal

 Neuer Markt , studiato per le imprese emergenti ad alto tasso di crescita, chiuso nel

2003 e riassorbito nel listino principale per le difficoltà, gli scandali societari e i

fallimenti di numerose imprese.

In Francia è operativo l’accordo fra ParisBourse e i listini del Belgio, dei Paesi

Bassi e del Portogallo, che hanno costituito il gruppo  EuroNext . I principali

segmenti del listino francese sono il Premier Marché e il Second Marché . Esiste un

segmento specifico per le imprese hi-tech ( Alternext ). Nel 2007 il NYSE e

l’ Euronext si sono integrati attraverso una fusione.

Nel resto dell’Europa spiccano per dimensione la Borsa svizzera e il polo borsistico

OMX (associato al NASDAQ), che raggruppa le principali piazze scandinave e dei

paesi baltici.

Le Borse sono ormai una realtà consolidata anche nell’Europa dell’est nonostante

in questi mercati siano presenti per lo più imprese statali in via di privatizzazione.

7 Il termine venne importato in realtà dal Belgio e in particolare da Bruges, nella cui piazza‘Van der Beurse’ i ricchi mercanti usavano incontrarsi.

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

187

In Giappone il mercato più sviluppato è quello di Tokyo, che affianca i listini di

Nagoya e Osaka, dove pure sono quotate centinaia di imprese.

Tabella 4.4 – Statistiche sui maggiori mercati borsistici esteri, al 1/7/2010.

Mercato borsistico Società quotate Capitalizzazione totale (mln. $)

NYSE New York Stock Exchange 2.326 11.670.279

Tokyo Stock Exchange 2.310 3.378.689

NASDAQ 2.807 3.294.928

London Stock Exchange 2.713 2.712.538

EuroNext 1.153 2.553.637

Shanghai Stock Exchange 881 2.381.801

Hong Kong Stock Exchange 1.352 2.338.758

Toronto Stock Exchange TSX 3.675 1.768.359Bombay Stock Exchange 4.990 1.402.698

National Stock Exchange India 1.497 1.366.258

Sao Paulo Stock Exchange BM&FB. 374 1.301.758

Deutsche Börse 772 1.203.688

Australian Stock Exchange 1.981 1.184.960

Fra i paesi in via di sviluppo, negli ultimi anni sono emersi come mercati in forte

crescita la borsa sudafricana e quella brasiliana, che insidiano la Borsa australiana

per il primato nell’emisfero sud del globo. Nel Far-East, la capitalizzazione delle

Borse ha raggiunto ormai livelli inaspettati fino a qualche anno fa. In Cinal’apertura di un mercato borsistico regolamentato, nell’ambito del sistema politico

comunista, ha destato particolare interesse. Attualmente i mercati borsistici ufficiali

sono due: lo Shanghai Stock Exchange e lo Shenzen Stock Exchange. Ogni anno, lo

Stato decide quali società possono accedere al mercato borsistico, allocando il

numero di azioni in offerta fra le diverse province: in particolare nelle Borse

nazionali sono scambiate le azioni di tipo ‘A’ che possono essere possedute solo da

cittadini cinesi, e azioni di tipo ‘B’ riservate agli investitori stranieri. Esistono poi

le azioni ‘H’ quotate a Hong Kong e le ‘N’ quotate a New York.

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

188

L’India possiede diversi mercati borsistici: i più noti sono il   National Stock 

 Exchange of India e il  Bombay Stock Exchange. Su questi listini l’offerta di titoli

azionari è stata liberalizzata nel 1992, e da allora il numero delle società quotate è

aumentato consistentemente.

4.4.3 Le offerte pubbliche

Un’offerta pubblica è un’operazione nella quale un’impresa si rivolge direttamente

al pubblico diffuso per vendere titoli finanziari esistenti, o per acquistarli, o per

invitare alla sottoscrizione di titoli di nuova emissione. In quest’ultimo caso

(l’unico nel quale l’offerta coincide con un aumento di capitale), si contrappongono

ai   private equity placements in cui l’impresa si rivolge esclusivamente ad uno

specifico gruppo di possibili investitori.

Le offerte pubbliche, poiché si rivolgono indistintamente ai risparmiatori, sono

rigidamente tutelate dalle autorità di vigilanza del mercato finanziario (in Italia la

CONSOB). Esse consentono all’impresa di allargare in misura rilevante la base

azionaria, attraverso l’ingresso di molti piccoli nuovi azionisti. Ovviamente in

un’offerta pubblica l’impresa deve sostenere maggiori costi per superare le

asimmetrie informative fra il mercato e gli insiders, e quindi i costi di emissione

sono generalmente più alti rispetto alle offerte riservate.

Le offerte pubbliche finalizzate alla raccolta di capitale possono essere distinte in:

(i) offerte pubbliche iniziali (se la società non è quotata in Borsa ed intende farlo in

occasione dell’offerta pubblica) e (ii) offerte pubbliche ‘seasoned ’ (se la società è

già quotata in Borsa).

4.4.3.1 Le offerte pubbliche iniziali (Initial Public Offerings, IPOs)

Le offerte pubbliche iniziali ( Initial Public Offerings, IPOs) riguardano un’impresa

il cui capitale azionario è posseduto o da uno o più imprenditori, o da un ristretto

gruppo di azionisti (ad esempio investitori istituzionali o venture capitalists), che si

apre ad un pubblico di investitori più diffuso contestualmente alla quotazione in

Borsa. A tal fine, l’impresa offre sul mercato una quota del proprio capitale, o

attraverso l’alienazione di azioni possedute dai soggetti controllanti (in Italia OPV,

Offerta Pubblica di Vendita), o attraverso la possibilità di sottoscrivere nuove

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

189

azioni (OPS, Offerta Pubblica di Sottoscrizione), o sfruttando congiuntamente le

due modalità (OPVS, Offerta Pubblica di Vendita e di Sottoscrizione). Va notato

che attraverso un’OPS viene offerta la possibilità di sottoscrivere titoli di nuova

emissione: in questo caso l’offerta comporta un aumento di capitale e una raccolta

di capitale positiva per l’impresa. Per contro nell’OPV gli azionisti controllanti

dell’impresa e/o gli investitori istituzionali presenti nel capitale cedono in parte o

integralmente i loro titoli: in questo caso le azioni sono già esistenti e non vi è

raccolta di capitale per l’impresa, ma vi è una raccolta di liquidità da parte degli

offerenti.

L’IPO è forse una delle operazioni finanziarie più complesse e costose affrontate

dalle imprese. Le fasi principali, riassunte nella Figura 4.23, sono cinque:

1)  la decisione strategica relativa alla convenienza della quotazione e alle sue

modalità;

2)  l’individuazione degli intermediari che affiancano l’impresa nell’offerta

pubblica;

3)  l’emissione del prospetto informativo e la decisione del prezzo dell’offerta;

4)  il collocamento dei titoli;

5)  la quotazione in Borsa.

Figura 4.23 – Fasi di un’offerta pubblica iniziale (IPO).

La decisione della quotazione viene presa considerando costi e benefici descritti

nel Paragrafo 4.4.2.1; in questa fase l’impresa è affiancata da un advisor strategico,

che fornisce consulenza e prepara uno studio di convenienza. Vengono anche

decise le modalità dell’offerta pubblica, e cioè: (i) quante azioni offrire; (ii) quante

azioni saranno di nuova emissione e quante saranno offerte dagli azionisti insider ,

(iii) i tempi della quotazione, (iv) un range di riferimento del prezzo di offerta delle

azioni.

Decisionestrategica

Individuazioneintermediari

Emissionedel prospetto

QuotazioneCollocamento

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

190

Successivamente (anche se in teoria non è necessario) l’impresa individua un

intermediario che funge da global co-ordinator  dell’offerta, e cioè mantiene

contatti diretti fra l’impresa e gli investitori istituzionali interessati ad acquistare

titoli, si preoccupa di valutare l’impresa e di promuovere l’IPO, agisce da sponsor  

certificando per l’impresa i requisiti di ammissione alla quotazione8.

È pratica diffusa che accanto all’offerta pubblica una frazione anche maggioritaria

dei titoli sia assegnata in private placement agli investitori istituzionali nazionali ed

esteri.

L’IPO è condotta da un sindacato di collocamento, di cui fanno parte il lead 

manager  (o underwriter ) e altri co-managers a volte esteri, che si assumono

l’onere di collocare sul mercato i titoli per conto dell’impresa, anche per la parte

riservata agli investitori istituzionali. Molto spesso, il contratto con l’impresa è del

tipo ‘best efforts’, ovvero l’underwriter non si assume alcuna garanzia di successo

del collocamento. In altri casi il consorzio si assume il rischio del collocamento, e

quindi si impegna a sottoscrivere le azioni eventualmente non richieste dal mercato

(‘ firm commitment ’) .

L’underwriter  si riserva spesso l’opzione di collocare sul mercato un’ulteriore

frazione di titoli, in genere fra il 10% e il 15% dell’offerta totale (green shoe).

Frequentemente, gli azionisti esistenti prima della quotazione si impegnano a non

cedere le azioni rimaste in loro possesso per un periodo di tempo generalmente

compreso fra sei e dodici mesi (impegno di lock-up), per segnalare al mercato

aspettative positive sul futuro dell’impresa e sulla continuità aziendale.

È chiaro che la fase più cruciale è la decisione del range di prezzo dell’offerta. A

tal fine è necessario procedere ad una valutazione dell’impresa quotanda. Il metodo

più utilizzato è il metodo finanziario-reddituale: si tratta di stimare il reddito

operativo e i net cash flows futuri dell’impresa e di attualizzarli attraverso il costo

del capitale teorico dell’impresa. Per le imprese i cui assets sono tangibili e

facilmente valutabili si ricorre anche al metodo patrimoniale. Molto spesso viene

adottato il metodo dei ‘multipli comparabili’ osservando i dati fondamentali e la

capitalizzazione di imprese simili per settore di attività e dimensione, già quotate.

8 Anche grazie alla diffusione di Internet, diverse imprese negli ultimi anni hanno condotto

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

191

•  Il segnalibro

I diversi metodi di valutazione dell’impresa, fra cui il metodo dei ‘multipli

comparabili’, sono presentati nel Volume ‘Gestire le Risorse dell’Impresa’,

Capitolo 4, Paragrafo 4.1.

Il range del prezzo di offerta giudicato ‘equo’ dall’impresa e dagli intermediari

 partners, anche se spesso non vincolante nella decisione del presso finale, viene

pubblicato nel Prospetto Informativo ufficiale, insieme ad una dettagliata serie di

informazioni riguardanti le modalità dell’offerta, i principali dati contabili

dell’impresa e una relazione sulle strategie e prospettive future del business.

Nel frattempo, il global co-ordinator convoca una serie di incontri con la comunità

finanziaria (road show) per presentare l’IPO, e raccogliere insieme all’underwriter 

potenziali adesioni di investimento da parte degli investitori istituzionali (book building).

Prima dell’apertura dell’offerta pubblica, viene pubblicato il prezzo massimo

dell’offerta, sulla base del  feedback dell’attività di book building rispetto al range 

precedentemente proposto nel Prospetto Informativo. Quasi sempre, il prezzo

finale dell’offerta viene deciso alla chiusura dell’offerta pubblica, appena prima

della quotazione in Borsa.

Durante il primo giorno di quotazione evidentemente tutti sono ansiosi di osservare

il prezzo di mercato della ‘matricola’ neo-quotata. Quello che spesso succede (in

media, ma non sempre!) è che il prezzo del titolo registrato durante il primo giornodi quotazione sia più alto del prezzo dell’offerta (underpricing)9. Non è escluso

però che in alcuni casi, in particolare nei giorni successivi, la  performance sul

mercato borsistico sia più deludente; se accade questa evenienza, molto spesso

l’underwriter interviene direttamente sul mercato per sostenere il corso dei titoli,

riacquistandoli, per non deludere i risparmiatori!

delle Offerte Pubbliche direttamente sul mercato senza l’intervento di intermediari.9

Tesisti del corso di Finanza Aziendale del Politecnico di Milano hanno calcolato che dal1985 al 2007 l’underpricing medio delle IPOs italiane è stato pari +17,50%.

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

192

•  Il punto

Le offerte pubbliche iniziali (IPOs) sono finalizzate a creare un capitale flottante

sufficientemente disperso per quotare l’impresa in Borsa. Si tratta di processi

complessi, in cui l’incertezza fondamentale è individuare un prezzo ‘equo’ diofferta dei titoli.

4.4.3.2 Le offerte pubbliche seasoned 

Un’impresa già quotata in Borsa può ricorrere al mercato diffuso per raccogliere

capitale anche successivamente alla quotazione, attraverso un’offerta pubblica

‘seasoned ’. In Italia, le operazioni di raccolta di capitale effettuate da società già

quotate con offerta pubblica sono state però veramente poche10. All’estero, in

particolare sui mercati anglosassoni, queste operazioni – cosiddette seasoned equity

offerings – sono molto più diffuse11

.Le fasi di un’offerta pubblica seasoned sono molto simili a quelli di un’IPO, ma la

determinazione del prezzo dell’offerta è meno aleatoria, perché esiste già un valore

di mercato del titolo essendo l’impresa già presente in Borsa. Chiaramente i titoli

possono essere offerti solo ad un prezzo inferiore rispetto a quello espresso dal

mercato, perché altrimenti nessuno aderirebbe all’offerta: tutti preferirebbero

acquistare i titoli in Borsa. È anche opportuno mantenere un certo margine di

‘sconto’ rispetto al valore di mercato, per evitare che turbolenze successive

all’annuncio spingano troppo al ribasso il prezzo corrente del titolo facendo fallire

l’operazione. All’opposto però, gli azionisti esistenti non gradirebbero un prezzodell’offerta troppo basso, perché si verificherebbe un rilevante trasferimento di

ricchezza a favore dei nuovi azionisti.

Per determinare l’entità del trasferimento di ricchezza possiamo considerare il

seguente modello. Indichiamo con:

n : numero di azioni dell’impresa in circolazione prima dell’offerta pubblica;

10 I casi più recenti sono stati le offerte di Navigazione Montanari (1999), Banca PopolareCommercio e Industria (2001), Banca Lombarda (2002), Acque Potabili (2007).11 Negli anni ’90 sulle borse statunitensi ci sono state oltre 4.000 offerte pubbliche

‘seasoned ’ (più di metà sul NASDAQ) nelle quali le imprese hanno complessivamenteraccolto oltre 400 miliardi di dollari.

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

193

 p : valore di mercato delle azioni prima dell’offerta;

 p̂ : prezzo unitario di sottoscrizione delle azioni di nuova emissione;

n̂ : numero delle azioni offerte al pubblico;

n′ : numero delle azioni in circolazione dopo l’offerta pubblica; p′ : prezzo di mercato teorico delle azioni in circolazione dopo l’offerta pubblica.

La capitalizzazione di mercato V prima dell’offerta pubblica è pari a:

V = n · p

Il nuovo capitale di rischio raccolto ∆K , nel caso tutte le azioni siano sottoscritte, è

pari a:

∆K = n̂ · p̂  

Dopo l’aumento di capitale invece la capitalizzazione prevedibile V ′ sarà:

V ′ = n′ · p′ 

Il prezzo teorico delle azioni dopo l’offerta è incognito, ma il numero di azioni in

circolazione n′ è dato da:

n′ = n + n̂  

L’ipotesi più verosimile a cui possiamo pensare è che il valore dell’equity 

dell’impresa dopo l’offerta pubblica sia uguale alla capitalizzazione iniziale, più la

raccolta di capitale ∆K :

V ′ = V + ∆K  

n′ · p′ = n · p + n̂ · p̂  

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

194

Se le cose stanno così, possiamo determinare il prezzo teorico dei titoli dopo la

chiusura dell’offerta:

 p′ = n pn pn ′ ⋅+⋅ˆˆ

=  pnn p

nn ˆ

ˆ⋅ 

  

 

′+⋅     ′  

Si può osservare che il prezzo teorico finale è una media pesata del prezzo iniziale

 p e del prezzo dell’offerta  p̂ , dove i pesi sono il numero di azioni in circolazione e

il numero di azioni offerte.

Gli azionisti preesistenti all’offerta subiranno quindi un trasferimento di ricchezza

totale τold pari a:

τ old  = n · ( p′ – p)

Dal momento che p′ < p (poiché per assicurare il successo dell’offerta deve essere

 p̂ < p), essi subiranno una perdita di ricchezza a causa della diluizione del capitale.

Gli investitori che invece aderiscono all’offerta dovrebbero beneficiare di un

trasferimento di ricchezza positivo τ new opposto a quello dei ‘vecchi’ azionisti: 

τ new = n̂ · ( p′ – p̂ ) = – n · ( p′ – p) = – τ old  

•  Esempio

Un’impresa quotata in Borsa ha un capitale composto da 7 mln. di azioni (n) che

quotano attualmente 23€ ( p). I managers decidono di raccogliere nuovo capitale

attraverso un’offerta pubblica, in cui vengono emesse 1 mln. di nuove azioni ( n̂ )

ad un prezzo di sottoscrizione  p̂ pari a 22€.

La capitalizzazione V dell’impresa prima dell’offerta è pari a:

V = n · p = 161 mln. €

La raccolta di capitale ∆K è:

∆K =  n̂ · p̂ = 22 mln. € 

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

195

I titoli azionari in circolazione dopo l’offerta saranno ovviamente n′:

n′ = n + n̂ = 8 mln.

Se vale la conservazione del valore dell’impresa, ci attendiamo che dopo l’offerta

pubblica delle nuove azioni la capitalizzazione dell’equity sarà pari a:V ′ = V + ∆K = 183 mln. €

Si può quindi prevedere che il prezzo del titolo p′ sarà:

 p′ =n

′′

= 22,875€

La perdita di valore del portafoglio dei ‘vecchi’ azionisti τ sarà pari a:

τ old  = n · ( p′ – p) = –875.000€

Simmetricamente l’incremento della ricchezza degli investitori che hanno aderito

all’offerta pubblica sarà pari a:

τ new = n̂  · ( p′ – p̂ ) = +875.000€

Dal modello e dall’esempio precedenti, sembrerebbe sempre conveniente aderire

ad un’offerta pubblica seasoned . Allo stesso modo, non si capisce perché gli

azionisti esistenti dovrebbero raccogliere capitale attraverso questa modalità, se

regolarmente subiscono una perdita di ricchezza. Nella realtà, le cose possono

anche essere più complesse, come suggerisce il modello seguente.

4.4.3.3 Il modello di Myers & Majluf 

Myers e Majluf (1984) mostrano che le imprese capital-constrained possono essere

incentivate a rinunciare a raccogliere capitale per finanziare investimenti

profittevoli se esistono rilevanti asimmetrie informative fra managers e investitori

esterni.

Immaginiamo un’impresa che vuole finanziare un progetto di investimento con

valore attuale netto VAN pari a b. Il valore corrente delle attività fisse dell’impresa

(al netto del valore del debito) è pari ad a. La liquidità disponibile è pari a S,

mentre l’esborso iniziale necessario per implementare l’investimento è I , con I > S.

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

196

•  Il segnalibro

La definizione di valore attuale netto (VAN) di un investimento e la sua

determinazione è discussa nel Volume ‘Gestire le Risorse dell’Impresa’ nel

Capitolo 4, Paragrafo 4.2.1.

Se vuole condurre in porto l’investimento, l’impresa deve dunque raccogliere

capitale. Myers e Majluf considerano che l’unica possibilità sia quella di

raccogliere capitale di rischio presso investitori esterni attraverso un’offerta

pubblica ‘seasoned ’.

In tal caso, l’aumento di capitale necessario sarà pari a  E = I – S.

Due importanti ipotesi poste da Myers e Majluf sono: (i) esiste asimmetria

informativa fra l’impresa e i finanziatori, e (ii) l’impresa agisce nell’interesse dei

suoi attuali azionisti. Il mercato dà dunque una valutazione dell’equitydell’impresa, P′, che non necessariamente è congruente con il valore ‘vero’ di a e b 

noto solo ai managers dell’impresa. In secondo luogo, si afferma che i managers 

hanno l’obiettivo di massimizzare la ricchezza degli attuali azionisti, anche a

scapito dei nuovi arrivati.

Se l’impresa rinunciasse all’investimento e non emettesse nuove azioni, la

ricchezza degli azionisti attuali sarebbe pari alla somma delle attività nette, fisse e

liquide, cioè (a + S).

Se invece l’impresa si rivolgesse al mercato per raccogliere capitale e

successivamente fare l’investimento, il valore del portafoglio dei ‘vecchi’ azionistisarebbe pari a γ   · (a + S + b +  E ), dove γ è la frazione del capitale detenuto dai

‘vecchi’ azionisti. Bisogna infatti tenere conto che da una parte le risorse

dell’impresa acquisiscono valore, grazie alla raccolta di nuova liquidità  E  e al

valore attuale netto b dell’investimento, ma dall’altra la proprietà del capitale viene

‘diluita’ e condivisa con i nuovi finanziatori. Se l’aumento di capitale  E viene fatto

in maniera che il prezzo di sottoscrizione dei titoli sia uguale a quello ‘stimato’ dal

mercato (espresso da P′) il capitale percentuale γ posseduto dai ‘vecchi’ azionisti

dopo l’aumento di capitale sarà:

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

197

γ = E P

P

+''

 

È chiaro che la decisione di effettuare l’investimento o meno dipende dalla

differenza fra ricchezza dei ‘vecchi’ azionisti nel caso venga raccolto il capitale e

lanciato l’investimento, o nel caso non si faccia nulla. In particolare:

a + S > γ  · (a + S + b + E ) ⇒ non conviene raccogliere capitale e fare l’investimento

a + S < γ  · (a + S + b + E ) ⇒ conviene raccogliere capitale e fare l’investimento

La precedente disuguaglianza, nel caso convenga fare l’investimento, può essere

riscritta anche come:

(1 – γ ) · (a + S) < γ  · (b + E )

L’interpretazione è interessante: ai ‘vecchi’ azionisti conviene fare l’investimento

se il valore ‘vero’ della frazione del capitale esistente ‘ceduto’ ai nuovi finanziatori

è inferiore alla liquidità e al valore dell’investimento che i ‘vecchi’ azionisti

acquisiscono.

Se individuiamo su un grafico in Figura 4.24 le diverse scelte di investimento in

funzione di a e b (ignoti al mercato) la disuguaglianza precedente individua una

retta, al di sopra della quale conviene fare l’investimento (area ‘issue and invest ’),e al di sotto della quale conviene non fare nulla (area ‘do nothing’).

Notiamo due cose interessanti. Innanzitutto, è facile che nel caso in cui l’impresa

sia sottovalutata dal mercato (valori elevati di a) i managers preferiranno rinunciare

ad investimenti efficienti, per non essere costretti a collocare sul mercato titoli

azionari ‘sottovalutati’. Nel caso in cui l’impresa sia sopravvalutata (valori bassi di

a) i managers saranno disposti a procedere con l’aumento di capitale.

Il mercato non conosce con certezza se l’impresa è valutata correttamente, ma può

osservare il comportamento degli insiders. Questi ultimi, annunciando l’aumento di

capitale, segnaleranno al mercato che facilmente l’impresa è sopravvalutata, e

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

198

quindi potrebbe verificarsi una reazione negativa in Borsa, dovuta alla ‘correzione’

delle aspettative del mercato. Gli investitori sanno che un’impresa sottovalutata

non si presenterebbe per raccogliere capitale, ma facilmente lo farebbe un’impresa

sopravvalutata.

Figura 4.24 – Le scelte di finanziamento e investimento nel modello di Myers e Majluf, al

variare di a e b. 

Inoltre, è interessante notare che può essere conveniente effettuare l’investimento

anche quando esso distrugge valore (b < 0) a patto che il valore delle attività a sia

‘basso’. In tale situazione, infatti, può accadere che il mercato sopravvaluti

l’impresa, e il maggior prezzo pagato dai finanziatori rispetto al ‘vero’ valore dei

titoli più che compensi gli azionisti esistenti della distruzione di valore causata

dall’investimento.

È chiaro che se l’impresa potesse finanziare l’investimento da sola ( I  < S), o

comunicare credibilmente al mercato il proprio valore, gli investimenti che

sarebbero effettuati sarebbero tutti e solo quelli che creano valore (b > 0). In tal

senso, l’esistenza di asimmetrie informative crea inefficienza, perché può

incentivare le imprese a non fare investimenti che creano valore, e a raccogliere

capitale per farne invece altri che lo distruggono.

b

P′ – S  a 

– )1(P

S E 

′−⋅  

‘issue and 

invest’

‘do

nothing’

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

199

L’evidenza empirica sembra supportare il modello di Myers e Majluf. In

particolare nell’economia statunitense, l’annuncio di un’offerta pubblica di raccolta

di capitale viene interpretato negativamente dal mercato, che reagisce con una

correzione al ribasso sul prezzo di Borsa del titolo stesso. In Italia l’evidenza è

meno significativa, anche perché gran parte degli aumenti di capitale seasoned  

vengono offerti in opzione agli azionisti esistenti e non in offerta pubblica.

•  Il punto

Le offerte pubbliche seasoned sono condotte da imprese già quotate in Borsa, che

si rivolgono al pubblico indistinto per raccogliere nuovo capitale. L’incertezza nel

valore dei titoli è minore rispetto alle offerte pubbliche iniziali, ma può comunque

provocare inefficienze e distorsioni come mostrato dal modello di Myers e Majluf.

4.4.4 Gli aumenti di capitale in opzione ai soci esistenti

Storicamente in Italia, in particolare per quanto riguarda le società quotate di

grande dimensione, la tecnica preferita di raccolta di capitale è stata l’offerta

riservata agli azionisti esistenti, invece dell’offerta pubblica ‘seasoned ’. Essa

prevede la priorità di sottoscrizione dei titoli per gli azionisti esistenti, ai quali

consente di mantenere costante il possesso percentuale del capitale. Al contrario,

nel caso di offerta pubblica, gli azionisti esistenti di un’impresa vedrebbero diluito

il proprio possesso sul capitale, e potenzialmente anche il controllo.

Inoltre le norme societarie italiane prevedono esplicitamente che il diritto diopzione degli azionisti esistenti sia escluso solo in caso di conferimenti in natura,

quando lo richieda l’interesse della società e (limitatamente ad un massimo di un

quarto delle azioni emesse) quando le azioni siano riservate ai dipendenti

dell’impresa. In questi casi la decisione deve essere approvata dall’assemblea

straordinaria dei soci a maggioranza assoluta del capitale sociale. Inoltre le ragioni

che portano all’esclusione (o alla limitazione) dei diritti di opzione devono essere

elencate dagli amministratori in una apposita relazione accompagnata da una

dichiarazione del collegio sindacale, da una dichiarazione dei revisori del bilancio

e, in caso di conferimenti in natura, da una relazione giurata di un esperto nominato

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

200

dal presidente del tribunale competente. In questa situazione l’aumento di capitale

prevede che l’azionista abbia il diritto di sottoscrivere pro-quota l’aumento di

capitale, oppure – se lo preferisce – di vendere il diritto ad altri. In teoria, viene

quindi evitato l’effetto di diluizione e ogni azionista può mantenere inalterata la

percentuale di possesso dell’impresa. Inoltre, il prezzo di sottoscrizione delle azioni

non impatta direttamente sulla ricchezza degli azionisti già esistenti, come si vedrà

nel prossimo Esempio, al contrario del caso dell’offerta pubblica seasoned .

Solitamente, l’aumento di capitale in opzione agli azionisti viene annunciato

qualche settimana prima dell’operazione effettiva, con la decisione di quanti titoli

di nuova emissione possono sottoscrivere gli azionisti esistenti per ogni azione

posseduta. Dopo l’annuncio, si dice che il titolo quota ‘cum’. Nel momento in cui

viene effettuato l’aumento di capitale, gli azionisti hanno qualche giorno per

decidere se aderire all’aumento di capitale e versare la liquidità;

contemporaneamente si apre in Borsa il mercato dei diritti, che possono essere

venduti dagli azionisti che rinunciano all’adesione alla raccolta di capitale. Alla

chiusura dell’aumento di capitale si usa indicare che l’azione quota ‘ex’ in quanto

non contiene più il valore del diritto. Il prezzo di sottoscrizione deve essere fissato

al di sotto del valore corrente di mercato (altrimenti nessuno aderirebbe

all’operazione trovando più conveniente acquistare le azioni sul segmento

secondario). Anche in questo caso è opportuno mantenere un certo margine di

‘sconto’, per evitare che trend negativi di mercato successivi all’annuncio facciano

fallire l’aumento di capitale.

Il valore teorico del diritto di sottoscrizione, così come il prezzo ‘ex’ del titolo,

possono essere determinati attraverso opportune ipotesi di comportamento del

mercato. L’ipotesi più ‘conservativa’ che può essere fatta è ancora una volta che il

valore di mercato dell’equity dell’impresa dopo l’operazione V ′ sia pari alla

capitalizzazione di mercato prima dell’operazione V , più la raccolta di capitale ∆K :

V ′ = V + ∆K  

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

201

È importante capire che l’assunzione rappresenta una ipotesi, e non è detto

assolutamente che il mercato si comporti così. Ad esempio, potrebbero esserci

degli effetti di segnalazione legati all’annuncio dell’aumento di capitale (negativi

come nel modello di Myers e Majluf, o positivi se ad esempio il mercato si attende

un rilancio della redditività dell’impresa grazie al finanziamento).

Indichiamo con:

n : numero di azioni dell’impresa in circolazione prima dell’aumento di capitale;

 p : valore di mercato delle azioni prima dell’annuncio;

 p̂ : prezzo unitario di sottoscrizione delle azioni di nuova emissione (in Italia non

può essere inferiore al valore nominale del titolo);

n̂ : numero delle azioni di nuova emissione;

n′ : numero delle azioni in circolazione dopo l’aumento di capitale.

