Libretto Loreto

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Loreto, la Santa Casa agosto 2012 pag. 1 Partenza dal piazzale dell’Oratorio S.G.Bosco ore 6.00 (ritrovo 5,45 per carico bagagli) Arrivo a San Leo entro le ore 11.30. Partenza con la Navetta in 2 viaggi. Ore 12.00 ritrovo sul piazzale antistante l’ingresso della Fortezza e visita guidata agli edifici e ai musei Ore 13.30 pranzo al sacco e in seguito visita ai principali monumenti del centro storico Ore 15.00 ritrovo alla fermata della Navetta presso il centro storico Ore 15.30 Partenza per Macerata e arrivo per le 18.30 Cena e Macerata by Night DOMUS SAN GIULIANO Via Cincinelli n° 4, 62100 Macerata tel. 0733.232738 E-Mail: [email protected] Mercoledì 22 agosto

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Loreto, la Santa Casa agosto 2012 pag. 1

Partenza dal piazzale dell’Oratorio S.G.Bosco ore 6.00 (ritrovo 5,45 per carico bagagli) Arrivo a San Leo entro le ore 11.30. Partenza con la Navetta in 2 viaggi. Ore 12.00 ritrovo sul piazzale antistante l’ingresso della Fortezza e visita guidata agli edifici e ai musei Ore 13.30 pranzo al sacco e in seguito visita ai principali monumenti del centro storico Ore 15.00 ritrovo alla fermata della Navetta presso il centro storico Ore 15.30 Partenza per Macerata e arrivo per le 18.30 Cena e Macerata by Night

DOMUS SAN GIULIANO Via Cincinelli n° 4, 62100 Macerata tel. 0733.232738 E-Mail: [email protected]

Mercoledì 22 agosto

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San Leo

LA PIEVE

La Pieve è il più antico monumento religioso di San Leo e dell’intero territorio del Montefel-tro. Costituisce la prima testimonianza mate-riale della cristianizzazione di questa zona dell’entroterra: la primitiva cellula di una storia che si mescola e confonde con la tradi-zione. Il termine latino plebs sta a significare popolo e cioè lo strato sociale più umile della popo-lazione, che aveva fatto propri i valori cristiani rapidamente propagati nel mondo latino. Durante il Me-dioevo il termine pas-sò ad indicare l’edificio in cui non solo si celebravano i sacramenti e si parte-cipava alle messe solenni, ma si svolge-vano anche le riunioni dei capifamiglia per il dibattimento dei problemi legati alla comuni-tà. Infatti, dopo la riorganizzazione del retico-lo plebano, avvenuta in età carolingia, sem-pre maggiore risultò il ruolo ricoperto dalla pieve, anche in campo civile e amministrati-vo. Il masso di Montefeltro fu evangelizzato dal Santo dalmata Leone in epoca tardo-antica (III-IV secolo). Fu lo stesso Santo, che la tradi-zione vuole esercitasse il mestiere di taglia-pietre, ad edificare una prima chiesa dedicata all’Assunzione di Maria (la Dormitio Virginis dalla liturgia orientale). La Pieve di San Leo può essere raffigurata metaforicamente come una nave incagliata su uno scoglio, una nave di pietra ancorata per sempre alla roccia che la sorregge e di cui si compone. L’edificio è infatti posto a cava-liere di una protuberanza rocciosa del masso leontino cosicché, rispettivamente a levante e a ponente, c’è spazio per due ambienti sotto-

stanti le navate: la cripta o confessionale ed il cosiddetto Sacello di San Leone che reca le tracce di una sorta di abside scavata diretta-mente nella roccia, al quale si accede da una porta esterna in prossimità della facciata. In esso si conserva, reimpiegato nello strom-bo di una monofora, il fronte di un sarcofago, con la raffigurazione mistica di due pavoni che si abbeverano al cantaro che, insieme al rilievo murato nella parete sud della chiesa, costituisce la più antica testimonianza sculto-

rea dell’edificio, forse antecedente l’VIII secolo. La chiesa è innalzata su una pianta basili-cale; la muratura esterna, in conci d’arenaria, calcare e pietre d’altra natura, è scandita da lesene originate da uno zoccolo più ampio conformato a mo’ di

base. Il curvo profilo delle tre absidi è sottoli-neato da archetti pensili, formati da conci alternati a laterizi, ritmicamente disposti a tre a tre fra una lesena e la successiva. L’abside maggiore è ampia più del doppio delle due minori, cosicché queste ultime sono inglobate in essa per un terzo circa del loro perimetro, dando vita ad un carattere peculiare del ro-manico leontino che si ritrova anche nella vicina Cattedrale. Non è sopravvissuta la probabile archeggiatu-ra dei fianchi e della facciata. Quest’ultima, altissima sulla roccia a strapiombo, è animata da cinque possenti contrafforti, il mediano dei quali è interrotto dalla bifora posta al centro della facciata. Si accede all’interno della chiesa da due portali praticati nei muri di fianco, ambedue -ad arco a pieno sesto- sormontati da una caratteristica loggetta cieca, nelle ghiere della quale, l’alternarsi dei conci bicolori, costituisce un rinnovato richia-mo all’arte bizantina-ravennate. L’interno, ad impianto longitudinale, è scandi-

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to dalle arcate a pieno centro, impostate su sostegni alterni che dividono le tre navate. L’alternanza dei sostegni è congegnata nel succedersi di due colonne a due pilastri e di una colonna ad un pilastro, secondo un ritmo i cui precedenti vanno ricercati nell’architettura medievale d’oltralpe. Tutte e sei le colonne sono elementi di reim-piego e cioè frammenti d’epoca romana o tardo-antica utilizzati originariamente in altre costruzioni; lo stesso vale per i quattro capi-telli corinzi che sormontano le colonne delle navate (databili tra il I ed il IV secolo). Le pareti interne della chiesa erano certa-mente intonacate ed in gran parte decorate da pitture ed affreschi di varia epoca, le trac-ce dei quali sono state disgraziatamente can-cellate dai radicali restauri degli anni trenta. Il Presbiterio, rialzato sulla cripta, accoglie nell’incavo dell’abside centrale il bellissimo ciborio datato 882, che un’iscrizione recita dedicato dal Duca Orso alla Vergine:«AD HO-NORE (M) D (OMI) NOSTRI IH (ES) U XP (IST) I ET S (AN) C (T) E D (E) I IENETRICIS SE (M) P (ER)/QUE VIRGINIS MARIE. ECO QUIDEM URSUS PECCATOR/DUX IUSSIT ROGO VOS OM(NE) S QUI HUNC LEGITIS ORATE P(RO) ME/TEMPORIBUS DOM(I) NO IOH(ANNIS) P (A) P (E) ET KAROLI TERTIO IMP (ERATORIS) IND(ICTIONE) XV/». (Ad onore del Signore nostro Gesù Cristo e della Santa Madre di Dio la Sempre Vergine Maria, io Orso Duca, pecca-tore, feci fare questa opera. Supplico voi che leggete di pregare per me. Fatto al tem-po di Giovanni Papa e di Carlo III imperato-re, nell’Indizione XV) La preziosa data è stata ritenuta valida per datare l’intera costruzione, ma ele-menti strutturali pie-namente romanici, come la composizione delle murature a filari regolari, o il reimpiego di frammenti scultorei

altomedievali (come i pilastrini riutilizzati nelle pseudologgette esterne, provenienti dalla recinzione del presbiterio, i quali pre-sentano dei capitelli molto simili a quelli del ciborio) posticipano l’attuale assetto architet-tonico della chiesa al secolo XI. La chiesa carolingia, probabilmente compro-messa nella struttura da un evento traumati-co quale un terremoto, venne quasi comple-tamente ricostruita nel nuovo stile romanico certamente pochi anni dopo il fatidico anno mille. A tutt’oggi la Pieve costituisce comunque uno dei monumenti medievali più affascinanti dell’Italia centrale: insieme all’adiacente Duo-mo ed alla Torre campanaria va a conformare un vero e proprio ‘campo dei miracoli’. IL DUOMO

Alta come su un podio, saldamente ancorata alla roccia che la sostiene, la cattedrale di San Leo si erge su una protuberanza del masso leontino, in luogo consacrato sin dall’era prei-storica alla divinità. E’ certamente il più alto esempio d’architettura medievale conservato nel Montefeltro e costituisce una delle più singo-lari ed importanti testimonianze dell’architettura romanico-lombardo ingloba ed occulta i resti di una più antica fondazione religiosa, il Duomo altomedievale, costruito a ridosso del VII secolo quando Montefeltro

(San Leo), eretta a ‘civitas’, di-venne sede di una nuova dio-cesi. Di questa prima chiesa rimango-no numerosi frammenti scul-torei, come gli eloquenti resti del ciborio dedi-cato a San Leo-

ne, alcuni capitelli con caratteristici motivi fitomorfici ed i leoni alati del protiro

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(dimezzati ed assemblati a sostenere una colonna della navata). Non siamo a conoscenza delle cause che por-tano gli uomini del XII secolo ad erigere una nuova cattedrale (un’iscrizione afferma pe-rentoria la data di riconsacrazione, (1173). Il Duomo ‘nuovo’ è opera di maestranze ro-maniche guidata da archetti (o capo-mastri) emiliano-lombardo: sorprendente, come pochi altri monumenti dell’epoca, per la gran-de omogeneità stilistica, sia nell’esterno orna-to quanto nella spoglia severità dell’interno. Il paramento murario è interamente compo-sto di arenaria concia e legata, di caldo color ocra all’esterno, grigio-ferrigna all’interno, forse estratta da una cava posta nei pressi del convento di Sant’Igne, della quale è persa l’esatta localizzazione. Le murature perimetrali esterne sono scandite da lesene semicir-colari e recano al culmine un’archeggiatura pensile che corre interrotta sotto il cornicio-ne. Non v’è ingresso in facciata, come nell’adiacente Pieve dell’assunta, ma il portale è aperto su un fianco ed è sor-montato dei busti scolpiti di San Leone e di San Valentino, anch’essi provenienti della chiesa antica (probabile dalla recinzione presbiterale). Il busto con San Leone è la più antica raffigu-razione del santo pervenuta ai nostri giorni; non presenta particolari attributi iconografici se non il cartiglio con l’epigrafe col nome in lettere capitali. Il superbo isolamento in cui si trova oggi l’edificio non corrisponde alla sua connotazio-ne originaria, quando era circondata dal pa-lazzo vescovile e comunicativa direttamente con la possente torre campanaria coeva. La pianta della chiesa si sviluppa intorno ad una croce latina, affiancata da due navate minori, divise in quattro campate; il transetto pausa lo spazio prima dell’alto presbiterio triabsidato, innalzato su un’ampia cripta a sua

volta suddivisa in cinque navatelle. Nell’abside della cripta era collocato il sarco-fago con le spoglie del santo fondatore, del quale si conferma il coperchio con l’iscrizione, datato al VI secolo: esso era certamente meta dei pellegrini che abbandonando la costa s’inoltravano nell’Appennino passando per San Leo alla volta di Roma. L’edificio è interamente soffittato a volta sin dalla fondazione; alcune delle volte sono state parzialmente restaurate nel tardo ’500. Le navate sono delimitate da pilastri a fisco e da colonne di spoglio (di marmo cipollino), su cui s’innalzarono archi a sesto spezzato rite-nuti preannuncio dello stile gotico imminen-te. Presentano straordinario interesse i costoloni

sottostanti le volte della nave centrale, originale da quattro telamoni, indizio sicuro di un influsso della prima architettura borgognona-cistercense. La chiesa conserva un eccezionale corredo scultoreo che annovera, oltre ai capitelli corinzi del III secolo (d.C.), numerosi capitelli romanici variamente figurati, i più antichi dei quali rappresenta-no icasticamente i simboli del cristianesimo primitivo.

Numerose incisioni raffigurano enigmatici emblemi interpretati quale marchio delle maestranze costruttrici e dei committenti; la gran parte delle sculture ripropone con sapi-da medievale. Alcuni fra i capitelli di qualità più elevata o-stentano una fattura tornita e corposa, una fisicità accusata ed intesa, certamente debi-trice alla scultura romanica emiliane di Wili-gelmo e di Nicolò. LA TORRE CAMPANARIA

E’ il monumento più appartato di San Leo, non per sua mole, massiccia e imponente, quanto per sua collocazione impervia ed una sorta d’innata alterigia che, ancor’ oggi, inti-morisce ed allontana. Il campanile-torre è edificio di grande bellez-

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za, opera compiuta del romanico anzi, emble-matico esempio di quello stile architettonico. Le sue murature esterne - principalmente d’arenaria ocra - sono costruite con perizia certosina, i conci sono connessi l’uno all’altro, in filari regolari, senza rivelare lo strato di malta che li incolla, così che il muro è un uni-co blocco compatto di pietra dalla base al culmine. L’architettura come escrescenza naturale della roccia su cui è fondata, un tutt'uno con la stessa roccia, come da parabola evangelica: manifesto della fede cristiana per secoli. Storicamente sappiamo ben poco della torre, che nell’impianto esterno è certamente con-temporanea all’adiacente cattedrale del 1173. Il suo perimetro quadrato ingloba ed occulta all’interno una costruzione a piante circolare, alta sino alla cella campanaria. Si tratta probabilmente di una torre precedente, più antica, per alcuni versi affine alla Pieve dell’assunta (IX-XI secolo); vi si ritrova il medesimo tipo d'alcu-ne monofore di quest’interno presentano un impianto e strombatura simili a quelle delle absidi della stessa Pieve. Qualcuno ha prospettato che il corpo cilindrico-raccordato al rivestimento quadrato da una scala a chiocciola in muratura costituisse il campanile della cattedrale altomedioevale. Certamente questa torre ha rivestito funzioni militari-difensive, rappresentando il più vicino rifugio per il vescovo ed i canonici della catte-drale in caso di pericolo. Essa è raffigurata in tutti i "ritratti" del masso leontino; nell’acquerello del 1626 di France-sco Mingucci vi si scorgono ben due ordini di finestroni arcuati ed un’altezza ben maggiore: come se la torre fosse munita di due sopra-stanti celle campanarie di cui non v’è traccia nell’originale. Di lavori approntati al "campanile del Vesco-

vado" parla Giambattista Marini nelle sue memorie manoscritte del 1730, conservate nell’archivio storico comunale di San Leo. IL FORTE RINASCIMENTALE Il possente masso calcareo di San Leo, tra-sportato nel Miocene dal Tirreno verso l’Adriatico, con le pareti perimetrali scoscese e perpendicolari al suolo, costituisce di per sé una fortezza naturale. I Romani, consapevoli di tale straordinaria attitudine, costruirono una prima fortificazio-ne sul culmine del monte. Durante il Medioe-vo, la fortezza venne aspramente contesa da Bizantini, Goti, Franchi e Longobardi. Beren-gario II, ultimo re del regno longobardo d’Italia, venne qui stretto d’assedio da Ottone I di Sassonia, tra il 961 e il 963. Intorno alla metà del XI secolo, da Carpegna scesero a San Leo – allora chiamata Montefel-

tro – i conti di Montecopiolo; da questo im-portantissimo feudo, essi trassero il nome e il titolo di conti di Montefeltro. Nella seconda metà del Trecento, la fortezza venne espugnata dai Malatesta che si alterna-rono nel suo dominio ai Montefeltro sino alla metà del secolo successivo. Nel 1441, il giovanissimo Federico da Monte-feltro fu protagonista di un’ardita scalata della Rocca. Nel frattempo, l’arte della guerra aveva conosciuto determinanti innovazioni e la fortezza con la sua struttura medioevale,

