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T TEOLOGICA liberi di partire liberi di restare NEWS DAL SITO LIBERIDIPARTIRELIBERIDIRESTARE.IT AVVENTO Un viaggio per tutti ROSALBA MANES pag 2 ACCOGLIENZA Fatto teologico PAOLO ASOLAN pag 6 IMPERI La lezione della storia GIULIO ALBANESE pag 9 ACCOGLIENZA Fermare il traffico di esseri umani pag 21 T A TEOLOGICA TEOLOGICA TEOLOGICA AZIONE novembre 2017

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Una Famiglia di migranti perseguitati (cf. Mt 2,13-18)Mt 2,13I Magi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuo-le cercare il bambino per ucciderlo». 14Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua ma-dre e si rifugiò in Egitto, 15dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Dall’Egitto ho chiamato mio fi-glio. 16Quando Erode si accorse che i Magi si erano presi gioco di lui, si infuriò e mandò a uccidere tutti i bambini che stavano a Bet-lemme e in tutto il suo territorio e che ave-vano da due anni in giù, secondo il tempo che aveva appreso con esattezza dai Magi. 17Allora si compì ciò che era stato detto per mezzo del profeta Geremia:18Un grido è stato udito in Rama, un pianto e un lamento grande: Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata, perché non sono più.

Un libro di viaggi

La Bibbia è un libro di partenze, il cui raccon-to si dipana tra viaggi e attraversamenti, in un movimento a fisarmonica di incontri con Dio e con il prossimo. Israele è un popolo senza terra che è in cammino verso la terra a causa di una promessa divina, ma questa terra rimane sempre all’orizzonte, resta sem-pre terra promessa. È come se Dio sradicasse

i suoi da un territorio preciso per farli vivere nell’insicurezza dei senza-terra.

In marcia perenne verso la comunione

I chiamati, coprotagonisti della storia sacra insieme al Dio che ne è anche il regista, sono creature che la parola del Vocante estrae dal-la routine quotidiana per renderli pellegrini e persino migranti (ghērîm), stranieri che ri-siedono fuori dalla patria, adattandosi agli usi e costumi del territorio di sopravvivenza. Nella loro esistenza feriale risuona un grido che vuole scavare il loro orecchio: «Alzati e va’», un ritornello che Dio canta lungo tutta la rivelazione biblica e la cui musica irrompe nella vita di creature che non si distinguono per qualche dote particolare, se non quella di rendersi disponibili, esponendo all’Altissimo la propria piccolezza e restando incantati dal suo chinarsi su di essa per abitarla. «Alzati e va’» dice Dio e il chiamato esce da sé in un’e-stasi che lo spinge a fare esodo. Egli si muove, estratto dalla massa indistinta dei molti pro-prio dalla Voce divina che, dopo aver chiama-to all’essere, chiama alla luce quando offre un incarico, una missione che va compresa non come un privilegio ma come un impegno per l’edificazione di un popolo. L’elezione, infatti, non lascia il singolo come un individuo, ma lo ricrea come persona, come creatura dispo-sta a intraprendere il travagliato apprendista-to dell’alterità divina e umana e ad accettare i rischi di quel cammino che ha come mèta la terra promessa che, più che un luogo fisico dove starsene al sicuro lontano dai veleni del mondo, è una cifra simbolica che rimanda alla pienezza, all’integrità, alla comunione.

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avvento, un viaggio per tutti dalla fuga in Egitto allo spazio di salvezza D I R O S A L B A M A N E S *

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L’Avvento tra conversione e accoglienza

Il mese di dicembre è segnato dai tempi li-turgici dell’Avvento e del Natale che ci sug-geriscono fortemente il tema del viaggio con il loro invito a un attraversamento inte-riore, un viaggio verso se stessi, verso il cuore del cuore, volto a intercettare il desiderio di Dio e l’anelito alla salvezza, un viaggio utile a lasciare le proprie sicurezze, che sono un miraglio di sazietà ma non soddisfano, per avanzare sulle acque profonde del nuovo che Dio prepara. C’è un arrivo da attendere, un incontro per il quale prepararsi: viene il Signore, il Dio che salva, quel Dio che, come recita il prefazio dell’Avvento I/A, «viene in-contro a noi in ogni uomo e in ogni tempo». Egli viene per visitarci e, per mezzo di noi, vuol essere presente nel mondo e irradiare la sua luce nella notte del mondo.Due sono i personaggi biblici che ci accom-pagnano nell’itinerario di Avvento: Giovanni Battista, che ci testimonia un agire segnato dall’urgenza del cambiamento e della trasfor-mazione interiore per andare oltre gli schemi del pensiero umano e aprirsi alla giustizia di Dio, e Maria di Nazaret, che ci testimonia la capacità di fare spazio nella propria vita per accogliere la vita di Dio, la disponibilità a ri-cevere l’eccedenza divina e a comprendere che la salvezza del mondo è pura azione di Dio che interviene non solo dove non c’è più nulla da fare, ma anche nel vuoto assoluto.

