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libro blu

tutela e gestione delle acque in Lombardia

libro blututela e gestione delle acque in Lombardia

Libro Blu – Tutela e Gestione delle Acque in Lombardia

2008

Regione Lombardia

Direzione Generale Reti e Servizi di Pubblica Utilità e Sviluppo sostenibile

Responsabile del progetto e coordinamento dei testi: Nadia Chinaglia

Gruppo di lavoro

DG Reti e Servizi di Pubblica Utilità e Sviluppo Sostenibile: Nadia Andreani, Maria Teresa Babuscio,

Rebecca Brumana, Silvio Carta, Carlo Enrico Cassani, Silvia Castelli, Roberto Cerretti, Nadia Chinaglia,

Viviane Iacone, Giovanni Mancini, Marco Nicolini, Laura Rossi, Noemi Salvoni, Giliola Verza.

DG Agricoltura: Sauro Coffani, Andrea Pietro Corapi.

DG Protezione Civile, Prevenzione e Polizia locale: Maurizio Molari.

DG Territorio e Urbanistica: Marina Credali, Raffaele Occhi.

DG Infrastrutture e Trasporti: Egle Freppa.

ARPA: Roberto Serra, Enrico Zini.

IREALP: Daniele Magni.

Foto

Copertina: (dall’alto in basso) C.Bollini, C. Bollini, Nadia Chinaglia

© Nadia Chinaglia: foto pag. 7, 15, 16, 18, 22, 30, 33, 38, 45, 48, 55, 57, 62, 63, 67, 70, 73, 74, 76, 78

© C. Bollini: foto pag. 19, 35, 39, 52, 53, 56, 59, 69, 77

© Marco Nicolini: foto pag. 17, 47, 51

© Alberto Maffiotti: foto pag. 29, 71

© Carmelo di Mauro: foto pag 8

© Raffaele Occhi: foto pag 26

© Coordinamento Turistico lago di Como – foto di Alberto Locatelli: foto pag 60

© Provincia di Varese – settore Marketing Territoriale e Rapporti Istituzionali: foto pag. 65

Grafica e stampa: Morbegno (SO)

1 - L’acqua da proteggere 9Lo stato di salute dei corpi idrici lombardi 10

1. La qualità ambientale delle acque superficiali 101.1 Corsi d’acqua 111.2 Laghi 131.3 L’idoneità alla vita dei pesci 14

2. Acque sotterranee 15L’acqua da bere 18

1. L’approvvigionamento potabile da acque superficiali 192. L’approvvigionamento potabile da acque sotterranee 203. Le fonti di acque minerali 20

La balneazione 22Le acque termali 26

2 - L’acqua una ricchezza da gestire 29La disponibilità di acque 30

1. La felice situazione della regione 302. I cambiamenti climatici 323. Le possibilità di invaso 354. Un sistema di gestione complesso 36

I fabbisogni 381. Gli usi in atto 382. L’utilizzo idroelettrico 393. L’utilizzo irriguo 414. L’utilizzo civile 435. L’utilizzo industriale 44

3 - Governare un bene prezioso 47Le competenze 48

1. Il servizio idrico integrato: servizi di approvvigionamento e collettamento 482. La tutela delle acque: la gestione degli scarichi 523. La gestione delle acque: i diritti d’uso delle acque 534. Le aree di pertinenza di laghi e fiumi: i diritti d’uso delle aree demanio 545. La gestione del rischio idraulico: le piene 556. La gestione delle crisi idriche: le magre 577. La navigazione 59

Gli strumenti 601. Il monitoraggio ambientale e gli strumenti per la raccolta delle informazioni 60

1.1 Monitoraggio 611.2 Strumenti per la raccolta delle osservazioni 61

2. Strumenti normativi e di pianificazione 622.1 Piano di tutela delle Acque e Piano di gestione del bacino idrografico 632.2 Piano Territoriale regionale 652.3 Piano di sviluppo rurale 67

3. La costruzione del partenariato 683.1 Contratti di fiume 703.2 Patto per l’acqua 71

4 - Al servizio del cittadino 73La conservazione dell’ambiente 74

1. Le attese dei cittadini 742. Le azioni e le verifiche 753. Gli obbiettivi e i tempi 76

La tutela dei diritti 781. Accesso al servizio 782. La verifica del rispetto degli standard 783. Gli obbiettivi e i tempi 79

Indice

Una fotografia dell’esistente completa, aggiornata e realistica per far conoscere quello che si è fatto, quello che si sta facendo e quello che si deve e si può ancora fare in una condivisione fra l’ azione istituzionale e l’agire dei soggetti che costituiscono il tessuto civile del territorio.

Per questa ragione questa seconda edizione del Libro Blu – che illustra nei particolari l’importante patrimonio acqua della Regione – non è solo un’iniziativa informativa. Può essere definito uno strumento operativo che permette di guardare al futuro con un pro-gramma di vero e proprio investimento, dove l’acqua è un patrimonio da valorizzare con sicuri risultati per la qualità della vita dei cittadini, oltre che per il giusto recupero delle migliori condizioni dell’ambiente.Infatti, è stata scelta una formula in cui il rigore scientifico si coniuga con un linguaggio divulgativo che consente di soddisfare sia le esigenze degli esperti che le curiosità del cittadino.

È in queste pagine che mi auguro si possa costruire la base di una cultura comune lom-barda per accrescere la collaborazione fra cittadini, sistema degli Enti Locali e Regione.

L’Assessore

Alle Reti e Servizi di Pubblica Utilitàe Sviluppo Sostenibile

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L’acqua da proteggere1

Lo stato di salute delle acque in Lombardia

1. La qualità ambientale delle acque superficiali

La regione è attraversata da alcuni grandi fiumi: Ticino, Adda, Oglio, Cherio, Chiese, Mincio, che affluisco-no e defluiscono dai grandi laghi e presentano quindi un regime di deflusso stabile, per tutto l’anno, con periodi di piene e di magra, ma che non presentano periodi di assenza delle portate. Altri fiumi regionali: Olona, Lambro, Brembo, Serio, Mella, oltre a quelli provenienti dal versante appenninico presentano un regime torrentizio, con periodi di scarsità delle acque fino ad assenza. Il territorio lombardo comprende inoltre un numero molto elevato di laghi, tra i quali cinque tra i più grandi bacini italiani (Garda, Maggiore, Como, Iseo e Lugano), oltre ad un gran numero di laghi più piccoli (Annone, Pusiano, Monate, Garlate, ecc…). A questi si devono aggiungere numerosi bacini artificiali destinati alla produzione di energia elet-trica, ubicati nelle aree montane.Caratteristica della zona di pianura è invece la rete di canali artificiali, che si estende per circa 40.000 km (pari quasi alla circonferenza terrestre). La struttura stessa della pianura lombarda è infatti ormai definita dalle opere realizzate per bonificare, cioè liberare dalle acque in eccesso terreni umidi inadatti alla coltiva-zione, e per irrigare, cioè portare le quantità di acque necessarie a sviluppare le colture.Questo settore della regione rappresenta anche una parte consistente di un bacino ricchissimo di acque sotterranee: la pianura padana.Ad un patrimonio di acque così ricco la regione associa una densità di insediamento antropico e di attivi-tà, che è in parte strettamente connesso a questa straordinaria ricchezza di acque. Il sistema delle acque deve infatti rispondere alle esigenze di una popolazione di 9 milioni di abitanti, con una densità media che supera i 300 ab./km² e punte nell’area milanese fino a 2000 ab./km². Legata alla massima concentrazione urbana è anche la concentrazione industriale, con la sua esigenza attualmente un po’ ridotta rispetto al passato e il suo carico di sostanze chimiche non sempre riassorbibile dal sistema delle acque. Una distri-buzione diversa ha invece la concentrazione agricola e soprattutto zootecnica, che raggiunge il massimo tra le province di Brescia, Mantova e Cremona. La popolazione zootecnica lombarda è molto consistente: circa 5 milioni di suini e 2,5 milioni di bovini, principalmente vacche da latte.Il mantenimento della qualità ambientale delle acque lombarde è reso complesso quindi non solo dal-l’estrema estensione del sistema ma anche dalla consistenza delle pressioni esistenti.

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Lago di Como - Bellagio

La Regione Lombardia ha individuato i corpi idrici da monitorare, definendo il numero e l’ubicazione dei punti di prelievo sulla base:• della tipologia dei corpi idrici stessi e delle dimensioni del relativo bacino imbrifero, • della morfologia del reticolo idrografico, della destinazione d’uso del territorio e della risorsa, • della distribuzione territoriale degli scarichi di acque reflue e della confluenza dei principali affluenti.La rete di monitoraggio è stata strutturata per tenere conto oltre che delle caratteristiche dei corpi idrici significativi anche per offrire un quadro generale delle acque lombarde. Pertanto all’interno di ogni bacino oltre alle caratteristiche qualitative del corpo idrico principale vengono monitorati anche i maggiori affluenti o tutti quei corsi d’acqua che possono rappresentare, per carico, per rilevanza naturalistica o per uso, elementi importanti per le caratteristiche del corpo idrico significativo.Complessivamente la rete di monitoraggio è costituita da 260 punti di prelievo e misura, relativi a 175 corpi idrici superficiali così ripartiti:• 213 punti ubicati su corsi d’acqua di cui 136 relativi a corsi d’acqua naturali e 77 relativi a corsi d’acqua artificiali;• 47 punti ubicati sui laghi di cui 37 relativi a laghi naturali o ampliati e 10 relativi a laghi artificiali.Il monitoraggio eseguito in attesa della definizione dei nuovi criteri previsti dalla Direttiva Quadro sulle Acque in corso di recepimento da parte dell’Italia, viene ancora eseguito ai sensi del D.Lgs.152/99 e s.m.i.. In particolare è esaurita la fase conoscitiva, che ha avuto come scopo la determinazione dello stato di qualità ambientale di ciascun corpo idrico, al fine di definire quali azioni dovevano essere previste dal Programma di Tutela e Uso delle Acque per mantenere o raggiungere gli obiettivo di qualità ambientale prefissato e viene proseguito ora nella modalità a regime, con la finalità di seguire l’evolvere della qualità ambientale dei corpi idrici nel tempo, valutando i benefici degli interventi in corso di realizzazione.La metodologia per la classificazione dei corsi d’acqua è dettata da quanto previsto nel D.Lgs.152/99, che definisce gli indicatori necessari per la ricostruzione del quadro conoscitivo rappresentativo dello Stato Ecologico e Ambientale delle acque sulla base del quale misurare il raggiungimento degli obiettivi di qualità prefissati. Alla definizione dello Stato Ecologico contribuiscono sia parametri chimico - fisici di base determinati sulla matrice acquosa e relativi al bilancio dell’ossigeno ed allo stato trofico (indice Livello di Inquinamento da Macro-descrittori, di seguito L.I.M.), sia la composizione della comunità macrobentonica delle acque correnti (Indice Biotico Esteso, di seguito I.B.E.). Il L.I.M. è ricavato dalla somma dei punteggi concernenti 7 macrodescrittori: Saturazione in Ossigeno, BOD5, COD, NH4, NO3, Fosforo totale e Escherichia Coli. Il valore dell’I.B.E. corrisponde alla media dei valori misurati durante l’anno nelle campagne di misura stagionali o rapportate ai regimi idrologici più appropriati. Lo Stato Ecologico del corso d’acqua è definito dal peggiore dei due indici. La qualità ambientale dei laghi dipende da diversi fattori: trasparenza, concentrazione della clorofilla, fioriture algali, ecc…, che in modo più o meno indiretto dipendono tutti dalla concentrazione di nutrienti nelle acque.Sui laghi sono di norma eseguite solo determinazioni, necessarie alla classificazione sulla matrice acquosa. I prelievi annui previsti sono due (frequenza semestrale) in periodi caratteristici del ciclo annuale: uno all’inizio della primavera nel periodo di massimo rimescolamen-to, l’altro nel bimestre settembre – ottobre, ossia nel periodo di fine stratificazione estiva. Per i laghi artificiali, i due prelievi annui sono subordinati alle modalità di esercizio del serbatoio e comunque effettuati nei periodi di pieno invaso e di massimo svaso, che coincidono generalmente con la primavera e con l’inizio dell’autunno.Il numero e la posizione delle stazioni di campionamento dipende dalla superficie e dalla forma del lago e i prelievi sono eseguiti lungo la colonna d’acqua in relazione alla profondità (per i laghi poco profondi, <5 m, sono previsti due soli prelievi lungo la verticale, superficie e fondo). I laghi subalpini sono prevalentemente caratterizzati da un mescolamento verticale tardo - invernale che può interessare solo una parte della colonna d’acqua. Per una maggiore comprensione delle modificazioni che intervengono sulla struttura verticale della massa d’acqua, è stata quindi rilevata periodicamente la termica e l’ossigenazione su tutta la colonna in stazioni diverse. La frequenza dei cam-pionamenti è stata quindi differenziata sulla base delle caratteristiche del bacino lacustre prevedendo per tutti i grandi laghi frequenze di campionamento mensili.Per valutare lo stato di salute dei laghi si è inoltre ritenuto opportuno esaminare il ruolo dei sedimenti nel ciclo biogeochimico. In effetti, numerose sostanze tossiche, riscontrate solo in traccia nelle acque, tendono generalmente ad essere presenti, anche in concentrazioni elevate, nei sedimenti, che possono pertanto svolgere la funzione di accumulo e di rilascio delle sostanze stesse. E’ da sottolineare che la contaminazione dei sedimenti esercita effetti nocivi o indesiderati non solo sugli organismi bentonici, ma anche su tutti gli altri elementi della catena alimentare a questi collegati.

Monitoraggio delle acque superficiali

1.1 I corsi d’acqua

Lo stato di salute dei corsi d’acqua della regione, in una scala di cinque classi, da ottimo a pessimo (Fig. 1.1), è risultato buono solo per il Ticino e per alcuni tratti dell’Adda sottolacuale; di livello sufficiente è invece la qualità dei Fiumi Brembo, Serio, Oglio, Mincio e Chiese.Molto problematica è la situazione dei corsi d’acqua che scorrono in prossimità delle aree in cui è maggiore l’urba-nizzazione e l’industrializzazione: Lambro e Olona nell’area milanese e Mella nell’area bresciana.Anche il fiume Po risente della confluenza con il fiume Lambro e presenta un qualità scadente proprio a valle della confluenza con quest’ultimo.La situazione non presenta variazioni significative negli ultimi anni, salvo che nel caso del fiume Lambro, che ha subito un apprezzabile miglioramento con il completamento degli interventi di depurazione della città di Milano, passando da una classe pessima ad una classe scadente. Tuttavia, a parte il recupero dovuto alle capacità autode-puranti, non sembrano disponibili ulteriori margini di miglioramento per le acque di questi fiumi. La concentrazione urbana milanese ha pochi paragoni in Europa, mentre le dimensioni e soprattutto il carattere torrentizio di questi fiumi non permettono di contare su ulteriori consistenti miglioramenti.In un certo senso infatti la qualità delle acque dipende molto dall’entità e dalla natura degli scarichi esistenti, ma è anche legata alla quantità di acque presenti nei corsi d’acqua: la riduzione di disponibilità che si è manifestata negli ultimi anni, sempre più spesso, non ha favorito il miglioramento della qualità delle acque circolanti, anche a fronte di un continuo miglioramento dell’infrastrutturazione di collettamento e depurazione un po’ in tutta la regione.

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La Direttiva Europea 2000/60/CE sulle acque - Water Framework Directive “WFD”

La situazione dei corsi d’acqua minori è molto differenziata; in particolare, i corsi d’acqua dell’area milanese presen-tano le stesse caratteristiche dei fiumi più grandi e quindi condizioni qualitative precarie legate soprattutto al carico antropico ed industriale. Spesso critica è anche la situazione dei corsi d’acqua della bassa pianura mantovana, per cause legate all’elevato carico zootecnico e al ricambio molto scarso dovuto alla pendenza molto ridotta e al deflusso molto lento.Sono quasi sempre buoni i corsi d’acqua nelle aree montane. Talvolta la classificazione di questi corsi d’acqua scende al valore di sufficiente a causa della componente ecosistemica, che segnala condizioni di sofferenza degli organismi viventi probabilmente legate alla scarsità d’acqua.

L’acqua per la vita dell’uomo è molto importante perché soddisfa i bisogni fondamentali della popolazione umana attraverso l’agricoltura, la pesca, la produzione di energia, l’industria, i trasporti e il turismo, ma è anche vitale per tutta la natura e l’ambiente.Molte delle attività umane però, comprese quelle legate all’acqua , possono inquinare i corpi idrici.L’Unione Europea ha emesso un certo numero di leggi, o “direttive”, per cercare di affrontare e risolvere il problema dell’inquinamento delle acque dei fiumi, dei laghi, delle acque sotterranee e del mare e per garantire la conservazione di queste risorse naturali per le generazioni future.La Direttiva 2000/60/CE o Direttiva Quadro sulle Acque:• protegge tutte le acque, fiumi, laghi, mari e falde acquifere dall’inquinamento causato da tutte le fonti di pressione come l’agricoltura, le

attività industriali, le aree urbane, ecc; • prevede un nuovo piano per gestire le acque, organizzato per bacino idrografico, cioè quella parte di territorio drenato direttamente o

tramite affluenti da un determinato corso d’acqua.• prevede, poiché tutti noi utilizziamo l’acqua nella vita di tutti i giorni e nel nostro lavoro (sia in fabbrica, fattoria o ufficio, scuola, ecc), di

ascoltare il punto di vista e chiedere la collaborazione di tutti quelli che la usano, ossia quelli che vengono chiamati gli stakeholders;• garantisce il pagamento da parte di chi inquina.La direttiva definisce una modalità di determinazione e classificazione della qualità ambientale dei corsi d’acqua molto diversa dalle prece-denti. La qualità del corso d’acqua viene infatti definita per comparazione con un ambiente di riferimento che presenta una qualità vicina alla naturalità. Inoltre tale comparazione non investe solo le caratteristiche fisico-chimiche della matrice acquosa, ma riguarda anche le condizioni della biomassa, dei sedimenti e idromorfologiche dei corpi idrici. Questa comparazione viene resa possibile dalla individuazione e definizione di organismi e ambienti ottimali nelle acque, ma anche nelle zone ripariali.La messa a punto di questo complesso sistema di monitoraggio e classificazione basato sugli aspetti ecologici ha richiesto l’avvio di un processo di intercalibrazione, sviluppato a scala europea per definire i parametri da monitorare, le condizioni di riferimento, i limiti delle classi e la comparazione tra le classi definite necessariamente sulla base di popolazioni differenti di organismi non sempre comparabili. Questo processo non si è ancora concluso e gli sforzi per definire il nuovo sistema di classificazione europeo sono tutt’ora in corso. At-tualmente, in Italia, sono definiti, in prima istanza, i parametri da monitorare e le modalità di campionamento dei parametri biologici, ma non sono ancora stati individuate le condizioni di riferimento e le modalità di classificazione.

Fig. 1.1

Classificazione dei principali corpi idrici lombardi

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Nell’ambito del Programma di Tutela e Uso delle acque, é stata utilizzata anche una classificazione più completa che ha anticipato alcuni degli elementi della normativa europea per la valutazione dello stato dei corpi idrici. Questo tipo di valutazione che ha preso in considerazione anche le caratteristiche delle sponde e del fondo dei corsi d’ac-qua oltre alle caratteristiche delle acque e dell’ambiente acquatico, mette in evidenza la criticità di alcuni tratti del corso d’acqua molto rimaneggiati da interventi di difesa del suolo particolarmente invasivi (Fig. 1.2).

1.2 I laghi

Nell’ultimo anno risulta buono lo stato del Lago Maggiore e del Lago di Garda, sufficiente tendente a buono quello del Lago di Como, ancora scadente quello dei Laghi d’Iseo e Lugano. Lo stato dei piccoli laghi risulta buono in area mon-tana, spesso scadente in zona pedemontana, in corrispondenza della massima concentrazione urbana (Fig. 1.1).

Fig. 1.2

La caratterizzazione integrata dei corsi d’acqua

La caratterizzazione integrata dei corsi d’acqua intende fornire un’immagine dello stato ambientale complessivo dei corsi d’acqua con-siderati.Elemento centrale per effettuare la caratterizzazione dei corsi d’acqua è stato la creazione di un sistema descrittivo - conoscitivo che comprenda tutti gli aspetti chiave del sistema fluviale, integrando quindi la classica caratterizzazione basata sulla qualità dell’acqua, con ulteriori aspetti di tipo geomorfologico, biologico e idrologico, come indicato nella Direttiva Quadro sulle Acque (Dir. 2000/60/CE). Il sistema rileva le caratteristiche principali dei corsi d’acqua: qualità dell’acqua, regime idrologico, disponibilità di aree per l’evoluzione morfologica e l’esondazione naturale, presenza di vegetazione, grado di artificializzazione, ecc., conduce a una loro visione di sintesi e permette di esprimere un giudizio sintetico.Tale giudizio è una misura del “valore natura” del corso d’acqua, valutata sulla base dell’integrità ecologica, dell’alterazione da interventi antropici e degli aspetti peculiari dal punto di vista biologico, morfologico, estetico. La scala di valori proposta ha cinque classi variabili da ottimo a pessimo (Fig. 1.2).L’analisi del valore Natura evidenzia una situazione ambientale mediamente sufficiente dei principali fiumi lombardi, in cui compaiono sia casi di particolare criticità che in buono stato di conservazione. Il giudizio ottimo è stato attribuito alla parte montana dello Staffora e a un tratto del Ticino, che peraltro risulta in condizione di buono lungo tutta l’asta fluviale rimanente. Buoni risultano anche la porzione intermedia dello Staffora, i tratti montani di Mella, Chiese, Serio e Brembo, la porzione di Adda sub-lacuale compresa tra il Lago di Como e la confluenza con il Brembo; porzioni più limitate rientranti nella categoria “buono” si rinvengono lungo le aste del Mincio e dell’Oglio. La maggior parte dei fiumi lombardi rientra nella classe sufficiente, indipendentemente dalla tipologia a cui essi appartengono (Adda so-pra e sublacuale, Serio, Brembo, Oglio sopra e sublacuale e Chiese sublacuale). Nella classe scadente rientrano la prima metà dell’Adda sopralacuale, le porzioni del Mincio in uscita dai Laghi di Garda e di Mantova e alcuni tratti del Serio all’altezza della città di Bergamo. La classe pessima interessa Lambro ed Olona settentrionale-Lambro meridionale, ad eccezione delle loro porzioni iniziali, e il Mella nella sua porzione intermedia.

Classificazione integrata dei corsi d’acqua principali

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Lo stato dei grandi laghi lombardi è migliorato negli ultimi anni in conseguenza del completamento delle reti di collettamento e depurazione realizzate. Tuttavia i tempi di recupero dei bacini lacustri possono essere anche molto lunghi, a causa dell’inerzia dell’enorme massa d’acqua e delle dinamiche interne al corpo idrico.Per i piccoli laghi la situazione può essere anche più critica a causa dell’accumulo di sostanze inquinanti che può essersi generato negli anni passati, recuperabile con difficoltà, anche a causa della lentezza con cui avviene il ri-cambio delle acque.

1.3 L’idoneità alla vita dei pesci

La pesca in acque dolci ha origini molto antiche ed è servita prevalentemente ad integrare il paniere della caccia per il sostentamento alimentare. Tuttora comunque la pesca, sia professionale che dilettantistica, è un’attività sviluppa-ta in Lombardia. Sono circa 160.000 i pescatori non professionisti residenti che annualmente rinnovano la licenza, dimostrazione che la pesca non solo ha ampia rilevanza sociale per il tempo libero, ma rappresenta anche un im-portante patrimonio storico e culturale. La regione, ma soprattutto le province, hanno quindi da tempo avviato una intensa attività conoscitiva su base scientifica, relativa ai popolamenti ittici presenti nelle acque lombarde.Da tempo le province hanno predisposto dei Piani Ittici provinciali, alcuni dei quali in avanzato aggiornamento che, descrivendo le caratteristiche dei corpi idrici in dettaglio, consentono di individuare:• le zone destinate alla protezione, al ripopolamento ed alla tutela ittica, • i tratti di corpi d’acqua che permettono il miglioramento, incremento o difesa della fauna ittica, • i tratti in cui i ripopolamenti di fauna ittica che devono essere effettuati periodicamente con specie autoctone.Infatti le derivazioni che alterano le portate dei corsi d’acqua, gli ostacoli alla libera circolazione, gli interventi che modificano radicalmente la natura degli alvei e alcuni fenomeni di dissesto idrogeologico sono le cause della di-minuzione delle specie ittiche, in determinati tratti di corso d’acqua. In questi casi intervenendo sul recupero delle popolazioni ittiche tenendo conto delle effettive capacità biogeniche degli ambienti oggetto di intervento.

L’idoneità alla vita dei pesci e le carte ittiche

I corpi idrici idonei alla vita dei pesci sono stati designati con deliberazione della Giunta regionale 21 dicembre 1993, n.45652. Secondo le previsioni della direttiva 78/659/CEE nella deliberazione è riportata, per i corpi idrici designati, la distinzione tra “acque salmonicole” e “acque ciprinicole”. A parte alcune carenze nelle previste misure di monitoraggio il giudizio di conformità, formulato sulla base dei dati analitici relativi agli anni compresi tra il 1999 e il 2003 è sempre risultato positivo.Inoltre la Regione Lombardia, attraverso l’emanazione della Legge Regionale n. 12 del 30 luglio 2001, “Norme per l’incremento del patri-monio ittico e l’esercizio della pesca nelle acque della Regione Lombardia”, si è posta l’obiettivo di tutelare la fauna ittica, al fine di preser-vare la qualità degli ecosistemi acquatici. La norma prevede, che Regione e Province assolvano specifiche funzioni in materia di gestione dell’attività di pesca: la Regione ha, infatti, il compito di legiferare e fornire le linee guida a cui ciascuna Provincia deve attenersi per gestire direttamente la pesca sul proprio territorio. In particolare, le competenze regionali riguardano i rapporti con l’Unione Europea, lo Stato, la formulazione di indirizzi programmatici in campo ittico, il coordinamento delle funzioni conferite e la relativa vigilanza (art. 2, comma 1): mentre alle Province spetta di esercitare le funzioni amministrative e gestionali riguardanti aspetti quali i piani di ripopolamento, i diritti esclusivi di pesca, le concessioni a scopo di piscicoltura o acquicoltura, le zone di tutela ittica, il contenimento di specie ittiofaghe, etc..In attuazione della L.R. n. 12 del 2001 di cui sopra, è stato approvato il Regolamento Regionale n. 9 del 22 maggio 2003, che detta norme specifiche in materia di pesca. In particolare il regolamento disciplina i seguenti aspetti:• pesca dilettantistica, professionale, subacquea, gare di pesca;• pesca nelle acque di tipo A, B e C;• gestione della pesca nelle acque sottoposte a forme esclusive di pesca;• licenze di pesca.Di particolare importanza è la definizione dei compiti della Provincia nell’ambito della gestione della fauna ittica e della pesca, che prin-cipalmente riguardano gli aspetti seguenti:• possibile ampliamento, riduzione o sospensione dei periodi di divieto;• eventuali modifiche delle misure minime;• possibili ulteriori limitazioni alle modalità di pesca ed ai limiti di cattura delle specie ittiche di maggior pregio;• possibili ampliamenti degli orari di pesca delle specie tradizionali;• possibili modifiche ai mezzi di pesca consentiti;• contenimento di specie ittiche dannose;• individuazione delle acque per la pesca da natante e per la pesca subacquea;• definizione degli attrezzi e delle modalità di utilizzo e classificazione delle acque per la pesca professionale;• controllo e approvazione dei programmi delle esclusività;• autorizzazione dei Centri Privati di Pesca – CPP;• indicazione delle modalità e delle aree relative al permesso turistico di pesca.Le acque dei laghi Maggiore e Ceresio e quelle del Fiume Tresa, in quanto confinanti con il territorio svizzero, sono sottoposte ai vincoli posti dalla Legge n. 530 del 22 novembre 1988, nota come “Convenzione italo-svizzera”.Ad ulteriore integrazione di quanto sopra riportato si ricorda la Deliberazione della Giunta Regionale n. 7/16065 del 23 Gennaio 2004, che ha normato nel dettaglio i criteri per la compatibilizzazione delle derivazioni d’acqua con la tutela dell’ittiofauna e degli habitat acquatici.La L.R. 12/2001 ha previsto un documento tecnico regionale con finalità di indirizzo su argomenti quali la gestione della pesca, gli interven-ti per il recupero delle acque ai fini della tutela e incremento dell’ittiofauna, le specie autoctone ed alloctone, i tempi e le fonti finanziarie.