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composta di semplici torri quadrangolari scar-pate, disposte a recinto del mastio centrale, non era più in grado di sostenere l’avvento delle armi da fuoco. Federico affidò al grande architetto e ingegnere senese Francesco di Giorgio Martini il compito di ridisegnare la rocca e approntarla alle nuove esigenze di guerra. La nuova forma, che ridisegnò completamen-te l’architettura del forte, prevedeva una risposta al fuoco secondo i canoni di una con-troffensiva dinamica che potesse garantire direzioni di tiri incrociati. Per questo motivo i lati della rocca erano dotati di artiglieria e le vie d’accesso, defilate dalla traiettoria del fuoco nemico, erano protette da avamposti militari. La fortezza veniva a costituire così il culmine di un sistema guerresco che si esten-deva a tutto il masso. Il forte di San Leo assunte così un emblemati-co significato tanto che il Bembo ebbe a defi-nirle ‘’fortissimo propugnacolo e mirabile arnese di guerra’’, ammirevole punto d’incontro tra natura e arte. Nel 1502, Cesare Borgia, detto il Valentino, sostenuto da Papa Alessandro VI, riuscì ad impadronirsi della fortezza. Tuttavia, alla morte del Papa (1503), Guidobaldo da Mon-tefeltro ritornò in possesso dei suoi domini sino al 1516, quando le truppe fiorentine capitanate da Antonio Ricasoli, spalleggiate alla corte papale da Leone X de’ Medici, pe-netrarono nella città e fecero capitolare la fortezza. I Della Rovere ripresero San Leo nel 1527 e la tennero sino alla devoluzione del Ducato di Urbino al dominio diretto dello Stato Pontifi-cio nel 1631. Dal 1631 la Fortezza venne adattata a carcere nelle cui anguste celle, ricavate dagli originari alloggi militari, furono imprigionati patrioti risorgimentali dei quali il più celebre fu Felice Orsini e liberi pensatori come il palermitano Cagliostro. Anche dopo l’Unità d’Italia, la fortezza conti-nuò ad assolvere la sua funzione di carcere, fino al 1906. In seguito, per otto anni, ospitò

una ‘’compagnia di disciplina’’ fino al 1914. Oggi la Rocca, ripulita dalle sovrastrutture ottocentesche che ne alteravano le eleganti linee rinascimentali, è tornata al suo splendo-re architettonico che ne fa una delle più cele-brate testimonianze di arte militare, in una cornice di storia e di arte tra le più belle d’Italia. CAGLIOSTRO

Anno del Signore 1795, nel giorno 28 del mese di Agosto Giuseppe Balsamo, sopranno-minato Conte di Caglio-stro, di Palermo, battezza-to ma incredulo, eretico, celebre per cattiva fama, dopo aver diffuso per diverse Nazioni d’Europa l’empia dottrina della massoneria egiziana, alla quale guadagnò con sottili inganni un numero infini-to di seguaci, incappò in varie peripezie, alle quali non si sottrasse senza danno, in virtù della sua astuzia e abilità; finalmente per sentenza della Santa Inquisizione relegato in carcere perpetuo nella rocca di questa città, con la speranza che si ravvedesse, avendo sopportato con altrettanta fermezza e ostina-zione i disagi del carcere per quattro anni, quattro mesi, cinque giorni, colto da un im-provviso colpo apoplettico, di mente perfida e cuore malvagio qual era, non avendo dato il minimo segno di pentimento, muore senza compianto, fuori della Comunione di Santa M. Chiesa, all’età di cinquantadue anni, due mesi e diciotto giorni. Nasce infelice, più infelice vive infelicissimo muore il giorno 26 agosto

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dell’anno suddetto verso le ore 22,45. Nella circostanza fu indetta pubblica preghiera, se mai il misericordioso Iddio volgesse lo sguar-do all’opera delle sue mani. Come eretico, scomunicato, peccato-re impenitente gli viene negata la sepoltura secondo il rito ecclesia-stico. Il cadavere è tumulato proprio sulla estrema punta del monte che guarda ad occidente, quasi ad uguale distanza tra i due fortilizi destinati alle sentinelle, comu-nemente denominati il Palazzetto e il Casino, sul terreno della Reve-renda Camera Aposto-lica il giorno 28 alle ore 18, 15.

In fede Luigi Marini, Arciprete di propria mano

CHIESA DELLE MADONNA DI LORETO

La chiesa intitolata alla Madonna di Loreto venne edificata nel 1640, dalla comunità leon-tina a ringraziamento dello scampato pericolo costituito dalla terribile frana che travolse la seconda porta d’accesso al masso e buona parte dell’abitato antico. L’edificio, situato all’inizio della via Montefel-tro, la strada che conduce a quella che è ri-masta l’unica porta d’ingresso al paese, inau-gura urbanisticamente l’ampliamento secen-tesco del nucleo medievale. Originariamente la chiesa era costituita da un’aula rettangolare col tetto a capriate ligne-e; al di sopra della volta, innalzata nella modi-ficazione ottocentesca dell’edificio, è ancora visibile nella parete dell’altar maggiore un medaglione ovale, contornato di racemi, di-pinto a tempere vivaci direttamente sull’intonaco, con all’interno l’iscrizione: «FA UT ARDEAT». La chiesa è oggi composta di una navata e di un’abside divise da un arcone trionfale, il soffitto è a volta ribassata e le

pareti sono modanate da arcate in stucco. Di notevole bellezza e originalità è il grande altare composto in una sorta di ampio retablo ligneo intagliato, dipinto e dorato, datato

1732, al centro del quale è ricavata una nicchia conte-nente l’immagine della Ma-donna col Bambino. Trattasi di una statua a manichino risalente al XVIII secolo; l’abito serico di cui era palu-data sino a qualche tempo fa, era stato ricavato dal vestito di nozze di una contessa Nar-dini. Il carattere peculiare della statua lascia intendere il suo primitivo uso processio-nale, ancora praticato: essa viene, infatti, collocata in cima al modello ligneo della Santa Casa, nella festa annu-ale del 9 dicembre.

Nell’edificio, insieme ad altri arredi prove-nienti da chiese leontine, è conservata una tela della fine del ‘500 con l’Annunciazione, in origine pala d’altare della distrutta chiesa dell’Annunziata; si tratta di un evidente deri-vazione dalla celebre composizione di Tiziano divulgata in una stampa di Giacomo Caraglio. FONTANA DI SAN FRANCESCO D'ASSISI

Fontana neoclassica sita nella piazza centrale del paese, risale al 1893. Secondo la tradizione, la fonte, avrebbe virtu miracolose. Qui si sarebbe dissetato San Francesco d'As-sisi nel 1213.

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Loreto LA CITTÀ Loreto (11.000 abitanti) realizza il tipico caso in cui un santuario genera un centro urbano definendone le caratteristiche e le funzioni. Conseguentemente le vicende di Loreto han-no coinciso nei secoli quasi sempre con quelle del suo santuario. Una passeggiata per Loreto offre la visione di alcuni monumenti e luoghi di interesse. PIAZZA GIOVANNI XXIII Merita attenzione il Portale cinquecentesco, costruito per la facciata della basilica su disegno attribuito da alcuni al Bramante e da altri ad Antonio da Sangallo il Giovane.Nel 1537 il Nerucci lo murò nella facciata della basilica, da cui fu tolto e murato in questa sede nel 1580. Si fa ammirare per lo stile squisitamente classico, per le proporzio-ni slanciate e per il rilievo contenuto ed ele-gante dell'ornato, ciò che lo fa spiccare sui grigi e austeri muri in laterizio dei Palazzo. A lato si scorge il Monumento a Giovanni XXIII, che dà il nome alla Piazza. Fu voluto dalla città di Loreto a ricordo dello storico pellegrinaggio del papa alla S. Casa (4 ottobre 1962). L' opera è di Alessandro Monteleone (1897-1967) che non poté portarlo a compi-

mento secondo l'iniziale progetto, il quale prevedeva un basamento di m. 1,35. L'unico pannello scultoreo eseguito raffigura Papa Giovanni benedicente. BASTIONE DEL COMUNE Sull'estremo lato di via Sisto V troneggia il Bastione del Comune, costruito nel 1518-1519 da Cristoforo Resse su progetto proprio

o, secondo altri, su dise-gno di Andrea Sansovino o di Antonio da Sangallo il Giovane, per volontà di Leone X, preoccupato delle incursioni dei tur-chi nel vicino Adriatico. PIAZZA LEOPARDI O "DEI GALLI" A lato della piazza si scorge un Loggiato edifi-

cato nella seconda metà del Settecento, al tempo della costruzione del campanile del Vanvitelli. Sembra che in antico servisse al riparo dei pellegrini che, giungendo di notte al santuario, trovavano già chiuse le porte della città. La fontana, tra il verde della Piazza, fu fatta costruire da Antonio M.Gallo. E' decorata con stemmi e vivaci figure di galli, opera dei fra-telli Tarquinio e Paolo Jacometti (1614-1616). PORTA ROMANA Edificata su disegno di Pompeo Floriani verso il 1590, quando fu anche adornata con due

Giovedì 23 agosto

PROGRAMMA : partenza ore 8.30 e arrivo a Loreto (9.30) Ore 10.00 visita guidata al Santuario di Loreto Ore 11.00 S. Messa Ore 12.30 Pranzo a Loreto alla “Taverna del Gufo” Ore 14.30 partenza per Recanati e Montecassiano Rientro per cena SERATA: MOMENTO DI PREGHIERA E VISITA ALLA CITTÀ DI MACERATA

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statue di Profeti scolpite da Simone Cioli, destinate in un primo momento al Rivestimento mar-moreo (1538-1541). PALAZZO COMUNA-LE Il Palazzo comunale, in laterizio, presenta una torre civica del sec. XVII di Giovanni Branca munita di una merlatura aggiunta nel 1887. Nella piazzetta si scorge il Monumento a Garibaldi, con busto marmoreo di Ettore Ferrari (1886). CORSO BOCCALINI La via principale del Centro Storico di Loreto è Corso Traiano Boccalini (insigne letterato, nato a Loreto nel 1556 e morto nel 1613), chiamato fino al 1889 'Via dei Coronari'. PIAZZALE LOTTO Piazzale Lotto si apre sotto le stupende absi-di. Si ha subito l'idea della basilica-fortezza, col camminamento di ronda su beccatelli, quasi a coronamento, punteggiato di piomba-toi e di feritoie, tra "merli" occhieggianti dall'alto: opera superba di Baccio Pontelli (1487-1488). Qui felicemente convivono l'esi-genza pratica della difesa militare e il gusto estetico rinascimentale. PORTA MARINA Dietro Piazzale Lotto si apre Porta Marina, costruita da Giovanni Branca nel sec. XVII con l'ornamento delle caratteristiche api barberi-niane di Urbano VIII (1623-1644). Attraversa-ta Porta Marina, si giunge in uno spiazzale a balcone, da cui si gode un suggestivo panora-ma che si dispiega verso il mare e il Monte Conero, vario e vivace. La piazza è stata di recente arricchita da un monumento dedica-to a San Pio da Pietrelcina. LE MURA CASTELLANE Sul lato meridionale si levano le Mura Castel-lane e il Torrione opera di Cristoforo Resse che li realizzò nel 1517-1520 su probabile disegno di Antonio da Sangallo il Giovane.

PIAZZALE GIOVANNI PAOLO II (O DI POR-TA MARINA) Attraversata Porta Marina, si giunge in uno spiazzale a bal-cone, da cui si gode un suggestivo pano-rama che si dispiega verso il mare e il Monte Conero, vario e vivace. La piazza è

stata di recente arricchita da un monumento dedicato a San Pio da Pietrelcina. LA SANTA CASA

"La Santa Casa di Loreto è il primo Santuario di portata internazionale dedicato alla Vergi-ne e vero cuore mariano della cristiani-tà" (Giovanni Paolo lI). Il Santuario di Loreto conserva infatti, secondo un'antica tradizio-ne, oggi comprovata dalle ricerche storiche e archeologiche, la casa nazaretana della Ma-donna. La dimora terrena di Maria a Nazaret era costituita da due parti: da una Grotta scavata nella roccia, tuttora venerata nella basilica dell'Annunciazione a Nazaret, e da una camera in muratura antistante, composta da tre pareti di pietre poste a chiusura della grotta (vedi fig. 2). Secondo la tradizione, nel 1291, quando i crociati furono espulsi definiti-vamente dalla Palestina, le pareti in muratura della casa della Madonna furono trasportate "per ministero angelico", prima in Illiria (a Tersatto, nell'odierna Croazia) e poi nel terri-torio di Loreto (10 dicembre 1294). Oggi, in base a nuove indicazioni documentali, ai risul-

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tati degli scavi archeologici a Nazaret e nel sottosuolo della Santa Casa (1962-65) e a studi filologici e iconografici, si va sempre più confermando l'ipotesi secondo cui le pietre della Santa Casa sono state trasportate a Loreto su nave, per iniziativa della nobile famiglia Angeli, che regnava sull'Epiro. Infatti, un documento del settembre 1294, scoperto di recente, attesta che Niceforo Angeli, de-spota dell'Epiro, nel dare la propria figlia Itha-mar in sposa a Filippo di Taranto, quartogeni-to di Carlo II d'Angiò, re di Napoli, trasmise a lui una serie di beni dotali, fra i quali com-paiono con spiccata evidenza: "le sante pietre portate via dalla Casa della Nostra Signora la Vergine Madre di Dio". Murate tra le pietre della Santa Casa sono state trovate cinque croci di stoffa rossa di crociati o, più probabil-mente, di cavalieri di un ordine militare che nel medioevo difendevano i luoghi santi e le reliquie. Vi sono stati trovati anche alcuni resti di un uovo di struzzo, il quale subito richiama la Pale-stina e una simbologia riferen-tesi al mistero dell'Incarnazio-ne. La Santa Casa inoltre, per la sua struttura e per il mate-riale in pietra non reperibile in zona, è un manufatto estraneo alla cultura e agli usi edilizi marchigiani. D'altra parte i raffronti tecnici della Santa Casa con la Grotta di Naza-

ret hanno messo in luce la coesistenza e la contiguità delle due parti (vedi fig. 2). A con-ferma della tradizione è di grande importanza un recente studio sul modo in cui sono lavo-rate le pietre, cioè secondo l'uso dei Nabatei, diffuso nella Galilea ai tempi di Gesù (vedi fig. 1). Di grande interesse risultano anche nume-rosi graffiti incisi sulle pietre della Santa Casa, giudicati dagli esperti di chiara origine giudeo-cristiana e assai simili a quelli riscontrati a Nazaret (vedi fig. 3). La Santa Casa, nel suo nucleo originario è costituita solo da tre pare-ti perché la parte orientale, ove sorge l'altare, era aperta verso la Grotta (vedi fig. 2). Le tre pareti originarie - senza fondamenta proprie e poggianti su un'antica via - si innalzano da terra per tre metri appena. Il materiale sovra-stante, costituito da mattoni locali, è stato aggiunto in seguito, compresa la volta (1536), per rendere l'ambiente più adatto al culto. Il rivestimento marmoreo, che avvolge le pareti della Santa Casa, fu voluto da Giulio II e fu realizzato su disegno del Bramante (1507 c). da rinomati artisti del Rinascimento italiano. La statua della Vergine col Bambino, in legno di cedro del Libano, sostituisce quella del sec. XIV, distrutta da un incendio nel 1921. Grandi artisti si sono succeduti lungo i secoli per abbellire il Santuario la cui fama si è diffusa rapidamente in tutto il mondo divenendo meta privilegiata di milioni di pellegrini. L'insi-gne reliquia della Santa Casa di Maria è per il pellegrino occasione e invito per meditare gli alti messaggi teologici e spirituali legati al

mistero dell'Incarnazione e all'annuncio della Salvezza.

