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ASSOCIAZIONE FILARMONICADI ROVERETO

XCVISTAgIONE DEI CONCERTI

2017-2018

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ASSOCIAZIONE FILARMONICA DI ROVERETO4

ASSOCIAZIONE FILARMONICA DI ROVERETOfondata da Pietro Marzani (1889-1974)

Presidente Luisa Canal

Vice Presidente Giuseppe Mocatti

Direttore Artistico Klaus Manfrini

Consiglieri Francesca Aste Alessandro Barcelli Chiara Brun Beatrice Festini Giovanni Giannini Flavio Martinelli Organizzazione generale Bianca Gaifas

Revisori dei conti Anna Gianmoena Carlo Guarinoni Maurizio Setti

Segreteria Bianca Gaifas

38068 Rovereto (TN) - Italia - Corso Rosmini, 78tel. e fax 0464·435255 - [email protected]

www.filarmonicarovereto.it

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“È classico ciò che tende a relegare l’attualità al rango di rumore di fon-do, ma nello stesso tempo di questo rumore di fondo non può fare a meno“ [...] “è classico ciò che persiste come rumore di fondo anche là dove l’at-

tualità più incomparabile la fa da padrona”. *

Sulla scorta di queste osservazioni di Italo Calvino ci accingiamo a dare inizio alla 96ma Stagione dei Concerti dell’Associazione Filarmonica di Rovereto,

con profonda gratitudine e stima per quelli che hanno permesso di animare e sostenere la vita culturale di Rovereto. Un pensiero affettuoso in particolare va a Mariano Andreolli, che per quarant’anni, in qualità di Direttore Artistico, ha messo a disposizione la sua passione, le sue conoscenze e la sua vastissima cultura: ci onora la sua amicizia, e ci conforta sapere di poter sempre trovare presso di lui un consiglio utile e avveduto. Guardiamo indietro alla tradizione della musica che tutti noi amiamo, che sfidando i secoli torna ad emozionarci ogni sera, portandoci davanti agli occhi - anzi, alle orecchie - la parte più vera e profonda del nostro essere umani. guardiamo avanti alle sfide che quest’epoca e questa società ci propongono, e anche a quelle che ci impongono: da una parte ci propongono di trovare nuove vie per rivitalizzare riti antichi e portare davanti a nuove orecchie repertori tradizionali e consolidati; dall’altra parte ci impongono di confrontarci con una contemporaneità che per sua natura si nutre di velocità e superficialità. Consci del valore e dell’irrinunciabilità dell’offerta culturale che proponiamo, abbiamo deciso di investire il meglio delle nostre energie e delle nostre risorse per favorirne la massima diffusione: a partire da un programma ben studiato e articolato di Concerti per le scuole, per proseguire con la valorizzazione dei gio-vani talenti musicali attraverso gli Incontri di musica giovane, e infine favorire feconde sinergie con gli operatori culturali che condividono la nostra passione, Scuole Musicali e Biblioteca. Fiore all’occhiello e nostro orgoglio, la Stagione dei concerti quest’anno ci permetterà di attraversare cinque secoli di storia della musica, da Monteverdi ai compositori di oggi, accompagnati da esecutori di fama e giovani promesse che quest’anno potremo conoscere più da vicino grazie ad una serie di Incontri con gli interpreti. Convinti, sempre assieme a Calvino, che un classico “non ha mai finito di dire quello che ha da dire”.

Direttore Artisticoprof. Klaus Manfrini

_____________* Italo Calvino “Perché leggere (ascoltare) i classici” - Oscar Mondadori, 1995

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I CONCERTI

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TEATRO ZANDONAIgIOVEDÌ 26 OTTOBRE 2017 - ORE 20.45

ALBERTO FERRO pianoforte

Ludwig van BEETHOVEN Sonata n. 6 in fa maggiore op. 10 n. 2 (1770-1827) Allegro Allegretto Presto

Felix MENDELSSOHN Variations sérieuses in re minore op. 54 (1809-1847) Tema 17 variazioni

Robert SCHUMANN gesänge der Frühe op. 133(1810-1856) Im ruhigen Tempo Belebt, nicht zu rasch Lebhaft Bewegt Im Anfange ruhiges, im Verlauf bewegtes Tempo

Ferenc LISZT Rapsodia ungherese n. 12 in do # minore(1811-1886)

Dmitrij ŠOSTAKOVIČ Sonata n. 1 op. 12(1906-1975) Allegro Lento Allegro

ore 18.30

MOmenti MUsicali incontri con gli interpreti:Alberto Ferro

segue momento conviviale

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ASSOCIAZIONE FILARMONICA DI ROVERETO10

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Nato a gela nel 1996, Alberto Ferro ha tenuto il suo primo recital all’età di 13 anni. Nel 2014 ha conseguito il Diploma con il massimo dei voti e la lode presso l’Istituto Superiore di Studi Musicali “Vincenzo Bellini” di Cata-nia. Ha frequentato numerosi corsi di perfezionamento con pianisti di fama internazionale, quali Janina Fialkowska, Dina Yoffe, Leslie Howard, Richard Go-ode, Jörg Demus e Vladimir Ashkenazy.Tra i numerosi premi vinti in concorsi nazionali ed internazionali spiccano: il 2° premio al “Città di Verona” (2014) e al “Carl Nielsen” di Århus, Danimar-ca (2015); il 2° premio, il premio del pubblico e il premio per il più giovane finalista italiano all’”Arcangelo Speran-za” di Taranto (2015); il 2° premio, il premio della critica e il premio speciale Haydn al “Ferruccio Busoni” di Bolzano (2015); il 1° premio al “Premio Venezia” (2015); il 6° premio e il premio del pubblico al “Regina Elisabetta” di Bru-xelles (2016); il premio come finalista e il premio Children’s Corner al “Clara Haskil” di Vevey (2017).Ha tenuto concerti per importanti asso-ciazioni e festival italiani ed europei esi-bendosi in prestigiose sale da concerto. Per due anni consecutivi ha ricevuto la Medaglia della Camera dei Deputati come riconoscimento al suo talento artistico, e per i successi riportati nel corso degli ultimi anni in prestigiose competizioni pianistiche internazionali. Dal 2015 è uno degli artisti sostenuti dal CIDIM, Comitato Nazionale Italiano Musica. Nel 2016 è stato ingaggiato per tenere una serie di concerti in Belgio.Attualmente svolge un’intensa attività concertistica anche come camerista: dal 2016 collabora con il violinista Gennaro Cardaropoli.

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ASSOCIAZIONE FILARMONICA DI ROVERETO12

NOTE AL PROGRAMMA

Un soffio, una celia, una risatina cortese. È un umorismo educato ed elegante quello che pervade questa giovane sonata di Ludwig van Beethoven, l’opera 10 n. 2. L’artico-lazione della tecnica pianistica, quelle note che corrono veloci sulla tastiera con legge-rezza nei movimenti esterni, ricorda lo stile di Haydn, mentre il cuore del secondo tempo anticipa la strada che percorse Schubert, con un’intimità sublime. Ma Beethoven è altro e come nessun altro, né epigono, né suggeritore. Beethoven è graffiante ed ardito anche in una piccola pagina, come questa breve sonata. Nella frase più ovvia, nella simmetria più semplice, nel contrappunto più chiaro, succede qualcosa di diverso, di nuovo. La musica è percorsa da una forza, un’energia che freme sotto traccia, dall’in-terno, e che muove verso nuove scoperte, nuovi timbri della tastiera. E quando meno te l’aspetti esce uno sforzato, una pausa, un segno di quel sentimento eroico e ribelle che incarnò Ludwig. Se questa sua verve fu intesa al tempo come bizzarria, ben si con-fece il dono che ricevette dal conte Johann george von Browne, alla cui consorte venne dedicata nel 1798 la raccolta delle tre sonate dell’op. 10, ossia un cavallo da equitazione. Senza dubbio il nostro compositore aveva apprezzato maggiormente la tabacchiera aurea colma di monete d’oro ricevuta solo due anni prima dal re di Prussia, e per questo si dimenticò totalmente del regalo donato dal conte fino a quando, si racconta, non ricevette un salatissimo conto per la biada del cavallo. Le Variations sérieuses di Mendelssohn, composte dall’autore a Lipsia nel 1841, of-frono all’ascoltatore un’esperienza interes-sante, si prestano cioè ad essere attraversate come una visita guidata ad un museo che racconta l’evoluzione della tecnica pianisti-ca, dal Cinquecento al secolo decimo nono.

Servendosi di un genere musicale consolida-to – il tema e variazioni – l’autore esplora la tastiera utilizzando le tecniche imparate dai maestri, sul pianoforte come sull’organo, per arrivare a crearne una nuova, che le riassume e le traghetta nel secolo romantico. Tutto ha inizio da un corale di respiro bachiano (non dimentichiamo che proprio a Mendelssohn si deve la rivalutazione nel 1800 del grande autore), dove regna la polifonia e l’uso del pedale organistico nei bassi della mano sini-stra (var. 1, 8, 9). Ritroviamo la brillantezza digitale di Scarlatti (var. 4) come la solidità degli accordi e delle ottave di Czerny (var. 3, 6), per arrivare alla possenza della tec-nica del peso di Beethoven (var. 7). Con la variazione n. 10 abbandoniamo la prima sala del museo e passiamo alla seconda. Si tratta infatti di una pagina di transizione al secolo nuovo, l’Ottocento, attraverso un tema intimo, costruito su un intenso legato, che si sbilancia sul tempo debole della bat-tuta, elemento già sentito nel Tema iniziale e che contraddistinguerà tutta l’opera 54. Da qui in poi la musica è slancio ed introspe-zione, ossia il palpito romantico pervade i pentagrammi, ora con lirismo (var. 11, 14) ora con impeto selvaggio (var. 12, 16, 17 e Presto finale), adoperando con sapienza tutte le tecniche della tastiera fin lì esplorate. Le ultime battute ci accompagnano all’uscita del museo nel modo principe: in silenzio, nella meditazione. Variazioni “serie” di un compositore la cui produzione musicale trasuda positività, mai attraversata dalle nuvole del turbamento. Eppure, in queste pagine, un Mendelssohn trentunenne disvela il suo lato inquieto.Il carattere ieratico di un corale apre anche il ciclo di Schumann che raccoglie cinque pezzi brevi sotto il titolo Gesänge der Frühe (Canti del mattino). La complessità musicale di quest’opera è stata spesso attri-

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buita al momento in cui è stata composta, l’ottobre del 1853, ossia solo cinque mesi prima di quell’evento tragico, interpretato come un tentativo di suicidio, che portò Schumann a trascorrere gli ultimi anni della sua vita in una casa di cura mentale. Senza volerne forzare l’interpretazione con lo sguardo dei fatti biografici che seguirono, la musica di Schumann esprime con chia-rezza semplicemente l’evoluzione di un percorso stilistico che già era cominciato anni addietro, ossia un’articolazione di pensiero dualistica (il sensibile Eusebio contro l’impetuoso Florestano) o comunque pluralistica (dall’apollineo Maestro Raro a tutti quei personaggi fantastici che abitavano emotivamente la sua musica) che rendeva la scrittura complessa e non lineare, e proprio per questo meravigliosamente romantica. Il percorso di frammentazione caleidoscopica appena spiegato è riassunto nel secondo pez-zo: instabile, fluttuante, interrogativo, rinun-ciatario. Nel terzo pezzo Schumann rialza la testa, utilizzando il ritmo puntato tipico del suo animo orgogliosamente selvaggio, ma la direzione discendente della chiusa, come quella della voce interna del quarto pezzo, danno una connotazione malinconica alla luce fredda del sole del mattino. Ma la tenerezza, in questo vaso di Pandora, arriva alla fine, nell’ultimo pezzo, quale consola-zione della notte buia, speranza di un giorno nuovo che sorge. Assai distante da queste atmosfere schu-manniane è la Rapsodia Ungherese n. 12 di Liszt, pur essendo stata composta sei anni prima, nel 1847, e pubblicata esattamente nel 1853. Sebbene attinga similmente alla malinconia, qui il sentimento è espresso in modo appassionato ed estremo nella rielaborazione di temi tzigani e attraverso un virtuosismo pianistico funambolico. Per il compositore, francese d’adozione ma un-gherese per nascita, erano queste le melodie popolari della propria patria, in un comune

fraintendimento che venne chiarito più tardi, nel Novecento. Solo allora Bartòk e Kodaly, spinti da interessi etnomusicologici, riscoprirono e recuperarono la vera musica tradizionale ungherese. Questa rapsodia, una delle diciannove composte da Liszt tra gli anni ’40 e gli anni ’80 dell’Ottocento, è dedica al grande violinista ungherese Joseph Joachim. Il carattere rapsodico la fa incedere tra episodi solenni e drammatici e momenti travolgenti ed esplosivi, in cui nessuno al pari di Liszt sapeva esprimere la potenza orchestrale del pianoforte, con le mani che raggiungono la velocità incredibile delle bacchette del cymbalom, strumento a corde tipico dell’Europa centro-orientale. Di tecnica lisztiana, così definita per la dif-ficoltà esecutiva, è anche la Prima Sonata di Šostakovič, composta alla fine del 1926. Il fatto che l’autore, giovane concertista ventenne, si dedicò alla scrittura di questo brano tra l’esecuzione del Primo Concerto di Čajkovskij (S. Pietroburgo, luglio 1926) e quella del Primo Concerto di Chopin (Mosca, gennaio 1927, per le selezioni alla 1° edizione di quello che divenne uno tra i concorsi pianistici più prestigiosi, lo “Cho-pin” di Varsavia) non deve trarci in ingan-no. La musica, assai aspra e dissonante, è completamente differente dal romanticismo europeo ed è rivolta verso il modernismo russo, vicina a Prokof’ev ma già con un suo stile personale. Tecnicamente impegnativa, si racconta che quando l’autore ne diede una prima esecuzione agli amici nelle aule del Conservatorio di Leningrado, macchie di sangue rimanessero sulla bianca tastiera. Scritta in un solo movimento, ma divisa in tre parti (se ne riconosce chiaramente una sezione centrale dal carattere più lirico) fu ri-conosciuta in seguito dallo stesso Šostakovič come un punto di svolta nel suo stile com-positivo, una vera e propria dichiarazione d’indipendenza contro l’accademismo. Monique Ciola

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SALA FILARMONICA MARTEDÌ 31 OTTOBRE 2017 - ORE 20.45

BONPORTI ANTIQUA ENSEMBLEConservatorio di Musica “F.A. Bonporti” di Trento e Riva del Garda

CLASSE DI CANTO RINASCIMENTALE E BAROCCOdocente Lia Serafini

Federico Fiorio, Alice Fraccari, Giulia Seganfreddo sopraniMarta Redaelli mezzosoprano

Mattia Culmone, Paolo Davolio, Roberto Zangari tenoriNiccolò Porcedda baritono

Lorenzo Ziller basso

CLASSE DI FLAUTO DOLCEdocente Livia Caffagni

Cecilia Massenzana, Costanza Rosa Mongioì flauti

Pietro Prosser, Alessandro Baldessarini, Eddy Serafini liuto, arciliuto e tiorba

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«Il Monteverdi virtuoso»

Claudio MONTEVERDI Interrotte speranze TT, b.c. (1567-1643) da: Concerto. Settimo Libro de Madrigali testo: giovan Battista guarini

Volgendo il ciel SSTQB, 2 fl, b.c. da: Madrigali guerrieri et amorosi [...] Libro ottavo testo: Ottavio Rinuccini

O mio bene, o mia vita TQB, b.c. da: Madrigali e canzonette [...] Libro nono

Tirsi e Clori - Ballo concertato con voci e istrumenti ... SSATB da: Concerto. Settimo libro de madrigali testo: Alessandro Striggio

Stefano LANDI Canzona a 3 detta la Alessandrina (1587-1639) per 2 liuti e tiorba

Claudio MONTEVERDI Zefiro torna SS, b.c. da: Scherzi musicali testo: Ottavio Rinuccini

Vago augelletto SSATTQB, 2 fl, b.c. da: Madrigali guerrieri et amorosi [...] Libro ottavo testo: Francesco Petrarca

Chiome d’oro SS, 2 fl, b.c. canzonetta a 2 voci concertata da duoi violini chitarone o spinetta da: Concerto. Settimo libro de madrigali

Hor che ‘l cielo e la terra SSATQB, fl, b.c. da: Madrigali guerrieri et amorosi [...] Libro ottavo testo: Francesco Petrarca

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Il Conservatorio “Francesco Antonio Bonporti” di Trento da anni è impegnato nella produzione di concerti e festival con il contributo dei suoi artisti docenti e con gli studenti, per i quali il lavoro di approfondi-mento didattico si correla spesso a concreti momenti di concerto. Sempre più quest’atti-vità si realizza in termini strutturati, per cicli di iniziative e manifestazioni complesse, come festival e rassegne, accompagnandosi a momenti di approfondimento culturale

e musicologico, in termini di conferenze, seminari, convegni.L’intensa attività di produzione artistica per-mette al Conservatorio sia di offrire ai propri studenti delle esperienze preparatorie alla carriera concertistica, alla pratica orchestrale ed alla gestione del rapporto con il pubblico, sia per svolgere attività divulgativa e offrire alla comunità trentina eventi musicali, spet-tacoli, rassegne concertistiche, momenti di svago e occasioni di crescita culturale oltre

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che la possibilità di vedere all’opera i gio-vani e motivati musicisti.Nel Conservatorio di Trento è attivo il Di-partimento di Musica Antica, cui afferiscono illustri personalità nel campo della prassi esecutiva e dell’esecuzione storicamente informata. Uno degli scopi del Dipartimento è infatti formare giovani musicisti e cantanti specializzati nella prassi esecutiva della mu-sica dei secoli compresi tra il Rinascimento ed il Barocco. All’interno del Dipartimento

si svolge perciò un’intensa attività di musica solistica e da camera con il gruppo Bonporti Antiqua Ensemble che ha partecipato a importanti festival regionali quali Trento Musicantica e il Festival di Musica Sacra, l’International Meeting for Choral Con-ductors, il convegno a Rovereto sui testi del Petrarca (dove ha presentato un ricco programma di madrigali e frottole), e con concerti vivamente apprezzati a Cremona, Brescia e Reggio Emilia.

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NOTE AL PROGRAMMA

Il 2017 sta volgendo al termine, e anche l’Associazione Filarmonica di Rovereto si unisce al coro delle celebrazioni montever-diane per ricordare i 450 anni dalla nascita del grande compositore cremonese, e lo fa con un concerto che intende mettere a fuoco un aspetto particolare della sua amplissima produzione, ovvero quello dei ‘madrigali virtuosi’. Monteverdi raccolse l’eredità di madrigalisti come Willaert, Wert, Rore, Marenzio o ge-sualdo, portandone l’arte alle estreme conse-guenze. Là dove i suoi predecessori avevano esplorato ogni piega della possibilità espres-sive della musica senza uscire dalle regole del buon contrappunto, Claudio, con la forza data dalla piena consapevolezza estetica e tecnica del proprio operato, dichiarò la ne-cessità per la musica di mettersi al servizio della poesia e delle sue esigenze espressive: nasceva la “seconda pratica”, quella che rivoluzionò l’attitudine compositiva della sua epoca. I suoi primi tre libri di madrigali (1587, 1590, 1592), a 5 voci, sono nel solco della tradizione; il quarto (1603) e il quinto (1605) iniziano il processo di rottura, adot-tando, in nome delle esigenze espressive, una libertà di comportamento nei confronti delle regole canoniche che molto infastidì i conservatori. Nel Quinto libro compare il basso continuo, che ritroviamo anche nel Sesto libro (1614). Nel frattempo il “Divino Claudio” si era anche imposto nel panorama teatrale dell’epoca: l’Orfeo (1607) aveva splendidamente realizzato a Mantova le idee del circolo fiorentino che qualche anno prima aveva ‘inventato’ l’opera.Dopo un percorso certamente innovativo ma in qualche modo graduale all’interno di un genere ancora ben delineato come il madrigale polifonico, gli ultimi libri di ma-

drigali (da cui sono tratti quasi tutti i brani in programma) risultano sorprendenti: come scrive Paolo Fabbri, “contenuti e scrittura tradizionali deflagrano definitivamente, lasciando spazio a una molteplicità che, nell’VIII, si coniuga con la monumenta-lità”. La ricerca, qui, supera i confini del genere: le ultime antologie non esplorano più il madrigale in sé, ma sotto questo titolo raccolgono anche “altri generi de canti” e intendono proporre, più ampiamente, uno scavo a tutto tondo del tema che più stava a cuore a Monteverdi, ossia il rapporto tra il testo e la musica.

Il Concerto. Settimo libro de madrigali, pubblicato a Venezia nel 1619, contiene “madrigali a 1, 2, 3, 4 e sei voci, con altri generi de canti”: per la prima volta il com-positore evita proprio il madrigale a cinque, introduce accanto al già sperimentato basso continuo altri elementi strumentali, e racco-glie in un’unica silloge una serie di lavori eterogenei: arie, canzonette, brani “in stile rappresentativo” e finanche un balletto, Tirsi e Clori. ll titolo “concerto indica sia l’ado-zione di uno stile ‘concertato’ nei singoli brani, sia la varietà dei contenuti: un ‘con-certo’, un conglomerato di generi diversi (non privo di logica, tuttavia).Da questo libro sono tratti Interrotte spe-ranze, che apre il programma del Bonporti Antiqua Ensemble, Tirsi e Clori, che chiu-de la prima sezione, e Chiome d’oro: una piccola antologia che testimonia la varietà del libro monteverdiano. Il primo brano è affidato a due tenori e basso continuo. Il testo è un sonetto di guarini, di cui Monteverdi segue la struttura formale organizzando l’intonazione con grande chiarezza, con una netta distinzione tra le due quartine e le due

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terzine conclusive. I due tenori sono la voce di un unico “io” parlante: così il composi-tore privilegia, pur nella scrittura a due, un andamento che mantiene le voci vicinissime e parallele, increspando la melodia, dove il testo lo richiede, con dissonanze anche aspre ma sempre funzionali all’espressio-ne. Le due parti iniziano all’unisono, per dilatare poi gradualmente lo spazio sonoro spingendo soprattutto il tenore primo verso l’acuto; prima e seconda strofa utilizzano lo stesso materiale musicale, adattandolo per farlo aderire al testo. La prima terzina varia la melodia invertendone la direzione; è però la seconda a sorprendere. Per la prima volta le due voci si dividono, e Monteverdi riorga-nizza il testo creando l’espressione “Questi, donna crudel”, che non esiste in quest’ordine nel testo, e affidandola ad un botta e risposta tra i due tenori: un bell’esempio delle possi-bilità di un’interpretazione non meccanica del rapporto testo-musica. Solo dopo aver ripetuto due volte questa inserzione, le due voci riprendono l’andamento precedente e concludono il pezzo. Chiome d’oro (nella seconda sezione del programma) è un duetto di tutt’altro genere. Monteverdi la definisce “canzonetta a 2 voci concertata da duoi violini chitarone o spinet-ta”: l’intonazione è affidata perciò alle due voci accompagnate da strumenti. L’inizio, con un’infilata di brevi e vivaci ritornelli strumentali, chiarisce immediatamente il ruolo importante che avranno nel corso del pezzo, quando concerteranno con le voci intercalandosi alle veloci strofe del testo. I due soprani, anche qui incaricati di dar voce all’ “io” poetico, scorrono inesorabilmente in parallelo, con una linea melodica e con qualche accenno di virtuosismo a imitazione dei moduli degli strumenti.Tirsi e Clori, “Ballo concertato con voci et istrumenti a 5”, chiude il Concerto e

suggella qui la prima sezione vocale; scrit-to per Mantova nel 1616, prevede come introduzione il dialogo tra i due pastori, Tirsi e Clori, che descrivono alternandosi la scena del ballo che si sta preparando. Monteverdi prescrive che ciascuno abbia il proprio strumento di accompagnamento; nell’ultima strofa il dialogo si fa più stretto e le voci si uniscono, esortando alla danza e magnificando il ballo. “Segue il ballo a 5 con istrumenti e voci, concertato e adagio”: così nella partitura si introduce la sezione polifonica, che rappresenta il balletto vero e proprio. Qui le voci si combinano in vario modo, secondo le abitudini tipiche della scrittura a 5 parti, dando luogo a sezioni imi-tative, duetti, terzetti, quartetti e quintetti. La danza scorreva sul testo cantato proponendo una serie di variazioni.

