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Filosofia contemporanea

Uno sguardo globale

A cura di Tiziana Andina

Carocci editore Frecce

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1a edizione, novembre 2012© copyright 2013 by Carocci editore S.p.A., Roma

Finito di stampare nel novembre 2012 per i tipi delle Arti Gra&che Editoriali Srl, Urbino

isbn 978-88-430-6704-6

Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633)

Siamo su Internet: http://www.carocci.it

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Indice

Prefazione. Dal postmoderno al realismo 13 di Maurizio Ferraris

Morte e resurrezione della &loso&a 13

La &loso&a ai tempi del postmoderno 14

La vecchia sintesi: il relativismo 16

Gli analitici sbarcano sul Continente 17

La nuova sintesi: il realismo 19

Introduzione 21 di Tiziana Andina

1. Meta&sica e ontologia (o dell’inizio) 25 di Tiziana Andina e Andrea Borghini

1.1. I principi 25

1.1.1. Alle radici della meta&sica / 1.1.2. Senso comune, scienza e meta&sica / 1.1.3. Le due meta&siche: descrivere e prescrivere / 1.1.4. Esistenza / 1.1.5. Iden-tità / 1.1.6. Individui, eventi e proprietà / 1.1.7. Tipi di proprietà e relazioni / 1.1.8. Possibilità e necessità

1.2. Cose che esistono 42

1.2.1. A proposito di cataloghi e di mappe del mondo

1.3. Ontologie regionali 48

1.3.1. Ontologia sociale / 1.3.2. I fondamenti delle azioni sociali: la passeg-giata di Alessia / 1.3.3. Il ‘noi’ come soggetto plurale e le sue credenze / 1.3.4. Istituzioni e fatti istituzionali / 1.3.5. Oggetti sociali

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8 la filosofia contemporanea

2. Epistemologia (o della conoscenza) 59 di M. Cristina Amoretti e Annalisa Coliva

2.1. La de&nizione tradizionale di conoscenza 592.1.1. Conoscenza come credenza vera giusti&cata / 2.1.2. La necessità delle tre condizioni / 2.1.3. Il problema di Gettier

2.2. Giusti&cazione e conoscenza 682.2.1. Teorie classiche della giusti&cazione e internismo / 2.2.2. AKdabili-smo ed esternismo / 2.2.3. Il problema del valore della conoscenza e l’epi-stemologia della virtù

2.3. Scetticismo e mondo esterno 762.3.1. La risposta esternista di primo tipo / 2.3.2. La risposta esternista di secon-do tipo: la negazione del principio di chiusura epistemica / 2.3.3. La risposta contestualista / 2.3.4. La risposta internista della giusti&cazione per default

2.4. Il relativismo epistemico 842.4.1. Il relativismo circa le attribuzioni di conoscenza / 2.4.2. Il relativi-smo della giusti&cazione

3. Linguaggio (o dell’importanza del comunicare) 93 di Carla Barbero e Stefano Caputo

3.1. Il paradigma dominante 943.1.1. Signi&cato e condizioni di verità / 3.1.2. Sensi e intensioni / 3.1.3. La se-mantica formale

3.2. Oltre il paradigma dominante 1063.2.1. La teoria del riferimento diretto / 3.2.2. Le semantiche cognitive / 3.2.3. Addio alla verità: signi&cato, uso, veri&cazione / 3.2.4. Il paradigma contestualista

4. Logica e matematica (o del linguaggio universale) 143 di Francesco Berto e Andrea Pedeferei

4.1. Filoso&a della logica e logica &loso&ca 1434.1.1. Il panorama dopo la crisi dei fondamenti / 4.1.2. Una logica, molte logiche / 4.1.3. La logica e le altre discipline

4.2. Teorie della verità 1524.2.1. Verità come adaequatio: il corrispondentismo / 4.2.2. Verità come coerenza / 4.2.3. La teoria semantica di Tarski / 4.2.4. Verità come devir-golettamento: il deQazionismo

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indice 9

4.3. Teoria dei modelli 159

4.3.1. Da Tarski a Robinson / 4.3.2. Teorie semantiche e metamatematica / 4.3.3. Applicazioni

4.4. I mondi possibili e la logica modale 167

4.4.1. Le modalità e l’intuizione dei mondi possibili / 4.4.2. Logica moda-le proposizionale e accessibilità / 4.4.3. Logica modale quanti&cata: domi-ni costanti / 4.4.4. Logica modale quanti&cata: domini variabili

4.5. I condizionali 177

4.5.1. Il condizionale materiale / 4.5.2. Il condizionale stretto / 4.5.3. Con-trofattuali e mondi possibili

5. Mente (o della natura dei soggetti) 187 di Luca Angelone e Daniela Taglia!co

5.1. Il problema della coscienza 189

5.1.1. L’anti&sicalismo / 5.1.2. L’argomento di Nagel / 5.1.3. Mary e l’argo-mento della conoscenza / 5.1.4. Obiezioni all’argomento della conoscen-za / 5.1.5. Chalmers e l’argomento della concepibilità / 5.1.6. Le obiezioni all’argomento della concepibilità

5.2. La mente estesa 208

5.2.1. La formulazione originale / 5.2.2. Critiche all’idea di mente estesa / 5.2.3. Esternismo attivo ed esternismo passivo

5.3. Il paradigma sensomotorio 217

5.3.1. Evidenze sperimentali / 5.3.2. L’approccio enattivo alla percezione / 5.3.3. Percezione diretta

6. Scienza (o della misura del mondo) 223 di Elena Casetta e Giuliano Torrengo

6.1. La &loso&a della scienza generale 223

6.1.1. Una vicenda da cui partire / 6.1.2. La scienza come attività umana e storica / 6.1.3. Il problema della demarcazione / 6.1.4. Induzione e giusti&-cazione / 6.1.5. Spiegazione, causalità, leggi di natura