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Fig. 1.3

2. Le acque sotterranee

Nelle porosità del sottosuolo padano circolano grandi quantità di acque. Più limitatamente anche in altre aree della regione sono presenti consistenti accumuli di acque sotterranee, ad esempio nei fondovalle alpini o nei massicci carsici. In regione sono ben note le caratteristiche delle falde sotterranee nell’area di pianura, mentre sono poco note le caratteristiche sia qualitative che l’effettiva definizione quantitativa degli acquiferi dell’area montana.Lo stato ambientale delle acque sotterranee è rivelato oltre che dall’inquinamento qualitativo e chimico delle acque anche dal loro equilibrio quantitativo. Le acque sotterranee sono in equilibrio con le acque superficiali e l’impove-rimento delle falde acquifere può determinare variazioni radicali nella distribuzione degli ambienti legati alle acque superficiali, quali le zone umide. Le falde acquifere rappresentano una riserva di acque che non dovrebbe essere impoverita con uno sfruttamento troppo intensivo, se non si vuole modificare radicalmente anche l’aspetto degli ambienti esistenti. Gli aspetti quantitativi sono quindi di fondamentale importanza per definire lo stato di salute degli acquiferi sot-terranei. Dal punto di vista della disponibilità della risorsa quindi l’area di pianura della regione vive ancora una stagione favorevole, rispetto al sovrasfruttamento operato negli anni settanta e ottanta: il livello degli acquiferi sotterranei sta risalendo quasi ovunque, tanto da dover essere tenuto sotto controllo nelle aree urbane dove l’infrastrutturazione ha occupato spazi di sottosuolo crescenti e sempre più ribassati rispetto al piano campagna (Fig. 1.3).

Stato quantitativo delle acque sotterranee in pianura

Già a partire dal 1993 la regione è intervenuta a tutelare le acque a potenziale vocazione ittiogenica, designandone l’idoneità alla vita dei pesci. Per tutto il periodo successivo, i corpi idrici indicati o i loro tratti sono risultati idonei alla vita dei pesci.

1�

Naviglio di Bereguardo

Gli acquiferi lombardi si caratterizzano per un complessità crescente (compartimentazione) da nord verso sud. Dal punto di vista della qualità chimica si presentano una serie di contaminazioni di origine antropica da solventi e idrocarburi, nell’area nord-Milanese e Milanese, dove si registrano anche valori elevati di nitrati, probabilmente legati all’effetto di una rete fognaria carente. Elevati sono anche i valori dei nitrati di alcune zone agricole dell’alta e media pianura bresciana e bergamasca. Mentre negli acquiferi di tutta la Lombardia meridionale si individuano, nelle falde profonde, sostanze indesiderate quali ferro, manganese e talvolta inquinanti quali ammoniaca e arsenico. Queste sostanze sono però collegate alle caratteristiche degli acquiferi in cui le acque si trovano a circolare e non sono collegate a pressioni di tipo antropico. In tutta la pianura si osservano infine fenomeni abbastanza localizzati di inquinamento da prodotti fitosanitari nelle falde più superficiali (Fig. 1.4).

Fig. 1.4

Stato qualitativo delle acque sotterranee

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Canale di Fossalta

Monitoraggio delle acque sotterranee

Anche per le acque sotterranee le modalità di monitoraggio attualmente utilizzate sono quelle previste dal D.Lgs.152/99, in attesa della definizione delle modalità di raccolta dati previste dalla Direttiva Quadro 2000/60/CE e dalla Direttiva sulla tutela delle acque sotterranee dall’inquinamento, 2006/118/CE.Ai sensi del D.lgs. 152/99, che sostanzialmente ha anticipato le due direttive europee, la definizione dello stato quantitativo delle acque sotterranee deve tenere conto sia delle caratteristiche dell’acquifero sia del relativo sfruttamento su un periodo abbastanza lungo (almeno una decina di anni). Esistono diverse possibilità per effettuare questo confronto di lungo periodo e necessitano di serie di dati abbastanza lunghe. Una prima valutazione del bilancio della disponibilità delle acqua sotterranee nell’area padana era già stato effettuato dalla regione nel 1996. In questo primo bilancio era stato eseguito un confronto sulla base delle stime di prelievi e ricarica, per settori di bacino idrogeolo-gico nell’area di pianura. Un bilancio analogo è stato eseguito con dati aggiornati all’anno 2003. Oltre a questo criterio, il livello piezometrico e le tendenze piezometriche in atto, sono considerati i principali indicatori dell’uso sostenibile della risorsa idrica. Attraverso l’identificazione di un livello di riferimento per l’area di pianura lombarda è possibile interpretare i dati relativi alla variazione nel tempo del livello piezometrico, identificandone le tendenze in atto. Il successivo confronto tra le tendenze piezometri-che (dovute principalmente a sollecitazioni naturali) e il rapporto tra disponibilità e consumi consente di definire lo stato quantitativo dei corpi idrici sotterranei e di procedere alla classificazione indicata dal citato decreto, che correla strettamente l’uso sostenibile delle acque all’impatto antropico. Allo scopo di verificare le condizioni di sostenibilità e di pianificare gli interventi sono stati considerati i risultati ottenuti dal confronto del li-vello piezometrico attuale con un livello di riferimento considerato ottimale con i parametri indicativi della tendenza piezometrica. ll livello di riferimento è stato scelto anche in considerazione della necessità di mantenere la disponibilità idrica in pianura senza creare però problemi di interazione con le infrastrutture sotterranee presenti nelle zone fortemente urbanizzate. La valutazione del livello piezometrico attuale rispetto a quello di riferimento, e del trend evolutivo riferito agli ultimi 10 anni, fornisce un’indicazione aggiuntiva in merito alla sostenibilità del mantenimento della risorsa idrica rispetto all’uso della stessa.Nel settore per cui tale analisi è più significativa, a causa dell’abbondanza di dati, l’Adda - Ticino, si osserva in generale una buona dispo-nibilità idrica. La fascia centrale del settore indica uno stato di emergenza per l’elevato livello di falda.È quindi possibile affermare che l’impatto antropico legato alla estrazione di acque sotterranee nell’area di pianura è in generale trascura-bile e che sussistono condizioni di equilibrio idrogeologico in gran parte della pianura lombarda, fatta eccezione per le aree di Bergamo, Brescia, Mantova, in cui i prelievi si mantengono più elevati della ricarica. Molto particolare è la situazione del settore milanese che, pur mantenendo un forte squilibrio tra prelievi e ricarica, presenta un innalzamento del livello di falda che produce situazioni critiche per le infrastrutture sotterranee realizzate in periodi di basso livello degli acquiferi.Le modalità di valutazione dello stato qualitativo delle acque sotterranee sono quelle definite nel D.Lgs.152/99. L’attribuzione della classe si basa sui valori di concentrazione di 7 parametri chimici di base. Oltre ai parametri di base è previsto il rilevamento dei valori di concen-trazione dei parametri addizionali: inquinanti inorganici e organici. La presenza di inquinanti organici o inorganici in concentrazioni superiori al valore soglia determina il passaggio diretto alla classe di qualità peggiore (impatto antropico rilevante con caratteristiche idrochimiche scadenti) o ad una classe di qualità particolare, se il superamento è imputabile a inquinanti inorganici di origine naturale. Le modalità di classificazione sono molto simili a quelle previste dalla recente direttiva europea sulle acque sotterranee 2006/118/CE.Un’analisi condotta sulla qualità delle acque nei diversi settori evidenzia che il 32% delle acque sotterranee della pianura lombarda è di classe particolare. Questa tipologia di acque, presenta inquinanti di origine naturale: ferro, manganese, ammoniaca e manganese, e non lascia quindi spazio a interventi di recupero qualitativo. Tuttavia, trattandosi di acque naturalmente destinate al consumo umano, esse necessitano di idonei trattamenti di potabilizzazione prima dell’erogazione in rete acquedottistica.Si evidenzia inoltre che nell’area milanese settentrionale le acque sotterranee presentano, oltre a inquinamenti soprattutto da solventi e cromo, legati a contesti industrializzati, anche inquinamenti da nitrati, nelle aree agricole del pavese e del mantovano si ritrovano inqui-namenti da fitofarmaci e in tutte le province di Milano, Lecco, Como e Varese, si evidenziano inquinamenti da nitrati con concentrazioni comprese tra 25 e 50 mg/l.

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Lago di Garda

Ponte di barche sul Ticino

In Lombardia l’approvvigionamento idropotabile avviene quasi interamente da acque sotterranee e solo in minima parte da acque superficiali, apparentemente in contrasto con la straordinaria abbondanza di corsi d’acqua ed invasi. Storicamente tuttavia si spiega facilmente questa tendenza. Per un’ampia fascia di pianura infatti in passato era facile utilizzare acque sotterranee poco profonde senza impegno di energia per il recupero, perché le acque sotterranee, provenienti da acquiferi debolmente in pressio-ne raggiungevano la superficie senza pompaggio e rappresentavano fonti abbondanti di acque fresche straordinariamente pulite per tutto l’anno: i mitici fontanili. I corsi d’acqua invece erano considerati i re-cettori degli scarichi e adibiti alla ridistribuzione sul territorio dei carichi civili, storicamente costituiti solo da nutrienti, che potevano essere veicolati anche sulle colture per le quali costituivano la prima forma di concimazione. Nell’immaginario collettivo lombardo quindi le acque da bere sono quelle limpide e fre-sche che sgorgano dal sottosuolo, semplicemente infiggendo a poche decine di metri di profondità un tubo perforato, mentre i corsi d’acqua superficiali sono i veicoli degli scarichi antropici, concepiti come un ricco contributo alla crescita delle colture.Il tempo ha molto modificato la situazione: a partire dalla fine del XVIII secolo infatti, l’industrializzazio-ne della regione ha comportato la diffusione sia nelle acque superficiali che nelle acque sotterranee di sostanze indesiderate, spesso pericolose, che hanno modificato radicalmente la qualità delle acque da bere lombarde.Le sostanze inquinanti hanno infatti progressivamente inquinato gli acquiferi più superficiali. Inoltre a cau-sa dei prelievi, anche aumentati in epoca industriale, non si osservava più l’emersione naturale dell’acqui-fero più superficiale che aveva ridotto la sua prevalenza e anche le acque di questo acquifero dovevano essere estratte con pompaggio.I vantaggi dell’utilizzo delle acque sotterranee ad uso potabile quindi si è davvero molto ridotto attual-mente, anche perché per sfuggire alle contaminazioni provenienti dalla superficie si sono perforati pozzi sempre più profondi, che sono andati ad interessare acquiferi contenenti acque più antiche, con permea-bilità minori e quindi con ricambio molto più lento e ricchi quindi naturalmente di elementi indesiderati.La tendenza storica è comunque rimasta e la regione fonda la sua fornitura di acqua potabile per il 94% dalle acque sotterranee, a confronto con una media nazionale che scende all’80% ed europea ancora più ridotta al 57%.

L’acqua da bere

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1. L’approvvigionamento potabile da acque superficiali In Lombardia sono attualmente autorizzate 33 captazioni fisse da acque superficiali per uso potabile (Fig. 1.5). La maggior parte deriva acque lacustri, in particolare del Lago di Como, dove si estraggono le portate più importanti e dal Lago di Garda dove si conta il numero maggiore di prese. Sono solo 2 le prese dal Lago di Lugano e una dal Lago d’Iseo, per l’abitato insulare di Monte Isola. Sono 2 gli invasi artificiali da cui si trae approvvigionamento idro-potabile, il Palabione a l’Aprica e l’invaso della Valvestino da cui si rifornisce il comune di Gargnano. Le restanti prese da acque superficiali si trovano su torrenti in area montana. La qualità delle acque superficiali destinate al consumo umano è sempre molto elevata, ma in questi casi sono possibili momentanei episodi di inqui-namento microbiologico. Prese da acque superficiali di tipo temporaneo vengono talvolta attivate, nei periodi siccitosi o nel caso in cui si ma-nifestino danni alle condutture e agli impianti. In questi casi, controlli di tipo qualitativo sono effettuati con frequenza molto ravvicinata.

Lago di Como - Bellagio, frazione Pescallo

Fig. 1.5

Prese di acqua potabile da acque superficiali

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2. L’approvvigionamento potabile da acque sotterranee

Le acque sotterranee, soprattutto se profonde, presentano un rischio molto limitato di contaminazione microbio-logica da agenti patogeni e il trattamento di disinfezione serve, soprattutto a preservarle nel lungo tragitto che percorrono in superficie dopo l’estrazione.La acque sotterranee dell’acquifero più superficiale presentano nella zona di alta pianura frequenti fenomeni di contaminazione da solventi, cromo e idrocarburi (punti rossi in fig 1.6). Questo tipo di inquinanti viene rimosso solo da impianti di trattamento con filtrazione a carboni attivi, aerazione in torri e osmosi inversa. Il 70% delle acque erogate nella città di Milano subisce questo tipo di trattamenti per essere resa potabile. Molti impianti di questo tipo sono diffusi anche nell’hinterland milanese. Nell’area di alta pianura sono anche diffusi i fenomeni di contaminazione da nitrati. I nitrati sono un inquinamento di tipo organico legato o alla diffusione di carichi diffusi di tipo zootecnico o a perdita o dispersione nel suolo di scarichi fognari (punti gialli in fg. 1.6). La contaminazione da nitrati non supera praticamente mai i limiti di legge e la presenza dei contaminanti in concentrazioni al di sotto dei limiti di legge viene di solito superata facilmente con il miscelamento di acque provenienti da fonte diversa.La zona di media pianura è quella che presenta le acque di migliore qualità. Nella parte più bassa della pianura, a causa di una serie di episodi di inquinamento legati a prodotti fitosanitari, negli anni ottanta e novanta, sono stati via via individuate fonti di approvvigionamento in acquiferi sempre più profondi. Gli acquiferi più profondi presen-tano però un chimismo naturale che non le rende particolarmente adatte all’utilizzo potabile. Infatti accanto a so-stanze considerate come indesiderate, quali ferro e manganese, che comunque lasciano sui sanitari strie ruggine e nere, davvero poco gradite agli utenti, si incontrano anche ammoniaca e arsenico. La rimozione dell’arsenico è un processo complesso e costoso. In Lombardia esistono ormai diversi impianti per la rimozione dell’arsenico e le acque distribuite rispettano le concentrazioni di estrema sicurezza previste dalla normativa comunitaria.

Fig. 1.6

Stato ambientale delle acque sotterranee

3. Le fonti di acque minerali

In regione sono presenti diverse fonti di acque minerali riconosciute dal ministero della salute. In particolare di-verse sorgenti e stabilimenti di imbottigliamento si concentrano nell’area montana (Fig. 1.7).La valutazione delle caratteristiche di un’acqua minerale riguarda tutta una serie di caratteri: geologico ed idrogeologico,organolettico e fisico-chimico, microbiologico ed eventualmente farmacologico e clinico.

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Le acque mineraliLe acque minerali sono acque, che a causa di un contatto più o meno prolungato con le rocce che hanno attraversato e a seconda delle ca-ratteristiche chimiche e mineralogiche di queste ultime, hanno acquisito una particolare composizione chimica, che le rende interessanti dal punto di vista terapeutico. Tutte le acque delle sorgenti hanno caratteristiche proprie e diversificate per cui hanno virtù terapeutiche ed impieghi differenziati. Proprio per i fenomeni prima descritti, le acque minerali sono state considerate in Italia tra i beni del sottosuolo e classificate fra le sostanze mine-rarie seppur rinnovabili. Un bene pubblico quindi sottratto alla libera disponibilità, considerato prima demaniale e, dal 1970, patrimonio indispo-nibile delle Regioni e utilizzabile solo sotto concessione (cfr. l.r. 44 del 29/4/1980). La commercializzazione delle acque minerali prevede quindi il rilascio di una concessione. Le imprese devono quindi essere munite di un atto di concessione, che segue quello della ricerca vera e propria e dopo aver rinvenuto il bene acqua minerale naturale ed averne accertato la consistenza, la qualità e la coltivabilità, possono procedere alla fase industriale della raccolta e del confezionamento per la sua commercializzazione. Con legge regionale 1/2000 (art. 2) la Regione Lombardia ha delegato le competenze amministrative inerenti la ricerca, la coltivazione e la concessione. Da tempo la Regione Lombardia ha anche stabilito il pagamento di un contributo relativo al quantitativo di acque imbottigliato, non previsto dalla normativa nazionale, ma perfettamente il linea con le direttive europee in materia di acque. Tali proventi sono riscossi dalle province che li destinano a interventi di difesa attiva dei bacini idrominerali e al miglioramento delle conoscenze delle risorse e della loro vulnerabilità (cfr. DGR 24/5/2006 n.8/2600 “Modalità di utilizzo dei canoni delle concessioni di acque minerali naturali da imbottigliamento e/o termali: direttiva alle amministrazioni provinciali).Un’acqua minerale naturale per essere considerata tale e commercializzata deve ottenere il riconoscimento del Ministero della Sanità che lo rilascia dopo aver valutato gli studi geologici, le analisi batteriologiche, le analisi chimico-fisiche nonché le sperimentazioni clinico-farmacologi-che, in base al Decreto Legislativo n.105 del 1992, che ha recepito la legislazione europea (Direttiva 80/777/CEE). La commercializzazione deve essere autorizzata dalla Regione o dalla Provincia dopo una serie di sopralluoghi ed accertamenti sull’idoneità delle captazioni, degli impianti e degli stabilimenti industriali.Per definizione, l’acqua minerale naturale è di origine profonda, confezionata all’origine, presenta la purezza batteriologica originaria, ha ca-ratteristiche chimiche costanti ed ha effetti favorevoli alla salute. Le acque minerali e termali (la cui differenza, secondo la legge italiana, risiede nella presenza di alcune sostanze e quindi nel diverso uso) possono essere distinte secondo diverse classificazioni a seconda del parametro considerato (proprietà terapeutiche, caratteristiche chimiche, fisiche, chimico-fisiche).Le acque minerali naturali, in relazione alla loro composizione chimica (che acquisiscono attraverso un lento e lungo processo di “autofiltrazione” sot-terranea a contatto con rocce soprattutto calcaree e silicee), si classificano in base al loro “residuo fisso” (quantità di sali ottenuti dopo essiccazione a 180°) in: minimamente mineralizzate, oligominerali, ricche di sali minerali. La normativa italiana è particolarmente dettagliata e puntuale e disciplina tutte le attività connesse al confezionamento. Quanto alle caratteristiche salutari, documentate da sperimentazioni cliniche e farmacologiche operate presso Enti universitari od ospedalieri riconosciuti, queste possono essere indicate in etichetta solo con espressioni previste dalla Legge stessa.

Fig. 1.7

Fonti minerali in regione

Le acque minerali lombarde sono tutte classificabili come oligominerali, particolarmente povere di sodio e quindi adatte nelle diete iposodiche. Tuttavia quasi tutte presentano una componente minerale dovuta al calcio bicarbo-nato che le rende “dure” (valori medi di residuo fisso) anche se adatte a favorire la digestione. A questa caratteristica sfuggono solo quelle di ambiente francamente alpino, che presentano invece valori di residuo fisso molto bassi.

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Lido di Pavia

Le acque destinate alla balneazione devono corrispondere a precisi criteri stabiliti dalla normativa europea, che indica in particolare i parametri da controllare, nonché le modalità e la tempistica di campionamento. In particolare se un punto è non idoneo per due stagioni balneari consecutive, il monitoraggio del punto è sospeso fino alla messa in atto di misure di miglioramento finalizzate a rimuovere le cause dell’inquina-mento. Inoltre la normativa italiana recepisce in senso restrittivo la normativa europea che prevede una classe intermedia di acque balneabili con attenzione, che non è prevista nell’ordinamento italiano che esclude a priori questo tipo di balneazione.In territorio lombardo, vengono esaminati per idoneità alla balneazione diversi tratti di coste lacustri (Fig. 1.8). I dati di idoneità relativi a singoli punti appaiono poco significativi e legati ad effetti molto locali, anche se decisamente utili per la definizione degli interventi di miglioramento finalizzati a rimuovere le cause di in-quinamento. L’insieme degli esiti delle determinazioni nei vari punti di un corpo idrico può dare un’idea più precisa della qualità. Per ogni corpo idrico esaminato è riportato il numero di località monitorate, il numero di siti risultati idonei alla balneazione e la loro percentuale sul totale delle richieste fatte.

La balneazione

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Fig. 1.8

La balneazione

Attualmente la balneazione in Italia è normata ai sensi del DPR 470/88 che ha recepito la Direttiva europea 76/160/CEE sulla qualità delle acque di balneazione. Recentemente a livello europeo è stata approvata una nuova Direttiva sull’argomento, la 2006/7/CE con il compito di armonizzare e semplificare le differenti legislazioni nazionali ad oggi esistenti nei vari paesi europei.Attualmente nel nostro paese i parametri da monitorare per la verifica dell’idoneità alla balneazione sono 12 (a differenza della direttiva 76/160/CEE che ne prevedeva 19), di cui 5 biologici (coliformi totali, coliformi fecali, streptococchi, salmonella ed enterovirus - la ricerca degli ultimi due parametri viene effettuata quando, a giudizio dell’autorità di controllo, particolari situazioni facciano sospettare una loro eventuale presenza-), 5 chimico-fisici tra cui il pH, la saturazione di ossigeno, i fenoli, oli minerali e sostanze tensioattive; e 2 riferiti a colorazione e trasparenza.A differenza di altri paesi europei, nel recepire la direttiva 76/160/CEE, che proponeva per ogni parametro, un valore guida a cui tendere ed un valore imperativo da rispettare in maniera rigorosa, l’Italia ha optato per una maggiore protezione, imponendo un unico valore, spesso molto più restrittivo del valore imperativo.I criteri fissati dal DR 470/88 per stabilire l’idoneità o meno alla balneazione sono piuttosto complessi e variabili per gruppo di parametri: In generale le acque vengono classificate idonee alla balneazione in base ad un continuo giudizio di idoneità: nel caso un campione non risultasse favorevole, il divieto di balneazione non è automatico, ma la balneazione è vietata temporaneamente solo qualora risultino non favorevoli almeno altri due campioni tra i cinque che il laboratorio preposto è tenuto a prelevare. Nel caso un punto risultasse non idoneo alla balneazione per due stagioni balneari consecutive, sarà possibile interrompere le analisi fino all’attuazione di interventi atti a eliminare le cause di inquinamento.La direttiva 76/160/CEE ancora in vigore, verrà progressivamente sostituita (ne è prevista l’abrogazione entro la fine del 2014) dalla nuova direttiva 2006/7/CE, entrata in vigore nel marzo del 2006 e che dovrà essere recepita dagli Stati membri entro il 24 marzo del 2010.La nuova direttiva europea si basa sui più recenti studi epidemiologici e lavori di ricerca portati avanti dall’Organizzazione Mondiale della Salute, rafforza il principio della gestione delle acque di balneazione introducendo un “profilo” di queste acque, da stabilirsi entro il 24 marzo 2011, che corrisponde alla identificazione e allo studio delle possibile sorgenti di contaminazione che possono pregiudicare la qualità delle acque.Anche in questa direttiva che completa la 2000/60/CE viene data importanza al pubblico, obbligando gli Stati a informarlo rispetto alla qualità delle acque di balneazione e dando la possibilità alle persone di avere accesso ai processi di informazione e permettere di partecipare con sug-gerimenti o osservazioni.In questa direttiva le acque di balneazione vengono suddivise in 4 classi di qualità: insufficiente, sufficiente, buona e eccellente secondo due solo parametri batteriologici affidabili: gli enterococchi intestinale e Escherichia coli; le classi sono definite attraverso valori soglia e con l’applicazione del metodo dei percentili.Oltre ai due parametri principali la direttiva impone ulteriori controlli e indagini nel caso ci sia rischio di proliferazione di cianobatteri, macro alghe e fitoplancton, al fine di limitare i rischi per i bagnanti. Inoltre adeguate misure di gestione devono essere anche messe in atto allorché vengano individuati, tramite ispezione visiva, residui bituminosi, vetro,plastica,gomma o altri rifiuti.In Italia la direttiva non è ancora stata recepita in toto: con D.Lgs. 94/2007 vi è stato un parziale recepimento, con il quale è stato eliminato il parametro ossigeno disciolto tra quelli che devono essere analizzati per determinare il grado di qualità delle acque ai fini della balneazione.

La balneazione in Lombardia

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Fig. 1.9

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Como Iseo Garda Maggiore Lugano Idro

I dati indicano una tendenza netta al miglioramento delle condizioni di idoneità alla balneazione per tutti i grandi laghi (fig. 1.9).Il Lago di Garda si presenta come il migliore, presentando una percentuale di siti balneabili sempre superiore al 70%, con un trend positivo negli ultimi 4 anni.Il Lago Maggiore, dopo un leggero calo attorno agli anni 2000 e 2001, evidenzia un contenuto aumento della percen-tuale di punti balenabili. In netto miglioramento invece il lago di Como e d’Iseo, dove la percentuali di siti balneabili cresce in maniera netta dal 1999 al 2003, passando da valori inferiori al 10% a valori superiori al 70%.Il Lago di Lugano presenta un minimo assoluto, con nessuna stazione balneabile nell’anno 2000, e registra in seguito una crescita della percentuale di siti idonei, che si attesta nell’ultimo biennio a valori di oltre il 50%. I dati analitici riferiti al Lago d’Idro presentano un andamento fortemente altalenante, con valori che variano dal 100% allo 0%: completa balneabilità in tutti i punti monitorati negli anni 1998, 2000, 2001 e 2002, giudizio non favorevole per tutti i campioni negli anni 1999 e 2003 (in entrambi gli anni il fattore limitante è il pH, con valori superiore a 9 per buona parte dei campioni).Leggermente diversa si presenta la situazione dei piccoli laghi rispetto a quelli precedentemente considerati. La percentuale di località classificate come balneabili, invece, ha una tendenza all’aumento (Fig. 1.10).Per alcuni di questi ambienti si osserva una situazione di idoneità alla balneazione che si conferma nel tempo, mentre per altri si osserva come sia più elevata la fragilità di questi corpi d’acqua di minori dimensioni: infatti a seguito di un singolo evento di piena, l’idoneità alla balneazione e la qualità in generale vengono recuperate anche dopo una intera annata.

Andamento dei dati relativi alla balneazione per i principali laghi lombardi

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Fig. 1.10

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Andamento dei dati relativi alla balneazione per gli altri laghi lombardi

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Ghirla Monate Giudici Moro Montorfano Pusiano

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Lago d’Iseo

Le acque termali

A completare il quadro delle risorse idriche da tutelare in Lombardia contribuiscono anche le acque termali. Queste ultime si formano quando le acque sotterranee raggiungono una zona caratterizzata dall’azione riscaldante del sottosuolo e aumentano la propria temperatura, arricchendosi, inoltre di sali minerali provenienti dalle rocce attraversate. Queste acque tornano in superficie sotto forma di vapore o di acqua calda. L’acqua termale acquisisce in questo tragitto acquisito una composizione chimica (grado di mineralizzazione) che dipende dalla composizione chimica originaria e dal grado di solubilità delle roc-ce attraversate, oltre che dalla lunghezza e durata del percorso. Le acque termali possono essere distinte secondo diverse classificazioni a seconda del parametro con-siderato (proprietà terapeutiche, caratteristiche chimiche, fisiche, chimico-fisiche).In base alla composizione salina, le acque possono essere classificate come arsenicali o ferruginose, salse se contenenti cloruro di sodio, sulfuree con zolfo in varie combinazioni, bicarbonate, carboniche, salso-bromo-iodiche e radioattive se contengono piccolissime quantità di elementi come il radon.In particolare, nella zona alpina e prealpina lombarda si trovano acque termali bicarbonate derivanti da rocce calcaree e acque ricche di zolfo, mentre nella Pianura Padana sono più comuni acque fortemente mineralizzate, caratterizzate da un alto contenuto di cloruro di sodio e altri minerali, nonché acque sulfu-ree.In base a questa classificazione, le acque termali lombarde presentano una vasta gamma di utilizzi: come bevande, per irrigazione, per inalazione, per bagno, oppure come applicazione in associazione con altre sostanze minerali o organiche (fig.1.11).I bacini che alimentano le sorgenti termali sono spesso estesi nelle aree montane più marginali e quindi naturalmente protetti, ma interventi di infrastrutturazione o modifiche territoriali possono interferire grave-mente con l’alimentazione termale che deve quindi essere soggetta ad attenzione.