Il rapporto di emissione α indica il numero di nuovi titoli che gli azionisti hannodiritto a sottoscrivere, per ogni azione posseduta:

α =n

n̂ 

Il prezzo ex teorico delle azioni dopo l’aumento di capitale  pex può essere

determinato a partire dall’ipotesi adottata:

V ′ = V + ∆K 

n′ ·  pex = n · p +  pn ˆˆ ⋅ con n′ = n + n̂ = n · (1 + α)

 pex =n

 pn pn

′⋅+⋅ ˆˆ

=  p pn

 p pnˆ

α1

α

α1

1

)α1(

)ˆα(⋅

 

  

 

++⋅

 

  

 

+=

+⋅⋅+⋅

 

Si può notare che il prezzo ex rappresenta una media ponderata del prezzo corrente

delle azioni e del prezzo di sottoscrizione. Si può anche verificare che gli azionisti

coinvolti non dovrebbero subire variazioni nella loro ricchezza. Consideriamo ad

esempio il proprietario di un’azione, il cui valore di portafoglio è pari a  p: egli avrà

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

202

diritto a sottoscrivere α nuove azioni al prezzo  p̂ , trovandosi infine (1 + α) azioni

che – nel caso quotino pex – manterrebbero costante la sua ricchezza:

(1 + α) · pex = (1 + α) · )α1(

)ˆα(+⋅⋅+⋅

n p pn = p + α · p̂  

Se invece l’azionista non ha intenzione di aderire all’aumento di capitale, si troverà

in portafoglio titoli con un valore ex più basso, ma potrà vendere i diritti associati

ad ogni azione in portafoglio. In tal caso il valore teorico del diritto di

sottoscrizione d  associato ad ogni azione, affinché la ricchezza dell’azionista

rimanga costante, dovrebbe valere:

d = p – pex 

L’equilibrio del valore può essere verificato anche sul mercato dei diritti: un

investitore, acquistando un diritto al prezzo d , potrà diventare azionista e

sottoscrivere α titoli versando per ognuna di essere il prezzo  p̂ e ottenendo α 

azioni che quotano ex:

d + α · p̂ = α ·  pex

•  Esempio

Un’impresa quotata in Borsa annuncia un aumento di capitale, in cui offrirà ai soci

esistenti la possibilità di acquistare 4 nuove azioni ogni 10 possedute al prezzo

unitario  p̂ di 4€. Il valore di mercato  p delle azioni oggi è pari a 5€, e il capitale

sociale è composto da un numero n di azioni pari a 10 mln.

La capitalizzazione di Borsa V dell’impresa è pari a:

V = n · p = 50 mln. €

Il rapporto di emissione α dei nuovi titoli è pari a 4/10, e quindi i titoli in

circolazione n′ dopo l’aumento di capitale saranno 14 mln:

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

203

n̂ = α · n = 4 mln. 

n′ = n + n̂ = 14 mln.

La raccolta di capitale ∆K è pari a:

∆K = n̂ · p̂ = α · n · p̂ = 16 mln. €Il prezzo ex teorico pex dei titoli dopo l’aumento di capitale sarà pari a:

 pex =n

 pn pn

′⋅+⋅ ˆˆ

= 4,714€

Esso consente sia agli azionisti che sottoscrivono, sia a quelli che non aderiscono

all’aumento di capitale, di mantenere costante la propria ricchezza. Per esempio,

chi possiede 10 azioni cum (per un valore pari a 50€) aderendo all’aumento di

capitale acquisterà altre 4 azioni versando altri 16€. Dopo l’aumento di capitale si

ritrova 14 azioni che quotano ex (per un valore complessivo di appunto 66€).

Il valore teorico del diritto di sottoscrizione d sul mercato dei diritti sarà pari a:d = p – pex = 0,286€

Lo stesso azionista che possiede 10 titoli (per un valore di 50€) se non aderisce

all’aumento di capitale venderà 10 diritti (incassando 2,86€) e si troverà in mano

10 azioni che quotano ex (pari appunto a 47,14€).

Si può verificare che un investitore può acquistare 10 diritti sul mercato e

sottoscrivere 4 nuove azioni al prezzo  p̂ , che teoricamente varranno dopo

l’aumento di capitale pex:

10 · d + 4 · p̂ = 4 ·  pex

= 18,856€

Appare chiaro che a cavallo di un aumento di capitale in opzione ai soci esistenti il

prezzo di Borsa del titolo subisce una discontinuità ‘tecnica’ legata al passaggio

dalla quotazione cum alla quotazione ex (si veda la Figura 4.25). Come abbiamo

mostrato, la differenza non è però legata direttamente a variazioni della ricchezza

degli azionisti. Proprio per questo gli analisti calcolano dei ‘fattori di rettifica’ che

vengono applicati al prezzo dei titoli per calcolarne il rendimento di mercato a

cavallo di un aumento di capitale senza distorsioni.

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

204

Figura 4.25 – Differenza fra prezzo cum e prezzo ex nell’intorno di un aumento di capitale.

Nella realtà gli aumenti di capitale sono spesso ben più complessi di quanto

esemplificato. A volte, il capitale dell’impresa non è omogeneo (ad esempio può

essere composto anche da azioni con diritto di voto limitato, come azioni

privilegiate e di risparmio), e quindi è necessario decidere quante azioni e di quale

categoria assegnare a quale tipologia di azionista. Altre volte, viene data agli

investitori la possibilità di sottoscrivere contemporaneamente azioni, obbligazioni,

titoli convertibili e warrant . In tali situazioni, è indispensabile introdurre delle

ipotesi operative sul rapporto relativo che i prezzi delle diverse tipologie di titoli

assumeranno sul mercato dopo l’aumento di capitale. Non è poi affatto detto che il

valore totale dell’impresa si conservi a cavallo dell’operazione.

•  Il punto

L’impresa può raccogliere capitale di rischio anche decidendo un’offerta in

opzione agli attuali azionisti, i quali possono o aderire all’aumento di capitale o

vendere sul mercato il diritto di sottoscrizione. In tal caso il prezzo di

sottoscrizione non influisce direttamente sulla ricchezza degli investitori coinvolti.

 p

Tempo 

Annuncio Aumento di capitale

Reazione del mercato

 pcum 

d pex 

Mercato dei diritti

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

205

4.4.5 La raccolta di capitale attraverso warrant 

Un ulteriore strumento di raccolta di capitale, questa volta non nell’immediato ma

a termine, è il warrant . Il warrant  è un titolo che consente, a discrezione del

possessore, di acquistare titoli azionari a condizioni prefissate, entro una certa

scadenza temporale in via continuativa, oppure solo in determinati periodi

dell’anno. Esso si configura quindi come un’opzione, dal momento che non vi è

nessun obbligo di effettiva sottoscrizione dei titoli.

Il warrant viene emesso da un’impresa come strumento di finanziamento, nel senso

che può essere collocato sul mercato o attraverso un’offerta pubblica o attraverso

un’offerta riservata agli azionisti esistenti. Molto spesso l’emissione di warrant  

affianca l’emissione di nuovi titoli azionari in un aumento di capitale a pagamento.

Ciò consente di rendere più ‘appetibile’ l’aumento di capitale, e potenzialmente di

raccogliere nuovo capitale in fasi successive, ovvero in coincidenza dell’esercizio

dei warrant .

Alcune volte, le azioni sottostanti l’esercizio dei warrant  non sono di nuova

sottoscrizione, ma sono già esistenti e detenute in portafoglio dall’emittente, e

quindi l’eventuale esercizio dell’opzione non comporta aumenti di capitale.

Le caratteristiche di un warrant  sono il prezzo di esercizio (cioè il prezzo di

acquisto o sottoscrizione a termine dell’azione) e la scadenza, ovvero il termine

ultimo di esercizio dell’opzione di acquisto (in genere la possibilità di esercitare il

warrant viene limitata a determinati periodi annuali). Una volta emesso, il warrant  

può essere negoziato sul mercato borsistico.

Il warrant è a tutti gli effetti valutabile come un’opzione finanziaria, e quindi si

rimanda l’analisi di valutazione al successivo Capitolo 5, Paragrafo 5.3.3.

Non si confondano i warrant  con i covered warrant , che non consentono di

sottoscrivere titoli azionari e quindi non sono strumenti di finanziamento, ma

semplicemente sono delle opzioni finanziarie negoziate in Borsa.

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

206

Appendice – Il risparmio gestito e la Direttiva MIFID

Negli ultimi anni i mercati si sono ‘popolati’ di molti e nuovi strumenti di

investimento, che consentono di diversificare ulteriormente il portafoglio

finanziario.

I prodotti più tradizionali sono i fondi comuni di investimento collettivo, che in

Italia possono essere istituiti dalle SGR (società di gestione del risparmio), e gestiti

da intermediari autorizzati da Banca d’Italia, anche localizzati in altri paesi

dell’Unione Europea.

I fondi di investimento possono effettuare la raccolta di denaro presso il pubblico

indistinto dei risparmiatori (in tal caso debbono diffondere un Prospetto

Informativo approvato dalla CONSOB), oppure possono essere riservati ai

cosiddetti investitori ‘qualificati’ (società bancarie, assicurazioni, fondazioni,

persone fisiche che dimostrano consapevolezza del rischio dell’investimento).

I fondi vengono in genere classificati in:

- fondi di liquidità (o monetari), se investono esclusivamente in titoli di stato o

comunque titoli obbligazionari a bassissimo rischio;

- fondi obbligazionari, se la componente investita in bond  e obbligazioni è

predominante;

- fondi azionari, se invece è predominante la componente azionaria;

- fondi bilanciati, se offrono un mix bilanciato di diverse asset class;

- fondi flessibili, se le componenti obbligazionarie e azionarie possono variare

anche sensibilmente, in funzione dell’andamento del mercato;

- fondi immobiliari, se investono in proprietà e attività immobiliari;

- fondi ‘speculativi’ (o fondi ‘hedge’); si tratta di fondi che a differenza degli altri

possono indebitarsi per sfruttare la leva finanziaria e vendere allo scoperto titoli,

per ricercare rendimenti più aggressivi (ma con maggiore rischio).

In genere i fondi prevedono il reinvestimento di dividendi e proventi incassati, più

raramente distribuiscono annualmente una ‘cedola’ ai sottoscrittori.

Coerentemente con la specializzazione di investimento, i fondi debbono prevedere

un ‘benchmark ’ che fa da riferimento per la valutazione del rendimento del fondo.

Sta alla bravura dei gestori del fondo costruire portafogli di titoli (‘stock picking’)

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

207

che, nel corso del tempo, coerentemente con i vincoli di specializzazione del fondo,

offrano agli investitori rendimenti migliori rispetto al benchmark .

I fondi debbono prevedere un Regolamento, che definisce le politiche di

investimento e di gestione, le modalità di partecipazione al fondo, le spese a carico

degli investitori (che in genere consistono in commissioni annuali percentuali, e in

commissioni di performance nel caso il rendimento del fondo batta il benchmark di

riferimento).

I fondi ‘aperti’ danno possibilità all’investitore di entrare o uscire dall’investimento

a piacimento, attraverso il pagamento o la riscossione della quota unitaria del

fondo, che viene calcolata e pubblicata quotidianamente.

Esistono invece i fondi ‘chiusi’ (tipicamente i fondi di  private equity e di venture

capital) in cui l’investitore è vincolato a mantenere il capitale nella gestione per un

certo periodo di tempo (in genere 10 anni) per dare certezza della disponibilità del

capitale nel medio/lungo termine. Nulla però impedisce che si costituisca un

mercato ‘secondario’ delle quote di tali fondi, con la cessione della quota

sottoscritta ad un altro investitore.

Le società assicurative promuovono polizze ‘vita’ che prevedono il versamento di

denaro in fondi comuni (contratti ‘unit linked ’) o in gestioni indicizzate (contratti

‘index linked ’). Alcuni prodotti garantiscono all’assicurato il rimborso del capitale

investito, e anche un rendimento minimo. In altri casi l’assicurato è completamente

esposto al rischio dell’investimento. È prassi che la compagnia assicurativa

trattenga una parte del rendimento del fondo (in genere fra il 20% e il 25%)

retrocedendo al cliente la parte rimanente.

Da poco tempo sono operativi in Italia anche i ‘fondi pensione’ (promossi da

società assicurative o da sindacati di categoria), che erogano prestazioni

previdenziali a fronte di versamenti cumulati in gestioni mobiliari. Dal 2007 i

lavoratori del settore privato possono conferire a tali fondi le trattenute del TFR.

Negli ultimi anni hanno avuto un certo successo gli   Exchange Traded Funds 

(ETF). Si tratta di fondi a gestione ‘passiva’ (contrapposti invece ai fondi di

investimento tradizionali a gestione ‘attiva’) che a fronte di costi e commissioni più

contenute, replicano semplicemente il benchmark di riferimento rinunciando alla

ricerca di portafogli più efficienti.

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4. LA RACCOLTA DI CAPITALE DI RISCHIO

208

Analogo successo stanno avendo i certificates che permettono di investire in

panieri che replicano la performance di determinati settori industriali o di singoli

mercati esteri, piuttosto che di materie prime, metalli, energia, in genere

difficilmente raggiungibili dai piccoli risparmiatori.

Si tratta di titoli cartolarizzati che possono prevedere clausole di protezione del

capitale (parziale o totale) che salvaguardano l’investitore da repentini cali del

valore del portafoglio.

Il vantaggio di fondi, ETF e certificates è certamente quello di offrire la possibilità

di un investimento sufficientemente diversificato e personalizzato rispetto al

profilo rischio-rendimento, anche con importi minimi e con la possibilità di

versamenti periodici (piani di accumulo del capitale, PAC). L’altra faccia della

medaglia è nelle commissioni e nei costi espliciti e impliciti che caratterizzano

questi prodotti, che possono avere un impatto significativo sul rendimento netto.

Il 1/11/2007 è entrata in vigore in tutti i paesi dell’Unione Europea la Direttiva

MIFID (  Markets in Financial Instruments Directive) che introduce novità

significative nel funzionamento dei mercati finanziari. Le più importanti sono:

-  la precisa regolamentazione dei mercati borsistici e dei sistemi multilaterali

alternativi per la negoziazione (multilateral trading facilities) che devono

offrire garanzie di trasparenza e tutela per gli investitori;

-  l’applicazione del principio di ‘best execution’ nell’esecuzione degli ordini di

compravendita sul mercato da parte degli intermediari, ovvero la ricerca

sistematica – nell’interesse del cliente – della migliore combinazione fra

prezzo, costi di commissione e rapidità;

-  la classificazione degli investitori in clienti ‘al dettaglio’, ‘professionali’ o

‘controparti qualificate’ a seconda del grado di consapevolezza, profilo di

rischio e competenza finanziaria; ogni intermediario deve dunque censire i

propri clienti attraverso un test di adeguatezza e appropriatezza, e individuare

adeguate norme di comportamento e comunicazione nel rapporto con ciascuno

di essi;

-  una più severa regolamentazione della consulenza finanziaria e di eventuali

conflitti di interesse fra intermediari e clienti. 

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209

5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

In questo capitolo vengono analizzati i titoli finanziari che le imprese possonoutilizzare non per raccogliere capitale e finanziare i propri investimenti, ma per

coprirsi dal rischio degli investimenti stessi. In particolare, vengono presentati i

contratti  forward e le opzioni. Come si vedrà, i modelli considerati saranno utili

per valutare diversi contratti e investimenti, di frequente applicazione non solo

nella Finanza Aziendale ma anche nella Gestione d’Impresa in generale.

5.1 I titoli derivati: contratti forward  

I titoli derivati sono strumenti finanziari il cui valore dipende (quindi deriva) dal

valore di un’altra attività (attività sottostante o ‘underlying’) che può essere reale(una merce) o finanziaria (tassi d’interesse, valute, titoli obbligazionari, indici di

Borsa, azioni). In particolare, la dipendenza non è di natura economica, ma di

natura contrattuale, essendo appunto da contratto fissato l’algoritmo che definisce

tale dipendenza.

Una seconda caratteristica importante dei titoli derivati è il fatto che regolano

‘transazioni a termine’ cioè scambi di attività (reali, finanziarie, virtuali) in una

data futura e a condizioni contrattualmente prefissate.

Esistono due grandi categorie di titoli derivati:

1.  forward : si tratta di contratti che impegnano all’acquisto o alla vendita a unacerta scadenza di una determinata quantità di un’attività a un prezzo prefissato

(delivery price o prezzo alla consegna). Fanno parte di questa categoria, fra gli

altri, i contratti future e gli swaps;

2.  opzioni: contratti che conferiscono all’acquirente il diritto, ma non l’obbligo, di

comprare o vendere un bene a una certa scadenza (oppure entro una certa

scadenza) a un prezzo prefissato (‘strike price’ o prezzo base). Fanno parte di

questa categoria le opzioni call (opzioni di acquisto) e le opzioni  put (opzioni

di vendita).

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

210

La differenza fra forward e opzioni sta quindi nella discrezionalità che caratterizza

chi detiene un’opzione di decidere se portare a termine la transazione oppure no,

cosa che invece non è ammessa nei forward .

5.1.1 Caratteristiche dei contratti forward 

Un contratto  forward  è un accordo di compravendita di un’attività ad una certa

data futura a un determinato prezzo (detto ‘delivery price’ o prezzo di consegna)

fissato al momento dell’accordo. Nella pratica si dice che il soggetto che si

impegna ad acquistare a termine l’attività sottostante (underlying) assume una

‘posizione lunga’ , mentre il soggetto che si impegna a vendere a termine assume

una ‘posizione corta’. La regolazione del contratto alla scadenza può essere fatta

con la consegna materiale dell’attività, ma più spesso viene fatta ‘per contanti’,

ovvero attraverso uno scambio di flussi di cassa monetari, coincidente con il payoff  a scadenza generato dal forward .

La nascita e la prima diffusione dei contratti  forward si è avuta nei mercati delle

merci e delle materie prime (commodities). I primi accordi del genere (più o meno

espliciti) si possono leggere in Aristotele ne ‘La politica’ a proposito dell’affitto

dei frantoi di Mileto e Chio da parte di Talete e, in periodi più recenti (XVII

secolo), nel comportamento dei latifondisti giapponesi produttori di riso o dei

mercanti olandesi di bulbi di tulipano.

Infatti attraverso un contratto  forward  un produttore può mettersi al riparo da

possibili fluttuazioni del prezzo del prodotto venduto stabilendo, anticipatamenterispetto alla consegna, le condizioni del contratto. L’interesse può essere

convergente con quello della sua controparte, che intende acquistare l’attività in

futuro proteggendosi da variazioni del prezzo. In passato nel contratto  forward si

manifestava semplicemente l’accordo tra un compratore e un venditore, che poteva

assumere le più differenti articolazioni. Con il tempo però i contratti a termine

hanno iniziato ad essere scambiati in forma autonoma rispetto al mercato dei beni

reali o finanziari da cui derivavano, trasformandosi a loro volta in titoli finanziari

negoziati sui mercati borsistici. Naturalmente per assicurare liquidità al mercato è

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

211

stato necessario prevedere una standardizzazione dei contratti, con la fissazione di

scadenze e quantità vincolate per ciascun bene oggetto di contrattazione.

5.1.2 Valutazione dei contratti forward Il modello di valutazione di un contratto  forward è molto semplice. Si ipotizzi (i)

la non esistenza di costi di transazione sul mercato; (ii) uniformità del trattamento

fiscale fra diversi redditi finanziari; (iii) esistenza di un unico tasso di interesse

risk free (attivo e passivo) di mercato, composto nel continuo (si veda il Capitolo 3

per la sua definizione) e pari a r .

Si indichi con:

T : tempo mancante alla scadenza del contratto forward (in anni), a cui è riferito

anche il tasso r ;

S0: prezzo spot dell’attività sottostante il contratto forward ; X : prezzo di consegna (delivery price) previsto nel contratto forward ;

long f  (o più semplicemente f ): valore di un contratto forward in posizione lunga;

short  f  : valore di un contratto forward in posizione corta;

ST : prezzo a scadenza T dell’attività sottostante (incognito).

Prima di valutare un contratto forward  in un istante qualsiasi prima della scadenza

T è opportuno considerare i payoff dei contraenti alla scadenza. Questi payoff sono

uguali e opposti (si veda la Figura 5.1). In particolare per colui che si è impegnato

ad acquistare l’attività sottostante (detentore della long position) il payoff è:

 X S f  f  T long −==  

mentre per colui che si è impegnato a vendere l’attività sottostante (detentore della

short position) il payoff è:

T short  S X  f  −= = – f  

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

212

Nel primo caso infatti il detentore del forward è obbligato ad acquistare a scadenza

T  al prezzo  X  qualcosa che sul mercato vale ST . È chiaro che il valore di tale

contratto (positivo o negativo che sia) nel momento in cui viene chiuso è pari alla

differenza fra i due prezzi. La controparte si è impegnata a cedere l’underlying ascadenza, e quindi il payoff associato all’obbligo è simmetrico al precedente.

Di conseguenza il detentore della long position guadagna quanto più il prezzo

dell’attività sottostante diventa maggiore del delivery price X , mentre il detentore

della short position guadagna quanto più il prezzo dell’attività sottostante diventa

inferiore rispetto al delivery price.

Figura 5.1 – Payoff a scadenza associati ad un contratto forward.

Prima della scadenza T , il valore di un contratto  forward  è in generale diverso.

Nell’istante attuale, per il detentore della posizione lunga, è dato da:

rT long e X S f  f  −⋅−== 0  

Lo logica con la quale si perviene a questa relazione è una logica di ‘non

arbitraggio’ nel senso che si dimostrerà che se un contratto  forward  avesse un

 X ST  

ST  – X 

 X ST   X – ST  

  Long Position Short Position f 

long f 

short 

– X 

 

 X 

 

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

213

valore diverso da quello indicato, il mercato non sarebbe in equilibrio in quanto

potrebbero essere costruite relazioni di arbitraggio a rischio nullo. Non si fa

ricorso quindi alle tecniche di attualizzazione dei flussi di cassa, come per le

obbligazioni e le azioni, dal momento che essi non possono essere previstinemmeno in valore atteso (addirittura come è chiaro dalla Figura 5.1 essi possono

essere positivi quanto negativi!)

Si considerino quindi i due portafogli seguenti:

1.  Portafoglio A: un contratto  forward  in posizione long di valore  f  (incognito)

più il valore attuale del delivery price, rT e X  −⋅ (ad esempio liquidità o titoli

risk free investiti al tasso r composto nel continui);

2.  Portafoglio B: l’attività sottostante il cui valore oggi è S0.

A scadenza il payoff  dei due portafogli è lo stesso in quanto la liquidità rT e X  −⋅  

del primo portafoglio avrà generato un montante pari a  X  e verrà impiegata nel

contratto  forward  per acquistare l’attività sottostante, il cui valore sarà ST . Il

secondo portafoglio avrà allo stesso modo un valore ST .

Se quindi due portafogli a scadenza danno lo stesso payoff (anche se incognito), in

base alla logica di ‘non arbitraggio’, il loro valore deve coincidere in qualsiasi

istante precedente alla scadenza in quanto, se questo non fosse vero, un investitore

teoricamente potrebbe realizzare un profitto privo di rischio comprando il

portafoglio meno costoso e vendendo allo scoperto quello più costoso.

Uguagliando il valore al tempo t = 0 dei due portafogli si ottiene:

0Se X  f  rT  =⋅+ −   ⇒  rT e X S f  −⋅−= 0  

•  Il punto

Un contratto  forward regola una transazione a scadenza, in cui due controparti si

accordano per la compravendita di un’attività sottostante (underlying) a condizioni

prefissate oggi. Il valore di un  forward  si determina in una logica di non-

arbitraggio, ed è uguale al prezzo spot dell’underlying meno il valore attuale del

prezzo di consegna (delivery price).

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

214

Si può dimostrare che se la relazione precedente non è soddisfatta sul mercato, ad

esempio se il valore del  forward  fosse inferiore a quello di equilibrio, sarebbe

possibile sfruttare il disequilibrio acquistando il forward , investendo al tasso r per

un valore a scadenza T pari a  X e vendendo allo scoperto l’attività sottostante alprezzo S0. A scadenza, chiuderemmo tutte le posizioni, acquistando come da

contratto  forward l’attività al prezzo  X (che incassiamo grazie all’investimento al

tasso r ), e cedendo l’attività stessa a chi l’abbiamo venduta allo scoperto.

All’istante iniziale invece beneficiamo di un  payoff  positivo, pari arT e X S f  −⋅−+− 0 che è positivo per l’ipotesi di partenza fatta su f .

•  Esempio

Un titolo azionario quota oggi 40€. Sapendo che sul mercato è possibile investire

ed indebitarsi al tasso r composto nel continuo pari al 3%, vogliamo determinare il

valore di equilibrio di un contratto  forward a scadenza T pari a 2 anni e prezzo di

consegna X (delivery price) pari a 45€.

Applicando la formula:rT e X S f  −⋅−= 0 = 40€ – 45€ · (e–0,03 ⋅ 2) = – 2,38€

Il valore del  forward  è negativo, e perciò vorremo essere pagati 2,38€ oggi per

accordarci con una controparte, dalla quale acquisteremo fra 2 anni il titolo a 45€.

La controparte simmetricamente sarà disposta a pagare oggi 2,38€ per entrare nel

contratto.Se per caso il delivery price fosse stato pari a 35€:

rT e X S f  −⋅−= 0 = 40€ – 35€ · (e-0,03 ⋅ 2) = + 7,04€

Questa volta saremmo disposti a pagare 7,04€ per entrare in contratto (e

ovviamente la controparte vorrà essere pagata 7,04€ per accettare un prezzo di

consegna pari a 35€). Evidentemente stavolta le condizioni sono più favorevoli per

chi acquista a scadenza.

Chiediamoci cosa accadrebbe se in quest’ultima situazione sul mercato fosse

possibile entrare nel forward al prezzo di 7,00€ invece di 7,04€.

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

215

Se è vero quello che abbiamo scritto, una strategia profittevole di arbitraggio

sarebbe quella descritta nel seguente schema:

Strategia Payoff a t = 0 Payoff a T = 2Entrata nel forward (long) – f = – 7,00€ ST – X = ST – 35€

Vendita allo scoperto del titolo + S0 = + 40€ – ST  

Investimento sul mercato al tasso r  – rT e X −

⋅ = –32,96€ + X = + 35€

Payoff totale +0,04€ // 

La strategia consiste nello stipulare un forward per acquistare l’azione a scadenza,

contemporaneamente vendendola allo scoperto, e investendo il ricavato sul

mercato al tasso risk free. A scadenza non sappiamo quanto varrà ST . Noi però

siamo certi di chiudere alla pari la nostra posizione. In altre parole, ci siamocoperti dal rischio relativo a S. Di più, possiamo beneficiare oggi di un  payoff  

certo, non rischioso, pari a 4 centesimi.

Alcuni potranno obiettare che questa posizione di arbitraggio rende poco, ma non

ci costa nulla ripetere lo stesso giochetto non su un titolo, ma su 1.000 titoli (con

1.000 contratti forward ): a scadenza saremo sempre coperti, e beneficeremo di un

profitto speculativo immediato di 40€. Il giochetto finirà quando altri investitori si

accorgeranno della nostra strategia: ci sarà una pressione sul mercato cosicché tutti

vorranno entrare long nel  forward , tutti vorranno vendere allo scoperto il titolo,

tutti vorranno investire al tasso r . Sotto questa spinta, il mercato si riporterà ad unequilibrio (ad esempio il valore del  forward salirà, piuttosto che scenderà quello

dell’attività sottostante) annullando tutte le possibilità di arbitraggio.

È chiaro che se il prezzo di mercato del  forward fosse stato più alto di quello di

equilibrio (ad esempio 7,10€) la strategia sarebbe cambiata: si trattava di entrare

short  nel  forward , acquistare il titolo e indebitarsi al tasso r . La copertura a

scadenza così come il payoff positivo nell’istante iniziale sono ancora garantiti.

La formula riportata in precedenza per la valutazione del  forward  non ha però

validità generale. Le attività sottostanti sulle quali vengono stipulati contratti

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

216

derivati  possono offrire redditi (è il caso, ad esempio, dei dividendi per i titoli

azionari e delle cedole per i titoli obbligazionari) e/o comportare dei costi

prevedibili con certezza prima della scadenza del contratto (è il caso, ad esempio,

degli eventuali costi di stoccaggio o di assicurazione per le merci, in gergo costs of carry). In questi casi le formule precedenti devono essere opportunamente

rielaborate in quanto chi acquista l’attività sottostante a termine non beneficia dei

redditi prodotti da quella attività e allo stesso tempo non sostiene i costi ad essa

associati. In altre parole, i portafogli A e B considerati all’inizio del Paragrafo non

sono più equivalenti.

Si dimostra, nuovamente attraverso la logica di non arbitraggio, che in questi casi

il valore di un contratto forward  in posizione lunga è dato da:

[ ]rT long

e X  RICAVI VACOSTI VAS f  f −

⋅−−+== )()(0  

La formula deve dunque essere corretta tenendo conto in aggregato del valore

attuale dei flussi di cassa positivi (i ricavi) e negativi (i costi) associati al possesso

dell’attività sottostante. Si sottolinea che eventuali costi esaltano il valore del

 forward , mentre i ricavi ne deprimono il valore. Infatti, chi detiene il  forward  in

posizione lunga non ha in portafoglio il sottostante, e quindi non ne sopporta i

costi, ma non ne incassa neanche i ricavi.

La presenza di costi rende dunque più ‘appetibile’ acquistare l’underlying a

scadenza attraverso il  forward , così come la presenza di ricavi penalizza tale

strategia.

Un particolare esempio di attività che genera flussi di cassa intermedi è la moneta.

Esistono contratti a termine su valute estere, in cui bisognerà tenere conto del tasso

di rendimento privo di rischio sul mercato monetario in questione. In altre parole,

il flusso di cassa associato ad una valuta estera è il relativo costo del capitale risk-

 free. Chi detiene un  forward  su una valuta, rinuncia a tale rendimento pari al

delivery price scontato al tasso estero fino alla data di consegna. La formula di

valutazione di un forward su una valuta estera, con tasso di cambio attuale pari a

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

217

S0 e con prezzo di consegna  X (espressi in euro/valuta), sapendo che sul mercato

monetario estero il tasso di rendimento privo di rischio è pari a r * sarà:

[ ]rT long

e X  RICAVI VAS f  f −

⋅−−== )(0  VA(RICAVI) = VA(INTERESSI) = T r e

⋅− *   )( 0*

0 SeST r  −⋅⋅ ⋅  

 f = T r T r e X eS

⋅−⋅− ⋅−⋅ *0  

La formula precedente è una determinante importante dell’equilibrio sul mercato

monetario internazionale, perché ci dice che eventuali differenziali fra i tassi di

rendimento in mercati esteri devono essere correlati alle aspettative sui tassi di

cambio relativi delle valute nel futuro. In altre parole, se il tasso estero r * è

maggiore rispetto a quello nazionale r , ciò sottintende un’aspettativa di tassi dicambio in diminuzione (svalutazione della moneta estera, rafforzamento della

valuta nazionale). Al contrario, tassi esteri inferiori rispetto a quelli nazionali

contengono aspettative di tassi di cambio in crescita (rivalutazione della moneta

estera, indebolimento di quella nazionale).