6.2. La &loso&a delle scienze particolari 243

6.2.1. Realismi e antirealismi / 6.2.2. Un caso di &loso&a della &sica / 6.2.3. Un caso di &loso&a della biologia

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10 la filosofia contemporanea

7. Etica (o dei comportamenti) 257 di Francesca De Vecchi, Sergio Filippo Magni e Vera Tripodi

7.1. La discussione sulla fondazione dell’etica 257

7.1.1. Gli ambiti dell’etica / 7.1.2. La nuova fase della metaetica / 7.1.3. Si-gni&cato e ontologia / 7.1.4. Il cognitivismo realista / 7.1.5. Il cognitivismo non-realista / 7.1.6. Il non-cognitivismo

7.2. Agire nel mondo sociale 270

7.2.1. Ragioni per l’agire indipendenti da desideri / 7.2.2. Agire solitario vs. agire eterotropico / 7.2.3. Atti sociali vs. azioni collettive / 7.2.4. EKcacia nor-mativa del mondo sociale: atti sociali e intenzioni collettive / 7.2.5. Adempi-mento e azioni del mondo sociale

7.3. Sesso e genere, l’individuo al di là delle classi&cazioni 282

7.3.1. Bambini e intersessualità: dignità e diritto all’autodeterminazione dei pazienti / 7.3.2. Genitorialità, adozione e orientamento sessuale. Che cosa vuol dire essere madre o padre e chi ha diritto a esserlo? / 7.3.3. Fami-glia e scelte riproduttive

8. Politica (o del governo della comunità) 295 di Valeria Ottonelli e Italo Testa

8.1. Potere e legittimità democratica 296

8.1.1. Legittimità ed e[ettività della democrazia / 8.1.2. Consenso e dissen-so nella sfera pubblica / 8.1.3. Dissenso, pluralismo, contropotere

8.2. Riconoscimento e oppressione 303

8.2.1. Il multiculturalismo dopo le politiche dell’identità / 8.2.2. Ontologia sociale, spregio e lotte per il riconoscimento / 8.2.3. ConQitti simbolici, redistribuzione e potere ideologico

8.3. Body politics 310

8.3.1. Politiche del corpo e della cura / 8.3.2. Natura umana e capacità / 8.3.3. Vita e potere / 8.3.4. Politiche dell’ambiente

8.4. La giustizia distributiva 316

8.4.1. Il ritorno della giustizia economica e la crisi del welfare / 8.4.2. L’ogget-to delle politiche distributive / 8.4.3. Merito e responsabilità / 8.4.4. Giusti-zia fra generazioni

8.5. Diritti umani, giustizia globale, immigrazione 321

8.5.1. Diritti umani / 8.5.2. Giustizia globale / 8.5.3. Immigrazione

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indice 11

9. Estetica (o della sensibilità) 329 di Alessandro Arbo e Chiara Cappelletto

9.1. Arte, percezione, bellezza 329

9.2. La neuroestetica 335

9.2.1. Un’estetica della reazione / 9.2.2. Fruizione come ri-creazione

9.3. Tribolazioni del giudizio estetico 344

9.3.1. Esperienza e giudizio / 9.3.2. Concetti e proprietà estetiche, fra rela-tivismo e realismo

9.4. Immagine e realtà: una competizione antica 351

9.4.1. Immagine da vedere, immagine da toccare / 9.4.2. Immagine visiva o immagine artistica?

9.5. Opera/opere 356

Bibliogra&a 363

Gli autori 411

Indice dei nomi 000

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* Sergio Filippo Magni ha redatto il par. 7.1, Francesca De Vecchi il par. 7.2, Vera Tripodi il par. 7.3.

7Etica (o dei comportamenti)*

di Francesca De Vecchi, Sergio Filippo Magni e Vera Tripodi

7.1. La discussione sulla fondazione dell’etica

7.1.1. Gli ambiti dell’etica

Lo studio &loso&co dell’etica è solitamente distinto in tre ambiti generali: l’etica normativa, la quale ha lo scopo di proporre criteri per la valutazione delle azioni e delle persone: quando, per esempio, un’azione si può dire giusta o doverosa, e una persona buona o virtuosa; la metaetica, la quale ha lo scopo di fondare, giusti&care, o chiarire la natura di concetti, giudizi e argomenti usati per valutare, raccomandare, prescrivere, facendo astrazio-ne dal loro contenuto: cosa, cioè, signi&ca a[ermare che una determinata azione è giusta e una persona buona, in che misura si può attribuire una realtà oggettiva alle proprietà cui questi giudizi si riferiscono, quando e perché essi sono giusti&cati; l’“etica applicata” (o “etica pratica”), la quale applica gli altri due ambiti a problemi concreti, cercando di stabilire cosa è giusto o doveroso fare in relazione a certe situazioni particolari, ambi-to che ha avuto un notevole sviluppo negli ultimi quaranta anni e che ha portato alla nascita di particolari discipline di studio: la bioetica, l’etica animale, l’etica ambientale, l’etica degli a[ari, e così via.