Il Re Bambino accolto dagli animali e dai poveri

Con il Natale l’attenzione del credente si sposta dall’attesa della venuta alla gioia dell’incontro e alla custodia del Dio fatto car-ne e alla figura di Maria si associa quella di Giuseppe. Entrambi si presentano come fi-gure dell’ascolto, della fede nell’opera di Dio, dell’abbandono alla Provvidenza e della do-

cilità nel modificare i loro progetti personali e mettersi più volte in viaggio con grande flessibilità. Stando ai Racconti dell’infanzia di Matteo e di Luca, che sono una meditazione teologica, alla luce della fede post-pasquale, su eventi che le comunità cristiane hanno creduto reali e a cui hanno volto uno sguar-do colmo di fede e stupore, la storia di Ma-ria e Giuseppe è fortemente segnata dalla metafora del viaggio, esperienza che inter-pella la fede ed esige una grande sobrietà.Nella solennità del Natale la liturgia della Pa-rola ci racconta che Maria e Giuseppe sono benedetti dalla nascita del figlio – che non è un bambino qualunque ma il Figlio di Dio ge-nerato non dal seme di un uomo ma dallo Spi-rito santo – proprio durante un viaggio, quello intrapreso a causa del censimento voluto da Cesare Augusto che implicava il ritorno alla propria città natale (cf. Lc 2,1-20). Appartenen-do alla discendenza di Davide, Giuseppe è co-stretto a lasciare Nazaret, dove risiede con sua moglie Maria, per recarsi a Betlemme. Maria è incinta e non versa in condizioni ottimali per affrontare un viaggio così lungo qual era quel-lo da Nazaret (a nord) a Betlemme in Giudea (a sud). Luca ci racconta che durante questo viaggio, Maria dà alla luce il bambino che non nasce, alla maniera degli altri bambini ebrei, in una casa ma in mezzo agli animali, e non vie-ne adagiato come tutti i neonati in una culla ma nella mangiatoia degli animali.La liturgia del Natale ci mette dinanzi ad aspetti di estrema attualità che riguardano la Sacra Famiglia: il viaggio, la nascita del Bambino in condizioni critiche, e l’acco-glienza del Figlio di Dio fatta dai poveri del tempo, cioè i pastori, segni tutti dell’estrema precarietà che il Cristo condivide con gli ulti-mi, lui che liberamente accetterà di non ave-re «dove posare il capo» (Mt 8,20; Lc 9,58), come quel Dio che nella prima alleanza, in-vece di vivere in una casa, vorrà vivere sotto una tenda in mezzo al suo popolo che vaga nel deserto (cf. 2Sam 7,5-7).

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Una famiglia perseguitata e costretta all’esilio

Il Figlio di Dio nato a Betlemme riceve la vi-sita di re stranieri che, interpellando il libro del cosmo, scoprono quanto profeticamen-te era stato annunciato: la nascita del re-pa-store di Israele (cf. Mi 5,1.3; cf. anche 2Sam 5,2). Pur di vedere questo re e rendergli omaggio, i Magi intraprendono un viaggio assai lungo attratti da una stella, presagio di nascite straordinarie, rischiano che l’ira di Erode si accenda contro di loro, vengono in contatto con le profezie d’Israele e giungono a destinazione. Sono tipo dei lontani e degli stranieri che hanno accolto calorosamente il re dei Giudei, diversamente dai Giudei stessi che non hanno riconosciuto la visita del loro Messia (cf. Lc 19,44).La pericope letta nella festa dei Santi Inno-centi presenta due quadri: la fuga in Egitto (Mt 2,13-15) e l’infanticidio (Mt 2,16-18). È seguita poi dal racconto del ritorno in Israele e della scelta di Nazaret come residenza (Mt 2,19-23). Il brano si apre con un sogno. Sin-tonizzato con le divine frequenze, Giuseppe riceve la parola del Signore attraverso il ca-nale onirico e risponde alle sue sollecitazioni con piena fiducia e senza esitazioni. Dio lo invita a mettersi in viaggio con la sua fami-glia per fuggire in Egitto e salvare il bambino dall’ira omicida di Erode che, di fronte alla partenza dei Magi, non avendo ricevuto da loro le informazioni richieste circa il luogo esatto della nascita del presunto nuovo re dei Giudei che rappresentava per lui una mi-naccia insopportabile, decide di sopprimere tutti i bambini al di sotto dei due anni.Accade così che l’Egitto, terra che un tem-po aveva rappresentato per Israele la «casa degli schiavi» (bet avodim), si riveli come spazio salvifico in cui il Figlio di Dio si ritira. Come il deserto, l’Egitto diventa custodia, spazio di protezione, occasione per non mo-rire. Il verbo anachoréo («ritirarsi») è molto caro a Matteo e viene usato per indicare il

