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Lezioni di Meccanica delle Terre Alberto Burghignoli Università di Roma La Sapienza

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Lezioni di Meccanica delle Terre

Alberto Burghignoli

Università di Roma La Sapienza

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COSTITUZIONE, PROPRIETA’ E STRUTTURE DELLE TERRE 1

CAPITOLO PRIMO COSTITUZIONE, PROPRIETA’ E STRUTTURA DELLE TERRE

1.1 - Costituzione delle terre

Le terre sono il prodotto della degradazione chimica e fisica delle rocce lapidee e costituiscono la crosta più superficiale del globo. Esse sono formate da granuli solidi cristallini di forma, dimensioni e composizione mineralogica molto varia, e talvolta anche di sostanze organiche. Una terra, nel suo stato naturale, contiene generalmente acqua e aria, o gas diversi. L’insieme dei granuli viene spesso detto "scheletro solido". L’aria e l’acqua contenute negli spazi tra i granuli costituiscono i fluidi interstiziali.

In generale i granuli di una terra non sono tra loro legati o cementati. Possono talvolta esistere forze di adesione tra i granuli o agenti cementanti che conferiscono all’insieme dei granuli qualche coesione, ma essi hanno un valore trascurabile se sono paragonati alle forze che legano gli elementi cristallini in una roccia lapidea e, soprattutto, si annullano totalmente quando un elemento di terra, isolato e non sollecitato, è posto a prolungato contatto con l’acqua. E’ proprio questo comportamento che si assume convenzionalmente come elemento di suddivisione tra "rocce lapidee" (o semplicemente "rocce") e "rocce sciolte" (o "terre").

Per la precisione, si dice "terra" il materiale preso in sé, e "terreno" quella parte più superficiale della crosta terrestre che interessa nelle opere di ingegneria, nella sua ambientazione naturale. Si dice, ad esempio, "terreno" di fondazione quel volume di terra (o anche di roccia lapidea) che viene interessato da una fondazione, mentre compressibilità di una "terra" indica una particolare caratteristica meccanica dei materiale.

Queste definizioni sono specifiche dell’ingegneria civile e non coincidono con quelle che si danno in altre discipline teoriche e applicate.

1.2 - Proprietà caratteristiche del singolo granulo

I granuli hanno dimensioni medie molto varie: da 103 a 10-6 mm. Sulle dimensioni dei granuli sono basate le nomenclature e le classificazioni più comunemente usate. I singoli granuli sono osservabili ad occhio nudo se la loro dimensione media d è maggiore di 0.1 mm; al microscopio ottico se 0.1 mm > d > 1µ; al microscopio elettronico se 10 µ > d > 0,01µ circa.

I granuli di maggiori dimensioni hanno generalmente forma più regolare dei granuli microscopici e più vicina a quella sferica.

La composizione dei granuli non è mai quantitativamente correlabile con il comportamento meccanico della terra ma lo influenza sensibilmente nelle sole terre fini costituite, come si vedrà, da granuli attivi.

I granuli che costituiscono la fase solida di un terreno interagiscono fra loro mediante azioni sia di carattere meccanico sia chimico.

Le azioni di tipo meccanico derivano dalle forze di massa e dalla presenza del fluido interstiziale, mentre quelle di tipo chimico sono dovute alla attività superficiale delle particelle.

L’entità delle azioni chimiche dipende dalla composizione mineralogica dei granuli e dalla estensione della loro superficie, mentre quella delle azioni meccaniche dipende dal loro volume. Nella Tab. 1.I sono riportati, per alcuni minerali argillosi e per una sabbia, i valori della superficie

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specifica, cioè la somma delle aree della superficie dei granuli contenuti nell’unità di massa. Evidentemente, al diminuire delle dimensioni medie dei granuli la superficie aumenta. Le forze di superficie influenzano molto fortemente il comportamento delle terre a grana fine, con granuli di dimensioni microscopiche ( µ1≅d ), mentre sono generalmente trascurabili nelle terre a grana grossa.

Tab. 1.I - Valori approssimati della superficie specifica per alcuni minerali argillosi e per le sabbie.

Granuli di terreno Dimensione media Superficie specifica (m2/g)

ARGILLE

Montmorillonite o

A10 fino a 840 Illite 0.03 – 0.1 µ 65 ÷ 200 Caolinite 0.1 – 4 µ 10 ÷ 20 SABBIA

2 mm

4102 −⋅

Si usa perciò suddividere i granuli costituenti una terra in: “granuli inerti" - privi di attività superficiale; interagiscono tra loro e con i fluidi interstiziali solo per effetto delle forze di massa; "granuli attivi" - l’attività superficiale è molto intensa; interagiscono tra loro e con i fluidi interstiziali per effetto non solo delle forze di massa ma anche di quelle di superficie.

Generalmente i granuli inerti hanno dimensioni comprese tra la decina di micron circa e qualche decimetro.

Secondo le dimensioni, i granuli inerti sono costituiti da frammenti di roccia e da frammenti di minerali.