Oltre a questi ambiti, di pertinenza strettamente &loso&ca, vi è lo stu-dio descrittivo e scienti&co della morale, che può non interessare soltanto la &loso&a e assumere le più svariate prospettive scienti&che: storica, so-ciologica, etnologica, psicologica, biologica, &sica e per&no etologica (con lo studio del comportamento morale degli animali). In questo caso si ha a che fare con discipline come la storia della morale, la sociologia mora-

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per esempio il fatto che un uomo sia pronto a o[rire aiuto, e una proprietà morale, cioè l’essere una persona buona, è tale che la persona continua a essere ritenuta buona &no a che non cambia la sua descrizione naturale, ma cessa di esserlo quando cambia tale descrizione. Questo legame, secondo Blackburn, può essere spiegato, su basi espressiviste, facendo ricorso alla coerenza nelle reazioni di approvazione e disapprovazione morale che il soggetto ha di fronte ai fatti naturali. In questo caso la proprietà morale è legata alla proprietà naturale tramite l’atteggiamento di approvazione o disapprovazione, atteggiamento che possiede la caratteristica di rimane-re stabile per tutte le proprietà naturali identiche a essa: altrimenti, dice Blackburn, si «confonderebbe un capriccio con una opinione morale» (Blackburn, 1971).

7.2. Agire nel mondo sociale

7.2.1. Ragioni per l’agire indipendenti da desideri

A[ronteremo ora alcuni aspetti della questione della razionalità pratica relativamente al mondo sociale. Nella contemporaneità, la nostra vita quotidiana è sempre più socialmente e istituzionalmente caratterizzata. Agiamo, infatti, in una realtà che è sempre più sociale e istituzionale. Buo-na parte del nostro benessere o malessere quotidiano si gioca non soltanto in atti e azioni rivolti al mondo naturale (mangiare, bere, dormire, passeg-giare in montagna, nuotare al mare, contemplare &ori e alberi ecc.), ma anche in atti e azioni che sono relativi al mondo sociale e istituzionale (il nostro matrimonio o divorzio, la manovra &nanziaria del governo, la con-dotta del premier, le elezioni, il lavoro, la prenotazione di una visita medi-ca, la garanzia del computer, i biglietti del teatro, le tasse universitarie, le sentenze del giudice ecc.) e la cui esistenza dipende da una collettività di individui.

Il mondo sociale e istituzionale crea nuovi spazi, occasioni e contesti di comportamento, azione e attività di vario tipo, crea nuovi ruoli e funzioni che sono assenti in un mero mondo naturale. Nel mondo sociale e istitu-zionale, siamo studenti e docenti universitari, violinisti della Filarmonica della Scala, mogli e mariti, eredi testamentari, cittadini italiani, elettori, parlamentari, portatori di una patente di guida, dimostranti in una mani-festazione, presidenti del consiglio di zona o della Repubblica, proprietari

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etica (o dei comportamenti) 271

4. Per un’analisi fenomenologica dei rapporti di intreccio e strati&cazione tra mondo naturale e mondo sociale, cfr. Husserl 1912-1928.5. Una delle migliori teorie sulla creazione del mondo sociale e istituzionale è quella di John Searle. Secondo Searle, creiamo il mondo sociale attraverso “dichiarazioni di funzio-ni di status”, che accettiamo collettivamente, e le funzioni di status sono portatrici di una deontologia, cfr. Searle (2010).

e aKttuari di una casa, giudici e imputati, venditori e compratori, soggetti rei di illeciti amministrativi o penali sanzionati con multe pecuniarie o carcerarie, e moltissimo altro, con tutti gli oneri e gli onori, gli obblighi e i diritti che tutto ciò comporta.

Non mi so[ermerò in questa sede né sulla questione relativa all’intrec-cio e alla strati&cazione evidenti di mondo naturale e mondo socio-istitu-zionale4, né sulla questione riguardo a come “creiamo” il mondo sociale, ovvero come diventiamo cittadini, aKttuari di un appartamento, manife-stanti in un sit-in ecc. (cfr. anche cap. 1). La questione che ci interessa af-frontare qui riguarda il fatto che nuovi modi di agire e nuovi ruoli, propri del mondo sociale e istituzionale, sono funzioni di status che implicano una deontologia5. È questo il punto fondamentale su cui ci concentrere-mo: la deontologia caratteristica del mondo sociale e istituzionale che è propria di comportamenti, atti e azioni che esercitiamo e compiamo nel mondo sociale e istituzionale.

Ora, assumere una prospettiva di ricerca sociale e istituzionale sul no-stro agire consente di mettere a fuoco un’idea di razionalità pratica diversa da quella di derivazione humeana, ancora alquanto seguita da molta &lo-so&a analitica. A partire da questa prospettiva infatti avanzeremo e discu-teremo la tesi seguente:

(i) Tesi: Agire nella realtà sociale e istituzionale richiede che gli agenti abbiano ragioni per l’azione che sono indipendenti da desideri; in altri termini, il mondo sociale implica l’esistenza di una deontologia che costituisce ragioni per l’azione indipendenti da desideri.

John R. Searle chiama questo tipo di ragioni “poteri deontici”: obblighi, diritti, pretese, doveri, autorizzazioni, permessi, aspettative, richieste, im-pegni ecc. Portiamo qualche esempio. L’obbligo di mantenere la promessa che ho fatto è una ragione per mantenerla indipendentemente dal fatto che ora non abbia alcuna voglia di mantenerla; il contratto di lavoro che

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6. Si tratta del paradigma di ragioni per l’azione proposto da John R. Searle nel suo libro sulla razionalità pratica (Searle, 2001) e poi applicato alla sua teoria della creazione della realtà sociale e istituzionale (2010). 7. Su questa questione, si pensi alla famosissima analisi di Kant relativa all’universalizza-zione della promessa insincera che porterebbe all’impossibilità e alla distruzione dell’isti-tuzione della promessa, e di conseguenza alla distruzione della società, cfr. Kant (1785).

ho sottoscritto produce degli obblighi, oltre che dei diritti, che costitui-scono, tra le altre cose, una ragione per alzarmi stamattina presto e recar-mi in università a fare lezione, anche se stamattina desidererei moltissimo dormire6.