rientro dei Magi nella loro terra (Mt 2,12); la fuga di Giuseppe, Maria e il bambino in Egitto (Mt 2,13.14), l’inizio della residenza a Nazaret (Mt 2,22), ma anche il modus vivendi che Gesù adotta dinanzi all’opposizione cre-scente (Mt 4,12; 12,15; 14,13; 15,21). Questo ritiro forzato in Egitto mostra alcuni punti di contatto con la storia di Mosè e ricorda il suo salvataggio, ad opera di una sinergia tutta al femminile, e lo sterminio dei bambini israe-liti da parte di Faraone. La Parola ci ricorda che sulla vita umana, così fragile e indifesa, incombe sin dal suo sorgere la minaccia di morte.Giuseppe prende sotto le sue ali di pater fa-milias la moglie e il figlio e parte per l’Egitto che diviene terra di libertà e si compie così la parola di Os 11,1 – Dall’Egitto ho chiamato mio figlio – che Matteo attualizza in chiave messianica: se «figlio di Dio» è Israele (cf. Es 4,22), ancor di più lo è questo bambino. La vicenda di Israele si compie così in quella del bambino che, a partire dalla piena solidarie-tà con il popolo di Dio, ne ricapitola in sé la vocazione più originaria. Il Dio con noi è so-lidale in tutto e per tutto con il suo popolo: nella prova, nella persecuzione, nella fuga e nel farsi apolide, pur essendo il Dio «che ha fatto cielo e terra».La mattanza di bambini ordinata dal re Ero-de è inverosimile dal punto di vista storico, ma non impossibile, data la crudeltà con cui questi si era sbarazzato dei suoi figli Alessan-dro, Aristobulo e Antipatro, considerati una potenziale minaccia al suo potere. Essa ricor-da non solo la strage compiuta da Faraone in Es 1,22 ma tutte gli stermini di innocenti che si sono perpetuati nella storia e conti-nuano tuttora nel mondo a causa di tiranni e prevaricatori senza scrupoli. La strage de-gli innocenti viene letta anch’essa alla luce di un testo profetico, Ger 31,15, che Matteo rimaneggia con originalità e in cui Rachele, seconda moglie di Giacobbe/Israele, la sua prediletta, con cui ha generato Giuseppe e Beniamino, diviene madre dell’intero popo-

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lo d’Israele segnato dal dramma dell’esilio. L’esilio dunque è paragonato alla morte pre-matura dei figli. Rachele, che avrebbe dovu-to consolare i reduci dall’esilio che, tornando in patria, sarebbero passati davanti alla sua tomba, diviene spiritualmente la madre dei bambini di Betlemme. L’episodio dell’infan-ticidio acquista nel primo vangelo un carat-tere simbolico, volto a prefigurare la distru-zione di Gerusalemme dell’anno 70 d.C. e ad anticipare tutte le stragi di innocenti che accadono ancora oggi nel nostro mondo e nelle nostre società a causa dell’aborto, dei pericolosi viaggi dei migranti in mare, della tratta degli schiavi, della pedofilia…Ci sarà ancora un Egitto disposto a mutarsi da «casa di schiavitù» in spazio di libertà e di custodia, di umanità e di salvezza?

* consacrata dell’ordo virginum e biblista(Pontificia Università Gregoriana, Roma)

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1Accogliere è vangelo, cioè una buona notizia

La buona notizia del vangelo, come scrive un grande teologo, è che «Dio non è una for-tezza rinchiusa che noi con le nostre macchine da guerra (ascesi, introspezione mistica, ecc.) dobbiamo espugnare, è invece una casa piena di porte aperte, attraverso le quali noi siamo invitati a entrare» (H. U. von BaltHasar, Tu coro-ni l’anno con la tua grazia, Jaca Book, Milano 1990, 111). La grazia dell’Avvento ha a che fare con l’accoglienza, ricevuta e offerta.