Molti anni dopo, nel 1638, Monteverdi diede alle stampe i Madrigali guerrieri et amorosi [...] Libro ottavo, antologia pure molto varia, dedicata a Ferdinando III d’Asburgo. Sem-pre tre sono i brani tratti da questa raccolta. Volgendo il ciel per l’immortal sentiero se-gue nel libro il celeberrimo Combattimento di Tancredi e Clorinda, e chiude la sezione dei canti guerrieri; costituisce l’introduzio-ne del ballo successivo, affidata a un tenore solo (“Poeta”); il ballo (Movete al mio bel suon le piante snelle) è a cinque voci. La partitura è ricca di indicazioni: i ritornelli strumentali sono funzionali al “passeggio” del cantante, e durante il pezzo ci sono didascalie che chiariscono alcuni elementi riferiti all’azione e al ballo; quest’ultimo è in due sezioni inframmezzate, secondo le indicazioni, da un “canario, o passo e mezzo od altro balletto, a beneplacito senza canto”.Anche Hor che ‘l cielo e la terra appartiene ai canti guerrieri: qui è sempre sorprendente la capacità monteverdiana di dipingere con

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la musica le immagini testuali, con un’im-mediatezza tale da poter essere colta anche da un ‘profano’. Dal declamato polifonico iniziale che illustra perfettamente il calar della notte descritto dal testo, al motivo nervoso, costellato di pause, a cui è affidato il contrastante sentimento del protagonista parlante, al richiamo allo stile concitato per le parole “guerra è il mio stato”, alla forte contrapposizione con la pace evocata in conclusione, tutto il madrigale è reso con aderenza piena al testo e profonda coerenza musicale, in un equilibrio perfetto tra parola e gesti musicali.Vago augelletto che cantando vai compare nella sezione dei canti amorosi, ed è concer-tato con strumenti; anche qui l’aderenza alla poesia è pienamente evidente, e Monteverdi utilizza le possibilità offerte dall’ampio or-ganico per giocare sull’alternanza tra solo e tutti o tra duetto e tutti. La metafora canora aiuta di certo nell’invenzione di alcune specifiche idee musicali.

Il celeberrimo e virtuoso duetto Zefiro torna e di soavi accenti (dagli Scherzi musicali del 1632) offre ancora una diversa inter-pretazione del rapporto tra due voci, qui in gara virtuosistica tra loro su un basso di ciaccona, un ‘ostinato’, ovvero un motivo che si ripete ossessivamente. L’improvvisa

interruzione del flusso del basso nel momen-to in cui cambia l’atmosfera espressiva del testo (“Sol io per selve abbandonate e sole”) coglie l’ascoltatore di sorpresa ma lo aiuta a calarsi nel tormento poetico; la ciaccona ritorna per sostenere il contrasto finale tra “hor piango” e”hor canto”.Dall’antologia postuma intitolata Madrigali e canzonette [...] Libro nono è tratto il ter-zetto O mio bene, o mia vita, una canzonetta anacreontica in tre strofe; il genere è leggero, e la presenza nella raccolta confezionata dall’editore veneziano Alessandro Vincenti testimonia il gusto della Serenissima dopo la morte di Monteverdi, più incline ad ap-prezzare i lati piacevoli e di intrattenimento della sua produzione che non quelli legati alla complessità della ricerca artistica del suo ultimo grande libro di madrigali.

Le due parti che costituiscono il programma vocale sono separate da un pezzo strumenta-le del compositore romano contemporaneo di Monteverdi Stefano Landi; nella Can-zona a 3 detta la Alessandrina i due liuti e la tiorba (strumento della stessa famiglia) che sostengono tutto il concerto nel ruolo del basso continuo trovano il modo di farsi apprezzare anche come solisti.

Angela Romagnoli

ROVERETO - VIA BENACENSE, 11/B - TEL. 0464·[email protected]

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SALA FILARMONICA MERCOLEDÌ 15 NOVEMBRE 2017 - ORE 20.45

IL DUO ALTERNOTiziana Scandaletti soprano

Riccardo Piacentini pianoforte e foto-suoni&

Daniela Cammarano violinoDavide Vendramin bandoneon

«CLASSIC TANgO»

Bruno MADERNA (1920-1973) Sérénade

Igor STRAVINSKIJ (1882-1971) Tango

Kurt WEILL (1900-1950) Youkali - Tango - Habanera

Erik SATIE (1866-1922) Le Tango

Mauricio KAgEL (1931-2008) Tango Alemán

Gija KANČELI (1935) Statt eines Tangos

Riccardo PIACENTINI (1958) Tan-go!

Franco PIERSANTI (1950) Montalbano noir

Astor PIAZZOLLA (1921-1992) Michelangelo 70 Sentido unico Vuelvo al Sur

Ennio MORRICONE (1928) Tangodedicato al Duo Alterno e al Quartetto Classic Tango, prima esecuzione assoluta

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Il Duo Alterno, dal suo debutto a Vancouver nel 1997 a oggi, ha portato la musica con-temporanea italiana in oltre cinquanta Paesi di cinque continenti. Definito dal Washington Post «the duo with a big voice and a fine sense of comedic timing», dal Los Angeles Ti-mes «the high theatrics Duo with a strong personality», dal Sub-Saharan Informer «il duo delle meraviglie», dalla Repubblica «il duo che dà voce (e piano) al Novecento italiano», da l’Hindu di Chennai «un’esperienza elettrizzante», ha al suo attivo diciotto CD, tra cui quattro monografici con prime incisioni di Ghedini, Casella e Alfano e la raccolta La voce contemporanea in Italia - voll. 1-6, con brani, spesso loro dedicati, di Abbado, Andrini, Battistelli, Berberian, Berio, Bortolotti, Bosco, Bussotti, Cage, Cattaneo, Clementi, Colla, Corghi, Dallapiccola, Donatoni, Esposito, Ferrero, gentile, giuliano, guarnieri, Landini, Lombardi, Maderna, Manzoni, Morricone, Mosso, Nono, Petrassi, Pinelli, Scelsi, Sciarrino, Solbiati, Vacchi). Di natura sperimentale il lavoro di ricerca sulla “foto-musica con foto-suoni” per sonorizzazioni museali, di cui l’ultimo per la Reggia di Venaria Reale. I tour del 2015/17 hanno visto il Duo a Helsinki, Stoccolma, Bratislava, Hong Kong, Pechino, Strasburgo, Baku, Singapore, Jakarta, Bangkok, Copenhagen, Stoccarda, Amburgo, Ber-lino, Ankara, Maracay, Caracas, Antigua, São Paulo, Algeri, Tokyo, Nara, graz, Colonia, Wiesbaden, Monaco. Tiziana Scandaletti insegna Musica vocale da camera al Conservatorio Nicolini di Piacenza, Riccardo Piacentini Composizione al Conservatorio Verdi di Milano.

Daniela Cammarano, diplomata a pieni voti e laureata con lode al Conservatorio Verdi di Milano, ha studiato con gigino Maestri, Shlomo Mintz, Massimo Quarta, Marco Riz-zi, William Nabore, günther Pichler. Ha vinto ed ottenuto numerosi riconoscimenti in importanti concorsi nazionali e internazionali. Protagonista in prestigiose sale e teatri sia in Italia, in Europa, in America del Nord e del Sud, Asia, si è confermata come violinista di ampie prospettive, con un’intensa attività solistica (diretta Kuhn, Rath, Frisina, Bujuc e altri), cameristica (con il Quartetto di Fiesole e con Lucchesini, Bogino, De Maria; e orchestrale (Teatro La Fenice, Sinfonica RAI; in qualità di prime parti Teatro Lirico di Cagliari, S. Carlo di Napoli, Filarmonica della Scala, Opera di Roma, Sinfonica Siciliana), in altre formazioni collabora con personalità di rilievo quali Pieranunzi, Fiore, Carbonare, gulda, gazeau, Andaloro, Braconi, Canino, Bronzi). Dal 2009 suona in Duo col pianista Alessandro Deljavan, incidendo per Brilliant Classics, AEVEA, ecc. Dedicatasi anche alla musica contemporanea ha collaborato con Maldonado Torres, Angius, Chiarappa, gardella, che le ha dedicato un concerto eseguito in prima assoluta in Sala Verdi a Milano. Ha inciso per Stradivarius e SonArt. Unisce all’attività concertistica quella didattica, ora docente di Violino al Conservatorio Trapani, tenendo anche masterclass per Conservatori ed Accademie.

Davide Vendramin fisarmonicista e bandoneonista, ha compiuto gli studi musicali al Conservatorio di Pesaro, all’Università di Torino e all’ Hochschule der Künste di Berna (Svizzera). Si è esibito nelle sale e per i più prestigiosi festival europei. Come solista ha suonato con l’Orchestra Sinfonica giuseppe Verdi di Milano, l’Orchestra Sinfonica Nazio-nale della Rai di Torino e l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia di Roma eseguendo, in prima nazionale, lavori per fisarmonica e orchestra di Sciarrino e Gubajdulina.

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NOTE AL PROGRAMMAMaderna, Stravinskij, Weill, Satie, Kagel... Basterebbero questi cinque nomi a evi-denziare come il tango – dai bassifondi di Buenos Aires agli eleganti salotti europei del primo anteguerra, fino alle più blasonate programmazioni concertistiche – abbia vis-suto e viva tuttora una storia progressiva che ha a dir poco del prodigioso, archetipo di un meticciato artistico che pare non conoscere fine né confini, e con quali risultati!Naturalmente c’è anche, e si potrebbe dire soprattutto, Astor Piazzolla, di origini rigoro-samente italiane, che si colloca su un crinale che, per quanto travolgente e al tempo stesso sofisticato, più “tanghero” e popolare (in tutti i sensi) non potrebbe essere.La sorpresa sta dunque nel come artisti di estrazione inequivocabilmente “colta”, Weill incluso, si siano appropriati di un genere e di una forma di pensiero che si presume a loro inizialmente estranea. Enrique Santos Discépolo, paroliere di Carlos Gardel, definì il tango «un pensiero triste che si balla». In questa definizione si coglie tutta la sfida a cui cinque autori così diversi si sono prestati: un pensiero “altro”, anzi una vera e propria filo-sofia di vita e di arte; ma anche un pensiero triste, intriso di irriducibile nostalgia; e un pensiero che è musica e danza insieme, né può esistere in alcun modo come solo musica né come sola danza.Stravinskij, in una delle sue interviste con Robert Craft, sosteneva che la musica tonale

è tutta e senza eccezione musica di danza. Splendida e graffiante osservazione. In ciò il tango è musica tonale per eccellenza, ma “altra” e, in più, triste. Due irresistibili ragioni di fascino.Il programma presenta inoltre quattro lavori di autori viventi che si contrappuntano ai sei di cui si è detto: sono quelli che includono i nomi di Ennio Morricone, qui presente con una prima assoluta di una versione da lui stesso firmata per il Quartetto Classic Tango di uno dei suoi più celebri tanghi (dal film di Elio Petri “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto”); del compositore transcaucasico gija Kančeli, ora residente in Belgio, personalità eclettica che ama mesco-lare elementi di matrice tonale e/o popolare a una dichiarata concezione di tipo narrativo-cinematografico; del compositore romano Franco Piersanti, noto per la sua colonna sonora de Il commissario Montalbano di cui il programma presenta il tango Montalbano noir in una versione originale per violino, bandoneon e pianoforte; e di chi scrive queste note, che qui rivive in chiave criptica ma non tanto, e con uso di “foto-suoni” registrati in Plaza de Mayo a Buenos Aires e in quel luogo magico e sperduto dell’Uruguay che sono le coste atlantiche della Pedrera, alcuni dettagli sottilmente intrisi di tango della Sérénade di Maderna proposta in apertura di concerto.

Riccardo Piacentini

Accompagnato dalla Verdi di Milano, ha suonato la Misa Tango per soli, bandoneon, coro e orchestra di Bacalov diretta dal compositore stesso. Ha collaborato inoltre con la Mahler Chamber Orchestra, la Berner Symphonie Orchestre, l’Orchestra della Svizzera italiana di Lugano, la Haydn di Bolzano e Trento, quella del Teatro La Fenice di Venezia, ecc. Con la Verdi di Milano diretta da giuseppe grazioli e l’Orchestra della Svizzera italiana di Lugano diretta da Dennis Russell Davies ha partecipato all’incisione dell’integrale delle opere per orchestra di Nino Rota per DECCA e di Chemins V di Luciano Berio per ECM. Insegna Fisarmonica al Conservatorio di Vicenza.

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SALA FILARMONICA VENERDÌ 1 DICEMBRE 2017 - ORE 20.45

GIULIO TAMPALINI chitarra

Joaquín RODRIgO Tiento Antiguo(1901-1999) Tres piezas españolas Fandango Passacaglia Zapateado Adagio dal Concierto de Aranjuez

Toccata

Francisco TÁRREgA Capricho Arabe(1852-1909) gran Vals

Adelita - mazurka

Marieta - mazurka

Recuerdos de la Alhambra

Fantasia sobre la Traviata de Verdi

Variaciones sobre el Carnaval de Venecia de Paganini

ore 18.30

MOmenti MUsicali incontri con gli interpreti:giulio Tampalini

segue momento conviviale

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NOTE AL PROGRAMMA

Giulio Tampalini è oggi uno dei più carismatici chitarristi classici europei. Vincitore del Premio delle Arti e della Cultura nel 2014, si è imposto in alcuni dei maggiori concorsi, a cominciare dal primo premio al Concorso Internazionale “Narciso Yepes” di Sanremo (presidente della giuria Narciso Yepes), al T.I.M. di Roma nel 1996 e nel 2000 al “De Bo-nis” di Cosenza, fino alle affermazioni al “Pittaluga” di Alessandria, al “Fernando Sor” di Roma e al prestigioso “Andrés Segovia” di Granada. Tiene concerti da solista e accompagnato da orchestre sinfoniche in tutta Italia, Europa, Asia e America (Teatro La Fenice Venezia, Parco della Musica Roma, Shubert Theatre Tremont Boston, Teatro Renascença Porto Alegre, Ithaca College New York, Qintai grand Theatre Wuhan, Nadine Chaudier Thetare Avignon FRANCE, Musée international de la Croix-Rouge genève, Salle Jacques Huisman Théâtre National Bruxelles, ecc). Tra le sue numerose collaborazioni si ricordano quelle con le prime parti dell’Orchestra del Teatro alla Scala di Milano. La registrazione delle opere complete per chitarra di Francisco Tárrega gli è valso il premio con la Chitarra d’Oro al Convegno Internazionale di Chitarra di Alessandria come Miglior disco dell’anno. Ha pubblicato inoltre, su CD, il Concierto de Aranjuez di Joaquín Rodrigo, Opere e Sonate di Angelo gilardino, la raccolta completa delle Sei Rossiniane di Mauro giuliani, il Concerto n. 1 op. 99, il Quintetto op. 143 e il Romancero gitano di Mario Castelnuovo-Tedesco, con l’Orchestra Haydn di Bolzano, l’opera completa per chitarra di Miguel Llobet e tutte le opere per chitarra sola di Heitor Villa-Lobos, progetto realizzato per la prima volta al mondo su video. Nel 2016 ha scritto il libro “La Musica è Felicità”, in collaborazione con Marcello Tellini. Giulio Tampalini è docente di chitarra presso il Conservatorio “A. Buzzolla” di Adria e tiene regolarmente corsi di perfezionamento e masterclass in tutta Italia e all’estero.

Joaquín Rodrigo, marchese dei giardini di Aranjuez (Sagunto, 22 novembre 1901 – Madrid, 6 luglio 1999), rappresenta una delle voci più significative della musica spagnola di sempre. Lo stile di Rodrigo è frutto dell’intreccio fra il passato glorioso della Spagna seicentesca e una vivace aspirazione verso la modernità, senza mai perdere di vista le proprie radici culturali. Il brano di Rodrigo con cui giulio Tampalini inaugura questa serata è il Tiento Antiguo, basato su una serie di arpeggi e frasi accor-dali che richiamano antichi misteri e melismi dimenticati. Il pezzo fu eseguito per la prima

volta nel 1942 dal chitarrista e virtuoso spagnolo Regino Saínz de la Maza, che fu tra l’altro il primo interprete del Concierto de Aranjuez due anni prima. Il trittico delle Tres piezas españolas descri-ve una Spagna moderna e cavalleresca, in cui melodie danzanti fanno da teatro a mo-menti di raccoglimento e strappi improvvisi. Le dissonanze giungono spesso all’orecchio in maniera grottesca, come improvvise fola-te di vento sulla strada di un Don Chisciotte che si prodiga nella sua battaglia contro immaginari mulini a vento. Il Fandango ini-ziale e un brillante Zapateado incorniciano

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la Passacaglia centrale, lenta e meditativa, dentro cui aleggiano le atmosfere del cante jondo flamenco. Il Concierto de Aranjuez è certamente l’opera più nota di Joaquín Rodrigo. Scritto all’inizio del 1939 a Parigi, in un’atmo-sfera tesa da una parte per gli ultimi echi della guerra civile spagnola e dall’altra per l’imminente inizio della seconda guerra mondiale, è la prima opera di Rodrigo per chitarra e orchestra. L’Adagio del Concerto possiede un’im-pressionante capacità comunicativa ed è semplicemente il brano più famoso di tutta la letteratura per chitarra e orchestra. Come racconta lo stesso Rodrigo, «l’atmosfera ma-linconica del secondo movimento mi ricorda anche della triste epoca in cui lo scrissi, che coincise con la perdita del bambino che io e mia moglie stavamo aspettando nel 1939». L’autobiografia della moglie di Joaquìn Rodrigo, Victoria Kamhi, sembra confer-mare queste impressioni, proponendoci l’immagine del compositore straziato per la sorte del figlio perduto, che accenna durante la notte la melodia che ha reso così celebre questo Adagio nella storia della musica per strumento solista e orchestra.Questa sera ascolteremo l’Adagio nell’e-laborazione per chitarra sola di giulio Tampalini. La Toccata para guitarra di Rodrigo è uno dei brani più complessi mai composti per chitarra e rappresenta in questo senso un precursore della scrittura virtuosistica che caratterizza l’intera opera chitarristi-ca del compositore spagnolo. Scritta nel 1933, è stata eseguita in prima esecuzione solamente 66 anni dopo, nel 2006, quasi a simboleggiare il risveglio di una principessa dopo un lungo sonno. Tuttavia, il suo com-positore non rimase certo a riposo tutto quel tempo, vista la mole di opere musicali che

fu in grado di portare a compimento; così, nonostante avesse smarrito la copia originale del brano, consegnata a un chitarrista anni prima, ebbe l’intuito di conservarne il ma-noscritto originale. Nel frattempo decise che sarebbe stato meglio utilizzare quest’opera, trasformandola nel primo movimento del Concierto de Estío per violino e orchestra, che fu composto ed ebbe la sua prima ese-cuzione pubblica nel 1943. giulio Tampalini

* * *

La figura e l’opera di Francisco Tárrega (Vilareal, 21 novembre 1852 – Barcellona, 15 dicembre 1909) sono, nella storia della chitarra, da un lato legate a un’ epoca di decadenza dello strumento (il tardo ro-manticismo), dall’altro lato esaltate da una mitologia che ha fatto, del maestro spagnolo, una sorta di simbolo di una rinascita della chitarra che, per la verità, egli non fece in tempo a vedere. Nato a Villareal de los Infantes, nella re-gione valenciana, Tárrega fu nell’infanzia e nell’adolescenza un chitarrista autodidatta poco piè che dilettante, anche se le sue doti prodigiose lasciavano intravedere il musici-sta che sarebbe divenuto. Nella prima giovinezza, si iscrisse al Conservatorio di Madrid nelle classi di pianoforte e di solfeggio, e quest’istruzione – sebbene un poco tardiva – valse ad aprire la sua fertile, istintiva musicalità verso orizzonti meno limitati. La sua vocazione di chitarrista si manifestò appieno proprio in concomitanza con gli studi musicali che dalla chitarra avrebbero potuto allontanarlo. La sua vita trascorse tra gli affetti fami-liari, una passione semiclandestina (e ardentemente corrisposta, con le inevitabili

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turbolenze) per una gentildonna che fu anche la sua mecenate, un’attività con-certistica che raramente, e solo per brevi periodi, lo condusse fuori dalla Spagna e la tranquilla residenza in patria – per lo piè a Barcelona – dove esercitava la sua attività didattica in privato e da dove si muoveva, per dare concerti in provincia, piuttosto malvolentieri. Morì prematuramente, dopo aver patito, negli ultimi nove anni di vita, le conseguenze di una paralisi che non gli impedì del tutto di suonare, ma che influì sulla sua ricerca tecnica, di per se stessa già abbastanza travagliata. Nella sua opera per chitarra troviamo puntualmente riflessi alcuni degli aspetti principali del romanticismo minore: l’inti-mismo, l’esotismo, il popolarismo. Inoltre, coltivò il genere dello studio da concerto, ispirandosi spesso a composizioni di altri autori, scritte per altri strumenti, che egli, piè che trascrivere, ricreava per sé e per il suo strumento, con una finalità anche didattico-virtuosistica, ma soprattutto con motivazioni estetiche. La vena intimisti-ca, esercitata nei suoi studi del repertorio pianistico, si manifesta nelle composizioni armonicamente piè dense e melodicamente piè forti, e tocca il suo vertice nella raccolta dei Preludios. Durante l’esistenza dell’auto-re, ne furono dati alle stampe soltanto nove; in seguito, essi aumentarono di numero, fino ai trentacinque di cui consta la piè recente edizione delle opere complete (So-neto Ediciones Musicales, Madrid). Come tutti gli autori romantici, Tárrega subì il fascino dell’esotismo, una corrente lettera-ria, pittorica e musicale di marca francese che fece presa anche sul romanticismo, appartato e un poco provinciale, dei com-positori spagnoli. gli esponenti di questa tendenza vedevano nel mondo della tenda e del deserto una via di fuga dallo spleen

metropolitano e, nell’Andalucia, la regione spagnola geograficamente e culturalmente piè vicina alla loro immaginaria Arabia, una sorta di avamposto di quel paradiso, che peraltro essi si guardavano bene (salvo casi rarissimi) di visitare, forse nel timore di scoprire che esisteva soltanto nelle loro fantasie. Nel romanticismo spagnolo, questa tendenza sembrò trovare nell’edificio e nei giardini dell’Alhambra di granada una sorta di emblema, ed è dunque del tutto pertinente la definizione di alhambrismo coniata da al-cuni studiosi spagnoli per i maestri ottocen-teschi che, per origine e formazione, erano in realtà piè vicini alla Francia che al mondo islamico: primo fra tutti, Tomás Breton, non a caso dedicatario di quel Capricho Arabe con il quale si collocava senza esitazione tra i cultori di un esotismo bonario e quasi familiare – potremmo dire, noi italiani, salgariano. granada, visitata da Tárrega in compagnia della sua ardente patronessa nel 1899, gli dettò poi quell’evocazione, molto propriamente intitolata Recuerdos de la Alhambra, in cui, piè che l’anelito all’Oriente, si manifesta la suggestione eser-citata sull’autore dalla musica “spagnola” di georges Bizet: pagina destinata a diventare uno dei trionfi universali della chitarra, con la sua filigrana di note ribattute che sosten-gono una melodia chiaramente debitrice a una romanza de I pescatori di perle. Danza Mora e Danza Odalisca completano questo quadro esotizzante, dipinto a tinte vivaci da un valenciano-barcellonese che conosceva la Francia meglio del Sud della Spagna. Il filone popolaresco o comunque legato alle aspettative di un pubblico che non poteva permettersi esaltazioni per pagine delicate quali le Mazurke o i Preludi fu coltivato in parte per necessità – cioè per alimentare il repertorio con i quale doveva esibirsi nei pueblos spagnoli – ma anche per una sua