Secondo Searle, le istituzioni umane esistono e sono mantenute in esi-stenza in virtù del fatto che gli agenti hanno «il potere di creare ragioni per l’azione indipendenti da desideri» (Searle, 2010, p. 190). Se non vi fossero ragioni per l’azione indipendenti da desideri, il mondo sociale e istituzionale non potrebbe esistere. Le inclinazioni e i desideri sponta-nei degli agenti, infatti, non sono in grado di mantenere in esistenza le istituzioni. Andremmo al ristorante e non pagheremmo il conto se non avessimo voglia di pagarlo; faremmo promesse, senza avere intenzioni di mantenerle (promessa insincera) e di fatto non le manterremmo, se fosse più vantaggioso per noi non mantenerle; non pagheremmo le tasse, se non volessimo pagarle; andremmo in un museo e ruberemmo uno degli ogget-ti esposti, semplicemente perché desideriamo entrarne in possesso ecc. Di conseguenza, le istituzioni sarebbero distrutte dall’uso che ne fanno gli agenti se il comportamento degli agenti relativamente a esse fosse fondato soltanto su ragioni dipendenti da desideri7.

Un altro modo per esprimere questa tesi, nella versione di un realismo forte, è dire che obblighi, pretese, doveri, diritti, impegni ecc., una volta istanziati nella nostra vita da atti sociali quali promesse, comandi, sotto-scrizioni di contratto, promulgazioni di leggi ecc., poi esistono indipen-dentemente dai nostri stati psicologici: esistono indipendentemente non solo dal nostro desiderio di soddisfare questi obblighi, pretese, doveri, di-ritti, impegni, ma anche, più genericamente, esistono indipendentemente dalla nostra intenzionalità (sia essa conativa, cognitiva, a[ettiva) relativa-mente a essi. Per esempio, il mio obbligo di mantenere la promessa che ti ho fatto, esiste e continua a esistere indipendentemente non solo dal mio desiderio di mantenere tale obbligo, ma anche indipendentemente dal mio ricordarmi o formulare qualsiasi pensiero rispetto a quest’obbligo,

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etica (o dei comportamenti) 273

8. Cfr. Reinach (1913) che a[erma, per esempio, che obblighi e diritti prodotti da una promessa continuano a esistere anche quando non pensiamo a essi, come accade mentre dormiamo (a parte incubi o sogni angosciosi riguardo a certi nostri obblighi). Rispetto all’indipendenza delle entità normative dalla nostra intenzionalità sostenuta da Reinach, si veda la critica di Maurizio Ferraris che, nella sua teoria della documentalità, sostiene che se non rimane traccia, in primo luogo nella testa delle persone, di tali entità normative, queste non esistono più; si pensi al caso del matrimonio contratto tra persone malate di Alzheimer, a cui assistono, oKciante e testimoni compresi, tutte persone a[ette da questa malattia che causa la perdita della memoria (cfr. Ferraris, 2009). Sulla questione del reali-smo di Reinach in ontologia sociale, cfr. De Vecchi (2012).

o anche dal mio provare sentimenti d’inso[erenza o avversione per tale obbligo. È questa la prospettiva presentata e sostenuta dal fenomenologo del diritto Adolf Reinach8.

Alla prima tesi avanzata, relativa alla necessaria esistenza di poteri de-ontici, o, potremmo anche dire, di “strutture normative” nel mondo socia-le, è poi connessa una seconda tesi (o corollario):

(ii) Tesi: I poteri deontici hanno senso solo perché vi è il libero arbitrio.

Se fossimo totalmente determinati nel nostro agire, non avrebbe senso parlare di poteri deontici, di diritti, doveri ecc., in virtù dei quali noi deci-diamo di agire e di fatto agiamo in un certo modo piuttosto che in un al-tro. Per esempio, in un mondo in cui io fossi determinata al mantenimento della mia promessa, ovvero non fossi libera di ottemperare oppure di non ottemperare all’obbligo di mantenere la mia promessa, non avrebbe senso dire che, se faccio una promessa, ho l’obbligo di mantenerla.

Non si tratta in questa sede di prendere una posizione su libertarismo o determinismo o compatibilismo. Si tratta invece di prendere atto del fatto che, pur trattandosi magari di un’illusione, noi facciamo esperienza del libero arbitrio nel nostro agire. Questo perché nessuna delle ragioni per azioni e comportamenti, che occorrono nelle nostre intenzioni, decisioni e azioni, è in &n dei conti una causa suKciente per il compimento del-le nostre intenzioni, decisioni e azioni. Come sostiene John Searle, noi facciamo continuamente esperienza di una “lacuna causale” tra le nostre ragioni per fare qualcosa e le intenzioni e decisioni di fare quella cosa, e tra le nostre intenzioni e decisioni di fare quella cosa e le azioni di adem-pimento. Anche se abbiamo delle buone ragioni (siano desideri, credenze o poteri deontici indipendenti da desideri) per formulare l’intenzione e la

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274 la filosofia contemporanea

9. Il termine ‘eterotropico’ è neologismo nato nella scuola di &loso&a del diritto e di on-tologia sociale di Amedeo Giovanni Conte (Università di Pavia e di Milano) ed è una va-riazione sul tema di ‘nomotropismo’ (cfr. Conte, 2000 e Di Lucia, 2002). ‘Eterotropismo’ è costituito dal greco héteros che signi&ca ‘altro’ [Fremd, Autrui, Other] e trépó che signi&-ca ‘rivolgersi a’ [sich wenden an, se tourner vers, turn towards]. Con il paradigma “solitario vs. eterotropico”, sviluppo una variazione sul tema delle classiche distinzioni paradigmati-che di �omas Reid e di Adolf Reinach. Reid e Reinach, infatti, com’è noto, sviluppano rispettivamente il paradigma “atti solitari vs. atti sociali” (cfr. Reid, 1788) e il paradigma “atti interni vs. atti esterni”, “atti rivolti a un soggetto altro da sé vs. atti non rivolti a un sog-getto altro da sé”, “atti sociali vs. atti non sociali” (cfr. Reinach, 1911 e 1913). Sul paradigma di Reinach, cfr. De Vecchi, Passerini Glazel (2012); sul paradigma “intenzionalità solitaria vs. intenzionalità eterotropica”, cfr. De Vecchi (2012 e 2012).