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Fig. 1.11

Le acque termali

L’impiego delle acque termali per idroterapia, nel bacino del Mediterraneo, era conosciuto fin dai tempi antichi, come evidenziato dai reperti archeologici, dalle testimonianze letterarie e scientifiche, dalle numerose epigrafi.I Greci praticavano i bagni in acque calde e ritenevano che le acque calde e i vapori che sgorgavano dalla terra avessero un significato sovran-naturale. Non è un caso che presso località termali sorgessero importanti templi come quello di Olimpia e il famosissimo Tempio di Apollo a Delfi, ove la Pizia, avvolta dai fumi, prediceva con arcane parole il futuro. Agli occhi delle popolazioni antiche la presenza di divinità giustificava i poteri terapeutici e le proprietà caratteristiche delle acque termali. Lo stesso Ippocrate, incoraggiava il ricorso alle terme e nel trattato “Uso dei liquidi” decantava le virtù delle acque minerali e delle sorgenti calde.I Romani sfruttarono le acque sia per finalità igieniche che curative e fino a quando il bagno non diventò un raffinato piacere. Le terme diven-tarono così un luogo di incontro al pari del foro e accanto agli stabilimenti vennero creati spazi per le passeggiate, parchi e giardini, musei e biblioteche.La caduta dell’Impero Romano, il decadimento delle strutture, il consolidarsi della religione cristiana che invitava a fuggire dalle occasioni di edo-nismo e ad evitare luoghi diversi dalle chiese portò al declino delle terme come fenomeno culturale e sociale. Nel corso del Medioevo la pratica termale venne ristretta al solo uso terapeutico; è questo il periodo in cui l’indagine sui benefici delle cure si mescola con le speculazioni empiriche e popolari che ricollegano ad un’acqua un particolare effetto. A partire dal XVI secolo, da centri di cura, le località termali si andarono trasformando in centri di villeggiatura e di vita mondana richiamanti la popolazione dell’intero continente e destinate ad assumere la fisionomia propria ed autonoma di stazioni e città termali. Ciò con un notevole riflesso anche sull’architettura dei centri, che si dotano di ampie ville, hotel, parchi e giardini. Ci avviamo così al termalismo dell’età moderna caratterizzato sotto il profilo degli studi da un’applicazione del metodo sperimentale con un approccio innovativo circa le cure; sotto il profilo dell’erogazione delle cure si assiste, invece, a quello che è stato definito il termalismo d’élite. I due conflitti mondiali certamente ridussero considerevolmente l’afflusso verso le stazioni termali che ripresero la loro attività nel dopoguerra in quella che è stata definita la stagione del termalismo sociale.Le acque termali vengono classificate in base ad alcuni criteri identificativi che corrispondono ai caratteri generali (colore, odore, sapore, limpidità, colloidi); ad analisi chimico-fisiche (temperatura, densità, indice di rifrazione, abbassamento crioscopico, pressione osmotica, pH, conducibilità elettrica); ai risultati delle analisi chimiche (residuo fisso a 100°C, a 180°C, al rosso scuro, ammoniaca, nitriti, nitrati, ossigeno, idrogeno solforato, grado solfidrometrico, durezza, alcalinità, arsenico, ozono, azione catalitica, reazione al cloridrato di benzidina, gas).

Terme di Lombardia

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L’acqua una ricchezza da gestire2

Alpe Gera - ghiacciaio Fellaria

La disponibilità di acque

1. La felice situazione della regione

La superficie regionale di 24.000 km² circa, per il 42% in zona montana ed il 13% in zona collinare, pre-senta una piovosità media di 1000 mm/anno circa, che varia però sensibilmente all’interno del territorio regionale con punte che superano i 2000 mm/anno nel varesotto, bacino del Lago Maggiore e sul crinale orobico (Fig. 2.1).Il volume dell’afflusso medio annuale derivante dalle piogge si aggira quindi intorno ai 27 miliardi di m³. A questi si aggiungano un volume di riserve (intesa come disponibilità non rinnovabile) stoccate in regione di circa 120 miliardi di m³ nei laghi, di circa 500 miliardi di m nelle falde sotterranee e di circa 4 miliardi nei ghiacciai alpini. Il volume delle precipitazioni rinnovabile annualmente rappresenta la vera risorsa, uti-lizzabile e riutilizzabile. Gli ulteriori volumi rappresentano le riserve regionali, cioè quanto in un quadro di sviluppo sostenibile dovrebbe essere armoniosamente conservato per le generazioni future e come tale preservato o se utilizzato reintegrato.

Fig. 2.1

Precipitazioni medie annue in Europa

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Variazioni frontali (curva tempo-distanza) del Ghiacciaio Pizzo Scalino dal 1924 al 2003.

Variazioni frontali (curva tempo-distanza) del Ghiacciaio dei Forni dal 1908 al 2003.

Fig. 2.2

Purtroppo alcune riserve sono difficilmente preservabili, i ghiacciai alpini, infatti arretrano ormai da anni e risulta molto complessa qualsiasi azione per limitare questo fenomeno (Fig. 2.2). In area alpina, dall’ OcCC (Organo con-sultivo per i Cambiamenti Climatici) svizzero viene stimata una riduzione del 75% dell’area glacializzata entro il 2060. Sempre gli svizzeri stanno sperimentando possibili interventi con coperture con teli sintetici protettivi, tuttavia questo tipo di intervento si giustifica solo per tutelare infrastrutture che potrebbero essere danneggiate da dissesti connessi allo scioglimento. Sicuramente di importanza fondamentale è la gestione del patrimonio di acque lacuali e sotterranee che costitui-scono la ricchezza della nostra regione.

(Fonte “progetto Kyoto Lombardia”)

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2. I cambiamenti climatici L’evidenza di una variazione climatica a scala globale è ormai generalmente condivisa. Variazioni climatiche sono avvenute già più volte in epoca storica ed è probabile che la scomparsa di grandi civiltà abbia avuto a che fare con le difficoltà di adattamento ai nuovi scenari. E’ per questo che parallelamente alle iniziative messe in atto per minimizzare il contributo antropico al deterioramento climatico, sembra di prioritaria importanza l’attivazione di una strategia di adattamento ai mutamenti che ci consenta di passare ai nuovi scenari.

Il clima in Lombardia

La Regione Lombardia deve il suo sviluppo economico alla sua straordinaria ricchezza di acqua. Si tratta di una storia che origina dall’insedia-mento delle popolazioni di origine etrusca, che iniziarono le prime arginature di Po e Oglio, per strappare terre fertili all’esondazione dei grandi fiumi, che si arricchisce e definisce con l’opera di centuriazione romana, che regolarizza le pendenze favorendo il deflusso delle acque e si com-pleta con l’affermazione di una vera e propria “civiltà idraulica” di origine monastica, tra XI e XII secolo in pieno medio evo.L’enorme impegno nella regimazione, sistemazione e gestione della quantità di acqua disponibile ha impegnato generazioni di tecnici, che hanno studiato e proposto decine di soluzioni alternative, delle quali alcune hanno trovato attuazione altre sono rimaste sospese o dimenticate, alcune risultano impraticabili oggi, altre potrebbero essere recuperate. La Lombardia possiede insomma un enorme patrimonio di acque, canali e idee sulla gestione e valorizzazione del suo patrimonio idrico.Il sistema degli usi delle acque in Lombardia è tuttavia venuto a strutturarsi completamente nel corso degli ultimi 1000 anni, periodo interamente interessato da un clima freddo/umido, definito anche della “piccola età glaciale”. Indipendentemente da quali siano i fattori determinanti le modi-ficazioni climatiche cui assistiamo negli ultimi 10 anni è comunque evidente che anche la Regione Lombardia ha subito, in un passato neanche troppo lontano climi differenti, tanto che nell’”optimum medievale”, periodo appena precedente la “piccola età glaciale”, si ritiene che non fossero più presenti accumuli glacio-nivali sul versante sud delle Alpi, fonte preziosa per l’approvvigionamento idrico estivo dei torrenti alpini.Ai fenomeni di riscaldamento si associano alle nostre latitudini evidenze di una generale diminuzione delle precipitazioni, con un conseguente diminuzione della disponibilità della risorsa per gli usi tradizionali. La tendenza si è presentata come una concreta realtà nel susseguirsi di stagioni siccitose che si sono presentate negli ultimi anni a partire dal 2000. A fronte quindi di un generale incremento della domanda legato al crescere degli usi a carattere collettivo (balneazione, navigazione, pesca), legati anche al miglioramento della qualità della vita, la disponibilità di acque della regione, che pure sembra consistente, diventa, di fatto, insufficiente. L’evidenza scientifica della diminuzione di disponibilità idrica risulta quindi essere una costante degli ultimi anni. Gli effetti che i mutamenti climati-ci, ormai difficilmente negabili, avranno sulla disponibilità futura dell’acqua impongono un ripensamento di logiche legate ad un utilizzo dell’acqua consolidatesi quando l’ampia disponibilità delle fonti di approvvigionamento faceva ritenere illimitata la risorsa.

Giova comunque valutare l’ammontare delle precipitazioni anche, in modo relativo, oltre che in termini assoluti (Fig. 2.3). L’area alpina, molto rilevata rispetto alla aree circostanti, costituisce la zona più piovosa di tutto il continente eurasiatico, con un prezioso contributo delle nevi, che rappresentano un volume “congelato” (non solo in senso metaforico) che si rende disponibile in tempi lunghi invece che defluire rapidamente.In un sistema di riferimento a scala europea si osserva molto bene che la zona centrale delle alpi si caratterizza per una piovosità elevata, ha indubbiamente favorito lo sviluppo di una delle più ricche attività agricole in d’Europa (Fig. 2.4).

Fig. 2.4Fig. 2.3

Distribuzione globale delle precipitazioni

(Fonte: Global precipitation climatology center)

Precipitazioni medie anuue in europa

(Fonte: European Enviromental Agency)

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Medie annuali delle temperature medie nel periodo 1803–2003 relative alla serie media italiana . I dati

sono espressi in termini di anomalie rispetto al periodo 1961-1990. (Fonte: “progetto Kyoto Lombardia”)

Fig. 2.5

In alcuni Paesi, in primo luogo quelli dell’Unione Europea, le istituzioni e le società si stanno attrezzando per affron-tare questa sfida, mettendo in campo politiche di adeguamento delle strutture e degli stili di vita ai cambiamenti dell’ambiente e del territorio che inevitabilmente ci saranno.L’effetto principale del cambiamento climatico in atto è quello manifestato dalle temperature, che presentano una variazione delle medie annue, in Italia, con un trend in risalita a partire dagli anni ottanta (Fig. 2.5). Questo tipo di tendenza appare confermare i dati a scala globale e anche gli andamenti a più lungo termine evidenziati a scala mondiale.Più difficile da definire sembra la tendenza esatta delle precipitazioni che si sostiene ancora non presentino va-riazioni significative in termini quantitativi; tuttavia è condivisa l’opinioni che forti variazioni si presentino in termini temporali (Fig. 2.6), con una evidente concentrazione delle precipitazioni nei periodi autunnali.Se si suddivide la regione in diverse aree si evidenziano tendenze differenti e non del tutto omoge-nee (Fig. 2.7). Sembra evidente una riduzione rispetto alle medie di lungo periodo delle precipitazio-ni nel periodo invernale e primaverile comune a tutta la regione, mentre la stagione estiva presenta una tendenza più articolata e la stagione autunnale manifesta addirittura un incremento delle precipitazioni praticamente in tutta la regione. La tendenza degli ultimi anni è stata, soprattutto caratterizzata da eventi concentrati e imponenti, che hanno prodotto importanti fenomeni alluvionali, durante i quali grandi masse d’acqua sono transitate nei fiumi e rapidamente defluite in mare. Le precipitazioni nevose si sono ridotte su tutto l’arco alpino. In queste condizioni di rapido deflusso delle acque e di accumulo nevoso scarso, difficilmente si creano buone condizioni di ricarica delle falde e di riempimento dei bacini lacustri che rappresentano le riserve.Dobbiamo supporre quindi che se si produrrà una riduzione netta dell’afflusso a scala regionale, la variazione sta-gionale subita dalle precipitazioni potrà però mettere in crisi il sistema di utilizzo delle risorse che si è sviluppato in Lombardia nei secoli, in corrispondenza di differenti condizioni climatiche.

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Mud cracks – greto del Po

Fig. 2.7

Serie annuali delle precipitazioni relative alle tre regioni NW, NEN e NES in cui è stata suddivisa l’area padana.

I dati sono espressi in termini di rapporti rispetto ai valori medi del periodo 1961-1990.

La Lombardia è rppresentata dal settore NEN (Fonte: “Progetto Kyoto Lombardia”)

Il sistema degli usi delle acque in Lombardia è venuto a strutturarsi completamente nel corso degli ultimi 1000 anni, periodo interamente interessato da un clima freddo/umido, definito anche “piccola età glaciale”che era succedu-to ad un periodo definito come ”optimum climatico medievale”, nel quale si ritiene che non fossero più presenti accumuli glacio-nivali sul versante sud delle Alpi, fonte preziosa per l’approvvigionamento idrico estivo dei torrenti alpini.Gli effetti che i mutamenti climatici, avranno sulla disponibilità futura della risorsa idrica in regione, impongono quindi un riesame delle logiche di utilizzo dell’acqua consolidatesi quando l’ampia disponibilità delle fonti di approv-vigionamento faceva ritenere illimitata la risorsa.

Fig. 2.6

Serie annuali delle precipitazioni relative a sei stazioni rappresentative della regione.

I dati sono espressi in termini di rapporti rispetto ai valori medi del periodo 1961-1990. (Fonte: “Progetto Kyoto Lombardia”)

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3. Le possibilità di invaso

In un quadro di disponibilità che resta consistente nel tempo, ma che concentra l’apporto in tempi limitati, diventa di fondamentale importanza la possibilità di trattenere le acque nel momento di massimo afflusso per renderle di-sponibili più gradualmente in un lungo periodo successivo.Anche questa caratteristica è propria del sistema di gestione delle acque che si è sviluppato nel corso degli anni.La presenza dei grandi laghi in Lombardia ha sempre costituito un naturale sistema di laminazione, cioè riduzione dei colmi per le piene dei corsi d’acqua sopralacuali. In occasione delle piene l’area lacustre costituisce un’ideale area di espansione, con una risalita dei livelli non eccessiva. Questa caratteristica è stata sfruttata nell’ultimo secolo e i grandi laghi lombardi sono diventati enormi bacini di accumulo in occasione delle piene e con un sistema di regolazione complesso, ma fondato su alcuni semplici principi, hanno fornito deflussi controllati in tutti i periodi di magra, per sostenere i principali usi di valle.Nel corso del secolo scorso, sono state realizzate tutte le opere di sbarramento alla chiusura dei bacini lacustri, che permettono di regolare i livelli delle acque lungo le sponde.

La regolazione dei grandi laghi

La presenza dei grandi laghi in Lombardia e nelle regioni limitrofe, costituisce un naturale sistema di laminazione, cioè riduzione dei colmi di piena dei corsi d’acqua sopralacuali. Questa caratteristica è stata sfruttata nell’ultimo secolo e i grandi laghi lombardi sono diventati importanti bacini di accumulo in occasione delle piene, inoltre, con un sistema di regolazione fondato su alcuni semplici principi, hanno fornito a valle deflussi controllati a beneficio degli usi delle acque dell’emissario, particolarmente preziosi negli anni di scarsità idrica. La regolazione dei laghi rende disponibile, secondo le esigenze dell’utenza, la quantità d’acqua accumulabile entro i limiti di escursione della superficie lacustre. In generale ciò avviene con il riempimento del lago nei periodi di afflussi più abbondanti (primavera e autunno) e con il suo svuotamento nei periodi di magra (estate e inverno).

La regolazione viene operata da enti appositi, costituiti in forme diverse a seconda del periodo in cui è iniziata la regolazione, i quali agiscono sulla base di disciplinari di concessione. Caratteristica di questi enti di regolazione è in generale (ma non in tutti i casi) la rappresentanza degli utenti che legittimamente utilizzano in virtù di concessioni le acque del fiume emissario (concessionari irrigui ed idroelettrici), oltre a una partecipazione dello Stato centrale a mezzo di rappresentanti dei ministeri interessati. In genere vi è una rappresentanza degli enti locali rivieraschi del lago e del fiume emissario (comuni e province). Non sono invece quasi mai rappresentate le regioni (cui dal 2002 compete la gestione del demanio idrico), che non esistevano al momento della costituzione degli enti di regolazione avvenuta quasi in tutti i casi a cavallo degli anni ’30 del secolo scorso. Il ruolo svolto dagli utenti-concessionari delle utilizzazione dei fiumi emissari che traggono beneficio dalla regolazione effettuata è importante, poiché, in generale, questi si fanno carico delle spese di funzionamento dell’ente di regolazione e inoltre, soprattutto in quanto nei periodi di grave carenza idrica nei quali diventa necessario concordare giorno per giorno la gestione delle acque disponibili dal coordinamento delle utilizzazioni di valle dipende il soddisfacimento della domanda di acqua per l’irrigazione nel periodo estivo. Negli ultimi anni tuttavia gli enti di regolazione dei laghi hanno dovuto ( e saputo) farsi carico anche delle nuove esigenze di carattere ambientale conseguenti alla regolazione (non si dimentichi infatti che praticamente tutti gli emissari da laghi regolati corrispondono a parchi fluviali) ma anche delle esigenze delle popolazioni rivierasche del lago, che con l’avvio di importanti attività turistiche presentano richieste sempre più precise in relazione al mantenimento dei livelli per la navigazione e della qualità delle sponde per la balneazione.

Nome lago Superficie Superficie Quota max Quota min Max Volume Volume Profondità Perimetro Tempo di Anno di dello specchio del bacino di regolazione di regolazione regolaz. totale lago massima (km) ricambio delle inizio della lacustre (km²) imbrifero (km²) (m s.l.m.) (m s.l.m.) (Mm³) (Mm³) (m) acque (anni) regolazioneComo (Lario) 145 4508 198,59 196,89 247 22500 425 170 4,5 1946Garda (Benaco) 368 2360 65,78 63,98 666 49031 350 165 26,6 1951Idro (Eridio) 11,4 617 369,25* 366,00* 35 684 122 24 0,99 1923Iseo (Sebino) 61 1785 186,25 184,85 85 7600 251 63 4,1 1933Maggiore (Verbano) 213 6599 194,37 192,37 420 37500 370 170 4,1 1943

* riferite alle quote dell’idrometro di Idro

3�

lago Segrino

Nel complesso, la regolazione dei grandi laghi, consente di regolare circa 1,2 miliar-di di m³ di acque, che possono essere fat-te defluire nel quantitativo necessario e nel momento più opportuno. Oltre a queste possibilità di invaso, nel-l’area montana della regione esistono una serie di invasi gestiti a scopo idroelettrico, che rappresentano una possibilità di trat-tenere le acque a quote ancora più eleva-te realizzando quindi un ulteriore effetto di rallentamento del deflusso superficiale (Fig. 2.8). Questi serbatoi prodotti dall’edificazio-ne di grandi dighe realizzate anch’esse nel corso del secolo scorso, modificano talvolta in modo sostanziale il paesag-gio alpino lombardo e ne segnano quasi una caratteristica tipica; tuttavia, essendo spesso realizzate a cascata, rappresenta-no il modo ottimale per utilizzare più volte la risorsa idrica. Nella valle dell’Adda la ca-pacità d’invaso dei serbatoi idroelettrici è almeno il doppio della capacità del bacino lacustre. Naturalmente questi numeri non possono essere considerati come un vo-lume netto utilizzabile, per limiti tecnici di realizzazione degli invasi, degli impianti di scarico oltre che per una serie di motivi che riguardano la gestione di ogni singolo invaso caraterrizzato da problemi specifici. Naturalmente trattandosi di invasi in serie le possibilità di gestione diventano ulte-riormente articolate e rappresentano una risorsa estremamente rilevante.

Dighe e invasi

È di competenza della Regione Lombardia, tramite le Sedi Territoriali, occuparsi dell’approvazione dei progetti, del controllo sui lavori di costruzione, del collaudo e della vigilanza sull’esercizio delle piccole dighe, cioè di quelle dighe alte fino a 15 m e con un volume d’invaso fino a 1 Milione di m³ (L.R. 8/98). In Lombardia, ad oggi, si contano circa 600 sbarramenti e bacini di accumulo, che si possono definire piccole dighe. L’utilizzazione degli invasi è a carattere prevalentemente idroelettrico nelle Province di Bergamo, Brescia, Como e Sondrio, mentre è a pre-valente uso irriguo in provincia di Pavia, tipicamente con sbarramenti in terra.Delle “grandi dighe”, ossia di quelle con caratteristiche superiori di volume d’inva-so ed altezza, si occupa invece il Registro Italiano Dighe.La Regione Lombardia è stata la prima in Italia ad adottare un “Regolamento am-ministrativo” sulle piccole dighe, nel 1986, a seguito della tragedia della Val di Stava (Trentino) e ad approvare una legge sui “piccoli invasi” con l’obiettivo della tutela della pubblica incolumità, in particolare delle popolazioni interessate dalle opere, e della conservazione e sicurezza del territorio, e dettando, nel contempo, norme per la progettazione, la vigilanza ed il controllo sulle opere esistenti o da realizzarsi.L’esperienza acquisita dalla Regione Lombardia negli anni dal 1986 al 2000 nel-la valutazione dei progetti ha permesso di approvare nel marzo 2001 direttive di attuazione della normativa, per avere chiare linee-guida per l’approvazione dei progetti, la costruzione, l’esercizio e la disattivazione delle piccole dighe, e per favorire proprio la valutazione del “caso per caso, in relazione alle caratteristiche tecniche dello sbarramento”, prevista per le piccole dighe dal Regolamento dighe statale fin dal 1931. Le direttive riguardano sia la realizzazione di nuove opere, sia gli invasi esistenti, costituendo linee di indirizzo tecnico per la loro messa in sicurezza. Infatti, il maggior impegno tecnico-amministrativo di questi anni della Regione Lombardia è orientato non nella valutazione dei progetti di nuove dighe, quanto alla regolarizzazione delle piccole dighe esistenti, trasferite dallo Stato - Ministero dei Lavori Pubblici.Con la L.R. 8/98 e le Direttive si è introdotto anche il concetto di “rischio” delle opere, utile per individuare le dighe soggette ad approvazione abbreviata e per graduare le prescrizioni sulle vigilanza di esercizio.La costruzione di opere significative, oggi, è fortemente condizionata dalla accre-sciuta “sensibilità” ambientale, circa l’impatto delle opere. È questo il motivo per cui, nelle richieste di concessione d’uso d’acqua, raramente è prevista la realizza-zione di dighe con volumi significativi, per limitare al minimo l’impatto ambientale e paesaggistico.

4. Un sistema di gestione complesso Una analisi degli usi delle acque della regione evidenzia una realtà, che è in parte il frutto della grande disponibilità consolidata nel corso dei secoli, ma anche della grande abilità nella realizzazione di usi plurimi a cui sono pervenuti i lombardi, che potrebbero essere seriamente definiti una “civiltà idraulica”.Se si analizzano le portate concesse in regione, si osserva che il totale equivale a circa 130 miliardi di m³/anno. Naturalmente la portata di concessione è normalmente superiore al reale quantitativo realmente estratto ed utiliz-zato. Tuttavia si può notare che il quantitativo è significativamente maggiore rispetto all’apporto delle precipitazioni medie annue stimato attorno ai 27 miliardi di m³. Volendo però utilizzare il quantitativo concesso come misura del quantitativo estratto e come indicatore di pressione sullo stato delle acque, l’indice WEI (Water Exploitation Index, definito dell’EEA, European Environment Agency), assume per la regione un valore del 500%. Anche tenendo conto che la produzione di energia può essere sottratta, perché restituisce interamente il volume prelevato, che torna quindi disponibile per altri usi e con le necessarie precauzioni riferite alla scarsa significatività del concesso rispetto al reale estratto, l’indice assume un valore vicino al 100%, molto superiore al 30% che viene utilizzato come limite per indicare una situazione di sovrasfruttamento.Si tenga tuttavia presente che un tale sfruttamento delle acque in Lombardia non è stato considerato come un ca-rattere negativo, ma piuttosto come una dimostrazione della abilità dei lombardi nell’utilizzo di questa importante risorsa. Come si è visto l’utilizzo preponderante in regione è l’utilizzo idroelettrico, con una percentuale che non è neanche paragonabile a quella delle altre regioni italiane. Tra gli altri usi sicuramente significativi vi sono l’utilizzo irriguo e il raffreddamento delle centrali termoelettriche, in particolare degli impianti di più vecchia generazione, che abbisognano in continuo di ingenti quantità di acqua. Se si effettua il bilancio relativo agli usi, sottraendo quelli ener-getici, che restituiscono interamente ai corsi d’acqua la quota derivata, si possono valutare le reali proporzioni tra gli altri, che in qualche modo sottraggono in maniera permanente le acque al corpo idrico derivato, anche se spesso

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finiscono per restituirle almeno in parte ad altro corpo idrico.Da quest’ultima analisi viene evidenziata l’importanza della sottrazione irrigua di acque ai corsi d’acqua naturali. Tuttavia la pianura lombarda ha ormai consolidato un paesaggio che è costituito dal reticolo stesso dei canali irrigui e i sistemi irrigui costituiscono da sempre un sistema ottimale di ricarica delle falde acquifere, sia più superficiali, che riemergono nella parte medio bassa delle pianura per essere riutilizzate, sia delle falde profonde, che rappresentano per la regione il serbatoio di approvvigionamento potabile a scala regionale. I canali sono utilizzati per l’irrigazione e scolo, assumendo, quindi, funzione promiscua (in media, costituiscono il 70% della rete irrigua lombarda). Si tratta di canali a cielo aperto, spesso in terra, in cui viene riversata l’acqua du-rante la stagione irrigua e da cui le aziende attingono direttamente.In Lombardia i metodi irrigui ad alto consumo sono ancora i più diffusi (irrigazione per sommersione e per scorri-mento. In generale, quindi, se è vero che in Lombardia si possono stimare elevate le perdite di risorsa idrica lungo la rete, e sono prevalenti i metodi irrigui scarsamente efficienti, è anche vero che:• tali metodi sono a costo energetico nullo, viene sfruttata la solo forza di gravità per trasporto e distribuzione delle acque derivate,• la scarsa efficienza fa riferimento alla percentuale di acqua assunta dalle colture, mentre non si tiene conto dell’ef-ficacia del metodo, come ricarica delle acque sotterranee,• il sistema consolidato sfrutta la ricarica operata dalle pratiche irrigue dell’alta pianura, per il riutilizzo nella bassa pianura,• l’alimentazione alle acque sotterranee rappresenta la garanzia del mantenimento del bacino destinato all’uso po-tabile in regione, rappresentato dalla falda sotterranea. Se si considerano i fabbisogni stimati per soddisfare il potenziale idrico delle coltivazioni e si confrontano questi dati con il volume derivato dai principali corsi d’acqua si può facilmente verificare che il fabbisogno non è coperto che per circa il 60% dalle derivazioni da fiumi.Mentre la stessa percentuale sale se si aggiungono i riutilizzi mediante colature e fontanili, in condizioni “normali” tali riutilizzi si possono stimare in circa il 20%, mentre in condizioni di “carenza idrica” si riducono e si possono stimare in circa il 15%. A questi riutilizzi si potrebbe inoltre aggiungere il prelievo da acque sotterranee, che si limita a meno del 10% e il contributo idrico, difficilmente quantificabile, offerto dalla risalita capillare nelle aree a falda superficiale e con terreni argillosi. I dati sopra riportati, dimostrano come le acque derivate dai fiumi risultino sostanzialmente utilizzate più di una volta anche per il solo uso irriguo.