Sono costituiti da frammenti di rocce i granuli con dimensioni di qualche millimetro, cioè i granuli delle ghiaie e delle sabbie grosse. Tra le rocce costituenti i granuli possono essere rappresentate tutte quelle che formano la crosta terrestre, con l’esclusione (salvo il caso di ambienti particolari) delle rocce molto solubili (ad es. gesso).

I granuli con dimensioni comprese tra qualche millimetro e la decina di micron sono essenzialmente costituiti da minerali o da frammenti di minerali. Fra questi predominano i minerali più stabili e resistenti, mentre sono di regola meno frequenti i minerali solubili, alterabili o di bassa resistenza meccanica. La forma dei granuli dipende dalla costituzione e dalle vicissitudini subite dai granuli stessi durante il trasporto e la deposizione. Di regola, a parità di ogni altra condizione, i granuli di rocce o minerali resistenti e stabili tendono ad avere forma irregolare, con spigoli vivi e superfici scabre, mentre i granuli formati da rocce o minerali a bassa resistenza o alterabili tendono ad assumere forme tondeggianti, con spigoli smussati e superfici lisce.

I granuli attivi hanno dimensioni massime dell’ordine di qualche micron e si presentano sotto forma di scaglie o lamine. Sono costituiti essenzialmente da minerali fillosilicatici (minerali argillosi o sialliti). Essi sono caratterizzati da una più o meno forte attività superficiale, dalla capacità di adsorbire ioni o molecole di liquidi polari. Hanno inoltre le proprietà di variare di volume al variare del contenuto d’acqua, di dar luogo a sospensioni permanenti fino a tixotropiche. Queste proprietà dipendono dalla struttura reticolare.

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1.3 - Struttura dei minerali argillosi

I minerali argillosi sono silicati idrati a struttura lamellare che rientrano nel gruppo dei fillosilicati. Le unità fondamentali della struttura dei minerali argillosi sono tetraedri ed ottaedri collegati tra loro a formare maglie piane. Queste maglie sono a loro volta collegate, in direzione normale al loro piano, sia direttamente, sia indirettamente, cioè attraverso altri ioni. Nell’unità tetraedrica, il silicio si trova al centro del tetraedro ed è collegato con quattro ioni ossigeno posti ai suoi vertici. I tetraedri sono collegati fra loro attraverso gli ioni ossigeno, in modo da formare un reticolo piano a maglia esagonale (fig. 1.1).

Fig. 1.1 – Unità tetraedriche di silicio combinate in un reticolo piano a maglia esagonale.

L’unità ottaedrica, costituita da uno ione alluminio (o magnesio) e sei ioni ossigeno (o

ossidrili), da luogo a reticoli formati da due piani di ioni ossigeno che contengono un piano di ioni alluminio (fig. 1.2).

Fig. 1.2 – Unità ottaedriche e loro combinazione in un reticolo piano. I diversi tipi di minerali argillosi nascono dalla combinazione delle unità tetraedriche ed

ottaedriche in "pacchetti elementari" e dalla combinazione di più pacchetti elementari che formano il "granulo".

Legami forti di tipo ionico realizzano il collegamento fra le varie unità base, mentre legami ionici più deboli e legami ad idrogeno collegano i pacchetti elementari fra loro. Lo spessore dei granuli dipende dalle forze d’attrazione che esercitano tra loro i pacchetti elementari. Per il fatto che i minerali argillosi tendono a sviluppare di preferenza reticoli piani, tale forza d’attrazione, è piuttosto bassa. Di conseguenza i granuli hanno generalmente una forma appiattita, con spessori variabili da qualche decimo ad alcuni centesimi della dimensione media nel piano di sviluppo.

La composizione ed alcune caratteristiche dei principali minerali argillosi sono riportate in Tab. 1.II.

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Tab. 1.II – Proprietà caratteristiche di alcuni tipi di minerali argillosi.

Tipo di minerale Composizione Spessore dei pacchetti

Proprietà generali

CAOLINITE Unità tetraedriche di silicio si alternano a quelle ottaedriche di alluminio. Le unità sono legate tra loro molto fortemente

oA5.7

È il più comune in natura. Molto stabile, rigonfia poco se accostato all’acqua. I suoi pacchetti sono collegati tra loro e formano particelle di elevato spessore. Si forma dalla degradazione in ambiente umido di rocce cristalline.

ILLITE Uno strato di ottaedri di alluminio è compreso fra due di tetraedri di silicio. Ciascun pacchetto è collegato ad altri tramite uno strato di potassio.

oA10

Assume una forma irregolare a fiocco. Generalmente è più plastica della caolinite. Non si espande se posta a contatto con acqua a meno che non ci sia una carenza di potassio. Si forma in ambiente marino dalla degradazione di rocce micacee.

MONTMORILLONITE Uno strato di ottaedri di alluminio è compreso fra due di tetraedri di silicio. Ciascun pacchetto è separato dagli altri da molecole di acqua e pertanto i legami fra pacchetti sono molto deboli. Ferro e magnesio possono sostituire l’alluminio; l’alluminio può sostituire il silicio.

oA5.9

Le particelle sono piatte e di forma irregolare. A causa dei deboli legami che collegano i pacchetti fra loro e per l’esistenza di forte carica negativa sulla superficie dei pacchetti, questi minerali adsorbono facilmente l’acqua mostrando una forte tendenza al rigonfiamento. Si forma per decomposizione delle ceneri vulcaniche ma anche in zone con climi molto caldi con piogge abbondanti.