decisione di fare qualcosa, queste ragioni non sono una condizione suK-ciente per la formulazione dell’intenzione e della decisione di fare quella cosa. E anche se abbiamo l’intenzione di fare qualcosa e abbiamo preso la decisione di farla, né l’intenzione né la decisione sono condizioni suK-cienti per l’azione di adempimento. Nell’ambito dell’agire e dei compor-tamenti umani non vi sono cause suKcienti a determinare immediatamen-te le nostre intenzioni, decisioni e azioni. Possiamo sempre non formulare un’intenzione e una decisione anche se sono fondate su valide ragioni, e possiamo sempre non compiere l’azione che avevamo deciso di compiere (sulla “lacuna causale” cfr. Searle, 2001 e 2010).

7.2.2. Agire solitario vs. agire eterotropico

Facciamo ora un passo avanti nella nostra indagine sull’agire sociale e isti-tuzionale, concentrando la nostra attenzione su quali tipi di agire siano i protagonisti dell’agire nel mondo sociale. La mia tesi è che:

(iii) Tesi: All’interno della classe in&nita di tutti i possibili atti, azioni e compor-tamenti, occorre distinguere, due sottoclassi: la classe dell’agire solitario e la classe dell’agire eterotropico9.

Vediamo di cosa si tratta. Atti, azioni e comportamenti solitari sono ca-ratterizzati dal fatto che essi possono essere compiuti e vissuti da un solo individuo senza alcun riferimento a individui altri da sé e senza alcuna di-pendenza da individui altri da sé.

Esistono un gran numero di atti, azioni e comportamenti solitari. Per

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etica (o dei comportamenti) 275

10. È questa la tesi del &losofo del diritto polacco Czesław Znamierowski (1921).

esempio: la decisione di fare il bagno in mare, realizzare e[ettivamente questa decisione ovvero l’azione di fare il bagno in mare, assumere un com-portamento prudenziale mentre sto nuotando, come stare alla larga dalla medusa che ho appena visto lì di fronte a me ecc. Tutti questi sono eviden-temente casi di atti, azioni e comportamenti individuali, che possono es-sere compiuti ed esperiti soltanto da un solo individuo, senza alcuna inte-razione con altri individui. Questi sono dunque tutti casi di agire solitario.

Diversamente, atti, azioni e comportamenti eterotropici sono caratte-rizzati dal fatto che essi non possono essere né compiuti né esperiti da un solo individuo: necessariamente si riferiscono, in vari modi, a individui altri ovvero coinvolgono necessariamente almeno due individui e dipen-dono necessariamente da almeno due individui.

Esiste anche un gran numero di atti, azioni e comportamenti etero-tropici. Per esempio: ti invito a venire al mare con me e tu accetti il mio invito; noi allora abbiamo l’intenzione di andare al mare insieme; noi stia-mo e[ettivamente andando al mare insieme; al mare, condividiamo gli stessi valori ecologici e insieme ributtiamo in mare le stelle marine pescate dai nostri vicini di scoglio ecc. Questi sono tutti casi di agire eterotropico: nessuno di essi può essere compiuto o esperito da un solo individuo; essi necessitano di essere compiuti ed esperiti da almeno due individui.

L’agire eterotropico è l’agire protagonista del nostro mondo sociale e istituzionale. Questo mondo, infatti, non esisterebbe se non vi fosse un agire eterotropico (e, più in generale, un’intenzionalità eterotropica), cioè se vi fosse soltanto un agire individuale (e, più in generale, un’intenzio-nalità individuale): il mondo sociale dipende ontologicamente dall’agire eterotropico (e, più in generale, dall’intenzionalità eterotropica). In altri termini, il mondo sociale e istituzionale, esiste soltanto se esistono almeno due individui, che costituiscono tra loro una società in miniatura10; ogni individuo agisce riferendosi, in qualche modo, a un altro individuo.

7.2.3. Atti sociali vs. azioni collettive

All’interno della classe dell’agire eterotropico, possiamo distinguere alme-no due tipi di agire eterotropico, ovvero almeno due modi in cui l’agire di un individuo si riferisce ad altri individui e dipende da altri individui: l’a-

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276 la filosofia contemporanea

gire proprio degli atti sociali (promesse, comandi, promulgazioni di leggi ecc.) da un lato, e l’agire proprio delle intenzioni e delle azioni collettive dall’altro. Sia gli atti sociali sia le intenzioni e azioni collettive sono infatti tipi di agire eterotropico perché entrambi coinvolgono almeno due indi-vidui e dipendono esistenzialmente da almeno due individui. Avanziamo quindi la tesi seguente:

(iv) Tesi: Esistono almeno due tipi di agire eterotropico che devono essere distinti l’uno dall’altro: agire eterotropico sociale vs. agire eterotropico collettivo.Per esempio: Io ti prometto di venire al cinema con te vs. Noi abbiamo intenzione di andare al cinema insieme.

Questa distinzione concettuale è importante perché rende conto dell’e-sistenza di fenomeni diversi di agire eterotropico nel mondo sociale. Atti sociali quali promesse, comandi, preghiere, revoche, promulgazioni di leggi ecc., sono cose ben diverse da intenzioni e azioni collettive qua-li l’intenzione di fare una gita insieme, l’azione di passeggiare insieme, il suonare insieme un duetto di violino e pianoforte, l’intenzione collettiva di vincere la partita di basket che stiamo giocando insieme ecc. (cfr. an-che cap. 1).