Fig. 2.8

Distribuzione dei grandi serbatoi in regione

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I fabbisogni

1. Gli usi in atto

Una reale disamina dei fabbisogni risulta abbastanza difficoltosa, perché dovrebbe partire da una pro-grammazione delle esigenze concrete di ciascuno. Più realistica appare la valutazione degli usi in atto, o meglio delle richieste di utilizzo in atto, che presuppongono la necessità del richiedente. Le conside-razioni del seguito sono quindi basate sui dati derivati dal catasto delle concessioni idriche, che è stato considerato la fonte più completa. A parte questa sostanziale precisazione è interessante partire da un’evidenza che in qualche modo era stata preannunciata dai dati del capitolo precedente: l’utilizzo preponderante in regione è l’utilizzo idroe-lettrico, con una percentuale che non è neanche paragonabile a quella delle altre regioni italiane (Fig. 2.9).Tra gli altri usi sicuramente significativo è l’utilizzo irriguo, mentre risulta evidentemente insignificante l’utilizzo industriale in senso stretto, mentre ancora significativo appare un altro uso legato alla produzio-ne di energia, cioè il raffreddamento delle centrali termoelettriche, in articolare gli impianti di più vecchia generazione (Fig. 2.10). Ecco che si comprende quindi molto bene come le crisi idriche estive del bacino padano non sembrano preoccupare per i possibili problemi di approvvigionamento potabile e neanche prioritariamente per i danni che vengono generati alle colture, ma sollevano innanzi tutto un problema di approvvigionamento energetico.

Fig. 2.9

0% 20% 40% 60% 80% 100%

Lombardia

Nord

Centro

Sud-Isole

ItaliaCivileIndustriale

IrriguoEnergia

Distribuzione degli usi in Italia e in Lombardia.

(Fonte: “Programma di tutela e uso delle acque - PTUA”)

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Laghi di Mantova

Il Catasto Utenze Idriche (CUI) organizza in una banca dati alfanumerica con dati cartografici georeferenziati, le informazioni relative alle oltre 27000 utenze di acque pubbliche superficiali (derivazioni superficiali) e sotterranee (pozzi e sorgenti) presenti sul territorio regionale.Per ciascuna utenza sono descritti i dati amministrativi e tecnici che la caratterizzano: denominazione e relativi dati anagrafici e fiscali, uso delle acque, quantitativi concessi, caratteristiche della captazione e del corpo idrico derivato, loro ubicazione e georeferenziazione.I dati sono inseriti dagli uffici delle Province per le piccole derivazioni e dagli uffici regionali per le grandi derivazioni. Questo strumento informativo consente una gestione unitaria delle derivazioni d’acqua da parte della Regione e delle Province; inoltre, utilizzando i dati CUI, si è potuta avviare, in modo unitario e razionale, la riscossione dei canoni demaniali che dal 2000 la Regione introita per l’uso delle acque pubbliche.Le informazioni disponibili nel catasto sono altresì funzionali ed indispensabili per le attività di pianificazione e programmazione regionali e pos-sono altresì essere un utile base dati di supporto ad attività di studio e ricerca sull’uso dell’acqua in Regione Lombardia.

2. L’utilizzo idroelettrico

L’utilizzo a scopi idroelettrici delle acque superficiali è da sempre molto sviluppato in Lombardia e co-pre sostanzialmente più di un quinto del fabbisogno energetico della regione. In regione sono infatti pre-senti alcune delle prime centrali idroelettriche italia-ne entrate in funzione a fine ‘800.L’uso idroelettrico che tuttavia restituisce inte-gralmente la risorsa invariata sia in termini di portata che di qualità, in alcune aree monta-ne, laddove sono concentrati i principi invasi, ha prodotto una forte alterazione dei deflussi natu-rali e degli equilibri ecologici dei corsi d’acqua.Questo fenomeno ha fatto crescere l’esigenza di ri-creare condizioni ecologiche accettabili garantendo

Catasto Utenze Idriche (CUI)

Fig. 2.10

Gli usi energetici però presentano un vantaggio: normalmente, a parte il caso dei piccoli bacini montani, restitui-scono le acque derivate dal corso d’acqua a valle della derivazione. Nel caso delle derivazioni idroelettriche nor-malmente non si alterano minimamente le caratteristiche qualitative delle acque derivate; nel caso degli impianti di raffreddamento delle centrali termiche invece si possono avere impatti apprezzabili sugli ecosistemi locali, sulla minimizzazione dei quali si è molto lavorato di recente riducendoli pressoché a zero.Un bilancio relativo agli usi quindi può essere fatto azzerando questi due tipi di uso e valutando le reali proporzioni tra gli altri, che in qualche modo sottraggono in maniera permanente le acque al corpo idrico derivato, anche se spesso finiscono per restituirle almeno in parte ad altro corpo idrico (Fig. 2.11).

67%

5%24%

1%3%

Civile IndustrialeIrriguo Produzione energiaRaffreddamento centrali

Fig. 2.11

Adda a Robbiate

Gli usi delle acque

(Fonte: “PTUA”)

Gli usi effettivi delle acque

(Fonte: “PTUA”)

84%

11%5%

Civile Potabile Industriale Irriguo

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Deflusso Minimo Vitale (DMV)

È definito Deflusso Minimo Vitale (DMV) dall’Allegato B della deliberazione 13 marzo 2002, n.7 del Comitato Istituzionale dell’Autorità di bacino del Fiume Po, “il deflusso che, in un corso d’acqua naturale deve essere presente a valle delle captazioni idriche al fine di mantenere vitali le condizioni di funzionalità e di qualità degli ecosistemi interessati”, compatibilmente con la risorsa idrica naturalmente presente.Il deflusso minimo vitale rappresenta, quindi, la portata istantanea da determinare in ogni tratto omogeneo del corso d’acqua, che deve garantire la salvaguardia delle:1. caratteristiche fisiche del corpo idrico, ovvero il mantenimento delle sue tendenze evolutive naturali (morfologiche ed idrologiche), anche in

presenza delle variazioni artificialmente indotte nel tirante idrico, nella portata e nel trasporto solido;2. caratteristiche chimico-fisiche delle acque, ovvero il mantenimento, nel tempo, dello stato di qualità delle acque, in linea con il perseguimento

degli obiettivi di qualità previsti dagli artt.4, 5 e 6 del D.Lgs. 152/99 e s.m.i., e della naturale capacità di autodepurazione del corso d’acqua;3. delle biocenosi tipiche delle condizioni naturali locali, ovvero il mantenimento, nel tempo, delle comunità caratteristiche dell’area di riferimento,

prendendo in considerazione anche i diversi stadi vitali di ciascuna specie.Nonostante gli elevati livelli di sfruttamento delle acque in regione, le indagini condotte nell’ambito dell’elaborazione del Programma di tutela ed uso delle acque, hanno dimostrato che, per quanto riguarda il reticolo dei corpi idrici significativi sono pochi i nodi in cui il deflusso minimo vitale idrologico, come definito dall’Autorità di Bacino del Po, non sia presente in alveo.Nell’ambito dei lavori svolti per il Programma di tutela ed uso delle acque, si è invece verificato che è la pressione dei carichi inquinanti sca-ricati nei corsi d’acqua, che rende necessario aumentare la portata di fondo del corso d’acqua, che in questo caso diventa un deflusso vitale modificato. In questo senso il Programma ha già introdotto l’obbligatorietà di un fattore moltiplicativo del valore di DMV da applicarsi alle nuove concessioni e ai rinnovi.Ad oggi la Regione Lombardia con l’approvazione del Programma di Tutela e Uso delle Acque (DGR n.8/2244 del 29 marzo 2006) ha definito mo-dalità e tempi (entro il 31.12.2008) per l’adeguamento al Deflusso Minimo Vitale (DMV) delle utenze di acqua pubblica, grandi e piccole derivazioni, in concessione nei corsi d’acqua ricadenti nel territorio regionale.

Fig. 2.12

anche a valle delle prese più importanti un deflusso minimo utile a mantenere condizioni di vita al corso d’acqua: il Deflusso Minimo Vitale.In Lombardia le portate di concessione ad uso idroelettrico assommano a 2.751 m³/s equivalente ai 2/3 delle porta-te complessive di concessione presenti in regione. Fonte di approvigionamento esclusiva è rappresentata dai corpi idrici superficiali le cui derivazioni più consistenti sono concentrate nei bacini dell’Adda sublacuale e sopralacuale (41% delle portate concesse) (Fig. 2.12). Si nota l’estrema diffusione dei prelievi idroelettrici nei territori montani, mentre in pianura si ha una concentrazione in corrispondenza dei principali corsi d’acqua (Ticino e Adda in particolare).

Distribuzione delle principali derivazioni a scopo idroelettrico

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3. L’utilizzo irriguo Le acque derivate a scopo irriguo, distribuite in circa 700 mila ettari di superficie agricola utilizzata (S.A.U.) irrigata, sono preva-lentemente superficiali (89%) e concentrate in grandi derivazioni. Il fabbisogno residuo è fornito dai prelievi di acque sotterranee effettuate a mezzo pozzi (11%). Il metodo irriguo più diffuso in regione è lo scorrimento, mentre meno diffusa è l’irrigazione a pioggia (Fig. 2.13). Nell’irrigazione a scorrimento, si calcola che almeno il 50% dell’acqua fornita al terreno non sia utilizzata direttamente dalle colture, ma refluisca nel reticolo scolante e percoli nelle falde sotterranee.L’assetto idraulico della pianura consente però a tale acqua di ali-mentare falde e fontanili o di ritornare in canali e fiumi da cui viene nuovamente utilizzata a scopo irriguo e talvolta per altri usi.I fiumi con maggiori derivazioni per uso irriguo sono il Ticino subla-cuale Lombardo (Canale Villoresi, Naviglio Grande), l’Adda subla-cuale (Canale Muzza, Canale Vacchelli), l’Oglio sublacuale e il Po. Questi fiumi hanno concessioni di derivazione per uso irriguo per portate prossime alle portate naturali medie annue (Fig. 2.14).

Principali metodi di irrigazione, percentuale sulla su-

perficie irrigata (ISTAT, 2000)

(Fonte: Ricerca sui consumi irrigui e le tecniche di ir-

rigazioni in Lombardia, 2003)

Fig. 2.13

SIBITER (Sistema Informativo per la Bonifica, l’Irrigazione e il Territorio Rurale)

Il S.I.B.I.Te.R., Sistema Informativo Bonifica e Irrigazione Territorio Rurale, secondo le disposizioni della Legge Regionale 16 Giugno 2003 n.7 (com-ma 9, art.17), raccoglie, organizza e diffonde le informazioni necessarie per conoscere e migliorare l’attività programmatoria e gestionale degli enti di bonifica e irrigazione.La Regione Lombardia, nel 2005, ha avviato una ristrutturazione del sistema informativo, che risulta costituito dai seguenti ambiti:• “rete dei canali e processo di editing distribuito via web”, che interessa

la componente geografica infrastrutturale (canali e manufatti) della rete a servizio dell’irrigazione e della bonifica

• “programmazione e monitoraggio degli interventi finanziati”, che raccoglie l’insieme degli interventi strategici per la gestione del territorio di bonifica e monitora l’iter di finanziamento degli stessi.

Per il primo ambito, l’obiettivo di tale ristrutturazione è quello di ottenere una rete dei canali che permetta di descrivere la circolazione dell’acqua sia nell’ottica dell’irrigazione che della bonifica, in modo tale da poter risultare di supporto alla gestione delle risorse idriche; nello stesso tempo l’utilizzo di un processo di editing distribuito via web permette di avere uno sistema condiviso e certificato da Regione e Consorzi e costantemente aggiornato.L’obiettivo del secondo ambito è quello di garantire il monitoraggio degli iter relativi ai finanziamenti che la Regione eroga secondo diversi strumenti normativi e di migliorare le attività di bonifica e di irrigazione attraverso un più efficiente utilizzo delle risorse finanziarie; parallelamente una gestione condivisa tra la Regione e gli enti beneficiari consente di avere costante-mente aggiornata la programmazione degli interventi.Lo sviluppo futuro del sistema, per quanto riguarda l’ambito “rete dei canali e processo di editing distribuito via web”, è quello di implementare attributi areali relativi alla bonifica e all’irrigazione, in modo da poter relazionare la circolazione dell’acqua nei canali con le aree in cui essa viene allontanata o distribuita. Per quanto riguarda lo sviluppo dell’ambito “programmazione e monitorag-gio degli interventi finanziati”, è in progetto di implementare la localizzazione degli interventi, al fine di valutarne la strategicità, e di acquisire una serie di informazioni tecniche da utilizzare nell’ambito della rete dei canali.

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Fig. 2.14

Distribuzioni delle principali derivazioni a scopo irriguo

Il sistema irriguo lombardo

Il territorio di pianura della Lombardia è stato suddiviso in 21 comprensori di bonifica. Nella maggior parte di essi sono stati costituiti i Consorzi di gestione delle risorse idriche per l’agricoltura e operano anche per la soluzione dei problemi idraulici e di difesa del suolo. I consorzi sono enti di diritto pubblico e la loro azione si svolge in sintonia con gli obbiettivi fissati dalla regione. Essi sono amministrati dagli stessi consorziati diret-tamente interessati alla regolazione, all’utilizzo delle acque e alla conservazione del suolo.La gestione del sistema irriguo regionale consente di irrigare 557.752 ha di SAU, superficie che rappresenta il 79% di quella potenzialmente irrigabile, di cui il 72% è approvvigionato con acque superficiali. Il 78% dell’acqua derivata proviene dalle grandi derivazioni localizzate lungo i corsi d’acqua principali, mentre il restante 26% è fornito dalle pic-cole derivazioni, dai corsi d’acqua minori, dai fontanili o dai pozzi. I sistemi di irrigazione più utilizzati in Lombardia sono relativi alle tecniche per scorrimento, seguite dalla sommersione e dall’aspersione infine dalla microirrigazione.Il territorio di bonifica è estremamente popoloso: in esso abita circa il 75% della popolazione lombarda. Nei comprensori di bonifica si attua una tra le agricolture più importanti d’Europa sia per rese produttive che per qualità delle produzioni.I consorzi di bonifica provvedono all’irrigazione dei comprensori di competenza. Tuttavia, la situazione varia molto, infatti in alcune aree consorzi di miglioramento fondiario e associazioni private gestiscono derivazioni autonome. In alcuni casi il consorzio di bonifica fornisce acque ad as-sociazioni di utenti che gestiscono una rete di distribuzione propria e provvedono a ripartire la disponibilità alle singole aziende agricole. La gran parte delle acque utilizzate a scopo irriguo proviene dagli emissari dei laghi regolati, tuttavia, circa il 40% dei territori irrigui può utilizzare acque provenienti da più bacini. Questo è tipico dei territori con una struttura irrigua più antica dove sono presenti fitte reti di canali.Le derivazioni dai fiumi avvengono a gravità nella parte alta della pianura, sfruttando la naturale inclinazione dei terreni e non implica alcun con-sumo di energia. Nella parte di bassa pianura si rende invece necessario il sollevamento della acque dagli alvei dei corsi d’acqua.I consorzi di bonifica provvedono anche all’allontanamento delle acque in eccesso garantendo il drenaggio e la salvaguardia del territorio.Strettamente connesso al regime delle acque è il fenomeno della salinizzazione e della erosione dei suoli. In Lombardia non si rileva la presen-za di fenomeni di salinizzazione dei suoli (tipica della aree costiere), e, nonostante l’elevata presenza di acque superficiali, l’erosione del suolo conseguente al regime idrico ed al calo della sostanza organica, presenta effetti attenuati rispetto al panorama complessivo nazionale. A livello regionale, infatti, si rileva un dato medio di 2,4 t/ha/anno di erosione del suolo contro un dato medio nazionale di 3,11 t/ha/anno. Le province che registrano valori decisamente superiori alla media regionale sono Lodi, Milano e Pavia (tutte risentono degli effetti dei fiumi Po e Adda), mentre le province di Como e Lecco rilevano un livello di erosione del suolo inferiore anche al dato medio comunitario così come per Sondrio e Pavia oltre all’effetto fluviale parte della componente del valore va ricondotta alla presenza di aree dalle elevate pendenze di parte del territorio provinciale. Fra le diverse azioni che possono essere intraprese per contenere i fenomeni di erosione del suolo, lo sviluppo delle pratiche agro-ambientali, soprattutto quelle legate all’agricoltura biologica, possono dare un contributo limitato, ma significativo in contesti territoriali marginali. In Lombar-dia il ricorso alle misure agricoltura biologica interessa il 2,3% della SAU totale, ma tale dato, inferiore alla media sia nazionale che comunitaria, è espressione di andamenti estremamente diversificati se analizzati a livello provinciale. Le province di maggior diffusione risultano essere Como (13%), Pavia (7%), Lecco (6%) e Varese (2%), tutte con significativa presenza di territori collinari e montani, mentre nelle altre province si registra-no livelli di incidenza di SAU biologica prossimi o inferiori all’1%. Tale diversificazione è da porre in relazione con i differenti orientamenti produttivi esistenti in ambito regionale, laddove la prevalenza dei seminativi e della zootecnia limita la diffusione dei metodi di agricoltura biologica.

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4. L’utilizzo civile

Per usi civili si intendono principalmente quelli relativi al consumo umano (uso potabile), all’uso igienico-sanitario e assimilati ivi compresi l’uso antincendio e l’uso zootecnico, peraltro questi ultimi due con prelievi poco significativi in ter-mini quantitativi. I consumi idrici civili variano in relazione alle dimensioni degli agglomerati urbani, al livello di benessere economico e alle abitudini di vita della popolazione. Negli ultimi decenni si è registrato un aumento delle dotazioni idri-che pro-capite, da ricondursi principalmente all’innalzamen-to della qualità del servizio idrico e del reddito medio della popolazione.L’approvvigionamento per usi civili avviene soprattutto da pozzi (84%) con una componente significativa anche delle sorgenti in corrispondenza delle aree di montagna (10%); solo il 6% dell’approvvigionamento del settore avviene da corpi idrici superficiali (derivazioni superficiali da fiumi e la-ghi).Da un’analisi della distribuzione delle portate ad uso civile potabile (Fig. 2.15) si rileva che le maggiori zone di sfrut-tamento si concentrano nell’area milanese e in generale in corrispondenza delle zone più urbanizzate (grandi aree ur-bane, generalmente capoluoghi di provincia e comuni limi-trofi). Emerge in particolare il comune di Milano nel quale la richiesta di concessione per il prelievo potabile prevede una portata di 8.000 l/s.Dall’esame dei dati storici, si può ottenere il trend degli ultimi 30 anni in Lombardia dei consumi ad uso potabile. Emerge che le richieste sono rimaste pressoché stabili nel tempo con un lieve incremento negli anni ’90 e una successiva diminuzio-ne negli ultimi anni.

I fontanili

I fontanili costituiscono un ecosistema peculiare della pianu-ra lombarda, da sempre fertilissima e particolarmente adatta all’agricoltura proprio per l’abbondanza d’acqua. Essi infatti svolgono una forte azione drenante sulla falda, alimentando una fittissima rete di canali. Le acque che sgorgano dalla testa del fontanile, provenendo dalla falda sotterranea, mantengono una temperatura costante tutto il corso dell’anno (attorno ai 10/14 °C) e di conseguenza non ghiacciano nei mesi invernali. La temperatura costante, la limpidezza e la portata sempre regolare delle acque risorgive permettono tra l’altro lo sviluppo di una vegetazione acquatica del tutto particolare e di una fauna estremamente ricca e varia. Oltre a costituire una risorsa, i fontanili rappresentano quindi anche un patrimonio naturalistico da tutelare. I fontanili si loca-lizzano in corrispondenza di una fascia di transizione compresa tra l’alta e la bassa pianura, dove le acque profonde si portano verso l’alto sino ad emergere in superficie in corrispondenza di depressioni naturali o appositamente predisposte per favorire l’emersione dell’acquifero freatico, talvolta anche con l’infissio-ne di botti di legno, in passato, o tubi di ferro o cemento, più re-centemente. La presenza e l’attività dei fontanili è determinata da vari fattori come il variare della litologia del sottosuolo con conseguente ostacolo allo scorrimento sotterraneo della falda che causa l’innalzamento della superficie piezometrica.A partire dagli anni 1950-60 si è avuta una drastica riduzione di numero determinata da fattori antropici. Questa riduzione può essere ricondotta a diversi fattori:• l’impermeabilizzazione dei suoli che ha notevolmente ridotto

l’apporto delle acque meteoriche alla falda freatica; • l’enorme prelievo di acque sotterranee per alimentare la cre-

scente industrializzazione ed urbanizzazione; • l’abbandono dei tradizionali metodi di coltura e soprattutto

delle marcite; A partire però dagli anni 90, con la chiusura dei grandi insedia-menti industriali, si è assistito ad un innalzamento della falda freatica riportando d’attualità il ruolo svolto dai fontanili.

Fig. 2.15

Distribuzioni delle principali captazioni ad uso civile

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�. L’utilizzo industriale

Da un’analisi della distribuzione delle portate di concessione ad uso industriale emerge che i principali prelievi dal punto di vista quantitativo sono quelli relativi all’utilizzo per il raffreddamento delle centrali termoelettriche.Tali prelievi si concentrano lungo i grandi corsi d’acqua: Po (36%), dell’Adda (24%) e del Ticino sublacuale (18%). I fabbisogni sono soddisfatti principalmente attraverso derivazioni da corpi idrici superficiali (81,5%). Altri poli di rilevante prelievo ad uso industriale sono quelli relativi alle aree industriali prossime alla città di Milano, Brescia e Mantova (Fig. 2.16).Per una trattazione più corretta del tema è opportuno distinguere nettamente i due diversi scopi cui può essere destinata l’acqua all’interno di un processo produttivo, in particolare distinguendo usi di processo e usi di raf-freddamento.I prelievi più consistenti ad uso industriale sono destinati al raffreddamento di centrali termoelettriche ed utiliz-zano le derivazioni da corpi idrici superficiali come fonte esclusiva di approvvigionamento. Tali derivazioni sono concentrate nel territorio di 6 comuni e servono al raffreddamento di 7 centrali termoelettriche presenti in territorio lombardo. L’acqua così utilizzata ritorna per intero al sistema idrico (sia che lo scarico avvenga in corpo idrico naturale sia un canale artificiale destinato all’uso irriguo) anche se variata dal punto di vista qualitativo per quanto riguarda il parametro temperatura.Non considerando le portate destinate al raffreddamento, delle centrali termoelettriche, la distribuzione territoria-le delle portate di concessione ad uso industriale cambia. Le massime portate di concessione sono infatti con-centrate nelle aree suburbane. Nei territori di queste aree sono state rilasciate concessioni pari quasi al 50% del totale regionale, proprio in corrispondenza delle aree maggiormente urbanizzate. A differenza delle utilizzazioni per raffreddamento la domanda d’acqua per gli usi industriali di processo è soddisfatta principalmente attingen-do dagli acquiferi (84%). La richiesta idrica industriale varia in relazione al settore considerato: in Lombardia tra i settori più idroesigenti spiccano il metalmeccanico e il tessile, le lavorazioni di cuoio e calzature, gomma, plastica, mobili ed arredamen-ti. Il fabbisogno idrico dell’industria lombarda è diminuito negli ultimi anni, a causa della progressiva riduzione di alcune specifiche attività produttive, a vantaggio della fornitura di servizi, ma anche del consistente aumento dei canoni per l’utilizzo industriale nel corso degli anni ’90.

Fig. 2.16

Distribuzioni delle principali captazioni ad uso industriale

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Trend portate di concessione ad uso industriale nel periodo 1970-2002 in Lombardia

(Fonte: elaborazioni su dati Catasto Utenze Idriche, 2003)

Fig. 2.17

Il trend delle domande di concessione ricostruito per l’intero territorio lombardo sulla base dei dati delle grandi derivazioni evidenzia infatti nel periodo dal 1970 al 2002 una costante diminuzione della domanda ad uso indu-striale di processo (Fig. 2.17).Del resto a maggiore conferma dell’evoluzione industriale che è in corso in Lombardia è esemplare il fenomeno dell’innalzamento delle falda nell’area milanese che, iniziato a fine anno ’80, ha oramai assunto evidenza pubblica determinando disagi alle strutture sotterranee pubbliche e private presenti nel sottosuolo di Milano.

Naviglio Pavese

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Governare un bene prezioso3

Le competenze

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1. Il servizio idrico integrato: servizi di approvvigionamento e collettamento

Per servizio idrico integrato si intende la riorganizzazione della gestione dei servizi pubblici di acquedotto, di fognatura e di depurazione, riforma introdotta originariamente dalla Legge 5 gennaio 1994 n.36 “Dispo-sizioni in materia di risorse idriche” più nota come “Legge Galli”.La legislazione, essendo in presenza di un monopolio naturale, si pone essenzialmente i seguenti obiet-tivi:• superare la frammentazione delle gestioni; • superare la gestione in economia da parte dei comuni; • definire una tariffa con la quale finanziare gli investimenti necessari a garantire adeguati livelli di servi-zio; • tutelare il consumatore realizzando una netta separazione tra i compiti di programmazione e controllo rispetto a quelli di gestione.Per raggiungere questi obiettivi è prevista la riorganizzazione complessiva delle strutture di programma-zione e gestione con la costituzione di nuovi soggetti istituzionali: le Autorità d’Ambito (Fig. 3.1). Queste hanno il compito di predisporre, sulla base dei criteri e degli indirizzi della Regione, un programma de-gli interventi individuando le opere ritenute necessarie al conseguimento dei livelli di servizi prestabiliti, un piano finanziario ed il relativo modello gestionale. Tali strumenti, strettamente connessi, concorrono alla formazione di un piano industriale, il Piano d’Ambito, che costituisce il riferimento essenziale per la determinazione della tariffa del servizio idrico integrato e della sua evoluzione nel tempo, nonché per la definizione delle convenzioni per l’affidamento della gestione del servizio stesso. L’organizzazione del servizio idrico nel territorio lombardo è basata sulla obbligatorietà della separazione tra la gestione degli investimenti e l’erogazione del servizio agli utenti. Il modello organizzativo adottato è mutuato dall’art. 113 della d.lgs. 267/2000, secondo il quale nella ge-stione dei servizi pubblici locali è possibile distinguere la gestione delle reti dall’erogazione del servizio. Le Autorità d’Ambito si stanno uniformando al modello organizzativo regionale riconoscendo la gestione delle infrastrutture conferite dagli enti locali alle società proprietarie verrà da questa esercitata nel rispetto della normativa comunitaria e nazionale in materia di appalti pubblici.Per dare avvio al contratto di gestione sarà sufficiente la partecipazione alla società dei due terzi dei comuni facenti parte dell’ATO. Tale partecipazione avverrà mediante conferimento della proprietà delle infrastrutture necessarie per la gestione del servizio idrico. Solo nel caso in cui non si riesca a raggiungere

Fiume Serio

La dotazione infrastrutturale

la soglia dei due terzi, l’ATO è autorizzato a percorrere le soluzioni alternative: o un affidamento “in house”, coerente con le recenti sentenze della Corte di Giustizia Europea, o una procedura di evidenza pubblica. E’ esclusa (come lo è nell’art. 113 della d.lgs.267/2000) l’adozione della società mista.