5.1.3 Il prezzo forward di un’attività

Il prezzo forward di un’attività (non si riferisce quindi a un contratto forward ma

all’attività sottostante!) viene definito per una determinata scadenza futura T ed è il

prezzo di consegna che rende nullo il valore di un contratto  forward sull’attivitàstessa alla scadenza T . Dal paragrafo precedente, se ne deduce che il prezzo

 forward  S f di una attività deve soddisfare la relazione:

 f ( X = S f , T ) = 0 ⇒  00 SeSrT 

 f  =⋅+ −   ⇒  rT  f  eSS ⋅= 0  

È interessante notare la relazione che sussiste fra prezzo  forward  e valore del

contratto, dalla quale emerge chiaramente come quest’ultimo è nullo quando il

prezzo di consegna è stabilito uguale al prezzo forward :

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

218

rT e X S f  −⋅−= 0 = rT rT 

 f  e X eS−− ⋅−⋅ = rT 

 f  e X S−⋅− )(  

Se per caso all’attività sottostante sono associati flussi di cassa positivi o negativi,

come nel paragrafo precedente è necessario tenerne conto. Si ottiene:

[ ])()(0 0  RICAVI VACOSTI VASeSrT 

 f  −+=⋅+ −  

[ ] rT  f  e RICAVI VACOSTI VASS ⋅−+= )()(0  

Il prezzo  forward  viene spesso associato al mercato monetario, e in particolare alla

definizione del tasso di cambio forward . Il tasso di cambio come si è visto nel paragrafo

precedente non è altro che il prezzo di una moneta, espresso in un’altra valuta.

•  Il punto

I flussi di cassa positivi (negativi) associati al possesso dell’underlying influiscono

negativamente (positivamente) sul valore del  forward . Un parametro associato

all’attività sottostante è il prezzo  forward  a una certa scadenza, ovvero quel

particolare prezzo di consegna che rende nullo il valore del corrispondente

contratto forward .

5.1.4 Contratti future

Un contratto  future è un particolare contratto  forward standardizzato e negoziato

sui mercati borsistici. La Tabella 5.1 riassume le principali differenze tra contratti

 forward e futures.

I contratti forward sono specifici contratti privati definiti ad hoc dalle controparti,

mentre i  future sono scambiati sui mercati borsistici e per questo sono

standardizzati rispetto alla scadenza (in genere trimestrale) e alle caratteristiche

dell’attività sottostante.

Se due investitori stipulano un contratto  forward  per scambiarsi in futuro

un’attività ad un certo prezzo, ci sono notevoli rischi che l’impegno a scadenza

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

219

non sia onorato. Per questo motivo nei mercati organizzati è previsto che ogni

contraente versi un margine di garanzia (in genere fra il 6% e il 12,5% del valore

del contratto) che serve a coprire la controparte nel caso di inadempienza.

Il contratto future viene regolato giornalmente con il sistema ‘marking to market ’(letteralmente ‘aggancio al mercato’). L’organo che gestisce l’operazione è la

‘clearing house’, in Italia la Cassa di Compensazione e Garanzia (CC&G), il cui

compito è calcolare e decidere giorno per giorno i margini relativi a ogni contratto.

Alla chiusura della giornata borsistica essa osserva i movimenti sul mercato del

prezzo dell’attività sottostante, e procede a trasferire fra i conti di garanzia delle

due controparti una somma di denaro in funzione di chi ha ‘virtualmente’

guadagnato o perso. Se necessario, in caso di prolungate perdite, può richiedere

un’integrazione della somma di denaro inizialmente depositata. In tal senso il

 future è uno strumento molto rischioso (come tutti i derivati) perché può generareperdite anche superiori a quanto inizialmente depositato.

La dimensione del contratto è data dal prodotto fra la quotazione del  future ed il

valore del moltiplicatore del contratto stabilito dalla Borsa.

Tabella 5.1 - Confronto tra contratti forward e future.

Contratti forward  Contratti future 

Contratti privati tra due controparti Titoli trattati in Borsa

Contratti non standardizzati Contratti standardizzati

Regolati alla fine del contratto Regolati ogni giorno (marking to market )

In genere chiusi alla scadenza In genere chiusi prima della scadenza

La maggior parte dei contratti  future che vengono stipulati non si conclude con la

consegna dell’attività sottostante; a volte gli investitori decidono di chiudere le

posizioni prima del periodo di consegna previsto vendendo il  future sul mercato.

Inoltre, in genere non è prevista contrattualmente la consegna fisica dell’attività

sottostante che è ‘virtuale’ (è il caso, ad esempio, degli indici azionari), ma

semplicemente i contratti vengono liquidati in contanti considerando il prezzo spot  

dell’attività sottostante all’ultimo giorno.

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

220

•  Esempio

Un investitore vuole scommettere su un ribasso del mercato azionario.

In Borsa ha a disposizione ad oggi due contratti  future sull’indice del mercato

italiano S&P/MIB: il FIB (moltiplicatore pari a 5 euro) e il mini-FIB(moltiplicatore pari a 1 euro).

L’investitore decide di vendere il future mini-FIB (posizione short ).

La quotazione attuale sul mercato del mini-FIB alla scadenza più vicina è 28.000

punti indice. Il valore minimo del contratto è quindi 28.000 € (quotazione x

moltiplicatore).

Il deposito richiesto dalla CC&G è il 7,5%. L’investitore dovrà quindi depositare il

mattino seguente il 7,5% di 28.000 €, ovvero 2.100 €.

Supponiamo che durante la giornata la quotazione del mini-FIB scenda del 2% (a

quota 27.440). A fine contrattazione al nostro investitore sarà accreditata la sommadi 560 € (pari alla perdita di valore del contratto), in base al meccanismo del

‘marking-to-market ’. Si noti che il payoff positivo rappresenta il 26,67% di quanto

depositato! In tal senso l’investitore è stato fortunato sfruttando l’effetto ‘leva’ del

derivato.

Il giorno successivo però il mercato recupera nettamente, e il mini-FIB raggiunge

la quotazione di 28.800. Dal conto dell’investitore saranno sottratti 28.800 –

27.440 = 1.360 €, e il saldo del deposito andrà a 1.300 €.

L’investitore potrà decidere se chiudere il contratto in Borsa prima della scadenza

(avendo maturato un  payoff  in funzione della somma algebrica di accrediti edaddebiti operati dalla CC&G) o alla scadenza.

5.1.5 Swaps

Uno swap è un contratto derivato in cui le due controparti si accordano per

scambiarsi le posizioni sulle rispettive attività sottostanti. Esso può essere visto

come la somma di due diverse posizioni in due contratti forward , e quindi valutato

ricorrendo alle stesse formule.

Il più comune tipo di swap è costruito su tassi di interesse (interest rate swap, IRS)

e prevede che le controparti si scambino i flussi di cassa relativi a due rispettivi

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

221

contratti di finanziamento, dei quali uno a tasso fisso e l’altro a tasso variabile. In

tale maniera, i flussi di cassa relativi allo swap sono i pagamenti annuali degli

interessi. Due imprese potrebbero avere vantaggio a stipulare un contratto del

genere, se hanno accesso al capitale a condizioni diversificate (una riuscirà adottenere un tasso di interesse fisso meno oneroso rispetto all’altra, che invece può

indebitarsi a tasso variabile a condizioni migliori). In sostanza, ogni impresa

rimane titolale del proprio debito, ma può compensarne il rischio di tasso grazie

all’impegno dell’altra società a scambiarsi i relativi flussi di cassa.

I più diffusi quotidiani finanziari rilevano giornalmente i valori di tasso applicati

nei contratti IRS dalle banche, ovvero il tasso (fisso) che si è disposti a

‘scambiare’ con quello variabile alle diverse scadenze future.

Un altro tipo di contratto è lo swap su valute (currency swap), in cui le due

posizioni scambiate sono denominate in valute diverse. Ad esempio, si considerinoun’impresa europea che ha contratto un debito in dollari (ed è quindi esposta al

rischio di rivalutazione del dollaro) e un’impresa americana che ha contratto un

debito in euro (e corre quindi il rischio opposto). Con un currency swap, le due

imprese possono impegnarsi a scambiarsi i relativi flussi di pagamenti degli

interessi, compensando le due posizioni e annullando il rischio di cambio.

Larga diffusione stanno avendo i credit default swap (CDS), strumenti finanziari

che consentono di proteggersi dal rischio di insolvenza di un creditore, ad esempio

una società che ha emesso un’obbligazione. In caso di default , infatti, chi ha

sottoscritto un CDS potrà esigere il pagamento di una somma di denaro da chi loha collocato. In tal senso questo particolare contratto è del tutto simile ad una

‘polizza assicurativa’.

•  Esempio

Due imprese stipulano un contratto swap, in cui si scambiano le posizioni su un

debito del valore nominale di 10 mln. € in scadenza fra un anno. La prima impresa

attualmente deve remunerare questo debito al tasso composto nel continuo pari al

5% fisso, mentre l’altra impresa deve remunerarlo al tasso variabile EURIBOR

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

222

composto nel continuo. Il tasso risk-free annuo di mercato composto nel continuo

è pari al 2% mentre il tasso EURIBOR oggi è pari al 4%.

Essendo il capitale da rimborsare identico, i flussi di cassa interessati dallo

‘scambio’ sono solo quelli relativi al pagamento degli interessi. Dal punto di vistadella seconda impresa, essa si impegna a pagare sul capitale di 10 mln. € il 5%

fisso fra un anno, e in cambio le viene riconosciuto un interesse pari al tasso

EURIBOR fra un anno. Il flusso di cassa F a scadenza un anno è quindi incerto,

dipendente dal tasso EURIBOR osservabile fra un anno, e pari a:

F = (EURIBOR – 5%) · 10 mln. €

Per la prima impresa il flusso di cassa sarà opposto in segno.

Si può notare che F può essere interpretato come il  payoff a scadenza un anno di

un contratto  forward , con attività sottostante il tasso EURIBOR e prezzo di

consegna pari al 5%. Il valore s dello swap, dal punto di vista della secondaimpresa, ricorrendo alla formula di valutazione dei contratti forward sarà quindi:

s = 10 mln. € · (4% – 5% · e-0,02·1) = –90.099€

La seconda impresa vorrà quindi essere pagata 90.099€ per entrare nello swap. Dal

punto di vista della prima impresa, il valore dello swap sarà opposto in segno. Essa

sarà disposta a pagare per entrare nel contratto.

Va da sé che le controparti potrebbero accordarsi per un interest rate swap senza

scambio di payoff iniziali, scegliendo un tasso IRS diverso dal 5%. Esso dovrebbe

essere:

0 = 10 mln. € · (4% – IRS · e-0,02·

1) da cui IRS = 4,0808%In tal modo la seconda impresa si impegnerebbe a pagare sul capitale di 10 mln. €

il 4,0808% fisso, e in cambio le viene riconosciuto un interesse pari al tasso

EURIBOR fra un anno, che le permette di coprire il rischio di tasso sul debito.

Il tutto a costo zero inizialmente.

5.1.6 Copertura del rischio attraverso contratti forward 

Appare ormai chiaro che attraverso un contratto  forward è possibile coprirsi dal

rischio relativo alle fluttuazioni di prezzo sul mercato dell’attività sottostante. La

copertura dal rischio è un’attività importante nella gestione delle risorse aziendali

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

223

e viene spesso identificata con il termine hedging. Coprirsi dal rischio è

desiderabile quando si vantano dei crediti a termine, o quando si detiene un debito

a termine, rispetto ad un’attività (quale può essere una valuta estera, un titolo

azionario, un titolo obbligazionario, una commodity) il cui valore di mercato èvariabile nel tempo. Consideriamo il seguente esempio.

•  Esempio

Un commerciante di scarpe è riuscito a stipulare un contratto vantaggioso con un

compratore giapponese. In cambio di una fornitura di calzature all’ultima moda, il

compratore pagherà al commerciante fra un anno la somma di 3 mld. ¥.

Il commerciante intende coprirsi dal rischio di svalutazione dello yen contro

l’euro. Il suo problema è chiaro: per fornire le calzature sopporterà dei costi in

euro, ma fatturerà in yen. Il profitto dell’operazione è rischioso: in caso disvalutazione dello yen nel corso dei 12 mesi esso potrebbe diventare anche

negativo. C’è da dire che se per caso lo yen si rivalutasse, il profitto potrebbe

crescere, ma l’imprenditore è avverso al rischio e desidera avere delle certezze sul

margine dell’operazione.

La cosa che potrebbe fare è entrare in un contratto  forward , vendendo yen a

scadenza un anno. Il tasso di cambio attuale S0 è pari a 115 ¥ / euro. Il tasso di

interesse risk free sul mercato giapponese r  f J è pari all’1%, mentre nei paesi

dell’Euro r  f  € è pari al 3%.

Cominciamo col determinare il tasso di cambio forward  S f  dello yen contro l’euro,alla scadenza 12 mesi.

Si può ragionare in questa maniera: affinché il mercato finanziario sia in equilibrio,

deve essere equivalente investire alla scadenza T  un euro, piuttosto che cambiare

l’euro in yen al cambio attuale S0, investirlo in Giappone fino alla scadenza T  e

successivamente cambiare il montante al tasso atteso S f . In altre parole:

1€ ·T rf 

eE

= 1€ · S0 ·T rf 

eJ

 / S f  

da cui si ottiene ancora:

S f = S0 · T rf rf e )(EJ

− = 112,72 ¥ / euro

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

224

Se il commerciante entra nel forward fissando come prezzo di consegna il tasso di

cambio  forward , il valore del contratto sarà nullo e quindi l’operazione è a costo

zero per entrambe le parti coinvolte.

Indipendentemente dal tasso di cambio a scadenza, il commerciante sa che ilfatturato fra un anno in yen potrà essere convertito senza rischio al tasso  forward ,

per un importo pari a 3 mld. ¥ / 112,72 = 26,614 mln. €.

Potremmo immaginare che la controparte (ad esempio un istituto di credito) abbia

un debito in yen, e quindi possa trovare utile coprirsi dal rischio acquistando a

scadenza yen. La posizione è assolutamente simmetrica a quella del commerciante,

che invece detiene un credito in yen, e desidera venderli a scadenza.

Una cosa interessante è notare che acquistando un contratto  forward (o  future) è

possibile coprirsi interamente dal rischio dell’attività sottostante, senza bisogno di‘rivedere’ il portafoglio di copertura a seconda dell’evoluzione sul mercato del

prezzo dell’attività. In altre parole, il ‘rapporto di copertura’ nei contratti  forward  

è sempre uguale a uno: per coprirsi dal rischio relativo ad un’unità dell’underlying 

è sufficiente acquistare un forward .

Il problema è più complesso quando non è nota a priori la scadenza T alla quale si

rende opportuno realizzare la copertura. Ad esempio, si sa che l’impresa dovrà

incassare valuta estera, piuttosto che acquistare delle materie prime, ma non si è in

grado di individuare l’istante di tempo esatto. A maggior ragione il problema si fa

più interessante se non è noto con certezza nemmeno il controvalore dellaposizione da coprire, oppure se l’attività che si intende coprire non è esattamente

la stessa sottostante i derivati disponibili sul mercato. Tutti questi problemi fanno

emergere un fattore di rischio, chiamato ‘rischio base’ (basis risk ).

In questo scenario, le indicazioni operative possono essere tre: (i) scegliere come

scadenza del contratto derivato la scadenza più vicina, ma comunque successiva, a

quella che prevedibilmente è associata alla posizione da coprire, (ii) scegliere

un’attività sottostante il cui prezzo sia correlato positivamente con l’attività da

coprire, (iii) scegliere un rapporto di copertura maggiore di uno nel caso la

volatilità del prezzo spot  dell’attività da coprire sia maggiore della volatilità del

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

225

prezzo  forward dell’attività sottostante, e viceversa. In tal modo, sarà comunque

possibile vendere il contratto (facilmente se si tratta di un  future) anche prima

della scadenza, e minimizzare il basis risk .

•  Esempio

Una società di partecipazioni vuole coprire il proprio portafoglio titoli dal rischio

di improvvise turbolenze del mercato azionario. Il valore S0 del portafoglio oggi è

pari a 10 mln. €, e il beta del portafoglio è pari a 1,15. Nella difficoltà di trovare

derivati su un’attività sottostante che replichi esattamente il portafoglio specifico

dell’impresa, si sceglie di investire in derivati sull’indice di mercato, che ha beta 

pari a 1. L’impresa, essendo ‘corta’ sull’attività sottostante (possiede i titoli), può

fare hedging entrando ‘corta’ in un forward per la vendita a scadenza dell’indice di

mercato ad esempio alla scadenza un anno. La copertura non sarà comunqueperfetta, poiché non vi è una scadenza precisa della posizione dell’impresa sui

titoli (che saranno mantenuti in portafoglio indefinitamente nel tempo).

Ovviamente la volatilità attesa dell’indice di mercato è inferiore a quella del

portafoglio, per cui il rapporto di copertura sarà maggiore di uno. Una buona  proxy 

per definirlo è proprio il rapporto dei coefficienti beta:

Rapporto di copertura = 1,2 / 1 = 1,2

Se l’impresa vuole minimizzare il basis risk , occorrerà acquistare contratti forward  

(o futures) sull’indice per un controvalore dell’underlying (attenzione, non per un

importo in titoli derivati!) pari a 12 mln. €. Infatti, se per caso il portafoglio in unanno perderà valore per il 24% (ovvero 2,4 mln. €) ci si attende una perdita più

contenuta dell’indice di mercato (pari a 24% / 1,2 cioè 20%, che genererà un

 payoff positivo dal forward pari al 20% di 12 mln. €, cioè proprio 2,4 mln. €).

Supponiamo però che l’impresa sia disposta a investire in derivati solo per un

controvalore dell’underlying pari a 4 mln. €. Quale sarà il grado di copertura

ottenibile?

Il rapporto fra 4 mln. € e 12 mln. € è pari a un terzo. Con questo investimento

l’impresa coprirà quindi solo il 33,3% del rischio base. Se infatti si avvera lo

stesso scenario precedente, il profitto dall’operazione di copertura con derivati

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

226

sull’indice sarà pari al 20% di 4 mln. €, ovvero 0,8 mln. €, cioè proprio un terzo

della perdita in conto capitale sul portafoglio titoli.

Non si dimentichi che se per caso il valore del portafoglio dovesse crescere, il

 payoff  dall’operazione di copertura sarà negativo. Ogni decisione di hedging dipende quindi dagli obiettivi dell’impresa, posto che nessuno ha la sfera di

cristallo per prevedere il futuro!

I contratti  forward rispondono all’esigenza di copertura del rischio (hedging) ma

ciò non toglie che siano anche strumenti di speculazione sui mercati finanziari. A

parità di investimento, rispetto al mercato dell'attività sottostante, con i titoli

derivati si riesce ad assumere una posizione speculativa più ampia: è possibile cioè

ottenere un effetto di leva (leverage) ed un payoff elevato con investimento iniziale

più contenuto. Allo stesso tempo, però, appare chiaro che contrariamente ai titoliazionari le perdite possono essere anche superiori al capitale investito.

5.2 I titoli derivati: opzioni

Le opzioni sono contratti che conferiscono al detentore il diritto, ma non l'obbligo,

di comprare o vendere un’attività a una certa scadenza (oppure entro una certa

scadenza) ad un prezzo prefissato (prezzo di esercizio o strike price). In particolare

nel caso in cui l’opzione conferisca il diritto di acquisto si parla di opzione call,

mentre nel caso in cui l’opzione conferisca il diritto di vendita si parla di opzione

 put . Con le opzioni, a differenza dei contratti  forward , solo una delle duecontroparti ha il diritto di decidere se regolare la transazione alla scadenza, oppure

no. L’altra di conseguenza dovrà subire le decisioni del detentore dell’opzione.

Le opzioni che prevedono la possibilità di esercizio solo alla scadenza sono dette

di tipo ‘europeo’. Le opzioni che viceversa possono essere esercitate in qualsiasi

istante prima della scadenza sono dette di tipo ‘americano’1.

1 Queste sono le tipologie di opzioni più diffuse, ma esistono anche altri tipi di opzioni

come le ‘bermuda’ in cui le scadenze di esercizio consentite sono limitate nel tempo a dateo periodi specifici.

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

227

5.2.1 Payoff a scadenza delle opzioni

Prima di considerare i  payoff a scadenza per le opzioni call e put è utile precisare

la simbologia adottata nel seguito. In particolare indicheremo con:

S0: prezzo corrente dell’attività sottostante; X : prezzo di esercizio;

T : scadenza dell’opzione (time to maturity);

ST : prezzo dell’azione a scadenza (incognito);

c: valore dell’opzione call europea;

C : valore dell’opzione call americana;

 p: valore dell’opzione put europea;

P : valore dell’opzione put americana.

Il  payoff  a scadenza per un’opzione call (europea o americana) è riportato in

Figura 5.2. In particolare, alla scadenza T il valore di una opzione call (europea oamericana) sarà pari a:

( ) X SC c T  −== ,0max

Figura 5.2 – Payoff a scadenza associati al possesso di opzioni call e put 

Infatti, se a scadenza il prezzo di mercato dell’underlying è inferiore al prezzo di

esercizio (ST  <  X ) l’opzione non viene esercitata e il  payoff è nullo: non sarebbe

Opzione call Opzione put  

 X ST  

ST  – X 

 X ST  

 X – ST  

c p

 X 

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

228

conveniente acquistare l’attività ad un prezzo maggiore rispetto a quello corrente

di mercato. Al contrario, se il prezzo di mercato dell’underlying è superiore al

prezzo di esercizio (ST  > X ), l’opzione viene esercitata e il payoff  è pari a  X ST  −  

come in un contratto forward . Siamo infatti ben lieti di acquistare l’underlying adun prezzo inferiore rispetto a quello di mercato.

In Figura 5.2 è riportato anche il  payoff  alla scadenza T  di una opzione  put  

(europea o americana). In formule questo è dato da

( )T S X P p −== ,0max

Infatti, se a scadenza il prezzo dell’underlying è superiore al prezzo di esercizio

(cioè ST  > X ) l’opzione non viene esercitata e il  payoff è nullo, mentre se il prezzo

dell’underlying è inferiore al prezzo di esercizio (ST  < X ) l’opzione viene esercitata

e il payoff è pari a T S X  − . In altre parole, sfrutteremo l’opzione di vendita solo

quando ci permette di cedere l’attività ad un prezzo superiore rispetto a quello di

mercato.

I  payoff  a scadenza per coloro che hanno ceduto le opzioni call e  put  sono

simmetrici rispetto ai precedenti (si veda la Figura 5.3) e, in particolare, sono dati

rispettivamente da:

( ) ( )0,min,0max T T  S X  X SC c −=−−=−=−  ( ) ( )0,min,0max  X SS X P p T T  −=−−=−=−  

Una differenza è evidente: mentre il  payoff  a scadenza di un’opzione call è

superiormente illimitato (e quindi anche la perdita per chi simmetricamente ha

ceduto l’opzione di acquisto), quello di una  put  è al limite pari al prezzo di

esercizio  X . È altrettanto evidente che chi detiene un’opzione call spera in un

rialzo del prezzo di mercato dell’attività sottostante (rialzista) mentre chi detiene

una put spera in un ribasso del valore (ribassista) al fine di massimizzare il proprio

 payoff .

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

229

Figura 5.3 – Payoff a scadenza associati alla vendita di opzioni call e put 

•  Il punto

Le opzioni sono titoli derivati che conferiscono al detentore la possibilità di

acquistare (call) piuttosto che vendere ( put ) un’attività sottostante a condizioni

prefissate. Se l’esercizio dell’opzione è previsto solo alla scadenza, l’opzione è di

tipo europeo. Se l’esercizio è ammesso anche prima della scadenza l’opzione è di

tipo americano. Il payoff a scadenza di chi detiene un’opzione è sempre positivo.

5.2.2 La relazione di parità put-call

I valori di una call e di una  put europea sulla stessa attività sottostante, non solo

alla scadenza ma anche in ogni istante precedente, sono legati dalla relazione del‘teorema di parità  put-call’. Esso afferma che due portafogli, dei quali uno

costituito da un’opzione call e da liquidità investita sul mercato dei titoli a reddito

fisso al tasso composto nel continuo r alla scadenza T  (pari al valore attuale del

prezzo di esercizio  X ), e l’altro costituito dalla corrispondente opzione  put  e

dall’underlying che ha valore S0, sono equivalenti:

0S pe X c rT  +=⋅+ −  

Per dimostrare questo teorema si considerino due portafogli:

Opzione call Opzione put  

 X ST  

 X –ST  

 X ST  

ST – X 

c p

-X 

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

230

a)  Portafoglio A: una call europea con scadenza fra T anni più un importo di

denaro pari al valore attuale del prezzo di esercizio  X della call, rT e X  −⋅ ,

che a scadenza genera un montante pari a X (in termini equivalenti uno  zero

coupon risk free con valore nominale pari a X );b)  Portafoglio B: una  put  europea con scadenza fra T  anni più una unità di

attività sottostante.

La Figura 5.4 descrive il payoff a scadenza associato ai due diversi portafogli, dato

dalla somma del payoff dei titoli che li compongono.

Figura 5.4 – La relazione di parità put-call: analisi dei payoff a scadenza.

Opzione call + Liquidità Totale

 X ST  

ST  – X 

 X ST  

 X 

ST  

 X 

Opzione put + Underlying Totale

 X ST  

 X–ST  

 X ST  

 X 

ST  

 X 

ST  

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

231

Si può osservare che per entrambi i portafogli si ottiene a scadenza lo stesso

profitto monetario in ogni stato di natura (anche se incognito). Analogamente a

quanto sostenuto per i contratti  forward è quindi possibile affermare che, in base

alla logica di ‘non arbitraggio’, il valore di questi portafogli deve coincidere inqualsiasi istante precedente alla scadenza in quanto, se questo non fosse vero, un

investitore potrebbe realizzare un profitto privo di rischio comprando il portafoglio

meno costoso e vendendo allo scoperto quello più costoso:

0S pe X c rT  +=⋅+ −  

Nella sua versione più generale, per ogni regime di composizione del tasso r (nel

continuo o in intervalli discreti) e per ogni funzione che definisce S(t ) fino alla

scadenza, il teorema di parità  put-call afferma che il valore di un’opzione call europea più il valore attuale del suo prezzo di esercizio deve essere pari al prezzo

spot dell’attività sottostante più il valore dell’opzione put corrispondente:

0S p X VAc +=+ )(

Nel caso di  put  e call americane la relazione di parità non è più valida. Infatti,

come vedremo meglio successivamente, vale la relazione:

rT e X C SP −⋅+>+ 0  

essendo il valore di una call americana uguale a quello della corrispondente call 

europea e il valore di una  put americana maggiore del valore della corrispondente

 put europea.

Infine, se l’attività sottostante genera flussi di cassa positivi o negativi, la relazione

di parità deve essere corretta per tenere conto che i due portafogli di Figura 5.4

non sono più equivalenti: chi detiene la call e la liquidità non sopporta eventuali

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

232

costi e non incassa eventuali ricavi dal possesso dell’underlying, mentre chi

possiede la put e l’attività sottostante sì.

La relazione di parità deve essere quindi così modificata, tenendo conto del valore

attuale di flussi positivi e negativi:

0)( S p X VAc +=+ – VA(RICAVI) + VA(COSTI)

Analogamente al caso dei contratti  forward , la presenza di flussi positivi associati

all’underlying favorisce chi detiene l’attività sottostante, e non chi detiene in

portafoglio l’opzione call, mentre invece la presenza di costi penalizza chi detiene

l’attività sottostante e favorisce chi detiene in portafoglio l’opzione call.

5.2.3 Limiti del valore delle opzioni in equilibrioIl prossimo passo nella direzione di individuare il prezzo di equilibrio delle

opzioni, non solo alla scadenza, ma anche in ogni istante precedente, è

determinarne i limiti superiori e inferiori di prezzo in equilibrio.

Una call americana o europea dà al possessore il diritto di comprare un’azione a

un certo prezzo. Non importa cosa possa accadere, ma sicuramente il prezzo

dell’opzione non può mai essere maggiore del prezzo dell’azione.

Pertanto il prezzo dell’azione rappresenta un limite superiore per la call:

c < S0 e C < S0 

Se fosse altrimenti, nessuno vorrebbe acquistare un’opzione ma sarebbe più

conveniente acquistare direttamente l’attività sottostante. La call genererebbe, con

un investimento iniziale elevato (maggiore di S0), un payoff sicuramente inferiore

rispetto al valore a scadenza dell’attività sottostante (ovvero ST  –  X , invece di ST  

per chi acquista subito l’underlying).

In secondo luogo, il limite inferiore per il prezzo di una call europea è dato da:

c > )0,max( 0rT e X S −⋅−  

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

233

Per dimostrare questo limite si considerino i seguenti portafogli:

a)  Portafoglio A: costituito da una call europea con scadenza fra T anni più un

importo di denaro VA( X ) pari al valore attuale del prezzo di esercizio;

b) 

Portafoglio B: costituito dall’attività sottostante.Nel portafoglio A, il denaro, investito al tasso di interesse privo di rischio,

capitalizza un montante  X  al tempo T . Se in quell’istante ST  >  X , la call viene

esercitata: si consegna la liquidità  X e si ottiene l’attività sottostante. Alla fine il

portafoglio A vale ST . Se invece ST   <  X , la call scade senza essere esercitata,

rimane la liquidità e il portafoglio vale  X . Pertanto, al tempo T , il portafoglio A

vale il massimo fra ST e X .

Il portafoglio B a scadenza vale ST . Pertanto, al tempo T , il portafoglio A vale

sempre almeno quanto il portafoglio B, e talvolta di più. Ne segue che, in assenza

di opportunità di arbitraggio questa relazione deve valere anche oggi. Quindi:

0Se X c rT  >⋅+ −   ⇒  rT e X Sc −⋅−> 0  

È interessante osservare che il limite appena introdotto corrisponde al valore di un

contratto  forward , con stessa scadenza T  e prezzo di consegna pari al prezzo di

esercizio  X dell’opzione. Stiamo quindi dicendo che un’opzione call deve valere

strettamente di più del corrispondente  forward . La cosa è perfettamente

condivisibile, se si pensa che una call equivale ad un contratto forward di acquisto,

con la differenza che chi detiene l’opzione può decidere se portare a termine la

transazione, ovviamente in caso di convenienza personale. Questa possibilità deve

avere un valore differenziale positivo.

Inoltre, il valore di una call deve essere sempre strettamente positivo, dal momento

che a scadenza genera un  payoff al minimo nullo, a volte positivo. In altre parole,

in caso contrario sarebbe come se venissero regalati dei biglietti per una lotteria a

premi! In definitiva:

)0,max( 0

rT 

e X Sc

⋅−>  

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

234

Nel caso in cui questo limite non sia rispettato (ad esempio )0rT e X Sc −⋅−<  

sarebbe possibile costruire una posizione di arbitraggio. Infatti, tutti vorrebbero

acquistare un’opzione call e investire al tasso r risk free finanziandosi con la

vendita allo scoperto dell’attività sottostante. Sia nell’istante attuale sia allascadenza il payoff sarebbe senza ombra di dubbio positivo o al minimo nullo, come

dimostra la Tabella 5.2.