Nell’attuale dibattito sull’ontologia sociale e sull’intenzionalità collet-tiva, questi fenomeni sono invece di frequente confusi, spesso si parla sol-tanto di intenzioni collettive e di intenzionalità collettiva, e il fenomeno degli atti sociali è sussunto in quello delle intenzioni e dell’intenzionalità collettive (cfr. Searle, 1995 e 2010).

Questi due fenomeni devono invece essere distinti come due tipi di agi-re eterotropico nel mondo sociale. Essi si caratterizzano in modo diverso relativamente a due aspetti della loro esistenza:

(i) Il ruolo svolto dagli individui;(ii) La direzione intenzionale.

(i) Il ruolo svolto dagli individui

AKnché vi siano intenzioni e azioni collettive, gli individui che costitui-scono il noi del ‘noi intendiamo’ e del ‘noi agiamo’ – almeno due indivi-dui! – devono necessariamente essere l’uno partner dell’altro, ovvero de-vono necessariamente essere agenti che cooperano per il raggiungimento

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11. Cfr. Searle (1990, 1995 e 2010). Searle è stato il primo a parlare di intenzioni collettive. Per Searle, le intenzioni collettive sono un fenomeno primitivo e originario, irriducibile a intenzioni individuali più credenze reciproche. Raimo Tuomela e Seumas Miller invece spiegano l’intenzionalità collettiva come un fenomeno derivato da intenzioni individuali più credenze reciproche, cfr. Tuomela, Miller (1988). Secondo Searle, ridurre le intenzioni collettive a un sistema di intenzioni individuali più credenze reciproche non è in grado di spiegare adeguatamente la cooperazione che deve caratterizzare le intenzioni e azioni collettive. Recentemente Tuomela ha lavorato molto sull’idea delle intenzioni colletti-ve come intenzioni condivise, cfr. Tuomela (2007). Sull’intenzionalità collettiva come intenzionalità condivisa, cfr. Schmid (2009) e De Vecchi (2011). Riguardo al fenomeno delle intenzioni collettive in ambito sperimentale, cfr. Tomasello et al. (2005). 12. Per una lettura critica del concetto searliano di intenzionalità collettiva si rimanda al cap. 1 §§ ***:13. Il primo a parlare di “atti sociali” è stato il fenomenologo e &losofo del diritto, allievo di Husserl, Adolf Reinach (1911 e 1913). Reinach ha anche sottolineato la necessità della componente linguistica degli atti sociali e ha anticipato di cinquant’anni la scoperta degli “atti linguistici” da parte di John L. Austin (1962). Sul rapporto tra atti sociali e atti lingui-stici, cfr. Smith (1990) e Mulligan (1987). Occorre inoltre precisare che già �omas Reid (1787) aveva parlato di “operazioni sociali”.

dell’obiettivo dell’intenzione e dell’azione collettive11. In altri termini, le intenzioni e azioni collettive sono intenzioni e azioni partecipate e condi-vise dagli individui che ne sono gli agenti. Se abbiamo intenzione di anda-re a fare una passeggiata insieme, condividiamo questa intenzione. Questo signi&ca che condizione necessaria aKnché vi siano intenzioni e azioni collettive è che gli individui in esse coinvolti abbiano un ruolo paritetico: sono tutti soggetti agenti a pari titolo dell’intenzione e dell’azione collet-tive12.

Nel caso invece degli atti sociali – pensiamo per esempio a promettere, domandare, comandare, pregare, revocare ecc. –, gli individui coinvolti af-&nché vi sia un atto sociale – anche in questo caso, almeno due individui! – hanno l’uno il ruolo di agente dell’atto, e l’altro il ruolo di destinatario dell’atto. Nel caso degli atti sociali, quindi, abbiamo uno o più individui che si rivolgono ad altri individui in atti che devono necessariamente es-sere percepiti dagli individui a cui si rivolgono. A causa delle necessità di essere percepiti, gli atti sociali devono essere manifestati e comunicati, da qui il loro essere atti linguistici13.

Negli atti sociali, allora, l’altro a cui mi rivolgo è la mia controparte nel compimento dell’atto sociale. Entrambi abbiamo un ruolo essenziale nel compimento dell’atto, ma i nostri ruoli – il mio e il suo – sono di[eren-

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278 la filosofia contemporanea

14. Sulla struttura degli atti sociali e degli atti linguistici, e sulle situazioni di felicità vs. infelicità degli atti sociali e degli atti linguistici, cfr. Reinach (1911 e 1913); Austin (1962); Searle (1969).

ti. La cosa promessa, domandata, comandata ecc. è promessa, domandata e comandata da me a te14. In questo senso, quindi, il ruolo dei soggetti coinvolti negli atti sociali è essenzialmente diverso dal ruolo dei soggetti coinvolti nell’intenzionalità collettiva.

(ii) La direzione intenzionale

Nel caso delle intenzioni e delle azioni collettive, la direzione dell’inten-zionalità dei soggetti coinvolti converge su un medesimo oggetto o conte-nuto comune che è lo scopo condiviso: la nostra intenzione collettiva ha per obiettivo comune il fare una passeggiata insieme domani.

Il fatto che i soggetti delle intenzioni e azioni collettive condividano il medesimo oggetto non esclude ovviamente (anzi in molti casi lo richiede) che i soggetti, al &ne di realizzare lo scopo condiviso dalle loro intenzioni collettive, debbano svolgere atti o azioni dal contenuto diverso. Un esem-pio banale: se decidiamo di fare la maionese insieme e se stiamo facendo la maionese insieme, allora quest’azione collettiva che ha come scopo, da noi condiviso, il fare la maionese, implica che io sbatta le uova e che tu versi l’olio.