Il servizio d’ acquedotto copre quasi la totalità della popolazione residente lombarda e sull’intero territorio regionale sono stati rilevati 1.226 acquedotti, di cui 952, pari al 78% del totale, sono comunali e 274 intercomunali.Le acque sotterranee hanno un ruolo preminente nell’utilizzo della risorsa idrica a fini potabili, con un volume captato da pozzi pari all’84% del totale, mentre alle acque superficiali è attribuita la funzione di integrazione, in taluni casi percentualmente rilevante. Le captazioni da sorgenti sono 3.090 (volume captato pari a 206.084.740 mc/anno), da acque superficiali 45 (volume captato 41.077.107 mc/anno) e da pozzi 3.580 (volume captato 1.633.664.430 mc/anno).Gli impianti di trattamento sono oltre 1.000, con il 75% delle acque trattate soggetto a semplice disinfezione e il restante 25% a processi più complessi, mirati alla rimozione di microinquinanti organici, ferro, manganese, ammoniaca, ecc.Le reti di acquedotto hanno una lunghezza pari a 43.785 km. La disponibilità idrica giornaliera è di circa 250 litri, con punte, attribuibili soprattutto alle grandi città, che toccano i 500 litri. Considerato l’agglomerato come “area in cui la popolazione e/o le attività economiche sono sufficientemente concentrate così da rendere possibile la rendere possibile la raccolta e il convogliamento delle acque reflue urbane verso un impianto di trattamento di acque reflue ur-bane o verso un punto di scarico finale” in Lombardia sono presenti 440 agglomerati con potenzialità superiore o uguale a 2000 AE per un carico generato pari a 13.180.249 AE di cui trattati da depurazione pari a 11.980.390 AE per un numero di 501. Gli impianti con potenzia-lità superiore a 100.000 A.E. sono 27 e rappresentano il 60% della potenzialità complessiva di trattamento degli agglomerati considerati. Nello specifico in Lombardia sono presenti 17 agglomerati di potenzialità superiore ai 150.000 AE con un carico generato pari a 7.194.153 AE e un numero elevato –272- di agglomerati fra i 2.000 e i 10.000 AE per un carico generato di 1.210.862 AE. Nel mezzo vi sono 120 agglomerati con potenzialità fra i 10.000 e i 50.000 con un carico generato pari a 2.347.063 AE e 31 da 50.000 a 150.000 per un carico generato di 2.428.171 AE.Il servizio di fognatura copre gran parte delle aree urbanizzate, assommando al 99% il numero dei comuni serviti totalmente o parzialmen-te, con una popolazione residente servita pari al 92%. Riguardo alla tipologia delle reti, quella prevalente è la mista, con accentuazione della tendenza a realizzare reti separate negli ultimi anni, in particolare nelle aree di espansione urbane. Sull’intero territorio regionale sono state rilevate 1639 reti fognarie per un estensione pari a 27.169 km. Le informazioni sui servizi di distribuzione e di collettamento, nonché di trattamento delle acque sono tratte dalla ricognizione delle opere, effettuata dalle Province e dalle Autorità d’Ambito Territoriali terminata nel 2003 e i successivi aggiornamenti.

Fig. 3.1

Carta delle Autorità d’Ambito

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L’Ambito Territoriale Ottimale e la sua pianificazione

La Regione ha suddiviso il territorio regionale in 12 Ambiti Territoriali Ottimali (ATO), 11 corrispondenti ai confini amministrativi delle Province lombarde e uno corrispondente alla Città di Milano, che rappresentanoi riferimenti di base per il governo e la determinazione dell’assetto gestionale dei servizi idrici.In attuazione della Legge 36/94 (Legge Galli), ricompresa nel recente D.Lgs. 152/06, gli ATO devono provvedere ad elaborare il Piano d’Ambito, che oltre che uno strumento di programmazione e attuazione degli investimenti previsti nell’ATO, risulta anche uno strumento economico-ammi-nistrativo, o meglio un vero e proprio piano industriale contenente gli indirizzi, le attività e i modi di operare del futuro gestore di Ambito o dei futuri gestori per tutta la durata della concessione di affidamento.Sostanzialmente il Piano d’ Ambito risulta uno studio contenente, oltre che una rappresentazione precisa dell’assetto infrastrutturale, le modalità e le linee guida di svolgimento del servizio, l’ elaborazione del piano degli investimenti e la loro attuazione nel tempo, il calcolo della ricaduta dei costi di gestione e di investimento cioè il valore della tariffa da applicare al servizio ed effettua il controllo del gestore in modo che quest’ ultimo attui in modo efficiente ed efficace quanto previsto dal Piano d’ Ambito stesso.I proventi del servizio sono principalmente il montante del fatturato del servizio idrico integrato che il gestore percepisce mediante la riscossione della tariffa prevista dal Piano d’Ambito.Un freno all’attuazione di quanto previsto dal D.Lgs. 152/06 sul tema, è costituito dal vigente metodo tariffario che alimenta la preoccupazione presso gli Enti Locali, che la transizione dal sistema con tariffe non correlate ai costi (quelle attuali prima della riforma), al nuovo sistema può determinare la rottura del limite di accettabilità sociale o provocare la rinuncia ad opere che richiedono massicci investimenti.

La partecipazione degli enti locali nella società di gestione, inoltre, può avvenire, in modo indiretto, anche mediante società da essi partecipate, a condizione che ad esse siano già state conferite la proprietà delle infrastrutture e che abbiano nel frattempo provveduto ad una separazione del relativo ramo d’azienda. Anche nel caso in cui tali so-cietà siano state nel frattempo privatizzate con la cessione a terzi di una quota di partecipazione minoritaria, è loro consentita la partecipazione alla società di gestione delle reti e degli impianti, ma alla condizione che tale partecipa-zione avvenga solo mediante conferimento in natura delle reti ed impianti ad essi trasferiti e con il vincolo, sancito statutariamente, della esclusione dei soci privati da future operazioni di ricapitalizzazione volte ad incrementare la loro partecipazione nella società. L’erogazione del servizio all’utenza, l’utilizzo cioè delle stesse infrastrutture per la gestione operativa, dovrà essere affidata dall’ATO ad un diverso soggetto, da individuare esclusivamente mediante una procedura competitiva. Ad esso competerà, per un periodo che potrà non essere eccessivamente lungo, visto che non sarà responsabile di alcun investimento da ammortizzare, la sola conduzione delle reti e gli impianti, l’ordinaria manutenzione degli stessi e la fatturazione dell’intero servizio all’utenza, riservando una quota dei flussi di cassa generati alla società respon-sabile degli investimenti sulle reti e gli impianti.La legge regionale esclude dalla obbligatorietà del modello organizzativo regionale l’ATO - Comune di Milano, unico caso in Lombardia in cui il Comune coincide con l’Autorità d’Ambito, e quegli ATO che alla data del 10 luglio 2006 hanno già formalizzato l’affidamento ai sensi della legge c.d. Galli (n.36/1994) oppure, avendo già approvato il Piano d’Ambito, abbiano formalizzato la decisione di procedere ad affidamento del servizio idrico integrato secondo una procedura competitiva. La riforma, dunque, porterà alla costituzione di tante società “patrimoniali” quanti sono gli ATO, a parte Milano, con una evidente riduzione degli operatori e l’innalzamento delle dimensioni medie dei soggetti responsabili degli investimenti. L’Amministrazione regionale, in qualità di regolatore del settore e di garante del rispetto delle norme vigenti e del perseguimento degli obiettivi da queste indicati, deve completare l’impegno di fornire tutti gli strumenti necessari

Tariffa del servizio idrico integrato

Il servizio idrico integrato nel suo complesso è costituito dai servizi relativi all’acquedotto, alla fognatura ed alla depurazione. Gli utenti pagano un’unica tariffa come corrispettivo per l’utilizzo del servizio idrico integrato e tale tariffa serve a remunerare sia l’attività del soggetto erogatore sia quella del soggetto proprietario delle reti, cosiddetto gestore. Infatti anche se di solito l’utente percepisce prevalentemente l’azione del soggetto erogatore, è bene sapere che “dietro le quinte” presta la sua importante opera anche il gestore in qualità di soggetto che realizza gli impianti ne-cessari all’esercizio del servizio idrico nel suo complesso . La tariffa unitaria sostenuta da ciascun utente si compone in realtà di tre componenti, ognuna delle quali è individuata per la copertura dei costi relativi ai segmenti dei servizi di acquedotto, fognatura, depurazione in proporzione ai volumi di acqua utilizzati; a queste tre componenti si aggiunge una piccola quota, definita quota fissa, in quanto indipendente dal volume di acqua utilizzata. Le quattro componenti assumono valori diversi a seconda della tipologia di utenza considerata: ad esempio la componente tariffaria per il servizio di depurazione di un’utenza industriale è più alta della corrispondente quota nel caso di utenza domestica, secondo il principio “chi inquina paga” del D.Lgs. 152/06 e delle norme comunitarie. In generale il metodo di calcolo della tariffa deve essere tale da garantire la copertura integrale dei costi sostenuti dai due soggetti (erogatore e gestore) per la realizzazione del servizio idrico integrato. E’ bene precisare che nel caso in cui i soggetti realizzano delle entrate derivanti da altri servizi, quali ad esempio quelli derivanti da nuovi allacci, da volture di contratti, sostitu-zione contatori, ecc, questi sono utilizzati per la copertura complessiva dei costi sostenuti determinando quindi indirettamente una riduzione delle componenti tariffarie del servizio idrico determinando una riduzione della tariffa unitaria sostenuta dall’utente.

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Il fondo Public Utilities

Per cui il percorso obbligato e’ quello di prevedere che la grossa mole significativa di investimenti necessariamente da fare nei primi anni di ge-stione del servizio, venga per così dire finanziata mediante un credito da restituire nell’ arco della concessione, secondo le modalità espresse dal Piano economico e finanziario del “progetto” Piano d’ Ambito.Operativamente si intende articolare l’intervento regionale in modo da favorire in modo diretto la realizzazione degli investimenti in infrastrutture idriche, attraverso l’avvio dello strumento finanziario previsto dalla legge di riforma cioè l’ avvio del fondo Public utilities previsto dall’ art. 11 della legge 26/03. In pratica la Regione Lombardia supporta gli ATO interessati per creare le condizioni economiche che permetteranno di finanziare i loro Piani d’ Ambito. In particolare detta attività è sulla realizzazione di due progetti pilota. Tali progetti supportano concretamente i soggetti operanti nel territorio di riferimento ad avviare il processo di cambiamento. Successivamente si procederà al trasferimento all’intero sistema lombardo delle evidenze e dei risultati conseguiti nel compimento dei citati progetti pilota.Queste le azioni previste per l’avvio dell’ operazione:1. supporto ai primi «ATO pilota» (Pavia e Como) per la creazione di Piani d’ambito bancabili mediante la firma di protocolli d’intesa di collabora-

zione tra ATO e Regione. In seguito, nella fase successiva, si procederà a trasferire evidenze e risultati conseguiti all’intero sistema lombardo.2. utilizzo di Finlombarda per garantire un costante supporto economico-finanziario (riformulazione di Piani d’ Ambito bancabili) e tecnico - legale

(far in modo che il percorso risulti legittimo sotto il profilo giuridico e amministrativo). L’ operazione di finanziamento sostanzialmente consiste in una operazione di capitalizzazione di Finlombarda da parte della Regione Lombardia per un primo importo. La presenza di detto capitale in Finlombarda potrà consentire, mediante l’ ottenimento di un rating internazionale, di poter finanziare gli inve-stimenti dei primi ATO pilota mediante l’ utilizzo ulteriori fondi reperiti sui mercati finanziari attraverso investitori istituzionali. Gli ulteriori fondi costituiranno in pratica il budget del fondo Public utilities.L’acquisizione di un rating rappresenta un passaggio di estrema importanza, in grado di rendere più efficiente il modello finanziario ideato. La presenza di un rating consentirà infatti di attestare il merito di credito del fondo Public Utilities, favorendo l’accesso ai mercati finanziari. Le migliori condizioni ottenute presso di essi consentiranno una leva finanziaria più elevata e migliori tassi di interesse, a beneficio dei soggetti che ricevono i fondi – basso impatto dei finanziamenti sulle tariffe.Per cui il fondo Public Utilities così come risulta costruito non rappresenta un investimento a fondo perduto. Infatti i Piani economici e finanziari intesi come strumenti di regolazione dei progetti Piani d’ Ambito genereranno un ritorno del finanziamento erogato tramite Finlombarda, sia in quota capitale che interessi e permetteranno al fondo di incrementarsi negli anni successivi, in modo da poter stanziare ulteriori finanziamenti sia per gli altri ATO che per progetti analoghi in altri settori. In pratica detto fondo rotativo si auto alimenterà con l’ attuazione del sistema ATO.

affinché i soggetti possano organizzarsi ed intraprendere il percorso necessario per affrontare il cambiamento. Al fine di velocizzare i processi aggregativi previsti, la Regione può esercitare specifici poteri sostitutivi, in caso di ina-dempienza o ritardo da parte degli enti locali interessati.Al contempo, in stretta connessione con tale obiettivo, si colloca l’urgenza di procedere alla realizzazione degli investi-menti infrastrutturali nel sistema idrico lombardo per adeguare i livelli di servizio agli standard minimi accettabili da parte della Comunità Europea.Anche in questo caso occorre una significativa azione di indirizzo da parte dell’Amministrazione regionale, oltre alla necessità di predisporre adeguati strumenti che agevolino la realizzazione degli investimenti per lo sviluppo di un servizio di interesse economico-generale. Essendo nel sistema Italia, il Servizio Idrico Integrato sottocapitalizzato e privo di investimenti significativi da diversi anni, se si volesse ottemperare solo alle necessità impellenti e si volesse totalmente scaricare subito sul sistema degli ATO i costi di detti investimenti, si produrrebbero incrementi di tariffe troppo elevati e non sostenibili. Secondo le previsioni della Regione Lombardia quindi il percorso da intraprendere è quello di prevedere che la grossa mole significativa di investimenti necessariamente da fare nei primi anni di ge-stione del servizio, venga per così dire finanziata mediante un credito da restituire nell’ arco della concessione, ri-correndo allo strumento finanziario previsto dalla l. r. 26/2003, il fondo Public Utilities, secondo le modalità espresse dal Piano economico e finanziario del “progetto” Piano d’ Ambito.

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Lago di Garda

2. La tutela delle acque: la gestione degli scarichi

La tutela delle acque è una tipica competenza delle Regioni attraverso gli strumenti di pianificazione previsti dal d.lgs.152/06. Attraverso i Piani di tutela delle acque e i Piani di gestione del bacino idrografico le regioni individuano i principali apporti inquinanti e il loro effetto sulla qualità dai corpi idrici. Sono poi le Province, che ai sensi del d. lgs. 152/06 e dei Regolamenti Regionali n 3 e 4 del 24.03.06, hanno la competenza al rilascio delle autorizzazioni allo scarico in corso d’acqua superficiale (fiumi, torrenti, rogge, laghi e canali, sia naturali che artificiali), su suolo o negli strati superficiali del sottosuolo e in falda, per le seguenti tipologie di scarichi:• acque reflue domestiche e assimilate; • acque meteoriche di dilavamento di prima e di seconda pioggia e acque di lavaggio di aree esterne; • acque reflue urbane (reti fognarie comunali); • acque di processo (industriali); • acque di raffreddamento e acque utilizzate negli impianti di scambio termico (pompe di calore). Le informazioni relative agli scarichi vengono raccolte in banche dati, che permettono di individuare e localizzare tut-ti gli scarichi allo scopo di conoscere le fonti potenziali di inquinamento e i principali agenti inquinanti relativamente ai rispettivi corpi idrici ricettori. Per gestire meglio le attività di autorizzazione le province effettuano talvolta il censimento degli scarichi in corso d’acqua superficiale, attraverso indagini conoscitive mirate all’individuazione di tutti gli scarichi che confluiscono nei vari corsi d’acqua. Lo scopo è quello di individuare tutti gli scarichi presenti e determinarne l’origine, la natura, la posizione territoriale, accertarne i titolari e lo stato autorizzativo.L’individuazione dei titolari degli scarichi e l’accertamento delle relative autorizzazioni mediante verifiche tecniche ed ispezioni presso gli insediamenti, consentono di segnalare ai funzionari amministrativi le posizioni nuove e quelle ritenute irregolari, ai fini della loro regolarizzazione. I punti di scarico rilevati in questo modo possono essere inseriti in un database cartografico che consente di verificarne le relazioni con l’intero reticolo idrico. In questo modo la densità degli scarichi all’interno di un bacino può essere correlata con le sue condizioni di qualità ed segnalare i limiti dei carichi tollerabili per ogni singolo corso d’acqua. Lo stesso tipo di scarico, con concentrazioni anche ampiamen-te entro i limiti previsti dalla legge, può infatti contribuire solo minimamente alle caratteristiche qualitative del corso d’acqua o può essere determinante. Naturalmente questo tipo di relazione dipende dalle dimensioni reciproche dello scarico e del corso d’acqua, dalle portate relative, dalle variazioni periodiche e da molti altri fattori.

Adda ad Airuno

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Lago del Segrino

3. La gestione delle acque: i diritti d’uso delle acque

L’equilibrio del bilancio idrico è stato definito dalle Autorità di Bacino e presumibilmente sarà in futuro, definito dalle Autorità di Distretto. Sulla base di questo bilancio e nel tentativo di raggiungere gli obbiettivi di qualità previsti dalle normative nazionali ed europee, le regioni adottano all’interno dei Piani di Tutela e dei Piani di Distretto le misure relative alla gestione delle risorse idriche superficiali e sotterranee tenendo conto di:• fabbisogni e disponibilità,• deflusso minimo vitale da mantenere in alveo,• capacità di ricarica delle falde,• destinazioni d’uso della risorsa in relazione alle caratteristiche qualitative della risorsa.Sulla base di quanto contenuto nei documenti di pianificazione si gestiscono i provvedimenti di concessione all’uti-lizzo di acque superficiali e sotterranee e i rinnovi per le concessioni già in essere, ma scadute.

La governance delle derivazioni d’acqua è strutturata attualmente come segue:• per le grandi derivazioni (circa 300 di cui 90 idroelettriche) la competenza al rilascio delle concessioni e all’esercizio

delle funzioni amministrative connesse è in capo alla Regione, che la svolge operativamente con le Sedi Territoriali coordinate dalla DG Reti e SPUSS, in quanto attività strategica e di rilevanza sovraprovinciale e talvolta anche interregionale.

• per le piccole derivazioni (circa 25.000) la competenza al rilascio delle concessioni ed all’esercizio delle funzioni amministrative connesse è conferita alle province.

L’ente preposto al rilascio del titolo di concessione svolge un’istruttoria sulla domanda, finalizzata ad accertare il corretto e razionale uso dell’acqua prelevata, prevedendo l’acquisizione dei pareri e dei nulla osta di alcuni Enti tecnici.

Nel caso di acque sotterranee, nel corso del procedimento viene rilasciata un’autorizzazione all’escavazione del pozzo, che ha la durata di un anno, periodo in cui rimane sospeso il procedimento stesso. Alla conclusione dei lavori il richiedente fornisce all’ente concedente la documentazione tecnica richiesta (es. stratigrafia, coordinate geografiche, quota di riferimento, certificato di regolare esecuzione, prove di pompaggio sia in formato cartaceo che in file) precisando la portata media, espressa in l/s, per la concessione. Anche in questo caso tutti questi dati consentono, inseriti in un apposito database, di ricostruire le condizioni di prelievo in determinate aree sottoposte a pressioni diverse.Il titolo di concessione viene rilasciato sulla base di un disciplinare contenente gli obblighi a carico del richiedente tra cui quello di pagare un canone annuo commisurato alla tipologia d’uso ed alla portata di concessione.

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4. Le aree di pertinenza di laghi e fiumi: i diritti d’uso delle aree demaniali

I beni demaniali sono beni immobili o universalità di beni mobili che appartengono ad enti pubblici territoriali e, in quanto tali, presentano la caratteristica di essere inalienabili, non suscettibili di acquisto per usucapione, con diritto del titolo di proprietà imprescrittibile e non espropriabili. In materia di demanio tradizionalmente si distingue un de-manio necessario, un demanio accidentale, un demanio regionale ed un demanio comunale specifico.Il demanio idrico unitamente al demanio marittimo e al demanio militare costituisce il demanio necessario dello Stato, cioè quell’insieme di beni immobili che sono demaniali per loro stessa natura. I beni del demanio idrico dello Stato sono le acque dei fiumi e dei laghi, i terreni che li contengono e quindi gli alvei, i bacini con le loro sponde e le rive interne dei fiumi cioè le zone soggette ad essere sommerse dalle piene ordinarie. La demanialità del bene si estende anche alle sue pertinenze, cioè alle cose (aree, costruzioni, edifici o altro) desti-nate durevolmente a servizio del bene (ad es. strada alzaia lungo una via navigabile).Lo Stato, a partire dagli anni ’70, fino ad arrivare al D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112 (Bassanini) a più riprese ha delega-to alle regioni le competenze in materia di demanio idrico, mentre la proprietà dei beni del demanio idrico è rimasta in capo allo Stato, a meno dei porti lacuali e di alcuni importanti canali come ad es. il Naviglio Pavese.La Regione a sua volta ha trattenuto una parte delle competenze mentre, in un’ottica di sussidiarietà, ne ha delegate altre a province e comuni.

La gestione del demanio idrico si compone del-l’esercizio di diverse funzioni tecnico-amministra-tive (Fig. 3.2), le più importanti delle quali sono le seguenti:• Utilizzazione delle acque pubbliche: conces-

sioni delle derivazioni d’acqua (regio decreto 1775/1933).

• Gestione del demanio lacuale e della navigazio-ne interna: concessioni ed autorizzazione aree del demanio lacuale (Codice della Navigazio-ne).

• Polizia idraulica sul demanio fluviale: conces-sioni e autorizzazioni per occupazione aree del demanio fluviale (regio decreto 523/1904).

• Polizia idraulica sui canali di bonifica: conces-sioni e autorizzazioni per occupazioni aree del reticolo di bonifica (regio decreto 368/1904).

La gestione del demanio idrico

La gestione del demanio idrico si compone dell’esercizio di diverse funzioni tecnico-amministrative, le più importanti delle quali sono le seguenti:• Gestione del demanio lacuale e della navigazione interna: concessioni ed autorizzazione aree del demanio lacuale (Codice della Navigazione).

Il rilascio delle concessioni sulle aree del demanio lacuale e nei porti (Codice della navigazione), è stato, delegato,con la l.r. 22/1998, ai comuni rivieraschi (poi raggruppatisi in consorzi). I canoni sono introitati dai Consorzi che ne trattengono il 60%, con il quale vengono pagate le spese di gestione ed effettuati investimenti per la valorizzazione del demanio. Il restante 40% viene trasferito alla Regione Lombardia.

• Gestione del demanio della navigazione interna: si tratta della gestione di tutto il demanio fluviale e dei canali navigabili legati alla navigazione interna (competenze ex Azienda regionale per i porti di Cremona e Mantova). Con la l.r. 30/2006 è stata conferita alla Provincia di Cremona la gestione del porto di Cremona e della banchina di Pizzighettone, alla provincia di Mantova la gestione del porto di Valdaro e all’AIPO le funzioni concernenti la gestione del demanio della navigazione interna e della navigazione lungo i fiumi e i canali navigabili.

• Polizia idraulica sul demanio fluviale: concessioni e autorizzazioni per occupazione aree del demanio fluviale (regio decreto 523/1904). Le fun-zioni amministrative relative alla polizia idraulica sono state articolate dalla l.r. 1/2000 [artt. 108, c. 1, lett. i) e art. 114, c.1, lett. a)] sul territorio regionale come segue. Il reticolo idrico naturale (fiumi, torrenti, colatori, rii, e i corsi d’acqua naturali in genere) è stato suddiviso con la d.g.r. 7868 del 25/01/2002 in “principale” e per differenza in “minore”; la medesima d.g.r. ha altresì effettuato una prima individuazione dei canali di bonifica. Le funzioni tecnico-amministrative sul reticolo idrico “principale” sono poi suddivise come segue:- AIPO: è competente nell’esercizio delle funzioni tecniche sulla porzione di reticolo idrico principale dell’ ex Magistrato per il Po. Rilascia i

pareri tecnici ed i nulla osta idraulici ma le concessioni sono rilasciate dalla Regione;- La Regione tramite le Sedi Territoriali (e a Milano la DG casa e OO.PP.) esercita le funzioni tecnico amministrative sul restante reticolo idrico

principale regionale.- L’individuazione del reticolo idrico minore e lo svolgimento delle funzioni tecnico-amministrative sullo stesso (autorizzazioni idrauliche, nulla

osta e rilascio concessioni di occupazione aree demaniali) spettano ai comuni cui spetta l’introito dei canoni.• Polizia idraulica sui canali di bonifica: concessioni e autorizzazioni per occupazioni aree del reticolo di bonifica (regio decreto 368/1904). Con la

d.g.r. 7868/2002 poi aggiornate con d.g.r. 20552/2005 la Regione ha individuato ai sensi dell’art. 10, comma 5 della l.r. 7/2003 il reticolo idrico di competenza dei consorzi di bonifica. Sul predetto reticolo di bonifica le funzioni tecnico-amministrative di polizia idraulica (autorizzazioni, nulla osta e concessioni aree reticolo di bonifica) sono svolte dai Consorzi di bonifica cui spetta l’introito dei relativi canoni.

Fig. 3.2

Rappresentazione del demanio idrico

USIAGRICOLI POLIZIA

IDRAULICA

USI IDRICI

NAVIGAZIONEINTERNA

LAGHI

demanio idrico

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Il ponte coperto di Pavia

�. La gestione del rischio idraulico: le piene

La storica vulnerabilità del territorio lombardo ai fenomeni di dissesto idrogeologico e idraulico, oggi enfatizzata dall’elevato livello di urbanizzazione e dall’aumento della frequenza di eventi atmosferici intensi che generano effetti distruttivi, rende imprescindibili la prevenzione e la tutela del territorio. Tali attività devono essere attuate a partire da un’approfondita conoscenza del territorio e si concretizzano attraver-so la pianificazione a scala di bacino e locale, nonché attraverso la programmazione degli interventi di difesa del territorio. La Regione Lombardia negli ultimi anni ha intrapreso un articolato processo per l’implementazione e la diffusione delle conoscenze, con particolare riguardo agli aspetti geologici: le attività sviluppate sono relative alla creazione di sistemi informativi a valenza territoriale e alla collaborazione con università ed enti di ricerca, anche all’interno di progetti europei, per realizzare studi e ricerche che possano rappresentare una solida base di partenza per la piani-ficazione e la programmazione degli interventi. Il susseguirsi di eventi calamitosi che hanno colpito la nostra regione negli ultimi decenni, e i conseguenti rilevanti costi sostenuti dalla collettività hanno portato ad affrontare il tema della prevenzione dei rischi idrogeologici attra-verso una pianificazione territoriale che verifichi preventivamente la compatibilità degli interventi con l’assetto geo-logico, idrogeologico e le condizioni di sismicità del territorio. Il tema della prevenzione del rischio idrogeologico viene affrontato in primo luogo a scala di bacino idrografico: le linee e gli indirizzi generali per il riassetto idrogeologico da applicare sul territorio della Lombardia, quasi interamente compresa all’interno del bacino del Po, sono infatti definiti dal Piano Stralcio per l’Assetto Idrogeologico del fiume Po (PAI), predisposto dall’Autorità di Bacino del fiume Po. Il PAI ha valore di piano territoriale di settore ed è lo stru-mento conoscitivo, normativo, tecnico-operativo mediante il quale sono pianificate e programmate le azioni e le norme d’uso riguardanti l’assetto idraulico e idrogeologico del bacino idrografico.

Il Piano di Assetto Idrogeologico “PAI”

Per conseguire l’obbiettivo di garantire a tutto il territorio del bacino un livello di sicurezza adeguato rispetto ai fenomeni di dissesto idraulico e idrogeologico, il PAI prevede una serie di azioni e interventi sia strutturali (opere idrauliche e sistemazioni dei versanti) sia non strutturali (vincoli e norme di uso del suolo ), da applicarsi alla rete idrografica principale di pianura e di fondovalle, al reticolo idrografico collinare-montano e ai versanti dell’area montana. Gli interventi non strutturali si esplicano principalmente nella regolamentazione dell’uso del suolo, oltre che in attività di monitoraggio e nel man-tenimento delle condizioni di assetto del territorio. Per quanto riguarda la rete idrografica principale di pianura e di fondovalle il PAI contiene la delimitazione delle fasce fluviali (fascia A, B, C), nonché la relativa normativa per l’uso del suolo all’interno delle stesse: in particolare individua indirizzi e prescrizioni per la progettazione delle infrastrutture interferenti, per gli scarichi delle reti di drenaggio artificiali, per la progettazione di opere pubbliche e di interesse pubblico secondo criteri di compatibilità con le condizioni di rischio. Tramite la delimitazione delle fasce fluviali il PAI persegue la riduzione della vulnerabilità del territorio e il ripristino o il mantenimento delle aree di esondazione naturale, con conseguente individuazione delle aree da destinare alla libera espansione delle piene e di quelle da proteggere tramite realizzazione di opere idrauliche. Per quanto riguarda i versanti e il reticolo idrografico collinare-montano, la regolamentazione dell’uso del suolo è attuata attraverso norme speci-fiche applicate alle aree a rischio idrogeologico molto elevato e alle aree in dissesto (frane, valanghe, trasporto in massa su conoidi, esondazioni di carattere torrentizio), contenute nell’Atlante dei rischi idraulici e idrogeologici, esteso al bacino del Po, approvato nel 2001 e in costante ag-giornamento. La normativa vigente prevede, infatti, che tale aggiornamento sia operato dai Comuni (conformemente alle direttive emanate dalla Regione) attraverso specifici approfondimenti nell’ambito degli studi geologici a supporto degli strumenti urbanistici comunali. Tale azione in Lombardia si è inserita in un percorso già iniziato nel 1993, definito successivamente dalla l.r. 41/97 e attualmente dalla l.r. 12/05, riguardante la prevenzione del rischio attraverso la pianificazione territoriale. Tale percorso ha contribuito al consolidarsi della pratica della pre-valutazione delle scelte urbanistiche e territoriali a scala locale sulla base dello sviluppo delle conoscenze geologiche, idrogeologiche e sismiche dei territori dei comuni e ha portato, in questi ultimi 14 anni, circa il 75% dei Comuni lombardi a dotarsi di uno studio geologico a supporto delle proprie scelte pianificatorie, con l’obbiettivo di individuare e prevenire i rischi e favorire nel contempo un equilibrato sviluppo urbanistico e socio-economico.