CLORITE Uno strato di ottaedri di alluminio è compreso fra due di silicio. I vari pacchetti sono collegati tra loro tramite uno strato di ottaedri di alluminio.

oA14

Le particelle sono piatte e di forma irregolare. Non ha tendenza al rigonfiamento. Si forma in ambiente marino, ma in natura non è presente in grandi quantità.

1.4 - Carica elettrica dei granuli

Sebbene un granulo argilloso può essere considerato approssimativamente neutro, la disposizione geometrica dei vari ioni che compongono i pacchetti conferisce una forte carica negativa alla sua superficie. Infatti i piani reticolari sono costituiti da ioni ossigeno od ossidrili, mentre gli ioni metallici Si o Al, carichi positivamente, occupano posizioni interne.

Inoltre, in alcuni minerali argillosi si possono avere sostituzioni isomorfe di ioni metallici con altri a più bassa valenza (Al al posto di Si e Mg al posto di Al sono le più frequenti) e questo determina un aumento della carica negativa.

Le cariche elettriche esistenti sulla superficie conferiscono ai granuli la capacità di interagire fra loro, con l’acqua interstiziale e con gli ioni in essa disciolti. Tutto questo ha conseguenze importanti sui modi di aggregazione fra particelle e si riflette sulle caratteristiche meccaniche dei materiali argillosi.

1.5 - Idratazione delle argille

I granuli argillosi nei terreni sono sempre idratati, cioè circondati da uno o più strati di molecole d’acqua detta "acqua adsorbita". Queste molecole d’acqua devono essere considerate come facenti parte della struttura dei granuli e non come molecole d’acqua "libera".

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L’acqua è attratta dalla superficie dei granuli sia perché le proprie molecole, che sono dipolari, tendono a saturare le cariche negative, sia perché essa interagisce tramite legami H+OH- con gli atomi d’ossigeno. Ulteriori legami di questo tipo possono formarsi fra il primo stato di molecole d’acqua ed altre molecole d’acqua, ma la forza di legame tende a diminuire all’aumentare dello spessore d’idratazione. Allontanandosi dalla superficie dei granuli d’argilla, l’acqua perde progressivamente le caratteristiche d’acqua adsorbita fino ad assumere quelle d’acqua libera, detta anche "acqua interstiziale".

Non tutta la carica negativa disponibile alla superficie dei granuli viene saturata mediante molecole d’acqua, ma parte di essa può essere neutralizzata dai cationi di sali eventualmente disciolti nell’acqua interstiziale. Calcio (Ca+) e magnesio (Mg++) e, in minor quantità, sodio (Na+) e potassio (K++) sono gli ioni che più frequentemente sono legati ai granuli di argilla. Parte dei cationi si legano direttamente alle cariche negative sulla superficie dei granuli, altri, più debolmente legati, formano uno "strato di ioni diffusi" immediatamente a tergo dello strato di acqua adsorbita. Questi ultimi possono facilmente essere sostituiti da altri cationi di uguale valenza, secondo il processo di scambio cationico.

La presenza delle molecole d’acqua dipolari e degli ioni diffusi intorno ad ogni granulo argilloso crea pertanto un complesso di cariche elettriche. Di questo si da una rappresentazione schematica in fig. 1.3.

Particella diargilla

Strato di acqua adsorbita

Ioni diffusi

Acqua libera

Fig. 1.3 – Schema di una particella di argilla con gli strati di acqua adsorbita e di ioni diffusi.

1.6 - Interazione fra granuli argillosi

Il processo d’interazione fra i granuli avviene prevalentemente attraverso gli strati di acqua adsorbita e di ioni diffusi e qualche volta anche attraverso contatto diretto.

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Le singole particelle, per effetto della carica negativa esistente sulla loro superficie, esercitano una reciproca azione repulsiva che decresce all’aumentare della distanza mutua dei granuli e della concentrazione elettrolitica. La tendenza al rigonfiamento (aumento di volume) di alcuni minerali argillosi, quali la montmorillonite e l’illite quando posti a contatto di acqua, è la manifestazione apparente delle forze di repulsione.

Alla repulsione dovuta alle cariche elettriche sulla superficie dei granuli, si sovrappone un’attrazione dovuta alle forze di Van der Waals. Queste sono prodotte dal campo magnetico generato dal moto degli elettroni attorno ai nuclei e dipendono dalla costante dielettrica del mezzo, ma non dalla concentrazione elettrolitica, e diminuiscono molto rapidamente con la distanza tra i granuli.

La forza risultante che si esercita tra due granuli argillosi può avere segno diverso secondo la distanza e della concentrazione elettrolitica (fig. 1.4).

Distanza trale particelle

Forze repulsive

Forze attrattive

Con

cent

razi

one

elet

trolit

ica

Forze nette

Fig. 1.4 – Azioni risultanti fra granuli attivi in funzione della mutua distanza e della concentrazione elettrolitica nell’acqua interstiziale.