Nel caso di azioni collettive particolarmente complesse come quelle compiute da una squadra di basket, da un’orchestra o da un’azienda, è ancora più evidente che le singole azioni individuali, che contribuiscono all’azione collettiva comune, hanno contenuti molto diversi e che in certi casi i singoli soggetti partecipanti non sappiano esattamente quello che gli altri stanno facendo. AKnché vi siano intenzioni collettive, tutti i soggetti devono però credere che gli altri stiano cooperando all’azione comune, che insieme stiano cercando di vincere la partita, stiano suonando la Sinfo-nia n. 5 opera 67 in Do minore di Beethoven (ho qui ripreso alcuni aspetti della teoria dell’intenzionalità collettiva cooperativa di Searle, 1990, 1995 e 2010).

La direzione intenzionale degli atti sociali è speci&camente un’inten-zionalità a doppio raggio, al contempo rivolta verso un altro soggetto e ver-so un oggetto – la cosa che ti prometto, che ti ordino, che ti domando, e

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15. Margaret Gilbert parla di shocked surprise relativamente alla situazione in cui uno dei soggetti partecipanti all’intenzione collettiva “facciamo una passeggiata insieme” venga meno a questa intenzione: in questo caso la reazione degli altri è una “sorpresa scanda-lizzata” giusti&cata dal vincolo normativo contratto tra i partecipanti nel momento in cui hanno condiviso l’intenzione e la decisione di fare la passeggiata insieme, cfr. Gilbert (1996).

così via. L’intenzionalità diretta al destinatario è mezzo di realizzazione dell’intenzionalità diretta all’oggetto: io ti ordino di fare x; tu sei il mezzo per cui x è realizzato, e x è lo scopo dell’atto. Attraverso il destinatario, l’atto sociale mira alla realizzazione del suo contenuto: la cosa ordinata, richiesta, promessa ecc. (sull’intenzionalità a doppio raggio degli atti so-ciali, cfr. Reinach, 1911 e 1913, e Mulligan, 1987).

La doppia direzione dell’intenzionalità degli atti sociali costituisce il momento sociale come trascendente e irriducibile al momento intersog-gettivo dell’io-tu, per così dire come un momento di “terzietà”. L’inten-zionalità degli atti sociali condivide con le intenzioni e azioni collettive il fatto di compiersi su un piano comune e quindi di ordine superiore rispet-to ai singoli soggetti, in altri termini, sul piano sociale.

7.2.4. E$cacia normativa del mondo sociale: atti sociali e intenzioni collettive

Nel mondo sociale e istituzionale, l’agire produce “e[etti” in un modo speci&camente normativo che è irriducibile alla causalità propria del mon-do &sico-naturale. Se faccio una promessa, produco immediatamente un obbligo e un diritto alla realizzazione della promessa; se il Parlamen-to promulga una legge, produce immediatamente dei diritti e dei doveri corrispondenti al contenuto della legge; se il generale ordina qualcosa ai soldati, produce immediatamente un obbligo. Gli atti sociali sono quindi immediatamente eKcaci sul piano normativo. Analogamente, la nostra intenzione collettiva di fare domani una passeggiata insieme produce l’impegno reciproco di presentarsi domani all’appuntamento per fare la passeggiata insieme15.

Questi esempi mostrano la di[erenza speci&ca del “produrre e[etti” propria del mondo sociale e istituzionale, rispetto al rapporto di causa-e[etto proprio del mondo &sico-naturale.

Adolf Reinach de&nisce il nesso tra la promessa e la pretesa e l’obbligo da

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essa prodotti come un nesso di “fondamento” e “conseguente” distinguen-dolo così da un mero nesso di causalità &sica. Secondo Reinach, si tratta di una relazione di dipendenza ontologica ovvero di dipendenza essenziale e necessaria, che è in quanto tale assolutamente di[erente quindi da una relazione causale la cui natura è del tutto contingente. La promessa pro-duce necessariamente un obbligo e una pretesa nel momento in cui l’atto di promessa si compie, perché la promessa dipende esistenzialmente da un obbligo e da una pretesa (Reinach, 1913). Analogamente, John L. Austin rileva la peculiarità della capacità di produrre e[etti propria di atti linguistici (performativi e illocutori) rispetto al produrre e[etti nel “modo normale”, quello proprio degli eventi &sici nel mondo esterno. Austin a[erma che se battezziamo una nave Queen Mary, sarà allora fuori luogo se ci rivolgiamo a essa chiamandola “Generalissimo Stalin”. Il punto rilevato anche se non in modo esplicito da Austin è che chiamare la nave con un nome diverso da quello che le è stato dato non funziona perché viola il vincolo normativo, sociale e istituzionale, prodotto dall’atto linguistico (Austin, 1962).

Chiamo questo tipo di eKcacia propria del mondo sociale e istituzio-nale “eKcacia normativa”. Atti sociali e intenzioni collettive sono imme-diatamente eKcaci dal punto di vista normativo: con il loro compiersi, producono immediatamente diritti, obblighi, impegni, permessi, autoriz-zazioni, vincoli ecc. Avanzo la tesi seguente:

(v) Tesi: L’agire proprio del mondo sociale e istituzionale è caratterizzato da un’immediata eKcacia normativa. Dobbiamo distinguere tra tale eKcacia norma-tiva e l’eKcacia causale del mondo &sico-naturale: eKcacia normativa vs. eKcacia causale.