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Anche a livello della pianificazione territoriale provinciale (PTCP) sono state introdotte ulteriori analisi, valutazioni e norme di utilizzo del suolo, a questa scala di riferimento, che permettono di avere una lettura del territorio sempre più coerente e funzionale con il PAI del bacino del Po. Rispetto alla rete idrografica principale di pianura e dei fondovalle il PAI tende a conseguire gli obietti-vi di sicurezza tramite la salvaguardia e, ove possibile, l’ampliamento delle aree naturali di esondazio-ne dei corsi d’acqua e la limitazione degli interventi artificiali di contenimento delle piene, privilegiando, per la difesa degli abitati, interventi di laminazione controllata. L’ingente occupazione antropica del territorio lom-bardo ha però trasformato in molti tratti il reticolo idrografico principale in un sistema idrografico “artificiale”, strettamente condizionato dalle opere idrauliche realizzate e dai vincoli costituiti dagli insediamenti urbani, dalle in-frastrutture viarie e dalle attività produttive: in tali ambiti il PAI non può che prendere atto dell’esistente e perseguire pertanto la sicurezza degli insediamenti e delle infrastrutture tramite la realizzazione di opere idrauliche strutturali, quali argini o difese di sponda. Oltre alle attività di pianificazione e programmazione le fasi di gestione d’emergenza degli eventi di piena viene at-tuata a scala regionale con l’organizzazione delle procedure per la protezione civile.La protezione civile è quel complesso di attività cui provvedono, secondo i rispettivi ordinamenti e le rispettive com-petenze, le amministrazione dello Stato, le regioni, le province, i comuni e le comunità montane e vi concorrono gli enti pubblici, gli istituti ed i gruppi di ricerca scientifica, nonchè ogni altra istituzione ed organizzazione anche priva-ta, i cittadini ed i gruppi associati di volontariato civile. Le attività sono quelle di previsione e prevenzione delle varie ipotesi di rischio, di soccorso delle popolazioni sinistrate ed ogni altra attività necessaria ed indifferibile necessaria per superare l’emergenza.Il sistema regionale di protezione civile si basa sul complesso degli strumenti di pianificazione e di gestione con i quali si realizza il coordinamento delle attività dei Comuni, delle Province, degli uffici e delle sedi territoriali della Regione, degli Enti del sistema regionale di cui alla legge regionale 30/2006, e delle associazioni di volontariato, coinvolti nelle funzioni di prevenzione, aiuto alla popolazione e di ricostruzione, a seguito di calamità pubbliche. Tale sistema si integra ed opera per proteggere le persone dal rischio di incidente o disastri, attraverso azioni che riduca-no o scongiurino la perdita di vite umane, la distruzione dei beni materiali e i danni all’ambiente. Il sistema regionale di protezione civile è costituito da:a) i sistemi comunali e provinciali di protezione civile;b) la struttura organizzativa regionale competente per la protezione civile, con la sala operativa regionale di prote-zione civile, e gli enti del sistema regionale di cui alla l.r. 30/2006;c) le organizzazioni dei volontari che operano a livello regionale nel campo della protezione civile.d) le strutture tecnico-operative che nell’esercizio delle attività di propria competenza incidono sui livelli di sicurezza del territorio.

Val Grosina

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6. La gestione delle crisi idriche: le magre

A partire dal 2003, si sono presentate nell’area di pianura della regione e anche nell’intero bacino del Po, periodi di carenza idrica. Cioè stagioni estive irrigue, in cui la disponibilità non è stata in grado di soddisfare la domanda. L’analisi dei dati meteo-climatici non ha ancora chiarito se si tratti di una riduzione netta del volume delle precipita-zioni o di una concentrazione in un periodo più limitato. Gli effetti di questo tipo di mutamenti richiedono, comunque un riesame delle logiche di utilizzo dell’acqua. Se si effettua il bilancio relativo agli usi, sottraendo gli usi che restituiscono interamente ai corsi d’acqua, si evidenzia l’importanza della sottrazione irrigua di acque ai corsi d’acqua naturali. Tuttavia la pianura lombarda ha ormai con-solidato un paesaggio che è costituito dal reticolo stesso dei canali irrigui e i sistemi irrigui costituiscono da sempre un sistema ottimale di ricarica delle falde acquifere, sia più superficiali che riemergono nella parte medio bassa delle pianura per essere riutilizzate, sia delle falde profonde che rappresentano il serbatoio di approvvigionamento potabile a scala regionale.Il consumo potabile che secondo la normativa vigente deve essere considerato l’uso prioritario della risorsa, in Lombardia non è mai entrato in competizione con gli altri tipi di utilizzo proprio perché grava su una risorsa, quella sotterranea, che è scarsamente utilizzata per gli altri usi e che anzi, nel quadro attuale, è essa stessa alimentata all’uso irriguo. Solo in area montana dove le falde sotterranee sono di limitate dimensioni si sono verificati episodi di carenza negli ultimi anni. In condizioni normali le riserve risultano sufficienti per soddisfare i fabbisogni di agglome-rati di limitate dimensioni. La crescente frequenza di inverni con precipitazioni nevose ridotte rende questi acque-dotti a rischio di approvvigionamento. Diventa quindi importante individuare fonti di approvvigionamento alternative e provvedere alla necessaria messa in rete.La criticità viene affrontata valutando la situazione meteorologica dei mesi invernali quando si evidenzia una carenza di risorsa idrica che, probabilmente, dovrà essere affrontata come una “crisi idrica”.Per esempio, le precipitazioni del 2006 hanno evidenziato, una media delle precipitazioni inferiore anche alla media dei precedenti 5 anni (2001-2005). All’inizio del 2007 si evidenziava quindi una consistente riduzione dell’immagaz-zinamento di risorsa a causa della carenza di precipitazioni negli anni precedenti (netta riduzione delle dimensioni dei ghiacciai e nevai).La situazione è stata affrontata a breve termine con la costituzione di un Gruppo d’emergenza ristretto (“Cabina di Regia”) composto da: Regione Lombardia, Autorità di bacino del Fiume Po, Registro Italiane Dighe, ARPA, URBIM, Associazioni agricole, Consorzi di regolazione laghi e grandi derivatori idroelettrici.Il gruppo ha operato con gli strumenti disponibili e le competenze quali attualmente attribuite e distribuite, operando quindi una funzione sostanziale di coordinamento, con limitate possibilità di intervento diretto.Ma la Regione vuole uscire da questa costante emergenza e passare ad una gestione consapevole ed integra-

Fiume Oglio

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ta delle disponibilità idriche. Forte della diffusione di una cultura delle acque, contando sul contributo di tutti gli stakeholders, la Regione sta quindi lavorando per predisporre un Programma d’Azione, che consenta di giungere ad una reale gestione delle acque in futuro. E’ il Patto per l’acqua, che rappresenta un piano, condiviso dai principali soggetti interessati articolato in tematiche strategiche.I tavoli di lavoro stanno lavorando ad un programma sull’orizzonte temporale più esteso, con la possibilità di affron-tare la discussione relativa sia alle competenze sia alle misure da intraprendere in un arco temporale adeguato e determinando l’effettivo fabbisogno di risorse economiche.Ogni anno la Regione si è si impegna nella gestione dell’annualità, iniziando le prime valutazioni già a dicembre, e costituendo, in caso di rischio, una “cabina di regia regionale” che funzione innanzi tutto come osservatorio sull’evo-luzione del fenomeno e si coordina in sede di bacino e nazionale. Lo stato di emergenza approvato nel 2007 e pro-rogato fino a giugno 2008 ha dato ancora più rilievo all’azione regionale, costituendo analoghi gruppi regionali, che riferiscono poi ad un gruppo nazionale di gestione della crisi formato dai Presidenti delle Regioni o loro delegati.

Analisi dell’evento 2007

Una analisi dell’evento di quest’anno condotta dal Centro Funzionale della Lombardia può anche sommariamente aiutare a comprendere quale sia effettivamente il funzionamento del sistema costituito dall’insieme delle acque superficiali e sotterranee a scala di bacino.

Confronto tra le portate defluenti dal Lago di Como (linea blu), derivate dai Consorzi (linea gialla) e defluenti alla sezione di chiusura del bacino

(linea rossa).

Da una primissima analisi di bilancio si possono ricavare interessanti riflessioni:• le portate defluenti dal lago sono sostanzialmente tutte derivate,• le portate defluenti alla sezione di chiusura e quindi il contributo alla portata del Po sono interamente connessi ad un contributo “occulto”• tale contributo è in parte legato alle colature direttamente dipendenti dalla piogge, • ma fondamentalmente derivante dal contributo delle acque sotterranee.Da tempo la regione sta cercando di individuare nel dettaglio la quantificazione di questo contributo e soprattutto il suo scostamento tempora-le.L’analisi dell’evento di quest’anno dovrebbe poter consentire di definire in forma più compiuta proprio questi parametri che potrebbero contribuire a dimostrare che l’alimentazione del bacino acquifero sotterraneo rappresenta una misura di protezione della risorsa invece che un uso inefficien-te come superficialmente si potrebbe essere portati a dire.

Adda

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0 10 20 30 40 50 60

giorni

Q media Adda

Q uscente dal lago

Q derivata irrigua

BILANCIO

pioggia

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7. La navigazione

La navigazione ha segnato nei secoli lo sviluppo di molte città lombarde, caratterizzando il territorio con grandiose opere idrauliche. Navigare è stato per lungo tempo il modo più veloce ed efficace per spostare uomini e merci. Solo negli ultimi due secoli la crescita dei mezzi di trasporto terrestri ha raggiunto livelli tali da rendere meno conveniente il trasporto su acqua. Al momento però il congestionamento e sicurezza delle strade, unitamente alla carenza di reti ferroviarie hanno portato alla riscoperta delle vie d’acqua come possibilità di trasporto alternativo.Anche il turismo, con la riscoperta dei canali storici, ripropone in veste nuova gli antichi itinerari commerciali che collega-vano tra loro le nostre città.Le vie navigabili lombarde in esercizio costituiscono una rete estesa per oltre mille chilometri e se si ricomprendono anche i tratti di vie navigabili percorribili stagionalmente o con ostacoli superabili con adeguati interventi si può arrivare a circa 1.500 chilometri di rete.E’ una rete di tutto rispetto se si considerano i collegamenti con le reti venete ed emiliane.Vi sono sia i corsi d’acqua naturali navigabili sia la rete di canali artificiali costruita nel corso dei secoli e che in Lombardia assume un’estensione ed un’importanza storica straordinaria. Questa rete si estende per 250 Km, è riconosciuta tra le reti europee TEN e si trova all’interno del Sistema idroviario padano – veneto dichiarato di interesse nazionale. L’asse portan-te è il fiume Po, navigabile con continuità a partire dallo sbarramento di Isola Serafini. Dal Po si diparte la rete costituita da: Canale navigabile Mantova – Venezia (Fissero-Tartaro-Canalbianco), Canale navigabile Pizzighettone – Cremona, Fiume Mincio da Mantova alla confluenza con il Po. Alcune vie inoltre sono parte di una rete navigabile internazionale .La Lombardia comprende poi una nutrita serie di vie minori navigabili e navigate a fini turistici. I Navigli Lombardi più importanti gravitano su Milano e interessano le provincie di Milano, Lecco, Pavia e Varese. Altri tratti navigabili si trovano sui grandi fiumi lombardi: Po, Ticino, Adda, Mincio e Oglio.I cinque laghi maggiori lombardi sono classificabili, date le loro notevoli dimensioni, come vie navigabili di VII° classe e hanno quindi una forte vocazione nautica. Costituiscono una delle maggiori occasioni di sviluppo per la navigazione in-terna, esistono infatti rotte della navigazione di linea per 460 km, benchè le offerte di tipo crocieristico e i servizi a noleggio più moderni siamo solo all’inizio.In totale in Lombardia, che conta oltre ai cinque laghi maggiori anche 16 bacini minori con una discreta navigazione da diporto, sono presenti 158 comuni lacuali con 183 porti pubblici e oltre 6000 km di coste lacuali navigabili.

Dove navigare

La navigazione di linea in Lombardia si effettua sui cinque laghi maggiori, Iseo, Lario, Garda, Maggio-re e Ceresio. Il servizio, pur essendo caratterizzato da una forte stagionalità, ha tutte le caratteristiche del trasporto pubblico locale ed è insostituibile, sia per le popolazioni rivierasche, sia per la mobilità dei turisti. La gestione del servizio sui laghi è affidata a:• sui laghi di Garda, Como e Maggiore a NAVILAGHI - Gestione Governativa per la navigazione.• sul lago di Iseo al Consorzio per la Gestione Associata dei Laghi di Iseo Endine e Moro che si avvale di propria Società di gestione la N.L.I. S.r.l. per il normale esercizio.• sul lago Ceresio il servizio di navigazione è gestito dalla NAVILUGANO - Società navigazione Lago Lugano.

ENTE GESTORE TELEFONO SITO INTERNET E/O E-MAIL NAVILAGHILago Maggiore 0322-46651 [email protected] Garda 030-9149511 www.navigazionelaghi.itLago Como 031-579211 [email protected] LAGO ISEO 035-971483 www.navigazionelagoiseo.itNAVILUGANO 004191-9715223 www.lakelugano.ch

La navigazione turistica è gestita da operatori professionali che offrono principalmente:• crociere plurigiornaliere con servizio di pensione completa, solo fluviali• crociere giornaliere• noleggio di imbarcazione con conducente• noleggio senza conducenteAnche la navigazione da diporto è una attività particolarmente sviluppata nella nostra regione; sulle vie navigabili lombarde si registra la maggiore densità di imbarcazioni per chilometro di costa rispetto a qualunque altra regione italiana.Il trasporto merci invece avviene principalmente sul fiume Po e sul Sistema idroviario padano - ve-neto, utilizzato dalle industrie locali e per i trasporti eccezionali. Sui laghi si effettuano solo trasporti funzionali alle attività che si svolgono sulle sponde e le attività di traghettatura per autoveicoli. Infine su tutte le vie navigabili lombarde operano incessantemente tutte le forze dell’ordine, Guardia di Finanza, Carabinieri e Polizia, mediante motovedette di vario tipo coadiuvate in alcuni casi dalle Polizie Municipali dotate di mezzi nautici per il controllo e il soccorso. Inoltre le attività di soccorso nautico sono garantite da Vigili del Fuoco, dalla protezione Civile e, in particolare, sul lago di Garda dalla Guardia Costiera (servizio sperimentale).

Lago di Como

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Gli strumenti

1. Il monitoraggio ambientale e gli strumenti per la raccolta delle informazioni

Il monitoraggio ambientale rappresenta uno strumento a servizio dei processi decisionali e consente di costruire la base delle conoscenze sulle quali stabilire misure politiche e verificarne l’efficacia. Ogni sistema di monitoraggio ambientale possiede caratteristiche e finalità che rispecchiano le necessità degli utenti al servizio dei quali si pone: fra processi decisionali e monitoraggio si stabilisce infatti un rap-porto continuo che consente ai decisori di acquisire i dati e le informazioni mirati alle proprie attività e al monitoraggio di produrre i dati e le informazioni necessarie per le valutazioni.Qualunque sia la matrice sulla quale acquisire informazioni, le fasi su cui si fonda la costruzione e la ge-stione del sistema di monitoraggio sono:• la definizione delle necessità conoscitive, anche in relazione ad una eventuale richiesta normativa;• la progettazione della rete, che comporta la scelta delle aree da monitorare per rappresentare l’intero

sistema da valutare nonché la definizione del numero, della tipologia e dell’ubicazione delle stazioni di monitoraggio in rapporto alle caratteristiche del territorio;

• l’individuazione dei parametri da misurare e della frequenza di misurazione;• la realizzazione della rete: • l’attivazione dei centri per la raccolta e l’elaborazione dei dati;• la gestione della rete (definizione dei protocolli di campionamento e di trasmissione dei dati, manuten-

zione delle tecnologie, assicurazione di qualità).Le reti di monitoraggio si distinguono in manuali e automatiche: nel caso delle reti manuali gli operatori provvedono ai rilievi analitici presso le stazioni di monitoraggio secondo la frequenza stabilita; nel caso delle reti automatiche la strumentazione analitica è presente nella stazione di monitoraggio e registra periodicamente il valore dei parametri scelti (in alcuni casi trasmettendo direttamente i dati di elabora-zione).Un principio generale da considerare è quello della scala territoriale della rete: i diversi livelli istituzionali costruiscono infatti reti proporzionali alle proprie richieste di conoscenza e alle proprie capacità di inter-vento sul territorio.Con l’espressione rete di monitoraggio si intende quindi un sistema organizzato di misure ripetute nel tempo realizzate in punti dislocati spazialmente secondo criteri idonei caratterizzare lo stato delle matrici

Lago di Como

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ambientali di un’area, ed effettuate mediante rilievi automatici o manuali.ARPA (Agenzia Regionale Protezione dell’Ambiente), quale supporto tecnico-scientifico ai livelli istituzionali com-petenti nelle materie ambientali, gestisce numerose reti di monitoraggio, che rappresentano altrettante matrici o tematiche ambientali. La gestione - diretta o in collaborazione - riguarda:• la rete dei sistemi di monitoraggio delle emissioni• la rete regionale di rilevamento della qualità dell’aria • la rete di monitoraggio della qualità ambientale delle acque superficiali• la rete di monitoraggio delle acque dolci che richiedono protezione e miglioramento per essere idonee alla vita

dei pesci• la rete di monitoraggio per le acque superficiali destinate alla produzione di acqua potabile• la rete di monitoraggio dei corpi idrici sotterranei• la rete di monitoraggio meteo-idro-pluviometrica• la rete nivo-meteorologica• la rete per il monitoraggio della radioattività artificialeARPA gestisce inoltre il monitoraggio contro il rischio geologico e il monitoraggio sismico.I sistemi informativi permette di acquisire, aggiornare, elaborare, rappresentare e diffondere dati ed informazioni, meglio se georeferenziati sul territorio regionale. Le basi informative a scala piccola vengono ricavate attraverso un sistema di riduzione e generalizzazione dei contenuti in modo da mantenere la congruenza nella collocazione spaziale delle singole informazioni.

1.1 Monitoraggio

ARPA Lombardia opera quotidianamente per la prevenzione e la protezione dell’ambiente, affiancando le istituzioni regionali e locali in molteplici attività. In relazione alla riduzione dell’inquinamento dei corpi idrici superficiali e sotterranei e prevenzione di ulteriori feno-meni di degrado della risorsa idrica, la Regione Lombardia attraverso ARPA Lombardia ha predisposto una rete di monitoraggio relativa ai corpi idrici superficiali e sotterranei più significativi (Vedi anche Capitolo 1).Attualmente il monitoraggio si fonda, per le acque super-ficiali, su parametri chimici, microbiologici e biologici e consente di determinare un indice di classificazione che tiene conto delle caratteristiche complessive della quali-tà delle acque. Lo sviluppo futuro dei sistemi di monito-raggio prevede che siano sempre di più le caratteristiche ecologiche a descrivere la qualità dell’intero corpo idrico e non solo delle acque.Per le acque sotterranee, il monitoraggio e la conseguen-te modalità di classificazione si riferiscono solo a para-metri chimici, non considerando la possibilità di forme di vita sotterranee.Un sistema di monitoraggio che mantenga sotto controllo l’insieme dei corpi idrici regionali e garantisca la possibili-tà di aggiornare la classificazione degli stessi, per mettere a disposizione dei cittadini i dati aggiornati, costituisce il primo passo verso una condivisione delle conoscenze relative alle acque, cercando di superare quella frammen-tarietà delle fonti informative che spesso disorienta e im-pedisce una visione strategica unitaria.

1.2 Strumenti per la raccolta delle informazioni

Nel contesto attuale, caratterizzato da una rapida tra-sformazione del rapporto fra pubblica amministrazione e cittadini, l’integrazione delle informazioni assume una rilevanza strategica. Per questo motivo la Regione Lom-bardia ha avviato la costruzione dell’Osservatorio Risorse e Servizi.L’ Osservatorio ha le seguenti finalità:• organizzare il patrimonio informativo esistente sulle ac-

que, che non può essere utilizzato in modo adeguato a

L’Osservatorio Risorse e Servizi

L’Osservatorio Risorse e Servizi della Regione Lombardia (ORS – www.ors.regione.lombardia.it), istituito ai sensi della L.R. 26/03 e s.m.i., nasce come strumento di informazione e pubblicizzazione delle attività della Direzione generale Reti, Servizi di pubblica utilità e Sviluppo sostenibile. Ha quindi le funzioni di:- portale della Direzione e del Garante dei Servizi,- veicolo di pubblicazione e diffusione dei dati, delle leg-

gi, dei bandi di finanziamento, dei documenti attraverso i quali la Regione pianifica, regolamenta e finanzia: usi, consumi, smaltimento e riutilizzazione di acqua – energia – rifiuti – reti tecnologiche;

- strumento di informazione permanente su: acqua – rifiuti – energia – reti tecnologiche e sui servizi che li riguardano (supporto agli Enti locali nell’affidamenti dei servizi, rile-vamento delle tendenze del mercato, indicatori di qualità ed efficienza dei servizi, monitoraggio dell’evoluzione del quadro normativo europeo, nazionale e regionale in mate-ria, comparazione delle carte dei servizi, ecc…);

- piattaforma di gestione condivisa e integrata delle banche dati di diversi soggetti (altre Direzioni generali della Regio-ne, Autorità d’ambito, Province, Arpa Lombardia, ecc…).

L’Osservatorio svolge quindi da una parte una funzione di monitoraggio e informazione sulla gestione dei servizi pub-blici, orientati a soddisfare alcuni precisi bisogni primari di cittadini e imprese lombarde, dall’altra parte, attraverso apposite sezione dedicate ai consumatori e ai più giovani, riguardo all’educazione ambientale, si propone come snodo informativo capace di rendere i suoi lettori parte attiva nel cammino verso un’efficace tutela dell’ambientale e uno svi-luppo duraturo e sostenibile.

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causa della dispersione dei dati e di problemi di compatibilità fra i sistemi utilizzati dai diversi e molteplici soggetti,• disporre delle conoscenze necessarie a una corretta programmazione e verifica delle azioni volte a risanare, tute-

lare e valorizzare il patrimonio idrico della nostra regione,• garantire il coordinamento armonico e coerente delle politiche e degli interventi sviluppati dai diversi Enti che ope-

rano nel settore, con particolare riguardo all’armonizzazione delle azioni alla scala di bacino,• rendere più semplici e trasparenti le procedure necessarie per ottenere concessioni e autorizzazioni inerenti l’uso e

la gestione delle acque, nonché la realizzazione di opere che interessano gli ambienti fluviali e lacustri, garantendo al contempo adeguati livelli di sicurezza e un’efficace protezione delle acque e degli ambienti connessi,

• offrire ai cittadini informazioni chiare e tempestive sullo stato delle risorse idriche, e favorire, attraverso una maggior conoscenza e consapevolezza, la crescita di una cultura dell’acqua,

• garantire un controllo efficace sui livelli di servizio realmente offerti dai gestori del Servizio idrico integrato.L’Osservatorio si configura come un sistema volto a condividere i dati raccolti e prodotti dagli Enti interessati, supe-rando le suddivisioni amministrative, settoriali e territoriali per permettere un affronto integrato dei problemi connessi alla gestione delle risorse idriche.La realizzazione comprende tre aspetti fondamentali:• La definizione di standard comuni per rendere fruibili e reciprocamente leggibili per tutti i soggetti che partecipano

al sistema le informazioni che di esso fanno parte • La pubblicazione di rapporti periodici, servizi tematici e documenti sullo stato delle acque lombarde e sulla qualità

dei servizi offerti ai cittadini.L’osservatorio rappresenta il principale strumento di lavoro del Garante del servizio, che attraverso l’osservatorio reperisce le notizie necessarie alle sue attività per rielaborarle e restituirle al cittadino.

2. Strumenti normativi e di pianificazione

Tenendo conto della evoluzione del quadro normativo delineato dalle direttive europee di settore e dalla di-rettiva quadro sulle acque 2000/60 CE, la Regione ha elaborato già a partire dal 2002: Linee di indirizzo stra-tegico per la politica di uso e tutela delle acque. In que-sto documento viene riconosciuta la funzione primaria della risorsa e la valenza di un’azione complessiva di prevenzione e valorizzazione della stessa, indicando la necessità di una riorganizzazione normativa del setto-re, nonché dello sviluppo di una “cultura dell’acqua” da attuare con l’acquisizione delle informazioni e dei dati ambientali relativi, la loro organizzazione e diffusione, con la partecipazione diffusa alla definizione di obiettivi di qualità ambientale e alla pianificazione e regolamen-tazione della materia. A questo ha fatto seguito l’elaborazione e approvazione della legge regionale 26/2003 che affronta per la prima volta la disciplina complessiva dei Servizi di interesse economico generale. La legge definisce le regole co-muni ai vari servizi relativamente ai principi generali di tutela del consumatore, di accesso ai servizi, di qualità degli stessi e di affidamento della gestione, precisando inoltre: le discipline per i settori dei rifiuti, dell’energia, della ge-stione del sottosuolo e delle risorse idriche. Per queste ultime in particolare la legge regionale: • definisce l’attribuzione di competenze fra i diversi li-

velli di governo,• disciplina il Servizio Idrico,• indica la disciplina per la gestione in sicurezza delle

dighe e per l’accesso ai dati ambientali, • definisce gli strumenti di pianificazione regionale della

materia introducendo il “Piano di gestione del bacino idrografico” articolato in un “Atto di Indirizzo per la politica delle acque” (approvato dal Consiglio regio-Dugale Delmona

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nale) e nel “Programma di Tutela ed Uso delle Acque” (PTUA) elaborato ed approvato dalla Giunta regionale e contenente le misure d’intervento. La prima stesura di questo piano rappresenta anche il Piano di Tutela delle Acque previsto dal decreto legislativo 152/99.

• indica i regolamenti attuativi.Il decreto legislativo n. 152/2006 sulle “Norme in mate-ria ambientale”, nel recepire a livello nazionale la Diret-tiva 60/2000, conferma obiettivi e contenuti del Piano di Tutela delle acque, rinviandone i termini di possibile elaborazione. Il lavoro realizzato consente di far subito riferimento ad un corpo normativo organico e costitui-sce la base conoscitiva per i successivi aggiornamenti, anche alla luce del citato Decreto Legislativo.Il Programma di Tutela ed Uso delle Acque è stato de-finitivamente approvato nel 2006 in concomitanza con alcuni dei regolamenti attuativi previsti anche della leg-ge regionale 26/2003, correlati con la normativa tecnica del Programma stesso. In particolare:• il regolamento relativo all’uso, risparmio e riuso delle

acque rende snello il procedimento di concessione d’uso delle acque, applicando criteri di risparmio delle risorse e di tutela delle acque pregiate,

• il regolamento per lo scarico delle acque di prima piog-gia, è volto a limitare l’inquinamento dei corpi idrici derivante dal dilavamento di superfici impermeabili a servizio di attività specifiche quali: industrie chimiche, aree di servizio, depositi di rottami, depositi di rifiuti.