Nell’Antico Testamento ebraico il termine fondamentale che indica la città è ‘ir, e pro-priamente indica un insediamento umano chiuso, spesso «con alte mura, porte e sbar-re» (Dt 3,5). La città si differenzia da altri in-sediamenti in forza della sua maggior difesa, dovuta appunto alla sue mura e ai suoi siste-mi di sicurezza. Ma il bene e la salvezza non coincidono con la sicurezza: non li possono garantire né i muri né alcun’altra costruzio-ne umana. L’uomo non può sperare che una cosa fatta dalle sue mani si possa sostituire a quel che solo Dio può donare e garantire. È questo il tema – decisivo – dell’idolatria: quando Dio è sostituito da un idolo, tutto l’ordine del mondo si corrompe e si ritorce contro l’uomo, trasformando le cose di questo mondo da strumenti di vita a cause di morte, non solo morale. Per questo la Bibbia esprime una certa diffidenza verso la città intesa così: autosufficiente e sicura di sé, del-le proprie forze. Un tale giudizio è evidente fin dal quarto capitolo della Genesi, dove si

racconta che Caino – dopo il fratricidio – «si allontanò dal Signore, e abitò nel paese di Nod a oriente di Eden […] poi divenne co-struttore di una città» (Gen 4,16-17). Per accogliere Dio e il prossimo occorre non sentire e non avere bisogno di muri, e cioè aver riconciliato in se stessi la paura del pros-simo sentito come nemico, l’istinto omicida, la sfiducia nella presenza e nell’azione del Si-gnore, nella bontà del suo disegno creativo che ha voluto e vuole uomini diversi chiama-ti a riconoscersi e a vivere come fratelli.

«È indispensabile prestare attenzio-ne per essere vicini a nuove forme di povertà e di fragilità in cui siamo chia-mati a riconoscere Cristo sofferente, anche se questo apparentemente non ci porta vantaggi tangibili e immedia-ti: i senza tetto, i tossicodipendenti, i rifugiati, i popoli indigeni, gli anziani sempre più soli e abbandonati, ecc. I migranti mi pongono una particola-re sfida perché sono Pastore di una Chiesa senza frontiere che si sente madre di tutti. Perciò esorto i Paesi ad una generosa apertura, che invece di temere la distruzione dell’identità lo-cale sia capace di creare nuove sintesi culturali. Come sono belle le città che superano la sfiducia malsana e inte-grano i differenti, e che fanno di tale integrazione un nuovo fattore di svi-luppo! Come sono belle le città che, anche nel loro disegno architettoni-co, sono piene di spazi che collegano, mettono in relazione, favoriscono il riconoscimento dell’altro!» (Evangelii Gaudium, 210)

tempo di accoglienza fatto teologico non orginazzativo D I P A O L O A S O L A N TT

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2L’accoglienza di Cristo

L’accoglienza vicendevole è un fatto teologi-co, non soltanto organizzativo, politico o so-ciale, e ha la sua radice nel mistero stesso di Dio e del suo Verbo fatto carne, nel mistero che ci stiamo preparando a celebrare nella liturgia di Natale. Un tale fondamento impe-gna chi vive nella grazia di Cristo a lasciar-si convertire il cuore, che continuamente si corrompe dietro agli idoli creati dalla paura. Dalla Bibbia ci viene rivelata una correlazio-ne tra solitudine, paura di morire o di essere uccisi, costruzione della città e delle mura, chiusura delle porte. Quando questi elemen-ti non si aprono all’invocazione e all’alleanza di Dio – cioè alla speranza/certezza che Dio tiene saldamente nelle sue mani l’esistenza dell’uomo, perché egli stesso l’ha pensata e voluta, ne conosce il significato, l’ha amata e destinata a non finire ma, anzi, a unirsi alla sua – necessariamente devono affidare a un qualche idolo il compito di creare una vita rassicurante e pacifica. 

«Gesù, l’evangelizzatore per eccellen-za e il Vangelo in persona, si identifica specialmente con i più piccoli (cfr Mt 25,40). Questo ci ricorda che tutti noi cristiani siamo chiamati a prenderci

cura dei più fragili della Terra. Ma nel vigente modello “di successo” e “pri-vatistico”, non sembra abbia senso in-vestire affinché quelli che rimangono indietro, i deboli o i meno dotati pos-sano farsi strada nella vita» (Evangelii Gaudium, 209).