Tabella 5.2 – Opportunità di arbitraggio, nel caso in cui c < S0 – VA(X).

Posizione Oggi (t = 0) Scadenza (t = T )

Acquisto dell’opzione call – c  ST – X  se ST > X )

0 se ST < X  

Investimento al tasso r a scadenza T  – VA( X ) + X  Vendita allo scoperto dell’underlying + S0 – ST  

Portafoglio totale > 0 0 se ST > X 

 X – ST > 0 se ST < X  

•  Il punto

In equilibrio, affinché non ci siano possibilità di arbitraggio, i valori di un’opzione

call e della corrispondente  put  sono legati dalla ‘relazione di parità’. Inoltre, il

valore di un’opzione call europea deve rispettare il vincolo:

S0 > )0,max( 0rT e X Sc −⋅−>  

Una  put  americana o europea, invece, dà al possessore il diritto di vendere

un’azione ad un certo prezzo  X . Non importa quanto in basso possa scendere

l’azione, il prezzo dell’opzione non può mai essere maggiore di X . Pertanto:

 p < X  e P < X 

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

235

Se fosse altrimenti, nessuno vorrebbe acquistare una  put , poiché il  payoff  finale

sarebbe addirittura al massimo pari all’investimento iniziale. Un cattivo affare!

Meglio mettere il denaro nel materasso.

In realtà una put  europea anche nel caso in cui l’attività sottostante non ha piùvalore permette di incassare al massimo il prezzo di esercizio  X  ma solo a

scadenza. Pertanto il limite superiore di una put europea è il valore attuale di X :

 p < rT e X  −⋅  

In secondo luogo, il limite inferiore per il prezzo di una put europea è dato da:

 p > )0,max( 0Se X  rT  −⋅ −  

Per dimostrare questo limite, oltre a ricorrere alla relazione di parità put-call, dati i

limiti di prezzo dimostrati per l’opzione call, si possono considerare i seguenti

portafogli:

a)  Portafoglio C: costituito da una  put  europea, più un’unità dell’attività

sottostante;

b)  Portafoglio D: un importo di denaro pari a rT e X  −⋅ investito in titoli a

reddito fisso.

Se alla scadenza ST < X , la put del portafoglio C viene esercitata, viene consegnatal’attività sottostante in cambio del prezzo di esercizio, ed il portafoglio vale  X . Se

invece ST > X , la put non viene esercitata e il portafoglio vale ST . Pertanto, al tempo

T , il portafoglio C vale il massimo valore fra ST e X .

Assumendo che il denaro venga investito al tasso di interesse privo di rischio, il

portafoglio D al tempo T genera un montante pari a X . Pertanto, alla scadenza il

portafoglio C vale sempre almeno quanto il portafoglio D, e talvolta di più. Ne

segue che, in assenza di opportunità di arbitraggio il portafoglio C deve valere più

del portafoglio D anche in ogni istante precedente. Quindi:

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

236

rT e X S p −⋅>+ 0   ⇒  0Se X  p rT  −⋅> −  

Siccome il possesso dell’opzione  put al peggio genera un  payoff nullo, essa deve

avere come la call un valore strettamente positivo, e quindi:

)0,max( 0Se X  p rT  −⋅> −  

Se fosse diversamente, tutti vorrebbero acquistare opzioni  put  e l’attività

sottostante, finanziandosi con l’indebitamento al tasso risk free di mercato, ancora

una volta ottenendo un  payoff  al peggio nullo a scadenza e positivo nell’istante

iniziale (gli scettici possono verificare ispirandosi alla Tabella 5.2).

•  Il punto

In equilibrio, il valore di un’opzione put europea deve rispettare il vincolo:

rT e X  −⋅ > )0,max( 0Se X  p rT  −⋅> −  

Rimane da chiedersi che relazione ci sia fra i valori di opzioni europee e i valori

delle corrispondenti opzioni americane. Ipotizziamo per il momento che l’attività

sottostante non generi flussi di cassa (positivi o negativi) prima della scadenza.

In tal caso l’esercizio anticipato di una call americana non è mai conveniente. Il

valore di una call americana quindi è uguale a quello di una call europea e i limiti

inferiori e superiori al suo valore sono identici a quelli già osservati:

C = c 

Per dimostrare questa affermazione si parte dalla considerazione già assodata che

deve valere:

)0,max( 0

rT 

e X Sc

⋅−>  

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

237

Cioè, un’opzione call non può valere meno del corrispondente contratto forward , e

non può avere un valore negativo.

Ma nel caso esercitassimo ora la call in anticipo, prima della scadenza, il  payoff  

che otterremmo (e quindi il valore della call) sarebbe pari a ( )0,max 0  X S − ,ovvero sempre inferiore al limite precedente. Se ne deduce che l’esercizio

anticipato della call distrugge una parte del suo valore, e quindi non è mai

razionale. In altre parole, piuttosto che esercitare in anticipo una call è meglio

venderla sul mercato: potremo sempre spuntare un prezzo maggiore del  payoff  

relativo all’esercizio anticipato.

Al contrario, l’esercizio anticipato di una put americana può essere conveniente. Il

valore di una put americana quindi è maggiore di quello di una put europea:

P > p 

Per dimostrare questa affermazione si consideri un caso limite in cui l’attività

sottostante abbia un valore corrente S0 vicinissimo a zero. In questo caso

esercitando l’opzione alla scadenza T  si otterrebbe al massimo  X , mentre

esercitando l’opzione immediatamente si otterrebbe ugualmente  X , con in più la

possibilità di maturare gli interessi sul payoff al tasso risk free investendo l’incasso

in titoli obbligazionari fino alla scadenza T . Si comprende quindi che nel caso di

una  put  americana può essere conveniente l’esercizio anticipato e, quindi,

l’opzione americana deve valere più di quella europea.Inoltre, dal momento che il  payoff ottenibile al momento dell’esercizio immediato

è pari a 0S X  − l’opzione  put  americana deve valere almeno quanto il  payoff  

stesso, e comunque deve avere un valore sempre positivo:

)0,max( 0S X P −>  

Se il valore dell’opzione  put  americana fosse inferiore al limite ( X   –  S0), ci

affretteremmo a comprarne a man bassa, per poi subito esercitarle in anticipo ebeneficiare di un profitto positivo privo di rischio grazie all’arbitraggio.

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

238

•  Il punto

Nel caso in cui l’attività sottostante non generi flussi di cassa intermedi, non è mai

conveniente esercitare un’opzione call prima della scadenza. Può essere invece

conveniente esercitare un’opzione  put . Di conseguenza, solo per le  put  si puòaffermare che un’opzione americana vale più della corrispondente opzione

europea.

5.2.4 Determinanti del valore delle opzioni

Il valore di mercato di un’opzione (detto anche ‘premio’) è la somma di denaro che

chi acquista un opzione è disposto a spendere subito per acquistare il diritto di

ottenere il relativo  payoff  a scadenza, e viceversa è la somma di denaro che chi

cede l’opzione esige di incassare immediatamente. I principali fattori che

influenzano il prezzo di un’opzione sono:1.  il prezzo nel tempo dell’attività sottostante S(t );

2.  il prezzo di esercizio dell’opzione X ;

3.  la vita residua T ;

4.  la volatilità del prezzo dell’attività sottostante σ;

5.  il tasso di interesse privo di rischio r ;

6.  l’esistenza di flussi monetari intermedi positivi o negativi associati all’attività

sottostante prima della scadenza T .

Il  payoff  di una call (americana o europea) dipende dalla differenza tra il prezzo

dell’azione S e il prezzo di esercizio X . Pertanto, le call valgono di più al crescere del

prezzo dell’azione e di meno al crescere del prezzo di esercizio. Il  payoff di una put ,

invece, è pari alla differenza tra il prezzo d’esercizio e il prezzo dell’azione S.

Pertanto la reazione delle put rispetto a variazioni di S e X è opposta rispetto alle call.

In particolare un’opzione call è definita at-the-money quando il prezzo di esercizio

è circa uguale al prezzo dell’attività sottostante, out-of-the-money quando il prezzo

di esercizio è maggiore del prezzo corrente dell’attività sottostante e in-the-money 

quando il prezzo di esercizio è inferiore al prezzo corrente dell’attività sottostante.

Una opzione  put , invece, è definita at-the-money  quando il prezzo di esercizio è

uguale, o comunque molto vicino, al prezzo dell’attività sottostante, out-of-the-

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

239

money quando il prezzo di esercizio è inferiore al prezzo dell’attività sottostante e in-

the-money quando il prezzo di esercizio è superiore al prezzo dell’attività sottostante.

Un’opzione quindi è definita in-the-money quanto più è probabile che a scadenza

sia esercitata, out-of-the-money quanto più è probabile che a scadenza non siaesercitata, e at-the-money se l’esercizio è incerto.

Tabella 5.3 – Relazione fra valore delle opzioni e alcune variabili.

Variabile Call europea Put europea Call americana Put americana

S(t ) 0

S

c>

∂  0

S

 p<

∂  0

S

C >

∂  0

S

P<

∂ 

 X 

0 X 

c

<∂

  0 X 

 p

>∂

  0 X 

<∂

  0 X 

P

>∂

 

0r 

c>

∂  0

 p<

∂  0

C >

∂  0

P<

∂ 

0T 

c>

∂ 

 p

∂incerto 0

C >

∂  0

P>

∂ 

σ 0

c>

σ   0

 p>

σ   0

C >

σ   0

P>

σ  

Nel caso in cui il prezzo corrente S0 dell’attività sottostante sia molto superiore oinferiore al prezzo di esercizio gli altri parametri che influenzano il valore di una

opzione hanno, in genere, un peso limitato. Per quanto riguarda la scadenza T , sia le

call sia le  put  americane valgono di più al crescere della vita residua. Per capire

perché, si considerino due opzioni che differiscono tra loro solo per la data di

scadenza. Chi possiede l’opzione con vita residua maggiore ha tutte le opportunità di

esercizio del possessore dell’opzione con vita residua minore e altre ancora. Pertanto,

l’opzione con vita più lunga deve valere almeno quanto l’opzione con vita più breve.

Per quanto riguarda, invece, le opzioni europee, si ha che le call valgono di più al

crescere della vita residua (il loro valore è pari a quello delle opzioni americane

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

240

con la medesima scadenza), mentre per le  put  la situazione è incerta. Vi sono

infatti due effetti che si contrappongono: una vita residua maggiore significa una

maggiore possibilità di esercizio dell’opzione (e questo effetto è più rilevante

quando l’opzione è out-of-the-money), ma anche un valore attuale del massimo payoff ottenibile più basso (e questo effetto è più rilevante quando l’opzione è in-

the-money).

La volatilità σ del prezzo dell’attività sottostante misura in prima approssimazione

quanta incertezza esiste circa i futuri movimenti del prezzo del titolo. Al crescere

della volatilità cresce la probabilità che la  performance del titolo risulti molto

brillante o molto modesta. Per chi possiede l’underlying, questi due risultati

tendono a compensarsi l’uno con l’altro e anzi, nell’ottica dell’investitore avverso

al rischio, viene penalizzato il valore del titolo per la percezione di un rischio

crescente. Non è invece così per chi possiede una call o una put . Chi possiede unacall trae beneficio dagli aumenti di prezzo dell’azione ma sopporta un rischio

inferiore limitato, perché nel caso di una riduzione del prezzo dell’azione al peggio

l’opzione non viene esercitata. Analogamente, chi possiede una  put trae beneficio

dalle riduzioni del prezzo dell’azione ma sopporta un rischio inferiore limitato nel

caso di aumento del prezzo dell’azione. Pertanto, il valore delle opzioni call e delle

 put cresce all’aumentare della volatilità σ.

Infine, un incremento del tasso r  influisce positivamente sul prezzo della call e

negativamente sul prezzo della  put  in quanto se i tassi (costo dell’indebitamento)

aumentano, risulta più conveniente detenere una call, anziché indebitarsi ad untasso crescente per acquistare il sottostante (si dice che il cost of carry dell’attività

sottostante aumenta), mentre per le  put  diventa più conveniente vendere

immediatamente il sottostante, e quindi guadagnare interessi sulla somma

accreditata, piuttosto che detenere l’opzione di vendita.

L’effetto delle diverse variabili considerate sul valore delle opzioni è riassunto nella

Tabella 5.3.

Dato che, come si è visto, esiste una forte relazione fra il valore di un’opzione e

come varia nel tempo il prezzo dell’attività sottostante, gli analisti finanziari hanno

introdotto alcuni parametri importanti (le ‘greche’ facendo riferimento alle lettere

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

241

che li definiscono) che non sono null’altro che le derivate prime e seconde del valore

di un’opzione V  rispetto ai parametri che abbiamo considerato. Le ‘greche’ più

diffuse sono:

δ =S

∂ 

Γ =2

2

S

∂ 

Θ =T 

∂ 

Il parametro delta δ indica di quanto varia il valore dell’opzione rispetto al prezzo

dell’attività sottostante. Come si vedrà, è un parametro estremamente importantenelle strategie di hedging (copertura dal rischio) perché ci dice quante unità

dell’attività sottostante riusciamo a ‘replicare’ con una singola opzione, in termini

di variazione di valore. In altre parole, se S aumenta di 1 €, V aumenta/diminuisce

di δ €.

Il gamma Γ è la derivata seconda rispetto a S. Ci dà informazioni sulla ‘sensitività’

del rapporto di hedging δ, ovvero di come esso va aggiustato al variare di S per

mantenere una strategia di copertura.

Il teta Θ misura la variazione temporale del valore dell’opzione, ed è anch’esso

utile per aggiustare nel tempo il rapporto di copertura nelle strategie di hedging.

5.2.5 Modelli di valutazione delle opzioni

Come per i contratti  forward , anche per le valutazione delle opzioni si ricorre ad

una logica di non-arbitraggio, e cioè si individua un valore dell’opzione tale per

cui sul mercato non è possibile costruire una posizione di arbitraggio, compatibile

con i limiti e vincoli determinati nei paragrafi precedenti. La differenza rispetto ai

contratti  forward sta nel fatto che in più è necessario fare delle ipotesi aggiuntive

sulla funzione S(t ) che definisce il valore di mercato dell’attività sottostante (nel

caso dei forward era sufficiente conoscere S0). Il payoff di un’opzione infatti non è

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

242

lineare, ma dipende dall’esercizio (o non esercizio) dell’opzione, che a sua volta

dipende da S(t ).

I modelli di valutazione più noti sono due:

1) 

il modello della binomiale;2)  il modello di Black e Scholes.

Nel modello della binomiale si ipotizza semplicemente che il valore dell’attività

sottostante, da un istante all’altro, possa assumere solo due valori. La distribuzione

di S(t ) è quindi discreta.

Nel modello di Black e Scholes invece si ipotizza che la funzione S(t ) sia definita

nel continuo, e governata da movimenti in parte prevedibili, in parte stocastici.

5.2.5.1 Modello della binomiale

Si ipotizza che il prezzo futuro dell’attività sottostante, dopo un periodo assegnatoT , possa assumere solo due valori, pari rispettivamente a ST 1 = u·S0 e ST 2 = d ·S0, con

u > d . La funzione di distribuzione dei valori di ST  è quindi binomiale, con

probabilità incognite (si veda la Figura 5.5).

Figura 5.5 – Distribuzione di ST nel modello binomiale.

Tenendo presente questo comportamento di prezzo dell’attività sottostante

l’obiettivo è quello di determinare il valore nell’istante t = 0 di un’opzione europea

(call o  put ) con scadenza T e con prezzo di esercizio  X sapendo che il tasso risk 

 free alla stessa scadenza è pari a r (stavolta il tasso di interesse non è composto nel

continuo).

Per fare questo si possono utilizzare tre metodi, equivalenti fra loro:

S0

u·S0

d ·S0

t = 0 t = T 

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

243

a)  Metodo della costruzione di posizioni equivalenti a opzioni attraverso

l’attività sottostante e l’indebitamento;

b)  Metodo della costruzione di una posizione equivalente non rischiosa;

c) 

Metodo dell’indifferenza al rischio.Per tutti questi metodi è importante conoscere il  payoff  a scadenza dell’opzione.

Nel caso essa sia una call, il payoff  Π nei due stati di natura sarà:

Π1 = max (0, u·S0 – X )

Π2 = max (0, d ·S0 – X )

Nel caso l’opzione sia una put :

Π1 = max (0, X   – u·S0)Π2 = max (0, X   – d ·S0)

a)  Metodo della costruzione di posizioni equivalenti a opzioni attraverso

l’underlying e l’indebitamento.

Attraverso questo metodo si costruisce un portafoglio costituito dall’attività

sottostante e da debito in modo da replicare il  payoff  a scadenza dell’opzione.

Operando in questo modo il valore dell’opzione in un qualsiasi istante precedente

alla scadenza deve coincidere con il valore di questo portafoglio in quanto se esso

fosse diverso sarebbe possibile costruire una posizione di arbitraggio.Si consideri, in particolare, un portafoglio costituito da δ quote dell’attività

sottostante e da un indebitamento al tasso r con valore di rimborso pari a P. Il

valore di questo portafoglio oggi è )VA(δ 0 PS −⋅ mentre a scadenza il suo

valore PST  −⋅δ dipende chiaramente dal prezzo dell’attività sottostante.

Per replicare il payoff a scadenza dell’opzione si deve verificare che:

Π=−⋅⋅

Π=−⋅⋅

20

10

PS

PS

 

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

244

Risolvendo questo sistema si ricava:

0

21

)(

δ

Sd u ⋅−

Π−Π=  

21 Π⋅−

−Π⋅−

=d u

u

d u

d P  

Il δ ottenuto risolvendo il precedente sistema è chiamato rapporto di copertura

(hedge ratio) o delta dell’opzione (si veda il Paragrafo precedente) e indica il

numero di unità dell’attività sottostante necessarie per costruire una posizione

equivalente all’opzione. Il suo inverso indica il numero di opzioni necessarie per

costruire un portafoglio coperto dal rischio di variazione del prezzo dell’attività

sottostante.Contrariamente a quanto sottolineato per i  forward , nel caso delle opzioni il

rapporto di copertura non è sempre uguale a uno, ma anzi in generale inferiore

(ovvero δ < 1) . Oltretutto, esso varia con il variare del prezzo S(t ) dell’attività

sottostante. Con le opzioni non è possibile coprirsi sempre perfettamente dal

rischio, poiché il delta va sempre aggiustato rispetto all’evoluzione del mercato.

Per conoscere il valore V dell’opzione basta infine calcolare il valore attuale del

portafoglio costituito da δ quote dell’attività sottostante e da un indebitamento al

tasso r con valore di rimborso pari a P, che abbiamo dimostrato avere a scadenza

lo stesso payoff dell’opzione:

( )  

  

 Π⋅

−−Π⋅

−⋅

+−

Π−Π=−⋅= 21

210 )1(

1

)(Sδ

d u

u

d u

r d uPVAV 

T  

b)  Metodo della costruzione di una posizione non rischiosa.

Attraverso questo metodo si costruisce un portafoglio costituito da α quote

dell’attività sottostante e dalla cessione dell’opzione. Il valore di questo

portafoglio oggi è V −⋅ 0Sα mentre a scadenza si fa in modo che il  payoff  di

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

245

questo portafoglio (pari a Π−⋅ T Sα ) sia sempre lo stesso indipendentemente dal

prezzo dell’azione ST . Di conseguenza si deve verificare che:

2010 αα Π−⋅⋅=Π−⋅⋅ Sd Su  

da cui: δ)(

α

0

21 =⋅−

Π−Π=

Sd u 

con α che non è altro che il delta dell’opzione già individuato prima. Si può

dimostrare che il valore a scadenza del portafoglio, applicando il rapporto di

copertura, è costante e pari a P.

2010 αα Π−⋅⋅=Π−⋅⋅ Sd Su = Pd u

u

d u

d =Π⋅

−−Π⋅

−21  

Il valore attuale del portafoglio, invece, si ottiene attualizzando P con il tasso risk 

 free in quanto il  payoff  a scadenza è privo di rischio, essendo costante. Deve

verificarsi quindi:

PV 

)(1Sα 0

+=−⋅  

Il valore dell’opzione è pari, come nel caso precedente, a:

 

  

 Π⋅

−−Π⋅

−⋅

+−

Π−Π= 21

21

)1(1

)( d u

u

d u

r d uV 

T  

c)  Metodo dell’indifferenza al rischio.

Questo metodo, proposto da Cox, Ross e Rubinstein (1979), si pone in un’ottica

diversa rispetto ai precedenti, che però può risultare fuorviante. Esso infatti si basa

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

246

sull’attribuzione arbitraria di probabilità  pu e  pd  (con  pu +  pd  = 1) ai due stati di

natura previsti dall’albero binomiale. Si badi però che le due probabilità non

necessariamente coincidono con le ‘vere’ probabilità, ma sono semplicemente

quelle che un investitore indifferente al rischio attribuirebbe per essere disposto adacquistare l’attività sottostante oggi al prezzo S0. Sotto questa ipotesi è possibile

porre:

uu

d u

Sd  pSu p

Sd  pSu pS

)1(

)1(

)1(0000

0+

⋅⋅−+⋅⋅=

+

⋅⋅+⋅⋅=  

Il valore attuale dell’attività sottostante deve rappresentare una sorta di media dei

possibili valori futuri ponderata dalle probabilità, opportunamente scontata dal

tasso risk free (l’investitore è indifferente al rischio). Dalla relazione si ottiene:

( )d u

d r  p

u−

−+=

d u

r u p

d −

+−=

)1( 

Si noti che le probabilità  pu e  pd  sono entrambe positive se e solo se viene

rispettata la condizione:

d < (1 + r )T < u 

Questa condizione viene identificata, ricorrendo all’ippica, anche con la possibilità

di costruire una metrica a ‘martingala’ (martingale equivalent ). Si può verificare

che laddove questa condizione non viene verificata, è possibile costruire una

posizione di arbitraggio, perché in sostanza stiamo considerando un’attività che

con certezza avrà un rendimento maggiore rispetto a quello del titolo privo di

rischio ((1 + r )

< d < u) e in questo caso tutti vorranno acquistarla indebitandosi

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

247

al tasso r , oppure avrà un rendimento sempre minore (d < u < (1 + r )T ) e in questo

caso tutti vorranno venderla allo scoperto.

Combinando queste probabilità con i  payoff  a scadenza dell’opzione si può

calcolare il valore dell’opzione stessa, come nel caso dei metodi precedenti, da:

( ) ( )21

11Π⋅

++Π⋅

+=

u

 p

 pV 

 

  

 Π⋅

−−Π⋅

−⋅

+−

Π−Π= 21

21

)1(

1

)( d u

u

d u

r d u T  

L’idea è che il valore dell’opzione coincida con il valore attuale, scontato dal tasso

risk free per l’ipotesi di indifferenza al rischio, dei  payoff attesi dell’opzione alla

scadenza, pesati dalle probabilità ‘fittizie’.

•  Esempio

Un’attività ha un valore oggi S0 pari a 300€. Supponiamo che fra due anni il suo

valore ST  possa essere 400€ oppure 250€. Vogliamo determinare il valore di

un’opzione call europea e della corrispondente opzione put con scadenza due anni

e prezzo di esercizio (strike price) pari a 350€. Il tasso risk free di mercato è pari al

5%.

La prima cosa da fare sempre è individuare il  payoff a scadenza dell’opzione. Nel

caso della call esso sarà:

Π1 = max (0, u·S0 – X ) = 50€

Π2 = max (0, d ·S0 – X ) = 0

Nel caso l’opzione sia una put :

Π1 = max (0, X – u·S0) = 0

Π2 = max (0, X – d ·S0) = 100€

Applichiamo il metodo della costruzione di un portafoglio equivalente alla call: si

tratta di individuare un portafoglio composto da δ unità dell’attività e da debito

con valore di scadenza P tale che:

Π1 = δ·u·S0 – P = 50€

Π2 = δ·d ·S0 – P = 0

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

248

da cui si ottiene

δ = 1/3

P = 83,33€

Il valore oggi di questo portafoglio deve essere uguale a quello della call:c = δ·S0 –

T r 

P

)(1 += 1/3 ⋅ 300€ – 83,33€

2)05,(1

1= 24,42€

Volendo costruire un portafoglio non rischioso, dovremmo costruire un secondo

portafoglio tale per cui:

2010 αα Π−⋅⋅=Π−⋅⋅ Sd Su  

da cui si ottiene

α = δ = 1/3

2010αα

Π−⋅⋅=Π−⋅⋅ Sd Su =P

= 83,33€

c =T r 

P

)(1Sα 0

+−⋅ = 24,42€

Se volessimo coprirci dal rischio relativo alla variazione di S0, potremmo farlo

quindi vendendo tre opzioni call sull’attività: nel caso il valore dell’attività salga,

le opzioni saranno esercitate, e noi avremo una ricchezza pari a 400€ – 50€ ⋅ 3 =

250€, cioè quella che avremmo esattamente nel caso il valore dell’attività scenda

(e quindi l’opzione non sarà esercitata). In più incasseremmo un flusso positivo

oggi grazie alla cessione dell’opzione.

Applicando il metodo dell’indifferenza al rischio dobbiamo risolvere la relazione:

200

0 )1,05(

250)1(400

)1(

⋅−+⋅=

+

⋅⋅+⋅⋅= uu

d u  p p

Sd  pSu pS = 300€

da cui:

 pu = 53,83%  pd = 46,17%

Il valore della call sarà:

( ) ( )21

11Π⋅

++Π⋅

+=

u

 p

 pV  = 24,42€

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

249

Per quanto riguarda il valore della corrispondente opzione put , potremmo replicare

la procedura, considerando i nuovi payoff . La cosa più agile è comunque invocare

il teorema di parità put - call:

0)( S p X VAc +=+   p = 24,42€ + 317,46€ – 300€ = 41,88€

Gli alberi binomiali sono semplici da implementare, ma ovviamente presentano un

limite: prevedono solo due scenari possibili, cosa che raramente riflette la realtà 2.

Ciononostante è possibile ‘scomporre’ un albero binomiale in diversi ‘sottoalberi’

in maniera tale che alla fine di tutti gli stadi gli scenari possibili siano

sufficientemente numerosi. In tal caso il valore dell’opzione si determina con il

metodo di backward induction, e cioè partendo dai possibili stati finali e dai  payoff  

associati. Si percorrono i livelli dell’albero fino allo stato iniziale, determinandovolta per volta il valore dell’opzione. Questo metodo è molto comodo ad esempio

per determinare il valore delle opzioni americane (che possono essere esercitate

anche in istanti precedenti la scadenza) oppure delle opzioni ‘ path-dependent ’ in

cui il  payoff alla scadenza non è funzione solo del valore ST , ma anche dei valori

che l’attività sottostante ha fatto registrare negli istanti di tempo precedenti.

Citiamo alcuni esempi:

a)  le cosiddette opzioni ‘asiatiche’, il cui  payoff a scadenza dipende da una

media dei valori che l’attività sottostante ha fatto registrare fino alla

scadenza. A queste opzioni è quindi associata una volatilità e un rischio

più basso, che ne rendono più contenuto, a parità del resto, il valore

rispetto alle opzioni comuni (cui si fa riferimento con il termine  plain

vanilla options);

b)  le opzioni cliquet  (dette anche opzioni ratchet ), che periodicamente

prevedono una rideterminazione del prezzo di esercizio, che viene

resettato al livello del prezzo spot corrente, salvo capitalizzare nel payoff a

2 In realtà è stato sviluppato anche un modello ‘trinomiale’ che prevede tre scenari possibili(rialzo, ribasso, stabilità) invece che due. Si veda Boyle (1986).

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

250

scadenza la differenza fra il vecchio prezzo di esercizio e il nuovo prezzo

di esercizio;

c)  le opzioni knock-out  e knock-in; si tratta di opzioni (chiamate anche

barrier options) che decadono (nel primo caso) o entrano in azione (nelsecondo) se il prezzo dell’attività sottostante ad un certo punto supera una

certa soglia superiore o inferiore;

d)  le   parisian options il cui  payoff  a scadenza dipende non solo dai valori

fatti registrare dall’attività sottostante prima della scadenza, ma anche

dall’intervallo di tempo in cui il prezzo si è mantenuto all’interno di un

certo range.

•  Esempio

Si consideri un titolo finanziario il cui prezzo di mercato S vale oggi 7€ e siprevede evolverà nei prossimi tre anni secondo questo percorso:

t =0 t =1 t =2 t =3

4€

4€

5€ 5€

7€ 7€

10€ 8€

11€12€

Si tratta di valutare le seguenti opzioni:

1)  opzione call europea plain vanilla, prezzo di esercizio 6€, scadenza T =3;

2)  opzione put americana plain vanilla, prezzo di esercizio 6€, scadenza T =3;

3)  opzione call di tipo asiatico, prezzo di esercizio 6€, che a scadenza 3 anni

riconosce un  payoff  pari alla differenza fra prezzo medio registrato ad ogni

scadenza annuale nel triennio e strike price;

Valore del titolo S 

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

251

4)  opzione put knock-in, con prezzo di esercizio 6€, che può essere esercitata alla

scadenza 3 anni solo se in almeno una scadenza annuale precedente il prezzo

del titolo ha superato la soglia dei 9€.

Il tasso annuo risk free di mercato è pari al 4%.La prima cosa da fare è calcolare le probabilità  pu e pd  attribuite da un investitore

indifferente al rischio ai diversi punti di transizione. In ogni nodo, il prezzo del

titolo deve essere la media ponderata e attualizzata di un anno dei prezzi nei due

stadi successivi. Ad esempio, per il primo nodo si ottiene:

7€ = pd  · 5€ / 1,04 + pu · 10€ / 1,04

 pd = 54,4%

 pu = 45,6%

Facendo i calcoli per tutto l’albero si ottiene:

t =0 t =1 t =2 t =3

4€

4€

5€ 5€

7€ 7€

10€ 8€

11€

12€

A questo punto per ogni opzione considerata si determina il  payoff a scadenza, in

ogni stato di natura, e a ritroso si arriva a determinare il valore dell’opzione al

tempo t =0. Per quanto riguarda la prima opzione call, il  payoff  finale sarà nullo

laddove essa non viene esercitata (se il prezzo fra tre anni sarà pari a 4€ o 5€) e

pari alla differenza fra valore del titolo e strike price negli altri casi.

Il valore dell’opzione in ogni nodo sarà la media attualizzata e ponderata dalle

probabilità prima calcolate del valore dell’opzione relativa ai due stadi successivi.