La S. Casa, nel suo nucleo origi-nario, è costituita da sole tre pareti, perché la parte dove sorge l'altare dava, a Nazaret, sulla bocca della Grotta e, quindi, non esisteva come

muro. Delle tre pareti originarie le sezioni inferiori, per quasi tre metri di altezza, sono costituite prevalentemente da filari di pietre, per lo più arenarie, rintracciabili a Nazaret, e

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le sezioni superiori aggiunte successivamente e, quindi spurie, sono in mattoni locali, gli unici materiali edilizi usati nella zona. Alcune pietre risultano rifinite esternamente con tecnica che richiama quella dei nabatei, diffusa in Palestina e anche in Galilea fino ai tempi di Gesù. Vi sono stati individuati una sessanti-na di graffiti, molti dei quali giudicati dagli esperti riferibili a quelli giudeo-cristiani di epoca remota, esistenti in Terra Santa, compresa Naza-ret. Le sezioni superiori delle pareti, di minor valore storico e devozionale, nel secolo XIV furono coperte da dipinti a fresco, mentre le sottostanti sezioni in pietra furono lascia-te a vista, esposte alla vene-razione dei fedeli. Il rivestimento marmoreo è il capolavoro dell'arte lauretana. Esso custodisce l'umile Casa di Nazareth come lo scrigno accoglie la perla. Voluto da Giulio II ed ideato dal sommo architetto Donato Bramante, che nel 1509 ne approntò il disegno, fu attuato sotto la dire-zione di Andrea Sansovino (1513-27), di Ra-nieri Nerucci e di Antonio da Sangallo il Gio-vane. In seguito furono collocate nelle nicchie le statue delle Sibille e dei Profeti. Il rivestimento è costituito da un basamento con ornamentazioni geometriche, da cui si diparte un ordine di colonne striate a due sezioni, con capitelli corinzi che sostengono un cornicione aggettante. La balaustra è stata aggiunta da Antonio da Sangallo (1533-34) con lo scopo di nascondere la goffa volta a botte della S. Casa e di circoscrivere con ele-gante riquadratura tutto il mirabile recinto marmoreo. INTERNO SANTUARIO

LA CUPOLA E' stata elevata fino al tamburo da Giuliano da Maiano e voltata nella calotta da Giuliano da Sangallo (1499-1500). Tra il 1610 e il 1615

fu affrescata da Cristoforo Roncalli, detto il Pomarancio. Deperiti quegli affreschi e stac-cate alcune loro porzioni, la cupola fu nuova-mente dipinta da Cesare Maccari tra il 1895 e

il 1907. CAPPELLA DEL CROCIFISSO Nel mezzo si ammira un Crocifisso scolpito su legno da fra Innocenzo da Petra-lia nel 1637 e donato al santuario da una confra-ternita nel secolo XVIII. Gli affreschi sono di Biagio Biagetti (1928-1932) CAPPELLA FRANCESE O DEL SACRAMENTO E' stata decorata con le offerte dei cattolici france-si. Charles Lameire dal 1896 al 1903 ha dipinto a fresco il "Trionfo della

croce" e "Santi francesi" nella volta, e ha raffi-gurato scene di "Crociati francesi" e di "S. Luigi IX a Nazaret" su tre tele applicate a mu-ro. CAPPELLA SLAVA O DEI SANTI CIRILLO E ME-TODIO Fu fatta decorare con i contributi dei fedeli soprattutto croati. Gli affreschi, scene di vita dei santi fratelli Cirillo e Metodio, apostoli dei popoli slavi, si devono a Biagio Biagetti (1912-1913). Il trittico dell'altare è opera di Stanisla-o de Witten (1897). CAPPELLA DELL'ASSUNTA O AMERICANA Fu decorata con le offerte dei cattolici ameri-cani di lingua inglese, per iniziativa della Con-gregazione Universale, da Beppe Steffanina negli anni 1953-1970 con scene relative a Maria Regina, alla Proclamazione del dogma dell'Assunta, alla Glorificazione della Vergine Lauretana patrona dell'aviazione. Vi è narrata anche la storia del volo umano, dal mitico Icaro a Leonardo da Vinci e ai moderni astro-nauti. CAPPELLA DEL CORO O TEDESCA Fu decorata con le offerte dei cattolici di lin-gua tedesca, per iniziativa della Congregazio-

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ne Universale, nel VI Centenario della Trasla-zione. Gli affreschi si devono a Ludovico Seitz che li eseguì negli anni 1892-1902. CAPPELLA DEL SACRO CUORE O POLACCA Fu decorata con le offerte dei cattolici polac-chi da Arturo Gatti negli anni 1912-1939. Il pittore ha raffigurato "Maria Regina della Polonia", la "Vittoria di Sobieski a Vienna contro i turchi" e il "Miracolo della Vistola". SAGRESTIA DI SAN GIO-VANNI O DEL SIGNORELLI Custodisce i pregevoli affreschi di Luca Signorel-li, eseguiti probabilmente tra il 1481 e il 1485, con otto "Angeli Musicanti" nella volta, con i quattro Evangelisti intercalati a quattro Dottori della Chiesa, con cinque cop-pie di Apostoli e l'Incre-dulità di San Tommaso, e con la Conversione di Saulo. Il Lavabo è opera di Benedetto da Maiano mentre gli Armadi intar-siati sono attribuiti ad artefici fiorentini del secolo XVI. CAPPELLA DEI DUCHI DI URBINO La Cappella fu fatta decorare a proprie spese dai duchi di Urbino Guidobaldo II e Francesco Maria II della Rovere negli anni 1571-1584. Gli affreschi alle pareti sono opera di Federico Zuccari (1582/1583), la pala in mosaico con l'Annunciazione è copia di una tela di Federi-co Barocci (1582-1584) trafugata dai francesi nel 1797. CAPPELLA DI S.GIUSEPPE O SPAGNOLA Questa cappella è stata la prima ad essere decorata, nel piano generale di abbellimento pittorico promosso dalla Congregazione Uni-versale. E' stata decorata negli anni 1886-1890 con le offerte dei cattolici spagnoli. Gli affreschi delle pareti sono di Modesto Fausti-ni.

CAPPELLA SVIZZERA O DEI SANTI GIOACCHI-NO E ANNA E' stata affrescata da Carlo Donati negli anni 1935-1938 con le offerte dei cattolici svizzeri. Il pittore ha decorato le sezioni superiori delle pareti con figure si santi nati o operanti in Svizzera e in quelle inferiori, entro quattro

grandi quadri, episodi dei Ss.Gioacchino e Anna e di Maria Bambina. SAGRESTIA DI SAN MARCO O DEL MELOZZO Custodisce i pregevolissimi affreschi di Melozzo da Forlì che li eseguì tra il 1477 e il 1479. Nella volta ha raffigu-rato otto Angeli recanti sim-boli della Passione e altret-tanti Profeti. CAPPELLE LATERALI Nelle due navate laterali della basilica si trovano do-dici cappelle, sei per lato. Aperte agli inizi del sec. XVI dal Bramante, sono state abbellite con pale settecen-tesche in mosaico e con modesti dipinti del sec. XX. La più importante tra queste

è la Cappella del Battistero, con dipinti del Pomarancio e con il battistero in bronzo di Tiburzio Vergelli, lavorato tra il 1600 e il 1607. SALA DEL TESORO O DEL POMARANCIO La volta è decorata con affreschi raffiguranti scene della vita della Madonna, eseguite nel 1605-1610 da Cristoforo Roncalli, detto il Pomarancio. Sua è anche la pala d'altare con la Crocifissione. La Sala fu voluta da Clemente VIII per accogliervi l'ingente cumulo dei doni votivi lasciati dai pellegrini di ogni tempo ed estrazione sociale. Oggi vi sono conservati pochi doni votivi e di scarso valore, perchè il Tesoro prima è stato spogliato da Napoleone, nel 1797, che qui venne di persona per dirige-re le operazioni di rapina, e poi, dopo la rapi-da ricostruzione, dai ladri nel 1974. Ciò che di più prezioso si è salvato dalle due devastazio-

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ni ora è custodito nel museo-pinacoteca. Gli affreschi del Pomarancio sono giudicati dalla critica uno dei capolavori del tardo manieri-smo romano. ESTERNO SANTUARIO

LA PIAZZA E’ delimitata a est dalla facciata della basilica, a nord e a ovest dal Palazzo Apostolico e a sud dal Palazzo Illirico, ed è abbellita da una Fontana posta al centro e da un Campanile sul lato sinistro. IL SANTUARIO Iniziata nel 1469 in stile tardo-gotico, proba-bilmente su un progetto di Francesco di Gior-gio Martini, fu comple-tata nel 1587 con la facciata in stile tardo-rinascimentale. Nel 1468 il vescovo di Reca-nati Nicolò delle Aste decise la costruzione dell'attuale tempio, iniziato nell'anno suc-cessivo. Morto il vesco-vo nel 1469, prese a cuore i lavori il pontefice Paolo II che nel 1464, ancora cardinale, era stato prodigiosa-mente guarito in S. Casa. LA CUPOLA Fu costruita nella parte del tamburo ottago-nale, sino al cornicione, da Giuliano da Maia-no e fu voltata da Giuliano da Sangallo in soli otto mesi, dal settembre 1499 al maggio 1500. LA FACCIATA Fu progettata e iniziata da Giovanni Boccalini nel 1571, portata avanti, a partire dal corni-cione inferiore, da Giovan B. Chioldi e termi-nata nel 1587 da Lattanzio Ventura, sotto Sisto V, il cui nome è scritto nel cornicione superiore. LE PORTE DI BRONZO I tre portali in bronzo che abbelliscono la facciata della basilica furono voluti dal cardi-nale Antonio Maria Gallo, protettore del san-tuario (1587-1620), in vista del giubileo dell'anno 1600. Nell'intenzione della commit-

tenza i soggetti biblici ivi raffigurati sono inte-si ad accornpagnare spiritualmente il pellegri-no alla contemplazione del mistero dell'Incar-nazione, di cui fa memoria la S. Casa. Le tre porte sono state lavorate nella fonderia di Recanati e hanno subito un recente restauro ad opera della ditta Morigi (1988-1992). La porta centrale fu lavorata da Antonio di Giro-lamo Lombardo, con la collaborazione dei fratelli Pietro, Paolo e Giacomo. Iniziata nel 1590 fu terminata nel 1610. La Porta destra fu commissionata ad Antonio Calcagni nel 1590 che la ideò e in gran parte la modellò. Dopo la sua morte (1593) fu por-

tata a termine nell'anno 1600 dal nipote Tarqui-nio Jacometti e da Seba-stiano Sebastiani, i quali rielaborarono e integra-rono il progetto iniziale. Qualche studioso la giudica la più bella delle tre. La Porta sinistra fu com-missionata nel 1590 a

Tiburzio Vergelli che si avvalse della collabo-razione di Giovan B. Vitali e la portò a termine nel 1596. Questa porta è giudicata un capola-voro di maestria tecnica, di armonia composi-tiva e di decorazione ornamentale. IL MONUMENTO A SISTO V Sul lato sinistro del sagrato si scorge la Statua a di Sisto V, opera eseguita nel 1587 da Anto-nio Calcagni con la collaborazione di Tiburzio Vergelli. Fu eretta a spese della Provincia della Marca e di otto prelati piceni creati cardinali da Sisto V. IL PALAZZO APOSTOLICO Si apre davanti alla facciata della basilica, a due piani, con due lati, uno più lungo, a nord, e uno più breve, a ovest. Qualche studioso ritiene che sia stato iniziato nel 1498 su dise-gno di Giuliano da Sangallo o di Francesco di Giorgio Martini. Nella parte visibile dalla Piaz-za il Palazzo si deve a Donato Bramante, invi-ato a Loreto da Giulio II con l'incarico di 'disegnare molte opere'.

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IL PALAZZO ILLIRICO Si eleva sul lato sud della Piazza. E' una deco-rosa costruzione in laterizio, ridotta alle for-me attuali nel 1831-1835 dall'architetto Giu-seppe Marini. La precedente struttura, inizia-ta nel 1580, ospitò per lunghi anni i giovani studenti provenienti dall'antica Illiria. Oggi il Palazzo, modernamente ristrutturato, funge da ostello per i pelegrini, soprattutto dei "treni-malati". LA FONTANA Al centro della Piazza si eleva un'artistica Fontana, opera del celebre Carlo Maderno e dello zio Giovanni Fontana che la realizzarono tra il 1604 e il 1614. Ornano la Fontana alcune sculture in bronzo, lavorate da Tarquinio e Pietro Paolo Jacometti nel 1622. Il Maderno e il Fontana, attraverso una galleria di quasi 5 chilometri, vi condussero acque scaturienti in territorio recanatese per soddisfare le esigen-ze, anche igieniche, dei pellegrini. IL CAMPANILE Il disegno si deve a Luigi Vanvitelli, celebre architetto, autore della ben nota Reggia di Caserta. I lavori iniziarono nel 1750 e si con-clusero nel 1755, sotto la sorveglianza di Pie-tro Bernasconi. Il Campanile ospita nove campane, fra le quali merita di essere menzionata quella denomi-nata Loreta, opera di Bernardino da Rimini (1515). Ha un diametro di 184 cm. e pesa 73 quintali.