7.2.5. Adempimento e azioni del mondo sociale

L’eKcacia normativa di atti sociali e di intenzioni collettive non deve poi essere confusa con l’agire, successivo ed eventuale, che soddisfa gli obbli-ghi, i diritti, gli impegni, i permessi e le autorizzazioni. Un conto è creare – attraverso atti sociali, intenzioni e decisioni collettive – obblighi, dirit-ti ecc. che costituiscono ragioni per l’agire; un altro conto è soddisfare e adempiere a tali obblighi, diritti ecc. attraverso l’agire pratico-fattuale. Rispetto al piano pratico-fattuale delle azioni che soddisfano gli obblighi, i diritti e gli impegni prodotti da atti sociali e da intenzioni collettive, gli atti sociali e le intenzioni collettive non sono direttamente eKcaci: lo sono

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16. Sul rapporto tra piano normativo e piano pratico-fattuale nell’intenzionalità sociale e in ontologia sociale, cfr. De Vecchi (2010). Znamierowski amplia il concetto di atto so-ciale sino a includere quello di azione sociale: atto sociale è ogni modi&cazione prodotta nell’ambiente sociale, e in questo modo confonde il piano normativo degli obblighi e dei diritti prodotti dal compimento di atti sociali con il piano pratico-fattuale delle azioni che li soddisfano, cfr. Znamierowski (1921).

soltanto indirettamente. Atti sociali e intenzioni collettive producono soltanto gli obblighi e i diritti che dovrebbero essere assunti dalle persone come ragioni per azioni (ragioni che sono indipendenti da desideri, non dimentichiamo!), ma i diritti e gli obblighi prodotti non sono né condi-zioni necessarie né condizioni suKcienti al compimento di azioni16. Sarà dunque valida la tesi seguente:

(vi) Tesi: Dobbiamo distinguere tra la produzione e l’assunzione di impegni, ob-blighi e diritti, proprie degli atti sociali e delle intenzioni collettive, da un lato, e il soddisfacimento e l’adempimento di tali impegni, obblighi e diritti, attraverso azioni, dell’altro. Distinguiamo quindi tra:piano dell’eKcacia normativa vs. piano dell’adempimento pratico-fattuale.

Questo punto deve essere ulteriormente precisato. Le azioni che compia-mo per soddisfare gli obblighi e i diritti creati da atti sociali e da intenzioni collettive sono azioni normativamente vincolate agli atti sociali e alle in-tenzioni di cui appunto adempiono gli obblighi, i diritti, i permessi, le au-torizzazioni ecc. Di conseguenza, pur non essendo prodotte da atti sociali e da intenzioni collettive, queste azioni costituiscono il naturale soddisfa-cimento del processo normativo e pratico, creato da atti sociali e da inten-zioni collettive ed esse sono così portatrici della normatività prodotta da atti sociali e intenzioni collettive. In altri termini, il nesso tra atti sociali e intenzioni collettive da un lato, e azioni di soddisfacimento dall’altro è un nesso speci&camente normativo come lo è il nesso tra atti sociali e inten-zioni collettive, da un lato, ed entità normative da essi prodotte dall’altro. Ma, a di[erenza di quest’ultimo, il nesso tra atti sociali e intenzioni da un lato, e azioni di soddisfacimento dall’altro, non costituisce una condizio-ne suKciente al compimento di tali azioni, e quindi non è un nesso nor-mativo immediatamente eKcace. Se fosse normativamente eKcace, non vi sarebbe la libertà di scegliere di adempiere un certo obbligo o di esercitare un certo diritto ecc. Ecco di nuovo il presupposto della “lacuna causale”

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17. Un’utile analisi di alcuni dei possibili gradi e modi della normatività è condotta da Zaibert-Smith (2006): non solo normatività eKcacemente immediata o mediata, ma an-che, per esempio, normatività del diritto positivo, normatività delle regole sociali, nor-matività delle regole regolative e costitutive ecc. Sulle regole costitutive e in generale sulla &loso&a del normativo cfr. i lavori di Conte (1990); Azzoni (1988); Di Lucia (2003); Lo-rini, Passerini Glazel (2012).

quale momento essenziale per l’esistenza della realtà sociale e istituzionale (cfr. par. 7.2.1). Avanziamo quindi la tesi seguente:

(vii) Tesi: Dobbiamo distinguere tra l’immediata eKcacia normativa di atti so-ciali e intenzioni collettive nei confronti di obblighi, diritti ecc. da un lato, e la mediata eKcacia normativa di atti sociali e intenzioni nei confronti delle azioni di soddisfacimento di tali obblighi, diritti ecc. dall’altro.

Questa tesi esprime inoltre l’esistenza di diversi gradi di normatività che caratterizzano l’agire proprio del mondo sociale e istituzionale: norma-tività immediata e mediata, a cui si aKanca una grande varietà di forme normative di diversa forza, dalla normatività convenzionale di certe regole sociali e di galateo, alla normatività eidetica di certe regole costitutive17...Veniamo ora alla tesi conclusiva:

(viii) Tesi: Il carattere essenziale di atti, comportamenti e azioni del mondo sociale e istituzionale risiede nella normatività propria del mondo sociale e istituzionale. Questa normatività può essere di gradi e intensità diverse, ma deve necessariamente essere presente aKnché vi sia realtà sociale e istituzio-nale. Non vi è mondo sociale, se non vi è normatività, ovvero se non vi è un sistema di doveri, diritti, obblighi, autorizzazioni, permessi ecc. il quale caratterizza in modo speci&co l’agire che crea e mantiene in essere il mondo sociale e istituzionale.

7.3. Sesso e genere, l’individuo al di là delle classi&cazioni

7.3.1. Bambini e intersessualità: dignità e diritto all’autodeterminazione dei pazienti

Che cosa accade quando un caso d’intersessualità si presenta alla nascita? Secondo il trattamento sanitario standard, se un bambino nasce con geni-tali ambigui, il sesso è assegnato chirurgicamente dai dottori. Con il con-