1.7 - Genesi dei terreni naturali

Delineati i fondamenti della struttura del singolo granulo e delle possibili forme d’interazione tra più granuli, prima di passare ad illustrare i modi con cui l’insieme dei granuli configura la struttura di una terra è utile evidenziare qualche altro aspetto della genesi dei terreni naturali.

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Come si è detto, le terre derivano dall’alterazione delle rocce madri. I processi d’alterazione sono di natura chimica (ossidazione, idratazione, carbonatazione, …) e fisica (dilatazione e contrazione termiche, abrasione dovuta al vento, all’acqua, al ghiaccio). Normalmente i granuli di maggiori dimensioni derivano da processi d’alterazione fisica, mentre i granuli più piccoli provengono da alterazioni chimiche.

Rispetto alla loro origine e ai modi di formazione, i terreni naturali si suddividono in “residuali” e “sedimentari”. I terreni residuali hanno subito i processi d’alterazione nello stesso posto occupato dalla roccia madre. I terreni sedimentari occupano posti diversi da quelli della roccia madre. Nei terreni residuali l’alterazione si è manifestata con velocità maggiore di quella dei processi di trasporto, mentre nei terreni sedimentari i processi di deposizione sono successivi ai fenomeni alterazione e trasporto.

Il trasporto è responsabile della selezione granulometrica dei terreni, in ragione delle diverse velocità con cui si sviluppa tale fenomeno, mentre la deposizione influenza principalmente la composizione e la struttura dei depositi.

I terreni sedimentari possono essere ulteriormente suddivisi in “alluvionali”, “marini”, “lacustri”, “palustri”, “colluviali” e “glaciali”. Gli agenti di trasporto e l’ambiente di deposizione sono schematicamente riportati nella Tabella 1.III.

Tab. 1.III – Classificazione dei terreni sedimentari.

TERRENI SEDIMENTARI AGENTI DI TRASPORTO AMBIENTE DI SEDIMENTAZIONE

Depositi alluvionali Acque fluenti più o meno velocemente Stesse acque che costituiscono l’agente di trasporto

Depositi marini, lacustri, palustri Acque fluenti più o meno velocemente Mare, laghi, paludi

Depositi eolici Vento Pianure, fasce costiere

Depositi colluviali Frane e dilavamento dei versanti Piede dei versanti

Depositi glaciali Moto dei ghiacciai Piede dei ghiacciai

1.8 - Struttura delle terre

La disposizione geometrica dei granuli, siano essi inerti o attivi, costituisce la struttura delle terre e ne influenza notevolmente il comportamento meccanico. La struttura deriva dalla interazione fra i granuli e l’ambiente circostante, attraverso fenomeni naturali di carattere meccanico e chimico che accompagnano o seguono la formazione della terra stessa.

In una terra costituita solo da granuli inerti (ad esempio una sabbia), mancando interazioni di carattere chimico, lo stato d’addensamento delle particelle è la principale, se non esclusiva, proprietà della struttura. L’addensamento di una sabbia dipende fortemente dalla forma dei grani e dalla distribuzione dei loro diametri. In fig. 1.5 è illustrata una distribuzione ideale di particelle le cui dimensioni corrispondono ad un elevato addensamento. Se ci si riferisce a particelle sferiche di uguale diametro, si possono ottenere diversi stati di addensamento semplicemente variando la loro disposizione geometrica.

Nelle terre argillose, costituite da granuli attivi di dimensioni microscopiche, si distingue una "microstruttura", che dipende dall’assetto e dall’interazione chimica e fisica dei granuli, da una "macrostruttura", che individua l’esistenza di unità macroscopiche, separate da ricorrenti discontinuità, eterogeneità, inclusioni.

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Terra reale

Sistemazioni ideali dei granuli

Cubica semplice Esagonale

Fig. 1.5 – Struttura di una terra granulare e schemi ideali di mutuo assetto dei granuli.

Nella formazione della microstruttura di un’argilla, l’aggregazione dei granuli dipende non

tanto dalle dimensioni, ma soprattutto dalle mutue azioni di natura chimica, e quindi dalle caratteristiche dell’ambiente. Durante la deposizione, i granuli argillosi si scambiano delle azioni repulsive la cui entità dipende dalla quantità di carica negativa diffusa sulla ed in vicinanza della superficie. Forti azioni repulsive determinano la formazione di una struttura "dispersa" (Fig. 2.6a), mentre se le azioni repulsive sono ridotte, ad esempio per effetto di un’elevata concentrazione salina, si ottengono strutture "flocculate" (fig. 2.6b).

a) b)

c) d)

e) f)

Fig. 1.6 –Struttura dei terreni a grana fina.

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La struttura dispersa è tipica delle argille che si formano per deposizione in acqua dolce. Se i granuli sono costituiti da minerali molto attivi, quali la montmorillonite, la vermiculite e la clorite, le azioni repulsive sono elevate e le particelle tendono a disporsi affacciate dando luogo ad una struttura "orientata" (fig. 1.6d). Al diminuire dell’attività (caolinite ed illite, ad esempio), l’isorientamento dei granuli argillosi si riduce e si forma la struttura "semi-orientata" (fig. 1.6c) e semplicemente "dispersa" (fig. 1.6a).