Ad esempio, nell’albero disegnato, al tempo t =2 il valore dell’opzione sarà

sicuramente nullo nell’evento più pessimistico (si sa che al tempo t =3 l’opzione

 pd =54,4%

 pu=45,6%

 pd =60,0%

 pd =84,0%

 pd =15,0%

 pd =24,0%

 pd =14,0%

 pu=40,0%

 pu=85,0%

 pu=86,0%

 pu=76,0%

 pu=16,0%

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

252

non verrà mai esercitata) mentre nell’evento più ottimistico il valore corrente

dell’opzione sarà pari a 2€ · 14,0% / 1,04 + 6€ · 86,0% / 1,04 = 5,23€

t =0 t =1 t =2 t =30

0

0,56€ 0

2,26€ 1,46€

4,49€ 8€ – 6€ = 2€

5,23€

12€ – 6€ = 6€

Al tempo t =0 si ottiene un valore della call europea pari a:c = 2,26€

Dalla relazione di parità  put-call potremmo ricavare il valore dell’opzione  put  

europea corrispondente:

 p = c + VA( X ) – S0 = 0,59€

Passiamo all’opzione  put americana (2). A scadenza essa sarà esercitata solo nel

caso in cui il prezzo del titolo è inferiore a 6€. Sappiamo che in generale il suo

valore è almeno pari a quello dell’opzione europea, poiché può essere ottimale

esercitarla prima della scadenza. Bisognerà quindi prestare attenzione al fatto che

in ogni nodo il valore dell’opzione sarà il massimo valore fra la media ponderata eattualizzata dei valori nei nodi successivi, e il  payoff  ottenibile dall’esercizio

anticipato. In particolare, nell’anno t =2, nel caso il prezzo dell’azione sia pari a 4€,

risulta ottimale l’esercizio anticipato. Il  payoff ottenibile è infatti pari a 2€, che è

senz’altro superiore al valore attuale di ogni possibile  payoff ottenibile a scadenza.

Negli altri stati di natura non risulta mai efficiente l’esercizio anticipato.

Si ottiene un prezzo dell’opzione americana maggiore rispetto a quello

dell’opzione europea, grazie al valore della possibilità dell’esercizio anticipato:

P = 0,66€

Opzione call europea (1)

Payoff 

ascadenza

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

253

t =0 t =1 t =2 t =3

6€ – 4€ = 2€

2€1,24€ 6€ – 5€ = 1€

0,66€ 0,23€

0,03€ 0

0

0

Per quanto riguarda le ultime due opzioni, il ragionamento è più complesso poiché

si tratta di derivati path-dependent . Non dobbiamo quindi prestare attenzione solo

ai valori del titolo in ogni stato di natura, ma anche al sentiero che è stato percorsoper arrivare a quel punto.

L’opzione di tipo asiatico offre un payoff correlato alla media dei prezzi registrati

al tempo t =1, t =2 e t =3. Costruiamo l’albero degli eventi, distinguendo ogni

singolo percorso possibile del prezzo e individuando il prezzo medio alla scadenza.

t =0 t =1 t =2 t =3 Prezzo medio triennio

4€ 4,33€

4€

5€ 5€ 4,67€ / 5,67€ / 7,33€7€ 7€

10€ 8€ 9,67€ / 8,33€ / 6,67€

11€

12€ 11€

Dal disegno si nota che vi è un unico ‘percorso’ per cui il prezzo del titolo a

scadenza può essere pari a 4€, oppure 12€, ma invece vi possono essere tre diversi

percorsi con esito 5€ oppure 8€. Ad esempio, i percorsi che portano ad un prezzo

alla fine del triennio pari a 5€ sono: 5€ / 4€ / 5€, 5€ / 7€ / 5€, 10€ / 7€ / 5€. In

Opzione put  americana (2)

Payoff 

ascadenza

Esercizio anticipato

Valore del titolo S 

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

254

totale, lungo l’albero il calcolo combinatorio ci dice che esistono 23 possibili

cammini (appunto 8). La cosa più semplice è calcolare la probabilità congiunta di

ogni singolo cammino, nella logica di indifferenza al rischio, associandola al

rispettivo  payoff : si tratta di moltiplicare le probabilità prima individuate lungoogni cammino. Ad esempio per il cammino 7-5-4-4 la probabilità è 54,4% · 60,0%

· 84,0% = 27,4%.

Cammino Probabilità congiunta Payoff a scadenza Prodotto Valore attuale

7-5-4-4 27,4% 0 0 0

7-5-4-5 5,2% 0 0 0

7-5-7-5 5,2% 0 0 0

7-5-7-8 16,6% 6,67€ - 6€ = 0,67€ 0,11€ 0,098€

7-10-7-5 1,65% 7,33€ - 6€ = 1,33€ 0,022€ 0,019€

7-10-7-8 5,2% 8,33€ - 6€ = 2,33€ 0,12€ 0,11€7-10-11-8 5,45% 9,67 - 6€ = 3,67€ 0,20€ 0,18€

7-10-11-12 33,3% 11€ - 6€ = 5€ 1,67€ 1,48€

Totale 100% - - 1,89€

Il valore dell’opzione call asiatica risulta proprio pari alla somma dei payoff pesati

dalle probabilità congiunte, e attualizzati:

c* = 1,89€

Come previsto, esso risulta più contenuto rispetto al valore dell’opzione europea,

poiché ad essa è associata una volatilità dei payoff più contenuta (considerando lamedia dei valori registrati, la varianza del risultato si riduce notevolmente e questo

ha un impatto negativo sul valore di un’opzione, come si è visto nei paragrafi

precedenti).

L’ultimo contratto è un’opzione  put  di tipo ‘up and in’, ovvero si attiva solo se

prima della scadenza il prezzo dell’attività sottostante va oltre una certa soglia

(9€). Si tratta di individuare i cammini in cui l’opzione può essere esercitata,

ovvero laddove in almeno una scadenza annuale il prezzo è stato superiore a 9€

(trigger point ). Riprendiamo il grafico dei  payoff  a scadenza evidenziando i

cammini ‘utili’ a maturare l’esercizio:

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

255

t =0 t =1 t =2 t =3

0

00 6€ – 5€ = 1€

0,014€ 0,23€

0,03€ 0

0

0

Un solo ‘cammino’ passa per il trigger point  e porta ad un  payoff  possibile

positivo. Al di fuori di questo sentiero il valore dell’opzione sarà sempre nullo, o

perché non viene esercitata o perché non è scattato il trigger point . Calcolando ilvalore dell’opzione lungo questo sentiero attraverso le probabilità di indifferenza

al rischio, si ottiene un valore dell’opzione pari a:

 p* = 0,014€

Il valore è ovviamente più basso rispetto a quello delle opzioni put prima trovate,

perché si è introdotto un vincolo restrittivo sulla possibilità di esercizio

dell’opzione.

5.2.5.2 Modello di Black & Sholes

Il modello di Black e Scholes (1973), quest’ultimo vincitore del Premio Nobel perl’Economia nel 1997, permette di valutare un’opzione europea nel caso generale

in cui il prezzo futuro dell’azione possa assumere un valore qualsiasi con

distribuzione non binomiale ma continua. In particolare, nel loro modello, Black e

Scholes ipotizzano che il prezzo S(t ) dell’attività sottostante si evolva

stocasticamente nel tempo sotto una distribuzione di probabilità log-normale3.

Inoltre, indicano con r il tasso risk free di mercato, composto nel continuo.

3 Sotto tale assunzione, i rendimenti dei prezzi sono distribuiti secondo una funzionenormale gaussiana. Affinché la formula sia valida è però necessario che la volatilità σ del

Opzione put  complessa (4)

Payoff 

ascadenza

Trigger point 

S = 10€ 

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

256

Sotto queste assunzioni, Black e Scholes determinano il valore di mercato di

un’opzione call verificando istante per istante nel tempo (ecco perché viene

introdotto il tasso di interesse composto nel continuo) l’impossibilità di costruire

posizioni di arbitraggio. Si ricava un’equazione differenziale che, introducendocondizioni al contorno opportune relative ai limiti di prezzo in equilibrio descritti

nel Paragrafo 5.2.3, genera questo risultato:

( ) ( )210 d  N e X d  N Sc rT  ⋅⋅−⋅= −  

2

σ

σ

ln

σ

2

σln 0

20

1

e X 

S

T r  X 

S

d rT  ⋅

+⋅

 

  

 

⋅=

⋅ 

  

 ++

 

  

 

=−

 

T d T 

e X 

S

T r  X 

S

d rT 

⋅−=⋅

−⋅

 

  

 

⋅=

⋅ 

  

 −+

 

  

 

=−

σ2

σ

σ

ln

σ

2

σln

1

02

0

2  

( ) ∫ ∞−−

⋅=d   x

dxed  N 2

2

1

2

1

π  

La funzione  N (d ) è la funzione di probabilità di una variabile casuale normale

standardizzata. In altre parole è la probabilità che una variabile estratta da una

distribuzione normale standardizzata, φ(0,1), assuma un valore inferiore a d . I

valori di questa funzione sono riportati in una Tabella in Appendice.

Dalla formula precedente è possibile osservare come ancora una volta si possa

valutare una call attraverso un portafoglio costituito da  N (d 1) quote dell’attività

sottostante ( N (d 1) quindi rappresenta il rapporto di copertura o delta dell’opzione)

e da un indebitamento pari a N (d 2) per il valore attuale del prezzo di esercizio.

rendimento dell’attività sottostante sia costante, e non varia in funzione del tempo o delprezzo S. Questa condizione non è sempre accettabile sui mercati finanziari.

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

257

Operativamente, la formula di Black e Scholes può essere facilmente implementata

su un calcolatore, oppure è agevole ricorrere alle Tabelle riportate in Appendice a

questo Capitolo, in cui il valore c può essere ricavato, in percentuale rispetto al

valore di S0, incrociando due parametri, ovvero il rapporto fra il prezzo spot  dell’attività sottostante e il prezzo di esercizio attualizzato (

rT e X 

S−⋅

0 ) e il

prodotto fra time to maturity (sotto radice) e rischio dell’attività sottostante

( T ⋅σ  ), facendo opportune interpolazioni se i valori dei parametri non sono

esattamente quelli riportati nella Tabella.

Il valore della corrispondente opzione put europea può essere ricavato da:

 p = c + X  ⋅ e-rT  – S0 = ( ) ( )102

rT  d  N Sd  N e X  ⋅−⋅⋅ − 

La formula di Black e Scholes può essere dimostrata attraverso altri modelli. Può

essere provato che considerando un albero binomiale, i cui intervalli di tempo fra

un passo e il successivo tendono a zero, la formula della binomiale grazie al

teorema limite centrale della statistica, tende alla formula di Black e Scholes.

La Figura 5.6 descrive il valore di mercato di opzioni call e put in funzione di S0,

determinati dalla relazione di Black e Scholes.

Figura 5.6 – Valore delle opzioni call e put secondo Black e Scholes.

Opzione call Opzione put  

 X S

S -X 

 X S

 X - S

c  p

 X 

VA(X)

S- VA(X)

 

S

VA(X)-S

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

258

Come si vede, il valore della call tende a zero al decrescere di S, e tende al valore

del corrispondente contratto  forward  (S – VA( X )) al crescere di S. Il valore si

mantiene sempre fra i limiti che già conosciamo (S > c > S – VA( X )).

Per quanto riguarda la  put , essa tende al suo limite massimo VA( X ) al decresceredi S, e tende a zero al crescere del valore dell’attività sottostante.

•  Esempio

Vogliamo determinare il valore di un’opzione call europea (e della corrispondente

opzione put europea) con questi parametri:

S0 = 10€

 X = 12€

T = 2 anni

r  f = 5%σ = 14%

L’equazione di Black e Scholes genera questa soluzione:

( ) ( )210 d  N e X d  N ScrT −⋅−⋅= = 0,47€

Si può pervenire al risultato consultando anche le Tabelle in Appendice al

Capitolo (con S0 /VA( X ) = 0,92 e T ⋅σ  = 0,20) che salvo approssimazioni

fornisce un valore della call pari a circa il 4,67% del prezzo S0.

Dalla relazione di parità put  / call si ottiene infine:

 p = c + X  ⋅   e-r ·T 

– S0 = 1,33€

La Figura 5.6 conferma una cosa molto importante già dimostrata nel Paragrafo

5.2.3: il valore di equilibrio di una call è sempre superiore al suo  payoff  a

scadenza. Il che vuol dire che non è mai razionale esercitare in anticipo una call: il

 payoff  che otterremmo è sempre inferiore al suo valore di mercato intrinseco.

Meglio cederla sul mercato che esercitarla in anticipo. In altre parole, sotto queste

ipotesi la possibilità di esercitare in anticipo l’opzione call non ha valore, e quindi

non vi è differenza fra il valore di mercato di un’opzione call americana e quello

della corrispondente opzione europea.

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

259

Per la  put  le cose non stanno così. Il valore di mercato a volte è inferiore al suo

 payoff  a scadenza (in particolare quando S è sufficientemente basso), e quindi

potrebbe essere razionale esercitare l’opzione prima della scadenza. Un’opzione

 put americana vale più quindi dell’opzione europea.

•  Il punto

Abbiamo considerato i due modelli principali di valutazione delle opzioni: gli

alberi binomiali e l’equazione di Black e Scholes. Entrambe si basano su una

logica di non-arbitraggio, individuando il valore dell’opzione costruendo una

posizione analoga attraverso l’indebitamento e l’attività sottostante.

5.2.6 Opzioni su attività che generano flussi di cassa 

Nel caso in cui l’attività sottostante generi flussi di cassa positivi o negativiintermedi, alcune delle considerazioni fatte in precedenza non valgono più.

Nel caso delle opzioni europee, è sufficiente ricordare che il prezzo dell’attività

sottostante S* da utilizzare nella formula deve essere ridotto del valore attuale dei

flussi positivi che verranno distribuiti durante la vita dell’opzione, ed incrementato

del valore attuale dei flussi di cassa negativi:

S* = S0 – VA(RICAVI) + VA(COSTI)

La stessa correzione era già stata introdotta nella relazione di parità  put-call (nel

Paragrafo 5.2.2), dal momento che chi detiene l’attività sottostante e l’opzione put  

ottiene i flussi di cassa positivi e paga quelli negativi, al contrario di chi detiene la

liquidità e l’opzione call:

 p = c + X  ⋅ e-r ·T – S* 

Nel caso delle opzioni americane, il caso è più complesso. Ad esempio, potrebbe

essere razionale esercitare un’opzione call prima della scadenza, se l’attività

sottostante è un’azione che paga dividendi. In tal caso potremmo incassare i

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

260

dividendi, che altrimenti non vedremmo fino alla scadenza. Allo stesso modo, se

l’attività genera costi, sarebbe forse ancora più conveniente esercitare in anticipo

un’opzione  put , dal momento che potremmo evitare i costs of carry, oltre che

beneficiare di un payoff immediato.Il valore per questo tipo di opzioni si calcola o ricorrendo a modelli binomiali a più

stadi (ad ogni passo si tiene conto della possibilità di esercitare in anticipo

l’opzione e di incorrere nei relativi flussi di cassa positivi e negativi), oppure

ricorrendo al metodo dell’approssimazione di Black. In questo secondo caso, ad

esempio per un’opzione call americana, si tratta di valutare, sempre utilizzando S*:

a)  un’opzione europea che ha la stessa scadenza dell’opzione americana;

b)  le opzioni europee che scadono subito prima della liquidazione dei flussi di

cassa positivi nel corso della scadenza dell’opzione, nell’idea che non sarebbe

ottimale esercitare l’opzione call se non appena prima del pagamento deldividendo, se non sono previsti altri flussi di cassa intermedi.

Il prezzo dell’opzione americana è considerato uguale al maggiore dei prezzi di

queste call europee (questa valutazione rappresenta una sottostima del prezzo di

una opzione americana in quanto tale opzione nella realtà può essere esercitata in

un istante di tempo qualunque).

•  Esempio

Vogliamo valutare un’opzione call americana a scadenza un anno con strike price 

pari a 18€ su un titolo azionario che paga fra sei mesi un dividendo pari a 2€. Iltitolo quota 15€.

In primo luogo, optiamo per il metodo della binomiale. Le nostre migliori stime

sull’andamento del prezzo del titolo ex-dividendo nei prossimi due anni sono

rappresentate nel grafo seguente.

Le frecce verticali indicano il pagamento dei dividendi. In pratica, ci si aspetta che

al tempo t =1/2 il prezzo possa essere pari a 19€ o 14€, che ci si attende diventi

rispettivamente 17€ o 12€ dopo il pagamento del dividendo. Il tasso risk free 

annuo di mercato è pari al 4%.

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

261

t =0 t =1/2 t =1

19€ 20€

17€14€ 15€

12€

11€

Individuiamo le probabilità di indifferenza al rischio, laddove servono, il  payoff a

scadenza e a ritroso il valore dell’opzione, prestando attenzione ad un eventuale

possibilità di esercizio anticipato.

t =0 t =1/2 t =1

20€ – 18€ = 2€

max(0,916€, 19€–18€)

0,254€ 0

max(0, 14€–18€)0

Fra le scadenze 6 mesi e 1 anno, le uniche probabilità che serve calcolare sono

quelle relative all’evento più ottimistico, poiché in caso opposto l’opzione nonverrà esercitata. Utilizzeremo il prezzo previsto ex-dividendo:

17€ = ( pu · 20€ + pd  · 15€) / (1,04)0,5  ⇒   pu = 46,7%  pd = 53,3%

Fra sei mesi, prima dello stacco del dividendo, il valore del titolo potrà essere 19€

oppure 14€. Nel primo caso il valore dell’opzione call sarà il massimo valore fra il

 payoff  ottenibile dall’esercizio anticipato (19€–18€), e il valore dell’opzione in

quell’istante che sarà pari a 2€ · 46,7% · (1,04)0,5 ovvero 0,916€. In tal caso, è

conveniente l’esercizio anticipato. Nel secondo caso il valore sarà zero poiché

l’esercizio anticipato non è conveniente, e il payoff a scadenza sarà sempre nullo.

 pu =46,7%

 pd =53,3%

 pd =74,1%

 pd =25,9%

15€

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

262

Nell’istante iniziale bisogna calcolare le probabilità di indifferenza al rischio

considerando il prezzo prima del pagamento del dividendo. Si porrà quindi:

15€ = ( pu · 19€ + pd  · 14€) / (1,04)0,5  ⇒   pu = 25,9%  pd = 74,1%

Il valore della call C sarà dunque:C = 25,9% · 1€ · (1,04)0,5 = 0,254€

Utilizzando invece la formula di Black e Scholes, consideriamo un tasso annuale

composto nel continuo pari a:

1%4~−== r er    =⇒ r ~ 3,92%

Ipotizziamo da una stima dei dati storici una volatilità del rendimento del titolo

azionario pari al 24% annua.

L’approssimazione di Black ci porta a valutare due opzioni call europee. La prima

scade fra sei mesi, e ci consente di incassare immediatamente dopo il dividendo; il

valore di S0 da introdurre nella formula è pari a 15€. La seconda fra un anno, manon permette di incassare il dividendo. In tal caso il valore corretto di S

*0 da

considerare è 15€ – 2€·e–0,0392·0,5 = 13,039€.

Applicando la formula si ottiene per la prima call (S0=15€,  X =18€, r =3,92%,

T =0,5) 0,26€ , per la seconda (S0=13,039€, X =18€, r =3,92%, T =1) 0,22€.

Il valore della call americana è quindi, secondo l’approssimazione di Black:

C = 0,26€

5.3 Applicazioni della teoria delle opzioni a contratti finanziari

L’importanza della teoria delle opzioni nella Finanza Aziendale non è limitata

all’analisi dei titoli derivati scambiati sul mercato finanziario, o alla loro funzione

di hedging. Vi sono diversi contratti complessi e situazioni, che riguardano il

finanziamento dell’impresa, che possono essere meglio compresi e valutati

conoscendo la teoria delle opzioni.

5.3.1 Rischiosità del debito e costi di agenzia

Gli azionisti detengono un’opzione sul capitale dell’impresa. In caso di fallimento,

essi possono sottrarsi al rimborso dei crediti non coperti dal valore di liquidazione

delle attività, grazie alla loro responsabilità limitata. Come abbiamo visto nel

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

263

primo Capitolo, questo genera dei costi di agenzia, poiché quando l’impresa è

vicina al dissesto conviene agli azionisti effettuare investimenti sub-ottimali molto

rischiosi. La convenienza discende proprio dal fatto che la volatilità dell’attività

sottostante (il valore delle attività) ha un effetto positivo sul valore dell’opzionedetenuta dagli azionisti.

Figura 5.7 – Payoff  Π   di detentori del debito e dell’equity dell’impresa in caso di

liquidazione, e valore dell’equity V  E e del debito V  D.

Nella Figura 5.7 viene rappresentato su linea tratteggiata, in funzione del valore V  delle attività dell’impresa, il payoff  Π di azionisti e detentori del debito in caso di

liquidazione dell’impresa.

Se l’impresa non è insolvente, il  payoff  del debito coincide con il valore di

rimborso D del debito, e il valore residuale (V – D) è di pertinenza degli azionisti.

Se invece l’impresa è insolvente (V <  D), il valore del debito è pari al valore di

liquidazione delle attività, mentre invece il payoff degli azionisti è nullo.

Riconosciamo nel  payoff  a scadenza degli azionisti quello di un’opzione call sul

valore delle attività V , con prezzo di esercizio D, il cui valore oggi V  E è individuato

dal modello di Black e Scholes e tracciato sulla curva a tratto continuo.

 D V 

V-D

 D

V  D 

V  E  

Π

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

264

Il valore del debito V  D, anch’esso tracciato su curva continua, può essere

individuato come differenza fra il valore delle attività e il valore dell’ equity:

V  D = V – V  E  

Si può osservare che il  payoff del debito è la somma di due posizioni: un debito

non rischioso con valore di rimborso D, e un’opzione put , ceduta dai detentori del

debito sul valore delle attività V , con prezzo di esercizio D.

Il valore del debito V  D può quindi essere calcolato anche come la differenza fra il

valore attuale di uno zero-coupon privo di rischio, con valore di rimborso D, e una

 put sul valore delle attività V con prezzo di esercizio D.

I creditori hanno ceduto un’opzione  put sul valore delle attività, perché in caso di

fallimento verrà loro liquidato il valore delle attività, al prezzo di esercizio del lorodebito insoluto.

Il modello che abbiamo rappresentato spiega come mai il valore di mercato delle

azioni V  E  di un’impresa, non in liquidazione immediata, ma che è vicina al

fallimento e sarebbe insolvente in caso di liquidazione, è comunque positivo (il

valore di una call anche se out-of-the-money è sempre strettamente positivo). C’è

sempre una probabilità, seppure remota, che le sorti dell’impresa si risollevino nel

futuro. Esso spiega anche come mai il valore del debito V  D sia sempre minore del

valore attuale del rimborso a scadenza (il valore dell’opzione  put che i creditori

hanno ceduto è sempre positivo): anche se lontana dal dissesto, l’impresa puòessere insolvente nel futuro, e quindi il debito presenta un certo grado di rischio,

tanto più elevato quanto maggiore è la volatilità del valore V della attività (e quindi

la probabilità di insolvenza).

5.3.2 Obbligazioni indicizzate e convertibili

Nel Capitolo 3 abbiamo visto che vi sono titoli obbligazionari le cui cedole, o il

cui rimborso del capitale, sono indicizzati ad altri titoli finanziari.

Il valore di questi titoli non può evidentemente essere determinato attualizzando

flussi di cassa che non sono prevedibili nemmeno in valore atteso. La teoria delle

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

265

opzioni può però aiutarci, dal momento che questi titoli rappresentano una sorta di

opzione sull’attività a cui sono indicizzati. Ad esempio, se il rimborso a scadenza

dell’obbligazione è funzione del rendimento di un titolo azionario, è come se il

proprietario dell’obbligazione detenga un’opzione call sull’azione, il cui prezzo diesercizio è l’obbligazione stessa.

Il suggerimento operativo del tutto generale per valutare obbligazioni di questo

tipo è quello di tracciare innanzitutto il  payoff  a scadenza, e di riconoscervi la

composizione di posizioni che già conosciamo, fra cui opzioni call e put .

La Figura 5.8 mostra ad esempio il  payoff  a scadenza di un’obbligazione  zero-

coupon, che alla scadenza T rimborsa il valore massimo fra il valore nominale VN  

e il valore di un indice azionario, il cui valore oggi è J 0.

Figura 5.8 – Payoff a scadenza Π  associato ad un’obbligazione zero-coupon indicizzataall’indice azionario J.

Fintantoché il valore dell’indice a scadenza T sarà inferiore al valore nominale VN

dello zero-coupon, l’obbligazione rimborserà il valore nominale stesso. Se però a

scadenza il valore dell’indice è superiore a VN, sarà rimborsato un controvalore in

denaro pari all’indice stesso. È chiaro che è come se disponessimo di un’opzione

call sull’indice, il cui prezzo di esercizio è il valore nominale VN del titolo.

In effetti, osservando la Figura 5.8, riconosciamo la somma di due payoff : quello di

uno  zero-coupon, con valore nominale VN, e un’opzione call, con prezzo di

VN J 

VN 

 J 0 

Π

 J 0 

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

266

esercizio VN (se non si è convinti basta tornare per un attimo alla Figura 5.4). Il

valore dell’obbligazione indicizzata sarà quindi pari alla somma di due

componenti: (i) il valore di uno  zero-coupon con scadenza T  e valore nominale

VN, (ii) un’opzione call sull’indice (che oggi vale J 0) con prezzo di esercizio VN,e time-to-maturity T .

Passiamo ad un secondo esempio. Le obbligazioni convertibili sono titoli di debito

che possono diventare titoli di tipo equity, a discrezione del detentore. Detenere

un’obbligazione convertibile è come detenere un’obbligazione comune, più

un’opzione call sul titolo azionario, il cui prezzo di esercizio è il valore

dell’obbligazione stessa. Ciò è evidente dalla Figura 5.9 in cui viene raffigurato il

 payoff a scadenza associato allo stock di debito convertibile, in funzione del valore

di mercato delle attività dell’impresa stessa (per semplicità viene esclusa

l’esistenza di altro capitale di debito).

Figura 5.9 – Payoff a scadenza Π  associato al debito convertibile, in funzione del valore

delle attività.

È chiaro che, come accade per il debito comune, al di sotto di un certo valore di

mercato delle attività, pari al valore di rimborso del debito D, l’impresa fallisce e il

 payoff del debito è il valore residuo delle attività. Questo argomento è stato appena

trattato nel Paragrafo precedente. Se l’impresa non fallisce, il debito viene

rimborsato normalmente a scadenza: gli obbligazionisti non ritengono opportuno

 D V 

 D

V * 

Π

tg = γ   

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

267

convertire i titoli, poiché in tal caso il loro payoff sarebbe minore del rimborso del

debito. Esiste però un’altra soglia del valore delle attività V * oltre la quale i

detentori del debito trovano conveniente convertire i loro titoli e diventare

azionisti. Tale soglia deve soddisfare il seguente vincolo:

 D =δmn

δm

⋅+

⋅· V 

* = γ  · V * 

con γ =δmn

δm

⋅+

⋅ 

dove m rappresenta il numero di obbligazioni convertibili in circolazione, n il

numero di azioni attualmente in circolazione, δ  il rapporto di conversione delle

obbligazioni (ovvero il numero di azioni che si ottengono convertendo ogniobbligazione) e γ  la frazione del capitale azionario che gli ex-obbligazionisti

deterranno dopo la conversione.

Infatti, bisogna tenere conto che nel momento in cui tutti i detentori delle

obbligazioni procedono alla conversione, si ha una diluizione sul valore del

capitale azionario. I titoli in circolazione aumentano (in relazione al rapporto di

conversione δ  e al numero m di obbligazioni in circolazione) e il valore delle

attività si ‘spalma’ su un numero di azioni maggiore. In altre parole, il detentore di

un’obbligazione nel momento in cui valuta se procedere alla conversione non deve

guardare al valore di mercato corrente dei titoli azionari, ma deve guardare al

valore (inferiore) che avranno i titoli dopo la diluizione del capitale.

Se il valore V delle attività dell’impresa sarà inferiore a V *, gli obbligazionisti non

dovranno convertire i titoli, perché la ricchezza di cui sarebbero titolari è inferiori

al valore di rimborso del debito. Al contrario, la conversione sarà conveniente,

perché il valore di mercato dei titoli azionari in cui sono state ‘trasformate’ le

obbligazioni sarà comunque superiore al valore di rimborso del debito D.

Ancora una volta il suggerimento è osservare il  payoff a scadenza e scomporlo in

diverse componenti; nel grafico di Figura 5.9 riconosciamo la somma di tre diverse

posizioni:

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

268

1)  un’emissione obbligazionaria zero-coupon, con valore di rimborso pari a D;

2)  un’opzione put , che corrisponde al fatto che il debito è rischioso; il contributo

di questo segmento è negativo e corrisponde al valore di un’opzione  put  sul

valore V con prezzo di esercizio D;3)  un’opzione call, che corrisponde alla possibilità di convertire il debito; il

contributo di questo segmento è invece positivo e corrisponde alla frazione γ  

del valore di un’opzione call sul valore V con prezzo di esercizio V *; ogni unità

marginale del valore delle attività deve essere infatti ‘spartita’ fra ex-

obbligazionisti (che vantano una quota della proprietà pari a γ ) e ‘vecchi’

azionisti.

Il valore del debito convertibile sarà dunque la somma algebrica di queste tre

componenti. Per trovare il valore di una singola obbligazione basterà dividere il

risultato per m.Se per caso la conversione è ammessa anche prima del termine T , possiamo

valutare la terza componente come un’opzione call americana, ricordando che se

l’impresa non paga alti dividendi, il valore non cambierà molto rispetto a quello di

un’opzione europea.

Infine, un discorso diverso vale per le obbligazioni ‘convertible-reverse’. Nel

Capitolo 3 abbiamo detto che si tratta di obbligazioni che possono essere

convertite in altri titoli a discrezione dell’emittente. È chiaro che in questo caso ci

troviamo di fronte ad un’opzione  put , in quanto è come se la società emittente si

riserva l’opzione di vendere il titolo sottostante all’investitore, al prezzo diesercizio definito dal valore nominale dell’obbligazione.

La Figura 5.10 rappresenta il  payoff  a scadenza di un’obbligazione convertible-

reverse, in funzione del prezzo S del titolo in cui essa può essere convertito

(ipotizzando un rapporto di conversione 1:1). È chiaro che quando il valore ST  sarà

superiore al valore nominale del titolo, l’impresa emittente rimborserà il valore

nominale, mentre convertirà il titolo nell’attività sottostante se il suo valore a

scadenza è inferiore al valore nominale. Il grafico mostra chiaramente che il  payoff  

è la somma di due posizioni: (i) uno  zero-coupon con scadenza T  e valore

nominale VN , e (ii) la cessione di un’opzione  put  sull’attività sottostante, il cui

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

269

valore odierno è S0, con scadenza T e prezzo di esercizio VN . Inoltre, il grafico ci

mostra che la posizione è assimilabile a quella del debito rischioso di un’impresa.