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inclinazione al divertimento. Infatti, anche nelle pagine piè effettistiche, l’autore non scade mai nella volgarità. Le Variaciones sobre el Carnaval de Vene-cia de Paganini sono un esempio monumen-tale di questo entusiastico popolarismo tar-reghiano: una sontuosa introduzione seguita dal noto tema, da sette ornamentazioni ri-danciane e da una codetta, il tutto all’insegna di un virtuosismo che era l’unica arma che il virtuoso di allora aveva a disposizione per far accettare la chitarra “colta” a un pubblico che la conosceva soltanto per la sua presenza nelle feste paesane e nelle taverne. Come quasi tutti i chitarristi-compositori, anche Tárrega si dedicò alla trascrizione, e seppe imprimere ai suoi lavori il marchio della sua estetica. Fu un’intuizione quella che lo spinse a trascrivere per chitarra la Barcarola Veneziana op. 19 n. 6 di Mendelssohn e, in

generale, nelle sue incursioni in campo pia-nistico possiamo vedere gli effetti dei suoi studi al Conservatorio di Madrid, dove gli autori romantici venivano letti solitamente attraverso selezioni antologiche delle loro pagine celebri. Nel genere della parafrasi, fu invece parsimonioso, e non si impegnò con lo stesso ardore di un giuliani o di un Mertz. La Fantasia sobre la Traviata de Verdi è una elaborazione di un precedente lavoro di Julián Arcas, il grande predecessore di Tárrega, colui che avrebbe dovuto essergli maestro. L’incontro non fu possibile o non fu for-tunato, ma i due grandi del romanticismo chitarristico iberico si incontrano idealmente in questa Fantasia scritta a quattro mani. Chissà se Verdi l’avrà mai ascoltata… Angelo gilardino

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SALA FILARMONICA LUNEDÌ 11 DICEMBRE 2017 - ORE 20.45

GRINGOLT’S QUARTET

Ilja Gringolts violinoAnahit Kurtikyan violinoSilvia Simionescu viola

Claudius Herrmann violoncello

Franz Josef HAYDN Quartetto in sol maggiore op. 76 n. 1(1732-1809) Allegro con spirito Adagio sostenuto Menuetto: Presto Finale: Allegro ma non troppo

Béla BARTÓK Quartetto n. 3(1881-1945) Prima parte: Moderato Seconda parte: Allegro molto Ricapitolazione della prima parte: Moderato-Allegro molto

Robert SCHUMANN Quartetto in la minore op. 41 n. 1(1810-1856) Introduzione: Andante espressivo Allegro Scherzo. Presto Adagio Presto

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Il Quartetto Gringolt’s è il punto d’incontro di quattro personalità artistiche provenienti da ambiti culturali ed esperienze professionali diverse: il russo Ilja gringolts, primo premio al Concorso Paganini di genova; l’armena Anahit Kurtikyan, prima parte nell’Orchestra dell’Opera di Zurigo; la rumena Silvia Simionescu, primo premio ai Concorsi di Brescia e Osaka; il tedesco Claudius Hermann, primo violoncello dell’Opera di Zurigo. Essi sono accomunati da una comune passione per il quartetto d’archi. Nel corso delle recenti stagioni il Quartetto è stato ospite di importanti Istituzioni musicali europee quali il Festival di Lucerna, l’Oleg Kagan Musikfest di Kreuth, la Filarmonica di San Pietroburgo, la Società dei Concerti di Milano, il Menhuin Festival di gstaadt e il Festival di Salisburgo e altri. Ha anche collaborato con Jorg Widman, Leon Fleischer, David geringas, Eduard Brunner. Ha inciso i tre quartetti di Schumann assieme al pianista Peter Laul, accolti da eccellenti giudizi della critica discografica. La loro registrazione in prima mondiale del quintetto di Walter Braunfels con la presenza di David geringas, è stata premiata con il più ambito riconoscimento della critica discografica tedesca. Sono stati pubblicati anche i tre Quartetti di Brahms. L’anno scorso è stato assegnato al Quartetto il Diapason d’Or per l’incisione dei due quintetti con due violoncelli di Taneev e glazuonv. I membri del gringolt’s Quartet suonano preziosi strumenti italiani: uno Stradivari del 1718 (gringolt), un Camillo Camilli del 1733 (Kurtikyan), una viola di Jacobus Januarius del 1660 (Simionescu) e a Hermann uno straordinario violoncello Maggini del 1600, appartenuto al Principe Galitsin, intimo amico di Beethoven, che per primo eseguì gli ultimi quartetti del grande compositore tedesco su questo strumento.

NOTE AL PROGRAMMAHAYDN – Nel genere del quartetto Haydn individuò il campo privilegiato ove tentare una profonda riconsiderazione delle logiche interne alla forma-sonata, valorizzandone nel modo più vantaggioso le componenti elaborative. Non diversamente da quanto avviene nel più estroverso settore sinfoni-co, i quartetti del maestro di Rohrau sono indicativi di una sopraffina abilità nel per-seguire strategie comunicative atte a stimo-lare l’ascolto tanto attraverso lievi e sagaci infrazioni quanto ricorrendo a sorprese e mots d’esprit. Raggruppati in varie serie, i sessantotto Quartetti da lui composti sono tra gli esiti più notevoli di quella stagione aurea della storia della musica: quella nella quale lo

‘stile classico’, prodotto preclaro della cultura illuminista, trovò un nuovo efficace equilibrio nella sapienza del costrutto razio-nale coniugata a una ritrovata disinvoltura di comportamenti presa a modello dal costume sociale mondano. Sottoposto a questo trat-tamento, il quartetto per archi vide fissato il suo status di genere nobile e importante, ormai fuori dalla logica del puro intratteni-mento che ancora interessava il Trio e altre forme minori di derivazione tardo-barocca: e questo in virtù del suo colore sonoro omo-geneo che imponeva lo sviluppo di evolute architetture polifoniche arricchite di tutte le migliori risorse tecniche ed espressive dello stile dotto cui la poetica galante apportava l’elemento caratterizzante mutuato dall’arte

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della conversazione raffinata e talvolta anche frivola tipica dei tempi.A questo impianto Haydn apportò il con-tributo delle proprie qualità umane fatte di amabilità, grazia e buonumore. In lui, come in Mozart che ebbe a momentaneo compagno dell’avventura quartettistica, la ricerca di stile si risolse mirabilmente in un pieno regime di concordanza tra forma e contenuto.Il Quartetto op. 76 n. 1 in programma stasera è tra quelli dell’ultima stagione compositiva, apparso allo spirare del secolo diciottesimo, quando l’anziano musicista era al culmine della sua fama. Queste tarde opere sono altrettanti saggi di quanto di meglio abbia prodotto la Mitteleuropa nel campo delle forme classiche

BARTÓK – Fu sicuramente in seguito all’ascolto della Lyrische Suite di Alban Berg (1927) che Béla Bartók si sentì sti-molato a tornare al quartetto d’archi dopo dieci anni dal suo immediato precedente. I sei che alla fine della sua vita produttiva avrà composto saranno accolti dalla storia come autentici capisaldi della musica del Novecento e tali da risultare stilisticamente unici e inconfondibili.Il Terzo Quartetto, che oggi si ascolterà, si segnala per la scrittura ardua e concen-trata e per la logica con cui è ideato, tale da guidarlo ad esiti di assoluta originalità e anticonvenzionalità: quelle stesse doti cioè che gli avevano permesso, ai tempi, di segnalarsi e piazzarsi al primo posto ad un concorso indetto dalla “Philadelphia Music Found Society”.Si riconosce al componimento bartokiano un’estrema sicurezza nel governare i percor-si che si avventurano tra protratte insistenze atonali e rare emersioni tonali, tra controllati procedimenti lineari e zone di fitto impe-

gno contrappuntistico, senza omettere il determinante contributo della componente timbrica, cui è richiesta una qualità talora aspra, graffiante, quasi materica.E se si è potuto parlare di neoclassicismo in relazione all’impegno contrappuntistico evidenziato in certi momenti a canone, si è riconosciuto anche al Terzo Quartetto il contrassegno di una «tendenza soggettiva, romantica e visionaria» che qualificherebbe il brano come «confessione, approfondimen-to dell’impegno espressivo» (Mila).Dal punto di vista formale il componimento si è prestato a più interpretazioni: da chi lo vede strutturato in quattro parti nella se-quenza lento-veloce-lento-veloce in accordo con certo procedere della musica etnica ottocentesca a chi tiene distinto l’elemento della ricapitolazione e della coda che asso-miglia a una ripresa di materiale precedente e dunque si pone come continuazione della seconda sezione. E ancora c’è chi preferisce vederlo ripartito in due grandi movimenti, il primo gover-nato dal principio di staticità e accumulo di energia e il secondo da quello di espan-sione e liberazione della stessa, ovvero chi distingue dal lato espressivo una prima parte introspettiva se non angosciata e una in qualche modo liberatoria. È pur vero che l’originale dizione bartokiana indicherebbe una sezionatura tripartita in cui l’ultimo Al-legro sarebbe semplicemente una coda e non avrebbe funzione e sostanza di movimento a sé stante.Comunque la si voglia interpretare, la se-quenza dei movimenti è intesa in modo da non conoscere soluzione di continuità, così che il tutto procede senza sosta lungo i quin-dici minuti di durata complessiva. Questo contribuisce a farne fa un lavoro denso ma sintetico e assolutamente essenziale nella sua configurazione complessiva.

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SCHUMANN – Il caratteristico sistema schumanniano di dedicarsi con esclusività ai singoli generi strumentali ha indotto la musicologia ad etichettare il 1842 come l’anno della musica da camera. In quel lasso di tempo che vide tra l’altro la nascita del Quintetto op. 44 e dei Phantasiestiücke op. 88, trovano collocazione i tre Quartetti dell’op. 41, la cui particolarità è di essere stati pensati quasi come un blocco unitario, al punto che Schumann si riferiva ad essi come ad un «triplo quartetto in dodici mo-vimenti». Essi furono creati nel breve spazio di due mesi, a testimonianza di un furore creativo davvero inusitato.Il senso di duro cimento era ben presente alla coscienza di Schumann, che proprio per assolvere al meglio il suo compito si era adeguatamente documentato sui mo-delli classici da Haydn a Beethoven e fino a Mendelssohn, preoccupandosi di applicare alle sue creazioni il ‘tono di conversazione’ che era stata la carta vincente del quartetto classico. Certo, i modi galanti della socialità illuministica non erano più riproducibili con la stessa efficacia e forza di persuasione, e taluni addensamenti riscontrabili nel gioco contrappuntistico delle parti e nello stesso tono generale lo testimoniano; ma l’intento comunicativo rimane comunque raggiunto, assieme ad un senso di un buon equilibrio

generale nella distribuzione dei quattro movimenti.Beethoven occhieggia fin da subito nella solenne introduzione lenta del Quartetto op. 41 n. 1, e ciò che da lì si sviluppa attra-verso un Andante e quindi un Allegro è una lezione di bello stile, arricchito dai portati ora irruenti ora intimistici della sensibilità romantica. Momenti fugati e fitta elabora-zione contrappuntistica rivelano l’impegno ‘dotto’ che Schumann si era imposto. Nello Scherzo che segue la forte caratterizzazione romantica ha fatto parlare di una cavalcata fantastica. Molte situazioni vi si alternano nel prosieguo, in mutevolezza di atteggia-menti e umori. In terza posizione è collocato il movimento lento di immancabile matrice liederistica, dove a prevalere è la poesia notturna con i vari spunti tematici che si tra-sferiscono con naturalezza da uno strumento all’altro. Nella norma il Presto finale, che è tutto slancio e dinamismo. gioia, ironia, garbo, fantasia si alternano in questa pagi-na felice e costruita a regola d’arte, nella quale si inseriscono anche alcune sorprese inaspettate che si direbbero debitrici della lezione di Haydn: la più significativa si ha verso la fine con una specie di sospensione onirica da cui emerge una specie di effetto cornamusa dal sapore popolare.

Diego Cescotti

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SALA FILARMONICA VENERDÌ 12 gENNAIO 2018 - ORE 20.45

QUINTETTO BARTHOLDY

Anke Dill violinoUlf Schneider violino

Barbara Westphal violaVolker Jacobsen viola

Gustav Rivinius violoncello

FELIX MENDELSSOHN Quintetto in si bemolle maggiore op. 87(1809-1847) Allegro vivace Andante scherzando Adagio e lento Allegro molto vivace

Alexander von ZEMLINSKY 2 Movimenti per quintetto d’archi(1871-1942) Introduzione. Andante con moto - Vivace Adagio misterioso - Tempo di minuetto

Anton BRUCKNER Quintetto in fa maggiore(1824-1896) Gemäßigt. Moderato Scherzo: Schnell / Trio: Langsamer Adagio Finale: Lebhaft bewegt

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Nell’anno 2009, in occasione dei 200 anni della nascita di Felix Mendelssohn, cinque mu-sicisti tedeschi (Anke Dill, Ulf Schneider, Barbara Westphal, Volker Jacobsen, gustav Rivi-nius) decisero di dar vita stabil-mente ad un quintetto a lui in-titolato. Di solito i quartetti per archi invitano un’altra viola per singoli concerti quando si tratta di affrontare il repertorio per quintetto: non esiste attualmente una formazione stabile per que-sta tipologia strumentale. gli artisti che compongono il Bartholdy hanno scoperto che ci sono molti lavori di grande interesse che per varie ragioni non vengono quasi mai proposti in concerto. La reciproca e con-solidata amicizia dei suoi com-ponenti e gli unanimi apprezza-menti che questa formazione va riscuotendo in Europa, stanno contribuendo a far apprezzare le opere espressamente scritte per il quintetto d’archi. Il vantaggio è evidente: la profonda e pro-lungata esperienza cameristica di ogni componente conferisce alle interpretazioni del Bar-tholdy una forza di coesione, una omogeneità interpretativa e un virtuosismo strumentale di prim’ordine. Tutti i membri del quintet-to sono interessati anche alle esecuzioni di opere contem-poranee, e a questo proposito hanno commissionato al giova-ne compositore tedesco Robert Krampe, un’opera per loro. Questa composizione, dal titolo “...mein Saitenspiel...” è stata presentata a Lubecca in prima esecuzione nel 2011 ed eseguita più volte con grande successo. Nel recente passato il Bartholdy ha inciso un CD dedicato ai 2 movimenti di Alexander Zem-linsky e al quintetto di Anton Brukner.

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NOTE AL PROGRAMMA

MENDELSSOHN – La figura di Mendels-sohn si presenta alla nostra attenzione come quella di un compositore di successo che fu anche un operatore culturale a pieno titolo, confermando in ciò quel fenomeno, da tem-po presente nei paesi tedeschi, del musicista di ampia cultura che si rende disponibile a coinvolgersi nell’organizzazione della vita musicale. Le sue benemerenze nel campo della pro-mozione della cultura musicale sono note, e tra queste va annoverata la fondazione del futuro conservatorio di Lipsia, che diresse e animò con la sua attività d’insegnamento e promozione.In quegli stessi anni, che saranno anche i suoi ultimi, Mendelssohn trovò la serenità necessaria per comporre un quintetto per archi (il suo secondo), che si affermò pron-tamente in repertorio a dispetto di qualche perplessità denunciata dallo stesso autore riguardo alla resa del movimenti finale. Composto nell’estate del 1845, il pezzo fu stampato solo nel 1851, tre anni dopo la sua scomparsa.Si tratta di un’opera affascinante, nella quale si apprezza fin da subito l’inesausta energia con cui è condotta e che ne costituisce la cifra principale. Felicissima nell’integra-zione delle cinque voci strumentali, essa affida nondimeno al primi violino una parte di assoluto spicco, nella più tipica logica concertante.Il gioco dell’invenzione è sempre vivido e felice nella resa. L’attacco del primo Alle-gro, che avviene senza alcun preambolo, è già nel segno del dinamismo sfociante talora nel tempestoso: una linea guida che gli svi-luppi successivi non faranno che sostenere e riconfermare ogni volta. Un’alternativa danzante viene offerta dal secondo movi-

mento denominato Andante scherzando, che si arricchisce via via di elementi vivaci e inquieti alternati qua e là da momenti più pacati. Tremoli e scansioni ritmiche insi-stite si trovano anche nel tempo lento, che conosce qualche pausa riflessiva ed è nel complesso gestito magistralmente nella resa strumentale. L’Allegro finale, di concezione effettivamente più convenzionale, ritrova il moto turbinoso che lo porta ad una rapida conclusione senza bisogno di dialettizzarlo con temi alternativi.

ZEMLINSKY – Nei fermenti della Vienna di fine Ottocento ancora memore della lezione di Brahms, Alexander von Zem-linsky giocò un ruolo significativo come compositore, direttore d’orchestra e di-datta, trovandosi in rapporti di amicizia e collaborazione con Mahler e con il più giovane Schönberg, al quale impartì delle lezioni di composizione e seguì poi nella sua ascesa. Più tardi fu insegnante anche di Alban Berg e di Anton Webern, con la qual cosa venne a trovarsi perfettamente inserito in quel movimento espressionista e poi atonale che segnerà significativamente i decenni successivi. Se però egli fu figura imprescindibile di quel peculiare momento di transizione che contribuì a plasmare, il suo compito si arrestò subito prima che av-venisse il passaggio alla rottura tonale vera e propria, e questo lo penalizzò nel giudizio storico, senza che per questo la sua musica non fosse apprezzata per lo stile evoluto e il solido impianto formale.Di questa sua linea di condotta sono esem-plificativi i Due Movimenti in programma: brani minori e raramente eseguiti, che si muovono in un clima di astratto lirismo tendente all’introspettivo.

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BRUCKNER – Contemporaneamente a Brahms e in singolare opposizione dialettica alla linea da questi rappresentata, Bruckner fu tra coloro che contribuirono alla grandez-za della Vienna tardo-ottocentesca. Il suo linguaggio affatto peculiare neces-sitò di molto tempo per farsi riconoscere e apprezzare pienamente. La sua stessa collocazione storico-estetica in rapporto alla natura delle scelte da lui compiute non è stato compito facile. Sostenitore accanito di Wagner, non pensò mai di occuparsi di te-atro musicale né di cimentarsi con le risorse della ‘musica poetica’ prodotta nel circolo dei «Nuovi Tedeschi»; per altro verso non si riconobbe nella linea ‘formalista’ sostenuta da Hanslick e Brahms. Fu cultore di musica organistica e sacra ma soprattutto autore di undici poderose sinfonie – tutte ripetutamente e ampiamente revisionate nel corso degli anni – che lo han-no fatto entrare, con qualche ritardo, nella storia del sinfonismo nonché nella storia della musica tout court.Al Quintetto gli studiosi hanno riservato un’attenta valutazione critica, ricercando per esso una corretta collocazione nel catalogo bruckneriano. Ciò ha messo in luce caratte-ristiche significative anche riguardo a certi aspetti di modernità non immediatamente riconoscibili ma tali da rendere questo com-positore ben più al corrente dell’evoluzione linguistica in atto di quanto spesso non si sia stati disposti ad affermare. Bruckner cominciò a scrivere il suo Quintet-to in fa maggiore agli inizi del 1879, subito dopo aver compiuto la Quinta Sinfonia e prima di cimentarsi con la Sesta. Ma reste-rebbero delusi coloro che volessero vedere applicato in questo brano un pensiero di tipo sinfonico, con tutte le enfatizzazioni e le grandi sonorità che sono proprie ad esso. Al contrario, Bruckner si impose di adottare

un linguaggio che, tolte alcune accensioni motivate dalla logica elaborativa, suonasse sostanzialmente moderato, contenuto, av-volto in un’intimità tipicamente cameristi-ca, quasi a voler sfuggire la tentazione del gesto eloquente e il ricorso all’effettistica: una disciplina, questa, che comportava inevitabilmente dei sacrifici sul piano della comunicazione, venendo meno la necessità di esternazioni soggettivistiche o di raccon-to interiore, a beneficio delle istanze della musica pura, che si giustifica in se stessa.L’omogeneità delle mezze tinte e il con-trollo emotivo sono le cifre distintive del Quintetto, che la lunga durata rende ancora più evidenti. Il parametro maggiormente sottoposto al travaglio della ricerca è quello armonico con le sue audaci escursioni modulanti in tonalità remote che possono essere direttamente ri-condotte alla la pratica dell’improvvisazione organistica e hanno comunque una netta derivazione wagneriana. Queste linee-guida sono enunciate fin dal primo movimento (Moderato) con i suoi tre gruppi tematici impegnati in fitti intrecci interattivi. Lo Scherzo che segue si propone come Ländler e fa ricordare per natura e andamen-to i tanti Scherzi per cui sono memorabili le sue sinfonie. L’Adagio è invece alla ricerca di serena interiorità ed è giocato assai bene sotto il profilo timbrico. Infine l’ultimo tempo, lungi dal caratteriz-zarsi come puro momento riepilogativo e di alleggerimento, propone altro materiale tematico debitamente sottoposto ad intera-zione e sviluppi, con relative ardue soluzioni armoniche e di scrittura, fino alla sequenza finale, stavolta davvero propria ad un finale in piena regola.

Diego Cescotti

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ASSOCIAZIONE FILARMONICA DI ROVERETO42

SALA FILARMONICA gIOVEDÌ 25 gENNAIO 2018 - ORE 20.45

DOMENICO NORDIO violinoFILIPPO GAMBA pianoforte

gabriel FAURé Sonata n. 1 in la maggiore op. 13(1845-1924) Allegro molto Andante Scherzo: Allegro vivo Allegro quasi Presto

Claude DEBUSSY Sonata(1862-1918) Allegro vivo Intermède Finale (Très animé)

Robert SCHUMANN Sonata n. 2 in re minore op. 121(1810-1856) Ziemlich langsam. Lebhaft Sehr lebhaft Leise, einfach Bewegt

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Allievo di Corrado Romano e di Michèle Auclair, Domenico Nordio è nato a Venezia nel 1971 e ha tenuto il suo primo recital a dieci anni, vincendo a sedici anni il Concorso Internazionale “Viotti” di Vercelli con Yehudy Menuhin come presidente di giuria. Dopo le affermazioni ai Concorsi Thibaud di Parigi, Sigall di Viña del Mar e Francescatti di Marsiglia, il gran Premio dell’Eurovisione ottenuto nel 1988 lo ha lanciato alla carriera internazionale.Nel corso della sua carriera si è esibito nelle sale più prestigiose del mondo: Carnegie Hall, Salle Pleyel, Teatro alla Scala, Barbican Center, Suntory Hall (Tokyo), accompagnato dalle le maggiori orchestre, tra le quali la London Symphony, la National de France, l’Accademia di Santa Cecilia, l’Orchestre de la Suisse Romande, l’Orchestra Borusan di Istanbul, l’Ene-scu Philharmonic, la Simon Bolivar di Caracas, la Nazionale della RAI, la SWR Sinfonie Orchester di Stoccarda, la Moscow State Symphony e con direttori quali Flor, Steinberg, Casadesus, Luisi, Lazarev, Aykal. I suoi ultimi tour internazionali lo hanno visto impegna-to, tra l’altro, alla Sala grande della Filarmonica di San Pietroburgo, al Concertgebouw di Amsterdam, alla Filarmonica Enescu di Bucarest, al Teatro Municipal di Rio de Janeiro, al Teatro Colon di Buenos Aires, alla Sala Čajkovskij di Mosca, al Zorlu Center di Istanbul, all’Auditorium di Milano, alla Filarmonica di Kiev, nella Sala San Paolo di São Paulo, nella Sala Nezahualcóyotl di Città del Messico, al Teatro Solis di Montevideo, nella Sala Simon Bolivar di Caracas, all’Auditorium RAI di Torino.