Recanati STORIA

È stata l’acqua, con i due fiumi Musone e Potenza e con i numerosi torrentelli, a dare il via nel territorio di Recanati allo sviluppo e alla civilizzazione. Quando in età preromana vi arrivarono i Pice-ni, già esistevano nuclei abitativi più antichi. L’attuale città, nonostante una storia leggen-daria che la fa risalire a una colonia romana (”Recina sum, peperit romana colonia” fecero scrivere nel ‘500 i recanatesi sotto lo stemma della città), si è costituita alla fine del XII seco-

lo quando i signori di tre alture decisero di unirsi. Le tre alture (Monte Volpino, Monte San Vito e Monte Morello), conservano i loro nomi e caratteristiche costruttive antiche. A Monte Volpino esiste ancora una casa fian-cheggiata da un arco che risale all’epoca più antica della città. Agli inizi della lotta per le investiture, Recana-ti appoggiò Federico II e ne ebbe in cambio la licenza di costruire un porto tra le foci dell’Aspio e del Potenza e l’esenzione dai dazi. L’alleanza con i ghibellini è testimoniata an-che dai merli a coda di rondine della torre civica. La Bolla Aurea dell’Imperatore è conservata nel Museo Villa Colloredo Mels ed è una delle testimonianze più interessanti della presenza in Italia degli Svevi. Successivamente Recanati si schierò dalla parte dei vescovi e del Papa e ricevette il diritto di chiamarsi città e di battere moneta. Famosa per i suoi Statuti, per la sua Fiera e i suoi traffici, condotti in parte da ebrei, accol-se generosamente emigranti albanesi e schia-voni ai quali affidò terre da coltivare. La fama di Justissima Civitas era dovuta alla competenza dei suoi magistrati, le cui senten-ze erano richieste anche in grandi comuni. Costruita sul crinale di un colle, fu protetta da una cerchia robusta di mura, fatta rinforzare da Francesco Sforza e nella quale si aprivano stretti varchi chiusi da porte. Porta San Domenico, Porta Cerasa, Porta San Filippo, le più caratteristiche, consentivano l’accesso al centro della città, di cui il Palazzo Comunale e la chiesa di San Domenico erano il cuore. Nel 1798 fu occupata da Napoleone e annes-sa al Regno Italico nel 1808. Ritornata allo Stato della Chiesa dopo il Con-gresso di Vienna, fu conquistata nel 1860 dall’esercito piemontese che si ricongiungeva alle truppe garibaldine provenienti dal Sud ed entrò a far parte del nuovissimo Regno d’Italia.

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PALAZZO LEOPARDI

La casa natale del poeta sorge nel rione di Monte Morello, che prende nome da uno dei tre castelli di cui l’antica città era costituita. Alla metà del XVIII secolo l’architetto Carlo Orazio Leopardi riunì in un unico nucleo i vari edifici in cui la famiglia aveva abitato ininter-rottamente fino dal secolo XIII; a questa ope-razione di restauro si devono l’attuale faccia-ta in stile neoclassico e lo scalone d’ingresso. Il palazzo, oltre alla parte abitata dalla fami-glia, contiene, aperti e visitabili tutto l’anno, l’importante biblioteca raccolta da Monaldo, fonte inesauribile di sapere per i suoi figli, ed una sezione museale ricca di oggetti e docu-menti riguardanti la famiglia e particolarmen-te il poeta.

PIAZZUOLA SABATO

DEL VILLAGGIO - CASA DI

SILVIA

La piazza, visibile in una foto d’epoca, antistante il palazzo, è delimitata a nord dalla Chiesa di Santa Maria di Montemorello, costruita nel secolo XVI per volere e a spese di Pierniccolò Leopardi; qui è conservato l’atto batte-simale del poeta. Ad est si trova la cosiddetta “casa di Silvia”, una lunga co-struzione che in parte era adibita a scuderia, in par-te era abitata dalla fami-glia di Teresa Fattorini che, morta giovanissima, fu immortalata da Giaco-mo nella poesia “A Silvia”. Sul lato ovest esisteva, ora demolita, la casetta ove sedeva “su la scala a filar la vecchierella”. An-cora oggi spesso “I fan-

ciulli gridando – su la piazzuola in frotta e qual e là saltando – fanno un lieto romore”. Come nei versi del canto da cui la piazza stes-sa prende il nome.

CENTRO NAZIONALE STUDI LEOPARDIA-

NI

Il C.N.S.L. ha sede in un edificio contiguo a palazzo Leopardi, costruito nel 1937 su inizia-tiva della famiglia del poeta, al fine di “promuovere e favorire gli studi e le ricerche intorno alla vita ed alle opere di Giacomo Leopardi”. Esso possiede una ricca biblioteca specifica aperta agli studiosi per la consultazione, una sala espositiva di materiale leopardiano ed ospita di frequente corsi di studio, convegni e seminari diretti a realizzare i fini della sua istituzione. Esso costituisce il punto di riferi-

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mento costante per tutte le iniziative leopar-diane, sia in Italia che nel mondo.

IL COLLE DELL'INFINITO

Il colle, celebrato nell’idillio omonimo, era meta delle passeggiate di Giacomo che vi accedeva direttamente dal giardino di casa, passando attraverso l’orto del convento di Santo Stefano e lì usava soffermarsi per gode-re lo splendido vastissimo panorama, dal monte al mare.

CONVENTO DI SANTO STEFANO

L'area su cui esso sorge fu donata il 6 aprile 1443 dalla famiglia Leopardi, allora proprieta-ria di tutto il colle, per la costruzione dell' edificio attualmente visibile, da sempre fino a poco tempo fa sede di un convento femmini-le. Il convento è ora proprietà della Regione e della Provincia e è la prestigiosa sede del Centro Mondiale della Poesia.

PALAZZO ANTICI

Casa natale di Adelaide, madre del poeta. L'edificio, dalle linee semplici ed eleganti, contiene fra l'altro un importante archivio, in parte proveniente per eredità dalla famiglia romana dei Principi Mattei, cui apparteneva il cardinale omonimo che siglò con Napoleone Bonaparte il trattato di Tolentino.

CHIESA DI SAN VITO

Costruita nel secolo XVIII, porta traccia dell'arte vanvitelliana nella facciata del 1771. Nel 1557 il complesso fu ceduto ai padri della Compagnia di Gesù i quali, a spese principal-mente di due fratelli Leopardi, vi fondarono un collegio.Nell' adiacente oratorio della Con-gregazione dei nobili, dove è conservata una bella tela del Pomarancio, il giovane Leopardi lesse in varie solennità religiose i suoi "Discorsi sacri".

CHIESA DI SANT'AGOSTINO

La costruzione risale al XIV secolo e di quest'epoca conserva eleganti decorazioni in cotto sul portale, mentre l'interno fu rifatto

nel secolo XVI su disegno del Bibiena. Dal chiostro interno è visibile la torre resa celebre dalla poesia leopardiana " Il passero solita-rio".

Montecassiano

IL NOME

Castrum Montis Sancte Marie è il primitivo toponimo del paese come risulta dal primo documento conservato nell’Archivio Comuna-le e datato 5 Luglio 1151, per poi apparire trasformato a partire dal 1200 in “Montis Sancte Marie in Cassiano”. LA STORIA

- III secolo A.C: Nei pressi della collina dove sorge Montecassiano, che si affaccia sulla pianura lambita dal fiume Potenza, gli abitan-ti di Ricina edificano il tempio del “genius loci” ossia Venere Ericina e accanto ad esso uno dei magistrati ricinesi costruisce la sua “domus rusticationis”. - 408 D.C.: Le invasioni dei Visigoti di Alarico e le guerre gotiche causano danni enormi a tutto il territorio, provocando la morte per fame e stenti di oltre cinquantamila abitanti del Piceno. I pochi scampati si arroccarono sulle colline più vicine ribattezzate successiva-mente con il nome di Castrum Montis Urbani (Monte Libano) e Castrum Colline (Collina): loro centro principale era l’altura sulla quale sorgeva il tempio di Venere che, come sopra detto, faceva capo alla “domus rusticationis” del vecchio magistrato i cui discendenti, con il

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trascorrere dei secoli, fondarono una famiglia di così detti “Conti rurali” ossia i Cassini. - 1151: Pietro, figlio del Conte Cassiano, quale signore del luogo, conferma l’enfiteusi che Pagano Barone aveva ottenuto già in prece-denza sulla quarta parte del Castrum Montis Sancte Marie, su un aliud castrum e sulla quarta parte ancora della chiesa di Santa Maria. Con il tempo però la potenza dei Cassi viene meno. - Gennaio 1165: sia Pietro sia i figli di Pagano Barone che gli abitanti di Castrum Colline si dichiarano a loro volta enfiteuti dei Benedet-tini cistercensi, insediati sin dal 1142 nella valle del Fiastra, obbligandosi a versare loro, quale riconoscimento di sudditanza, un cano-ne annuale. - 1202: Il Comune di Mons Sancte Marie in Cassiano partecipa, come Comune indipen-dente, alla Pace di Polverigi, così come il vici-no Castrum Montis Urbani che gravita nella sfera della potentissima Osimo anche se in seguito gli abitanti del paese, sfuggendo alla tenaglia osimana e alle angherie dei vicini, decidono di trasferirsi a Macerata precisa-mente presso il “borgo San Salvatore”. A Monte Santa Maria si appoggia invece il vici-nissimo Castrum Colline che preferirà invece inurbarsi nel Monte stesso. - 1225: Anno della stesura dello Statu-to di Montecassiano che risulta essere uno dei più antichi delle Marche. - 1239: Nuncastro o Novum Castrum (ora Valle Cascia e Palazzetto), residuo di un borgo a est di Ricina a sinistra del Potenza, viene in-cluso nei confini del Comune di Macerata, su concessione dal re Enzo, figlio di Federico II, come ringraziamento per l’aiuto ricevuto nella lotta antipapale. In verità, anche se la contrada verrà ancora menzionata nel catasto

maceratese del 1268-1269, il Comune di Ma-cerata si disinteressa di quella zona lontana dalla città, posta oltre il fiume e il castello finisce per essere inglobato nel territorio di Monte Santa Maria. - 1234: l’Abate Giasone decide di riedificare la chiesa madre dell’attuale Montecassiano, forse anche per rinsaldare i vincoli enfiteutici e per legare il comune alla politica pragmatica dell’ordine cistercense ora guelfa, ora ghibel-lina a seconda delle circostanze, come anno-tava un cronista dell’epoca. - 1334: il comune di Montecassiano è condan-nato al versamento degli arretrati dei canoni derivanti dai vincoli enfiteutici, dopo aver tentato invano di sciogliersi dagli stessi evi-tando talvolta di versare il canone oppure cedendo in enfiteusi terre che appartenevano ai cistercensi; - 1348: come anche gran parte del resto d’Europa, Montecassiano viene colpito dalla “peste nera” e la sua popolazione decimata tanto che, a seguito di altre vessazioni, nel 1357 viene definita “civitas parva” contando all’incirca solamente mille abitanti. - 1378/1417: Il Comune di Montecassiano partecipa alle lotte fra Papi ed Antipapi se-guendo o le parti dei Varano o dei Malatesta e talvolta degli avventurieri come Braccio da

Montone. Placatesi le lotte e dopo il Concilio di Costanza, il nuovo Papa Marti-no V nel 1418 assol-ve il paese da ogni irregolarità compiuta durante lo scisma d’occidente. - 1434: giunge nella Marca Francesco Sforza che impone a Montecassiano i suoi

Podestà, esattori di balzelli. Inizia un periodo di relativa pace. - 1437: costruzione delle mura castellane. - 1445, dopo un breve periodo di dipendenza da Osimo, Montecassiano entra a far parte

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della ormai pontificia “Marca d’Ancona”. Solo allora grazie all’intervento sia pure interessa-to del Legato Cardinal Rodrigo Borgia, Com-mendatario di Fiastra, tra il 1456 ed il 1457, Montecassiano riesce a liberarsi completa-mente da ogni legame con l’Abbazia di Fia-stra, recuperando la “libertas ecclesiastica”. - 1451/1527: periodo ricco di committenze artistiche ed eventi civili e religiosi, come il dossale in maiolica robbiano, la sistemazione della chiesa di Salimbeni, l’istituzione della Festa di Santa Croce e la proclamazione di San Giuseppe a protettore del paese (1521). All’ambiente umanistico dell’epoca si deve la formazione culturale di Nicolò Peranzoni, poeta petrarchesco ed autore del “De laudi-bus Piceni” fonte di non poche notizie sulla

provincia maceratese. Vicino agli am-

bienti della riforma cattolica fu invece il Vene-rabile Giovanni da San Guglielmo, agostiniano morto in odore di santità a Batignano (GR). - 1586: Montecassiano si libera della tutela ecclesiastica di Osimo: Papa Sisto V infatti, per rendere più importante la nuova diocesi di Loreto-Recanati, stacca il territorio monte-cassianese da quello osimano, aggregandolo al vescovato lauretano. - 1741: Oltre alla carestie e alle saltuari pesti-lenze si verifica una serie di terremoti che comportano la caduta della cuspide del cam-panile della chiesa madre. - 1836: epidemia di colera che spinge la popo-lazione a rivolgersi alla Madonna del Buon Cuore, la cui immagine viene trasportata dalla chiesetta di Salimbeni nella Collegiata. A que-sta decisione si attribusce la salvezza della popolazione dal morbo. - 8 settembre 1860: Monte-cassiano viene occupato dai piemontesi e nell’ottobre

dello stesso anno lungo la cinta muraria sfila il corteggio di Vittorio Emanuele II. Secondo la tradizione, il sovrano abbevera il suo cavallo alla “Fontana dei cavalli”, ripristinata di re-cente nel sito originario a fianco della Porta Battisti. - 4-5 novembre 1860: Plebiscito a seguito del quale Montecassiano entra a far parte del Regno d’Italia. In questo periodo vengono realizzati importanti lavori pubblici relativi all’acquedotto ed all’installazione dell’energia elettrica; viene inoltre inaugurato, nell’ex convento degli Osservanti, un nuovo Ospeda-le. Si restaurano chiese e, principalmente, quella di Santa Maria. - 1925/1939 vengono realizzati degli interven-ti urbanistici da parte dei Podestà che ammi-nistrano il paese quali lo sventramento di Via Monreale, l’abbattimento delle case di Via Catena per far posto ai giardini comunali, le manutenzioni straordinarie del settecentesco Giardino Ferri e la costruzione della Chiesa di Sambucheto. Sempre nella prima metà del novecento si restaurano la chiesa dell’Annunziata adibita a sacrario dei caduti della prima guerra mondiale e il Palazzo dei Priori. IL PAESAGGIO

La straordinaria bellezza artistica e paesaggi-stica, le numerose tradizioni, la vivacità asso-ciazionistica e il notevole sviluppo economico e demografico degli ultimi decenni rendono Montecassiano una cittadina tra le più vivibili, accoglienti e d’interesse turistico-culturale del maceratese.