La presenza di sali disciolti nell’acqua di deposizione tende a neutralizzare le cariche elettriche diffuse sulla superficie dei granuli ed a ridurre le azioni repulsive. È allora possibile la formazione di una struttura flocculata in cui le particelle, legate fra loro con legami molto stabili, si raggruppano in fiocchi. Se i granuli sono costituiti da minerali molto attivi, i fiocchi contengono un gran numero di vuoti (micropori), saturi d’acqua adsorbita (fig. 1.6e); viceversa, con minerali meno attivi si hanno fiocchi meno porosi a struttura orientata (fig. 1.6f).

Gli spazi interstiziali compresi fra i fiocchi (macropori) costituiscono l’ambiente in cui avviene il movimento dell’acqua libera.

Lo schema di fig. 1.7 suddivide i terreni a grana fina in ragione delle caratteristiche principali dell’ambiente di deposizione, evidenziandone i caratteri microstrutturali.

DEPOSITI TERRENI A GRANA FINA

(LIMI E ARGILLE)

DI

AMBIENTE CONTINENTALEOscillazione della falda durante

e dopo la sedimentazione

AMBIENTE COSTIERODepositi sempre sommersi o falda

costantemente al piano di campagna

DEPOSITI FLUVIALISpessore medio o piccolo, frequentie irregolari intercalazioni sabbiose,

variabilità delle proprietà meccaniche

DEPOSITI LACUSTRI E PALUSTRISpessore generalmente grande, presenza di

materiale organico diffuso o di livelli torbosi, delle proprietà meccanichevariabilità

DEPOSITI DELTIZI E PALUSTRISpessore medio o grande, sottili

intercalazioni sabbiose, materiale organico diffuso, livelli o coltri superficiali di torba

DEPOSITI LAGUNARISpessore medio o grande, sottili livelli di sabbia fina, materiale organico diffuso, variabilità delle proprietà meccaniche

Depositi d’acqua dolceMicrostruttura prevalentemente

dispersa

Depositi d’acqua salmastraMicrostruttura prevalentemente

flocculata

Depositi d’acqua parzialmente salmastra

Microstruttura flocculatae dispersa

Fig. 1.7 – Classifica dei depositi di terreni a grana fina.

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RAPPORTI TRA LE FASI COSTITUENTI UNA TERRA 10

CAPITOLO SECONDO RAPPORTI TRA LE FASI COSTITUENTI LA TERRA

La terra è un mezzo polifase: essa è costituita da una fase solida, da una fase liquida e da una fase gassosa. La descrizione di un elemento di terra deve quindi riguardare innanzi tutto i rapporti in peso e in volume relativi alle varie fasi componenti.

Per facilitare lo sviluppo delle relazioni tra le fasi, ci si riferisca ad un elemento di terra in cui le fasi siano idealmente separate le une dalle altre (fig. 2.1).

La nomenclatura adottata associa agli indici g, w, s e v il significato di gas, acqua (water),

solido e vuoti, rispettivamente, così che il volume totale occupato dall’elemento di terra può essere espresso in funzione dei volumi parziali, secondo le relazioni:

Vuoti

Gas

Acqua

Solido

Vg

VW

PW

PVS

VV

V P

Fig. 2.1 – Separazione ideale delle fasi in un elemento di volume V e peso P.

swgsv VVVVVV ++=+=

Si definiscono tre importanti rapporti tra i volumi delle diverse fasi:

POROSITA’ VV

n v=

INDICE DI POROSITA’ (O DEI VUOTI) s

v

VVe =

VOLUME SPECIFICO sV

Vv =

GRADO DI SATURAZIONE v

wr V

VS =

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RAPPORTI TRA LE FASI COSTITUENTI UNA TERRA 11

Si verifica immediatamente che tra l’indice dei vuoti, la porosità e il volume specifico

sussistono le seguenti relazioni

e

en+

=1

n

ne−

=1

ev += 1 Dalle definizioni risulta che deve essere sempre n < 1, v > 1, mentre l’indice dei vuoti può

essere maggiore o minore dell’unità. L’indice di porosità e il volume specifico sono grandezze impiegate sistematicamente per descrivere lo stato di deformazione di un elemento di terra, perché rappresentano sinteticamente le variazioni di volume. La porosità è meno usata perché nella deformazione variano tanto il numeratore che il denominatore. Ciò non accade per l’indice di porosità e il volume specifico, il cui denominatore Vs è costante se si ammette, come si fa comunemente, che le particelle solide siano incompressibili.

Per un terreno asciutto si ha Sr = 0, mentre per un terreno completamente saturo si ha Sr= 1. Il rapporto tra i pesi delle fasi liquida e solida è definito

CONTENUTO IN ACQUA s

w

PP

w =

ed è in genere espresso in percentuale.