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ASSOCIAZIONE FILARMONICA DI ROVERETO44

Filippo Gamba, veronese, ha studiato nel Conservatorio della sua città nella classe di Ren-zo Bonizzato. Attualmente è professore alla Musik-Akademie di Basilea e tiene seminari d’interpretazione pianistica per il Festival Musicale di Portogruaro, le Settimane di Blonay, Asolo Musica, Music of Southern Nevada.“Con la rigorosa, appassionata serietà che lo contraddistingue, il pianista italiano Fi-lippo Gamba incarna quella figura di filosofo del pianoforte che, musicista cosmopolita dotato di grande maturità, è infuso di un carisma quasi missionario”. Con queste parole nel 2000 Wladimir Ashkenazy premia Filippo gamba in una luminosa vittoria al Concours géza Anda di Zurigo.Prestigiose sono state, negli anni, le sue apparizioni come solista con orchestre come i Berliner Sinfoniker, la Wiener Kammerorchester, la Staatskappelle di Weimar, la Camerata Academica Salzburg, l’Orchestra della Tonhalle di Zurigo e della City of Birmingham, sotto la bacchetta di Simon Rattle, James Conlon, Armin Jordan e Vladimir Ashkenazy.

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NOTE AL PROGRAMMA

FAURé – Autori come gabriel Fauré ed Ernest Chausson costituiscono il meglio del decadentismo musicale declinato alla francese al quale hanno devoluto uno stile che pur non rinunciando all’eloquenza del gesto e all’espressività del linguaggio si mantiene nei confini della finezza, del buon gusto e del tratto d’eleganza, preferendo all’ossequio normativo e al all’impegno costruttivo un procedere fluido e apparente-mente rapsodico e divagante che si rinnova in continuazione.La carriera di Fauré si costruì senza scosse, consolidandosi pienamente solo nell’età matura. La collocazione estetica di questo autore è singolare: troppo giovane per essere interamente romantico e troppo vecchio per aderire alle correnti d’ avanguardia, si mantenne in quel crinale mediano che gli garantì il consenso del pubblico tradizionale aprendosi al contempo alle novità in arrivo. Una visione non arroccata, questa sua, che fu assai apprezzata quando si trovò a ricoprire il ruolo di insegnante d’armonia e quindi di direttore del Conservatorio di Parigi. Assieme ai contributi omologhi offerti da altri autori come Camille Saint-Saëns, la produzione cameristica di Fauré è ritenuta fondamentale per la creazione di una linea sonatistica di marca francese improntata sui caratteri nativi di fascinosa melodiosità, equilibrio formale e qualità espressive. La Sonata per violino, composta nel 1875-76 e dedicata alla diva Pauline Viardot garcía, ebbe subito un ottimo riscontro. Ad essa vennero riconosciuti pregi di ordine formale e tecnico e fu apprezzata per l’originale so-norità e l’impiego di ritmi inconsueti. Articolato nei canonici quattro movimenti, il brano persegue il principio dell’interazione paritaria tra i due strumenti, rompendo con

la logica che voleva una divisione di ruoli tra solista e strumento accompagnatore.Scorrevolezza, flusso melodico sempre rinnovato all’interno di lunghi fraseggi e perseguimento di una buona continuità e tenuta sono i caratteri distintivi del primo Allegro, che è preparato da un’importante introduzione del pianoforte. Per il successivo Andante Fauré ha scelto di affidarsi a un andamento quasi di barcarola, che procede cullandosi dolcemente nel suo ritmo. Nessuna incursione nel patetismo in questo che è l’unico tempo lento della Sonata, ma un sereno scorrere animato solo dall’intervento del secondo tema, esile ma di valenza lirica, che intesse col primo interessanti intrecci polifonici.Lo Scherzo è un piccolo gioiello di spiglia-tezza che si distingue per la gioiosa vitalità del suo andamento ritmico, facendone una pagina godibilissima e assai felice nell’ef-fettistica generale.Sulla stessa linea di disinvoltura è anche l’ultimo movimento Allegro quasi presto, che attacca con gesto immediato, come sen-za importanza, per procedere poi con nuovo materiale sviluppato con dovizia di trovate e trasformazioni. Il tutto in un regime di mobilità incessante ma sempre conservando la natura cantabile.

DEBUSSY – Il quarantennio che separa la Sonata di Fauré da quella di Debussy rende conto dell’avvenuto cambiamento di concezione per quanto riguarda i modi e gli atteggiamenti e ciò va ad incidere partico-larmente sulla compattezza dell’insieme, sulla ricchezza fraseologica. Quel senso di unitarietà era andato un po’ alla volta attenuandosi per dare spazio al frammento significativo, al vagabondaggio rapsodico,

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ASSOCIAZIONE FILARMONICA DI ROVERETO46

al tratto brevilineo e cangiante.Tale è appunto il caso della Sonata in sol minore (1917) di Debussy, l’ultima com-posizione da lui lasciataci e per ciò stesso meritevole di rispetto e attenzione in quanto portatrice di un messaggio particolare per chiunque lo sappia cogliere, anche quando l’autore in questione sia poco propenso all’enfasi dei grandi gesti e si rifugi piuttosto nei canoni di una sottile, pudica ironia o addirittura svii progettualmente la tragicità del momento nelle parvenze di una gaia, turbinosa affermazione di vitalità.Che l’opera sia nata sotto il segno di un squilibrio emotivo è fuor di dubbio, com-binando in sé i patimenti della malattia e la tragedia della guerra in corso. Non si tratta tuttavia di un’opera funerea o pietistica. «Per una contraddizione del tutto umana, essa sprigiona movimento e allegria», os-servava il suo artefice: e difatti la visione da lui espressa era ormai quella di un uomo che guarda al mondo con il privilegio di un assoluto disincanto, trovando la forza morale di scherzarci sopra. La sua Sonata scorre su binari di leggerezza, di sapida umoralità, e se accenti di tragicità vi sono contenuti, essi vanno scoperti in particolari minimi,

in dettagli di scrittura che non s’impongono mai con il peso dell’evidenza.Caratteri di ironia si individuano nell’Alle-gro vivo iniziale che attacca con apparenza di tempo lento e che nella coda introduce a sorpresa una sequenza di accordi di ierati-cità quasi spagnolesca sopra un cadenzare altrettanto solenne del violino. Il secondo movimento, poi, si diverte a mettere insieme una certa rigorosità di stile con le evolu-zioni capricciose del violino, quasi come nelle antiche forme preludianti a una fuga. Il Finale attacca con la citazione del tema iniziale e si sviluppa poi sulle movenze di una giga piuttosto sfrenata che «attraversa le più curiose deformazioni per giungere al gioco molto semplice di un’idea che gira su se stessa come il serpente che si morde la coda». Non mancano, nella parte centrale, sospensioni di carattere più intensamente lirico e vibrante. Del tutto nello stile distaccato e tagliente di un Monsieur Croche, Debussy così riassunse lo spirito del suo lavoro d’addio: «Questa Sonata potrà avere un certo interesse sotto il profilo documentario, e come esempio di ciò che un uomo malato può scrivere durante una guerra».

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SCHUMANN – Perfetta contropartita tedesca agli esempi francesi appena ascol-tati, la Sonata in re minore di Schumann (1852) ribadisce anche nella denominazione convenzionale di “Grosse Sonate” la sua appartenenza ad un’estetica dell’eloquenza dove enfasi, declamazione, nobile slancio hanno ancora pieno diritto di esistenza. La fisionomia esteriore e la natura dell’impegno contenutistico ne fanno un prodotto piena-mente immerso nello spirito romantico e del tutto rappresentativo del suo autore.L’impegno compositivo è evidente fin da subito, con quegli accordi solenni e mae-stosi enunciati con funzione introduttiva e ancor più nel seguito, con la complessità e abbondanza dei materiali tematici messi in campo e continuamente sottoposti a sviluppi e trasformazioni anche audaci. Il freddo controllo razionale delle com-ponenti non sembra appartenere alla vera natura di un lavoro così ribollente di idee e di spunti, quanto l’aver dato loro spazio per un discorso complesso e inarrestabile fatto di scatti e impennate caratterizzanti e di febbrili effusioni liriche trascorrenti in in un gioco tonale talora caleidoscopico. Un’opera, questa di Schumann, cui è stata

addebitata anche una certa quota di involu-zione, impaccio e macchinosità, e che per certo dev’essere costata al suo autore una dura lotta con se stesso e con i materiali messi in campo. “Grande” è anche la ma-crostruttura, con i suoi quattro movimenti, tutti importanti e fortemente connotati. Il primo è, come d’uso, il più eloquente e dimostrativo. Preceduto da solenni accordi introduttivi, l’Allegro enuncia la prima idea tematica e si sviluppa su toni ora as-sertivi ora piegati ad effusività lirica dando dimostrazione della vastità del progetto complessivo. A questo importante cimento Schumann decide di far seguire uno Scherzo dalla solida nervatura ritmica, portato poi nei due Trii ad interagire con situazioni più leggere e cantabili. Originale per concezione e risultanza sonora il tempo lento, strutturato nella forma delle variazioni su un tema di corale luterano. Un importante movimento finale in forma sonata ripristina e consolida il re minore d’impianto e procede senza risparmio né arresti sul piano della più alta scienza compositiva esibendo contrappunti fitti e situazioni fugate.

Diego Cescotti

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ASSOCIAZIONE FILARMONICA DI ROVERETO48

SALA FILARMONICA VENERDÌ 2 FEBBRAIO 2018 - ORE 20.45

VJAČESLAV ŠELEPOV fortepiano (vincitore premio Ferrari)

Carl Philipp Emanuel BACH Fantasia in do maggiore H.284(1714-1788)

Wolfgang Amadeus MOZART Fantasia in do minore K. 396(1756-1791)

Muzio CLEMENTI Sonata in fa minore op. 13 n. 6 (1752-1832) Allegro agitato Largo e sostenuto Presto Sonata in sol minore op. 34 n. 2 Largo e sostenuto Un poco Adagio Finale: molto Allegro

giacomo gotifredo FERRARI Sonata in la minore op. 1 n. 3(1763-1842) Spiritoso Andantino, tema con variazioni

Ludwig van BEETHOVEN Sonata in re minore op. 31 n. 2(1770-1827) Allegro vivace Adagio grazioso Rondò. Allegretto

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Vjačeslav Šelepov è nato nel in 1991 a Barnaul, Russia, e si è laureato al Conservatorio Čajikovskij di Mosca. Ha studiato fortepiano con Aleksej Lubimov e Aleksej Ševčenko; clavicembalo con Maria Uspenskaja, e pianoforte con Vera Horošina e Sergej Kasprov. Attualmente sta perfezionandosi sul fortepiano con Zvi Meniker presso la Hochschule für Musik, Theater und Medien di Hannover. Vjačeslav Šelepov è risultato vincitore in concorsi tenutisi in Bulgaria, a San Pietroburgo, ad Amsterdam e a Brugge. Nel 2016 ha vinto il primo premio al concorso “Ferrari ” di Rovereto.

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La storia del pianoforte, si sa, presenta diversi motivi di interesse: lo strumento impiegò molto tempo ad affermarsi, ma quando lo fece, pressappoco in coincidenza con la triade dei classici viennesi, Haydn - Mozart - Beethoven, acquisì una posizione tanto solida da divenire il fulcro di tutta la pratica musicale, da quella dei più acclamati professionisti alla Hausmusik dei dilettanti, più modesta ma diffusissima. L’invenzione del gravicembalo col piano e forte risale a molti decenni prima: già nel 1700 Bartolomeo Cristofori aveva com-pletato almeno uno strumento di questo genere, ma il nuovo arrivato non riuscì a soppiantare il clavicembalo fino a che un costante lavorio tecnico dei costruttori e una nuova sensibilità musicale non lo portarono a maturazione.Il clavicembalo non può essere considerato un ‘antenato’ del pianoforte in senso gene-tico: la produzione del suono nei due stru-menti è totalmente diversa, e di conseguenza lo sono anche il timbro e le caratteristiche peculiari. Il cembalo è a corde pizzicate, e l’esecutore non può influire sul colore del suono e sulla dinamica, se non per addizione o sottrazione di note o grazie all’utilizzo di registri (particolari dispositivi tecnici). Il pianoforte è a corde percosse, alcuni parametri del suono si possono controllare agendo sui tasti in modo mirato: per i pianisti infatti si parla di ‘tocco’, mentre l’abilità del cembalista si misura su altri piani. Il precursore del pianoforte non è perciò il clavicembalo ma semmai il clavicordo, lo strumento della sensibilità, apprezzato proprio per la possibilità di agire con i tasti direttamente sulle corde tramite un sistema di tangenti.Al clavicordo era molto legato Carl Philipp

Emanuel Bach, uno degli alfieri dello ‘stile della sensibilità’ (empfindsamer Stil). Autore di un cospicuo numero di composizioni per tastiera organizzati per lo più in raccolte, il secondogenito di Johann Sebastian aveva un’inclinazione particolare per il genere della fantasia, in cui eccelleva. Su di lui ab-biamo una vivida testimonianza di Charles Burney, musicologo inglese che girò l’Eu-ropa nei primi anni Settanta del Settecento, secondo cui le sue musiche erano molto personali e ardite ma come “espressioni del genio fecondato dalla cultura”, e ad un’ana-lisi attenta rivelavano in ogni riga “più idee nuove di quante se ne possano trovare in una intera pagina di molti compositori che go-dono il pieno favore del pubblico”. Durante una visita a C.P.E. lo vide suonare il suo strumento preferito, un clavicordo, e rimase impressionato dalla potenza dell’ispirazione che lo pervadeva; conclude il suo commento giudicandolo “il miglior esecutore, per quel che concerne l’espressione”. Burney parla anche di un piano forte visto e ascoltato a casa Bach; la Fantasia in do maggiore H. 284 (pubblicata nel 1785) si presta bene a rappresentare il particolare estro bachiano maturato sul clavicordo e trasferito sul pianoforte. Ai tanti passaggi in uno stile improvvisativo si alternano momenti dolci e misurati, con un sapiente gioco di alternanze e ritorni in modo che, nella libertà di cui la fantasia non può privarsi, si possa ugual-mente percepire una forte coerenza formale.La Fantasia in do minore K 396 di Mozart presenta alcuni tratti in comune con quella di Bach, come l’adozione di moduli melodici improntati alle tecniche di improvvisazione, ma in realtà è un frammento di un pezzo per pianoforte e violino di cui esiste questa ver-sione pianistica completata da Maximilian

NOTE AL PROGRAMMA

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Stadler (la discussione su quale sia realmen-te la prima idea mozartiana, se il frammento sopravvissuto con il violino oppure la base della versione pianistica è ancora aperta).Il pianoforte, o forte-piano come spesso ve-niva chiamato, inizialmente si sviluppò so-prattutto grazie alla ricerca tecnica in aerea austro-tedesca; in seguito, con l’emigrazione dei costruttori, si cominciò a connotare una geografia dello strumento, con varianti si-gnificative e ben caratterizzate soprattutto in Inghilterra e in Francia. Al pianoforte si lega anche un’importante attività commerciale, legata agli strumenti in sé, alla didattica e all’editoria. Più di un pianista del tempo fu attivo anche in questi ambiti, oltre che in quello concertistico: un esempio ben noto è quello del poliedrico Muzio Clementi, pianista, didatta, costruttore ed editore.Nato nel 1752 a Roma, Clementi dimostrò un talento precoce e fu avviato agli studi mu-sicali seguendo un iter tradizionale (organo, canto, contrappunto); cominciò prestissimo anche a comporre. Nel 1766 il viaggiatore inglese Peter Beckford lo portò con sé in Inghilterra, dove Muzio si dedicò ad uno stu-dio intenso: qui nacque il Clementi pianista, che intorno al 1770 pubblicò le prime sonate. La sua carriera proseguì come maestro al cembalo del King’s Theatre, insegnante e concertista; in seguito lo troviamo in tournée in Europa, fino al celebre episodio della gara con Mozart alla presenza di giuseppe II nel 1784, di cui ci resta un giudizio tranchant di Wolfgang (“è un bravo cembalista, e con ciò è detto tutto. [...] non ha un briciolo di gusto e di sentimento: un puro virtuoso”) e uno più benigno di Muzio (“Fino a quel momento non avevo udito nessuno suonare con tanto spirito e tanta grazia”). Il ciarlat-tano (altra graziosità di W.A.M.) italiano sarà poi però considerato il capostipite della “scuola inglese”, in cui la solidità compo-

sitiva si univa ad una piena comprensione delle potenzialità tecniche dello strumento e alle peculiarità dei pianoforti inglesi in una miscela di grande successo. Le due sonate in programma sono forse le più suggestive del suo catalogo: scritte a distanza di diversi anni (op. 13 n. 6 risale al 1784 e l’op. 34 n. 2 al 1793), hanno in comune la carica emotiva e alcune evidenti anticipazioni beethoveniane. Formalmente sono allineate alla sonata viennese, in tre movimenti, di stampo haydniano. La prima (in cui tutti e tre i movimenti sono in modo minore) è caratterizzata da una sonorità tetra e tormentata, senza tregua, creata da una sapiente combinazione di profili motivici tortuosi e percorsi armonico-tonali insoliti. Anche la sonata più tarda è in minore (sol); qui è molto raffinato il lavoro del compo-sitore sul materiale tematico: basti citare il fugato del Largo e sostenuto iniziale, che si trasforma poi nell’Allegro con fuoco, oppure il ritorno insistente del motivo delle note ribattute, che collega tutti i movimenti. Giacomo Gotifredo Ferrari qui ‘gioca in casa’, sia per le sue origini roveretane, sia perché Shelepov è il vincitore del “Premio Ferrari” 2016. Interessante è però la rete di rapporti che lo lega agli musicisti in programma: l’omaggio a Ferrari non è solo un atto dovuto, ma si inserisce perfettamente nella cornice della passione mozartiana del Roveretano e del suo rapporto personale con Clementi, espli-citato nella dedica dell’edizione londinese dell’op. 1: Trois Sonates / pour le Piano Forte / [...] dediées / à Muzio Clementi [...] op. I a London. Anche musicalmente la sonata denuncia la lezione di Clementi: entrambi i movimenti utilizzano elementi tipici del pianismo cle-mentiano, come le terze e le ottave, e l’agi-lità. In una partitura che coniuga interesse

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pianistico e ascolto molto piacevole, Ferrari si dimostra ancora una volta un compositore che vale la pena di proporre in concerto.Il percorso disegnato dalla proposta di She-lepov porta inevitabilmente a Beethoven. La Sonata op. 31 n. 2, “La tempesta”, è una delle più amate da esecutori e pubblico, gra-zie alla sua straordinaria ricchezza di contra-sti, sempre sorprendenti. Composta nel 1802 (l’anno del “Testamento di Heiligenstadt”), in un momento molto creativo ma delicato per la vita personale di Beethoven, con la sordità ormai inesorabile, testimonia una ricerca espressiva e formale quasi febbrile. A chi gli chiedeva di spiegarne il significato, secondo una tradizione accreditata Beetho-ven avrebbe risposto “leggete La tempesta di Shakespeare” (da cui l’intitolazione); e tempestoso è il decorso della scrittura, in cui qualcuno legge non solo un descrittivismo di tipo naturale ma anche lo svelamento di una situazione psicologica. Basta del resto ascoltare il primo movimento, fin dalle prime battute, per entrare nel gioco com-

positivo: nel giro di sei battute passiamo da un Largo (2 battute, un arpeggio che parte dalla profondità del registro grave dello strumento) a un Allegro piuttosto affannoso (3 battute), a un Adagio (1 battuta di caden-za), per riprendere dal Largo: un andamento decisamente insolito. Nella sezione di sviluppo le convenzioni for-mali sono platealmente infrante dall’irruzio-ne di un recitativo (Largo - con espressione e semplice) che scaturisce dall’arpeggio di inizio movimento. Dopo un Adagio in Si bemolle maggiore con una scrittura ricca di abbellimenti e nuances, l’Allegretto finale torna al minore e si presenta come una spe-cie di moto perpetuo, incessante, nervoso e concitato, che termina con un arpeggio in direzione inversa a quello che aveva aperto il primo movimento: lì, con maestosa cal-ma, si partiva dal grave per emergere verso l’acuto, qui si chiude con una sola semplice, veloce e nervosa linea che si inabissa ina-spettatamente.

Angela Romagnoli

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SALA FILARMONICAgIOVEDÌ 15 FEBBRAIO 2018 - ORE 20.45

ENSEMBLE DIALOGHILorenzo Coppola clarinetto

Pierre-Antoine Tremblay corno vienneseCristina Esclapez pianoforte

Felix MENDELSSOHN Tre pezzi per clarinetto, corno e pianoforte(1809-1847) (trascr. di E. Naumann) - Preludio per pianoforte, op. 35 n. 4 - Romanza senza parole, op. 53 n. 2 - Duetto per pianoforte, op. 38 n. 6

Richard STRAUSS Andante in do maggiore per corno e pianoforte (1864-1949) op. post.

Johannes BRAHMS Sonata n. 1 in fa minore per clarinetto(1833-1897) e pianoforte, op. 120 Allegro appassionato. Sostenuto ed espressivo Andante un poco Adagio Allegretto grazioso. Trio Vivace

Carl REINECKE Trio in sib maggiore per clarinetto, corno(1824-1910) e pianoforte, op. 274

Venerdì 16 febbraio, dalle ore 16.30 alle 18.30: Masterclass di clarinetto aperta al pubblico.

ore 18.30

MOmenti MUsicali incontri con gli interpreti:Ensemble Dialoghisegue momento conviviale

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L’ensemble Dialoghi, proveniente da Barcellona, propone un approccio inno-vativo alla musica classico-romantica distinguendosi per l’alto livello artistico e la capacità di creare un’intensa comuni-cazione con il pubblico. Attraverso l’uso degli strumenti d’epoca, i musicisti si propongono di trasmettere i vari codici del linguaggio musicale con l’obiettivo di far scoprire la vasta gamma di emozio-ni contenute nei brani interpretati.

Lorenzo Coppola (clarinetto: copia Ottensteiner, Munich, 1864; Schwenk & Seggelke) collabora con la Freiburger Barockorchester, Les Arts Florissants, La Petite Bande e altre formazioni con strumenti storici. Ha eseguito il Concer-to di Mozart K 622 con la Freiburger Barockorchester, il Quintetto K 581 con il Quartetto Kuijken, le Serenate K 375, 388, 370a con l’Ensemble Zefiro, e inoltre le Sonate op. 120 di Brahms con Andreas Staier.

Pierre-Antoine Tremblay (corno vien-nese: Leopold Uhlmann, Vienna, c. 1880) collabora regolarmente con forma-zioni che impiegano strumenti d’epoca, come la Freiburger Barockorchester, (germania) Europa galante (Italia), l’Or-chestre des Champs- élysées (Francia), Arion l’Orchestre Baroque (Canadá), l’Orchestra del XVIII Secolo (Olanda) e B’Rock (Belgio).

Cristina Esclapez (Spagna) insegna alla Escola Superior de Música de Catalunya e al Conservatori Superior de Música del Liceu, a Barcellona. Collabora con artisti quali Vicens Prat, Jaime Martín, Julia gállego, Benoît Fromanger, Phi-lippe Bernold, Branimir Slokar, Michel Becquet, Lorenzo Coppola, etc.