• il regolamento sugli scarichi di acque reflue urbane, indica le procedure autorizzative ed i limiti allo scarico degli impianti di depurazione, valutando il raggiun-gimento degli obiettivi di qualità stabiliti, in funzione del tipo di recapito e della potenzialità degli impianti stessi.

A questo insieme di atti normativi si affianca una intensa produzione di indirizzi tecnici a supporto delle ammi-nistrazioni competenti, che costituiscono elementi ne-cessari ad una azione coordinata per il raggiungimento degli obiettivi di qualità definiti.La Regione Lombardia utilizza diversi altri strumenti di programmazione e pianificazione che interagiscono con la programmazione delle risorse idriche:• Il Piano per l’Assetto Idrogeologico (PAI), piano stral-

cio di bacino per il settore difesa del suolo, elaborato dall’Autorità di Bacino del Fiume Po

• Il Piano Territoriale Regionale• Il Piano di Sviluppo Rurale 2007 - 2013.

2.1 Piano di tutela delle Acque e Piano di gestione del bacino idrografico

Il Programma di Tutela ed Uso delle Acque costituisce la base delle conoscenze disponibili al momento sul tema delle acque. Dal lavoro svolto è emerso un insieme di conoscenze, di obiettivi, di disposizioni normative ed orga-nizzative che tracciano un percorso per la valorizzazione e la tutela delle risorse idriche lombarde, basato sulla profonda consapevolezza che si tratta di un bene prezioso, disponibile, abbondante, soggetto a sempre crescenti pressioni. L’Atto di indirizzo prevede di raggiungere i seguenti obiettivi strategici:• promuovere l’uso razionale e sostenibile delle risorse idriche, dando priorità a quelle potabili;• assicurare acqua di qualità, in quantità adeguata al fabbisogno e a costi sostenibili per gli utenti;• recuperare e salvaguardare le caratteristiche ambientali delle fasce di pertinenza fluviale e degli ambienti acquatici;

Monte Sasso Rosso

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• incentivare le iniziative per aumentare la disponibilità nel tempo delle risorse idriche.In considerazione di questi obiettivi, l’Atto di indirizzo assegna al Programma di tutela e uso delle acque - PTUA il

compito di definire:• lo stato dei corpi idrici superficiali e sotterranei;• gli obiettivi di qualità da perseguire;• le misure necessarie per raggiungere gli obiettivi, distinte in generali e specifiche;• i corpi idrici a specifica destinazione ed i relativi obiettivi di qualità;• gli strumenti per costruire e condividere le conoscenze in materia di acque;• gli interventi e programmi per la diffusione della cultura dell’acqua;• la ripartizione di responsabilità e coordinamento tra i diversi livelli di governo delle acque.Per ciascuno di tali argomenti l’Atto di indirizzo indica le linee generali cui dovrà attenersi il PTUA nell’individuare le azioni, i tempi e le norme di attuazione.Il PTUA della Regione Lombardia è un programma di tutela integrata degli aspetti qualitativi e quantitativi dei corpi idrici “significativi” per raggiungere o mantenere gli obiettivi minimi di qualità ambientale e quelli per i corpi idrici a specifica destinazione funzionale.Il PTUA è articolato per bacini idrografici e sottobacini specifici, temi o categorie di acque e detta gli indirizzi delle future strategie di intervento e di gestione. Poiché ha valore di piano stralcio del Piani di Bacino, interviene anche sulle politiche di sviluppo territoriale e sulla programmazione degli interenti di settore. Il PTUA, inoltre:• detta gli indirizzi, le strategie di intervento e di gestione delle acque per raggiungere gli obiettivi definiti dal Pro-

gramma regionale di sviluppo della VII e VIII legislatura, dall’Autorità di Bacino del fiume Po 6 e dal Decreto legi-slativo 152/99;

• identifica i corpi idrici ai quali si applicano gli obiettivi di qualità ambientale (significativi);• individua le aree sottoposte a specifica tutela (articolate per bacini e sottobacini, specifiche problematiche o tipi

di acque);• indica gli obiettivi di qualità ambientale e quelli per i corpi idrici con specifica destinazione d’uso e specifica gli

interventi che garantiscono di raggiungerli (o di mantenerli se sono già stati raggiunti);• indica le misure di tutela qualitativa e quantitativa integrate tra loro e coordinate per bacino idrografico;• definisce il programma di misure per raggiungere gli obiettivi di qualità ambientale in funzione di come è stato

classificato (stato di qualità ambientale) ciascun corpo idrico significativo o di interesse;• definisce il programma di analisi delle caratteristiche del bacino idrografico e dell’impatto esercitato dalla attività

antropica sullo stato dei corpi idrici superficiali e sotterranei.Le tappe salienti per redigere il PTUA sono state le seguenti:• identificare gli oggetti della pianificazione (i corpi idrici significativi e le rispettive aree idrografiche) e monitorarne

gli aspetti qualitativi e quantitativi;• correlare e coordinare gli obiettivi da raggiungere;• delineare l’insieme delle misure (strutturali e non strutturali: interventi, vincoli, incentivazioni, ecc…) con cui costrui-

re degli “scenari” di intervento, vale a dire le scelte pianificatorie necessarie per raggiungere gli obiettivi previsti;• determinare gli scenari realizzabili e le scadenze temporali con cui attuarli;• condurre un’analisi economica costi-benefici per ciascuno scenario (applicando dei modelli matematici previsio-

nali);• prevedere un Piano di monitoraggio degli interventi per verificarne l’efficacia ed eventualmente modificarli, se

inefficaci.La Regione Lombardia si è avvalsa della consulenza tecnico-scientifica dei soggetti qualificati del settore e di altri consulenti esperti sui temi normativi, di riqualificazione fluviale e di Valutazione Ambientale Strategica, con il coor-dinamento dell’Istituto regionale di ricerca della Lombardia – IRER che è stato artefice principale della raccolta e valutazione dei dati di base e di tutte le attività scientifiche e tecniche legate alla redazione del PTUA.

Programma di tutela delle acque

In attuazione della legge 26/2003, nel corso del 2004 è stata affrontata l’elaborazione del Piano di gestione del bacino idrografico. In particolare nel lu-glio 2004 il Consiglio regionale ha approvato l’Atto di indirizzi per la politica di uso e tutela delle acque della Regione Lombardia, che traccia gli obiettivi strategici regionali e, verso la fine dell’anno, la Giunta ha adottato il progetto il Programma di Tutela ed Uso delle Acque, che organizza le conoscenze in termini di disponibilità, impatti e qualità delle risorse e definisce le misure per raggiungere gli obiettivi stabiliti.A questa prima adozione formale del progetto di Programma di Tutela ed Uso delle Acque ha fatto seguito una lunga fase istruttoria durante la quale:• il documento è stato pubblicizzato, consultato e pubblicato interamente sul portale www.ors.regione.lombardia.it;• sono stati organizzati incontri sul territorio e un convegno di presentazione;• le osservazioni pervenute dal febbraio al giugno 2005, in 146 note protocollate da 93 enti diversi sono state esaminate apportando le conseguenti

modifiche al Programma;• l’intero progetto così emendato è stato adottato ed inviato Autorità di bacino competenti perché esprimessero il loro al parere come previsto dal

decreto legislativo 152/99.Il Programma di Tutela ed Uso delle Acque è stato definitivamente approvato quest’anno (2006) in concomitanza con alcuni dei regolamenti attuativi previsti anche della legge regionale 26/2003 che, essendo stati concepiti in modo organico sono correlati alla normativa tecnica del Programma stesso.

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Lago di Varese - Campo dei fiori

2.2 Piano Territoriale regionale

Il PTR identifica le zone di preservazione e salvaguardia ambientale. La valorizzazione delle risorse ambientali, pae-saggistiche, naturali, ecologiche ha contestualmente l’effetto di concorrere all’ulteriore rafforzamento della compe-titività regionale e di consentire a ciascun territorio di sviluppare il proprio potenziale. Il miglioramento della qualità della vita dei cittadini necessariamente passa anche dalla costruzione e dal potenziamento di un territorio di qualità, anche dal punto di vista paesistico, ambientale e per la fruizione sociale degli spazi. Tra gli spazi legati alla presenza di corpi idrici il Piano ha individuato alcuni punti di forza che funzionano da motore per lo sviluppo di determinate aree costituendone il carattere essenziale, in particolare:• l’area perifluviale Po• i ghiacciai• i grandi laghi• i navigli, canali di bonifica e rete irrigua.

Area perifluviale del Po Il grande fiume della pianura lombarda ed il territorio che ad esso fa direttamente riferimento costituiscono elementi di identità e insieme fattori determinanti per lo sviluppo competitivo della Lombardia. In quest’ambito territoriale le azioni del governo regionale si inseriscono in un più ampio contesto di riferimento interregionale, anche attraverso l’efficace attuazione della pianificazione di bacino ed in coerenza con gli orientamenti recentemente concordati a livello europeo nella proposta di direttiva per la valutazione e la gestione delle alluvioni. Dei 100.000 ettari rientranti nelle fasce A e B del fiume Po definite dal Piano per l’Assetto Idrogeologico (PAI), ben il 52% è localizzato in Lom-bardia; in questi territori la tendenza alla trasformazione vede una riduzione delle coperture vegetali naturali, con aumento delle aree destinate all’uso antropico e all’agricoltura in particolare, la diminuzione delle colture arborate e la prevalenza dei seminativi monoculturali, la riduzione delle superfici coperte dall’acqua, con abbassamento dell’alveo e allontanamento dell’acqua da lanche e golene. Risultato di queste trasformazioni è la banalizzazione del paesaggio planiziale, espressione visibile di un impoverimento naturalistico e di biodi-versità. La competitività di questi territori è basata sull’equilibrio tra produttività agricola, qualità dell’ambiente e fruizione antropica e dipende direttamen-te dalla disponibilità della risorsa idrica e dal rischio di esondabilità. In relazione a quest’ultimo aspetto, nel corso degli anni la filosofia di realizzazione delle opere di difesa, in un primo tempo orientata alla rea-lizzazione di argini contenitivi, ha dato sempre maggior importanza ad interventi che restituiscano al fiume spazio e respiro, consentendo la laminazione delle acque e l’accumulo temporaneo dell’onda di piena, mentre sono sempre più frequentemente impiegate tecniche di ingegneria naturalistica per la realizzazione delle opere di contenimento. Il mantenimento e il recupero di uno standard di naturalità per gli ambiti fluviali anche in territori insediati non interessati da aree protette è da perseguire non solo per la conservazione delle emergenze naturalistiche residue, ma anche per un’armoniosa integrazione tra gli elementi del paesaggio fluviale, per la sua fruizione, per il coinvolgimento diretto degli agricoltori ed il riconoscimento del loro ruolo sociale, e si pone come obbiettivo il mantenimento di una identità collettiva del territorio fluviale. A questi obiettivi è improntato il “Protocollo d’intesa per la tutela e valorizzazione del territorio e la promozione della sicurezza delle popolazio-ni della valle del Po” del maggio 2005, promosso dall’Autorità di Bacino del Fiume Po e dalle province rivierasche, per la definizione di azioni strategiche riguardanti i temi della sicurezza, manutenzione, rinaturazione, agricoltura eco-compatibile, valutazione ecologica e fasce tampone, sviluppo locale, educazione ambientale e navigazione. Anche il programma di gestione dei sedimenti del Po è stato predisposto dall’Autorità di Bacino con l’intento di dotarsi di uno strumento di ge-stione per regolare la distribuzione dei sedimenti lungo l’alveo, prevedendo un programma specifico che, nell’ottica della rinaturazione del corso d’acqua e delle aree perifluviali, favorisca una migliore distribuzione dei sedimenti, andando a colmare il forte deficit di ripascimento di molti tratti lombardi.

Le aree del PTR (1)

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Le aree del PTR (2)

I ghiacciai Il ghiacciaio è uno degli elementi vivi della montagna, la sua storia è fatta di avanzate e ritiri, di laghi e di nuove foreste che ricoprono le morene abbandonate, di valichi alpini; fattori che si sono intrecciati con la vita delle popolazioni delle montagne e delle pianure subalpine. I ghiacciai rientrano nella unità tipologica del paesaggio glaciale dove la caratterizzazione è la capacità di modellare le valli e i versanti, vi si distin-guono fenomeni epiglaciali, che avvengono sulla superficie stessa del ghiacciaio (lingue, morene), e fenomeni classici d’erosione, provocati dal movimento del ghiaccio verso la valle cui appartengono, ad esempio, le valli glaciali con le relative spalle, i circhi e altri fenomeni minori. Sono una caratterizzazione del paesaggio alpino e un elemento in forte pericolo a causa dei cambiamenti climatici in atto a livello globale. Essi rappresentano una risorsa unica per l’equilibrio ambientale del sistema di alta montagna, all’interno del sistema idrico e del ciclo delle acque e il loro degrado è una potenziale fonte di instabilità e di rischio per la sicurezza. L’alto grado di naturalità delle aree glaciali costituisce una condizione eccezionale sul territorio che impone una generale intangibilità e salvaguar-dia delle formazioni glaciali, della morfologia e dell’idrografia, ma anche della fauna e della flora interessate o che ne dipendono. I ghiacciai sono ambiti di forte idealizzazione e mitizzazione, particolarmente nella fase storica di esplorazione e di scoperta alpinistica, pertanto anche la memoria, il ricordo, le testimonianze fisiche o trascritte sono dati della storia di questi luoghi che vanno salvaguardati e valorizzati, anche come forma di rispetto e di corretto comportamento dell’azione dell’uomo nei confronti della montagna. La fruizione escursionistica, alpinistica e turistica va orientata verso la difesa delle condizioni di naturalità; l’apertura di nuovi impianti sciistici in-vernali e di percorsi escursionistici deve essere attentamente valutata e comunque preclusa nelle zone di massima espressione della naturalità. L’utilizzo e la fruizione delle aree montane deve considerare la sostenibilità dell’intero sistema garantendo una particolare attenzione ad una risorsa unica e identitaria per il paesaggio lombardo.

I grandi laghi di Lombardia I grandi laghi insubrici (Maggiore, Como e Lecco, Lugano, Iseo, Idro, Garda) e i laghi di Mantova rappresentano una risorsa paesaggistica e am-bientale di altissimo valore e di elevata notorietà che qualifica in modo unico il territorio lombardo. Questi ambiti comprendono in sé paesaggi fra i più celebrati, descritti e raffigurati della regione, anche solo per le fonti letterarie e le descrizioni dei viaggiatori del Grand Tour e delle più famose guide turistiche, e da tempo sono oggetto di attenzione internazionale. I laghi Insubrici, contor-nati da scenari alpini di grande suggestione e favoriti da un clima mite che ne determina le particolari formazioni vegetazionali e colturali, anche per la relativa vicinanza ai maggiori centri della pianura, sono stati storicamente sede di residenze prestigiose che ne hanno arricchito le rive, con ville di pregevole architettura dotate di grandi parchi e giardini il cui affascinante insieme è particolarmente percepibile lungo i percorsi della navigazione lacuale. I laghi di Mantova rappresentano un’emergenza naturalistica e paesaggistica unica nel contesto della pianura lombarda e unitamente alla città di Mantova rappresentano lo stretto connubio tra acqua, agricoltura e insediamenti che storicamente ha caratterizzato il mantovano e tante parti della Pianura Irrigua. Nei più recenti processi di trasformazione il fenomeno significativo che ha interessato le aree lacuali è dovuto all’edificazione di carattere turistico e di villeggiatura e al potenziamento dei servizi correlati e infrastrutture lungo le sponde. La particolare configurazione dei diversi laghi e il loro equilibrio ambientale hanno risentito negli ultimi anni degli effetti indotti sia dalla pressione insediativa e turistica sia dai mutamenti climatici e in particolare dalle ricorrenti emergenze idriche. Si pone quindi la necessità di una tutela attiva volta a definire strategie integrate di sviluppo sostenibile e durevole di questi territori che tengano conto, sia delle azioni possibili per garantire la qualità e quantità delle acque, sia della individuazione di chiari obiettivi di valorizzazione volti a non disperdere l’incredibile patrimonio culturale e naturale e il sistema di relazioni simboliche e percettive che ne ha determinato nei secoli la specifica, unica ed irripetibile configurazione paesaggistica che li ha resi noti in tutto il mondo contribuendo in modo rilevante a definire un’immagine di qualità della Lombardia. Per la salvaguardia ambientale e paesaggistica si impone la necessità di un’azione coordinata tra i diversi enti, in particolare in riferimento ai terri-tori dei comuni rivieraschi, al fine di valorizzare questi ambiti senza pregiudicarne gli inestimabili valori ambientali, paesaggistici e culturali. Questo richiede di avviare, innanzitutto, un’operazione di attenta verifica della sostenibilità delle previsioni di sviluppo in essere al fine di assicurare il coordinamento delle pianificazioni locali sulla base delle finalità e priorità di tutela e valorizzazione paesaggistica individuate a livello regionale.

I navigli, canali di bonifica e rete irriguaIl sistema dei Navigli e dei canali costituisce una delle caratteristiche peculiari e un riferimento identitario della Lombardia. Queste opere idrauliche di grande tecnica e sapienza hanno storicamente strutturato i nostri insediamenti e l’organizzazione rurale della pianura lombarda, garantendo l’acqua per l’irrigazione e il trasporto, con un ruolo determinante sul sistema economico e sociale. Attentamente progettati e realizzati con cura, i principali navigli lombardi sono diventati riferimento non solo per le attività produttive e agricole ma anche per la localizzazione di residenze nobiliari, punto di forza di molti centri storici da essi attraversati o lambiti e più recentemente grande risorsa sulla quale appoggiare itinerari di fruizione del territorio lombardo. La salvaguardia e valorizzazione della rete dei canali e dei navigli e dei singoli manufatti idraulici che li connotano ma anche dei contesti naturali, rurali e dei nuclei e insediamenti storici da essi attraversati diviene azione strategica ai fini di una tutela attiva del paesaggio e dei beni stori-co-culturali, della promozione di attività turistiche sostenibili e in alcuni casi della riqualificazione paesaggistica di vaste porzioni della pianura lombarda. Appare a tal fine importante, soprattutto in riferimento ai principali navigli, una verifica dei diversi strumenti di tutela e salvaguardia ambientale e paesaggistica in essere per valutarne le eventuali esigenze di integrazione e assicurare un migliore coordinamento nella gestione locale.

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Risaie nel pavese

2.3 Piano di sviluppo rurale

La strategia del periodo di programmazione 2000-2006 si inseriva in uno scenario evolutivo nel quale il settore agri-colo lombardo era sottoposto ad una forte pressione competitiva, trasversale ad impatti sulle dinamiche produttive, economiche e sociali. Il Programma 2007-2013 delinea le linee per lo sviluppo della competitività del sistema rurale ed il supporto ad un settore in cui gli aspetti sociali ed ambientali vengono considerati altrettanto importanti di quelli produttivi. Le scelte strategiche del Programma tengono conto delle esigenze emerse nelle aree rurali regionali e sono fina-lizzate ad accelerare il processo di sviluppo sostenibile già in atto nell’agricoltura regionale e a ridurre il divario tra diverse aree rurali in termini di attrattività economica e residenziale e di sviluppo del capitale umano e sociale. La programmazione regionale, in ottemperanza al Reg. (CE) 1698/2005, individua 4 assi di intervento:• Asse 1: Accrescere la competitività del settore agricolo e forestale sostenendo la ristrutturazione, lo sviluppo e

l’innovazione,• Asse 2: Valorizzare l’ambiente e lo spazio naturale sostenendo la gestione del territorio,• Asse 3: Migliorare la qualità della vita e promuovere la diversificazione delle attività economiche,• Asse 4: Accrescere l’efficacia e l’efficienza della governance locale e costruire la capacità locale di occupazione

e diversificazione.Perseguire questi assi d’azione richiede un utilizzo più razionale della risorsa idrica, finalizzato a ridurre sia la com-petitività nell’uso di questa risorsa con altri settori compreso quello dell’uso civile sia il costo di produzione delle principali filiere agricole regionali ed è finalizzata anche ad una possibile diversificazione colturale e innovazione di processo. Si tratta di interventi di sistema che riguardano sia le grandi reti di distribuzione consortile sia i singoli impianti delle imprese agricole (Asse 1) e trova immediato riscontro e complementarietà con i fabbisogni emersi per l’Asse 2 di miglioramento della qualità delle acque da parte del sistema agricolo sia con azioni attive di fitodepura-zione sia attraverso la riduzione del potenziale inquinante.Le risorse 2007/2013 sono pari a circa 900 milioni di Euro suddivise tra gli assi. Gli interventi legati alla risorsa idrica sono finanziabili in tutto il territorio regionale.

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3. La costruzione del partenariato

La nozione di partenariato è ormai talmente familiare da non richiedere, apparentemente, alcuna spiegazione. Ma il fatto stesso che essa ricorra in una molteplicità di contesti (programmazione negoziata o concertata, politiche contrattualizzate, “metodo comunitario” ecc.) e non sempre in modo appropriato, suggerisce di tornare a chiedersi se e quando un processo partenariale sia la strategia più idonea a risolvere un determinato problema e quale sia, eventualmente, il “disegno” partenariale più opportuno ed efficiente. Poiché scopo di queste pagine è illustrare

Lo scenario tipico del partenariato è quello di una situazione in cui la soluzione di un problema è contesa da una pluralità di soggetti posti su un piano di parità o comunque di non subordinazione gerarchica. In ambito pubblico ciò che più ha influito sul formarsi di questo genere di scenari è il progressivo declino del tradizionale modello verticalizzato, secondo cui la decisione e l’attuazione di un progetto procedono in modo diretto, lineare ed esclusivo da un singolo soggetto, una singola amministrazione pubblica detentrice al tempo stesso delle risorse e della competenza ad agire. I crescenti livelli di autonomia delle istituzioni locali, non meno che la crescente “crisi fiscale dello Stato”, hanno condotto a nuove prassi più o meno codificate ove le politiche locali sono determinate con il contributo di una molteplicità di soggetti portatori di interessi e di risorse, su un piano di formale o sostanziale parità e attraverso processi negoziali miranti ad assumere obbligazioni di natura pattizia.Tutte queste, da tempo catalogate come “buone prassi”, sono ormai largamente codificate in una pluralità di istituti procedimentali noti come “programmazione negoziata”. Ma il partenariato non si esaurisce nel lancio di una programmazione negoziata, anzi quest’ultima ne rappresenta solo una delle eventualità. La casistica più comune di ricorso al partenariato, forse la più familiare, riguarda la pura e semplice possibilità che l’obiettivo individuato possa essere raggiunto, anche in forma minimale. E’ il caso in cui negoziare è indispensabile per raccogliere tutti soggetti che non possono essere esclusi dalla realizzazione del progetto, in quanto titolari di poteri/competenze esercitabili in modo esclusivo, con il fine dunque di renderne l’azio-ne coerente e convergente, pena il fallimento del progetto stesso o comunque il suo depotenziamento. Si tratta di una concertazione certamente virtuosa ma anche “obbligata”. In questa casistica le parti pubbliche sono sostanzialmente date, sono identificabili in base alle competenze assegnate dall’ordinamento e sono necessariamente in gioco nella soluzione del problema. Le ragioni di questo genere di partenariato sono evidenti e non richiedono particolari spiegazioni. Si tratta di dare efficienza a un processo anche amministrativo di norma complesso, caratterizzato da una compenetrazione di ruoli istituzionali, in cui spesso la “soluzione” è già delineata e proposta dal soggetto promotore. Ove l’enfasi si ponga sugli aspetti esecutivi è chiaro che siamo più in una dimensione di coordinamento che di vero partenariato, un confronto “a posteriori” che non può nascondere del tutto una prevalente, pur legittima, vocazione strumentale.Ma già all’interno di questa casistica può darsi la necessità o l’opportunità di allargare la partnership oltre i soggetti “obbligati” e ciò per almeno due ragioni.La prima ragione concerne le risorse. La seconda ragione riguarda invece la “qualità” del risultato ed è una eventualità che si discosta dalla pura interpretazione strumentale del processo. E’ infatti possibile che il novero delle parti coinvolte venga allargato a soggetti che, pur indifferenti all’attuazione puramente istituzionale del progetto, possono però contribuire ad elevare la qualità, le prestazioni del progetto stesso. Questa concezione del processo è quella che più ci avvicina allo spirito del partenariato e alle ragioni più interessanti da porre alla base del suo costituirsi. Lo “spirito” cui alludiamo consiste nella convinzione che la soluzione ottimale di un problema complesso di politica territoriale, sia esso ambientale o socio-economico, non possa che scaturire da una pluralità di punti di vista, ognuno dei quali portatore di conoscenze e sensibilità specifiche, e non soltanto o soprattutto di interessi parziali da comporre. Scopo del partenariato non dunque è solo quello ottenere consenso (o ridurre il dissenso) ma, con ciò, anche quello di arricchire la qualità delle strategie risolutive: chi inizia a contribuire, ad esprimere valutazioni di merito ha già abbandonato atteggiamenti rivendicativi, fatto non irrilevante in un partenariato.

Perseguire questa linea può richiedere che il partenariato, cioè la partecipazione di una pluralità di soggetti, intervenga fin dall’inizio del processo, in fase di analisi del problema e di progettazione della soluzione e delle strategie. Questo livello di condivisione si traduce oltretutto in un impor-tante fattore di integrazione che può anche giungere a depotenziare i potenziali conflitti di interesse.Quando si pone al centro la “qualità” della soluzione, la stessa identificazione dei partner non è sempre “data” a priori. Perciò una buona prassi locale non si limiterà a raccogliere attorno a un tavolo i soggetti che già si pongono o propongono in qualità di partecipanti ma potrà spingersi a favorire la nascita di “nuovi” interlocutori ove si ravvisi un problema o un interesse latente e importante ma privo di rappresentanza adeguata (perciò anche foriero di futuri potenziali conflitti). Si tratta infine di trovare anche il giusto equilibrio tra un approccio velatamente tecnocratico che propone ai partner di condividere solo in fase pressoché attuativa obiettivi, strategie e soluzioni già date e un approccio pienamente partecipato, disposto a sostenere più elevati costi di transazione in nome di soluzioni qualitativamente ottimali.Quest’ultima è una questione rilevante. I costi diretti e indiretti dei processi di negoziazione e tra questi quelli riconducibili all’inevitabile rallenta-mento delle decisioni, sono spesso un deterrente a sfavore del partenariato. Riteniamo però che in un processo ben condotto, ove cioè l’eser-cizio del partenariato non sia ridotto a un rito burocratico, tutti i costi anticipati nelle procedure partecipate sono poi ampiamente ripagati sia in fase attuativa (fluidità e integrazione delle azioni, affidabilità del cronoprogramma, abbattimento dei rischi) sia in termini di qualità progettuale e adeguatezza della soluzione.Il partenariato è invece qualcosa che nasce prima della sanzione di un accordo operativo, è semmai il fattore chiave all’origine di un accordo (pur potendo persistere nella sua esecuzione), cioè in quel complesso processo di analisi e valutazione ex ante da cui, peraltro, dovrebbe proprio maturare la decisione di stipulare o meno un ben definito tipo di accordo operativo.Ne concludiamo che il partenariato, malgrado la confidenza di cui la nozione sembra godere nell’ambito della pubblica amministrazione, nascon-de processi, motivazioni e strategie complesse; che costruire con successo un partenariato richiede sempre una laboriosa analisi di contesto. Che il partenariato è una forma di aggregazione per obiettivi che può sussistere in forma libera e creativa, come anche costituire coalizioni cogenti e fortemente integrate: non esiste perciò un “patenariato standard” con regole di composizione e funzionamento date indipendentemente da un contesto specifico e dalla funzione che in esso la partecipazione può assumere. Che, infine, gli istituti di programmazione negoziata presuppon-gono il partenariato, se ne avvalgono e avvantaggiano, ma non possono simularlo o ad esso sostituirsi con semplice atto amministrativo.