Figura 5.10 – Payoff a scadenza Π  associato ad un’obbligazione convertible-reverse.

Il valore dell’obbligazione sarà quindi pari alla differenza fra il valore dello zero-

coupon e il valore dell’opzione  put . In base alla relazione di parità  put/call, può

essere calcolato anche come la differenza fra il valore dell’underlying S0 e della

corrispondente opzione call.

Un’ultima nota: se oltre al rimborso del capitale a scadenza il titolo

obbligazionario da valutare prevedesse delle cedole (fisse o indicizzate), al valore

del titolo, determinato con la teoria delle opzioni, sarà necessario sommare ancheil valore attuale delle cedole che saranno incassate.

•  Esempio

Si tratta di individuare il valore V  zc di un’obbligazione zero-coupon, con scadenza

T pari a 3 anni, con queste caratteristiche alternative:

1)  rimborso a scadenza del valore nominale, pari a 1.000€;

2)  rimborso a scadenza del massimo valore fra valore nominale dell’obbligazione

e valore in euro di un indice borsistico (la cui volatilità annua è pari al 15% e

oggi vale J 0 = 1.200);

VN S

VN 

S0 

Π

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

270

3)  l’obbligazione è convertibile in azioni dell’impresa emittente, in rapporto δ 

pari a 20 azioni per ogni obbligazione; il valore di mercato corrente V delle

attività dell’impresa è 115 mln. €; le azioni in circolazione (n) sono 2 mln.,

mentre le obbligazioni convertibili (m) sono 10.000; la volatilità annua delvalore V è pari all’8%;

4)  l’obbligazione è convertibile a discrezione dell’emittente in titoli azionari

detenuti in portafoglio dall’impresa (in ragione di 10 titoli per ogni

obbligazione), il cui prezzo di mercato S0 oggi è pari a 110€, e la cui volatilità

annua è pari al 20%.

Sappiamo che il tasso risk free di mercato r alla scadenza 3 anni è pari al 2%, e che

il rischio del dissesto dell’impresa può essere trascurato.

Per quanto riguarda il punto (1) il calcolo è molto semplice, dal momento che il

rischio di dissesto del debito è trascurabile:

V  zc(1) =T r 

VN 

)(1 += 942,32€

Nel secondo caso, l’obbligazione è indicizzata all’indice azionario. Il  payoff sarà

superiore al valore nominale se fra tre anni l’indice borsistico sarà superiore a

1.000 punti. Seguendo le indicazioni precedenti, il valore dell’obbligazione sarà la

somma di V  zc(1) e del valore di un’opzione call sull’indice stesso, con prezzo

d’esercizio VN , determinabile attraverso le Tabelle in Appendice al Capitolo:

V  zc(2) = V  zc(1) + call ( J 0 = 1.200, X = 1.000, σ = 15%, r = 2%, T = 3) = 1.224,72€

Nel terzo caso, l’obbligazione è convertibile in 20 azioni della stessa impresa.

Sappiamo che il suo valore V  zc(3) è la somma di tre componenti. Oltre al valore

dello zero coupon V  zc(1) abbiamo un’opzione put sul capitale in caso di dissesto (il

cui valore è trascurabile in questo caso) e un’opzione call sul capitale in caso di

conversione dei titoli, con però un effetto di diluizione. A scadenza, la conversione

sarà conveniente se il valore delle attività sarà pari a:

V * =  D / γ = 110 mln. € 

con γ =δ

mn

δm

⋅+

⋅= 9,09% e  D = m ⋅ VN = 10 mln. €

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

271

Il valore di una singola obbligazione convertibile V  zc(3) è la somma di:

V  zc(3) = V  zc(1) + γ  / m ⋅ call (V = 115 mln., X = V * = 110 mln., σ = 8%, r = 2%, T = 3)

V  zc(3) = 1.060,67€

Nel quarto caso, l’obbligazione è una convertible-reverse e alla scadenza ciattendiamo la liquidazione in azioni se il valore di mercato di 10 azioni (oggi pari a

1.100€) sarà inferiore a 1.000€. In caso contrario ci attendiamo il rimborso del

capitale nominale. Il valore V  zc(4) sarà quindi la differenza fra due componenti:

V  zc(4) = V  zc(1) – put (S0 = 1.100, X = 1.000, σ = 25%, r = 2%, T = 3) = 836,14€

Come si vede, a parità di valore nominale del titolo, abbiamo ottenuto prezzi

teorici molto diversi nei quattro casi.

5.3.3 Warrant 

I warrant sono stati considerati nel Capitolo precedente come strumenti di raccoltadi capitale a termine. Si tratta di opzioni call che conferiscono al detentore la

possibilità di acquistare titoli azionari – in realtà non necessariamente di nuova

emissione – oppure titoli obbligazionari (‘harmless warrant ’) a condizioni

prefissate entro una certa scadenza. Nel caso in cui i titoli sottostanti siano azioni

già in circolazione, infatti, non è prevista alcuna raccolta di capitale, e i warrant  

sono in tutto e per tutto valutabili attraverso i modelli esaminati. Nel caso invece

in cui le azioni siano titoli di nuova sottoscrizione, bisogna tenere conto

dell’effetto di diluizione eventuale, e quindi non è possibile introdurre nel modello

di valutazione il prezzo corrente dei titoli azionari S0 senza altri accorgimenti.

Il metodo più noto in questo caso è il ricorso al modello dilution-adjusted  della

relazione di Black e Scholes. Le variabili del modello sono:

S0 = prezzo dell'azione sottostante oggi;

n = numero di azioni in circolazione attualmente (destinato ad aumentare dopo

l’esercizio dei warrant );

W = valore di mercato in equilibrio del warrant (in questo caso da determinare);

γ = rapporto di sottoscrizione (nuove azioni sottoscritte / 1 warrant ); si tratta del

numero di azioni che è possibile sottoscrivere a scadenza grazie al possesso di un

warrant ;

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

272

m = numero di warrant in circolazione;

w p̂ = prezzo di unitario di sottoscrizione delle azioni a scadenza;

T = scadenza del periodo di esercizio del warrant ;

ST = prezzo dell'azione alla scadenza T (incognito);σ = volatilità annua del rendimento dell’azione sottostante.

Si consideri il  payoff  Π a scadenza di un'opzione call europea sul titolo azionario

considerato, con prezzo di esercizio w p̂ e scadenza T  che ha valore c 

(determinabile attraverso la formula di Black e Scholes):

Π1 = ST – w p̂ se ST > w p̂  

Π2 = 0 se ST < w p̂  

Il  payoff  a scadenza Πw del detentore del warrant  sarà in generale diverso. Egli

infatti sconta il fatto che nel momento in cui tutti i possessori di warrant dovessero

sottoscrivere le nuove azioni, il prezzo dell'azione ST  si modificherà per l'effetto di

diluizione. In particolare, definiamo SFDT  come il prezzo dell'azione al tempo T nel

caso di piena diluizione (prezzo  fully-diluted ), ovvero nel caso in cui tutti i

warrant  siano esercitati. Le azioni in circolazione cresceranno, e in numero

saranno pari a (n  +  γ    ·  m). Come nel caso degli aumenti di capitale, la cosa più

semplice da ipotizzare è che la capitalizzazione dell’equity dopo l’esercizio dei

warrant  V ′ sia pari alla capitalizzazione prima, più la raccolta di capitale derivantedall’esercizio dell’opzione:

V ′ = (n + γ   · m) · SFDT  = n ⋅ ST + γ   · m · w p̂  

da cui si calcola il prezzo fully-diluted SFDT : 

SFDT =mn

 pmSn wT 

⋅+

⋅⋅+⋅

γ  

γ   ˆche risulta comunque < ST  

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

273

Il payoff del detentore del warrant sarà dunque legato al prezzo fully-diluted , non a

ST , e dipenderà anche dal numero di azioni γ  che si possono sottoscrivere. La

decisione di convertire sarà però presa non basandosi sul prezzo di piena

diluizione, ma osservando il prezzo ST . Ogni investitore, preso singolarmente, saràincentivato a convertire appena ST  è superiore a w p̂ : il problema è che se tutti lo

fanno, sarà inevitabile la diluizione del capitale.

Πw1 = γ   · (SFDT – w p̂ ) se ST > w p̂  

Πw2 = 0 se ST < w p̂  

Si può dimostrare che esiste una relazione fra il  payoff  Πw del warrant e quello

dell’opzione call corrispondente Π:

Πw1 = (mn

n

+γ   / ) · Π1 se ST > w p̂  

Πw2 = Π2 = 0 se ST < w p̂  

In condizioni di non-arbitraggio deve dunque essere, in ogni istante prima della

scadenza:

W = (mn

n

+γ   / ) · c

Si noti che se l'effetto di diluizione è trascurabile (m << n) il valore del warrant  

tende a quello dell'opzione equivalente (a meno del coefficiente γ ). Infatti, il basso

numero di warrant in circolazione non ha un impatto significativo sul valore delle

azioni al momento dell’esercizio dell’opzione.

Purtroppo questo modello non considera l'eventuale pagamento di dividendi

durante il periodo T (in tal caso se ne dovrebbe tenere conto nel calcolo del payoff  

a scadenza e nel considerare il fatto che potrebbe essere razionale esercitare il

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

274

warrant prima della scadenza T ) ma soprattutto non tiene conto del fatto che S0 

non rispecchia il valore di tutto l'equity dell'impresa. In altre parole, il valore  E  

dell'equity dell'impresa al momento iniziale si spalma sulle n azioni ma anche sui

warrant in circolazione (spesso però trascurabile).Anche il valore S0 dell'azione (che serve per determinare il valore dell’opzione

call) dovrebbe essere opportunamente corretto dall'effetto di diluizione del valore

dell'equity, così come dovrebbe essere corretta la volatilità del titolo. In altre

parole, il valore dei parametri di partenza dipende esso stesso dal valore W  del

warrant  che vogliamo individuare. La procedura di valutazione presentata è

approssimata e non è dunque esente da critiche teoriche, anche se dal punto di

vista pratico è più che soddisfacente.

•  EsempioSi vuole valutare un warrant che consente di sottoscrivere entro 2 anni azioni di

nuova sottoscrizione al prezzo unitario w p̂ pari a 16€. Per sottoscrivere un titolo

sono necessari 4 warrant (ovvero γ = ¼). Le azioni in circolazione oggi (n) sono 4

mln. e quotano 15€. I warrant in circolazione (m) sono 500.000. Il tasso risk free 

alla scadenza 2 anni è pari al 3%, mentre la volatilità σ del rendimento dell’equity 

è pari al 9%.

Applicando la formula ‘dilution adjusted ’ di Black e Scholes si ottiene:

W = ( mn

n

+γ   /  ) · c

dove c è il valore di un’opzione call con S0 = 15€; X = 16€; T = 2; r  f = 3%, σ = 9%.

Consultando le Tabelle di Black e Scholes in Appendice al Capitolo si ottiene:

W = 0,18€

Il metodo della ‘piena diluizione’ del capitale è particolarmente utile nell’analisi di

aumenti di capitale dove oltre ai titoli di nuova emissione vengono emessi

contemporaneamente warrant . In tal caso bisognerà tenere conto dell’effetto di

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

275

diluizione relativo sia all’esercizio dei warrant  in futuro, sia all’aumento di

capitale nell’immediato.

5.3.4 Garanzie su operazioni di finanziamentoNel Capitolo precedente si è affermato che un’operazione di raccolta di capitale è

in genere garantita da un consorzio di collocamento, che procede alla

sottoscrizione dell’eventuale frazione dell’offerta inoptata, assicurando l’impresa

della riuscita dell’operazione. Un contratto di questo tipo si configura come

un’opzione  put : gli offerenti si riservano il diritto di vendere al sindacato di

collocamento le azioni non sottoscritte dagli investitori, al prezzo di sottoscrizione.

Il valore di questo contratto può quindi essere individuato attraverso i modelli di

valutazione delle opzioni.

5.3.5 Titoli derivati atipici: packages e opzioni esotiche

Il panorama dei titoli derivati negli ultimi anni si è arricchito di strumenti

finanziari derivati sempre più complessi, non di rado abbinati all’investimento in

titoli obbligazionari (‘obbligazioni strutturate’). Il confine stesso fra titoli derivati

e titoli a reddito fisso è diventato sempre più labile4. Allo stesso tempo, la

possibilità di assumere posizioni diversificate (long o short ) sulle attività

finanziarie e sulle relative opzioni di acquisto o vendita, ha moltiplicato le tecniche

di copertura e/o di speculazione a disposizione degli investitori.

I titoli derivati ‘atipici’, che si contrappongono alle semplici opzioni call e  put 

  plain vanilla, si distinguono in: (i)  packages e (ii) opzioni esotiche. I  packages 

sono contratti che possono essere ‘scomposti’ in portafogli di opzioni, titoli

azionari e obbligazionari. Le opzioni esotiche sono contratti che non possono

essere ricondotti alle semplici opzioni, ma prevedono algoritmi e regole particolari

per la definizione del payoff a scadenza.

4 Ne è testimonianza l’incertezza che ha contraddistinto l’applicazione della ritenuta fiscale

per i guadagni sull’investimento nelle obbligazioni strutturate, con aliquota del 12,5% comeaccade per le obbligazioni o al 27% come accade per altre rendite finanziarie.

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

276

Ecco una panoramica dei packages più conosciuti:

1)  contratti spread ;

2)  contratti straddle;

3) 

contratti strangle;4)  contratti strap e strip;

In generale, tutte queste posizioni possono essere valutate come combinazioni di

opzioni call e put , osservando il loro payoff a scadenza.

I contratti spread  sono caratterizzati da un  payoff  a scadenza variabile fra una

soglia minima e una soglia massima, in funzione del valore a scadenza dell’attività

sottostante, e si distinguono in: (i) bull vertical spread , in cui il  payoff cresce al

crescere del valore di mercato dell’attività sottostante, (ii) bear vertical spread , in

cui il payoff decresce al crescere del valore di mercato dell’attività sottostante. Nel

primo caso (si veda la Figura 5.11) la posizione può essere costruita con dueopzioni call con identica scadenza, acquistando quella con prezzo di esercizio

minore  X 1 e vendendo quella con prezzo di esercizio maggiore  X 2. Lo stesso

risultato può essere ottenuto acquistando un’opzione  put  con stessa scadenza e

prezzo di esercizio X 1, vendendo una put con prezzo di esercizio X 2 e investendo in

titoli privi di rischio il valore attuale della differenza fra i due strike prices. Oltre

che graficamente, l’equivalenza può essere dimostrata ricorrendo al teorema di

parità put -call:

c( X 1) – c( X 2) = p( X 1) + S – rT e X  −⋅1 – p( X 2) – S + rT e X  −⋅2  

c( X 1) – c( X 2) =  p( X 1) – p( X 2) +rT e X  X  −⋅− )( 12  

Nel secondo caso si procede nel modo opposto: si acquista l’opzione call con prezzo

di esercizio maggiore  X 2 e si vende la call con strike price minore  X 1.

Alternativamente, si acquista l’opzione  put  con prezzo di esercizio  X 2 e si cede

l’opzione put con prezzo di esercizio X 1, indebitandosi al tasso risk-free per un valore

di rimborso pari alla differenza fra i due strike prices. Il payoff massimo per i bull

spread (o minimo per i bear spread ) è pari alla differenza fra gli strike prices.

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

277

I contratti spread  consentono di fare leva su piccole variazioni del prezzo

dell’attività sottostante. Costruendo un bull spread  si scommette sul rialzo di S,

mentre con un bear spread si scommette su un ribasso. Da una parte si limitano

inferiormente le perdite, ma dall’altra vengono limitati anche i profitti: si tratta delprezzo da pagare in cambio dell’incasso del premio iniziale relativo alle opzioni

vendute. I bull vertical spread  possono servire a coprire, con un investimento

contenuto, eventuali vendite allo scoperto sull’attività sottostante, per cui ci si

attende una volatilità contenuta del prezzo di mercato. I bear vertical spread  

possono servire, anche in questo caso in intorni di prezzo limitati, a coprire il

rischio di portafoglio di chi detiene l’attività sottostante.

Figura 5.11 – Payoff a scadenza Π  associato ai contratti spread.

  Bull vertical spread Bear vertical spread 

Combinando tre tipi di opzioni call (o put ) con prezzi di esercizio diversi X 1, X 2 e

 X 3 (con X 2 pari alla media fra gli altri due prezzi di esercizio) è possibile costruire

un ‘butterfly spread ’, in cui il payoff diventa nullo se il prezzo S tende a discostarsi

molto dal valore degli strike prices, mentre è positivo per gli altri casi (Figura

5.12). In particolare, occorre acquistare le opzioni con prezzo di esercizio  X 1 e X 3,

e cedere due opzioni con strike price  X 2. Il payoff massimo sarà pari alla differenza

fra X 2 e X 1, che è anche pari alla differenza fra X 3 e X 2, e a2

13  X  X  − .

 X 1 X 2 S

Π MAX = X 2 – X 1 

Π

 X 1 X 2 S

Π MIN 

Π

0 Π MAX  

Π MIN = X 1 – X 2 

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

278

Figura 5.12 – Payoff a scadenza Π  associato ad un butterfly spread e valore di un bullish

horizontal spread.

  Butterfly spread Bullish horizontal spread 

Esistono poi gli horizontal spread  in cui le due opzioni che vengono combinate

hanno lo stesso prezzo di esercizio X ma scadenza T 1 e T 2 diversa (T 1 > T 2). In un

bullish horizontal spread si vende l’opzione call con scadenza più ravvicinata, e si

acquista l’opzione alla scadenza maggiore (che ha un valore più elevato). In un

bearish horizontal spread  all’opposto si acquista l’opzione call a più breve

scadenza e si vende quella a più lunga scadenza (si veda ancora la Figura 5.12,

dove viene riportato il valore del contratto e tratteggiato il  payoff  alle due

scadenze). Il risultato è, entro la scadenza della prima opzione, una posizione

simile a quella del butterfly spread .I contratti straddle consentono al detentore di vendere ad un certo prezzo di

esercizio X una quantità di titoli, oppure di acquistarne allo stesso prezzo la stessa

quantità. A differenza degli spread rappresentano combinazioni di opzioni diverse

(call e  put ) con stesso prezzo di esercizio  X e scadenza T . In un bottom straddle 

entrambe le opzioni vengono acquistate (Figura 5.13). È chiaro che chi sceglie

questa strategia scommette sulla volatilità dell’attività sottostante, poiché in

cambio di un premio iniziale pagato per acquistare le due opzioni sarà felice se il

prezzo S subirà un tracollo o un’impennata. Al contrario, in un top straddle si

cedono l’opzione call e l’opzione  put  e contro l’incasso immediato dei premi

Π

 X 1 X 2 X 3 S

 X S

T 1

T 2 

Π MAX = X 2 – X 1 Π MAX  

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

279

relativi si spera in futuro che il prezzo del titolo non si discosti molto dallo strike

 price.

Figura 5.13 – Payoff a scadenza Π  associato ai contratti straddle.

  Bottom straddle Top straddle

Lo strangle è molto simile allo straddle, ma le opzioni contenute nel contratto

hanno prezzi di esercizio diversi (si veda la Figura 5.14). Si tratta di una strategia

quindi meno rischiosa rispetto allo straddle, che comporta un investimento minore

per il bottom strangle (contro un payoff a scadenza più contenuto fissato il prezzo

di esercizio fra  X 1 e  X 2) e una possibile perdita più contenuta per il top strangle 

(contro un incasso minore del premio iniziale). Maggiore è la differenza fra gli

strike prices, minore sarà il valore del contratto.

Figura 5.14 – Payoff a scadenza Π  associato ai contratti strangle.

  Bottom strangle Top strangle

 X S

Π

Π

 X S

Π

Π

 X 1  X 2 S

 X 1  X 2 S

 X 

 –X 

 X 1

 –X 1 

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

280

Infine, abbiamo i contratti strap, anche essi simili agli straddle, ma che consentono

al detentore di vendere ad un certo prezzo di esercizio una quantità di titoli, oppure

di acquistarne allo stesso prezzo una quantità doppia, e i contratti strip, che al

contrario consentono al detentore di acquistare ad un certo prezzo di esercizio unaquantità di titoli, oppure di venderne allo stesso prezzo una quantità doppia. Il

valore di uno strap è uguale alla somma di una put e di due call corrispondenti. Al

contrario, uno strip può essere scomposto in una call e due put .

Figura 5.15 – Payoff a scadenza Π  associato ai contratti strip e strap.

Strip Strap

Per quanto riguarda le opzioni esotiche, fra cui le barrier options già anticipate nel

Paragrafo 5.2.5.1, possiamo citare diversi esempi. Esistono le binary options (o 

digital options), in cui il  payoff a scadenza può assumere solo due valori: zero senon viene esercitata l’opzione, un valore fisso pari a P se viene esercitata (si veda

la Figura 5.16). Nelle chooser options l’investitore ha facoltà di decidere, in istanti

di tempo predeterminati, se l’opzione che possiede è una call o una  put . Le

compound options sono opzioni la cui attività sottostante è un’altra opzione

(opzioni su opzioni quindi).

Per queste opzioni non si può ricorrere al semplice metodo di Black e Scholes, ma

esistono strumenti di valutazione più complessi, a volte basati sugli alberi

binomiale (o anche trinomiali) o sulle simulazioni, attraverso pacchetti software

specifici come Matlab.

 X S

Π

 X S

Π

2· X   X 

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

281

Figura 5.16 – Payoff a scadenza Π  associato ad una binary option.

 Binary option

•  Esempio

Si vuole progettare dei portafogli in cui siano incluse opzioni su un titolo che oggiha un valore S0 pari a 8€. La volatilità del rendimento σ è pari al 12%. Il tasso risk 

 free di mercato composto nel continuo r è pari al 2,5%. Si tratta di costruire:

1) un bull vertical spread a scadenza T due anni, con payoff massimo pari a 5€;

2) un butterfly spread con payoff massimo pari a 3€;

3) un bottom straddle e uno strap con prezzo di esercizio 9€;

4) un bottom strangle, con prezzi di esercizio 7€ e 9€.

Per quanto riguarda il bull vertical spread , dobbiamo scegliere due opzioni con

prezzi di esercizio tali che la loro differenza è pari a 5€ (ad esempio, 11€ e 6€).

Si tratterà di acquistare un’opzione call con prezzo di esercizio 6€ e venderel’opzione call con prezzo d’esercizio 11€. L’investimento necessario I 1 sarà pari a:

 I 1 = c(S0=8€, r =2,5%, T =2, σ=12%, X =6€) – c(S0=8€, r =2,5%, T =2, σ=12%, X =11€)

Utilizzando la formula di Black & Scholes si ottiene un ‘costo’  I 1 pari a 2,265€

Il butterfly spread può essere costruito con opzioni call con prezzi di esercizio pari

a 6€, 9€ e 12€. Infatti, il  payoff massimo desiderato (3€) sarà pari alla differenza

fra gli strike prices della prima e seconda (o seconda e terza) opzione.

Si tratterà di acquistare un’opzione call con strike price 6€, vendere 2 opzioni call 

con strike price 9€ e comprare una call con strike price 12€.

L’investimento necessario I 2 è:

 X S

Π

P

 

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

282

 I 2 = c(S0, r , T , σ, X =6€) – 2·c(S0, r , T , σ, X =9€) + c(S0, r , T , σ, X =12€) = 1,668€

Il bottom straddle si costruisce comprando un’opzione call e la corrispondente

opzione put , con strike price 9€. L’investimento necessario I 3 è:

 I 3 = c(S0, r , T , σ, X =9€) + p(S0, r , T , σ, X =9€) = 1,207€Dal teorema di parità put-call  I 3 è anche pari a:

 I 3 = 2·c(S0, r , T , σ, X =9€) + VA( X =9€) – S0 = 1,207€

Lo strap è un portafoglio simile al bottom straddle, ma composto da due opzioni

call:

 I 3 = 2·c(S0, r , T , σ, X =9€) + p(S0, r , T , σ, X =9€) = 1,530€

Infine, il bottom strangle comporterà un investimento I 4 certamente più contenuto

rispetto al corrispondente straddle e pari a:

 I 4 = c(S0, r , T , σ, X =9€) + p(S0, r , T , σ, X =7€) = 0,412€

5.3.6 Opzioni reali di investimento

Il calcolo del valore attuale netto (VAN) risulta inadeguato per la valutazione di

progetti di investimento caratterizzati da forte incertezza nella previsione dei flussi

di cassa attesi e nella quantificazione del rischio, a maggior ragione questo è vero

se la fluidità del progetto è elevata e il suo successo dipende da scelte future

discrezionali. Ipotizzare che il management  abbia un ruolo passivo dopo la

realizzazione dell’investimento non permette di cogliere le opportunità (o opzioni

reali) che sono legate all’investimento stesso, come la possibilità che il progetto

possa modificarsi in alcuni aspetti quali i costi effettivi o le modalità di

finanziamento, anche in risposta a fatti inaspettati.

•  Il segnalibro

Le diverse tipologie di opzioni reali, fra cui le opzioni strategiche, sono descritte

nel Volume ‘Gestire le Risorse dell’Impresa’, Capitolo 4, Paragrafo 4.1.7.

La tecnica di attualizzazione dei flussi di cassa attesi non considera, dunque, che il

manager  è di fatto un gestore di attività reali, e di conseguenza è in grado di

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

283

rispondere ai cambiamenti del mercato, di operare scelte strategiche che

consentono di trarre benefici dall’evoluzione positiva dello scenario e al contempo

di intervenire per contenere le conseguenze negative di una evoluzione sfavorevole

delle variabili incidenti sul valore del progetto.I progetti di investimento incorporano dunque delle opzioni reali, esercitabili dal

management  nel momento più opportuno, il cui valore può essere ricavato dai

modelli esaminati.

•  Il punto

Obbligazioni convertibili e indicizzate, warrant , garanzie su finanziamenti, titoli

derivati atipici, opzioni reali di investimento, …, in tutti questi ambiti la teoria

delle opzioni è in grado di fornire un prezioso strumento di analisi.

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

284

Appendice – Le Tabelle di Black & Scholes (1)

Valore di un’opzione call in percentuale rispetto al valore S0 dell’attività sottostante.