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Felix Mendelssohn, Johannes Brahms, Ri-chard Strauss, Carl Reinecke: tutti composi-tori tedeschi e, salvo l’ultimo, tutti ben pre-senti nei cartelloni concertistici e molto noti come rappresentanti del grande Ottocento e primo Novecento germanico. Poco consueta è invece la formazione del Trio Dialoghi: pianoforte, clarinetto e corno costituiscono un organico raro, che di per sé solletica la curiosità; se a questo aggiungiamo che il gruppo suona con strumenti originali, la proposta acquista un elemento in più per stimolare il nostro interesse. Siamo infatti ormai abituati all’impiego di strumenti d’e-poca o copie per il repertorio barocco e in parte anche per quello classico, ma lo siamo molto meno per l’Ottocento, e meno ancora per la seconda metà del secolo: arrivare al primo Novecento poi costituisce una vera rarità. Nonostante il fatto che risulti sempre più chiaro come la frattura nella tradizione e nella prassi esecutiva che ha generato il modo di suonare moderno si collochi dopo la prima guerra mondiale, si continua a pensare che i principi della ‘prassi stori-camente informata’ riguardino unicamente la ‘musica antica’. In realtà fino al primo Novecento è rintracciabile una relativa con-tinuità, ovviamente mutatis mutandis perché il perenne scorrere del tempo non può che indurre cambiamenti, ed è solo il ventesimo secolo che sancisce il trionfo definitivo di alcuni elementi tecnici, tecnologici ed estetici destinati a cambiare radicalmente e quasi bruscamente il modo di suonare e di interpretare, complice anche l’ormai irrefrenabile affermazione dei dispositivi di riproduzione del suono. Solo qualche rapido esempio: il vibrato, considerato ancora a inizio Novecento come un abbellimento e non una costante del suono (chiarissimi sono

in questo senso i manuali per strumenti ad arco dell’epoca o le indicazioni dei trattati di canto); il diapason, mediamente più basso (anche se non uniforme); le corde degli stru-menti, ancora di budello spesso e volentieri pure in pieno Novecento; i sistemi di chiavi degli strumenti a fiato. Riascoltare repertorio e autori noti con una diversa attitudine e con differenti mezzi esecutivi rappresenta perciò un’esperienza preziosa, non certo per costringere l’interpretazione musicale in una supposta (difficilmente dimostrabile e di per se stessa antistorica) ortodossia, ma per un salutare cambio di prospettiva che può rivelare aspetti inediti anche delle opere più conosciute.Il programma è un piccolo viaggio nella musica da camera tedesca che, accanto allo ‘scontato’ pianoforte, vede protagonisti il corno viennese originale, della seconda metà del secolo, dovuto a Leopold Uhlmann (1806-1878), e il clarinetto copia di uno stru-mento del 1864 del costruttore di Monaco georg Ottensteiner (1815-1879). La seconda metà dell’Ottocento è stata un momento di grandi sviluppi e cambiamenti in cui gli strumenti a fiato in particolare sono stati sottoposti a un continuo lavorio sui sistemi di chiavi, sul diametro del canneggio (il tubo sonoro), sulle estensioni, sulle tecnologie di costruzione. Il principale problema da risolvere era la possibilità di ottenere una scala cromatica (con tutti i semitoni) senza problemi di intonazione e senza eccessive disparità timbriche e dinamiche tra una nota e l’altra. In precedenza la disomogeneità era considerata caratteristica e tenuta in conto dai compositori nel realizzare le proprie partiture, che sapientemente sfruttavano le differenze di colore e di dinamica dei diversi registri e finanche delle singole note

NOTE AL PROGRAMMA

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di ciascuno strumento; col tempo tuttavia la ricerca sonora si indirizzò sempre più verso l’equilibrio perfetto e l’equivalenza timbrica e dinamica di tutte le note. Il mezzo per raggiungere questo risultato erano le chiavi per i legni (la famiglia a cui appartiene il clarinetto) e le valvole o i pistoni per gli ottoni (la famiglia del corno), oggetto di continue sperimentazioni per tutto il secolo. Uhlmann diede un contributo decisivo allo sviluppo della cosiddetta ‘valvola viennese’, sostanzialmente ancora in uso in quello che oggi si chiama ‘corno viennese’: il corno che ascoltiamo dunque rappresenta molto con-cretamente un passaggio decisivo verso lo strumento moderno. Ottensteiner, originario di Füssen e stabilitosi a Monaco dopo un lungo soggiorno parigino in cui ebbe modo di conoscere altri importanti costruttore di strumenti come Adolph Sax (1814-1894), costruiva clarinetti per i maggiori virtuosi dell’epoca, tra cui Richard Mühlfeld (1856-1907), il clarinettista di Brahms. Ebbe il merito di cercare un compromesso tra le tecniche costruttive francesi e quelle tede-sche, che si stavano sviluppando in direzioni divergenti; fu anche il primo in germania a costruire strumenti con il sistema di chiavi Boehm (alla base degli strumenti attuali).

I tre pezzi di Mendelssohn che aprono il programma sono molto conosciuti nelle ori-ginali versioni pianistiche: il Preludio op. 35 n. 4 (1837), la Romanza senza parole op. 53 n. 2 (1839/41) e quella op. 38 n. 6 (1836/37); a fine Ottocento il musicista e musicologo tedesco Ernst Naumann (1832-1910), edito-re di molta musica bachiana, mozartiana e, appunto, mendelssohniana, ne approntò una trascrizione per trio di pianoforte, violon-cello e clarinetto, allo scopo probabilmente di rimpinguare il repertorio di musica da camera di cui c’era all’epoca grande richie-

sta; la parte del violoncello è qui affidata al corno. L’orchestrazione amplifica e colora la già suggestiva carica emotiva degli origi-nali pianistici, e Naumann mette in grande evidenza gli strumenti melodici, che ‘con-versano’ con grande chiarezza sulla base di un instancabile movimento del pianoforte.L’Andante per corno e pianoforte di Strauss fu composto nel 1888 per le nozze d’argento dei genitori: un’occasione squisitamente familiare, tanto che il pezzo restò a lungo non pubblicato. Il padre di Richard, Franz Joseph, era il primo corno dell’orchestra dell’opera di corte di Monaco; a lui il figlio diciannovenne aveva dedicato nel 1882/83 il Concerto per corno in Mi bemolle magg. op. 11; quando scrisse l’Andante il corno gli era perciò assolutamente familiare, e gli dà agio di esprimere tutto il suo potenziale lirico. È significativo il fatto che a distanza di molti anni, nel 1942, il compositore ormai settantottenne scrisse il suo secondo con-certo per corno, pensato per una cerimonia in memoria del padre: questo strumento dunque in qualche modo segna inizio e fine della sua attività, ed assume un particolare significato affettivo.La Sonata n. 1 per pianoforte e clarinetto di Brahms non ha quasi bisogno di presen-tazioni: si tratta di una delle composizioni più amate per questo organico. Come tutte le opere per clarinetto di Brahms nacque dall’incontro con il già citato Mühlfeld, della cui arte strumentale era assolutamente entusiasta. Fu scritta nel 1894 e pubblicata un anno dopo assieme alla sonata n. 2, pre-vedendo la possibilità di eseguirle entrambe con la viola. I quattro movimenti sono piut-tosto contrastati tra loro e al loro interno, offrendo una tavolozza variegata di colori, espressioni, stati emotivi, inseriti come d’a-bitudine per Brahms in una solida cornice formale. Dal punto di vista dello studio della

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prassi esecutiva Brahms rappresenta un sog-getto di grande interesse e al tempo stesso una sfida: conosciamo molto sulle abitudini esecutive della sua epoca e del suo ambiente, sia per testimonianze scritte (annotazioni su partiture, recensioni, lettere tra compositore ed esecutori) sia perché ci sono rimaste inci-sioni storiche che documentano la prassi del suo circolo di esecutori, potente stimolo per la ricerca artistica degli interpreti di oggi.Anche su Reinecke, il meno noto dei com-positori in programma, la storia ci regala testimonianze preziose: alcune sue esecu-zioni pianistiche, tra cui molte mozartiane, sono sopravvissute sotto forma di rulli per l’esecuzione con autopiano; una forma molto particolare di registrazione, in grado tuttavia di aprire più di qualche spiraglio sulla sensibilità e la prassi interpretativa di questo importante personaggio del secondo Ottocento tedesco. Otre a essere un pianista

famoso per il suo “tocco bello, delicato, legato e lirico”, come lo definì la figlia di Liszt, fu compositore e direttore d’orchestra; particolarmente longevo, ebbe modo di entrare in contatto con moltissimi musicisti della sua epoca: frequentò Mendelssohn, i coniugi Schumann, Listz, Brahms. Come compositore coltivò molto la musica da camera, la Hausmusik, alla quale si deve ascrivere anche il Trio op. 274, composto a Lipsia nel 1906 ma di sapore decisamente tardo-ottocentesco. Le sue registrazioni restituiscono un approccio alla musica relativamente flessibile, com’era tipico della sua epoca, con abbondanza di rubato, accenti e dinamica associati all’andamento, portamenti; tutti elementi su cui il Trio Dia-loghi si è basato per costruire una propria interpretazione della sua musica.

Angela Romagnoli

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SALA FILARMONICA SABATO 24 FEBBRAIO 2018 - ORE 20.45

MONICA MARANELLI pianoforteLudwig van BEETHOVEN Sonata in re minore op. 10 n. 3(1770-1827) Presto Largo e mesto Minuetto: allegro Rondò: Allegro

Fryderyk CHOPIN Scherzo n. 1(1810-1849)

Robert SCHUMANN Carnaval, scènes mignonnes (1810-1856) sur quatre notes, op.9 Préambule - Quasi maestoso Pierrot - Moderato Arlequin - Vivo Valse noble - Un poco maestoso Eusebius - Adagio Florestan - Passionato Coquette - Vivo Replique - L’istesso tempo Sphinxes Papillons - Prestissimo A.S.C.H.-S.C.H.A. (Lettres dansantes) - Presto Chiarina - passionato Chopin - Agitato Estrella - Con affetto Reconnaissance - Animato Pantalon et Colombine - Presto Valse allemande - Molto vivace Intermezzo: Paganini - Presto Aveu - passionato Promenade - Con moto Pause - Vivo, precipitandosi Marche des «Davidsbündler» contre les Philistins - Non allegro

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ASSOCIAZIONE FILARMONICA DI ROVERETO60

Classe 1995, Monica Maranelli ha iniziato lo studio del pianoforte all’età di otto anni presso la Scuola Musicale di Arco, essendo poi ammessa a soli sedici anni all’Acca-demia Pianistica Internazionale “Incontri col Maestro” di Imola, perfezionandosi con Leonid Margarius e Anna Kravtčenko. A diciotto anni si è diplomata con lode pres-so il Conservatorio “Bonporti” di Trento. Ha suonato per diversi festival musicali esibendosi in numerose sale da concerto, tra cui la “Wiener Saal” del Mozarteum di Salisburgo, la “Sala Filarmonica” di Trento, il Teatro di Bensheim (germania), il “Centro Civico” di Bolzano, il Museo Nazionale “G. Verdi” di Busseto, i Palazzi “Todeschi” e “Diamanti” di Rovereto, il “Centro Culturale” di Locca, il Teatro di Fontanellato, il “Palazzo gozzani di Tre-ville” di Casale Monferrato, il “Palazzo Calepina” di Trento, l’“Ateneo Veneto” di Venezia, la “Sala Filarmonica” di Rovereto.Ha collaborato come solista con l’Or-chestra della “Pasqua Musicale Arcense” diretta da Peter Brashkat, con l’Orchestra del Conservatorio “Bonporti” di Trento, con la Camerata Musicale “Città di Arco” e con l’Orchestra del Conservatorio della Svizzera Italiana.Ha preso parte alle masterclass di pianisti quali Francois Thiollier, Riccardo Risaliti, Davide Cabassi, Rasa Biveiniene, Aldo Ciccolini, george Kern, Alexander Meinel, Pietro de Maria, Vovka Ashkenazy.Ha ottenuto ottimi piazzamenti in tutti i concorsi a cui ha partecipato.Recentemente ha conseguito con successo il Master of Art in Music Performance presso il “Conservatorio della Svizzera Italiana” di Lugano sotto la guida di Anna Kravtčenko, con la quale attualmente pro-segue gli studi.

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ASSOCIAZIONE FILARMONICA DI ROVERETO62

Con la Sonata op. 10 n. 3 di Beethoven si porta a compimento il finale di una comme-dia che ci era stata presentata in ottobre, nel recital di Alberto Ferro, con l’esecuzione dell’op. 10 n. 2. Dopo la pagina briosa ed umoristica ben rappresentata dalla seconda sonata di questo ciclo del 1798, ascoltiamo ora da Monica Maranelli l’ultimo atto di uno spettacolo che termina in grande stile. Sin dalle prime battute si palesa la magnilo-quenza della scrittura: seste spezzate, ottave alternate e scale, tutte prodezze virtuosisti-che a dir poco temerarie per quei dilettanti di musica che furono i primi ascoltatori di queste pagine beethoveniane. Non esisteva ancora, infatti, il concerto pubblico come lo intendiamo ora. Dobbiamo aspettare Liszt e la nascita, nel 1837, della pratica del recital pianistico. Eppure Beethoven era già pronto ad uscire dai salotti della borghesia e a salire sul palcoscenico di una grande sala da con-certo. E ce lo dimostra dilatando la forma di questa Sonata (quattro movimenti rispetto ai tre delle sonate sorelle) ed esplorando le risorse dello strumento, dalle possibilità timbriche (già nelle prime battute ascoltiamo suoni staccati, legati, slegati, e ancora pia-nissimi, fortissimi, sforzati e via dicendo), espressive (ogni movimenti incarna un sentimento diverso e ben definito) sino a quelle fisiche della tastiera, andando cioè a cercare le note più acute e quelle più gravi a disposizione sullo strumento dell’epoca, nel desiderio quasi urgente di dilatare ulterior-mente l’ampiezza del registro del pianoforte. In presenza di un primo movimento brillante e virtuosistico (pare di vederlo, Beethoven, nel desiderio spasmodico di toccare tutti i tasti del pianoforte), di un Minuetto-Trio quale delizioso cameo e di un Rondo finale

ugualmente brioso (quasi un’improvvisa-zione su tre note che termina scomparendo dietro il sipario), la Sonata op. 10 n.3 viene ricordata soprattutto per il magnificente tem-po lento. In questo “Largo e mesto” l’autore si concentra nel registro grave e disegna una pagina di grande pathos. Beethoven scrive con straordinaria precisione sullo spartito tutte le indicazioni utili all’interprete per guidarlo nella realizzazione di quel potere tragico che rende questa pagina un punto di riferimento nella storia della musica. Nella composizione di quattro Scherzi, Chopin cambia i connotati ad un genere codificato da Beethoven come movimento tripartito (A B A) di Sonata e Sinfonia, dove ad una sezione briosa vi è contrappo-sta una più lirica e calma. Il compositore polacco estrae questo pezzo dal contesto e lo rende autonomo, dilatandone la forma e componendone quattro esempi nell’arco di dieci anni. Il Primo Scherzo vede la luce a Vienna, nel 1832. Nelle sezioni estreme l’orecchio non ode le melodie o le sperimen-tazioni armoniche, bensì l’impeto, la lacera-zione, l’urgenza di un grido, quel palpitare disperato che l’avanzata russa sulla Polonia suscitava nel cuore di uno Chopin ventenne. La parte centrale di questo brano, in contra-sto, è di una dolcezza sublime, e canta con intima voce un canto natalizio tradizionale polacco. «Suono, piango, leggo, guardo, rido, vado a dormire, spengo la candela e sogno sempre di voi» scriveva in una lettera il giorno di Natale del 1830 da Vienna. Le missive di quegli anni ci rivelano uno Chopin pieno di dolore e piangente la sua disperazione sul suo pianoforte. Varsavia cadeva, distrutta, e le macerie rotolavano nelle pagine delle sue composizioni? Oppure

NOTE AL PROGRAMMA

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la sofferenza era causata dalla capitale asbur-gica, una città che si era rivelata inaspetta-tamente ostile al suo genio? O ancora era semplicemente la nostalgia di casa? «Non vi è niente di più detestabile di una musica senza pensieri segreti» diceva Chopin. Per-ché, dunque, provare a svelarli?Spazio al racconto fantastico e al breve pezzo caratteristico con il Carnaval di Schumann, variopinto ciclo pianistico che mette in scena tutti gli umori dell’arte di questo compositore romantico. Potremmo avvicinarci a quest’opera come alla trama più avvincente di un romanzo di Dan Brown, dove gli ingredienti sono una cerchia ri-stretta di amici, un protagonista che si cela dietro a due opposte identità, un messaggio cifrato, una festa mascherata, le convenzioni dell’alta borghesia, il fruscio degli abiti sopra il parquet in una sala da ballo dove regna il valzer. La chiave del primo enigma, quello più gustoso, è il pezzo intitolato “Sphinxes” (spesso omesso nell’esecuzioni ai concerti proprio per la sua cripticità) che si trova circa a metà dell’opera. Trattasi di tre bat-

tute staccate che contengono ciascuna una serie di quattro note lunghe. gioco facile, in terra tedesca, dove le note musicali sono indicate con le lettere, leggerci queste pa-role: SCHA, AsCH e ASCH, che celano la dichiarazione d’amore di Schumann ad Ernestine von Fricken (nata nella città di Asch). La maggioranza dei pezzi che com-pongono il ciclo è costruita su queste note. Ma non tutti, fanno eccezione le maschere più importanti: Eusebio e Florestano, ossia l’alfa e l’omega di Robert, l’anima intima e quella selvaggia; Chiarina, che è Clara, la futura sposa, forse non troppo felice di figurare accanto ad Estrella (Ernestine) e Coquette (un’altra fiamma?); Paganini e Chopin, ossia loro medesimi, i suoi musicisti preferiti. Ma i titoli dei brani, colpo di scena, Schumann li pensò a composizione ultimata, in quei giorni di carnevale del 1835. La rete è tirata, al pubblico la ricerca della soluzione o, più semplicemente, la gioia dell’ascolto di un travolgente giro di valzer della creatività schumanniana.

Monique Ciola

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ASSOCIAZIONE FILARMONICA DI ROVERETO64

gIOVEDÌ 1 MARZO 2017 - ORE 18.30 MOmenti MUsicali “Lezione di musica”

di Giovanni Bietti (RADIO3)Segue momento conviviale

Giovanni Bietti, compositore, pianista e musicologo, è considerato uno dei migliori divul-gatori musicali italiani. È una delle più note voci radiofoniche delle “Lezioni di musica” (seguitissima trasmissione settimanale di Rai-RadioTre), e ha pubblicato libri dedicati a Mozart, a Beethoven e al Sinfonismo Viennese.Tiene regolarmente Lezioni-Concerto, direttamente al pianoforte, presso molti dei più prestigiosi Enti italiani: Teatro alla Scala, Teatro La Fenice, Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Teatro dell’Opera di Roma, Teatro Regio di Torino, Teatro Petruzzelli di Bari, Teatro Massimo di Palermo, Teatro Bellini di Catania, Festival Mito-Settembre Musica di Torino e Milano, Bologna Festival, Teatro Lirico di Cagliari, Ravello Festival, Teatro Regio di Parma, Sferisterio di Macerata, Teatro delle Muse di Ancona, Teatro Valli di Reggio Emi-lia, Festivaletteratura e Orchestra da Camera di Mantova, Orchestra Sinfonica Siciliana.

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TEATRO ZANDONAIgIOVEDÌ 1 MARZO 2018 - ORE 20.45

ORCHESTRA HAYDN

Arvo Volmer direttore

giuseppe VERDI La forza del destino: Sinfonia(1813-1901)

Richard STRAUSS Tod und Verklärung, op. 24(1864-1949) Largo (Il malato, in prossimità della morte)

Allegro molto Agitato (La battaglia tra la vita e la morte non offre alcuna tregua per l’uomo)

Meno mosso (La vita del moribondo passa davanti a lui)

Moderato (La trasfigurazione)

Béla BARTÓK Concerto per orchestra BB 123(1881-1945) Andante non troppo, Allegro vivace Gioco delle coppie: Allegretto scherzando Elegia: Andante non troppo Intermezzo interrotto: Allegretto Finale: Pesante

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ASSOCIAZIONE FILARMONICA DI ROVERETO66

Estone, nato nel 1962 a Tallinn, Arvo Volmer ha studiato direzione d’orchestra dal 1980 al 1985 con Olev Oja e Roman Matsov al Conservatorio Statale Estone della sua città natale, passando successivamente al Conservatorio “Rimskij-Korsakov” di Leningrado, dove si è diplomato con Ravil Martynov nel 1990; si è perfezionato con Helmuth Rilling negli Stati Uniti. Nel 1989 ha vinto il premio speciale e il quarto premio al Concorso “Nikolai Malko” di Copenaghen.Volmer ha debuttato nel 1985 al Teatro d’Opera Nazionale Estone di Tallinn, un’istituzione alla quale è sempre rimasto legato e di cui dal 2004 è il direttore musicale. Dal 1987 ha lavorato anche con l’Orchestra Nazionale Estone, divenendone direttore stabile nel 1993 (vi è rimasto fino al 2001). Dal 1994 al 2005 Volmer è stato direttore artistico e musicale dell’Orchestra Sinfonica di Oulu in Finlandia e dal 2004 al 2013 principal conductor e music director dell’Adelaide Symphony Orchestra in Australia. Sotto la sua direzione l’orchestra ha compiuto tournées negli Stati Uniti, apparendo alla Royce Hall di Los Angeles e alla Carnegie Hall di New York; dal 2008 al 2013 vi ha diretto il ciclo completo delle Sinfonie di Mahler, rimanendo poi legato alla compagine quale principal guest conductor. Arvo Volmer è apparso come direttore ospite della Australian Youth Orchestra, della State Opera South Australia, della West Australian Symphony, della bbc Philharmonic Orchestra, della Komische Oper di Berlino, della Konzerthaus-Orchester e della Radio-Sinfonieorchester di Berlino, della City of Birmingham Symphony Orchestra, dell’Orchestre de Bretagne, dell’Orchestre National de Belgique di Bruxelles, a Chemnitz e Copenaghen, dei Dortmunder Philharmoniker, dell’Orchestra Sinfonica di göteborg, al Festival Menuhin di gstaad, della ndr-Radiophilharmonie di Hannover, del Teatro d’Opera Finlandese e dell’Orchestra Sinfonica della Radio di Helsinki, delle Orchestre Filarmoniche di Helsinki, Macau e Malmö, al Nationaltheater di Mannheim, della Melbourne Symphony Orchestra, dell’Orchestra Filarmonica di Mosca e del Teatro Bolšoi di Mosca, al Festival Europa Musicale di Monaco, dei Nürnberger Symphoniker, del Teatro d’Opera Norvegese di Oslo, dell’Orchestre National de France e dell’Orchestre Philharmonique de Radio France

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a Parigi, della Queensland Orchestra, delle Orchestre Filarmoniche di Reykjavik e di San Pietroburgo, dell’Orquesta Sinfónica do Estado de Saõ Paulo, dell’Opera Australia di Sid-ney, della Singapore Symphony Orchestra, delle Orchestre Filarmoniche di Stoccarda e di Stoccolma, della Sydney Symphony, della Taiwan Symphony e della Tasmanian Symphony Orchestra nonché del Teatro d’Opera georgiano di Tblisi. Ha diretto inoltre in Israele, nei Paesi Bassi, in Polonia, in Portogallo e nella Repubblica Ceca. Arvo Volmer ha diretto diverse prime esecuzioni assolute di opere di compositori estoni, del finlandese Olli Kortekangas e dello svedese Sven-David Sandström. Nel 2007 ha diretto la prima assoluta dell’opera Wallenberg di Erkki-Sven Tüür, apparsa nel 2008 come dvd (erp). Con l’Orchestra Sinfonica di Oulu ha registrato tutte le opere orchestrali di Leevi Madetoja (cd Alba Records, 1998-2000); con l’Orchestra Nazionale Estone ha inciso le Sinfonie di Eduard Tubin (5 cd Alba Records, 1999-2003), il balletto goblin di Tubin (cd Alba Records, 2005) e il Requiem estone di Cyrillus Kreek del 1927 (cd Alba Records, 2007). Inoltre sono apparse le opere sinfoniche di Ester Mägi (cd Toccata Classics, 2007), un’edizione integrale delle Sinfonie di Jean Sibelius con la Adelaide Symphony Orchestra (cd abc Classics) e i Concerti per fiati di Ross Edwards con la Melbourne Symphony Orchestra.Arvo Volmer ha debuttato con l’Orchestra Haydn nell’ottobre 2012, dirigendo il concerto d’inaugurazione della Stagione; dal 2014 egli ne è il direttore principale.