Originato, secondo la tradizione, da nobili sfuggiti alla distruzio-ne di Helvia Recina, Mon-tecassiano si è sviluppato nei secoli intorno al nucleo stori-

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co di Castrum Montis Sancte Marie (dove ancora oggi si trovano gli edifici più importan-ti) con un’armonia tale da conservare intatta e unitaria la struttura urbanistica medievale. Attraverso vicoli e piagge si scoprono i tesori custoditi nel cuore del paese seguendo un percorso rimasto inalterato nel corso dei secoli. Le porte di ingresso delle mura si apro-no su scorci di panorama intenso, che può essere apprezzato pienamente con lunghe e rilassanti passeggiate. Viali freschi e alberati circondano l’esterno delle mura e si snodano sugli spalti delle stesse, assicurando una ve-duta a tutto tondo sulla valle del Fiume Po-tenza che scorre ai piedi della collina. Dal nucleo urbano in un attimo si è in aperta campagna, ancora venata da ombrose stradine dove è piacevole passeg-giare. Durante il lento camminare non di rado ci si imbatte in solitarie e antiche chiesette rurali, con vecchie campane suonate a mano, e in edicole sacre, che custodi-scono immagini ed effigi venerate. Ovunque ci si trovi basta alzare lo sguardo e subito riappare a poca distanza la sommità del colle di Montecassiano, con il campanile che svetta sulle abitazioni.

IL PRODOTTO DEL BORGO

A Montecassiano viene prodotto olio extra-vergine di oliva, secondo una versione affabi-le e rustica, con certificazione biologica, che sprigiona sapori e odori della migliore terra marchigiana. L’olio viene utilizzato anche per la conservazione di verdure, come pomodori secchi, peperoni grigliati, cipolle balsamiche ed olive con mandorle, secondo ricette tradi-zionali. Altre produzioni locali sono legate al miele, al vino, alla farina ed alla pasta.

PALIO DEI TERZIERI Il Palio dei Terzieri è la rievocazione storica che assume la sua denominazione dal nome degli antichi borghinei quali era suddiviso Montecassiano durante il Medioevo. Ambientato nella matà del 1400, il Palio vuole essere non soltanto un momento di aggrega-zione popolare, ma soprattutto occasione di riscoperta e di valorizzazione del Comune di Montecassiano, del suo territorio e della sua identità culturale. L'occasione che ha dato vita alla rievocazione, risale al 18 ottobre 1418, alloquando Monte-cassiano, dopo alterne vicende politiche, elesse dodici uomini appartenenti ai terzieri, per riformare gli antichi Statuti del Comune, con facoltà di correggerli e modificarli sotto il

controllo dell'auto-rità ecclesiastica. Nell'edizione mo-derna, il paese e le contrade sono stati ripartiti in funzione di un ideale appar-tenenza agli antichi terzieri di San Sal-vatore (Colori bianco/rosso), San Nicolò (giallo/azzurro), San Mi-

chele (verde/nero). Il Palio si svolge tutti gli anni dalla terza alla quarta domenica di luglio. IL PIATTO DEL BORGO

Il piatto tipico è quello dei “sughitti”, un dol-ce, per certi aspetti simile ad una polenta dolce, realizzata con farina di mais, mosto e noci. Il procedimento per la preparazione prevede di far bollire il mosto per 30 minuti, di aggiungere successivamente lo zucchero, la farina e le noci e di continuare a mescolare per un’altra mezzora. Al termine delle opera-zioni il dolce deve essere versato su un piatto e lasciato raffreddare. Ai “sughitti” viene dedicata, sin dagli anni ’20, una sagra che si svolge nel mese di ottobre di ogni anno.

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Abbadia di Fiastra Il centro abitato Abbadia di Fiastra lega il suo nome all'Abbazia di Chiaravalle di Fiastra che è una delle abbazie cistercensi meglio conser-vate in Italia. Qui l'ideale benedettino di lavo-ro e preghiera, oltre a diventare concreto e visibile attraverso un linguaggio architettoni-co di rara bellezza, ha saputo segnare profon-damente anche la storia del territorio circo-stante arric-chendola di preziose ed interessanti testimonianze.

STORIA L'Abbazia di Chiaravalle di Fiastra fu fon-data nel 1142, quando Guar-nerio II, duca di Spoleto e marchese della Marca di Ancona, donò un vasto territorio nei pressi del fiume Fiastra ai Monaci Cistercensi dell’Abbazia di Chiaravalle di Milano. I religiosi arrivati da Milano iniziarono la costruzione del monaste-ro utilizzando anche materiale proveniente dalle rovine della vicina città romana di Urbs

Salvia, distrutta da Alarico tra il 408 e il 410 e poi abbandonata. Contemporaneamente fu avviata anche la bonifica dei terreni circostan-ti. La Chiesa abbaziale è una monumentale co-struzione regolata dalle severe forme cister-censi. A fianco della chiesa è ancora oggi conservato

il mona-stero, realizzato anch’esso secondo gli schemi cistercen-si, con un bel chio-stro rico-struito nel XV secolo. L’Abbazia conobbe una rigo-gliosa

floridezza per tre secoli e, grazie ai Monaci Cistercensi che osservavano la regola di San Benedetto "Ora et labora", promosse lo svi-luppo religioso, economico e sociale di tutta l’area. Nel 1422 venne saccheggiata da Brac-cio da Montone ed in seguito l’Abbazia fu affidata ad otto cardinali commendatari; nel 1581 passò alla Compagnia di Gesù ed infine

Venerdì 24 agosto

PROGRAMMA : partenza ore 8.45 e arrivo alla Abbadia di Fiastra alle ore 9.30. Ore 10.00 inizio visita guidata alla Abbadia Ore 11.45 ritrovo sul piazzale del pullman e partenza per LORO PICENO Ore 12.15 arrivo a LORO PICENO, visita al borgo Ore 13.00 Pranzo al Ristorante “Le Grazie” a LORO PICENO Ore 14.30 partenza per visita ai borghi URBISAGLIA, TOLENTINO, CASTELLO DELLA RANCIA Rientro per cena a Macerata SERATA: MOMENTO DI PREGHIERA E VISITA ALLA CITTÀ

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nel 1773 l’intera proprietà fu ceduta alla nobile famiglia Bandini e quindi, per volontà dell’ultimo erede di questa, all’attuale Fondazione Giu-stiniani Bandini. Su invito della Fondazione, nel marzo 1985 i Monaci Cistercensi, provenienti anche questa volta da Mila-no, sono ritornati a vivere nell'Abbazia di Chiaravalle di Fiastra. La loro presenza ha ridato vita all'antico mona-stero portandolo ad essere di nuovo un punto di riferi-mento spirituale per tante persone. Complesso abbaziale Il complesso si presenta nella sua struttura originaria, con la chiesa abbaziale che occupa il lato nord del chiostro. La chiesa è dedicata alla Vergine Maria, come è consuetudine per i cistercensi. In stile ci-stercense-lombardo-borgognone, presenta tre navate, ed ha l'altare rivolto verso est e si presenta spoglia ed austera in quanto il Capi-tolo generale dell'Ordine cistercense proibiva l'uso di decorazioni ed affreschi. È quasi com-pletamente costruita in laterizio; in pietra, proveniente dalle rovine romane di Urbs Sal-via, sono i portali, i rosoni e i capitelli che furono scolpiti dai monaci stessi con motivi floreali, geometrici ed arabeschi. Il chiostro è il simbolo della vita monastica. Nelle sue forme attuali è frutto della ristruttu-razione operata alla fine del 1400 dai cardina-li commendatari, dopo il saccheggio del 1422. Il pozzo ottagonale al centro del chiostro era usato per attingere l'acqua da una cisterna dove veniva convogliata l'acqua piovana. La struttura in ferro è del periodo dei Gesuiti. Il lato a fianco alla chiesa era per la preghiera; sul lato orientale si trovava la Sala del capito-lo dove ogni giorno i monaci si riunivano per

leggere un capitolo della regola di San Benedetto. Il lato sud del chiostro ospi-tava le cucine e i refettori. All'inizio del XIX secolo que-sti locali sono stati demoliti per fare spazio al Palazzo Giustiniani Bandini. Oggi resta solo il Refettorio dei conversi (monaci dediti al lavoro manuale) con volte a crociera e sette colonne composte da basamenti, fusti e capitelli provenienti dalle rovine della vicina città di Urbs Salvia. Sul lato ovest del chiostro si trova il cella-rium che era usato come

magazzino e deposito. Sotto al lato nord del chiostro si trova la Sala delle Oliere che originariamente era usata dai monaci per la conservazione dell'olio e dove adesso è allestita la Raccolta Archeologica Abbadia di Fiastra. Il lato sud del chiostro è attualmente occupato dal Palazzo Giustiniani Bandini, fatto costruire dalla famiglia Bandini che, alla soppressione della Compagnia di Gesù, aveva ottenuto in enfiteusi tutti i beni dell'Abbazia di Chiaravalle di Fiastra. Sul lato est del chiostro, a fianco della chiesa, si apre un passaggio che conduce alle Grotte del monastero, sotterranei con temperatura costante tutto l'anno, che venivano usate dai monaci per la conservazione dei viveri. Lo stesso passaggio conduce alle Cantine dove venivano lavorate le uve raccolte nelle vigne dell'Abbazia. Furono edificate nel periodo dei Gesuiti e sono formate da un grande locale con un piano interrato; qui è stato recente-mente allestito il Museo del Vino.

LA CHIESA ABBAZIALE LA STRUTTURA La pianta della chiesa è a croce latina a tre navate. Misura 70 metri di lunghezza

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(compreso il portico) e 20 di larghezza. La

navata centrale, alta 25 metri, riceve la luce da 8 semplici monofore centinate, oltre che dal rosone della facciata. Le volte originaria-mente erano tutte a crociera come quella della prima campata vicino alla porta e quella del presbiterio. Ora invece, da quando l'Abba-zia fu saccheggiata da Forte Braccio da Mon-tone, Signore di Perugia nel 1422, la copertu-ra è a capriate. Il presbiterio quadrangolare è illuminato da un rosone più semplice di quel-lo della facciata. Il coro ligneo e la sede del celebrante sono di fattura recente (1995). Funge da base del nuovo altare maggiore un'ara pagana proveniente dall'antica vicina città di Urbs Salvia, da cui i Cistercensi aspor-tarono molto materiale. L'ara presenta scolpi-ta in facciata una croce, circondata da raggi solari. Queste caratteristiche, proprie delle croci dei Cavalieri del Tempio, detti Templari, farebbero pensare a una presenza di questi cavalieri per l'accoglienza dei viandanti e dei pellegrini. Tale ipotesi è avvalorata da alcuni grafiti rappresentanti cavalli e cavalieri, esi-stenti negli archi della foresteria. LO STILE L'architettura cistercense rispecchia la spiri-tualità di questo Ordine che, nato come rifor-ma dell'Ordine benedettino di Cluny, ricerca-va l'autenticità nella povertà, ispirandosi ai Padri del deserto e rifiutando tutto ciò che appariva superfluo. Così anche le chiese ci-stercensi nascevano spoglie in contrapposi-zione a quelle cluniacensi che abbondavano in ornamenti e decorazioni.

L'Abbazia di Fiastra fondata da S.Bernardo tramite l'Abbazia di Chiaravalle Milanese, esprime in modo nitido le caratteristiche di povertà, semplicità, essenzialità con evidenti analogie alle chiese cistercensi di Lombardia, da cui provenivano i monaci di Fiastra. In base a tali criteri la chiesa non aveva altri elementi decorativi se non i capitelli, tutti diversi per forma e decorazione, ornati preva-lentemente cori motivi floreali, agresti o ara-bescati: gigli, foglie, rosette, rami, pesci, uc-celli; ad eccezione di un drago che inghiotte un serpente, riproducen-te lo stemma del Duca di Spoleto e Marchese di Ancona, Guarnerio, il mecenate che aveva offerto i suoi beni per la fondazione dell'Ab-bazia. Fa eccezione solo la Madonna di Scuola Sa-limbeni di cui si parla più avanti. LA FACCIATA La facciata si presenta semplice con un avan-corpo formato da un portico a tre campate - rinnovato nel 1904 e restaurato nel 2010 - con volte a crociera che poggiano su colonne addossate ai muri. E’ illuminato da quattro trifore a colonne binate e ha un bel portale in marmo grigio, terminante in un arco a tutto sesto. Vi si accede con tre gradini dall'ampio piazza-le realizzato nel 1998. La facciata che termina con un profilo a fron-tone, è abbellita da un gran rosone e da una fascia di archetti. IL ROSONE Il rosone di marmo è formato da una raggiera di 12 colonnine agili e slanciate, disposte radialmente, partenti da un nucleo centrale e raccordate tra loro da archi a tutto sesto. A decoro della facciata e dei fianchi vi è un sem-plice motivo di archetti intrecciati in cotto scalpellato e due file di denti di sega, eseguiti con mattoni posti di spigolo, con inclinazione diversa. IL PORTALE Il portale di accesso alla chiesa, in marmo policromo, alterna pilastri e colonne, con notevole effetto cromatico e plastico; i capi-

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telli sono modellati semplicemente a foglia-me accartocciato. L'INTERNO All'ingresso si rimane subito colpiti dall'armo-nia di linee e spazi, come pure dall'imponenza e dalla grandiosità della struttura, anche se menomata dagli avvenimenti storici che l'hanno privata di gran parte della copertura originale e del tiburio (la torre campanaria che si innalzava al centro del transetto, carat-teristica delle abbazie cistercensii). Semplicità e povertà e anche la luce che penetra dalle monofore accentuan il richiamo alla contem-plazione e alla preghiera. Le arcate con archi a tutto sesto sono soste-nute da robusti pilastri quadrilobati sormon-tati da pregevoli capitelli. Altrettanti pilastri minori sorreggono gli archi delle navate laterali, dalle volte a crociera liscia, che risultano così raddoppiate rispetto alla navata centrale e danno un'immagine molto suggestiva nello snodarsi delle arcate. PILASTRI E PEDUCCI Nei pilastri maggiori le semicolonne non partono dal pavimento ma all'altez-za di circa mt. 2.50, da mensole o peducci di pietra a forma di cono rovesciato e si ergono addossate a larghe lesene nei cui angoli sono inserite le colonnine da cui partono i costoloni di volta di recente fattura. Nei pilastri intermedi inve-ce la semicolonna si eleva da terra mozza fino all'al-tezza di 9 metri. I quattro pilastri dell'ultima campata della navata centrale sono formati da possenti dadi murari lungo i quali si addos-sava il coro dei monaci, con ogni probabilità sono componenti originali di un primo nucleo della costruzione, come si rileva anche da altre chiese cistercensi. IL TRANSETTO Ai lati del presbiterio quattro cappelle,

anch'esse quadrangolari, si affacciano sul transetto, i cui bracci, originariamente a una sola campata con una volta a crociera, ora sono divisi da un'arcata rompitratta. All'incro-cio della navata centrale col transetto sopra la volta si elevava, secondo l'uso cistercense, la torre campanaria che si suppone fosse molto alta e solenne a imitazione di quella di Chiaravalle Milanese, dai cui monaci questa abbazia fu fondata. Nel braccio sinistro del transetto c'è la porta che conduce al cimitero dei monaci, ripristi-nato nell'anno 2000; nel braccio destro inve-ce c'era una porta più piccola che immetteva nella sacrestia e più in alto c'è quella che conduce al dormitorio dei monaci. OPERE PITTORICHE Solo a partire dal secolo XV, al tempo dei Cardinali Commendatari, si sono aggiunte le poche decorazioni pittoriche della chiesa abbaziale. A metà parete della navata destra c'è una

Madonna col Bambino tra S. Nicola di Bari e S. Sebastia-no, del 1539: un affresco senza grandi pregi. Con tutta probabilità si tratta di un ex-voto. Al terzo pilastro a sinistra della navata centrale è raffi-gurato S. Amico, monaco converso cistercense: un affresco del 1539 dalle linee essenziali e dal cromatismo elementare. Nell'ultimo pilastro a sinistra possiamo ammirare un'altra Madonna col Bambino. Lo stile è il gotico internazio-

nale della Scuola marchigiana della fine del XIV secolo. Il dipinto è attribuito alla Scuola fratelli Salim-beni da S. Severino. La Vergine siede sul trono finemente intarsiato. Lo sfondo formato da due archi dà il senso della profondità e l'immagine sembra uscire dal fondo dominando la scena.