Quali implicazioni ha per noi il mistero dell’accoglienza che Cristo ha fatto di noi in se stesso, e per suo tramite, nella vita stessa di Dio Tre volte Santo, rendendoci non più «stranieri né ospiti», ma «concittadini dei santi e familiari di Dio» (Ef 2, 19)?Possiamo, in questo tempo di Avvento, la-sciarci illuminare nel profondo e chiedere di trovare la sorgente stessa dell’accoglien-za, che faccia della nostra vita e delle nostre comunità luoghi pieni di “porte aperte”, anzi spalancate.Impregnati di una benevolenza autentica, solidale nel profondo e consapevole di tutti i complessi fattori in gioco, ci sarà così pos-sibile diventare soggetti attivi e propositivi non soltanto di azioni pastorali ma anche politiche, sociali e culturali che consentano a chi non vuole lasciare la propria terra, di esercitare il diritto naturale a rimanervi; e a chi invece bussa alla porta di un’accoglienza duratura, di trovare in noi coloro con i quali tessere le prime, necessarie relazioni di co-noscenza, orientamento, aiuto, stabilizzazio-ne, integrazione.

«La Chiesa ha la missione di annun-ciare la misericordia di Dio, cuore pul-sante del Vangelo, che per mezzo suo deve raggiungere il cuore e la mente di ogni persona. La Sposa di Cristo fa suo il comportamento del Figlio di Dio che a tutti va incontro senza escludere nessuno. Nel nostro tem-po, in cui la Chiesa è impegnata nella nuova evangelizzazione, il tema della misericordia esige di essere ripropo-sto con nuovo entusiasmo e con una

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rinnovata azione pastorale. La prima verità della Chiesa è l’amore di Cristo. Di questo amore, che giunge fino al perdono e al dono di sé, la Chiesa si fa serva e mediatrice presso gli uomini. Pertanto, dove la Chiesa è presente, là deve essere evidente la misericor-dia del Padre. Nelle nostre parrocchie, nelle comunità, nelle associazioni e nei movimenti, insomma, dovunque vi sono dei cristiani, chiunque deve poter trovare un’oasi di misericordia» (Misericordiae Vultus, 12).

3L’accoglienza dei minori

«In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: «Chi dunque è più grande nel regno dei cieli?».  Allora chiamò a sé un bambi-no, lo pose in mezzo a loro  e disse: «In verità io vi dico: se non vi con-vertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli.  Perciò chiunque si farà picco-lo come questo bambino, costui è il più grande nel regno dei cieli.  E chi accoglierà un solo bambino come questo nel mio nome, accoglie me. Guardate di non disprezzare uno solo di questi piccoli, perché io vi dico che i loro angeli nei cieli vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli» (Mt 18, 1-10).

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Quarant’anni fa, l’intellettuale france-se Raymond Claude Ferdinand Aron s’inter-rogava con inquietudine e preoccupazione sugli effetti perversi dell’allora nascente glo-balizzazione dei mercati, affermando senza alcuna esitazione: “L’ineguaglianza tra le nazioni assumerà il ruolo della lotta di clas-se”. Oggi, lungi dal voler essere disfattisti, la visione profetica di Aron sembra avverarsi. Seguendo diverse direttrici, tanta umani-tà dolente di questo primo segmento del Terzo Millennio si riversa anche nella nostra Europa, continente in cui pace e stabilità si coniugano con indici di ricchezza, svilup-po e qualità della vita ancora invidiabili per molte popolazioni che sopravvivono nelle periferie del mondo. È possibile, allora, stabilire un’ermeneutica che consenta di comprendere la fenome-nologia della mobilità umana e dunque le ragioni che la determinano? Il rischio è quel-lo di giudicare lo scenario migratorio, super-ficialmente, senza fare tesoro, ad esempio, delle memorie   del passato. Per chi crede, infatti, che la Storia sia “magistra vitae” è utile di questi tempi leggere il resoconto di Ammiano Marcellino, riguardante l’arrivo dei barbari. A scanso di equivoci, è bene chiarire che, dal punto di vista etimologico, la parola bar-baro deriva dal greco βάρβαρος, passato in latino come barbarus. Un’espressione ono-matopeica con cui gli antichi greci indicava-no gli stranieri (letteralmente i “balbuzien-ti”), cioè coloro che non parlavano greco, e quindi non erano di cultura greca. Storico tardo imperiale di origine ellenica, Ammiano, nel suo “Rerum Gestarum Libri” ci racconta di un passato a noi lontano che se però confrontato con il presente può ri-