Valore dell’attività sottostante / Valore attuale del prezzo di esercizio S0 / VA(X)0.40 0.45 0.50 0.55 0.60 0.65 0.70 0.75 0.80 0.82 0.84 0.86 0.88 0.90 0.92 0.94 0.96 0.98 1.00

0.05 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.01 0.03 0.10 0.27 0.60 1.16 1.99

0.10 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.01 0.05 0.10 0.18 0.31 0.51 0.79 1.18 1.69 2.32 3.09 3.99

0.15 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.01 0.05 0.18 0.50 0.72 0.99 1.33 1.75 2.25 2.83 3.49 4.24 5.07 5.98

0.20 0.00 0.00 0.00 0.01 0.04 0.14 0.35 0.77 1.48 1.86 2.30 2.80 3.36 3.99 4.67 5.42 6.22 7.07 7.97

0.25 0.00 0.01 0.03 0.09 0.24 0.53 1.03 1.78 2.83 3.34 3.90 4.50 5.16 5.86 6.60 7.38 8.21 9.06 9.95

0.30 0.01 0.05 0.15 0.35 0.70 1.25 2.04 3.10 4.42 5.02 5.66 6.33 7.05 7.79 8.57 9.37 10.20 11.05 11.92

0.35 0.08 0.20 0.44 0.84 1.44 2.26 3.33 4.63 6.15 6.82 7.52 8.24 8.99 9.76 10.55 11.36 12.19 13.04 13.89

0.40 0.23 0.50 0.94 1.58 2.43 3.52 4.82 6.32 7.99 8.70 9.43 10.19 10.96 11.75 12.55 13.36 14.18 15.01 15.85

0.45 0.54 1.00 1.67 2.55 3.66 4.96 6.45 8.10 9.89 10.63 11.39 12.16 12.95 13.74 14.54 15.35 16.16 16.98 17.80

0.50 1.01 1.70 2.61 3.74 5.06 6.55 8.20 9.97 11.83 12.59 13.37 14.15 14.94 15.73 16.53 17.33 18.13 18.94 19.74

0.55 1.68 2.61 3.75 5.09 6.61 8.26 10.03 11.88 13.80 14.57 15.36 16.14 16.93 17.72 18.52 19.31 20.10 20.88 21.67

0.60 2.53 3.69 5.06 6.60 8.27 10.05 11.91 13.83 15.78 16.57 17.35 18.14 18.92 19.71 20.49 21.27 22.04 22.82 23.58

0.65 3.55 4.95 6.51 8.22 10.03 11.91 13.84 15.80 17.77 18.56 19.35 20.13 20.91 21.68 22.45 23.22 23.98 24.73 25.48

0.70 4.74 6.34 8.08 9.93 11.85 13.82 15.80 17.79 19.77 20.55 21.33 22.11 22.88 23.64 24.40 25.15 25.90 26.64 27.37

0.75 6.07 7.86 9.76 11.72 13.73 15.76 17.78 19.78 21.76 22.54 23.31 24.08 24.84 25.59 26.34 27.07 27.80 28.52 29.23

0.80 7.52 9.48 11.51 13.58 15.65 17.72 19.77 21.78 23.74 24.52 25.28 26.04 26.79 27.52 28.25 28.98 29.69 30.39 31.080.85 9.08 11.19 13.33 15.48 17.61 19.71 21.76 23.77 25.72 26.48 27.24 27.98 28.72 29.44 30.15 30.86 31.56 32.24 32.92

0.90 10.74 12.97 15.20 17.41 19.58 21.70 23.76 25.75 27.68 28.43 29.18 29.91 30.63 31.34 32.04 32.72 33.40 34.07 34.73

0.95 12.47 14.81 17.12 19.37 21.57 23.69 25.75 27.72 29.63 30.37 31.10 31.81 32.52 33.21 33.90 34.57 35.23 35.88 36.52

1.00 14.27 16.70 19.06 21.35 23.56 25.68 27.73 29.68 31.56 32.28 33.00 33.70 34.39 35.07 35.74 36.39 37.04 37.67 38.29

1.05 16.13 18.62 21.03 23.34 25.55 27.67 29.69 31.62 33.47 34.18 34.88 35.57 36.24 36.90 37.55 38.19 38.82 39.44 40.04

1.10 18.03 20.58 23.01 25.33 27.54 29.65 31.65 33.55 35.35 36.05 36.74 37.41 38.07 38.72 39.35 39.97 40.58 41.18 41.77

1.15 19.96 22.55 25.00 27.33 29.53 31.61 33.58 35.45 37.22 37.90 38.57 39.23 39.87 40.50 41.12 41.72 42.32 42.90 43.47

1.20 21.92 24.53 27.00 29.32 31.50 33.56 35.50 37.33 39.06 39.73 40.39 41.03 41.65 42.26 42.87 43.45 44.03 44.60 45.15

1.25 23.89 26.53 28.99 31.30 33.46 35.48 37.39 39.19 40.88 41.53 42.17 42.79 43.40 44.00 44.59 45.16 45.72 46.27 46.80

1.30 25.88 28.52 30.98 33.26 35.40 37.39 39.26 41.02 42.68 43.31 43.93 44.54 45.13 45.71 46.28 46.83 47.38 47.91 48.43

1.35 27.87 30.51 32.95 35.21 37.31 39.28 41.11 42.83 44.44 45.06 45.66 46.25 46.83 47.39 47.95 48.48 49.01 49.53 50.03

1.40 29.87 32.50 34.91 37.14 39.21 41.14 42.93 44.61 46.18 46.78 47.37 47.94 48.50 49.05 49.58 50.11 50.62 51.12 51.61

1.45 31.86 34.47 36.86 39.06 41.09 42.97 44.72 46.36 47.89 48.47 49.04 49.60 50.15 50.68 51.19 51.70 52.20 52.68 53.15

1.50 33.84 36.42 38.78 40.94 42.93 44.78 46.49 48.08 49.57 50.14 50.69 51.23 51.76 52.27 52.78 53.27 53.75 54.22 54.67

1.55 35.81 38.36 40.68 42.81 44.75 46.55 48.22 49.77 51.22 51.77 52.31 52.83 53.34 53.84 54.33 54.80 55.27 55.72 56.171.60 37.76 40.28 42.56 44.64 46.55 48.30 49.92 51.43 52.84 53.37 53.89 54.40 54.90 55.38 55.85 56.31 56.76 57.20 57.63

1.65 39.69 42.17 44.41 46.45 48.31 50.02 51.60 53.06 54.42 54.94 55.45 55.94 56.42 56.89 57.35 57.79 58.22 58.65 59.06

1.70 41.61 44.04 46.24 48.22 50.04 51.70 53.24 54.66 55.98 56.48 56.97 57.45 57.91 58.37 58.81 59.24 59.66 60.07 60.47

1.75 43.49 45.88 48.03 49.97 51.74 53.36 54.85 56.23 57.51 57.99 58.47 58.93 59.38 59.81 60.24 60.66 61.06 61.46 61.84

2.00 52.50 54.63 56.51 58.20 59.73 61.12 62.39 63.56 64.64 65.05 65.45 65.83 66.21 66.58 66.93 67.28 67.62 67.95 68.27

2.25 60.67 62.50 64.12 65.55 66.84 68.01 69.07 70.05 70.95 71.29 71.62 71.94 72.25 72.55 72.84 73.13 73.41 73.68 73.94

2.50 67.90 69.45 70.80 71.99 73.06 74.02 74.90 75.70 76.43 76.71 76.98 77.24 77.49 77.74 77.98 78.21 78.44 78.66 78.87

2.75 74.17 75.45 76.55 77.53 78.40 79.18 79.89 80.54 81.13 81.35 81.57 81.78 81.98 82.18 82.37 82.56 82.74 82.92 83.09

3.00 79.51 80.54 81.43 82.22 82.91 83.54 84.10 84.62 85.09 85.27 85.44 85.60 85.77 85.92 86.07 86.22 86.36 86.50 86.64

3.50 87.63 88.27 88.83 89.31 89.73 90.12 90.46 90.77 91.06 91.16 91.27 91.37 91.46 91.56 91.65 91.74 91.82 91.91 91.99

4.00 92.95 93.32 93.64 93.92 94.16 94.38 94.58 94.76 94.92 94.98 95.04 95.10 95.15 95.21 95.26 95.31 95.36 95.40 95.45

4.50 96.20 96.40 96.57 96.73 96.86 96.98 97.08 97.18 97.27 97.30 97.33 97.36 97.39 97.42 97.45 97.48 97.50 97.53 97.56

5.00 98.06 98.17 98.26 98.34 98.40 98.46 98.52 98.57 98.61 98.63 98.65 98.66 98.68 98.69 98.71 98.72 98.73 98.75 98.76

   D  e  v   i  a  z   i  o  n  e  s   t  a  n   d  a  r   d  x   R  a   d   i  c  e  q  u  a   d  r  a   t  a   d  e   l   l  a  s  c  a   d  e  n  z  a

     σ         √

   T

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

285

Appendice – Le Tabelle di Black & Scholes (2)

Valore di un’opzione call in percentuale rispetto al valore S0 dell’attività sottostante.

Valore dell’attività sottostante / Valore attuale del prezzo di esercizio S0 / VA(X)1.02 1.04 1.06 1.08 1.10 1.12 1.14 1.16 1.18 1.20 1.25 1.30 1.35 1.40 1.45 1.50 1.75 2.00 2.50

0.05 3.11 4.45 5.95 7.54 9.14 10.73 12.29 13.80 15.25 16.67 20.00 23.08 25.93 28.57 31.03 33.33 42.86 50.00 60.00

0.10 5.01 6.13 7.34 8.63 9.96 11.32 12.70 14.07 15.44 16.79 20.04 23.09 25.93 28.57 31.03 33.33 42.86 50.00 60.00

0.15 6.95 7.99 9.07 10.20 11.36 12.55 13.76 14.97 16.19 17.41 20.40 23.29 26.04 28.63 31.06 33.35 42.86 50.00 60.00

0.20 8.91 9.88 10.90 11.93 12.99 14.07 15.16 16.26 17.36 18.46 21.19 23.85 26.43 28.89 31.24 33.46 42.87 50.00 60.00

0.25 10.86 11.80 12.76 13.73 14.72 15.72 16.72 17.73 18.74 19.75 22.27 24.73 27.13 29.44 31.66 33.78 42.94 50.01 60.00

0.30 12.81 13.72 14.63 15.56 16.49 17.43 18.37 19.32 20.26 21.20 23.53 25.83 28.06 30.23 32.32 34.32 43.13 50.07 60.01

0.35 14.76 15.63 16.51 17.40 18.29 19.18 20.07 20.96 21.85 22.73 24.92 27.07 29.16 31.20 33.16 35.06 43.47 50.22 60.03

0.40 16.70 17.54 18.39 19.25 20.10 20.95 21.80 22.64 23.49 24.32 26.39 28.42 30.39 32.30 34.16 35.95 43.95 50.47 60.09

0.45 18.62 19.45 20.27 21.09 21.91 22.73 23.54 24.35 25.15 25.95 27.91 29.83 31.69 33.51 35.26 36.96 44.57 50.83 60.21

0.50 20.54 21.34 22.14 22.93 23.72 24.51 25.29 26.06 26.83 27.59 29.46 31.29 33.06 34.78 36.45 38.06 45.30 51.31 60.41

0.55 22.45 23.23 24.00 24.77 25.53 26.29 27.04 27.78 28.52 29.25 31.04 32.78 34.47 36.11 37.69 39.23 46.13 51.88 60.67

0.60 24.34 25.10 25.85 26.59 27.33 28.06 28.78 29.50 30.21 30.91 32.62 34.29 35.91 37.47 38.98 40.44 47.03 52.53 61.01

0.65 26.22 26.96 27.69 28.41 29.12 29.83 30.52 31.21 31.90 32.57 34.22 35.82 37.36 38.86 40.30 41.70 47.99 53.26 61.42

0.70 28.09 28.80 29.51 30.21 30.90 31.58 32.26 32.92 33.58 34.23 35.81 37.35 38.83 40.26 41.65 42.98 49.00 54.04 61.90

0.75 29.94 30.63 31.32 32.00 32.67 33.33 33.98 34.62 35.25 35.88 37.41 38.88 40.31 41.68 43.01 44.29 50.05 54.88 62.43

0.80 31.77 32.44 33.11 33.77 34.42 35.06 35.69 36.31 36.92 37.52 39.00 40.42 41.78 43.11 44.38 45.61 51.12 55.75 63.010.85 33.58 34.24 34.89 35.52 36.15 36.77 37.38 37.98 38.57 39.16 40.58 41.94 43.26 44.53 45.75 46.93 52.22 56.66 63.63

0.90 35.38 36.01 36.64 37.26 37.87 38.47 39.06 39.64 40.21 40.77 42.14 43.46 44.73 45.95 47.13 48.26 53.34 57.60 64.30

0.95 37.15 37.77 38.38 38.98 39.57 40.15 40.72 41.28 41.84 42.38 43.70 44.97 46.19 47.37 48.50 49.59 54.47 58.56 64.99

1.00 38.90 39.51 40.10 40.68 41.25 41.81 42.36 42.91 43.44 43.97 45.24 46.47 47.65 48.78 49.87 50.92 55.60 59.53 65.71

1.05 40.64 41.22 41.79 42.36 42.91 43.45 43.99 44.51 45.03 45.54 46.77 47.96 49.09 50.18 51.23 52.24 56.74 60.51 66.45

1.10 42.35 42.91 43.47 44.01 44.55 45.08 45.59 46.10 46.60 47.09 48.28 49.43 50.52 51.57 52.58 53.55 57.88 61.51 67.21

1.15 44.03 44.58 45.12 45.65 46.17 46.68 47.18 47.67 48.15 48.63 49.78 50.88 51.93 52.95 53.92 54.85 59.02 62.50 67.98

1.20 45.69 46.23 46.75 47.26 47.76 48.26 48.74 49.22 49.68 50.14 51.25 52.31 53.33 54.31 55.24 56.14 60.15 63.50 68.77

1.25 47.33 47.85 48.35 48.85 49.33 49.81 50.28 50.74 51.19 51.63 52.71 53.73 54.71 55.65 56.56 57.42 61.28 64.50 69.56

1.30 48.94 49.44 49.93 50.41 50.88 51.34 51.80 52.24 52.68 53.10 54.14 55.13 56.08 56.98 57.85 58.69 62.40 65.49 70.35

1.35 50.53 51.01 51.49 51.95 52.41 52.85 53.29 53.72 54.14 54.55 55.55 56.51 57.42 58.29 59.13 59.93 63.50 66.48 71.15

1.40 52.09 52.55 53.01 53.46 53.90 54.34 54.76 55.17 55.58 55.98 56.94 57.86 58.74 59.58 60.39 61.16 64.60 67.46 71.95

1.45 53.62 54.07 54.52 54.95 55.38 55.79 56.20 56.60 56.99 57.38 58.31 59.20 60.05 60.86 61.63 62.38 65.68 68.43 72.74

1.50 55.12 55.56 55.99 56.41 56.82 57.22 57.62 58.01 58.38 58.76 59.65 60.51 61.33 62.11 62.86 63.57 66.75 69.39 73.54

1.55 56.60 57.02 57.44 57.84 58.24 58.63 59.01 59.38 59.75 60.11 60.97 61.80 62.59 63.34 64.06 64.75 67.81 70.34 74.321.60 58.05 58.46 58.86 59.25 59.63 60.01 60.38 60.74 61.09 61.43 62.27 63.06 63.82 64.55 65.24 65.90 68.84 71.28 75.10

1.65 59.47 59.86 60.25 60.63 61.00 61.36 61.71 62.06 62.40 62.74 63.54 64.31 65.04 65.73 66.40 67.04 69.87 72.21 75.88

1.70 60.86 61.24 61.61 61.98 62.34 62.68 63.03 63.36 63.69 64.01 64.78 65.52 66.23 66.90 67.54 68.15 70.87 73.12 76.64

1.75 62.22 62.59 62.95 63.30 63.64 63.98 64.31 64.63 64.95 65.26 66.00 66.71 67.39 68.04 68.65 69.24 71.86 74.02 77.40

2.00 68.58 68.89 69.19 69.48 69.76 70.04 70.31 70.58 70.84 71.10 71.71 72.30 72.85 73.38 73.89 74.37 76.50 78.26 81.00

2.25 74.20 74.45 74.69 74.93 75.17 75.39 75.62 75.83 76.05 76.26 76.76 77.23 77.68 78.11 78.52 78.92 80.64 82.06 84.27

2.50 79.08 79.28 79.48 79.67 79.86 80.05 80.23 80.40 80.57 80.74 81.15 81.53 81.89 82.24 82.57 82.88 84.26 85.40 87.16

2.75 83.25 83.42 83.57 83.73 83.88 84.03 84.17 84.31 84.45 84.58 84.90 85.21 85.50 85.77 86.03 86.28 87.38 88.28 89.67

3.00 86.77 86.90 87.02 87.15 87.26 87.38 87.49 87.60 87.71 87.82 88.07 88.31 88.54 88.75 88.96 89.16 90.01 90.72 91.80

3.50 92.07 92.14 92.22 92.29 92.36 92.43 92.50 92.57 92.63 92.69 92.84 92.99 93.12 93.25 93.37 93.49 94.00 94.41 95.05

4.00 95.49 95.54 95.58 95.62 95.66 95.70 95.74 95.78 95.81 95.85 95.94 96.02 96.09 96.16 96.23 96.30 96.59 96.82 97.18

4.50 97.58 97.60 97.63 97.65 97.67 97.69 97.71 97.73 97.75 97.77 97.82 97.86 97.90 97.94 97.98 98.01 98.16 98.29 98.48

5.00 98.77 98.78 98.79 98.81 98.82 98.83 98.84 98.85 98.86 98.87 98.89 98.91 98.93 98.95 98.97 98.99 99.07 99.13 99.23

   D  e  v   i  a  z   i  o  n  e  s   t  a  n   d  a  r   d  x   R  a   d   i  c  e  q  u  a   d  r  a   t  a   d  e   l   l  a

  s  c  a   d  e  n  z  a

     σ         √

   T

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5. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DAL RISCHIO

286

Appendice – Valori della funzione di distribuzione normale cumulata

 N ( x)=

Si ricorda che:  N (– x) = 1 – N ( x)

Secondo decimale

   U  n   i   t   à  e  p  r   i  m  o   d  e  c   i  m  a   l  e

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287

6. OPERAZIONI DI FINANZA STRAORDINARIA

Le strategie aziendali implicano a volte il ricorso a operazioni di caratterestraordinario che rappresentano eventi rilevanti non solo dal punto di vista

finanziario, ma anche dal punto di vista degli assetti proprietari dell’impresa. In

questo Capitolo analizzeremo diverse fra queste operazioni, dalle più consistenti

(fusioni e acquisizioni) fino alle più marginali.

6.1 Acquisizioni

Un’acquisizione è un’operazione attraverso la quale un’impresa rileva il capitale,

in maggioranza o nella sua totalità, di un’altra impresa. In realtà nella casistica

delle acquisizioni (M&A, mergers and acquisitions) vengono spesso considerateanche operazioni nelle quali un’impresa acquista una quota di minoranza del

capitale di un’altra, o perché intravede la possibilità di un buon investimento

finanziario, o per altri motivi di ordine strategico (alleanze,  joint ventures, accordi

fra imprese).

L’acquisizione è una forma di crescita esterna, nel senso che l’impresa accresce le

proprie risorse acquisendole attraverso altre imprese, piuttosto che generandole

internamente. Le determinanti di una acquisizione possono essere la ricerca di

economie di scala o di scopo, piuttosto che economie di integrazione nella catena

del valore, piuttosto che la ricerca di risorse complementari rispetto a quelleesistenti.

•  Il segnalibro

Le strategie di integrazione delle attività dell’impresa a monte o a valle della catena

produttiva sono discusse nel Volume ‘Gestire le Risorse dell’Impresa’, Capitolo 5,

Paragrafo 5.2.3.

A tale proposito le acquisizioni si distinguono in: (i) orizzontali, se riguardano

imprese operanti nello stesso business (e quindi potenzialmente concorrenti), (ii)

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6. OPERAZIONI DI FINANZA STRAORDINARIA

288

verticali, se riguardano imprese operanti a valle o a monte della catena del valore,

(iii) conglomerali, se riguardano imprese il cui business è scorrelato. Nel primo

caso i benefici sono essenzialmente legati alla possibilità di ampliare il mercato

servito e la gamma prodotti, nonché il potere di mercato (a meno di disposizioni

anti-trust ) e al conseguimento di economie di scala. Ad esempio, quando un

gruppo bancario ne acquisisce un altro, viene a disporre di una rete più estesa di

sportelli sul territorio, eredita un portafoglio clienti e – purtroppo per i diretti

interessati – si possono ottenere economie di scala attraverso il taglio di funzioni

aziendali prima duplicate. Nel caso delle acquisizioni verticali, le determinanti

sono essenzialmente le economie di integrazione, rispetto all’impresa che decide di

internalizzare funzioni di approvvigionamento piuttosto che di distribuzione del

proprio prodotto. Nel caso delle acquisizioni conglomerali, i maggiori benefici

sono legati alla diversificazione del business, e ad eventuali economie di scopo.

•  Il segnalibro

Cause ed effetti delle economie di scopo e delle economie di scala sono trattate nel

Volume ‘Gestire le Risorse dell’Impresa’, Capitolo 3, Paragrafo 3.1.

L’acquisizione può essere condotta in porto per trattativa diretta con i proprietari

oppure passando attraverso il mercato finanziario. In questo ultimo caso, l’impresa

acquirente (bidder ) può rastrellare le azioni della società target  in Borsa, oppure

lanciare un’Offerta Pubblica d’Acquisto rivolta agli azionisti. In questo casol’acquisizione può essere o accolta favorevolmente dagli azionisti e dal

management  della società target , oppure può essere giudicata ostile (hostile

takeover ), in particolare se è finalizzata ad ottenere il controllo dell’impresa. I

managers, molto più spesso degli azionisti, sono decisamente avversi alle

acquisizioni condotte da un raider esterno all’impresa, perché molto probabilmente

potrebbero essere sostituiti dai nuovi futuri soggetti controllanti con altri

amministratori di fiducia.

Nel caso venga lanciata un’offerta pubblica, agli azionisti della società target viene

proposto di consegnare le loro azioni alla società bidder , in cambio di liquidità o di

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6. OPERAZIONI DI FINANZA STRAORDINARIA

289

altri titoli finanziari (generalmente azioni, oppure obbligazioni emesse dalla società

bidder stessa).

6.1.1 Valutazione di un’acquisizione

Per verificare se un’acquisizione è conveniente per un’impresa, bisogna

considerare le seguenti variabili:

V  B = valore di mercato dell’equity della società bidder ;

n B = numero di azioni che compongono il capitale della società bidder ;

V T = valore dell’equity della società target ;

nT = numero di azioni che compongono il capitale della società target ;

∆V = creazione di valore netto attesa dalla società bidder attraverso l’acquisizione.

Particolare attenzione deve essere posta nel considerare correttamente V T . Spesso,

infatti, l’aspettativa di una possibile acquisizione spinge la quotazione delle azioni

della società target verso l’alto, così da incrementarne la capitalizzazione di borsa.

In realtà distingueremo fra:

V T = valore dell’equity della società target ‘considerata da sola’;

T V ′ = valore corrente di mercato dell’equity della società target , sotto possibili

aspettative di acquisizione.

Supponiamo che la società bidder  intenda acquisire la target offrendo liquidità  L 

pronta cassa. Il costo C dell’acquisizione per la società bidder può essere valutato

dalla differenza fra la liquidità L offerta agli azionisti della società target in cambio

delle loro azioni, e il valore V T . Tale valore sarà sempre positivo, perché altrimentinessun azionista della target aderirebbe all’offerta.

C = L – V T 

Il costo C può essere scomposto in due aggregati: il costo apparente C a (ovvero il

premio di prezzo offerto dall’impresa bidder rispetto al valore corrente di mercato

del titolo) e C  p, ovvero il premio già attribuito dal mercato agli azionisti della

target . Considerando solo il costo apparente C a, l’impresa bidder sottostimerebbe il

costo reale dell’acquisizione, perché si appresta a comprare delle attività il cui

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6. OPERAZIONI DI FINANZA STRAORDINARIA

290

valore ‘vero’ dopo l’operazione sarà rispecchiato da V T , e non da T V ′ . Il premio C  p 

invece rispecchia l’incremento di valore già ottenuto dagli azionisti della target ,

rispetto alle aspettative di una possibile acquisizione.

C = ( L – T V ′ ) + ( T V ′ – V T ) = C a + C  p 

L’acquisizione risulterà conveniente per la società bidder se e solo se la creazione

di valore ∆V sarà superiore rispetto al costo reale dell’acquisizione:

∆V > C  

In altre parole, si tratta di capire in che misura le due imprese, la bidder e la target ,

riusciranno a impossessarsi della creazione di valore netto attesa ∆V . Una frazione

di questa ricchezza è già stata attribuita dal mercato agli azionisti della target (la

frazione C  p) solo per l’eventuale aspettativa dell’acquisizione. È chiaro che se

l’acquisizione non va in porto, tale ricchezza sarà annullata dal mercato, poiché la

capitalizzazione di borsa della società target si ridimensionerà. La frazione C a sarà

attribuita, nell’eventualità dell’acquisizione, ancora agli azionisti della target . La

differenza invece fra ∆V e C sarà di competenza degli azionisti della società bidder ,

e sarà tanto più elevata quanto più è facile convincere gli azionisti della società

target  a vendere le loro azioni. Teoricamente, infatti, questi ultimi potrebbero

estrarre, oltre a C a e C  p, anche la differenza residua rispetto a ∆V  dichiarandosi

disponibili a vendere il capitale solo al prezzo  L̂ pari a:

 L̂ = V T + ∆V – ε con ε > 0

In tal caso si avrebbe il massimo incremento di ricchezza per gli azionisti della

target , pari a ∆V – ε, mentre si avrebbe il minimo incremento di ricchezza per i

proprietari della bidder , pari a ε. L’effettivo equilibrio finale dipende dunque

dall’elasticità della funzione di offerta sul mercato dei titoli della società target . 

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6. OPERAZIONI DI FINANZA STRAORDINARIA

291

Supponiamo ora che l’acquisizione avvenga con uno scambio di azioni, ovvero

venga offerto agli azionisti della target di consegnare le loro azioni in cambio di

titoli di nuova emissione della società bidder . In tal caso l’operazione non è

finanziata con liquidità, ma con un concambio di azioni. Il rapporto di concambio,

ovvero il numero di azioni della bidder  offerto per ogni azione della target  

consegnata, viene stabilito sulla base del valore corrente di mercato  p B e  pT  delle

azioni delle due imprese:

 B

 B B

n

V  p =  

T T 

n

V  p

′=  

In particolare, per acquisire la totalità delle azioni della target  dovranno essere

emesse  Bn̂ nuove azioni:

 Bn̂ = B

 p

V ′=

 B

 p

 p· nT  

Se il rapporto di concambio α rispetta la valutazione del mercato, esso dovrà

valere:

α =T 

 B

n

n̂=

 B

 p

 p 

Dopo un eventuale successo dell’acquisizione, gli ex azionisti della target  

deterranno  Bn̂ azioni della società bidder , e i ‘vecchi’ azionisti ne deterranno

ancora n B. Il costo C  dell’acquisizione, nell’ottica della società bidder , in questo

caso sarà dato da:

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6. OPERAZIONI DI FINANZA STRAORDINARIA

292

C =  Bn̂ ·  p B – V T  

Infatti, si tratta di valutare la differenza fra il valore dell’impresa target  e la

frazione dell’equity dell’impresa bidder ceduta a chi aderisce all’offerta. Bisognaperò osservare che il costo dell’acquisizione C  è un costo che potrebbe risultare

solo apparente. Non è detto infatti che dopo l’acquisizione il valore di mercato dei

titoli della società bidder   p B rimanga tale. Anzi, dal momento che l’acquisizione

crea valore, la cosa più naturale è che esso valga di più, in maniera da rispecchiare

il maggiore valore della società bidder dopo l’integrazione con la target , che però

si suddivide su un numero di azioni in circolazione maggiore. Possiamo dunque

stimare il ‘vero’ valore delle azioni  B p′ come il rapporto fra il valore atteso

dell’impresa dopo l’integrazione, sul numero totale di azioni:

 B p′ = B B

T  B

nn

V V V 

ˆ+

∆++ 

Il costo reale C ′ dell’operazione sarà dunque:

C ′ =  Bn̂ ·  B p′ – V T  

L’acquisizione risulterà conveniente per gli azionisti della società bidder  se il

valore del portafoglio che detengono dopo l’acquisizione, pari a una frazione

n B /(n B+  Bn̂ ), è maggiore di quello che detenevano prima dell’acquisizione (ovvero

il 100% di V  B):

 B B

 B

nn

n

ˆ+· (V  B + V T + ∆V ) > V  B 

La disuguaglianza precedente si può riscrivere e semplificare in questa forma:

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6. OPERAZIONI DI FINANZA STRAORDINARIA

293

∆V > T V ′ – V T  

È interessante quindi osservare che anche nel caso di acquisizione finanziata con

titoli, se il concambio rispetta i valori correnti di mercato, la convenienza per lasocietà bidder di acquistare la target discende dalla creazione attesa di valore, che

deve essere superiore alla ‘perdita di valore’ relativa al fatto che si appresta ad

acquistare al prezzo T V ′ qualcosa che in realtà vale V T . La stessa relazione dimostra

che teoricamente anche in questo caso gli azionisti della società target  possono

estrarre tutta la creazione di valore attesa ∆V . Per loro cedere i titoli è sempre

conveniente, a meno che dopo l’integrazione non si verifichi una distruzione di

valore, invece di una creazione di valore positivo, che compensi il premio di prezzo

espresso da T V ′ rispetto a V T .

La differenza fondamentale dell’offerta di scambio rispetto all’offerta cash sta nelfatto che in quest’ultimo caso gli azionisti della target  liquidano il loro

investimento ed escono di scena. Nel primo caso invece essi diventano a tutti gli

effetti azionisti della bidder , senza uscire di scena. In un certo senso, essi

partecipano del ‘rischio’ dell’acquisizione poiché sono soggetti all’aleatorietà della

creazione di valore attesa ∆V , che potrà essere effettivamente realizzata oppure no.

Nel caso dell’offerta cash invece il loro incremento di ricchezza è certo, e

determinato dalla liquidità L.

•  Esempio

Un’impresa, il cui capitale è composto da un numero di azioni n B pari a 10 mln.,

che sul mercato quotano un prezzo  p B pari a 5€, intende acquistare il 100% delle

azioni di un’altra società, il cui capitale è composto da un numero nT  di azioni pari

a 8 mln., che sul mercato quotano un prezzo pT  pari a 2€. L’integrazione fra le due

imprese, secondo le stime degli analisti, dovrebbe generare un valore attuale netto

pari a 4 mln. €.

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6. OPERAZIONI DI FINANZA STRAORDINARIA

294

Appena si diffonde la voce della possibile acquisizione, il prezzo T  p′ sul mercato

schizza a 2,2€. La società bidder  viene allo scoperto e offre agli azionisti della

società target la possibilità di consegnare i loro titoli ad un prezzo p di 2,3€.

L’investimento totale L della società bidder è pari a: L = p · nT = 18,4 mln. €

I valori di capitalizzazione attuale V  B e T V ′ delle sue imprese sono:

V  B = p B · n B = 50 mln. €

T V ′ = T  p′ · nT = 17,6 mln. €

In realtà sappiamo che parte di questo valore è ‘gonfiato’ dalle aspettative di un

take-over . Il ‘vero’ valore dell’equity V T è pari a:

V T = pT  · nT = 16 mln. €

Il costo apparente dell’acquisizione C a è pari a:

C a = ( L – T V ′ ) = 0,8 mln. €

In realtà il costo ‘reale’ C dell’acquisizione è più elevato, perché il premio legato

alle aspettative dell’acquisizione non esisterà più dopo l’integrazione:

C = ( L – V T ) = 2,4 mln. €

L’acquisizione è comunque conveniente, perché la creazione di valore attesa, ∆V ,

pari a 4 mln. €, è maggiore rispetto al costo C. In particolare, la creazione di valore

sarà così suddivisa: 1,6 mln. € (pari a T V ′ - V T ) rappresentano la parte del valore di

cui si sono già appropriati gli azionisti della società target , grazie all’incremento

del valore di mercato dei loro titoli; 0,8 mln. € (ovvero il costo apparente C a)saranno ulteriormente attributi agli azionisti della target  attraverso l’adesione

all’offerta, per un totale di 2,4 mln. €; la rimanente parte 1,6 mln. € (pari alla

differenza fra ∆V e C ) sarà invece di pertinenza degli azionisti della società bidder .

Supponiamo ora che l’acquisizione sia finanziata con emissione di titoli della

bidder , offerti agli azionisti della target in cambio dei loro titoli. Affinché l’offerta

sia percepita come equivalente rispetto alla modalità precedente, sarà necessario

proporre un concambio α pari a:

α = B p

 p= 0,46

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6. OPERAZIONI DI FINANZA STRAORDINARIA

295

La proposta sarà quindi quella di ricevere 46 azioni della società bidder ogni 100

azioni della società target consegnate.

Le azioni di nuova emissione  Bn̂ saranno:

 Bn̂ = α · nT = 3,68 mln.Se tutti gli azionisti aderiscono all’offerta di scambio, il capitale della società

bidder , che controllerà il 100% della target , sarà posseduto per il 73,1% (pari a 10

mln. di azioni su 13,68 mln.) dai ‘vecchi’ azionisti, e per il 26,9% (pari a 3,68 mln.

di azioni su 13,68 mln.) dagli ex azionisti della target .

Il valore atteso dell’equity della società bidder dopo l’integrazione è pari a:

V  B + V T + ∆V = 70 mln. €

Il valore di mercato atteso dei titoli sarà superiore a prima, grazie alla creazione di

valore attesa ∆V :

 B p′ = B B

T  B

nn

V V V 

ˆ+

∆++= 5,17€

Il costo reale C ′ dell’acquisizione in questo caso sarà dunque:

C ′ =  Bn̂ ·  B p′ – V T = 3,0256 mln. €

Il costo è più elevato rispetto al caso precedente, in cui era offerta liquidità, perché

il rapporto di concambio è proposto sulla base del valore attuale  p B delle azioni

della bidder , e non sul loro valore teorico  B p′ .

In effetti, l’incremento del valore di portafoglio per i ‘vecchi’ azionisti della

bidder , coerentemente con le formule viste in precedenza, è pari a:

 B B

 B

nn

n

ˆ+· (V  B + V T + ∆V ) – V  B = 73,1% (70 mln. €) – 50 mln. € = 1,17 mln. €

L’incremento del valore di portafoglio per gli azionisti della target è invece pari a:

 B B

 B

nn

n

ˆ

ˆ

+· (V  B + V T + ∆V ) – V T  = 26,9% (70 mln. €) – 16 mln. € = 2,83 mln. €

La creazione di valore ∆V pari a 4 mln. € si suddividerà quindi fra le due categorie

di azionisti proprio in queste proporzioni.