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La delicata figura della Vergine è curata nei minimi dettagli. Lo sguardo dolce ed espressi-vo è amorevolmente rivolto a chi la guarda. Il Bambino, vestito di rosso, porta un uccellino nella mano destra, è in piedi sulle ginocchia della Madre e a lei volge lo sguardo. Nel presbiterio sotto il rosone domina una Crocifissione. Ai lati in due nicchie, originariamente mono-fore, S. Benedetto e S. Bernardo, e al suo lato in ginocchio il Cardinale Commendatario, Latino Orsini. Il Cristo morto col capo chino e il volto sereno dopo l'acerbo dolore, ci viene amorevolmen-te indicato dalla Madre che, avvolta in un manto nero, volge piangente lo sguardo ai fedeli. In ginocchio abbracciata con tenerissimo affetto alla croce è Maria Maddalena dai lunghi biondi capelli fluenti lungo le spalle. L'Apostolo Giovanni a mani giunte fissa addo-lorato il volto di Gesù. Da tutti i volti si sprigiona un profondo senso di umanità colta nel momento culminante della morte del Signore. La scena si apre verso i fedeli per invitarli a partecipare al dolore della Crocifissione. L'af-fresco, attribuito a Stefano Folchetti - scuola del Crivelli - reca una data leggibile a distanza: 1473. Sulla parete destra è il grande dipinto seicen-tesco a tempera, rappresentante S. Girolamo penitente nel deserto, senza particolari pregi artistici. LE CAPPELLE LATERALI La seconda cappella a sinistra è dedicata a S. Benedetto. Vi è rappresentata al centro in alto la scena dell'Annunciazione; a sinistra S. Pietro con i simboli di martire, apostolo e pescatore: la croce, il libro, il pesce; a destra S. Caterina di Alessandria con la ruota dentata, strumento del suo supplizio. L'opera è attribuita alla Scuola camerinese e in particolare a Girolamo di Giovanni. Vi spic-cano la dolcezza e l'umiltà della Madonna, la semplicità e l'umanità nelle altre figure.

La prima cappella a destra è dedicata alla Madonna di Loreto. Nella volta a botte è rappresentata la scena della traslazione della Santa Casa da Nazareth a Loreto. Il dipinto è attribuito alla Scuola bolognese del XVII secolo. Il volto della Madonna irraggia mirabile dol-cezza. Gradevole l'effetto dell'insieme che si libra lievemente nello spazio. La seconda cappella a destra è dedicata a S. Bernardo ed è artisticamente la più interes-sante. I pregevoli affreschi del secolo XV, attribuiti alla Scuola camerinese, presentano scene della vita dei Santi eremiti Antonio e Paolo. In fondo a sinistra una figura non facilmente identificabile, forse l'apostolo S. Giacomo. A destra l'immagine maestosa di S. Antonio Abate. Nella parete destra nel primo riquadro l'in-contro di S. Antonio con S. Paolo; nel secondo i due in preghiera e nel terzo S. Antonio sep-pellisce S. Paolo. Queste figure di Santi esprimono nella loro povertà e semplicità, ma anche ieraticità, il mistero cristiano della vita e della morte: serenità, luminosità, trasfigurazione.

Loro Piceno STORIA

Lo sky line di Loro Piceno e l'essenza stessa della sua antica storia sono rappresentati e impersonati dall'imponente castello alto-medioevale, intorno ai cui gironi si è dipanata per secoli la vita del borgo feudale, della Ter-

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ra e del Comune, e che tuttora è l'anima e il corpo da cui si snodano vicoli di ciottoli anti-chi, case e palazzi in cotto dorato, degradan-do dolcemente verso il piano e la modernità. E intanto lo sguardo corre lontano dal mare ai monti, dalla Marca di Ancona al Piceno, tra un incresparsi di terre feraci e un traspa-rente sovrapporsi di crinali ridenti. La dolcezza delle colli-ne circostanti, la serenità del paesag-gio, il lindore e il rigore dei vari re-stauri apportati all'impianto urbano, fanno di Loro Piceno un luogo piacevolissimo di residenza e una apprezzata mèta turistica. Il complesso del Castello occupa una superfi-cie di 1.600 mq e si erge superbo, su tre livelli fuori terra e tre seminterrati, con mura a scarpata che cingono il nucleo fortificato intorno al cosiddetto Giròne al quale si acce-deva tramite quattro porte, ora scomparse. Quattro torri, ancora svettanti dal perimetro esterno del càssero, testimoniano il grandioso sistema difensivo eretto a protezione dai Signori feudali di Loro. In questo spazio si ergevano il Palazzo del Vicario di Fermo e la residenza del Signore di Loro. Lo stemma di Loro Piceno, un castello a due torri e al centro una pianta di alloro, rivela l'origine dell'antico nome “Castrum Lauri”, Castello di Loro, nome che, dopo l'annessione al Regno d'Italia, si trasformò nel 1863 in Loro Piceno. A Loro Piceno è legato indissolubilmente il nome di uno dei primi seguaci di S.Francesco da Assisi, l'anonimo fraticello dei Fioretti, del 47° capitolo dei Fioretti, S. Liberato da Loro. I Francescani rivestirono un ruolo importante nella Terra del Castello di Loro e furono pre-senti e determinanti nella vita della Comunità con due Famiglie, quella dei Minori Conven-tuali nella chiesa e convento di S.Francesco di Assisi e quella dei Cappuccini nella chiesa e convento di S.Antonio da Padova.

Loro Piceno è conosciuto da sempre per il famoso “vino cotto”, al cui mito e alla cui pratica è stato dedicato un museo che, all'oc-casione, diventa anche mescita. Alla benevo-lenza del dio Bacco i Loresi dedicano la “Sagra del Vino Cotto”, una settimana di festeggia-

menti durante i quali i numerosissi-mi visitatori, accolti da un brulicare di cantine e degusta-zioni, vengono coin-volti nell'allegria della sfilata di carri allegorici giocati su temi satirico - orgia-stici.

STORIA DEL VINO COTTO Vino tipicamente e tradizionalmente marchi-giano, il vino cotto interessa particolarmente una ristretta zona enologica, quella del mace-ratese e di una parte del fermano. E' un vino forte, dal colore giallo ambrato con tendenza a sfumature nocciola (definito proprio per questa tonalità occhju de gallu), limpido e dal profumo fruttato, dal sapore in perfetto equi-librio fra acidità e dolcezza. La sua produzione è antichissima (ne parla già Plinio nel 70 d. C.) e fino ad un secolo fa era un momento significativo della vita campe-stre autunnale. La tecnica di vinificazione è altrettanto antica ed è rimasta sostanzial-mente invariata. Nelle Marche la sua produ-zione e il suo consumo sono ormai ampia-mente diffusi, ma il paese che ha acquistato fama per la qualità di tale liquore è proprio Loro Piceno. Lo conferma anche il fatto che nei palazzi nobiliari e padronali, che fiancheg-giano le caratteristiche vie del paese, si è sviluppata una interessante architettura in funzione della pigiatura dell'uva e della bolli-tura del mosto nelle voluminose caldaie di rame in una struttura in muratura alla cui base vi è lo spazio necessario per la legna da ardere. Nonostante il successo fra enologi e degustatori, l'articolo 2 del C.P.R. del 12 feb-braio 1985 ne vietava la commercializzazione,

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non considerandolo propriamente un vino. Tuttavia, dopo una battaglia durata anni, iniziata nel 1973 con l'interrogazione al Go-verno presentata dall'On. ascolano Renato Tozzi-Condivi, il vino cotto di Loro Piceno ha ottenuto finalmente il riconoscimento che meritava: con decreto ministeriale del 18 luglio 2000 è stato inserito nell'elenco nazio-nale dei prodotti tradizionali. Ciò significa che può continuare ad essere non solo prodotto, ma anche commercializzato. Loro Piceno, paese che vanta la più alta quali-tà nella regione per la produzione del vino cotto, gli dedica ogni anno una festa ricca di manifestazioni: la rinomata Sagra del Vino Cotto. Iniziata nel 1948 come Festa dell'Uva con festeggiamenti semplici e popolari, con carri allegorici addobbati con viti e grano, è giunta oggi ad essere un avvenimento apprez-zato a livello regionale. A questa tradizione è lagata anche la Mostra Permanente del Vino Cotto, allestita nei suggestivi am-bienti adiacenti al chiostro della chiesa di San Francesco. L'allestimento, pensato come un percorso dalla raccolta dell'uva all'invecchiamento del vino nelle botti, si apre con canestre in vimini e can-ne, cassette di legno e viun-zitti, le bigoncette, che veni-vano usati per la raccolta delle uve durante lo velegnà, la vendemmia. Dopo la rac-colta l'ùa o era gettata nelle canà, recipienti a base rettan-golare o quadrata di legno o in muratura dove veniva pi-giata, oppure in una pigiatrice manuale come quella in mostra. Lo musto, il liquido così ottenuto, si raccoglieva in una secchia, la secchja, contenitore in legno con due doghe opposte più alte delle altre, da utilizzare co-me presa. Le scorze e i graspi erano messi ne lu trocchju, il torchio, per la seconda spremi-tura. All'interno dell'allestimento è stata rico-

struita in muratura la fornacchiola, quel com-plesso di ‘posto per far ardere un fuoco a legna' e soprastante caldaia in rame, utilizzati per cuocere il mosto, trasportato al suo inter-no con lu stanatu, attrezzo di rame con mani-co, come un grosso ramaiolo. Durante la lun-ga bollitura sulla superficie del liquido era passata la schiumarola, una ramina per schiu-mare il mosto. Con la ‘mbottatora, una sorta di grande imbuto, si riempivano le votti con il vino ancora caldo. Questa operazione veniva fatta con lu stanatu, o con le ‘moderne' pom-pe meccaniche.

Urbisaglia URBS SALVIA, città della Regio V (Picenum), venne verosimilmente fondata nella prima metà del I secolo a.C., in un sito dove, almeno sinora, non si sono trovate tracce di insedia-menti precedenti al periodo romano, sebbe-ne tutto il territorio circostante sia ricco di presenze picene; come si verifica spesso in

ambiente romano, la sua na-scita va messa in relazione con la particolare posizione topo-grafica del luogo, costituita dall'incrocio di due importanti strade, quella che univa Fir-mum (Fermo) a Septempeda (San Severino Marche) e quel-la che conduceva da Asculum (Ascoli) attraverso Ricina (Villa Potenza) ad Auximum (Osimo). Municipio in epoca repubbli-cana ed in seguito, probabil-mente sotto Augusto, colonia; era iscritta nella tribù Velina; due grandi iscrizioni rinvenute durante lo scavo dell'Anfitea-

tro, presso i muri esterni, confermano lo sta-tuto coloniale. Il periodo del suo massimo fulgore si situa alla prima metà del I sec. a.C., quando importanti discendenti di famiglie originarie del territorio di Urbs Salvia che avevano raggiunto ragguar-devoli magistrature in Roma, contribuirono

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con consistenti doni allo sviluppo monu-mentale della città. Dopo la distruzione ad opera dei barbari nel V sec. d.C., ven-ne abbandonata e l'abitato si spostò, per ovvi motivi di difesa, sulla sommi-tà della collina, nel luogo occupato dall'attuale Urbisaglia. Questa mancata so-vrapposizione dell'insediamento più recente a quello romano, l'utilizzazione non sistematica della città antica come cava di pietra venien-te, uno sfruttamento agricolo tardivo della zona hanno fatto sì che Urbs Salvia giungesse al tempo attuale come il complesso archeolo-gico più importante delle Marche, in un pae-saggio ancor oggi non molto dissimile da quello antico. Urbisaglia fu fondata dai superstiti della città romana distrutta, che si insediarono sulle alture circostanti dando origine al Castro di Orbesallia. Nel XII secolo fu dominata dagli Abbraccia-monte. Gualtiero Abbracciamonte nel 1195 cedette Villamagna a Matteo e Forte Offone. Questo atto fu la causa di tutti i mali futuri. Nel 1199 Matteo e Forte Offone cedettero Villamagna a Tolentino. Gualtiero, nel 1213 cedette a Tolentino anche la sua parte di diritti sul castello di Urbisaglia. La malattia delle cessioni a Tolentino fu eredi-taria. Come Gualtiero, anche suo figlio Rosso nel 1251 e il figlio di lui Rosso nel 1290, e poi Gualtiero nel 1293, e ancora Silimbene di Marino nel 1296 cedettero a varie riprese i diritti sul castello. L'opera di asservimento fu compiuta da Filde-smido. La grande Urbisaglia, sotto il dominio tolenti-nate si ridusse in pessime condizioni. Per quasi un secolo e mezzo gli urbisagliesi sopportarono la tirannia tolentinate, finché, intorno al 1436, andarono sotto la signoria

più accettabile di Elena Tomacelli, nipote di Bonifacio IX, moglie di Talia-no Furlano, capita-no di ventura. Terminata nelle Marche la signoria di Francesco Sforza, di cui Furlano era stato capitano, gli urbisagliesi, con

breve del di Eugenio IV del 24 dicembre 1466, ritornarono sotto la dipendenza da Tolentino. Questa continuò (con alterne vicende) fino al 1569, quando il nobile maceratese Giulio Fedeli potè prendere possesso di Urbisaglia in nome della Camera Apostolica. Nel 1696 arrivò finalmente la pace tra defini-tiva tra urbisagliesi e tolentinati. LA ROCCA Per castello, in questo caso, si intende un borgo difeso da mura di cinta, torri e porte fortificate. La rocca era invece la fortificazio-ne destinata esclusivamente a funzioni milita-ri di controllo all'esterno ed interno del ca-stello. Due antiche porte principali sono tuttora visibili. Porta Entogge ad ovest (detta poi Porta Trento) e Porta Fiastra (detta poi Porta Piave). Le porte hanno perduto i loro attributi militari, ciononostante sono tuttora ben leg-gibili e documentano i due sistemi principali di ingresso al castello. Il castello di Urbisaglia venne eretto nell'area nord-occidentale della distrutta città romana di Urbs Salvia. Rovine di tale città furono inglobate tanto nell'area del castello che in quella della rocca. Essa venne eretta agli inizi del Cinquecento da Tolentino occupando id sito di un preesi-stente Girone medioevale (di cui residua la parte basamentale del mastio) e insistendo quindi anche nel sito di quella che era verosi-milmente l'Arce (Arx o rocca) della città roma-na di Urbisaglia. La rocca, costruita da maestranze lombarde,

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ha pianta trapezoidale con fronte SO più este-so rispetto a quello NO. Ai quattro lati si inne-stano altrettanti torrioni circolari scarpati. Una torre d'ingresso situata sul fronte NO della rocca veniva tutelata tanto dal torrione angolare Ovest che dal mastio situato a ridos-so della cortina anzidetta. Delle precedenti fortificazioni la rocca utilizza il mastio duecentesco (seppure riadattato in epoche successive). Il mastio ebbe probabile origine da una torre di avvistamento assai più alta di quella odierna, successivamente cima-ta per adattarla ai nuovi canoni architettonici che tendevano ad abbassare le varie unità fortificate. Altri ruderi del primigenio castello sono oggi visibili all'interno della rocca, occu-pando buona parte della corte interna.Le mura del castello di Urbisaglia andavano a congiungersi con i torrioni della rocca rispetti-vamente a Ovest e a Sud. Il fronte SO della rocca costituiva quindi la continuazione del perimetro murato di Urbisaglia. Alla base del mastio si trova una cisterna che veniva riempita con acqua piovana e assicura-va la scorta idrica della rocca anche in caso di assedio.