velare molte interessanti analogie. Verso la fine del IV secolo d.C. l’Impero Romano fu costretto a misurarsi con una crisi umani-taria senza precedenti, quella dei profughi Goti: era l’anno 376. In condizioni di estre-ma emergenza, questo popolo in fuga dagli Unni venne fatto entrare nell’Impero. Pur-troppo una serie di eventi mandò in blocco il sistema di accoglienza. L’operazione uma-nitaria venne, infatti, gestita in modo cor-rotto dai generali romani che intravidero la possibilità di intascare grossi profitti in nero, costringendo i Goti a pagare le razioni che avrebbero dovuto essere distribuite gratui-tamente e per cui il governo di Roma aveva peraltro stanziato i fondi. A ciò si aggiunse un mix di incompeten-za e mancata percezione dell’inizio di un nuovo fenomeno migratorio di massa che avviò, inesorabilmente, la civiltà romana al suo tramonto. E dire che i Goti già vivevano in simbiosi con Roma da parecchio tempo. Molti di loro erano ben integrati ed avevano acquisito la cittadinanza romana. Addirittura alcuni erano diventati legionari e venivano mandati in giro per l’Impero a difenderne i sacri confini, soprattutto dalla minaccia persiana. I barbari erano una ri-sorsa alla quale l›Impero non voleva e non poteva rinunciare, poiché costituivano for-za lavoro a basso costo, era contribuenti ze-lanti e soldati affidabili. Improvvisamente, però, la disastrosa gestione dell’ingresso dei Goti (noi diremmo oggi di “nuovi immi-grati”) provenienti da Oriente segnò l’inizio della fine. Dopo essere entrati in gran numero nell’im-pero e aver subito abusi eccessivi da parte delle autorità, i Goti si ribellarono. La conse-guenza fu la sanguinosa battaglia di Adria-

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la lezione della storia roma di fronte alle civiltà “barbare” D I G I U L I O A L B A N E S E

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nopoli (378 d.C.) con cui sconfissero l’impe-ratore Valente.Il pensiero corre quasi istintivamente alle terribili inefficienze del nostro sistema, all’interno del quale permettiamo a losche cooperative di intascare grossissime som-me troncando sul nascere qualsiasi seria po-litica di integrazione. Mafia capitale docet! Per chi volesse saperne di più raccomando un saggio del professor Alessandro Barbe-ro, storico e divulgatore di fama, autore di “Barbari. Immigrati, profughi, deportati nell’impero romano” (Laterza). “L’immigra-zione – secondo Barbero - è una risorsa indispensabile quando è gestita bene, con regole chiare e diritti e doveri chiaramente stabiliti; mentre una società può collassare sotto il suo peso se manca una salda dire-zione politica. È anche molto importante che la piena assimilazione sia percepita dagli immigrati come possibile e concretamente molto vantaggiosa: i barbari sono stati una risorsa per Roma finché non hanno desiderato al-tro che diventare Romani, il disastro è co-minciato quando i Goti hanno sentito che era più vantaggioso rimanere Goti anziché diventare Romani.” Saggia conclusione per-ché nessuna civiltà è eterna...  Che allora l’Avvento di Nostro Signore por-ti davvero consiglio ad ognuno di noi nella consapevolezza, come leggiamo nel Vange-lo, che “Il cielo e la terra passeranno”, ma le Sue “parole non passeranno”.

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IImparare ad incontrare l’altro, a vederne la positività e a non averne paura. Nella Cit-tadella della Pace di Rondine, in provincia di Arezzo, questo si sperimenta nella quoti-dianità. E giorno dopo giorno si costruisco-no percorsi di conoscenza e di comunione. A dimostrazione del fatto che la pace “non è un’utopia, ma è assolutamente possibile”, sottolinea Franco Vaccari, presidente e fon-datore dell’associazione che da oltre 20 anni promuove e attua la cultura del dialogo.

Il tema della recente Giornata Mondiale dei Poveri era “amiamo non a parole, ma con i fatti”. Nella realtà di Rondine l’acco-glienza è un fatto, non uno slogan. Come si realizza?A Rondine pratichiamo una parola che si ripete spesso e a volte provoca qualche al-lergia: pace. L’abbiamo scritta nel nome “Cit-tadella della Pace” per essere liberi di non pronunciarla più, ma di metterla in pratica. Non c’è pace senza accoglienza, senza en-trare in relazione con i bisogni degli altri, so-prattutto di coloro che fuggono dalla guer-ra. La guerra è infatti produttrice di povertà immediata in quanto distrugge, ferisce, uc-cide, crea profughi, ma anche di fenomeni come l’odio e la violenza che possono essere definiti carsici, poiché riemergono dopo un certo tempo, come ad esempio nei Balcani. Dobbiamo ricordare che la pace non è as-senza di guerra, occorre preoccuparsi delle ferite. A Rondine lavoriamo sugli effetti tra-gici della guerra nel lungo periodo, rimar-ginando le ferite e restituendo persone che non sarebbero volute scappare e che voglio-no dare un contributo al loro Paese.

non c’è pace senza accoglienza intervista a Franco Vaccari A C U R A D I S T E F A N I A C A R E D D U S S