Essendo il costo dell’acquisizione più elevato nel secondo caso, i ‘vecchi’ azionisti

della società bidder beneficeranno di un incremento di valore pari a solo 1,17 mln.

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6. OPERAZIONI DI FINANZA STRAORDINARIA

296

 €, contro 1,6 mln. € prevedibile nel caso dell’acquisizione finanziata con liquidità.

La differenza negativa nell’incremento di ricchezza coincide con la differenza

positiva dell’incremento del valore di portafoglio degli azionisti della bidder (2,83

mln. € contro 2,4 mln. €). Gli azionisti della società target  riescono quindi ad

estrarre una frazione maggiore del valore netto ∆V , grazie alla possibilità di

mantenere titoli, invece di essere liquidati. Si noti però che se per caso la creazione

di valore effettiva fosse minore alle aspettative, rimanendo azionisti della bidder  

probabilmente perderebbero ricchezza rispetto alla semplice cessione di titoli in

cambio di liquidità. Ovviamente, se invece la creazione di valore sarà maggiore ne

beneficeranno ulteriormente. Da questo punto di vista, essi partecipano al rischio

dell’acquisizione.

La modalità di finanziamento dell’acquisizione, oltre che influire sulla ricchezzadegli azionisti coinvolti, può inoltre avere un effetto segnaletico sul mercato.

Supponiamo infatti che il mercato non sia perfettamente efficiente, e che esistano

asimmetrie informative fra i managers della società bidder  e gli investitori. In

particolare, i managers hanno migliori informazioni sul valore effettivo della loro

impresa. Nel caso l’impresa sia sottovalutata dal mercato, è difficile che essi

propongano un’offerta di scambio titoli, in quanto dovrebbero cedere titoli a cui il

mercato attribuisce un valore minore del loro valore reale. Molto più facilmente

saranno disposti a finanziare un’acquisizione con titoli azionari se essi sono

sopravvalutati dal mercato. In tal caso, acquisterebbero titoli della società target  offrendo in cambio azioni il cui valore reale è inferiore rispetto alla percezione del

mercato. L’idea è assolutamente simmetrica al modello di Myers e Majluf,

considerato nel Paragrafo 4.4.3.3: l’emissione di titoli azionari sul mercato è

incoraggiata laddove essi siano sopravvalutati. L’acquisizione condotta con

un’offerta di scambio titoli, così come l’aumento di capitale, potrebbe così

segnalare al mercato che l’impresa è sopravvalutata, o quantomeno certamente non

sottovalutata.

Molto spesso, infatti, si è rilevato che il mercato borsistico reagisce male

all’annuncio di un’acquisizione finanziata con titoli azionari, penalizzando la

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6. OPERAZIONI DI FINANZA STRAORDINARIA

297

quotazione dei titoli della bidder . Al contrario, la reazione rispetto al prezzo di

borsa dei titoli della target  è quasi sempre positiva: essi infatti come si è visto

hanno la possibilità di estrarre al limite tutta la creazione di valore derivante

dall’acquisizione.

Il costo di un’acquisizione deve comunque essere valutato avendo ben presenti le

‘regole del gioco’ e soprattutto vincoli e obblighi imposti dalla legge.

6.1.2 Offerte pubbliche di acquisto (OPA)

Le offerte pubbliche sono rigidamente disciplinate dalle autorità di vigilanza

poiché l’impresa bidder si rivolge al pubblico indistinto dei risparmiatori, e quindi

è necessario garantire parità di trattamento agli investitori. Ad esempio, in Italia

può essere lanciata volontariamente un’Offerta Pubblica di Acquisto (OPA) oppure

un’Offerta Pubblica di Scambio (OPSc). Nel primo caso l’offerta viene finanziata

con liquidità, mentre nel secondo caso con titoli finanziari. L’offerta deve essere

preceduta dalla diffusione di adeguati documenti e prospetti informativi, ed

autorizzata dalla CONSOB (l’ente che in Italia vigila sul corretto funzionamento

dei mercati finanziari).

L’Offerta Pubblica può fallire se gli azionisti non aderiscono alla sollecitazione

dell’impresa bidder , o se le adesioni sono inferiori rispetto a quanto desiderato e

dichiarato come obiettivo minimale.

Se l’acquisizione invece riesce, la società target può rimanere quotata sul mercato

borsistico nel caso in cui il capitale flottante sia ancora sufficientemente elevato (ad

esempio, se una frazione consistente degli azionisti di minoranza non ha aderito

all’offerta). Se invece quasi tutti gli azionisti della target aderiscono all’offerta, e il

capitale flottante ancora in circolazione è trascurabile, la società viene cancellata

dal listino. In questo caso, la società bidder  può essere obbligata a lanciare una

ulteriore Offerta Pubblica Residuale, invitando una seconda volta gli azionisti di

minoranza a consegnare le loro azioni (solo in questa fase essi hanno

l’informazione che la società di cui sono azionisti non sarà più quotata in Borsa, e

quindi non sarà più così agevole in futuro liquidare i loro titoli).

L’impresa bidder è comunque obbligata a lanciare un’Offerta Pubblica successiva,

quando ottiene il controllo di una società quotata senza un’offerta volontaria

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6. OPERAZIONI DI FINANZA STRAORDINARIA

298

precedente. In Italia, ad esempio, se un soggetto ottiene il controllo di un’impresa

quotata possedendo almeno il 30% del capitale, deve lanciare un’offerta successiva

totalitaria sul 100% del capitale. L’idea è che anche gli altri azionisti non

controllanti debbano beneficiare del premio per il controllo incassato da quelli che

hanno ceduto il 30% del capitale al nuovo soggetto controllante, tanto è vero che il

prezzo dell’offerta viene imposto dalla CONSOB sulla base del prezzo di

acquisizione del pacchetto di controllo. Molto spesso però queste barriere vengono

aggirate attraverso l’acquisizione a monte delle società holding, nel cui portafoglio

azionario compare anche il pacchetto di controllo dell’impresa bidder 1.

6.1.3 Leveraged buy-out (LBO) e Management buy-out (MBO)

Un Leveraged buy-out (LBO) è un’acquisizione condotta in porto con un massiccio

impiego dell’indebitamento. Proprio per questo motivo il target  è spesso

un’impresa consolidata di grande dimensione, capace di generare significativi cash

 flows per poter poi ripagare dopo l’acquisizione il debito contratto dai raiders.

L’impresa bidder , rastrellate le azioni sul mercato e lanciata l’offerta di acquisto,

finanzia l’operazione tipicamente attraverso un prestito bancario di breve durata

(bridge loan) concordato con un  pool di finanziatori. Ottenuto il controllo della

società target , il debito viene sostituito con un prestito obbligazionario a lunga

durata. Non è raro che l’acquisizione venga formalmente condotta da una società di

apposita costituzione (si veda la Figura 6.1), che si fonde dopo l’acquisizione con

la società target . In tal modo l’elevato debito della società bidder viene ‘scaricato’

proprio sulla società target , il cui rating di solvibilità tende a peggiorare

significativamente.

Allorché un LBO viene condotto in porto dai managers stessi dell’impresa, che in

tale maniera intendono acquisire la proprietà dell’impresa stessa, esso viene

chiamato   Management Buy-Out (MBO). A volte un MBO viene deciso dai

1 Ad esempio, nel 2001 Telecom Italia è stata acquisita da una cordata guidata dal gruppoPirelli attraverso l’acquisizione a monte del pacchetto di controllo della societàlussemburghese Bell, azionista di riferimento di Olivetti, a sua volta azionista controllante

di Telecom Italia. In base alle norme in vigore, non si è dovuto procedere all’OPAsuccessiva né sul capitale Olivetti né sul capitale Telecom Italia.

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6. OPERAZIONI DI FINANZA STRAORDINARIA

299

managers per contrastare un’offerta ostile esterna, oppure per disaccordo rispetto

alle strategie dell’azionista controllante attuale.

Figura 6.1 – Schema di Leveraged buy-out. Situazione al lancio dell’offerta (a) e dopo

l’acquisizione in caso di fusione fra società target e bidder (b).

6.1.4 Tecniche di difesa dalle acquisizioni ostili

Nel caso in cui un’acquisizione non sia concordata con il management della società

target , sorge il problema per quest’ultima di difendersi dal tentativo di acquisizione

ostile (hostile take-over ). I metodi cui è possibile fare riferimento sono

principalmente tre: (i) rendere poco appetibile l’acquisizione, (ii) contrastare

l’acquisizione attraverso degli ‘alleati’, (iii) intraprendere la via giudiziaria.

Nel primo caso l’acquisizione può diventare poco appetibile o rendendola

eccessivamente costosa, oppure eliminando l’interesse dei raiders. Ciò può essere

ottenuto acquistando sul mercato azioni proprie (buyback ) per diminuire l’offerta di

 RaidersSocietàbidder 

Societàtarget 

 Bridge loan

Pool di istitutifinanziatori 

Offerta(a)

 Raiders

Societàbidder 

Societàtarget 

Prestitoobbligazionario

Mercato

(b)

Fusione

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6. OPERAZIONI DI FINANZA STRAORDINARIA

300

titoli (con ciò spingendo al rialzo il prezzo di mercato), oppure lanciando un

aumento di capitale, oppure facendo scattare alcune ‘trappole’, ad esempio

forzando la conversione di titoli convertibili, magari detenuti da investitori alleati

(in questo caso questi titoli vengono chiamati ‘ poison pills’ come se fossero degli

‘anticorpi’ emessi dall’impresa per proteggersi da scalate ostili), che

incrementando il capitale rendono più costosa l’acquisizione.

Spesso i managers esistenti si proteggono da eventuali defenestrazioni

introducendo clausole particolari nei loro contratti di lavoro (golden parachutes)

che rendono particolarmente costoso il loro licenziamento e la buonuscita. È

possibile anche introdurre dei vincoli statutari nel ricambio del consiglio di

amministrazione che rendono difficile inserire amministratori di fiducia una volta

ottenuta la maggioranza dei voti in assemblea dei soci.

Una ultima possibilità è procedere a operazioni di ristrutturazione interna, tese

eventualmente a dismettere le attività di elevato valore potenziale (crown jewels)

che sono nella mira dei raiders. Queste ultime tecniche sono però spesso ostacolate

dalla legge, che può imporre alla società oggetto di offerta pubblica di non

procedere con operazioni di rilevanza straordinaria per non turbare l’offerta.

Nel secondo caso viene spesso concordata una contro-offerta, lanciata da una

società alleata (white knight ) in contrapposizione a quella della società bidder .

L’offerta, per essere preferita dagli azionisti, deve in genere riguardare una

frazione maggiore del capitale e prevedere un prezzo di acquisto unitario delle

azioni più elevato. I raiders possono comunque rilanciare a loro volta, rendendo

ancora più ‘appetibili’ le condizioni della prima offerta.

Nel terzo caso viene invocata un’azione giudiziaria, atta a rendere nulla o ritardare

l’offerta. Spesso si chiama in causa la legislazione anti-trust , piuttosto che

l’autorità di protezione del mercato, invocando inadempienze procedurali o vizi di

forma negli adempimenti.

6.1.5 Buyback 

Un’operazione di buyback è l’acquisizione sul mercato da parte di un’impresa di

azioni proprie. Dal punto di vista finanziario, un buyback equivale ad un rimborso

parziale del capitale agli azionisti. Infatti, l’impresa ritira titoli dal mercato contro il

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6. OPERAZIONI DI FINANZA STRAORDINARIA

301

pagamento di liquidità: vi sono quindi alcuni investitori cui viene liquidato il

portafoglio. L’operazione è del tutto opposta ad un aumento di capitale a

pagamento, in cui l’impresa offre titoli al mercato, contro l’incasso di liquidità. Dal

punto di vista contabile, però, l’operazione equivale ad una riduzione del

patrimonio netto solo se le azioni proprie vengono successivamente annullate.

Vi sono diversi motivi per cui questa operazione può risultare conveniente.

Innanzitutto, attraverso un buyback la società può remunerare gli azionisti esistenti,

come se pagasse un dividendo. Se l’impresa è in eccesso di liquidità e non si

profilano investimenti profittevoli nel breve termine, il buyback  evita costi

opportunità e possibili distruzioni di valore per gli azionisti. In secondo luogo,

decidendo un buyback  i managers dell’impresa segnalano al mercato il proprio

ottimismo rispetto alle opportunità di crescita future dell’impresa, e la loro

convinzione che il valore di mercato è quantomeno sottovalutato. Nessun manager  

razionale acquisterebbe sul mercato azioni proprie sapendo che sono

sopravvalutate; nel momento in cui il mercato corregge la sua valutazione,

l’impresa realizzerebbe una minusvalenza. Questo è il motivo per cui spesso

l’annuncio di un buyback è associato ad una reazione positiva del mercato rispetto

al prezzo dell’azione. Oltre all’effetto di segnalazione, l’acquisto stesso delle azioni

incrementa la domanda del titolo sul mercato, con l’effetto di sostenerne la

quotazione.

Infine, attraverso un buyback  gli azionisti controllanti possono rafforzare la loro

influenza sull’impresa, evitando che i titoli riacquistati finiscano in mani

‘indesiderate’. Supponiamo che un azionista controlli un’impresa possedendo il

45% del capitale, e che la rimanente frazione sia diffusa presso il pubblico. Per

rafforzare il controllo, l’azionista può fare due cose: acquistare almeno un altro 5%

del capitale, raggiungendo la soglia del 50%, oppure decidere un buyback del 10%

del capitale. In questo secondo modo, senza sopportarne direttamente il costo che

invece ricade sull’impresa, l’azionista deterrà comunque il 50% delle azioni in

circolazione (cioè il 45% rispetto al 90% del capitale non auto-posseduto).

Le azioni proprie non danno diritto alla riscossione del dividendo, e proprio per

prevenire situazioni di ‘ingessatura’ del controllo in Italia è fissato un limite alla

loro detenzione nella misura del 10% del capitale.

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6. OPERAZIONI DI FINANZA STRAORDINARIA

302

•  Il punto

In un’acquisizione una società bidder acquista una quota, anche totalitaria, di una

società target . L’acquisizione può essere condotta sul mercato borsistico con

un’OPA oppure attraverso una trattativa privata, e può avere carattere amichevoleod ostile. Abbiamo visto come si valuta la convenienza di un’acquisizione

6.2 Fusioni

Un’acquisizione può procedere ad una successiva fusione fra l’impresa target  e

l’impresa bidder , come caso particolare di integrazione fra le due società.

Nel caso della fusione, giuridicamente una delle due società cessa di esistere,

perché incorporata nell’altra. L’operazione è molto semplice se la società

incorporante possiede il 100% dei titoli dell’incorporata; si tratta di sommare le

attività della controllata a quelle della società madre, eliminando dal bilancio diquest’ultima il valore di carico della partecipazione contro il patrimonio netto

dell’impresa che cessa di esistere. In caso contrario agli azionisti della società

incorporata viene offerta la possibilità o di vendere i loro titoli o di concambiare le

loro azioni in titoli della società risultante dalla fusione.

Non è però necessario che una fusione sia preceduta da un’acquisizione: due

imprese possono decidere di fondersi per comune accordo anche senza legami

azionari reciproci. Tecnicamente, però, una delle due società cesserà di esistere, e

quindi ai suoi azionisti dovranno essere comunque assegnate azioni della società

incorporante.Le determinanti di una fusione sono diverse, e a quelle già considerate per le

acquisizioni si aggiungono benefici di natura finanziaria o fiscale.

I benefici finanziari riguardano la possibilità di accedere al capitale a condizioni

migliori, o per un maggiore potere contrattuale dell’impresa, o per il minore rischio

e maggiore solvibilità della società fusa.

Una fusione consente anche di ridurre i costi totali, dal momento che unifica

funzioni prima duplicate fra le due imprese (dall’amministratore delegato in giù).

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6. OPERAZIONI DI FINANZA STRAORDINARIA

303

Infine, vi possono essere dei benefici fiscali legati ad esempio alla possibilità di

sfruttare le perdite pregresse accumulate da una delle due imprese per abbattere il

carico fiscale dell’altra società.

Non è comunque detto che le fusioni rispondano a criteri di efficienza economica.

A volte, una determinante può essere semplicemente data dalla volontà dei

managers di incrementare le dimensioni delle attività gestite, o di investire i  free

cash flows generati dall’impresa, piuttosto che pagarli agli azionisti sotto forma di

dividendi.

6.3 Scissioni

L’operazione simmetrica alla fusione è la scissione, in cui una società si scinde in

due diverse entità giuridiche, una delle quali di nuova costituzione, e alla quale

viene conferita una parte delle attività della società ‘madre’.

Una scissione può avvenire con o senza l’assegnazione di titoli della società scissa

(società ‘figlia’) agli azionisti della società madre. Nel primo caso (si veda la

Figura 6.2) l’operazione viene denominata spin-off . Essa consente agli azionisti di

diversificare il loro investimento, decidendo se mantenere interessi in entrambe le

società, oppure se mantenere azioni della sola società madre piuttosto che della

società figlia.

Figura 6.2 – Esempio di spin-off.

Nel secondo caso le azioni della società figlia vengono mantenute al 100% dalla

società madre (si veda la Figura 6.3). Gli azionisti non possono dunque

Societàmadre

Societàmadre

Societàfiglia

100%100% 100%

Azionisti Azionisti

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6. OPERAZIONI DI FINANZA STRAORDINARIA

304

diversificare il loro investimento, in quanto rimangono azionisti solo della società

madre.

Tipicamente, accade che una frazione dei titoli della società figlia venga ceduta con

una trattativa privata ad un acquirente interessato, oppure collocata sul mercato

borsistico attraverso un’offerta pubblica (con la vendita dei titoli posseduti dalla

società madre o la sottoscrizione di titoli di nuova emissione). Operazioni di questo

tipo vengono chiamate ‘equity carve-out ’. La peculiarità consiste nel fatto che

attraverso questa operazione il soggetto controllante della società madre può

raccogliere nuovo capitale attraverso la società figlia, senza che egli versi alcuna

liquidità, e senza che il suo grado di controllo venga diluito. Si consideri la Figura

6.3: se il soggetto controllante della società madre ne detiene il 70%, attraverso un

equity carve out  potrà procedere a collocare sul mercato attraverso un’offerta

pubblica di sottoscrizione il 30% del capitale della società figlia. Senza aver

versato un euro, manterrà il controllo sul 70% dei voti in assemblea in entrambe le

società, il cui capitale è però cresciuto.

Figura 6.3 – Esempio di scissione della società madre senza assegnazione di titoli agli

azionisti.

Una scissione, a meno di effetti di segnalazione sul mercato, consente a tutti gli

azionisti di mantenere la propria ricchezza. Vi sono però delle determinanti che

possono creare valore in una scissione, come la maggiore focalizzazione della

società scissa nel suo business, la maggiore autonomia nelle fonti di finanziamento

e negli impieghi di investimento. In genere infatti le scissioni riguardano divisioni

Societàmadre

Societàmadre

Societàfiglia

100%

100%

100%

Azionisti Azionisti

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6. OPERAZIONI DI FINANZA STRAORDINARIA

305

di imprese attive in settori emergenti o in fase di espansione (si pensi alle numerose

scissioni di attività nel settore Internet avvenute in Italia negli ultimi anni).

6.4 Costituzione di gruppi di imprese

Un gruppo di imprese può essere definito come un insieme di imprese

giuridicamente indipendenti, ma sottoposte ad una direzione unitaria dal punto di

vista economico, grazie ad una rete interconnessa di partecipazioni azionarie.

Esistono diverse tipologie di gruppi: (i) il gruppo piramidale e (ii) il gruppo

federativo.

Il gruppo piramidale è composto da una società holding a monte, che attraverso

partecipazioni azionarie dirette o indirette (tramite società subholding) controlla a

cascata una moltitudine di società operative.

Da un certo punto di vista, il gruppo piramidale non è molto diverso da una società

multidivisionale, ma consente di separare la proprietà dal controllo del capitale,

attraverso la presenza di azionisti di minoranza ad ogni livello del gruppo.

Nell’esempio di Figura 6.4, l’azionista controllante della holding controlla la

maggioranza dei diritti di voto in tutte le assemblee delle consociate, pur detenendo

indirettamente solo il 33% (60% ⋅ 55%) del capitale della società A e il 42% (60% ⋅ 

70%) del capitale della società B.

Figura 6.4 – Esempio di gruppo piramidale.

I gruppi piramidali composti da imprese di grandi dimensioni sono tipici

dell’Europa continentale (Germania, Francia, Italia, Svezia) ma anche di economie

emergenti (India, paesi del Far East ). In questo caso non è raro che diverse società

Societàholding 

Societàoperativa A

Azionistacontrollante

60%55%

Societàoperativa B70%

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6. OPERAZIONI DI FINANZA STRAORDINARIA

306

dello stesso gruppo siano quotate in Borsa. Nelle economie anglosassoni (USA,

UK, Australia) sono invece più diffuse le imprese a proprietà diffusa ( public

companies), indipendenti le une dalle altre.

I gruppi piramidali composti da imprese di piccole e medie dimensioni presentano

invece delle caratteristiche peculiari. La separazione fra proprietà e controllo viene

raramente perseguita, mentre sono più rilevanti altri obiettivi, legati per esempio a

considerazioni fiscali (ad esempio la localizzazione di società holding all’estero).

Il gruppo federativo invece è composto da diverse società legate fra loro da

possessi azionari incrociati, in cui non è individuabile una società holding, quanto

piuttosto un centro di coordinamento, spesso legato ad un istituto finanziario.

Questo modello di impresa caratterizza i grandi gruppi industriali giapponesi

(keiretsu), che grazie alla fitta rete di partecipazioni reciproche che li accomuna

hanno impedito finora l’ingresso significativo di soggetti stranieri nel loro capitale

attraverso scalate ostili.

Proprio per impedire situazioni di ‘ingessatura’ del controllo le autorità di mercato

limitano in genere le partecipazioni reciproche fra società dello stesso gruppo.

Brioschi, Buzzacchi e Colombo (1990) hanno presentato un modello matriciale

input-output  à la Leontief che permette di calcolare la proprietà ‘integrata’ (diretta

e indiretta) che un soggetto detiene nelle società di un gruppo di imprese, e inoltre

consente di individuare il valore di un gruppo di imprese. Quest’ultimo infatti non

coincide con la somma della capitalizzazione di mercato delle imprese che lo

compongono, ma è minore. Il valore di mercato di un’impresa comprende infatti il

valore di mercato delle partecipazioni detenute in altre imprese dello stesso gruppo,

e quindi sommando i due valori conteremmo due volte la stessa ricchezza.

Individuiamo quindi due nozioni distinte del valore di un’impresa i appartenente ad

un gruppo composto da n società:

V i = valore di mercato dell’equity (ovvero la capitalizzazione totale di mercato,

sempre positiva);

wi = valore di mercato delle attività al netto del debito e delle partecipazioni in altre

imprese del gruppo (può anche essere negativa se ad esempio le partecipazioni

detenute nelle società del gruppo sono finanziate con debito).

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6. OPERAZIONI DI FINANZA STRAORDINARIA

307

Identifichiamo le varie partecipazioni nelle n società del gruppo con aij, ovvero la

frazione percentuale del capitale che la società i detiene nell’impresa  j. Deve

verificarsi:

∑=

⋅+=

n

 j

 jijii V awV 1

  i = 1, …, n 

Il valore di mercato V i di un’impresa deve dunque essere pari al valore delle attività

al netto del debito, comprendendo il valore di mercato delle partecipazioni

infragruppo, non contate in wi.

In forma matriciale, il sistema di equazioni precedente può essere scritto come:

V = w + AV  

dove V rappresenta il vettore (n x 1) composto dagli elementi V i , w rappresenta il

vettore (n x 1) composto dagli elementi wi e A la matrice dei possessi azionari (n x 

n) composta dagli elementi aij.

Possiamo così ricavare il vettore w dal vettore V , e viceversa (‘modello del

valore’):

w = (I – A) V  

V = (I – A)-1

Consideriamo ora un azionista del gruppo di imprese, che vanta una proprietà

diretta xi nella generica società i-esima fra le n del gruppo.

La sua proprietà ‘integrata’ yi nelle stesse imprese sarà data da:

∑=

⋅+=

n

 j

 j jiii  ya x y1

  i = 1, …, n 

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6. OPERAZIONI DI FINANZA STRAORDINARIA

308

In altre parole, la proprietà integrata nell’impresa i è la somma della proprietà

diretta e della proprietà indiretta, vantata grazie al possesso integrato detenuto nelle

altre società  j che possiedono azioni dell’impresa i.

In forma matriciale, introducendo il vettore  x (n x 1) composto dagli elementi xi, e

il vettore y (n x 1) composto dagli elementi  yi, otteniamo il ‘modello del possesso’

in cui, a differenza del ‘modello del valore’, la matrice A viene trasposta.

 x = (I – AT) y 

 y = (I – AT)-1

 x 

Possiamo ora chiederci quale sia il valore del portafoglio P detenuto dall’azionista

considerato. Esso può essere calcolato come somma del valore V  delle

partecipazioni dirette x detenute dall’azionista, ma anche – in forma duale – come

valore w delle partecipazioni integrate y:

P = ∑=

n

i

ii V  x1

= xTV = x

T (I – A)-1w = [ x(I – A

T)-1]Tw = y

Tw = ∑

=

n

i

ii w y1

 

Infine, per quanto riguarda il valore del gruppo V g, possiamo ragionare in due

modi: si tratta infatti di determinare l’investimento minimo che un soggetto deve

effettuare per acquistare tutto il gruppo. Esso rappresenta in prima istanza il valore

aggregato di tutti i portafogli detenuti da azionisti del gruppo, escludendo lepartecipazione infragruppo:

V g = ∑ ∑= =

⋅−

n

i

ii

n

 j

 ji V a1 1

)1(  

Risulta chiaro quindi che il valore del gruppo non coincide con la somma della

capitalizzazione di mercato di tutte le imprese che lo compongono, ma solo di

quella frazione direttamente posseduta da azionisti esterni.

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6. OPERAZIONI DI FINANZA STRAORDINARIA

309

In secondo luogo, sfruttando la relazione di dualità, possiamo affermare che il

valore del gruppo è anche pari alla somma dei valori ‘netti’ w: infatti, la proprietà

integrata detenuta dagli azionisti esterni sulle consociate sarà pari a 1 (direttamente

o indirettamente essi possiedono il 100% del capitale: è una banalità!):

V g = ∑=

n

i

iw1

)(1 = ∑=

n

i

iw1

 

•  Esempio

Nella Figura 6.5 è rappresentato graficamente un gruppo di imprese composto dalle

società A, B e C.

La holding A controlla direttamente la società B e, grazie alla partecipazione di

quest’ultima, anche la società C, che oltretutto detiene il 10% della società B.La capitalizzazione di mercato delle tre imprese è pari a: V A = 45 mln. €, V B = 32

mln. €, V C = 34 mln. €.

Figura 6.5 – Struttura del gruppo considerata nell’esercizio.

La matrice A è così definita:

 A =

00,10

0,4200

0,30,60

 

Applicando le formule del ‘modello del possesso’ e del ‘modello del valore’ si

ottiene:

w = (I – A) V  

A B C60%

42%

30%

10%

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6. OPERAZIONI DI FINANZA STRAORDINARIA

310

w =

30,80

17,72

15,60

mln. €

Il valore del gruppo può essere calcolato in due modi (ovviamente il risultatocoincide):

V g = ∑ ∑= =

⋅−

n

i

ii

n

 j

 ji V a1 1

)1( = 100% (45) + 30% (32) + 28% (34) = 64,12 mln. €

V g = ∑=

n

i

iw1

= 64,12 mln. €

Consideriamo ora l’azionista controllante del gruppo, che supponiamo detenga il

55% ( xA) della holding A. Il suo possesso integrato sulle società del gruppo è pari

a:

 y = (I – AT)-1

 x 

 y =

31,7%

36,2%

55,0%

 

Si noti che nonostante l’azionista di controllo non detenga alcun titolo nelle

imprese B e C ( xB =  xC = 0) e indirettamente ne possieda meno della metà del

capitale, riesce comunque a controllarne la maggioranza dei voti in assemblea.

Infine, calcoliamo il valore di portafoglio P:

P = ∑=

⋅n

i

ii V  x1

= ∑=

⋅n

i

ii w y1

= 24,75 mln. €

6.5 Piani di incentivazione azionari e stock options 

È sempre più diffusa la tendenza delle imprese a legare la remunerazione di

managers e dipendenti alla performance dell’impresa. Un sistema molto semplice

per realizzare questo obiettivo è correlare lo stipendio ad alcuni indici, come la

redditività dell’impresa, piuttosto che la performance di Borsa dei titoli. Questo

sistema può però generare distorsioni, perché orientato al breve periodo.  Managers 

e dipendenti sarebbero incentivati a lavorare per massimizzare i risultati di breve

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6. OPERAZIONI DI FINANZA STRAORDINARIA

311

periodo, trascurando investimenti profittevoli nel lungo periodo, ma inizialmente

costosi. Un sistema che riduce queste distorsioni è quello dei piani di

incentivazione azionari (ESOPs,   Employee Stock Ownership Plans) in cui a

dipendenti e managers vengono assegnati (gratuitamente o con forte sconto) titoli

azionari, piuttosto che opzioni call sulle azioni. L’idea è che attraverso la

compartecipazione all’utile dell’impresa e alla creazione di valore, sia possibile

migliorare l’efficienza e la produttività dell’organizzazione. Inoltre le imprese che

utilizzano sistemi di incentivazione equity-based hanno uno strumento in più per

attirare gli individui che hanno (o credono di avere) maggior talento.

L’assegnazione di azioni, così come l’accantonamento dei titoli sottostanti alle

opzioni, viene in genere finanziata con un aumento di capitale, piuttosto che con

azioni proprie detenute in portafoglio. Spesso avviene in occasione della

quotazione in Borsa, riservando una frazione dei titoli offerti in sottoscrizione a

managers e dipendenti. Può capitare che l’impresa imponga dei vincoli ai

beneficiari, con clausole che restringono la possibilità di vendita dei titoli assegnati

per un certo numero di anni (vesting period ), oppure annullano i benefici in caso di

cessazione del rapporto di lavoro.

Una forte determinante dell’impiego di ESOPs è l’agevolazione fiscale che in

numerosi paesi viene concessa a questa forma di remunerazione del lavoro. Un

ulteriore beneficio è la possibilità di differire nel futuro i costi di remunerazione

delle risorse umane, con un risparmio di cassa immediato.

Per contro, gli ESOPs richiedono un aumento del livello atteso della

compensazione, per compensare il maggiore rischio sopportato da dipendenti e

managers. Inoltre, spesso provocano una riduzione del  payout ratio dell’impresa,

dal momento che il pagamento di dividendi deprime il valore delle azioni e delle

opzioni call assegnate.

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