Tolentino BASILICA DI SAN NICOLA S. Nicola nacque nel 1245 a Sant’Angelo in Pontano, in provincia di Macerata. Dopo aver trascorso diversi anni nei vari conventi agosti-niani delle Marche, nel 1275 fu inviato a To-lentino dove visse e morì nel 1305 all’età di 60 anni. L’esemplarità della sua condotta, i molteplici miracoli compiuti prima e dopo la sua morte, fecero nascere una intensa e diffusa devozio-ne verso colui che era ritenuto Santo anche quando era ancora in vita. Ciò spinse Giovan-ni XXII, nel 1325, ad indire un processo di canonizzazione, il cui decreto ufficiale giunse però più di un secolo più tardi, per volontà di Eugenio IV. In un anno imprecisato, intorno alla fine del XIV secolo, fu tentato di profanare la salma mediante il taglio delle braccia dalle quali

sgorgò, allora come in molteplici occasioni posteriori, del sangue vivo. Allo scopo di evitare ulteriori simili tentativi, il corpo fu sepolto in un luogo di cui si perse la memoria. Solo nel 1927 esso fu ritrovato sotto l’arca marmorea al centro del Cappellone e fu co-struita, al di sotto di questo, la cripta nel qua-le il corpo tuttora riposa. L’originaria chiesa di S. Agostino, per la presenza delle spoglie e per la fama di taumaturgo del santo che si diffuse in tutto il mondo, fu intitolata a S. Nicola. Di grande interesse artistico il portale. FACCIATA Dalla facciata rivestita in travertino emerge il portale in cui la preziosità del gotico fiorito si fonde con gli effetti spaziali del primo Rinasci-mento. Costruito tra il 1432 ed il 1435 su commissio-ne del condottiero tolentinate Nicolò Mauru-zi, è opera dello scultore fiorentino Nanni di Bartolo detto il Rosso. Nanni ha lavorato con-temporaneamente a Donatello alle statue del campanile del Duomo di Firenze.Aveva poi realizzato a Verona il monumento Brenzoni in San Fermo e quindi a Venezia, il “Giudizio di Salomone” nel Palazzo Ducale. Nella lunetta del portale, sovrastata da un S. Giorgio a cavallo, è rappresentata la Madon-na con il Bambino tra S. Agostino e S. Nicola; in alto, nella parte cuspidale, la statua dell’Eterno Padre. Realizzato nel grigio della pietra d’Istria, esso

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risalta per la netta prevalenza delle parti scul-toree che dominano e si impongo sul telaio architettonico quasi inesistente. Le due sta-tue laterali (la testa di quello di sinistra è un reperto archeologico) e i sei bassorilievi raffi-gurano personaggi con in mano un libro o un foglio di pergamena; si può supporre che vi siano rappresentati gli otto agiografi del Nuo-vo Testamento. CAPPELLONE L’elemento di maggior valore artistico nel complesso della Basilica di S. Nicola è certa-

mente il cosiddetto “Cappellone”, forse in origine Sala Capitolare, che presenta il più vasto ciclo di affreschi delle Marche eseguito intorno al 1320 da Pietro da Rimini, illustre esponente della scuola giottesco-riminese. Sulle vele della volta sono rappresentati i quattro Evangelisti ed i quattro Dottori della Chiesa. Nei lunettoni compaiono scene della vita della Vergine; nella fascia mediana sono descritti episodi della vita di Cristo mentre in quella inferiore compaiono momenti della vita di S. Nicola e la raffigurazione di alcuni suoi miracoli. Al centro del “Cappellone” si innalza una pregevole statua in pietra policromata soste-nuta da un’arca in marmo sotto la quale era stato sepolto il corpo di S. Nicola. Recenti studi attribuiscono le due opere, risalenti alla seconda metà del ‘400, allo scultore fiorenti-no Niccolò di Giovanni che operò prevalente-

mente sulla costa orientale dell’Adriatico. Nella Basilica sono conservate anche altre importanti opere d’arte. CHIOSTRO L’inizio della costruzione del complesso del Convento di S. Nicola - sotto il titolo originario di S.Agostino - risale alla seconda metà del ‘200, quando la comunità agostiniana si era insediata a Tolentino già da molti anni. L’opera, forse con varie interruzioni, si pro-trasse per quasi un secolo. Il monumentale chiostro, costruito intorno al 1370, viene attribuito all’opera della locale corporazione di mastri carpentieri, falegnami, scalpellini, in buona parte di origine lombar-da. Il chiostro è composto da 30 capitelli de-corati con motivi vegetali, ad eccezione di quello angolare che presenta figure umane che la tradizione vuole siano i ritratti dei com-mittenti. Le colonne sono costruite in cotto e differi-scono tra loro per la forma, essendo alcune lobate, altre cilindriche altre ancora poliedri-che. Raffinato ed elegante, nel lato sud del chiostro stesso, il portale in cotto, recante tracce di policromia, che immetteva nell’antico refettorio. Tre ali del chiostro sono integralmente con-servate. la quarta invece, parallela alla chiesa, fu arretrata nei primi anni del secolo XVII° per dare spazio alle cinque cappelle costruite all’interno del lato destro della Basilica. OPERE Da ricordare per il loro valore artistico, la “Visione di S. Anna” del Guercino, dipinta nel 1640; una notevole statua lignea da presepio

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raffigurante la “Madonna col Bambino” del secolo XIV affiancata da un S. Giuseppe, ed una pregevole “Deposizione” su tavola, resi-duo di una grande e complessa pala d’altare, databile al 1521, recentemente attribuita al pittore tolentinate Marchisiano di Giorgio. MUSEI Di interesse antropologico oltre che artistico è anche il Museo degli ex voto che raccoglie circa 400 tavolette dei secoli XV-XIX. Impor-tante inoltre, il Museo delle Ceramiche, una collezione di pezzi di varie officine italiane (Albisola, Nove, Castel Durante, Castelli. Pesa-ro, Deruta, ecc.). dall’epoca romana fino al secolo scorso. Suggestivi anche il grande Presepio meccani-co, aperto tutto l’anno, ed il diorama con scene della vita di S. Nicola.

Castello della Rancia Sulla pianura situata alla sinistra del fiume Chienti, a 7 chilometri da Tolentino, s'innalza, maestoso e suggestivo, il Castello della Rancia ricostruito nel sec. XIV sulle strutture di una preesistente grancia cistercense. Il castello, di forma quadrangolare, è compo-sto da una cinta merlata rafforzata da tre torri angolari. A difesa dell'ingresso principale del castello si eleva una delle torri a cui si accedeva mediante un ponte levatoio, sosti-tuito in seguito da uno in muratura. Il mastio, nucleo originario della preesistente grancia, è alto circa 30 metri ed è costituito da quattro piani, di cui i primi tre sono voltati a crociera. Al secondo piano, fornito di un ampio camino e raggiungibile tramite una scala a chiocciola in pietra, si trovava l'allog-gio del granciario e poi del castellano. Il piano seminterrato del mastio, illuminato da due alte feritole a bocca di lupo, fu un tempo usato come prigione come indicano i grossi anelli in ferro infissi alle pareti. Su due lati adiacenti della corte, provvista al centro di una profondissima cisterna, si innal-zano due porticati con archi a tutto sesto

sorretti da pilastri cilindrici in laterizio. Al primo piano un altro porticato affianca un ampio salone, probabilmente la parte del castello che aveva funzione di residenza. Dal cortile si accede a una cappellina barocca eretta dai Gesuiti. Testimonianze non confermate sostengono l'esistenza, al centro del cortile, di un'altra cisterna dove sembra vennero sepolti molti dei caduti durante la Battaglia della Rancia nel 1815. Secondo la tradizione esisterebbe inoltre una galleria medievale che dovrebbe congiungere il Castello alla Basilica di S. Nico-la.

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Urbino STORIA

L'antica capitale del ducato montefeltresco (35 km da Pesaro) sorge sulla cima di due colli e lungo le loro pendici con i tetti delle case e delle chiese digradanti verso Porta Lavagine a nord-est e verso Porta Valbona a sud-ovest. È una delle maggiori mete del turismo artistico mondiale, per la sua storia e per i tanti monu-menti e opere d'arte in essa contenuti. Ha origini antichissime, ma si ha documenta-zione solo a parti-re dal III secolo a.C., quando Urvi-num Mataurense assunse la dignità di municipio ro-mano (resti di mura e del tea-tro). La posizione strategica ne favorì il coinvolgi-mento nelle lotte che caratterizza-rono il periodo feudale, quando si schierò dalla parte dei ghibellini e Antonio da Montefeltro, sedando a Roma una rivolta contro l'imperatore Fede-rico Barbarossa, conquistò sul campo il titolo di conte e la carica di vicario imperiale di Urbino (anno 1155). Fu l'inizio del legame della città con la dinastia dei Montefeltro durato, pur con momenti difficili e contrasta-

ti, fino all'estinzione della stessa. I primi con-tatti con il mondo dell'arte si ebbero al tempo del conte Guidantonio, quando nel 1416 i fratelli sanseverinati Lorenzo e Jacopo Salim-beni furono chiamati ad affrescare l'oratorio di S.Giovanni, seguiti dall'eugubino Ottaviano Nelli e dal ferrarese Antonio Alberti che ad Urbino lasciarono più di un'opera. Dopo la morte di Guidantonio (1443) e l'assassinio del giovane Oddantonio (1444), fu però soprat-tutto con Federico II da Montefeltro, prima conte e poi duca, che Urbino raggiunse il

massimo del suo splendore artisti-co, soprattutto dopo la raggiunta supremazia terri-toriale dei Mon-tefeltro, definiti-vamente strap-pata alle ambi-zioni espansioni-stiche dello scon-fitto Sigismondo Malatesta (1463). Fu per

volontà del duca Federico che la vecchia di-mora medievale dei Montefeltro fu ampliata e abbellita da Luciano Laurana prima e da Francesco di Giorgio Martini poi, fino a diven-tare lo splendido Palazzo Ducale, capolavoro assoluto (con i suoi 'Torricini' e con il suo 'Cortile d'Onore') dell'arte rinascimentale e

PROGRAMMA MATTINA: ore 8.00 partenza per Urbino (arrivo previsto ore 10.00 (Visita guidata al Palazzo Ducale inter-no ed esterno e al Duomo) ore 12.30-13.00 pranzo a Urbino: Ristorante San Giovanni, Via Federico Barocci 13 Pomeriggio visita libera per le strade della città Ore 17.00 partenza per Giussano (cena al sacco) ore 24.00 previsto rientro

Sabato 25 agosto

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oggi sede della prestigiosa Galleria Nazionale delle Marche che ospita capolavori assoluti come la "Flagellazione" e la "Madonna di Senigallia" di Piero della Francesca e la "Muta" di Raffaello Sanzio. Un'autentica reg-gia in cui vive eternata la memoria del duca Federico con quella del figlio Guidubaldo e della loro splendida Corte; di sala in sala, dal 'Salone del Trono' fino a quell'unicum che è lo 'Studiolo del Duca' con il suo splendido rive-stimento ad intarsi e la serie dei ritratti degli "Uomini illustri". È però anche girando per Urbino, lungo le sue ripide strade e stradette, che si incontrano tutte le tessere di un mosai-co urbano che reca i segni di una lunga storia artistica e culturale: dalla mole neopalladiana della Cattedrale, ricostruita dal Valadier dopo il terremoto del 1784, al magnifico portale in travertino (con la copia della lunetta di Luca della Robbia) della chiesa di S.Domenico, dalla medievale chiesa di S.Francesco con il bel campanile gotico cuspidato e la grande pala d'altare di Federico Barocci, all'oratorio di S.Giuseppe con il famoso 'Presepe' del Brandani, da Palazzo Albani (secoli XV-XVIII) alla vicina chiesa di S.Spirito (sec. XVI), alla casa natale di Raffaello sede dell'omonima Accademia istituita nel 1869. Più in alto la Fortezza Albornoz dai cui spalti la vista spazia in direzione del Palazzo Ducale con i suoi 'Torricini', ma anche verso le colline più pros-sime come quella dominata dalla quattrocen-tesca chiesa di S.Bernardino, sede del Mauso-leo dei Duchi. E ancora, scesi a valle, lo splen-dido panorama urbano che si gode da Borgo Mercatale con l'incombente volume semici-lindrico che racchiude la quattrocentesca Rampa elicoidale di Francesco di Giorgio Mar-tini, sovrastata dalla mole ottocentesca del Teatro 'R. Sanzio' e, ancora sopra, dalle absi-di, dalla cupola e dal campanile della Catte-drale, affiancate dai finestroni del giardino pensile e del monumentale fronte occidenta-le del Palazzo Ducale. C'è poi infine la Urbino città degli studi, quella della Libera Università e del suoi moderni Collegi e quella dell'Istitu-to Superiore per le Industrie Artistiche (ISIA),

ospitato all'interno del monumentale ex mo-nastero di S.Chiara, e quella ancora della cosiddetta 'Scuola del Libro' con la sua meri-tata fama di fabbrica di talenti artistici nel campo della grafica e delle varie tecniche incisorie. Ogni anno, in agosto, Urbino celebra se stessa con la Festa del Duca: una rievocazione in costume per le vie del centro a cui partecipa-no saltimbanchi e mangiafuoco, culminante nella sfida fra contee alla presenza della Corte ducale. GALLERIA NAZIONALE DELLE MARCHE