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Il progetto “Il diritto a non fuggire” serve a formare leader che possano essere poi capaci di incidere sulla realtà politica e ci-vile locale. L’accoglienza diventa dunque il primo passo per la pace?Il grande guaio della guerra ha tre esiti sulla popolazione: una parte non riesce a reagire e soccombe, una parte tenta di scappare per trovare la salvezza, e una parte minoritaria che non si rassegna e vuole fare qualcosa per la propria terra. Rondine si rivolge a quest’ul-tima fascia di persone e offre opportunità di formarsi sul piano umano, morale, cultu-rale e professionale per poi tornare e occu-pare posti di rilievo nella classe dirigente. Abbiamo sete di speranza e qui a Rondine siamo dei privilegiati perché la viviamo. Ve-dere in questi ragazzi del Mali, protagonisti del progetto, la motivazione, il compito in-teriorizzato di spendersi per il proprio Paese, è bellissimo. Se questo si moltiplicasse, in 10 anni il Mali cambierebbe volto. Non è un’u-topia, ma è concretezza. Noi indichiamo una strada possibile, ma serve anche l’impegno della politica.

Come si possono costruire percorsi di ri-conciliazione a partire dal quotidiano, dal basso?Anche in un luogo di guerra ci sono sem-pre il bene e persone che alimentano la speranza. Noi lavoriamo su due binari:

selezioniamo coloro che vengono a for-marsi a Rondine e contemporaneamente continuiamo una ricognizione attenta sul territorio per creare opportunità affinché, al rientro, l’esperienza possa avere succes-so. Apriamo cioè strade che possano dare risultati nel lungo periodo.

Nella vostra Cittadella si impara a convi-vere e a superare i conflitti. Di fronte ad un populismo che nasconde spesso raz-zismo e intolleranza, il messaggio che ar-riva dalla vostra esperienza è che l’incon-tro, la pace, sono possibili…. Sono assolutamente possibili e sono il vero sviluppo. Ogni linea difensiva di fronte ai conflitti non genera sviluppo, ma soprav-vivenza. La chiusura e il razzismo sono figli della paura. Perché l’altro è sempre straniero a me stesso. Occorre dunque aiutare a non avere paura dell’altro, creare opportunità per incontrarlo e scoprirne la curiosità, la sorpresa, la positività, il fascino che genera. Questa dovrebbe essere la preoccupazio-ne della politica e non quella di cavalcare il sentimento della paura. La Cittadella è una realtà concreta e un valore simbolico: la pace non è spontanea, serve un’educazione. E papa Francesco, con la Giornata dei Poveri, ci ha educato ad un gesto concreto: ogni aula, ogni città, possono diventare quella meravi-glia che abbiamo visto e condiviso.

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I N I Z I A T I V A C E I

Chiamati a dare speranzaPerché il Vangelo sia fonte di liberazione, speranza di dignità e pienezza di esistenza.http://liberidipartireliberidirestare.it/chia-mati-a-dare-speranza/

A N D A R S E N E

Mai a cuor leggero La prima libertà deve essere quella di non essere costretti a lasciare il proprio Paese.http://liberidipartireliberidirestare.it/mai-a-cuor-leggero/

P E R I L R I T O R N O

Oltre il dissenso e l’indifferenzaUn impegno corale per una proposta co-struttiva. http://liberidipartireliberidirestare.it/oltre-il-dissenso-e-lindifferenza/

F A R E R E T E

Questione di educazioneÈ importante ribadire a livello educativo l’importanza del fare rete.http://liberidipartireliberidirestare.it/que-stione-di-educazione/

news dal sito le notizie raccolte da liberidipartireliberidirestare.it

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Adalle parole ai fatti protagonisti, progetti, destinatari, ambiti

I N F O R M A Z I O N E

Fermare il traffico di esseri umaniL’informazione, strumento efficace per com-battere la tratta di esseri umani.… https://www.avvenire.it/attualita/pagine/vaccini-la-consulta-respinge-il-ricorso-del-veneto

S C E L T E

Diritto di partire, diritto di restareFornire informazioni corrette per permette-re una scelta consapevole. Per contrastare il traffico di esseri umani in Mali. http://liberidipartireliberidirestare.it/pro-getti/diritto-di-partire-diritto-di-restare/

C E N T R O L A P I R A

Stop alla trattaSiccità cronica, cambiamenti climatici, con-flitti e instabilità interna hanno reso il Mali uno dei Paesi più poveri del mondo http://liberidipartireliberidirestare.it/pro-getti/stop-alla-tratta/

« S T O P T R A T T A ! »

Qui si tratta di esseri umaniImpara l’arte per non abbandonare la tua terra. È questa la strategia vincente. http://liberidipartireliberidirestare.it/pro-getti/qui-si-tratta-di-esseri-umani/