La determinazione del contenuto in acqua è effettuata in laboratorio, essiccando in una stufa a 110 °C un elemento di terra. In tal modo è possibile ricavare direttamente il peso della fase solida e, per differenza rispetto al peso iniziale, il peso dell’acqua.

I più importanti rapporti tra il peso e il volume delle fasi sono: PESO DELL’UNITA’ DI VOLUME

(O PESO DI VOLUME) VP

PESO SPECIFICO DEI GRANULI s

ss V

P=γ

PESO SPECIFICO DELL’ACQUA w

ww V

P=γ

PESO DELL’UNITA’ DI VOLUME DEL SECCO (O PESO DI VOLUME DEL SECCO,

O DENSITA’ SECCA) VPs

d =γ

PESO DI VOLUME SOMMERSO ⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛−=

−=

s

wd

swb V

VPγγ

γγ

γ 1

wb γγγ −= ( per Sr = 1)

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RAPPORTI TRA LE FASI COSTITUENTI UNA TERRA 12

Si riportano infine alcune relazioni d’uso frequente tra le grandezze appena definite:

ew

Sw

sr γ

γ=

ws

ww

γγ

γ+

+=

11 ( per Sr = 1)

ew

sd +

=+

=11γγγ

e

wsb +

−=

1γγ

γ

In Tab. 2.I sono riportati i pesi specifici di alcuni minerali. Si deve osservare che, essendo il

peso specifico dei minerali più diffusi compreso tra 26.5 e 27.5 kN/m3, il peso specifico γs dei granuli delle terre è comunemente compreso negli stessi limiti. Valori maggiori di 3 denotano la presenza tra i granuli di minerali ferrosi (ad es. magnetite); valori minori di 25 kN/m3 indicano in genere la presenza di sostanze organiche.

Un fattore determinante del comportamento delle terre granulari è lo stato d’addensamento che, come si vedrà, svolge un ruolo fondamentale nei problemi di resistenza. Come già mostrato nella fig. 1.5, nel caso ideale di particelle sferiche d’uguale diametro, tra i possibili stati di addensamento si hanno due sistemazioni che corrispondono ad un massimo ed un minimo della porosità. Alla sistemazione "cubica semplice" corrisponde la massima porosità n = 47.6% e a quella "esagonale" la minima, n = 26.0%. In laboratorio si seguono procedure convenzionali per ottenere gli stati di addensamento massima e minimo; mettendo in relazione i corrispondenti valori dell’indice dei vuoti con quello caratteristico dello stato di addensamento naturale è possibile definire la grandezza "densità relativa"

minmax

maxr ee

eeD

−−

=

normalmente usata come misura dello stato di addensamento delle sabbie. Alcuni valori delle porosità minime e massime per diverse terre sono riportati nella Tab. 2. II.

Tab. 2.II - Valori dei peso specifico di alcuni minerali (kN/m3).

Quarzo 26.0 Feldspato-K 24.9 – 25.2 Feldspato-Na-Ca 25.7 – 27.1 Calcite 26.7 Dolomite 27.9 Caolinite 25.6 – 25.9 Illite 27.9 Montmorilionite 26.9 Magnetite, Ematite 48.1 – 50.0

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RAPPORTI TRA LE FASI COSTITUENTI UNA TERRA 13

Tab. 2.II - Massima e minima densità dei terreni granulari. Indice di porosità

e Porosità n (%)

Densità secca γd (kN/m3)

Descrizione

max min max min min max Sfere uniformi 0.92 0.35 47.6 26.0 - - Sabbia monogranulare calibrata 0.80 0.50 44 33 14.7 17.6 Sabbia monogranulare 1.00 0.40 50 29 13.2 18.8 Limo inorganico uniforme 1.10 0.40 52 29 12.8 18.8 Sabbia limosa 0.90 0.30 47 23 13.9 20.3 Sabbia non uniforme, da fina a grossa 0.95 0.20 49 17 13.6 22.1 Sabbia micacea 1.20 0.40 55 29 12.1 19.2 Sabbia limosa con ghiaia 0.85 0.14 46 12 14.2 23.3

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DESCRIZIONE, IDENTIFICAZIONE E CLASSIFICAZIONE DELLE TERRE 14

CAPITOLO TERZO DESCRIZIONE, IDENTIFICAZIONE E CLASSIFICAZIONE DELLE TERRE 3.1 - Introduzione La geotecnica, più d’ogni altra branca dell'ingegneria civile, si basa sull'esperienza. Tanto nel progetto di semplici strutture di sostegno, quanto in quello di opere estremamente complesse, l'esperienza di casi precedenti riveste un’enorme importanza. Poiché l’esperienza personale d’ogni ingegnere non può essere che limitata, è evidente la necessità di utilizzare i dati che altri hanno raccolto.