CENNI STORICI E' ospitata nel Palazzo Ducale, straordinaria dimora principesca del Quattrocento, voluta dal duca Federico da Montefeltro (1422 - 1482), signore della città di Urbino dal 1444 al 1482 "gloriae ac posteritati suae". Un "palazzo in forma di città", come lo definì Baldassarre Castiglione, che rispecchia la personalità guerriera e al tempo stesso illumi-

nata e colta del suo Si-

gnore. Vi lavorarono gli architetti Luciano Laurana (1420 - 1479), autore del superbo cortile e della facciata serrata tra i due slanciati torrici-ni, e Francesco di Giorgio Martini (1439 - 1502) che ideo' il prospetto principale, la cosiddetta "facciata a due ali". DESCRIZIONE SEDE Un primo gruppo di opere, proveniente dagli edifici delle corporazioni religiose soppresse, venne a costituire nel 1861 il nucleo principa-le della Galleria che, considerata una delle più preziose raccolte d'arte in Italia, fu istituita nel 1912, sotto la direzione di Lionello Ventu-

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ri, l'allora soprintendente, con l'intento di raccogliere, custodire e valorizzare gli oggetti d'arte provenienti dall'intero territorio regio-nale. Il percorso, all'interno del Palazzo, oltre a condurre il visitatore in ambienti di grande suggestione, tra cui lo "Studiolo del Duca", la "Cappellina del Perdono" e il "Tempietto delle Muse", lo avvicina alle numerose testimo-nianze della civiltà figurativa urbinate e a capolavori assoluti come: "La profanazione dell'Ostia" di Paolo Uccello (1397-1475), "La Flagellazione" e la "Madonna di Senigallia" di Piero della Francesca (1415/20-1492), la "Pentecoste" e la "Crocefissione" di Luca Signorelli (1441/50-1523), "La Muta" di Raffa-ello (1483 - 1520), l"Ultima Cena" e la "Resurrezione" di Tiziano (1487/88-1576), l'"Assunzione della Vergine" di Federico Barocci (1535 - 1612), la "Madonna col Bambino e Santa Francesca Roma-na" di Orazio Gentileschi (c.1563 - 638 o 46). Di recente acqui-sizione la Colle-zione Volponi donata dallo scrittore urbinate che compren-de, tra l'altro, dipinti del Trecento bolognese e tele del Seicento marchigiano. Importanti le raccolte di disegni e incisioni, la collezione di ceramiche e maioliche dei secoli XV e XVI e il misterioso dipinto della "Città ideale" (1480 c.) che, assieme alle due "Prospettive" conservate una nella Walters Art Gallery di Baltimora e l'altra nello Schloss Museum di Berlino, costituì, come afferma Maria Grazia Ciardi Duprè, il punto di parten-za di alcuni fra i maggiori problemi prospetti-ci, urbanistici, di architettura e di spazio che, nel passaggio dal primo al secondo Rinasci-mento, fondarono la civiltà moderna.

Dopo gli ultimi restauri, è possibile visitare anche i sotterranei del Palazzo con la neviera, la selleria, la lavanderia, la cucina, la stalla ed il bagno del Duca. DUOMO

STORIA Fondata nel 1021, in sostituzione di una pre-cedente chiesa fuori le mura, la cattedrale urbinate aveva una pianta originariamente ruotata di 90° rispetto a quella attuale, ed era di dimensioni assai minori. Ricostruito nel XV secolo su istanza di Federico da Montefeltro, il duomo di Urbino fu edificato secondo un progetto semplicissimo e spoglio, a tre navate su bianchi piloni, secondo un progetto attri-buito al senese Francesco di Giorgio Martini che in quegli anni era architetto di fiducia del duca. L'edificio fu terminato nel 1604.

Questa singolare opera del Rinasci-mento andò per-duta con il terre-moto del 12 gen-naio 1789 con il crollo della cupo-la, che costrinse gli urbinati a rico-struire la loro cattedrale affi-dando il progetto all'architetto romano Giuseppe

Valadier (1762-1839), che concluse l'edificio nel 1801. La facciata, in pietra del Furlo, è opera di Camillo Morigia (1743-1795) e realizzata nel 1782, su commissione dell'arcivescovo Dome-nico Monti, è ornata da cinque statue, sul frontone, rappresentano le Virtù Teologali (Fede, Speranza e Carità), mentre sui due spioventi, vi sono rappresentati Sant'Agostino (a sinistra) e San Giovanni Crisostomo (a de-stra). Sotto al frontone è riportata l'iscrizione "STUDIORUM UNIVERSITATI FASTIGIUM", come ringraziamento all'Università per aver finanziato i lavori per la realizzazione del tet-to. La gradinata antistante il Duomo è stata

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CENNI STORICI Fondata nel 1138, nel 1320 assurge al rango di Città e viene inserita tra le civitatis maio-res, per volontà di Papa Giovanni XXII che vuole premiare la sua fedeltà alla Chiesa,

ampliandola e trasferendovi la sede vescovile. L'accresciuta importanza di Macerata, posta peraltro in posizione centrale nel territorio della Marca, induce rettori e vicari della Mar-ca anconetana a trasferirvi la loro residenza. Il

Macerata

sistemata in forme attuali nel 1859 su dise-gno dell'arcivescovo Alessandro Angeloni, presenta, al termine di una elegante balau-stra, sulla sinistra la statua del Patrono San Crescentino e sulla destra la statua del Com-patrono Beato Mainardo, Vescovo di Urbino. Il raffinato interno, opera del Valadier, è un bell'esempio di stile neoclassico: a croce lati-na, con tre bianche navate coperte da volta a botte, è coronato, all'incrocio del transetto, da una maestosa cupola cassettonata. Tra le opere d'arte si segnalano due tele (il San Sebastiano nella navata destra, 1557, e la bellissima Ultima Cena nella cappella del Sa-cramento, 1603-1608) di Federico Barocci, un'Assunta di Carlo Maratta (1707 circa) e la Natività della Vergine di Carlo Cignani (1708). Nei pennacchi della cupola, i tondi con gli Evangelisti, sono opere di artisti di scuola romana del XVIII secolo (tra cui Domenico Corvi e Giuseppe Cades). La pala dell'altar maggiore, che troneggia nell'abside, con la Madonna tra i santi protettori di Urbino, è di Cristoforo Unterperger. L'attuale arciverscovo della diocesi e della cattedrale è Sua Eccellen-za Reverendissima Mons. Giovanni Tani. MUSEO CASA NATALE DI RAFFAELLO

SEDE E DESCRIZIONE DELLE RACCOLTE La dimora, costruita nel XV secolo venne ac-quistata nel 1460 dal padre di Raffaello, Gio-vanni Santi (1435 - 1494) umanista, poeta e pittore alla corte di Federico da Montefeltro, che vi organizzò la propria bottega dove Raf-faello (1483-1520) apprese le prime nozioni di pittura.

Acquistata nel 1635 dall'architetto urbinate Muzio Oddi, passò nel 1873 all'Accademia Raffaello che, fondata nel 1869 da Pompeo Gherardi ne divenne gelosa custode, promuo-vendo ricerche, opere e studi relativi alla figura del grande pittore urbinate. Al primo piano si apre un'ampia sala con sof-fitto a cassettoni dove è conservata l'"Annunciazione", tela di Giovanni Santi, assieme a copie ottocentesche di due opere realizzate da Raffaello: la "Madonna della Seggiola" e la "Visione di Ezechiele".

In una piccola stanza attigua, ritenuta la stan-za natale del pittore, è collocato l'affresco della "Madonna col Bambino" attribuito dalla critica ora a Giovanni Santi, ora a Raffaello giovane. Di particolare interesse sono un disegno attribuito a Bramante (1444 - 1514) e la raccolta di ceramiche rinascimentali, depo-sito temporaneo della Collezione Volponi. Al piano superiore, sede dell'Accademia, sono conservati manoscritti, edizioni rare, monete, ritratti: tipici esempi della cultura ottocente-sca con significato rievocativo e celebrativo.

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Trecento è segnato anche dalle dominazioni di diverse Signorie. A causa delle discordie tra i signori locali, Macerata subisce un assedio nel 1377, dal quale si libera con una gloriosa impresa militare. Nel Quattrocento gli Sforza occupano i suoi territori, ma una lega santa si oppone loro per sottomettersi allo Stato della Chiesa. Quest'ultimo accorda per gratitudine alla città lo status di Corte Generale de lo Rectore de Sancta Chiesa. Grazie a tale titolo, Macerata viene ufficialmente elevata al ruolo di capoluogo della Marca anconetana, avvian-dosi verso un periodo di profonda trasforma-zione del proprio tessuto sociale. Nel Cinquecento la città raggiunge il suo mas-simo potere politico e ottiene l'istituzione della sede universitaria. DA VEDERE Oggi la città, ancora cinta dai bastioni cinque-centeschi, è percorsa dalle tante strade che salgono verso Piazza della Libertà, il cuore del nucleo storico, su cui si affacciano la Loggia dei Mercanti, di gusto rinascimentale, il Palaz-zo del Comune, costruito nel 1600 e restaura-to nell'Ottocento, la Torre dell'Orologio, il Palazzo della Prefettura, antica sede dei legati pontifici (sec. XVI), il settecentesco teatro comunale Lauro Rossi, progettato dal Bibiena, e l'ex-Chiesa di San Paolo risalente al XVII sec, adiacente sul suo lato destro all'ingresso del Palazzo dell'Università, e da essa trasformata in auditorium. Tra i luoghi di culto si segnalano: il Duomo, progettato da Cosimo Morelli, il Santuario- Basilica Madonna della Misericordia, edificato alla fine del 400 sul luogo di una cap-pella votiva co-struita per scon-giurare il pericolo della peste. Nel 1735 Luigi Vanvi-telli ne progettò l'architettura dell'interno, men-tre le decorazioni furono realizzate

da Francesco Mancini e Sebastiano Conca. La Chiesa di Santa Maria delle Vergini, edificata in stile bramantesco custodisce all'interno una tela sul tema dell'Epifania del Tintoretto e aiuti. La Chiesa di San Giovanni mostra i canoni architettonici del tardo Rinascimento, tipici delle chiese dell'Ordine dei Gesuiti, a cui appartenne anche l'illustre missionario mace-ratese Padre Matteo Ricci. La Chiesa di San Filippo, con interno a pianta ellittica, è di particolare effetto estetico. La città si pregia di numerosi palazzi storici tra cui: Palazzo Ricci, risalente al XVI sec., di note-vole bellezza, ripristinata anche a seguito di un'accurata opera di restauro, oggi sede di una raccolta d'arte di grande valore; Palazzo Compagnoni Marefoschi, con il bel portale vanvitelliano; Palazzo Buonaccorsi, futura sede della pinacoteca, alto esempio di archi-tettura tardo-barocca marchigiana; il Palazzo dei Diamanti caratterizzato dalla facciata in pietra tagliata a rilievo, di forte impatto sce-nografico. Attrazioni turistiche sono anche i musei della città: la Pinacoteca Civica, composta da due sezioni: una di arte antica, che annovera, tra gli altri, dipinti di Carlo Crivelli, Giovanbattista Salvi e Carlo Maratta; una di arte contempo-ranea con opere di Aligi Sassu, Osvaldo Licini, Corrado Cagli e di numerosi altri artisti. Nello stesso edificio si trovano anche il Museo della Carrozza, il Museo Civico, il Museo Risorgi-mentale delle Marche e la Biblioteca Civi-ca.Sono in corso dei laviori per collocare i musei nello splendido Palazzo Buonaccorsi.

Nei sotterranei del cinquecentesco Palazzo Rossigni Lucangeli è situato il Museo di Storia Naturale. LO SFERISTERIO Lo Sferisterio fu costruito grazie alla "generosità di 100 consorti" macera-tesi per il gioco

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della palla (sphaera) col bracciale, disciplina sportiva in voga nelle mar-che dal secolo XV sino alla metà dell'800. I lavori, iniziati il 2 ottobre 1820, si protassero sino al 1829 quan-do finalmente il 5 settembre, in un eccezionale clima di festa popolare, lo Sferisterio venne augurato. Nel 1921, per la prima volta, si allestì un'opera lirica: una memorabile edizione di "Aida", voluta dal maceratese conte Pier Alberto Conti, richiamò spettato-ri da ogni parte d'Italia. L'anno successivo si tenne un'applaudita edizione de "La Giocon-da". Dal 1967, ogni estate, le Stagioni Liriche dello Sferisterio richiamano il pubblico più esigente ad applaudire originali proposte e cast prestigiosi in una struttura felicissima, monumentale ma intima, che garantisce una perfetta visibilità ed una eccellente acustica. TORRE CIVICA La Torre Civica, iniziata intorno al 1492, da Matteo d'Ancona, venne continuata nella metà del '500, sui disegni di Galasso Alghi-si da Carpi, architetto militare, e fu ultima-ta sui modelli dell'artista, nel 1653. E' alta 64 metri, ed è uno dei migliori edifici del genere

nella regione. Sul basamento vi è una lapide che ricorda Vittorio Emanuele II, per sistema-re questa lapide fu sacrificato purtroppo, l'artistico orologio ad automi, simile a quello di Venezia, costruito nel 1569 dai fratelli Ra-nieri di Reggio Emilia, famosi orologiai, con le statue lignee della Madonna col Bambino, cui le figure dei Re Magi al suono delle ore, ren-devano omaggio. Dalla terrazza del coronamento, facilmente accessibile, si domina un panorama unico che spazia dai monti Sibillini al mare. Lo sguardo scorre sulle numerosissime cittadine intorno, tutte su sommità collinari, intervallate da una campagna coltivata come un giardino.

Nel Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. O Dio, amante della vita, che nutri gli uccelli del cielo e vesti i gigli del campo, benedici noi e questo cibo perché possiamo servirti meglio nei nostri fratelli. Amen.

PREGHIERA AI PASTI

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Preghiera per la santificazione della famiglia

O Maria, siamo qui per imparare da Te la grande lezione della vita. Tu ci guardi come solo una madre sa guardare i suoi figli. La Santa Casa custodisce il ricordo della tua quotidiana fatica e del lavoro umile di Gesù e di Giuseppe: aiutaci a lavorare con cuore puro affinché il nostro lavoro sia libero dall'egoismo, libero dall'ingiustizia e dalla violenza. Davanti a Te, o Madre, tante mamme hanno pregato e Ti hanno presentato con fiducia i loro figli come Tu un giorno presentasti Gesù nel Tempio. Oggi le nostre famiglie si stringono attorno a te: riporta nelle nostre case la preghiera che illumina e genera fraternità, unendo genitori e figli in una festa di fede. Aiutaci a guardare in Alto per scoprire il nostro vero volto nel Volto Santo di Dio. Cammina sempre con noi perché viviamo donando generosamente noi stessi come ha fatto Gesù, figlio del Tuo sì, Salvatore di ogni uomo, meta della nostra vita. Amen.