L’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento si è costituita nel 1960 per iniziativa dei Comuni e delle Province di Bolzano e di Trento e gode dei finanziamenti ministeriali del Fondo Unico per lo Spettacolo (FUS). Il suo repertorio spazia dal barocco ai contemporanei; in più occasioni autori come Luigi Dallapiccola, Luigi Nono, Luciano Berio, Franco Donatoni, Giorgio Battistelli, Matteo D’Amico e Giovanni Sollima le hanno affidato dei loro lavori in prima esecuzione assoluta.L’Orchestra ha preso parte a diversi festival internazionali, apparendo in Austria (a Bregenz, Erl, al Mozarteum di Salisburgo e al Musikverein di Vienna), germania, giappone (a Otsu e Tokio), Italia (al Maggio Musicale Fiorentino, alla Sagra Musicale Umbra di Perugia, al Rossini Opera Festival di Pesaro, ad Anima Mundi di Pisa e a MiTo SettembreMusica di Torino), nei Paesi Bassi, negli Stati Uniti d’America, in Svizzera e in Ungheria.Sul suo podio sono saliti, fra gli altri, Claudio Abbado, Rinaldo Alessandrini, Riccardo Chailly, Ottavio Dantone, Eliahu Inbal, Alain Lombard, Jesús López-Cobos, Neville Mar-riner, Riccardo Muti, Daniel Oren, José Serebrier, Sir Jeffrey Tate, Juraj Valčuha e Alberto Zedda; dopo il fondatore Antonio Pedrotti si sono avvicendati come direttori stabili Hermann Michael, Alun Francis, Christian Mandeal e Ola Rudner.Dopo la quasi trentennale guida di Andrea Mascagni, alla direzione artistica si sono avvi-cendati Hubert Stuppner, gustav Kuhn (2003-2012) e Daniele Spini (dal 2013); dal 2014 Arvo Volmer è il direttore principale dell’Orchestra.Moltissime sono le registrazioni radiofoniche e televisive per la rai; ampio il catalogo di lp, cd e dvd realizzati per Agorá, Amadeus, Arts, Brilliant Classics, Camerata Tokyo, col legno, Concerto, cpo, Dynamic, Multigram, Naxos, Opus Arte, rca, stradivarius, Turn about, Unitel, Universal, Verdi Records, vmc Classics e Zecchini.

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ASSOCIAZIONE FILARMONICA DI ROVERETO68

SALA FILARMONICAMARTEDÌ 6 MARZO 2018 - ORE 20:45

QUARTETTO BORODIN

Ruben Aharonian violinoSergej Lomovskij violino

Igor Naidin violaVladimir Balšin violoncello

Aleksandr BORODIN Quartetto n. 1 in la maggiore(1833-1887) Moderato - Allegro Andante con moto Scherzo: Prestissimo Allegro risoluto

Franz SCHUBERT Quartettsatz(1797-1828)

Pëtr Il’ič ČAJKOVSKIJ Quartetto n. 1 in re maggiore op. 11(1840-1893) Moderato e semplice - Allegro giusto Andante cantabile Scherzo: Allegro non tanto e con fuoco Finale: Allegro giusto

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Da più di settanta anni il Quartetto Borodin è, all’unanimità, considerato un vero e proprio punto di riferimento per l’autorevolezza che esprime nell’ambito della musica da camera. Fortemente acclamato per le sue interpretazioni di Beethoven e Šostakovič, il Quartetto è ugualmente straordinario nell’esecuzione del repertorio che va da Mozart a Stravinskij.Descritto dal Daily Telegraph (Australia) come un quartetto di “grandi maestri russi”, il Quartetto Borodin mostra un’ innata sensibilità in merito ad opere di compositori internazio-nalmente riconosciuti come “pilastri”della musica russa: Borodin, Čajkovskij, Šostakovič, glinka, Stravinskij, Prokof’ev, Schnittke. La connessione del Quartetto con la musica da camera di Šostakovič è fortemente personale, in quanto arricchita da uno stretto rapporto con il compositore, che ha in prima persona supervisionato lo studio di ciascuno dei suoi quartetti. Il Quartetto Borodin ha eseguito l’integrale dei quartetti di Šostakovič presso i principali centri musicali al mondo. Nel corso delle ultime due stagioni l’ensemble è tor-nato a d eseguire un repertorio più ampio, tra cui opere di Schubert, Prokof’ev, Borodin e Čajkovskij.Il Quartetto Borodin fu costituito nel 1945 da quattro studenti del Conservatorio di Mosca ed a suo tempo denominato “Quartetto della Filarmonica di Mosca”. Successivamente, il gruppo mutò il proprio nome assumendo quello attuale di Quartetto Borodin, annoverando, tra i vari primati, quello di essere una delle pochissime formazioni da camera stabili che non abbia mai interrotto la propria attività. Il Quartetto, ha, nel tempo, mantenuto totalmente intatta la bellezza timbrica, l’eccellenza tecnica e musicale. La forza di coesione e la vi-sione dell’unita quartettistica sono successivamente sopravvissute anche alla variazione di alcuni elementi. gli attuali membri sono: Ruben Aharonian, Sergej Lomovskij, Igor Naidin e Vladimir Balshin. I loro programmi includono Prokof’ev, Mozart, Beethoven, Haydn, Čajkovskij, Arenskij, Mjaskovskij, Šostakovič e, naturalmente, Borodin.Oltre all’attività quartettistica, il Quartetto Borodin ha collaborato e tutt’ora collabora con partners del livello di: Svjatoslav Richter, Yuri Bashmet, Michael Collins, Mario Brunello, Elisabeth Leonskaja, Christoph Eschenbach, Boris Berezovskij, Denis Matsuev e Nikolaj Luganskij. Numerose sono tra l’altro le masterclasses e le partecipazioni alle giurie di importanti concorsi internazionali. gli inviti di maggior richiamo nel corso della stagio-ne ‘16/’17 includono una serie di concerti a: Londra, Lione, Bilbao, Pamplona, Madrid, Essen, Brugge, Miami, Porto Rico, Bogota, Amsterdam, Rotterdam, Budapest, Mosca ed una tournee in Cina.Collaborazioni in quintetto fanno riferimento a: Aleksej Volodin, Michael Collins, Joseph Kalichstein e Elisabeth Leonskaja. Inoltre, il Borodin Quartet apparirà al fianco della Staatskapelle di Dresda per la direzione di Vladimir Jurowskij nell’esecuzione dei concerti di Martinů e Schulhoff, per orchestra e quartetto d’archi.Sul piano discografico, per l’etichetta ONYX, l’esecuzione dei quartetti di Borodin, Schu-bert, Webern e Rachmaninov, è valsa al Quartetto Borodin un grammy nel 2005 nella categoria “Best Chamber Performance”. Ricordiamo inoltre una vastissima gamma di re-gistrazioni effettuate nell’arco di diversi decenni, per conto di etichette del calibro di: EMI, RCA e Teldec oltre all’integrale dei quartetti di Beethoven per CHANDOS. Il Quartetto ha peraltro registrato l’integrale dei Quartetti di Šostakovic per la Decca, con CD celebrativo del 70° anniversario della propria fondazione pubblicato nel marzo 2015.

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NOTE AL PROGRAMMA

BORODIN – La figura di Aleksandr Boro-din è di quelle che sembrano direttamente uscite dalle pagine di un romanzo russo dell’Ottocento. Figlio illegittimo di un prin-cipe di origini tartare, compì studi scientifici esercitando con successo la professione di chimico. Si dedicò alla musica nel tempo libero e nel-lo spirito del dilettantismo che il «gruppo dei Cinque», di cui era un esponente, riven-dicava orgogliosamente come presa di di-stanza da ogni accademismo occidentalista. Ma egli si segnalò anche per doti spiccate di umanista e filantropo, impegnandosi tra l’altro sul fronte femminista, all’epoca dav-vero pionieristico. Morì a cinquantaquattro anni per un infarto fulminante nel corso di una festa in maschera.Borodin fu un talento spontaneo, capace di grandi voli e di realizzazioni ambiziose, come testimoniano le tre Sinfonie e so-prattutto la poderosa opera Il principe Igor, rimasto un caposaldo del teatro musicale russo dell’Ottocento. Egli dunque si pre-senta alla nostra considerazione come un musicista che, senza occupare le primissime file, non si lascia retrogradare a fenomeno d’epoca ma si impone nel contesto storico con valori suoi propri.Certamente l’opera teatrale si prestava assai bene alle istanze di novità spiranti in Russia a quei tempi; le forme strumentali invece necessitavano di appoggiarsi ancora ai modelli occidentali: Beethoven in primis, ma anche gli altri tedeschi della stagione romantica, pur sempre rinverditi dalla tipica qualità del melos i russo. Il Quartetto n. 1 in la maggiore fu scritto nel 1879 parallelamente al Principe Igor, ed è lavoro dal significato non trascurabile. In esso si apprezza quel gusto sorvegliato,

quella giusta misura che ne fanno un’opera equilibrata, serena, intima come poche e sempre con un fondo di antica nobiltà. Inutilmente vi si ricercheranno perorazioni violente, asprezze di conflitti, toni retorici o declamatorî. In questa musica totalmente priva di arroganza tutto fluisce in modo naturale e semplice, ma non ingenuo: l’ani-mazione non porta dramma, la compostezza non ingenera rigore o freddezza, l’eufonia non è frutto di sterile autocompiacimento. L’affinità ideale con Mendelssohn è rinve-nibile nello Scherzo in staccato leggero, che Borodin tratta con mano maestra. Qua e là riaffiora come elemento nativo un’eco di motivi popolari, e tuttavia il tono di ma-linconia russa che vi aleggia intorno rimane estraneo allo spleen, che è vocabolo proprio del decadentismo occidentale. Volendo racchiuderla in una formula riepilogativa, potremmo definire quella di Borodin una musica ‘beneducata’, scaturita da un animo gentile.

SCHUBERT – Il Quartettsatz in do mi-nore D 703 (1820) è il primo tempo di un quartetto mai completato ma sopravvissuto in repertorio e frequentemente eseguito per la sua impronta fortemente personale caratterizzata da piglio gagliardo e umore inquieto, come per necessità di esprimere un’esigenza spirituale insopprimibile. Inu-tile ricercare nelle biografie schubertiane indizi che tentino di ricostruirne l’iter ide-ativo, anche perché non se ne conoscono committenti o dedicatarî: il Quartettsatz rimarrà per sempre un mistero proprio come lo è la più famosa delle Sinfonie di Schu-bert, la cosiddetta «Incompiuta», sulla quale si è costruita gran parte della popolarità di questo autore.

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Si sa di un tentativo di tempo lento (un Andante) che avrebbe dovuto seguire all’Allegro, ma le poche decine di battute ri-maste, per quanto intensamente sentite, non bastano a farsene un’idea compiuta. Né è possibile intuire le ragioni dell’abbandono, se non quelle di natura puramente artistica che avrebbero riconosciuto al troncone un valore autonomo e pertanto non bisognoso di aggiungervi dell’altro; ma esistono anche ipotesi che ritengono più esterne e contin-genti le ragioni dell’incompiutezza. Un elemento di enigmaticità sta anche nel fatto di figurare nel catalogo schubertiano come pagina isolata, ovvero molto di-stanziata dagli altri quartetti precedenti e successivi: anche per questo il Quartettsatz vi si staglia con una evidenza particolare. Né si è dimostrata proficua la ricerca di un collegamento per affinità con il Quartetto op. 18 n. 4 di Beethoven, soprattutto perché è lo spirito, qui, ad essere diverso: nessun patetismo nel do minore di Schubert ma piuttosto un tono livido che va ad assecon-dare la prevalente qualità visionaria della concezione.Il movimento è in forma-sonata, con un patetico secondo tema in la bemolle che contrasta in modo accentuato con la frenesia del primo. E tuttavia, ultimata la sezione di sviluppo, non si ha la canonica ripresa della prima parte: questa si affaccia solo in conclusione quasi per voler ricondurre il pezzo all’originario spirito turbato.

ČAJKOVSKIJ – L’interessante ma in fondo stucchevole polemica sul grado di ‘russicità’ attribuibile a un autore ‘cosmopolita’ come Čajkovskij rispetto ai compositori naziona-listi del ‘gruppo dei Cinque’ sembra ormai risolta con il riconoscimento dell’esistenza di modi differenti di essere russi in musica, non escluso quello di chi, diversamente

dalla scelta polemicamente antiaccademi-ca del circolo di Stasov, frequentava studi regolari in conservatorio e si si formava un corredo di competenze inattaccabile. È questo per l’appunto il caso di Čajkovskij, che interpretò l’anima russa dall’alto della sua cultura occupandosi di rappresentare, più che la voce del mondo contadino, il malessere della piccola aristocrazia del suo tempo, accomunandosi in questo ad un acuto scrittore come Anton Čechov.Prodotti esemplari di questa conquista cul-turale sono i tre Quartetti che Čajkovskij scrisse assieme ad altra pregiata musica da camera (famoso tra tutti il Sestetto per archi “Souvenir del Florence”). Tre quartetti che sono tre capolavori di finezza, sostanza, dottrina e sincerità.Il primo in re maggiore (1870) è ancora opera giovanile ma già assolutamente padroneggiato in tutto quanto è necessità espressiva e racconto interiore. Una musica i cui effetti scaturiscono sempre in modo naturale dal tessuto generale, senza alcuna costrizione o artificiosità. La proprietà comunicativa rimanda alla nota immagine della conversazione tra gentiluomini bene-ducati, ed in questo è sempre presente la lezione di a Mozart, che fu per Čajkovskij un imperituro modello di stile. Il Quartetto si apre con una soluzione ritmica consistente in un protrarsi di sin-copi, quasi sospiri: figura originale che caratterizzerà l’intero movimento. La rara indicazione apposta in apertura (Modesto e semplice) dice già tutto dello spirito di questa pagina iniziale, che non pretende un romantico dispiegamento di energie agogico-dinamiche e nemmeno un eroico scontrarsi di idee affermative ma appunto aspira a un procedere naturale e composto che ottempera a tutte le esigenze della forma e ai diritti della fantasia creatrice.

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L’Andante cantabile che segue è stato premiato dai più alti elogi tanto da essere definito tout court uno degli esempi più rinomati di tutta la letteratura quartettistica per proprietà di equilibrio e inventiva. La melodia-guida, già di per sé carica di fa-scino arcano, deriva da un canto popolare nostalgico che sa di cose lontane e di sug-gestioni fiabesche. I molti altri episodi che vi si aggiungono rendono la pagina ricca e poeticamente intensa.E dopo uno Scherzo opportunamente dina-mico e vivace, giocato anch’esso soprattutto su soluzioni ritmiche, il Finale interviene a racchiudere il Quartetto in una dimensione espressivamente serena ed esuberante.

Nell’insieme il Quartetto risulta piuttosto asciutto e stringato nella tenuta generale, non è rimproverabile di lungaggini reto-riche, non ha niente da dimostrare oltre se stesso, rifugge dall’enfasi, e dalla parola importante. La verità espressa da questa pagina e la sua capacità di compenetrarsi con l’anima russa trovano autorevole riscontro in un ricordo dello stesso Čajkovskij: «Non sono mai stato così lusingato nella mia vanità di compositore come quando Tolstoj, seduto accanto a me, ascoltando l’Andante del mio Primo Quartetto è scoppiato in lacrime».

Diego Cescotti

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ASSOCIAZIONE FILARMONICA DI ROVERETO74

SALA FILARMONICAgIOVEDÌ 15 MARZO 2018 - ORE 20.45

ALEKSEJ VOLODIN pianoforte

«DEDICHE»

Robert SCHUMANN (1810-1856) Ferenc LISZT Widmung

(1811-1886)

Robert SCHUMANN Kreisleriana (dedicata a F. Chopin) Ausserst bewegt Sehr innig Sehr aufgeregt Sehr langsam Sehr lebhaft Sehr langsam Sehr rasch Schnell und spielend

Frydeyk CHOPIN Ballade n. 2 (dedicata a R. Schumann)(1810-1849)

Ferenc LISZT Sonata in si minore (dedicata a R. Schumann) Lento assai Allegro energico Agitato Grandioso, dolce con grazia Cantando espressivo Andante sostenuto

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NOTE AL PROGRAMMA

Nato nel 1977 a Leningrado, Aleksej Volodin ha studiato presso la gnessin Academy di Mosca e successivamente con Eliso Virsaladze presso il Conservatorio di Mosca. Nel 2001 ha proseguito gli studi presso l’Accademia Pianistica Internazionale Lago di Como ponen-dosi definitivamente all’attenzione internazionale all’indomani della vittoria conseguita in seno al Concorso Internazionale géza Anda di Zurigo nel 2003.Acclamato per il suo tocco altamente sensibile e per la brillantezza tecnica, Alexei Volodinè ambitissimo dalle orchestre di più alto livello internazionale anche in virtù di un repertoriostraordinariamente vario, che spazia da Beethoven e Brahms a Čajkovski, Rachmaninov, Prokof’ev, Skrjabin, gershwin, Šedrin e Medtner.Nelle ultime stagioni Volodin ha debuttato presso i BBC Proms con la London Symphony Orchestra, inoltre è apparso al fianco di orchestre come l’Orchestra della Radio Svedese, Danish Radio, delle orchestre sinfoniche della BBC, del Maggio Musicale Fiorentino, Or-chestra Sinfonica Nazionale della RAI, Sinfonia Varsovia, Orchestre National de Belgique, Rotterdam Philharmonic Orchestra, Orchestra Nazionale Russa per la direzione di Mikhail Pletnev, SWR, NHK Tokyo, Singapore Symphony Orchestra con Vladimir Ashkenazy, Orchestre National de Lille, e Orquesta Sinfonica de Barcelona.In tournée, Alexei Volodin appare sovente al fianco della Mariinskij Orchestra, MünchenerKammerorchester, NFM Wroclaw Philharmonic Orchestra.In veste di musicista da camera collabora con i Quartetti Borodin e Casals Quartet, e con la violoncellista Sol gabetta. Aleksej Volodin suona abitualmente nelle sale di massimo prestigio: Konzerthaus Vienna, Concertgebouw di Amsterdam, Parigi ‘Philharmonie, Inter-national Piano Series di Londra, Wigmore Hall, Sala grande del Conservatorio di Mosca, Alte Oper di Francoforte, Herkulesaal di Monaco, Tonhalle di Zurigo, Madrid, Auditorio Nacional, e Palau de la Musica di Barcellona.Sul piano discografico rammentiamo CD da solista su musiche di Schumann, Ravel e Scriabin. Le sue registrazioni dei Concerti per pianoforte e orchestra di Chopin gli sono valse recensioni a cinque stelle da parte della Diapason. Aleksej Volodin è un artista in esclusiva Steinway & Sons.

Il programma di questo concerto ruota attor-no alla figura di Robert Schumann, compo-sitore tedesco della prima metà dell’Otto-cento che incarnò appieno l’ideale di uomo romantico: artista nella musica (pianista all’inizio e compositore per sempre), libero pensatore (critico musicale), organizzatore culturale (fondatore di un salotto di artisti a casa propria) e folle di passione creativa

(nell’arte per davvero, ma anche per i medici dell’epoca, per un errore di valutazione). Di lui viene eseguita Kreisleriana, da lui Liszt elaborò Widmung, a lui sono dedicate la Se-conda Ballata di Chopin e la Sonata di Liszt.La fantasia creativa di Schumann si è sempre nutrita nella letteratura fantastica di inizio Ottocento, da Jean Paul (al cui romanzo “Flegeljahre” dobbiamo la conoscenza dei

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gemelli Vult e Walt, precursori di Eusebio e Florestano) a E. T. A. Hoffmann (creatore di romanzi fantastici ed horror, ispirò Edgar Allan Poe e Dostoevskij). Tra i personaggi creati da Hoffmann c’era anche un musicista, il maestro di cappella Johannes Kreisler, uomo romantico per ec-cellenza, in cui Schumann si riconobbe a tal punto da dedicargli una composizione. Così nasce, nel 1838, un nuovo ciclo pianistico dal titolo Kreisleriana, ossia “le cose di Krei-sler”, che viene dedicato a Chopin. Gli otto brani che compongono l’opera, riassumono tutte le anime del compositore tedesco: im-petuosa e selvaggia, intima e dolce, gioiosa e infantile, seriosa ed intellettuale, onirica e bizzarra. Ma è la precisa alternanza di pezzi estrosi con altri più contemplativi che ha suggerito una fonte letteraria diversa per la genesi dell’opera. La tesi, di Piero Rattalino, è che Schumann non abbia seguito i testi che raccontano le travagliate avventure di Kreisler contenuti nei “Racconti fantastici alla maniera di Callot” bensì in “Le sagge riflessioni del gatto Murr”. La finzione di quest’ultimo libro è che il gatto in questione si sia messo a scrivere la propria autobiografia sul retro di fogli sparsi, che raccoglievano in realtà la biografia di Kreisler. Lo sbadato tipografo, nel momento della rilegatura, aveva quindi messo tutto assieme, restituendo le due bio-grafie a pagine alterne, senza soluzione di continuità. Che sia o meno questa la verità della finzione (!), rimane la stravaganza dell’arte creativa che ne è scaturita, da una parte e dall’altra.Dalla corrispondenza del tempo tra Robert e la sua futura sposa, scopriamo che le pagine di Kreisleriana sarebbero lo scrigno del loro amore appassionato. Di certo questo è vero in Widmung (che significa, appunto, “Dedica”), il primo lied

della raccolta Myrthen del 1840 - anno del matrimonio con Clara - composto su testo del poeta Rückert («Tu mia anima, tu mio cuore, tu mio diletto…»). Liszt ne diede la sua trascrizione per piano-forte solo, di questo come di un altro centina-ia di lieder (Beethoven, Schubert, Mendels-sohn, gli Schumann) quale pratica consueta per la diffusione di questo repertorio e tanto altro nei salotti di quella borghesia che aveva adottato il pianoforte come strumento della propria levatura intellettuale. Liszt dedicò a Schumann la sua unica e famosissima Sonata in si minore. Opera pianistica considerata tra le più importanti dell’Ottocento e molto amata dal pubblico, al tempo – siamo negli anni ’50 - non fu apprezzata, in quanto scardinava la forma classica con il suo tempo unico in cui ri-corrono ciclicamente i diversi temi. Inoltre, urtava l’orecchio educato con i suoi volumi sonori, e ancora trent’anni dopo il reveren-dissimo Hanslick tuonava «Chi l’ha sentita e la trova bella, è irrecuperabile!». Wagner, ovviamente, era di avviso opposto. Fatto sta che la Sonata di Liszt altro non faceva che anticipare quella grandiosità spaziale di suo-no/forma/durata che divenne normalità nei decenni a venire, nella direzione di un piano-forte orchestrale. La bellezza di questa com-posizione risiede nella tensione impetuosa di una lotta tra il Bene e il Male, quasi ad incarnare un altro tema letterario, quello di Faust, e nell’ambiguità dei temi-personaggio qui esposti, che trascolorano a seconda del momento. Non mancano esibizioni di trilli, arpeggi ed ottave, tutti quei virtuosismi che fanno parte della tecnica trascendentale del compositore ungherese, ma tutto è in fun-zione della poetica musicale, che sa creare molte sospensioni struggenti, isole di lirica meditazione, esplosioni travolgenti ed un avvincente e titanico fugato. Schumann ap-