Ora, perché questi dati empirici possano risultare utili occorre che la corrispondenza tra fatti e situazioni simili sia stabilita con sicurezza. Di qui l’esigenza di stabilire una precisa terminologia per i terreni, cui far riferimento nella descrizione geotecnica dell’ambiente nel quale l’opera è inserita. Questa terminologia di riferimento deve essere sufficientemente precisa per non generare equivoci. Non serve, cioè, un’indicazione generica per definire quei caratteri generali che hanno influenza nel comportamento di un terreno e per trarre dalle osservazioni di altri ingegneri indicazioni utili, anche soltanto sul piano qualitativo, per il progetto di un’opera o per l’interpretazione di un fenomeno. E’ necessario un vero e proprio sistema d’identificazione e classificazione, che pur limitandosi a considerare alcune caratteristiche di un terreno, quelle più facilmente determinabili, definisca in modo non equivoco alcuni parametri di riferimento.

L’utilità di un sistema di classificazione non è però limitata alla possibilità di confronto di situazioni simili: molte proprietà meccaniche delle terre sono prevedibili con sufficiente approssimazione per risolvere casi applicativi semplici, sulla base di poche rilevazioni di carattere generale, così che con la sola identificazione geotecnica di un terreno spesso l’ingegnere è in grado di progettare un’opera di limitato impegno. Inoltre in tutte le costruzioni in terra la classificazione dei materiali da impiegare è necessaria come indice di qualità ed è perciò chiaramente specificata nei capitolati di appalto.

Queste considerazioni già indicano un requisito essenziale di un sistema di classificazione: la possibilità di operare con mezzi semplici e facili procedure. La classificazione deve essere possibile anche nei laboratori di cantiere, senza l’ausilio di complesse apparecchiature.

Per essere universalmente accettato, un sistema di classificazione deve individuare una terra in termini precisi, che abbiano un riferimento alla terminologia usata nella pratica. La classificazione, inoltre, deve prendere in considerazione quelle caratteristiche di una terra che non variano al mutare dei fattori ambientali o per effetto del tempo o delle sollecitazioni applicate; in altri termini, deve basarsi sulla composizione mineralogica dei granuli, sulla loro forma e sulle loro dimensioni. Alle caratteristiche fisiche che, come il peso di volume, la porosità, il grado di saturazione non sono costanti, non costituiscono elementi di classificazione, ma "stati particolari" di una data terra.

3.2 - Classificazione granulometrica La più ovvia e semplice classificazione delle terre è basata sulle dimensioni dei granuli. Essa presuppone però la possibilità di definire una dimensione caratteristica dei granuli e la possibilità di misurarla. Già nel linguaggio comune si fa uso di una terminologia basata sulle dimensioni dei granuli, per il campo in cui questi sono chiaramente rilevabili a occhio nudo: si parla infatti comunemente di ghiaie, sabbie e argille; questa terminologia usuale fa riferimento solo ai caratteri visuali delle singole terre.

Naturalmente l’osservazione visiva delle particelle costituenti un elemento di terra non consente determinazioni di carattere oggettivo; si devono perciò definire procedure standard, facilmente riproducibili nei diversi laboratori. La suddivisione granulometrica che meglio contempla il rispetto della terminologia usuale e le esigenze di nazionalizzazione è quella del M I T (Massachussetts Institute of Technology), che può essere sinteticamente descritta dallo schema di fig. 3.1, dove F, M, G, indicano rispettivamente le frazioni fini, medie e grosse di ciascuna classe di materiali. A causa della grande varietà delle dimensioni, si rende necessaria una scala logaritmica per rappresentare graficamente la suddivisione granulometrica.

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DESCRIZIONE, IDENTIFICAZIONE E CLASSIFICAZIONE DELLE TERRE 15

ARGILLA LIMO SABBIA GHIAIA

F F FM M MG G G

0.0001 0.001 0.01 0.1 1 10 100

Fig. 3.1. – Denominazione delle terre in base alle dimensioni dei granuli. Per le terre più grosse, la relazione tra diametri delle particelle e corrispondenti quantità di

terra, è determinata con la setacciatura. La terra è passata attraverso una pila di setacci, aventi diametri delle maglie via via decrescenti, con l’ausilio di una macchina vibrante. Il materiale si ferma sui vari setacci in relazione ai diametri delle particelle.

Il peso del materiale raccolto su ogni setaccio, sommato a quello fermatosi sui setacci di apertura maggiore, e riferito al peso totale, è detto "percentuale di trattenuto" o "trattenuto" e il complemento a 100 "percentuale di passante" o "passante".

In pratica l’operazione di setacciatura è possibile solo per le particelle maggiori di 74 µ. Per i granuli di dimensioni inferiori si usa la tecnica della sedimentazione. Per la legge di Stokes, la velocità di sedimentazione di particelle sferiche in un liquido è legata al diametro delle particelle, alla viscosità del mezzo e alla differenza tra le loro densità.

E’ possibile costruire "curve granulometriche" nelle quali sono riportate in ascissa, in scala semilogaritmica, i diametri delle particelle e in ordinata, in scala lineare, la percentuale di "passante" (o di "trattenuto") (fig. 3.2).

ARGILLA LIMO SABBIA GHIAIA

F F FM M MG G G

0.0001 0.001 0.01 0.1 1 10 100Dimensione dei granuli, D (mm)

0102030405060708090

100

Pas

sant

e, P

(%)

1009080706050403020100

Trat

tenu

to, T

(%)

Fig. 3.2 – Curve granulometriche di alcuni terreni. Disegnata la curva granulometrica, è possibile denominare una terra assegnandole il nome

corrispondente alla frazione granulometrica preminente. Ulteriori specificazioni possono essere assegnate prendendo a riferimento le altre frazioni granulometriche.