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7 A F R I C A

Il diritto a non fuggireFormarsi in Italia per sviluppare in Mali progetti che possano incidere nella realtà locale.http://liberidipartireliberidirestare.it/pro-getti/il-diritto-a-non-fuggire/

M I N O R I

Tutori volontari per i non accompagnatiSensibilizzare e formare 300 volontari. Per poi prendersi cura.http://liberidipartireliberidirestare.it/pro-getti/tutori-volontari-per-minori-stranieri-non-accompagnati/

C A T A N I A

Cucito e cucina: semi di accoglienzaUn laboratorio di sartoria etnica e uno di pa-sta fresca per aiutare le donne vittime della tratta. http://liberidipartireliberidirestare.it/pro-getti/semi-di-accoglienza/

S I R A C U S A

Cultura dell’accoglienzaStare accanto ai piccoli migranti accolti nel-la diocesi siciliana, per non farli sentire soli e per aiutarli a sentirsi parte della comunitàhttp://liberidipartireliberidirestare.it/pro-getti/cultura-dellaccoglienza/

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LOCALE

DATA PROGETTOTERRITORIO ENTE

PAESE DI INTER-VENTO

ANNI ACCORDATO EROGATO DA VERSARE FINALITÀ PROGETTO

18-052017

Liberi di partire, liberi di restare

VIS Nigeria 3 1.152.000,00 192.000,00 960.000,00

contribuire alla riduzione dei flussi migratori, attra-verso corsi di formazione professionali, in Nigeria.

18-052017

Liberi di partire, liberi di restare

VIS Mali 3 1.440.000,00 240.000,00 1.200.000,00

contribuire alla riduzione dei flussi migratori, attra-verso corsi di formazione professionali, in Mali.

18-052017

Stop al traf-fico di esseri umani: diritto di partire diritto di restare

VIDES Mali 2 850.000,00 212.500,00 637.500,00

campagna nazionale d’in-formazione e sensibilizza-zione sul traffico di esseri umani in Mali.

18-052017

Stop al traf-fico di esseri umani: diritto di partire diritto di restare

VIDES Nigeria 2 880.000,00 220.000,00 660.000,00

campagna nazionale d’in-formazione e sensibilizza-zione sul traffico di esseri umani in Nigeria.

03-102017

Assistenza e accompa-gnamento migranti

Caritas Niger Niger 3 342.000,00 114.000,00 228.000,00

corsi di formazione pro-fessionali e di sensibilizza-zione realizzati da Caritas Niger

TOTALE LOCALE 4.664.000,00 978.500,00 3.685.500,00

i progetti approvati per la Campagna “Liberi di partire, Liberi di restare”

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ITALIA

DATA PROGETTOTERRITORIO ENTE

PAESE DI

INTER-VENTO

ANNI ACCORDATO EROGATO DA VERSARE FINALITÀ PROGETTO

05-062017

Tutori volon-tari per mi-nori stranieri non accom-pagnati

FO.CO. Cooperati-va sociale ONLUS

Italia 2 66.000,00 66.000,00 -

corsi di formazione per tutori volontari, al fine di costituire una rete e una lista che verrà utilizzata dai tribunali dei minori

05-062017

Semi di acco-glienza

Ist. S. Giuseppe - Suore della Divina Prov-videnza

Italia 1 87.000,00 87.000,00 -

assistenza e formazione professionale a giovani donne immigrate, per re-alizzare e gestire un labo-ratorio di sartoria e uno di pasta fresca.

05-062017

Cultura dell’acco-glienza, un itinerario ver-so il sostegno socio cultura-le dei minori migrati

Suore Missionarie Scalabrinia-ne

Italia 1 7.400,00 7.400,00 -prima accoglienza ai minori migranti che sbarcano nel porto di Siracusa

08-052017

Il diritto a non fuggire

Associazio-ne Rondine Cittadella della Pace Onlus

Italia 3 420.420,00 121.445,00 298.965,00

accoglienza e formazione di 6 giovani di entine in con-flitto provenienti dal Mali, in modo da avere una ricadu-ta sociale che inneschi un profondo cambiamento economico e politico una volta rientrati a casa.

TOT. ITALIA 580.820,00 281.855,00 298.965,00

TOTALE COMPLESSIVO 15-11-17ACCORDATO EROGATO DA VERSARE

5.244.820,00 1.260.355,00 3.984.465,00

FONDI STANZIATI 30.000.000,00

FONDI ACCORDATI 5.244.820,00

FONDI DISPONIBILI 24.755.180,00

i progetti approvati per la Campagna “Liberi di partire, Liberi di restare”