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prezzò la dedica? Non lo sappiamo. Quando il dono arrivò nelle mani di Clara, il marito era già ricoverato nella clinica di malattie mentali da cui non fece più ritorno. Robert fu di certo molto felice, invece, della dedica che Chopin gli fece della Seconda Ballata. Lui che era stato suo grande ammi-ratore e che sulle pagine della sua rivista mu-sicale aveva salutato il giovane polacco con le famose parole: «giù il cappello, signori! Ecco un genio». Per Chopin si trattava, con meno ardore, di una educata risposta, come era d’uso, alla dedica di Kreisleriana. Egli fu il primo a servirsi del genere della Ballata per il solo pianoforte, quando la tradizione la voleva pagina prediletta della poesia come della poesia in musica (ossia la liederistica). Il racconto si sposta dunque sulla tastiera e si fa portavoce di gesta epiche. Nella Seconda Ballata, composta verso la fine degli anni

’40 del 1800, violenza e pathos riempiono l’esplosione del Presto con fuoco, il secon-do tema del brano, la cui drammaticità è ampliata, per contrasto, dalla staticità del primo tema. Sullo spartito il compositore scrive, all’inizio dell’Andantino, “sotto voce”, e poi più nulla per venti battute, se non un PP (pianissimo). L’atmosfera che si crea è sospesa, al di fuori del tempo, onirica. Così diversa, così distante da ciò che accade dopo, anche per la scelta della tonalità, da stridere emotivamente. I due temi, questi due mondi accostati da Chopin, si cedono il pas-so due volte nel brano, ma non troveranno un compromesso, qui come in altre pagine dell’autore, dove «lo sviluppo non appronta la risoluzione ma un ulteriore eccitamento (C. Rosen)». Monique Ciola

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ore 18.30MOmenti MUsicali incontri con interpreti e compositori:

Icarus Ensemblee L. Abbate, G. Taglietti, C. Rojac, S. Taglietti, C. Rastelli, N. Straffelini

segue momento conviviale

SALA FILARMONICAMERCOLEDÌ 28 MARZO 2018 - ORE 20.45

ICARUS ENSEMBLE

Luigi ABBATE Passus (2017)(1958)

gabrio TAgLIETTI Quaderno di traduzioni I (2017)(1955) Cinque pezzi dal Llibre vermell de Montserrat Corrado ROJAC Musica riflessa (1968)

Stefano TAgLIETTI Madregal(1965)

Claudio RASTELLI Travestimento n. 5(1963)

Nicola STRAFFELINI Carmina chromatico more(1965)

Paolo ROTILI Ancora un’eco(1959)

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Formazione di livello internazionale, Icarus Ensemble è nato nel 1994 ed è stato presente in quattro continenti. Particolarmente attivo nel campo del teatro musicale, ha realizzato una ventina di titoli di opere in prima esecuzione. Altre collaborazioni segnalabili sono quelle con importanti studi di videoarte (Studio Azzurro, Fabrica, Vertov, Otolab), con artisti (Boltansky), con esponenti della scena elettronica e post techno internazionale quali Staalplaat Soundsystem (Olanda), Pan Sonic (Finlandia), Andi Toma dei Mouse on Mars (germania).I membri dell’Icarus sono regolarmente ospiti di trasmissioni radiofoniche. I loro concerti sono stati trasmessi dalle reti nazionali giapponesi, messicane, argentine, olandesi, francesi, svizzere, rumene e azerbaigiane. Ricca anche la produzione discografica. Icarus Ensemble si è inoltre distinto nel campo della didattica musicale tramite la fondazio-ne di due complessi giovanili: l’«Icarus Junior», rivolto a giovani talenti dai 9 ai 14 anni, con esibizioni in Italia, in Usa, Croazia, Francia, Egitto e «Icarus vs Muzak», gruppo di percussionisti il cui nome è un programma etico prima ancora che musicale, richiamando l’opposizione ad una musica che sia solo intrattenimento (quando non sottofondo) a favore di un ascolto consapevole (Cervelli in fuga è il titolo del programma realizzato nell’autunno 2014 in Spagna).

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Luigi Abbate (1958)Passus per quartetto di legni e pianoforte (2017)Prendendo spunto dalla sezione conclusiva di un precedente lavoro, Erma (2016), se ne recupera come modello/pre-testo il Passus duriusculus, ossia il movimento di altezze cromaticamente discendenti all’interno di un ambito di quarta: formula fatta propria dall’antica retorica musicale (secondo la co-siddetta “teoria degli affetti”) per tradurre in musica l’immagine della sofferenza. Il brano si sviluppa sulla base di una dialettica fra due materiali musicali differenti, quello “grezzo”, propriamente materico, e quello, sottostante, riconoscibile appunto come il citato passus. L’idea, squisitamente pittorica, da cui si trae spunto è quella del décollage, tecnica di dispo-sizione dei materiali pittorico-visivi che consi-ste nel trasferirmento di manifesti e cartelloni pubblicitari su un supporto perché vengano successivamente sottoposti ad un’azione di strappo o manipolazione. Procedimento pra-ticato a partire dagli anni Cinquanta da artisti interessati a reinventare una forma di realismo visivo fatto di immagini apparteneti a certa mitologia metropolitana. Esponente autorevole in di questo stile, il pittore italiano Mimmo Rotella (1918-2006).

Gabrio Taglietti (1955)Quaderno di traduzioni I (2017); Cinque pezzi dal Llibre vermell de Montserratper quartetto di legni e pianoforteOgni interpretazione che non voglia uccidere l’opera deve affrontare la sfida di ingaggiare con essa un corpo a corpo per depurarla dalle scorie del tempo e della routine e riproporla in tutta la sua energia nativa. Lo stesso vale a maggior ragione per una trascrizione, che come una traduzione non accademica ci sfida a rendere il senso profondo del testo originale.In questo caso ho scelto di confrontarmi con uno dei capolavori della musica medievale, il Llibre vermell de Montserrat, una raccolta di musiche polifoniche del XIV secolo for-tunosamente salvata dall’incendio appiccato

dai soldati di Napoleone al grande monastero benedettino nei pressi di Barcellona. Ne ho estratto cinque brani, tra monodici e poli-fonici, dolcissime canzoni sacre e sfrenate danze macabre, cercando di lasciarne intatta la straordinaria libertà inventiva e verificando quanto questa musica riesca a parlare ancora a noi a distanza di più di sei secoli. Ho quindi tentato di creare dei cortocircuiti che evocassero imprevedibili assonanze con situa-zioni musicali a noi più vicine, e in particolare ho immaginato fantastici ircocervi strumentali esplorando timbri inauditi, imprevisti riverberi, prismatiche risonanze e labirintiche polifonie.1. Stella splendens in monte (Cantilena ad

trepudium rotundum)2. O Virgo splendens (Caça de duobus vel

tribus)3. Mariam matrem virginem (Himne po-

lifònic)4. Cuncti simus concanentes (A ball redon)5. Ad mortem festinamus (Dansa de la mort)

Corrado Rojac (1968)Musica riflessa, per flauto, oboe, clarinetto, fagotto e pianoforteIl brano nasce dalle suggestioni avute pratican-do al clavicembalo le “Variazioni sopra il canto piano del cavaliere” di Antonio de Cabezón. L’emozione di suonare uno dei primi esempi di letteratura per strumento a tastiera è stata vivissima. I passaggi più suggestivi mi sono risuonati dentro per molto tempo; come se tutto accades-se da sé, ho iniziato ad incrociare le armonie del maestro spagnolo con le mie tecniche compositive.I miei agglomerati di matrice spettralista, svolti secondo moduli metrici che da tempo accom-pagnano il mio comporre, hanno moltiplicato le prospettive sonore dell’originale. La prospettiva sonora che ne risulta è, dal mio punto di vista, un singolare incrocio di sensazioni arcane precipitate in un presente del tutto nuovo, che colpisce per una propria temporalità ambigua quanto misteriosa.

NOTE AL PROGRAMMA

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Stefano Taglietti (1965)MadregalLa scrittura madrigalistica, a partire dalla grande opera di Palestrina, gesualdo, Lasso, Marenzio, fino a Ligeti ed altri, mi ha sempre entusiasmato. Ritengo che in alcuni miei lavori cameristici e orchestrali, ma più chiaramente nelle opere liriche, si senta l’intenzione madri-galistica: l’esposizione delle cellule melodiche come significanti testuali che emergono, scom-paiono, si sovrappongono, si sostengono e si fondono, all’interno delle trame orchestrali, riconsegnano all’ascolto una chiara centralità strutturale timbrico-ritmico-melodica. In que-sta composizione strumentale dal titolo Ma-dregal, ispirata alla natura musicale e formale di un madrigale, cerco un ponte ideale con il rinascimento, relazionando e trasformando le tecniche del contrappunto vocale con una mia visione compositiva. L’ensemble strumentale qui viene considerato come un complesso “vo-cale”. Madregal è una sorta di versione dall’an-tico di un madrigale il cui “testo” segue il canto e il ritmo di una scomposizione sillabica ideale. Si tratta di una sorta di percorso espressivo le cui “parole-suoni” sono saldamente legate alla memoria profonda di ognuno di noi.

Claudio Rastelli (1963)Travestimento n. 5Noi le chiamiamo Variazioni goldberg. In realtà Bach non le chiama Variationen, ma Veränderungen, cioè più trasformazione e metamorfosi che semplice variazione. Del resto (infatti?) lo spirito delle goldberg corri-sponde in pieno al termine tedesco. A partire da Veränderungen e dallo studio del capolavoro bachiano, nascono i miei Travestimenti: lavori minuziosi e “affettuosi” in cui l’originale, trasformazione dopo trasformazione, cambia aspetto, forma, colore, diventando ogni volta “qualcos’altro”. Travestimento n.5, per ora, è l’ultimo della serie.

Nicola Straffelini (1965)Carmina chromatico more La composizione si ispira all’introduzione del-le Prophetiæ Sibyllarum di Orlando di Lasso,

una raccolta di mottetti scritta dal musicista fiammingo probabilmente durante il suo sog-giorno in Italia tra il 1550 e il 1560. Nell’originale la scrittura, pur procedendo attraverso armonie consonanti, produce un senso di perdita del centro tonale dovuto ai continui movimenti cromatici delle voci, che tuttavia conservano l’elegante andamento del canto rinascimentale. In Carmina chromatico more (dal latino, Carmi secondo il modo cromatico) la musica di Lasso, pur sempre presente come materiale costruttivo, emerge maggiormente in alcuni momenti, a volte nei movimenti melodici degli strumenti, altrove nell’armonia o in qualche impulso ritmico, trasfigurata e idealizzata come memoria del passato.

Paolo Rotili (1959)Ancora un’eco per flauto, oboe, clarinetto, fagotto e pia-noforteLa relazione con il passato, il riferirsi ad opere, modalità e autori lontani non è solo di questi tempi. È pratica storica. Nasce come riferi-mento, desiderio di appartenenza o, anche in negativo, come delegittimazione. Più le testi-monianze della storia si sono stratificate, più si è costituita la nostra memoria. Discorrere di altri discorsi è la condizione della costituzione di senso. La lotta all’oblio da senso al presente.Ma sempre più il passato è in noi. I mezzi della modernità ne amplificano la presenza. Ciò che è lontano nel tempo, nello spazio che viviamo, sempre più si sovrappone allo spazio lontano del tempo che viviamo. I segni si confondono, gli oggetti si deconte-stualizzano. Ciò che è stata la motivazione del loro esserci sfugge. I reperti del passato e del presente si affastellano, confondendosi. La mancanza dell’oblio impedisce il senso del presente.Finita l’epoca delle progressive e magnifiche sorti della Storia, della narrazione del suo pro-cedere per acquisizioni successive, il riferirsi al passato, scandagliare il tempo, è divenuta una ricognizione del possibile, un’ipotesi precaria, argine all’ immoto e all’insensato, del tempo orizzontale del nostro presente.

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SALA FILARMONICALUNEDÌ 9 APRILE 2018 - ORE 20.45

GIOVANNI GNOCCHI violoncelloALASDAIR BEATSON pianoforte

Ludwig van BEETHOVEN 12 Variazioni op. 66 sul tema(1770-1827) “Ein Mädchen oder Weibchen” dal Flauto magico di Mozart

Nicola CAMPOgRANDE Notti e Regine - 4 Variazioni sull’aria della(1969) Regina della Notte dal Flauto magico

Ludwig van BEETHOVEN Sonata in do maggiore, op. 102 n. 1 Andante Allegro vivace Adagio Allegro vivace

Antonín DVOŘÁK Klid (La calma del bosco)(1841-1904) dalla raccolta «Ze Šumavy» (Dalla foresta boema), op.68

Léoš JANÁČEK Pohádka(1854-1928) Con moto - Andante - Allegro Con moto

Bohuslav MARTINŮ Sonata n. 1 H. 277(1890-1959) Poco allegro Lento Allegro con brio

Martedì 10 aprile, dalle ore 16.30 alle 18.30: Masterclass di violoncello aperta al pubblico.

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Giovanni Gnocchi è una tra le più interessanti personalità del concertismo odierno. Nato a Cremona, ha studiato con Rocco Filippini, Mario Brunello, Luca Simoncini ed Enrico Bronzi, completando i propri studi con Clemens Hagen e seguendo le Masterclass dei più importanti musicisti (Heinrich Schiff, David Geringas, Natalia Gutman, Pieter Wilspelwey, Harvey Shapiro, Antonio Meneses, Frans Helmerson, Erich Höbarth, gabor Takàcs-Nagy, Thomas Adés). Tra gli artisti che più l’hanno influenzato si ricordano il violoncellista Steven Isserlis, i pianisti Ferenc Rados e Andràs Schiff. Impostosi in prestigiosi concorsi internazionali in varie parti del mondo, ha debuttato come solista in un concerto assieme a Yo-Yo Ma, che di lui ha detto “Ho avuto l’onore di suonare con Giovanni Gnocchi, giovane meravigliosamente pieno di talento, che darà un grande contributo alla musica, ovunque egli vada.”giovanni gnocchi si è esibito come solista in importanti sale, essendo diretto da artisti di primissimo ordine. Le sue recenti apparizioni solistiche includono il Doppio Concerto di Brahms, il Triplo di Beethoven, le Variazioni Rococò di Čajkovskij ed i concerti di Dvořák, Boccherini, Haydn e gulda, sia in Italia che all’estero. Da sempre attivo nella musica da camera, si è esibito più volte in duo alla Wigmore Hall di Londra e si è distinto, per apparizioni cameristiche di massimo livello al fianco di illustri musicisti del panorama internazionale. gli impegni più recenti lo hanno visto debuttare al Lucerne Festival in trio con Olli Mustonen

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e Alessandro Carbonare, inaugurare in giappone la nuova sala da concerto Ark-Nova con i Solisti della Lucerne Festival Orchestra, suonare il Concerto di gulda con la Filarmonica del Teatro La Fenice di Venezia e molto altro.Nel 2012, in seguito ad un concorso internazionale, è stato nominato professore universitario di Violoncello all’Universität del Mozarteum di Salisburgo.

Alasdair Beatson, scozzese, è attivo come solista e musicista da camera. gli appuntamenti principali della stagione 2017-18 comprendono concerti a Londra (Wigmore Hall e Kings Place), ai festival di Cork, Ryedale, Resonances (Belgio), Isola d’Elba e Ernen (Svizzera), oltre a collaborazioni con Adrian Brendel, Philippe Graffin, Pekka Kuusisto, Pieter Wi-spelwey, il Doric String Quartet e il Meta4.Beatson è rinomato come musicista sincero e programmatore intrepido. Oltre ad avere una particolare affinità con il repertorio classico e con la musica di Schumann e Fauré, ha spesso esplorato autori più esotici quali Catoire, Pierné, Thuille, nonché il Debussy di Jeux nella trascrizione per pianoforte solo fatta dallo stesso autore, e ancora i repertori cameristici di Ligeti, Thomas Adès e arrangiamenti su musiche di Debussy (La Mer) Janáček (I Quartetto), Šostakovič (XV Sinfonia) e Schönberg’s (Verklärte Nacht). I suoi repertori concertistici includono lavori di Bach, Bartók, Fauré, Abrahamsen, Hindemith, Mozart, Sally Beamish, Stravinskij, Messiæn. Negli ultimi anni si è prodotto come solista assieme alla Britten Sinfonia, ai Virtuosi di Mosca, alla Scottish Chamber Orchestra e allo Scottish Ensemble.

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NOTE AL PROGRAMMA

BEETHOVEN – Nel suo insieme la produ-zione beethoveniana destinata al violoncello comprende cinque Sonate e tre serie di Variazioni. Questo blocco di opere che si estendono dal 1795 al 1815 ha rappresentato un im-portante campo di ricerca per Beethoven e ha costituito a livello storico un momento decisivo nel processo di emancipazione del violoncello, strumento tradizionalmente deputato a reggere il basso continuo o ad offrire un qualsiasi altro sostegno armonico-ritmico al canto e solo un po’ alla volta investito di responsabilità solistiche, come dimostrano i sommi esempi precedenti di Bach, Haydn e Boccherini. L’attenzione non episodica riservata da Beethoven al violoncello quale protagonista del repertorio cameristico e della sonata in particolare è dunque da ritenersi ecceziona-le per la novità e la capacità di valorizzare questo strumento in senso espressivo come voce autonoma e specifica, mantenendolo in regime di paritarietà con il pianoforte accompagnante. Così facendo il musicista ha affrontato in prima istanza il vero problema che questa formazione comporta, cioè l’equilibrio fo-nico tra i due componenti in gioco. Il fatto che nell’operare beethoveniano la produ-zione per violoncello preceda quella per violino, essendone nel suo complesso anche superiore per intrinseci valori musicali e stilistici, non fa che accrescere il valore di questo settore operativo. Dalla pionieristica operazione avviata da Beethoven inizierà la vera fortuna dello strumento ad arco, che con la vibrazione espressiva del suo timbro nobilmente virile si avvierà a diventare una delle voci privi-legiate del sentire romantico.

A fronte delle Sonate, le Variazioni rivesto-no un ruolo sociale più accomodante, legato al rapporto con l’editoria e il pubblico delle sale pubbliche: una produzione commer-ciale, potremmo dire, cui nessun autore ha mai potuto sfuggire ma che talora non sono prive di interesse nello sviluppo tecnico e di valori musicali autentici. Nel caso di Beethoven, le tre raccolte ri-masteci sono significative del processo di acquisizione tecnica e di ricerca formale e stilistica che egli portava avanti per appli-carle poi ai lavori più degni. L’esito più felice in questo campo lo ottenne con le Variazioni op. 66 sul Flauto magico di Mozart (1798), il cui motivo è tratto dal celebre couplet di Papageno Ein Mädchen oder Weibchen, al quale le dodici variazioni beethoveniane si ripromettono di restituire il fascino leggero e l’impronta giocosa, mantenendosi in buon equilibrio tra istanze virtuosistiche e sostanza musicale. La scrit-tura è godibile e il violoncello-Papageno ha buon gioco nel proporre i suoi fraseggi fatti di agilità e grazia cesellata, alternando tratti pacati ad altri brillanti, senza privarsi di qualche accentuazione più interiore. La prima Sonata dell’op.102 fa parte di un gruppo di due risalenti all’anno 1815 e sono dunque tra gli esempi più significativi del terzo stile beethoveniano. Le forme della tradizione sono qui sotto-poste a processo di completa revisione, se non di rifiuto, a favore di una volontà este-samente sperimentalistica che ha come più immediato risultato la perdita dell’attitudine concertante tra voci strumentali in amabile confronto per addivenire a un dialogo difficile, spesso ostico, tra due antagonisti. Vanno persi di conseguenza quei caratteri di facondia, di bel garbo, di espansività che

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avevano fatto la fortuna dei lavori di mezzo, per un’espressione oltremodo sobria, fatta di elementi scarni, secchi, essenzializzati, senza alcuna scoria di concessione mon-dana e nessun interesse per l’estetica della gradevolezza. Musica difficile, dunque, da esperti, che rivela nella sua voluta spogliazione un assiduo lavorio della mente e una indomita volontà di superamento. A livello di scelte formali, tutto questo avviene attraversando all’indietro l’epoca perenta della forma-sonata per sostituirvi il recuperato spirito bachiano del contrap-punto e della variazione, ciò che spiega il profilo improvvisatorio che connota queste ultime opera.Originale e sconcertante è anche la di-sposizione dei movimenti, leggibili come quattro in alternanza di agogica o anche come due Allegri preceduti da una sezione lenta. Il drastico ridimensionamento della retorica elaborativa rende in componimento breve e concentrato. Ogni altro parametro subisce trasformazioni e ripensamenti, sì che il brano rende conto dell’impegno in-tellettuale del compositore e dell’altrettanto faticoso cimento da parte di chi si occupa di spiegarlo e commentarlo.

CAMPOgRANDE – Riguardo al pezzo Notti e Regine Nicola Campogrande si è così espresso:«Quattro regine nel DNA: quali sono le notti, quali le regine che abitano in queste quattro variazioni?Di loro sappiamo una cosa: nel patrimonio genetico hanno ciascuna un frammento di Der Hölle Rache kocht in meinem Herzen, la mitica seconda aria della Regina della Notte nel Flauto magico. Riunendole, dopo averle analizzate con cura, si troverebbero le molecole necessarie a ricostituire l’in-

tero DNA dell’aria originale, e qualcosa del genere capita nel finale dell’ultima variazione, quando per un istante i quattro frammenti si sovrappongono. Ma ascoltan-dole una ad una, così come si deve fare, si incontrano invece quattro fanciulle con storie (notturne) molto diverse: sono tutte amanti di Mozart, ma ognuna lo declina a modo suo.Ce n’è una agitatissima, che corre all’im-pazzata saltando, facendo capriole, roto-landosi per terra. Non che sia cattiva, no, al contrario, è anche molto simpatica, ma si fa fatica a starle dietro. Un’altra è una patita del cool jazz e flirta con il violoncello come se avesse accanto a sé un contrabbasso. Fosse solo questo non ci sarebbe niente di male, ma è che poi si mette ad accarezzare il pianoforte con la coda di cavallo e tira fuori quelle note così leggere, quasi di vetro, che uno alla fine vor-rebbe anche un whisky e qualche coccola.Una terza ha una patologia zuccherosa e crede di vivere all’interno di un film della Disney, tutto animali parlanti e buoni sen-timenti. Non c’è verso di farla uscire per strada – anche perché lì dentro, in fondo, non si sta affatto male – e alla fine, che cosa volete, la si prende per quella che è.L’ultima, invece, ha il ritmo nel sangue e i rinforzi sotto le scarpe, e balla, balla, balla, con un partner talvolta un po’ pesante ma sempre con un’incredibile energia. Deve essere un gran bel tipetto, a incontrarla fuori dalla sala da concerto. Se vi capita, salutatela da parte mia».

DVOŘÁK – Dvořák e il violoncello costi-tuiscono un binomio quanto mai prestigioso per chiunque conosca e ami il Concerto in si minore che continua ad essere uno tra i più belli del suo genere. Quella che invece si ascolterà stasera non è

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che una breve pagina d’album tratta da una suite in 6 parti dal titolo Ze Šumavy («Dalla foresta boema») risalente al 1883. Tale suite era nata originariamente per pianoforte a quattro mani e fu solo in seguito al successo da essa incontrato che l’autore decise di trascrivere per violoncello e pianoforte il quinto pezzo, Klid («La calma del bosco»), che aveva ricevuto inizialmente il titolo tedesco Die Ruhe. Infine Dvořák provvide ad un’ulteriore versione per violoncello e orchestra. Ciascuna di queste versioni fu mandata in stampa ed ebbe circolazione autonoma.Come il titolo suggerisce, si tratta dell’evo-cazione elegiaca di un paesaggio di natura distinto musicalmente tra una prima parte più lirica e sognante e una sezione centrale leggermente più mossa.