Il partenariato

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l’approccio alle strategie territoriali di tutela e valorizzazione delle risorse idriche e il ruolo che in esse sta già svol-gendo o potrà svolgere il partenariato, ci limiteremo ad alcune osservazioni di metodo, utili piuttosto a illuminare le potenzialità dell’esperienza in corso.Il partenariato, sotto forma per esempio di “patto” assume la configurazione di un laboratorio permanente la cui continuità dipende dalla vivacità del dibattito, dall’interesse per i problemi affrontati, dalla fiducia nella produttività del metodo “partecipato”. In questo senso non è necessario che un processo partenariale come per esempio quello del Patto per l’Acqua confluisca infine in un qualche istituto di programmazione negoziata o da questo sia sancito. Un “patto per l’acqua” potrà semmai dare origine a una serie di accordi mirati, proiezione programmatica e soprat-tutto esecutiva delle strategie che nel patto costantemente maturano e si evolvono. E infatti il Patto per l’acqua della Lombardia prende le mosse in parallelo a una corposa indagine preliminare che ha prodotto uno strumento analitico e gestionale (il Programma di Tutela e Uso delle Acque) finalizzato a regolare e armonizzare i differenti usi della risorsa idrica (civile, industriale, irriguo, produzione di energia). Il Patto prende le mosse dalla constatazione che le competenze in materia di gestione e controllo delle acque sono distribuite tra molteplici soggetti istituzionali o para-istituzionali, anche reciprocamente indipendenti. Il Patto si configura allora come un percorso comune attraverso il quale, a regia regionale, i principali soggetti competenti in materia di acque individuano obiettivi comuni, prassi esemplari e interventi prioritari da attuare con tempi e modalità definite: il piano di azione che ne scaturisce è l’oggetto del patto. Differente appare invece la vocazione dei contratti di fiume, la cui genesi sembra naturalmente spingere questa esperienza a trasformarsi in accordi di programmazione negoziata e di profilo immediatamente operativo (ridurre l’inquinamento delle acque e il rischio idraulico, riqualificare i sistemi ambientali afferenti le aste fluviali, avvalendo-si sia di interventi di infrastrutturazione sia della regolazione delle attività produttive e insediative). Come si vedrà più avanti, i contratti di fiume stipulati in Lombardia si propongono direttamente come strumento prioritario per la programmazione, il finanziamento e l’attuazione degli interventi su bacini fluviali, e vengono via via istituzionalizzati in Accordi Quadro di sviluppo Territoriale (l.r. 2/2003) con l’adesione di tutti gli enti locali (territoriali) direttamente interessati alla tutela o al risanamento degli ambienti fluviali.

Adda a Brivio

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3.1 Contratti di fiume

I “Contratti di fiume” si configurano come strumenti di programmazione negoziata interrelati a processi di pianificazione strategica per la riqualificazione dei bacini fluviali. L’aggettivo “strategico” sta ad indicare un percorso di co-pianifica-zione in cui la metodologia ed il percorso stesso sono condivisi in itinere con tutti gli attori. Tali processi sono infatti finalizzati alla realizzazione di scenari di sviluppo durevole dei bacini elaborati in modo partecipato, affinché siano am-piamente condivisi.La “riqualificazione di bacino” è intesa nella sua accezione più ampia e riguarda nella loro interezza gli aspetti paesistico-ambientali, secondo quanto stabilito dalla legge nazionale di recepimento della Convenzione europea del paesaggio. Il Contratto di Fiume è quindi la sottoscrizione di un accordo che permette di adottare un sistema di regole in cui i criteri di utilità pubblica, rendimento economico, valore sociale, sostenibilità ambientale intervengono in modo prioritario nella ricerca di soluzioni efficaci per la riqualificazione di un bacino fluviale.Gli elementi che entrano in gioco in questo accordo sono:• una comunità ( enti locali, ato, regione, associazioni, imprese, cittadini, ecc.),• un territorio (suoli, acque, insediamenti, aria, ecc.), • un’insieme di politiche e di progetti a diverse scale/livelli.Questi elementi, da sempre in relazione tra loro, devono essere orientati verso obiettivi condivisi di riqualificazione attra-verso adeguati processi partecipativi, che permettono di attuare il passaggio da politiche di tutela dell’ambiente a più ampie politiche di “gestione delle risorse paesistico-ambientali”, agendo in molteplici settori:• protezione e tutela degli ambienti naturali,• tutela delle acque,• difesa del suolo,• protezione del rischio idraulico,• tutela delle bellezze naturali.Per raggiungere questi obiettivi il Contratto di Fiume si sviluppa attraverso la definizione di:1) uno scenario strategico condiviso, ossia una visione strategica di medio-lungo termine, ampiamente condivisa, dello sviluppo locale che si intende perseguire (inteso come modello socio-economico, come paesaggio in senso lato, come qualita’ di vita, …) che comprende:

- una rappresentazione visiva (cartografie)- un insieme integrato di politiche da sviluppare in sinergia tra loro;

2) uno strumento di valutazione delle politiche e della loro efficacia e coerenza con gli obiettivi;3) una programmazione di bacino che indichi interventi e regole condivisi e integrati da attuare, in tempi definiti, dai soggetti interessati.

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Fiume Po

Lago d’Iseo

La caratteristica innovativa di tali processi è la scelta di andare nella direzione della sussidiarietà orizzontale: la differen-ziazione dei sistemi territoriali richiede un sistema di governance flessibile, in grado di comporre a livello locale i conflitti e gli interessi mediante processi negoziali aderenti alle vocazioni territoriali e capaci di “fare sistema” facendo dialogare i diversi strumenti di programmazione degli interventi socio-economici con quelli della pianificazione territoriale.Accanto a contratti di fiume già sottoscritti, il “Contratto di Fiume Olona, Bozzente e Lura” e il “Contratto di Fiume Se-veso”, e a quello per il Lambro, per il quale è stato sottoscritto il Protocollo Intesa “Verso il Contratto di fiume Lambro”, sono in corso nel territorio regionale, diverse esperienze in vari sottobacini fluviali che, pur essendo differenziate, tendo-no tutte a svilupparsi verso la sottoscrizione di accordi di programmazione negoziata.Con questi accordi volontari i soggetti sottoscrittori condividono il principio che solo attraverso una sinergica e forte azione di tutti i portatori di interesse, pubblici e privati, si possa invertire la tendenza al degrado territoriale/ambientale dei bacini fluviali e perseguire adeguatamente gli obiettivi di sviluppo sostenibile. A tal fine si impegnano, nel rispetto delle competenze di ciascuno, ad operare in un quadro di forte valorizzazione del principio di sussidiarietà attivando tutti gli strumenti partenariali utili al pieno raggiungimento degli obiettivi condivisi.

3.2 Patto per l’acqua

Nel tentativo di superare la cronica situazione di emergenza che la carenza idrica che si è riproposta negli ultimi anni e passare ad una gestione consapevole ed integrata delle sue disponibilità idriche, la Regione sta lavorando per predi-sporre un Programma d’Azione, con il contributo di tutti gli stakeholders, che consenta di affrontare la gestione delle acque in futuro.Il Programma dovrà prevedere azioni sviluppate da attori diversi, con risorse differenziate, ma miranti al raggiungimento di obbiettivi comuni. Per questo l’iniziativa richiama il carattere di un Patto per l’acqua che si caratterizzi per gli aspetti di solidarietà e condivisione di intenti.Il principio prioritario di questo patto è che la tutela della risorsa idrica e dell’ambiente connesso rappresenta il principale obbiettivo di tutti, poiché l’acqua rappresenta un bene pubblico inalienabile, il cui uso, non può mai essere disgiunto dalle finalità di interesse generale. Secondariamente vale il principio di una equa ripartizione della periodica disponibilità della risorsa idrica, orientando il sistema degli usi ad accettare parzializzazioni quantitative e/o qualitative che distribuiscano equamente anche i disagi e individuando misure di compensazione dei danni subiti.Sulla base di questi due principi si affrontano gli effetti della riduzione della disponibilità prodotto dai cambiamenti cli-matici in atto, secondo cinque principali linee strategiche:• sviluppo di una nuova coscienza del valore del bene acqua e condivisione delle informazioni e del valore,• regolazione condivisa delle capacità d’invaso esistenti, • efficienza dei sistemi di captazione e distribuzione delle acque,• misure di riduzione della richiesta nei momenti di punta (massima richiesta o minima disponibilità)• nuove possibilità di invaso e potenziamento della distribuzione.

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Al servizio del cittadino4

La conservazione dell’ambiente

1. Le attese dei cittadini

In corrispondenza di un miglioramento delle condizioni economiche e sociali, a partire dagli anni ’80 si è assistito ad una ricerca sempre più consistente di spazi da destinare al tempo libero, al relax e ad una domanda crescente di qualità degli ambienti sia naturali che urbani.La Regione Lombardia è stata la prima ad istituire un sistema di aree protette di diverso tipo, con l’intento di costituire una rete di tutele ambientali sviluppata su tutto il territorio (Fig. 4.1).Alla costituzione di una rete effettiva di aree protette, non sempre però è corrisposto un reale sforzo di miglioramento ambientale. Le forti pressioni legate alla presenza antropica e livelli di decisione differen-ziati hanno sovraccaricato il territorio e creato situazioni di criticità solo in parte arginate dagli sforzi degli enti di tutela ambientale.Nel caso delle acque in particolare le questioni legate alla organizzazione di servizi realmente efficienti, hanno ritardato notevolmente la realizzazione di infrastrutture importanti per il raggiungimento ed il man-tenimento di livelli qualitativi accettabili per i corpi idrici recettori. La realizzazione di impianti adeguata-mente dimensionati, con trattamenti opportuni, collocati nelle situazioni ambientali più opportune richie-de infatti un’ampia visione delle problematica. Questa può essere ottenuta solo alla scala degli Ambiti Territoriali Ottimali, superando la visione comunale nella quale gli impianti sono spesso troppo piccoli, collocati in posizione marginale rispetto ai centri abitati e mai in posizione opportuna rispetto al reticolo idrico, con trattamenti poco incisivi per la qualità delle acque scaricate a valle, nel reticolo idrico.

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Sermide - impianti di sollevamento per bonifica

Le aree protette in Lombardia

La Regione Lombardia è stata la prima in Italia ad istituire un assessorato all’Ecologia nel 1970; la sua attività legislativa in materia di parchi e riserve è iniziata nel 1973, con l.r. 58, quando sono stati istituiti i primi Parchi: Ticino (1974), Nord Milano (1975), Groane (1976), Colli di Bergamo (1977).Con la legge regionale n. 86 del 1983, è poi stato istituito un “Sistema delle Aree Protette Lombarde”, che comprende 24 parchi regionali, distinti per tipologia: fluviali, montani, di cintura metropolitana, agricoli e forestali; 66 parchi di interesse sovracomunale , 64 riserve naturali, 29 monumenti naturali, questa “rete” copre oltre 450.000 ettari di territorio del-la Lombardia, e rappresenta un patrimonio inestimabile di ricchezze naturali, storiche e culturali, non solo da tutelare, ma da promuovere e comunicare, in quanto bene di ogni cittadino (Fig. 4.1).Nell’ambito del sistema sono stati individuati numerosi habitat e specie di interesse co-munitario, per la maggior parte ricadenti in aree a parco o a riserva naturale. Il sistema delle Aree protette lombarde si presenta quindi come una rete, nella quale i nuclei fun-zionali sono rappresentati dai Parchi regionali e dalle Riserve naturali, mentre le aree di connessione sono state costituite anche attraverso l’istituzione di Parchi Locali di Interesse Sovracomunale (PLIS).Questi PLIS sono un’esperienza tipicamente lombarda che riveste una grande importanza strategica nella politica di tutela e di riqualificazione del territorio; infatti, si inquadrano come elementi di connessione e integrazione tra il sistema del verde urbano e quello delle aree protette.Si può ritenere che, tra tutti i sistemi di parchi regionali, quello lombardo manifesti la miglior potenzialità, sia per la sua propensione a mescolare i parchi a città e campagne, sperimen-tando nuove forme di svilupposostenibile, sia per la concezione reticolare, in cui i parchi, costituiscono la maglia primaria e, infine, per la molteplicità dei modelli di gestione, aperti a diverse esperienze con gli enti e le collettività locali, contribuendo così a rafforzare e a integrare l’identità culturale.La gestione delle Aree protette è affidata in via prioritaria a consorzi di comuni ricompresi nel territorio protetto, a comunità montane o a province, per valorizzare le amministrazioni locali e rendere le scelte gestionali più vicine alle esigenze delle popolazioni residenti.

Fig. 4.1

2. Le azioni e le verifiche

Con l’emanazione del D.lgs. 152/99 e della direttiva quadro sulle acque 2000/60/CE, poi re-cepita dal D.lgs. 152/06, è stato fortemente modificato il quadro legislativo di riferimento per le po-litiche di tutela e di uso sostenibile delle risorse idriche. La gestione delle risorse idriche viene infatti ri-ferita all’unità territoriale costituita dal bacino idrografico. La risoluzione delle criticità ine-renti i corpi idrici richiede quindi una visione e una valutazione del-le problematiche integrata, estesa al bacino idrografico, che assume pertanto centralità nella definizio-ne delle politiche e delle azioni di uso e tutela delle acque. Pertanto, la programmazione regionale pre-vede oltre ad una serie di misure aventi applicazione su tutto il ter-ritorio regionale e necessarie per attuare la normativa comunitaria in materia di protezione delle ac-que, di affiancare una serie di mi-sure messe in atto per il raggiun-

Le aree protette in Lombardia

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gimento degli obiettivi di qualità ambientale e per specifica destinazione per i corpi idrici superficiali e sotterranei.Tali misure devono tenere conto: dell’attuale stato qualitativo dei corpi idrici, delle loro specificità am-bientali, delle previsioni di sviluppo futuro, e permet-tono di delineare scenari e proposte operative per il raggiungimento degli obiettivi di qualità prefissati. Sulla base di queste premesse le misure recente-mente assunte dalla regione prevedono: la designa-zione delle aree sensibili e dei relativi bacini drenanti; la designazione delle zone vulnerabili; la determina-zione del deflusso minimo vitale per i corsi d’acqua superficiali; l’individuazione delle aree di salvaguar-dia delle acque destinate al consumo umano; il con-trollo dell’inquinamento causato dalle sostanze pe-ricolose; il risparmio e il riuso dell’acqua; il recupero e la tutela dell’ecosistema acquatico; incremento delle disponibilità idriche nel tempo ed in misure specifiche di bacino: le azioni aggiuntive per il rag-giungimento degli obiettivi di qualità ambientale per i corpi idrici significativi e degli obiettivi di qualità per le acque a specifica destinazione.Il monitoraggio dell’evoluzione qualitativa dei corpi idrici rappresenta il principale strumento di verifica dell’efficacia reale delle misure previste, oltre che della loro effettiva implementazione. E’ per questo, che anche in adempimento alle direttive europee in materia di acque, si ricerca costantemente un sistema di monitoraggio complessivo della qualità del corso d’acqua che tenga conto non solo degli aspetti chimico-fisici della matrice acquosa, ma an-che degli aspetti biologici e idromorfologici del cor-so d’acqua. Oltre al monitoraggio della qualità complessiva dei corpi idrici deve comunque anche essere effettuata la verifica della conformità del rispetto dei limiti san-citi dalle autorizzazioni e dai diritti di prelievo, che rappresentano il contributo di ogni singolo cittadino (possessore di uno scarico o di una derivazione) alla qualità buona o scadente del corpo idrico.

3. Gli obbiettivi e i tempi

Sono definiti gli obiettivi ambientali per ogni tipologia di corpo idrico che costituiscono gli obiettivi dei piani di baci-no da conseguire a scadenze prestabilite: tutti i corpi idrici devono raggiungere un buono stato ambientale entro il 2015. A tal fine è stato inserito il principio del tendenziale recupero dei costi dei servizi idrici, attivando l’analisi eco-nomica degli usi della risorsa idrica e riprendendo il principio “chi inquina paga”. Secondo la direttiva europea, entro il 2010 le politiche dei prezzi dell’acqua dovranno incentivare l’utente ad usare le risorse idriche, attivando misure di risparmio e di riuso e contribuendo così alla realizzazione degli obiettivi ambientali e adeguare il recupero dei costi dei servizi idrici a carico dei vari settori di impiego dell’acqua, suddivisi almeno in industria, famiglie e agricoltura sulla base di un’analisi economica.L’impostazione dei piani di bacino e di distretto e dei programmi di misure per conseguire gli obiettivi ambientali tende ad una sempre maggiore integrazione sia a livello nazionale sia comunitario delle politiche ambientali di settore per garantire sul lungo periodo una gestione sostenibile delle risorse idriche e una tutela complessiva degli ecosistemi associati con tutte le tipologie di corpi idrici. Inoltre gli obbiettivi di qualità da perseguire per i corpi idrici devono coordinare esigenze derivanti da una pluralità di indirizzi formulati a scala diversa, in una visione organica e integrata: le scelte strategiche della Regione, gli obbiettivi previsti in linea generale dalla normativa europea e nazionale, nonché gli obbiettivi definiti collegialmente, a scala di

Naviglio Pavese

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distretto idrografico. Attualmente gli obbiettivi previsti ed il monitoraggio praticato sono, come descritto, quelli che seguono i criteri stabiliti dal D.lgs. 152/99, in attesa di una modalità di monitoraggio e classificazione condivisa a scala nazionale ed europea ai sensi della Direttiva quadro 60/2000/CE e del D.lgs. 152/06.Il monitoraggio in atto ha comunque permesso di procedere alla classificazione dello stato ecologico o ambientale. Inoltre sono state valutate le pressioni antropiche (carichi e utilizzazioni) e le fondamentali criticità attinenti gli indicati corpi idrici. Il confronto di questi dati con gli obbiettivi assunti permette di valutare l’intensità delle misure da assu-mere e l’eventuale riposizionamento degli obbiettivi, sempre consentito in presenza di motivazioni forti.In corsi d’acqua sui quali le pressioni antropiche siano molto elevate, si evidenzia la permanenza, a fronte di alcuni miglioramenti locali, di numerosi tratti dei corsi d’acqua del bacino in condizioni limite anche a fronte di un comple-tamento degli interventi infrastrutturali previsti e dell’utilizzo delle migliori tecnologie disponibili nel settore depura-tivo, come nel caso dei Fiumi Lambro e Olona. Solo la dislocazione degli scarichi degli impianti più importanti, che sono in numero consistente nel bacino, sembra poter comportare un miglioramento consistente delle condizioni qualitative dei corsi d’acqua nel complesso.Nel caso dei laghi, soprattutto se di grandi dimensioni l’individuazione complessa dei parametri descrittivi di uno stato ecologico o ambientale e soprattutto la singolarità di ogni singolo bacino nei tempi di reazione alle singole azioni rende particolarmente approssimativa la possibilità di valutare la distanza dall’obbiettivo e i tempi necessari al suo raggiungimento per ogni singolo bacino, che viene valutato separatamente.Su alcuni fiumi e laghi lombardi l’inquinamento origina quasi totalmente da scarichi urbani e quindi dalla mancanza o inadeguatezza degli attuali impianti. Il recupero qualitativo delle acque è quindi strettamente legato all’avvio degli investimenti nel settore depurazione che a sua volta dipende allo scarso livello di investimenti presente in questo settore (vedi anche Capitolo 3). Naturalmente gli investimenti dovrebbero derivare dai proventi del servizio idrico integrato, dati principalmente dal montante del fatturato del servizio legato alla riscossione della tariffa prevista dal Piano d’Ambito. Un freno all’at-tuazione di quanto previsto è costituito dal fatto che il metodo tariffario alimenta la preoccupazione presso gli Enti Locali che la transizione dal sistema con tariffe non correlate ai costi al nuovo sistema, possa determinare la rottura del limite di accettabilità sociale e provocare la rinuncia ad opere che richiedono massicci investimenti. La tariffa corrisposta dai cittadini tuttavia deve andare a coprire non solo i costi dell’approvvigionamento idrico, che come abbiamo visto può essere considerato l’aspetto più semplice della gestione del servizio nella realtà lombarda (vedi anche Capitolo 2), ma soprattutto il recupero qualitativo delle acque restituite ai corsi d’acqua, cioè il servizio di depurazione.

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Fiume Mincio

La tutela dei diritti

1. Accesso al servizio

La Regione Lombardia ha definito, tra i suoi obiettivi strategici, la gestione dei servizi idrici. Nel 2003 è stata approvata la l.r. 26/2003 che disciplina in maniera organica e unitaria il complesso dei servizi locali di interesse economico generale; prima ancora, era stata istituita una direzione dedicata ai servizi di pubbli-ca utilità, superando la frammentazione di competenze presente negli assetti organizzativi che abbiamo ereditato dal passato, nella convinzione che lo sviluppo del territorio debba essere progettato insieme ai soggetti che ne rappresentano il tessuto connettivo: Istituzioni locali, realtà imprenditoriali e mondo della finanza. Il percorso intrapreso in regione parte dalla consapevolezza che l’interesse dell’utente va affermato e tutelato come valore di riferimento. Sotto questo aspetto, dunque, si considera la gestione delle risorse idriche non come il fine della nostra azione di governo quanto come lo strumento per garantire ai cittadini le migliori prestazioni in termini di qualità ed economicità. La presenza di un forte sistema di garanzia costituisce lo snodo fondamentale per assicurare che la competizione sia finalizzata all’interesse del-l’utente.

2. La verifica del rispetto degli standard

Al fine di garantire questa centralità all’utente la Regione Lombardia ha istituito il Garante dei Servizi, a tu-tela degli utenti, nell’interesse degli stessi e del loro livello di apprezzamento nella fruizione del servizio. Il Garante svolge funzioni di monitoraggio e controllo, anche avvalendosi dei dati disponibili presso L’Os-servatorio regionale risorse e servizi, con particolare riferimento all’andamento delle tariffe, alla modalità di erogazione dei servizi, alla qualità dei servizi erogati, alla concorrenzialità dell’offerta ed al rispetto delle carte dei servizi. Inoltre provvede a definire con propri attii requisiti generali ed i criteri per l’ammissibilità alle gare nonché le modalità e le forme che regolano i rapporti tra ATO, gestori e soggetti erogatori dei servizi. Nell’esercizio delle funzioni di controllo il garante può richiedere informazioni agli operatori del settore e curare studi di approfondimento o sondaggi di opi-nione per verificare il livello di soddisfazione sul servizio. Infine esso da diffusione ai dati in suo possesso attraverso gli strumenti informativi più opportuni.

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Lanca del Ticino

Il Garante svolge anche una funzione di indirizzo e regolazione che si concretizza attraverso l’emana-zione di atti di indirizzo nei quali individua l’orien-tamento ottimale per lo svolgimento dei servizi. Inoltre può su sollecitazione degli utenti e in corri-spondenza di situazioni di criticità intervenire con segnalazioni indicando l’opportunità di erogare sanzioni. Il Garante può anche definire standard di eccellenza a cui gli operatori del settore dovreb-bero tendere e che contribuiscono alla definizione di uno standard di eccellenza del servizio.Il Garante ha anche una funzione di tutela del-l’utente e risoluzione delle controversie. Il Garan-te infatti può valutare le istanze e i reclami degli utenti singoli o associati e suggerire modifiche nell’erogazione dei servizi. Inoltre è possibile risol-vere attraverso il Garante tutte le controversie tra gestori e tra gestori e enti locali.

3. Gli obbiettivi e i tempi

La regione, in qualità di regolatore del settore e di garante del rispetto delle norme vigenti e del per-seguimento degli obiettivi da queste indicati, deve completare l’impegno di fornire tutti gli strumenti necessari affinché i soggetti possano organizzarsi ed intraprendere il percorso necessario per affron-tare il cambiamento. Al contempo, in stretta con-nessione con tale obiettivo, si colloca l’urgenza di procedere alla realizzazione degli investimenti infrastrutturali nel sistema idrico lombardo per adeguare i livelli di servizio agli standard minimi accettabili da parte della Comunità Europea. Anche in questo caso occorre una significativa azione di indirizzo, oltre alla necessità di predisporre adeguati strumenti che agevolino la realizzazione degli investimenti per lo sviluppo di un servizio di interesse economico-generale.Le Autorità d’Ambito dovranno uniformarsi al modello organizzativo regionale riconoscendo la gestione delle infra-strutture conferite dagli enti locali alle società proprietarie, che verrà da questa esercitata nel rispetto della normativa comunitaria e nazionale in materia di appalti pubblici. Il principio della unicità di gestione delle reti e impianti a livello di ATO è transitoriamente derogato fino al 31 di-cembre 2011 solo per quegli ATO in cui le società proprietarie costituite al loro interno servivano, alla data del 31 dicembre 2005, almeno 240.000 abitanti. Alla scadenza del 2011 le relative gestioni cessano e l’Autorità d’Ambito affiderà nei sei mesi successivi la relativa gestione ad un soggetto proprietario unico a livello di ATO (vedi anche Capitolo 3).L’erogazione del servizio all’utenza, l’utilizzo cioè delle stesse infrastrutture per la gestione operativa, verrà invece affidata dall’ATO ad un diverso soggetto, da individuare esclusivamente mediante una procedura competitiva. Ad esso competerà, per un periodo che potrà non essere eccessivamente lungo, visto che non sarà responsabile di alcun investimento da ammortizzare, la sola conduzione delle reti e gli impianti, l’ordinaria manutenzione degli stessi e la fatturazione dell’intero servizio all’utenza, riservando una quota dei flussi di cassa generati alla società respon-sabile degli investimenti sulle reti e gli impianti.La legge regionale esclude dalla obbligatorietà del modello organizzativo regionale l’ATO-Comune di Milano, unico caso in Lombardia in cui il Comune coincide con l’Autorità d’Ambito, e quegli ATO che alla data del 10 luglio 2006 hanno già formalizzato l’affidamento ai sensi della legge c.d. Galli (n.36/1994) oppure, avendo già approvato il Piano d’Ambito, abbiano formalizzato la decisione di procedere ad affidamento del servizio idrico integrato secondo una procedura competitiva. Al fine di velocizzare i processi aggregativi previsti, sono stati assegnati alla Regione specifici poteri sostitutivi, eser-citabili in caso di inadempienza o ritardo da parte degli enti locali interessati.La riforma, dunque, porterà alla costituzione di tante società “patrimoniali” quanti sono gli ATO, con una evidente riduzione degli operatori e l’innalzamento delle dimensioni medie dei soggetti responsabili degli investimenti.

La carta dei servizi

La carta dei servizi costituisce lo strumento tramite il quale il cittadino conosce che cosa può attendersi dal soggetto erogatore del servizio di pubblica utilità in termini standard di prestazioni, qualità e tempi-stica, e costituisce allo stesso tempo il mezzo concreto per control-lare che gli impegni dichiarati siano rispettati per eventualmente dar corso, da parte del cittadino, ad azioni di reclamo/rimborso nel caso in cui non vi sia il rispetto di alcuni degli standard dichiarati.Nel nostro paese, la carta dei servizi ha una storia che viene da lon-tano. La prima elaborazione che ha definito i contenuti generali del-le carte dei servizi risale al 1993 ed è stata sviluppata da parte del Dipartimento della funzione pubblica. Successivamente sono stati emanati altri provvedimenti attuativi, sino a quando, nel 1999 è sta-to emanato lo “Schema generale per la predisposizione delle carte dei servizi nel settore idrico” ( D.P.C.M. 29 aprile 1999). Nonostante i soggetti erogatori abbiano adottato diversi gradi di personalizza-zione rispetto allo schema base, è comunque da ritenere valido il seguente schema – dal basso verso l’alto o bottom up - per la defi-nizione e verifica degli standard:• la verifica dei livelli di qualità del servizio effettivamente conseguito è in primo luogo a carico del soggetto erogatore, il quale deve rile-vare il grado di raggiungimento degli obiettivi fissati ed utilizzare i dati provenienti dal monitoraggio delle prestazioni per definire un piano di miglioramento progressivo delle stesse;• la definizione degli obiettivi specifici che il soggetto erogatore deve rispettare sono definiti e determinati nel contratto di servizio sotto-scritto tra lo stesso ed l’Autorità dell’Ambito di riferimento;• gli obiettivi e standard specifici contenuti nel contratto di servizio tra Autorità d’Ambito, sono individuati e modulati nel tempo nel ri-spetto degli indirizzi generali e degli standard definiti “a monte” dalla Regione Lombardia, anche, nel rispetto delle diverse caratteristiche territoriali.

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