JANÁČEK – Il poema epico russo Il racconto dello zar Berendei di Vasilij Andreevič Žhukovskij fu la fonte che ispirò a Janáček la composizione del brano Pohádka (Fiaba). Il lungo sottotitolo apposto dal musicista recita: «Storia dello zar Berendei, dello zarevič Ivan suo figlio, degli intrighi di Kaščej l’immortale e della saggezza della principessa Marja, figlia di Kaščej», e si compone di diversi episodi. Presentato nel 1910 in una prima versione, il pezzo fu ripreso due anni dopo e modificato nel suo assetto interno con l’aggiunta di un quarto movimento. Fu poi revisionato una seconda volta e riportato alla struttura in tre movimenti, con ulteriori modifiche nel fraseggio e in altri particolari di scrittura: come tale è stato dato alle stampe nel 1926 entrando nei repertori concertistici correnti. Pohádka è l’unico brano per la formazione violoncello-pianoforte lasciatoci da Janáček e appartiene a quel settore poetico-fantasti-

co che ha dato i suoi migliori frutti nel ciclo pianistico Sul sentiero di rovi. L’atmosfera fiabesca è garantita dall’uso protratto di tonalità con sei bemolli, che negli intenti dovrebbe contribuire a determi-nare una sonorità velata e un’ambientazione allusiva a lontananze remote.

MARTINŮ – Alle pagine fiabesche o leg-gendarie dei due compositori cecoslovacchi appena citati il compatriota Martinů oppone una linea modernistica di stampo neoclassi-co orientata decisamente verso il concetto di musica pura. Martinů si distingue per la sua scrittura pre-cisa ed evoluta, che sa applicare felicemente a tutti i generi praticati e in particolare a quello cameristico. Vi si ritrova spesso evidenziato il carattere motorio, energico, scattante ereditato dalle coeve tendenze parigine, ma senza rinun-ciare a tratti più personali richiamanti il melos nativo. Del resto, a motivo delle stesse vicende della sua vita, Martinů è venuto ad avere fisionomia internazionalistica e pertanto dotata di segno fondamentalmente eclettico. La sua produzione, che si distingue per vastità e varietà, affida al violoncello tre Sonate cui si riconoscono caratteri distin-tivi dovuti a fattori esterni. È il caso della prima Sonata (1939), che risentirebbe del clima tragico instauratosi dopo l’invasione della Cescoslovacchia da parte delle armate hitleriane. La concezione di Martinů è comunque tale da sfuggire da istanze contenutistiche o programmatiche, sì che a dominare rimane pur sempre la logica costruttiva che governa percorsi e strutture.

Diego Cescotti

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SALA FILARMONICALUNEDÌ 16 APRILE 2018 - ORE 20.45

TRIO «ALL’OPERA»

PAOLO GRAZIA oboeMASSIMO FERRETTI INCERTI fagotto

NICOLETTA MEZZINI pianoforte

gioachino ROSSINI Variazioni in do per oboe e pianoforte(1792-1868)

Charles TRIéBERT Fantaisie concertante sur Semiramide de Rossini(1810-1867) per fagotto e pianoforte

Charles TRIéBERT & Fantaisie sur Italiana in Algeri de RossiniEugène JEANCOURT per oboe, fagotto e pianoforte(1815-1901)

Jean FRANÇAIX Trio(1912-1997) Adagio-Allegro Scherzo Andante Finale

Francis POULENC Trio(1899-1963) Presto Andante Rondo Rondo

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NOTE AL PROGRAMMA

Quello che si offre stasera è un programma che prende avvio da Rossini e rimane in qualche modo legato allo spirito di questo autore e al cosmopolitismo culturale france-se nel suo versante più brillante e socievole. Al contempo si tratta di un programma che ha uno dei suoi motivi d’interesse nel tipo di formazione cameristica impiegata, che non può dirsi tra le più comuni. A dominare è lo spirito del divertimento, che proprio con i fiati ha avuto tanta parte nella letteratura di genere.

Un settore di selezionati brani strumentali da camera correda e integra il ricco cata-logo d’autore di ROSSINI, che con i suoi melodrammi seri e comici era riuscito a segnare tutta un’epoca. Proprio per la sua capacità di interpretare i tempi e assecondare i gusti, egli fu omaggiato e glorificato come pochi altri nella storia. E se i suoi quaranta melodrammi restano punti di riferimento ineludibili a testimonianza di una creatività prestigiosa e frenetica, il settore strumentale, sicuramente marginale ma non trascurabile,

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ha pur esso i numeri per essere conosciuto, in accordo all’attuale tendenza alla conside-razione globale di una produzione d’autore.Le sue Variazioni in do maggiore, origina-riamente per clarinetto e orchestra e oggi riprodotte nella versione per oboe e piano-forte, riflettono una pratica molto comune ai tempi: quella di ripresentare lo stesso motivo in modo diverso e ogni volta più difficile al fine di mettere in risalto l’abilità del solista che vi si cimenta. Facili da capire, piacevoli da ascoltare, queste pagine piene di spirito esaltano i caratteri di brillantezza e mon-danità richiesti da quei pubblici, facendo

appello alle tecniche di bravura – poco o tanto modellate sulle virtuosità del teatro d’opera – che vi sono connesse.

Le variazioni che seguono, firmate da due autori sconosciuti ai dizionari ma noti agli esperti del ramo per essere stati lungo tutto l’Ottocento costruttori e perfezionatori di strumenti a fiato, in particolare l’oboe (Triébert) e il fagotto (Jeancourt), sono appunto ispirate a temi di opere di Rossini: non più che un piccolo esempio di quello che fu il ‘saccheggio’ subìto dal Pesarese a scopi divulgativi e virtuosistici.

Il Trio “All’Opera” nasce dall’esigenza di tre musicisti forti di una ventennale espe-rienza a contatto con il repertorio rossiniano, di commemorare il 150º anniversario della morte di g. Rossini in modo alternativo.Singolarmente raccol-gono nel proprio cur-riculum primi premi in concorsi Internazionali, premio Abbiati della critica e ricoprono il ruolo di prime parti so-liste presso l’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna.

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La fisionomia di Jean FRANÇAIX è quella di un autore dalla produttività fluviale che attraversa quasi per intero un secolo tra i più drammatici della storia con il sorriso di chi si propone di riconfermare piena fiducia alla trasmissione di valori estetici impron-tati a leggerezza, spirito e consapevole aproblematicità. Uno di quegli artisti che sono destinati a rimanere marginali nella generale considerazione del loro tempo e che pure riescono ad essere presenti in molti programmi di concerto – nonché nel comune impiego didattico – per il fatto di aver valorizzato più di altri il settore degli strumenti a fiato, arricchendone considere-volmente il repertorio.Lo spirito modernistico alla francese si esprime in lui nel fraseggio brevilineo, nell’andamento scorrevole, nella costruzio-ne semplice e in quella modalità spiritosa e un po’ fatua che si suole attribuire a certo stile boulevardier. Che però egli fosse un musicista dotato delle migliori qualità lo testimonia il suo essere stato, da studente, uno dei più talen-tosi pianisti della sua classe ed assai ben quotato anche nella classe di composizione di Nadia Boulanger. La considerevole facondia della sua produ-zione è conseguenza diretta del suo peculia-re approccio alle sfide del Novecento, che visse nel segno di un sostanziale disimpe-gno, da cui l’esercizio dell’ironia, dell’hu-mour, del senso del gioco, com’è tipico di un neoclassicismo sereno e ricreativo.Il Trio in programma stasera non è forse la pagina sua più significativa: il mestiere è ben padroneggiato ma sono le idee, a scarseggiare, da cui una certa genericità d’invenzione. Forse non ben azzeccato è l’accostamento del primo Allegro in forma di scherzo allo Scherzo vero e proprio che segue subito

dopo, dando l’impressione di un’unica cosa. Il tempo lento impegna fagotto e oboe nell’enunciazione del tema, che rimane poco profilato e di corto respiro. E il tempo finale non è immune da genericità, dando a volte l’impressione di girare a vuoto.

Di Françaix POULENC era amico e sodale, e in qualche caso le loro musiche possono essere accostabili. La sostanza musicale di Poulenc, però, appare ben più solida e dotata in fatto di originalità e connotati di stile, tanto da renderlo inconfondibile all’ascolto anche dopo solo pochi assaggi. E se la ‘scuola’ è pur sempre quella dell’antiromanticismo alla francese da Satie in giù, le doti di cor-dialità che Poulenc è sempre in grado di esibire lo qualificano di un tratto distintivo di eleganza.Incline ai fiati pure lui, lasciò tre Sonate im-portanti per flauto, clarinetto e oboe, più un Sestetto e appunto il Trio per oboe, fagotto e pianoforte oggi in programma. Si tratta di una pagina tutt’altro che minore nella pro-duzione di questo autore, e reca anch’essa i connotati di stile a lui tipici, accostando il motto scherzoso di marca parigina al tratto sentimentale-malinconico, che qui irrompe già all’interno del Presto iniziale. L’indubbia capacità di caratterizzare in-cisivamente i temi facendone quasi dei personaggi è sicura conseguenza del suo forte istinto teatrale. Ne risulta un brano spigliato e scorrevole senza rinunciare ad approfondimenti inte-riori che sono quasi confessioni. Esterior-mente risulta stringato, essenziale, lavorato in economia ma con la consueta dovizia di idee che entrano in gioco e si articolano con scioltezza.

Diego Cescotti

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ALTRE INIZIATIVE

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Comunità della VallagarinaAssessorato alla Cultura

Provincia Autonoma di TrentoAssessorato alla Cultura

Ministero per i Benie le Attività Culturali

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MUSICA IN BIBLIOTECABIBLIOTECA CIVICA G. TARTAROTTI

ingresso liBero

ASSOCIAZIONE FILARMONICADI ROVERETO

Sabato 18 novembre 2017ore 17.00

scuola Musicaledei Quattro Vicariati opera Prima

SINFONIE DI GIOCATTOLIQuando la musica è un gioco. Quando il gioco è musica.Allievi e docenti della Scuola

Un programma pensato per giocare con la musica, dalla sinfonia dei giocattoli ai Beatles, alle musiche per orchestra a plettro.

Domenica 17 dicembre 2017ore 11.00

scuola Musicale Jan novák

SWINGING CHRISTMASGospel, Spiritual & Christmas songsCoro femminile The SwingirlsMirko Vezzani direttore, Francesca Vettori pianoforte

Dai gioiosi canti gospel all’intimità carezzevole degli spiritual della tradizione dei neri d’America, dal repertorio internazionale della musica leggera alle melodie più note del natale nel mondo.

BibliotecaCivicag. Tartarotti

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Comune di roveretoAssessorato alla Cultura

Sabato 20 gennaio 2018ore 17.00

Conservatorio F.A. Bonporti di Trento

DALLA MELODIA AL VIRTUOSISMOGiovani interpreti in concertoelisa Cecchini violino, Tommaso Mascher pianoforte

Un repertorio di vari autori nel duplice aspetto " melodico - virtuosistico" che nasce per alternare l'ascolto di brani cantabili con altri estremamente vivaci e strumentalmente di bravura.

Sabato 10febbraio 2018ore 17.00CDM Centro Didattico Musicoteatrodanza

I LOVE 90sVoci, Ritmica, Orchestra ...

Alla riscoperta di sonorità e personaggi a cavallo tra due millenni.

Sabato 10 marzo 2018ore 17.00

CDM Centro Didattico Musicoteatrodanza

TUTTO IL MUSICAL IN UNA PICCOLA GRANDE STORIACantiamo e suoniamo insiemeAllievi delle classi di coro e di avviamento alla musica guidati dalle insegnanti Adele Pardi e silvia Periniil racconto “gino, piccolo grande girino” prenderà magicamente vita intrecciandosi costantemente a sonorizzazioni estemporanee, ritmiche e melodiche, brani tratti dai più celebri musical della storia, da ascoltare e cantare insieme. Un’esperienza da non perdere!

Sabato 14 aprile 2018ore 17.00

Civica scuola Musicaler. Zandonai

MUSICA DELLA ‘SERENISSIMA’La scuola veneziana e il baroccoOrchestra d’archi e giovani solisti in concerto.A cura di Alessandro Cotognoin programma musiche di Vivaldi e Albinoni. le esecuzioni saranno inserite in una cornice narrativa, con l’intento di ricreare l’ambiente e le atmosfera del contesto musicale.

Sabato 12 maggio 2018ore 17.00

scuola Musicaledei Quattro Vicariati opera Prima

OLTRE IL MURO – BEYOND THE WALLStorie tra Israele e PalestinaA cura di Erica Mondini in collaborazione con l’Associazione “Pace per Gerusalemme Il Trentino e la Palestina” Onlus con il cro di voci bianche della Scuola il progetto “oltre il muro” ha raccolto più di settanta storie, scritte da giovani israeliani e palestinesi tra i sei ed i sedici anni, che vivono ogni giorno l’esperienza del conflitto.

scuola Musicale Jan novákVilla lagarina

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CONCERTI PER LE SCUOLEl’offerta, rivolta alle scuole primarie e secondarie di primo grado, vuole strutturarsi in un per-corso di guida/abitudine all’ascolto della musica con appuntamenti specifici per ogni fascia di età, in modo da favorire un avvicinamento graduale alla fruizione dei concerti e prepa-rare un pubblico in grado di accostarsi consapevolmente alla bellezza della musica dal vivo.

Venerdì 12 gennaio 2018due turni:alle ore 9.45 e alle ore 11.00

in collaborazione con la scuola musicale “Jan novák”

Lezione-concerto“In viaggio nel concerto”(Alla scoperta dell'ascolto 2)

dedicato alla iii media

Venerdì 2 febbraio 2018due turni:alle ore 9.45 e alle ore 11.00

in collaborazione con la scuola musicale “Jan novák”

Lezione-concerto“I significati della musica”(Alla scoperta dell'ascolto 1)

dedicato alla ii media

Lunedì 5 febbraio 2018due turni:alle ore 9.45 e alle ore 11.00

Prodotto dallaAssociazione Filarmonica

Lezione-concerto“Il carnevale degli animali”

dedicato alla iV e V elementare

Lunedì 19 febbraio 2018due turni:alle ore 9.45 e alle ore 11.00

Prodotto dallaAssociazione Filarmonica

Lezione-concerto “I racconti di Mamma Oca”

dedicato alla i, ii e iii elementare

Venerdì 16 marzo 2018due turni:alle ore 9.45 e alle ore 11.00

in collaborazione con la scuola musicale “Jan novák”

Lezione-concerto“La tavolozza del compositore”(I colori dell'orchestra)

dedicato alla i media

ASSOCIAZIONE FILARMONICA DI ROVERETO

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Domenica 29 ottobre 2017Teatro Zandonaiore 18.00scuola Musicale r. Zandonai, roveretoConservatorio A. steffani, Castelfranco Venetoin collaborazione con la Circoscrizione Centro

EIRE INNO ALL'IRLANDAL'arpa nel Mito, Storia e Cultura dell'Isola di Smeraldo

Domenica 12 novembre 2017sala Filarmonicaore 18.00Conservatorio F. A. Bonporti, Trento

Daniele Grott tromba e cornettaMattia Grott saxAntonio Vicentini pianoforte

Domenica 14 gennaio 2018sala Filarmonicaore 17.00scuola Musicale Jan novák, Villa lagarina

DrysPianoTrioFilippo Pedrotti violinoBenedetta Baravelli violoncelloDaniele lasta pianoforte

Domenica 25 febbraio 2018sala Filarmonicaore 17.00Conservatorio F. A. Bonporti, Trento

Raffaele Zaninelli bassoAdrian Nicodim pianoforte

Domenica 25 marzo 2018sala Filarmonicaore 17.00Conservatorio A. steffani, Castelfranco Veneto

Gaia Mora violoncelloSimone Miotto pianoforte

Domenica 13 maggio 2018sala Filarmonicaore 17.00Conservatorio C. Monteverdi, Bolzano

in collaborazione con la classe di quartettodel M° Andrea repetto

p e r i n u o v i i n t e r p r e t iingresso eUro 1,00

20 17/18

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Mo Mu 20172018

Quarta edizione del ciclo Momenti Musicali: incontri aperti a tutti per ascoltare e parlare di musica.Momenti conviviali per orecchie curiose, per conoscere più da vicino l’interprete e per sapere qualcosa di più sul programma del concerto e sui compositori.

giovedì 26 ottobre 2017, ore 18.30Teatro Zandonai

MoMu 1. Inaugurazione!incontro prima del concerto con Alberto Ferro, pianoforte

Venerdì 1 dicembre 2017, ore 18.30 sala Filarmonica

MoMu 2. Un moderno Orfeoincontro prima del concerto con Giulio Tampalini, chitarra

giovedì 15 febbraio 2018, ore 18.30 sala Filarmonica

MoMu 3. Ineffabile Romanticismo: romanze senza parole e musica da cameraincontro prima del concerto conl’ Ensemble Dialoghi

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inConTri Congli inTerPreTi

Venerdì 16 febbraio 2018, ore 16.30-18.30sala Filarmonica

MoMu 4. Masterclass di clarinettoe musica da camerail pubblico potrà assistere alle lezioni del M° Lorenzo Coppola

giovedì 1 marzo 2018, ore 18.30Teatro Zandonai

MoMu 5. Lezioni di musica: il Concerto per orchestra di Bartókcon Giovanni Bietti (rADio 3) e prova aperta con Orchestra Haydn

giovedì 29 marzo 2018, ore 18.30sala Filarmonica

MoMu 6. Tavola rotonda “comporre musica oggi”con Icarus Ensemble e gli autori dei brani in prima esecuzione assoluta

Martedì 10 aprile 2018, ore 16.30-18.30sala Filarmonica

MoMu 7. Masterclass di violoncelloil pubblico potrà assistere alle lezioni del M° Giovanni Gnocchi

a cura di Fancesca Aste

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SCUOLA MUSICALE “JAN NOVÁK”VILLA LAGARINA

Sabato 11 novembre 2017 - ore 20.30 - Volano, Chiesa Parrocchiale (ingresso libero)

COME ATENE AI TEMPI DI PERICLE:LA PARIGI CORALE DEL PRIMO NOVECENTO

L. Marenzio (1554-1599) Veggo, dolce mio beneT. L. de Victoria (1548-1611) O quam gloriosum est RegumP. Certon (ca. 1510-1572) Je ne l’ose dire

C.Debussy (1842-1918) Trois chansons Dieu! qu’il fait bon regarder Quant j’ai ouy le tambourin Yver, vous n’estes qu’un vilain

M. Ravel (1875-1937) da Trois chansons Nicolette Trois beaux oiseaux du Paradis Ronde

P. Hindemith (1895-1963) da Six chansons La Biche Un Cygne En Hiver Verger

F. Poulenc (1899-1963) da Sept chansons Belle et ressemblante da Un soir de neige De grandes culleirs de neige La bonne neige

N. Betti (1978) Pater nosterL. Donati (1972) La baia tranquillaC. Debussy (arr. Nikos Betti) Beau soir

Cantoria Sine NomineCarlo Andriollo direttore

Domenica 12 novembre 2017 - ore 11.00 - Villa Lagarina, Palazzo Libera

DECLINAZIONI CLASSICHE: LA FISARMONICA NELLA MUSICA COLTAJ. S. Bach (1685-1750) Contrapunctus I (da “L’arte della Fuga” trascr. S. Di Gesualdo)C. Franck (1822-1890) Preludio, Fuga e Variazione (trascr. F. Conti)V. Trojan (1907-1983) Die zertrümmerte KathedraleV. Zolotariov (1942-1975) Sonata n.1

F. Conti (1967) Concerto per Fisarmonica e Orchestra (riduzione pianistica)

Fabio Conti fisarmonicaAntonio Vicentini pianoforte

Ingresso: Euro 5,00

Degustazioni a cura di: “Locanda D&D Maso Sasso” di Nogaredo e “Casa del Vino della Vallagarina” di Isera

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Prenotazione gradita entro il giovedì precedente al concerto presso

la Scuola Musicale (tel. 0464 411893)

Comune di Villa LagarinaAssessorato alla Cultura

ASSOCIAZIONE FILARMONICADI ROVERETO

Domenica 26 novembre 2017 - ore 11.00 - Villa Lagarina, Palazzo Libera

LA SORGENTE E LO SPECCHIO: IL MIO CLARINETTO PREFERITOCollage di movimenti-estratti dalle opere di musica da camera per clarinetto e pianoforte, a piacere degli esecutori per un immaginario percorso delle emozioni attraverso le pagine scelte

Marco Bruschetti clarinettoMirko Vezzani pianoforte

Domenica 3 dicembre 2017 - ore 11.00 - Villa Lagarina, Palazzo Libera

A PASSO DI DANZA: LE DIECI CORDE NEL REPERTORIO ITALIANOF. Carulli (1770-1841) Tre duettiL. von Call (1767-1815) Variationen, op. 25N. Paganini (1782-1840) Sonata per Roveneg. Sartori (1860-1946) Ai bagni; Pianto di bimba; L’ultimo addioR. Calace (1863-1934) Tarantella; Mazurka VI - op.141C. Munier (1859-1911) Serenata in SolJ. Sgallari (1868-1926) Serenata UnghereseC. Machado (1953) Paçoca (Choro); Quebra Queixo (Choro)A. Piazzolla (1921-1992) Cafè 1930

Franco Giuliani mandolinoTiziano Rossato chitarra

Domenica 10 dicembre 2017 - ore 11.00 - Villa Lagarina, Palazzo Libera

TALE PADRE TALE FIGLIO: SCORCI D’EVOLUZIONE J. S. Bach (1685-1750) Contrappunto 8 da “L’arte della fuga” BWV 1080J. C. Bach (1735 - 1782) Quartetto op.8J. C. F. Bach (1732-1795) Quartetto op. 1J. S. Bach (1685-1750) Concerto in Fa min BWV 1056 per Pianoforte e Quartetto d’ archi

Elena Cotogno pianoforte Andrea Ferroni violino I

Maddalena Bortot violino II Klaus Manfrini viola

Giovanni Costantini violoncello

a cura di Veronica Pederzolli

Degustazioni a cura di: “Locanda D&D Maso Sasso” di Nogaredo e “Casa del Vino della Vallagarina” di Isera

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ASSOCIAZIONE FILARMONICA DI ROVERETO102

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STAgIONE DEI CONCERTI 2017-2018 103

Tutti i concerti della Stagione avranno inizio alle ore 20.45

gli abbonati sono tenuti a prendere possesso dei loro posti entro le ore 20.40 trascorso questo termine i posti potranno essere messi in vendita.

L’Associazione Filarmonica di Rovereto si riserva la facoltà di apportare modifiche al calendario della Stagione Concertistica per motivi di forza maggiore.

* * *

Si ringraziano i redattori delle note ai concerti:

Angela Romagnoli

Diego Cescotti

Monique Ciola

giulio Tampalini

Angelo gilardino

Nicola Straffelini

Riccardo Piacentini

Page 104: LIBRETTO STAGIONE 2017/18 - filarmonicarovereto.it · nuovo. La musica è ... degli accordi e delle ottave di Czerny (var. 3, 6), per arrivare alla possenza della tec- ... Frühe

Il libretto è consultabile sul sito internet della Associazione Filarmonica di Rovereto

www.filarmonicarovereto.it

Realizzato e stampato in Italia, nel mese di ottobre 2017, dall’Azienda di Arti Grafiche

moschini advcom38068 Rovereto (TN) - Via G. Tartarotti, 62 - www.moschiniadv.com

Stampato su carta ecologica sbiancata senza cloro.