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DESCRIZIONE, IDENTIFICAZIONE E CLASSIFICAZIONE DELLE TERRE 16

Ad esempio, supponendo che la frazione granulometrica dominante sia costituita da sabbia e che, secondo in ordine d’importanza, sia anche presente limo, la denominazione di tale terra sarà:

- sabbia con limo se la frazione limosa è maggiore del 25%; - sabbia limosa se la frazione limosa è compresa tra il 15 e il 25%; - sabbia debolmente limosa se la frazione limosa è inferiore al 15%.

Gli avverbi “con” e “debolmente” ed il suffisso “osa” sono i termini chiave per denominare la terra.

3.3 - Limiti di Atterberg e carta di plasticità Le proprietà delle terre coesive non dipendono tanto dalle dimensioni dei granuli quanto dalla loro natura, e non è perciò possibile fondare un sistema di classificazione di queste terre sulla sola granulometria.

Lo stato fisico delle terre coesive è determinato soprattutto dalle azioni che si scambiano i granuli e che dipendono dall’attività chimico-física dei minerali che li costituiscono. Come si è visto, i granuli argillosi hanno la proprietà di tenere "adsorbite" molecole d’acqua in quantità variabile, in relazione alle loro caratteristiche mineralogiche e alle condizioni fisiche in cui si trovano: sollecitazioni applicate, temperatura, caratteristiche elettrolitiche dell’acqua.

Si può perciò indirettamente riconoscere la costituzione mineralogica di una terra argillosa misurando il suo contenuto in acqua in condizioni fisiche precisamente definite.

A questo fine sono state ideate alcune procedure semplici per individuare condizioni fisiche "normalizzate". Si aggiunge acqua distillata alla terra in quantità variabile e si osserva per quale contenuto in acqua si manifesta un determinato comportamento. Infatti un’argilla può mantenere adsorbite quantità d’acqua anche molto elevate, mentre le suo proprietà meccaniche restano quelle di un corpo plastico. Quanto più è elevato il contenuto in acqua, tanto più sono distanziati i granuli, sono deboli le mutue interazioni tra questi ed è deformabile l’argilla.

Questo comportamento varia da terra a terra. Quanto più un’argilla è attiva sotto l’aspetto chimico-fisico, tanto più grande è la quantità di acqua che può tenere adsorbita ed ampio il campo di contenuto in acqua nel quale varia con continuità la sua deformabilità.

Le procedure utilizzate per identificare le terre coesive e, indirettamente, la quantità e la natura dei minerali argillosi, consistono nella determinazione dei "limiti di consistenza" o "limiti di Atterberg". Questi sono i valori del contenuto d’acqua corrispondenti a stati fisici caratteristici, precisamente definiti.

La determinazione dei limiti di consistenza si effettua sulla frazione fina di una terra, precisamente quella passante al setaccio di apertura 0.42 mm (n° 40 ASTM). Questa frazione comprende granulometricamente le sabbie fini, i limi, le argille e parte delle sabbie medie.

Per mezzo dei limiti di consistenza si caratterizzano stati fisici che in termini generici possono essere detti: stato fragile, solido, plastico, liquido. In particolare:

il limite di liquidità, WL è il contenuto in acqua corrispondente al passaggio dallo stato liquido a quello plastico; il limite di plasticità, WP è il contenuto in acqua corrispondente al passaggio dallo stato plastico a quello solido; il limite di ritiro, WS è il contenuto in acqua corrispondente al passaggio dallo stato solido a quello fragile. Le dizioni fragile, solido e plastico, sono imprecise poiché il passaggio di una terra argillosa

da uno stato fisico all’altro avviene con gradualità al variare dei contenuto in acqua. Occorre perciò definire convenzionalmente un comportamento meccanico al quale far corrispondente i limiti di consistenza. La validità delle procedure ideate a questo scopo deriva soprattutto dal fatto che sono state sperimentate per tanti anni e sono precisamente normalizzate e accettate in tutti i paesi.

Il limite di liquidità è determinato con il "cucchiaio di Casagrande” ed è il contenuto in acqua per il quale, nella terra posta nell’apparecchio, un solco tracciato con apposito utensile si chiude dopo 25 cadute del cucchiaio. Il limite di plasticità è determinato formando per rotolamento cilindretti di terra del diametro di 3 mm. E’ il contenuto in acqua per cui si manifestano le prime screpolature.

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DESCRIZIONE, IDENTIFICAZIONE E CLASSIFICAZIONE DELLE TERRE 17

Il limite di ritiro è determinato per lento essiccamento di un piccolo volume di terra satura, inizialmente al limite di liquidità. L’essiccamento di una terra coesiva, per effetto delle forze di mutua attrazione, produce un mutuo avvicinamento dei granuli e perciò una diminuzione di volume. A un certo contenuto in acqua ogni ulteriore contrazione diviene impossibile e proseguendo l’evaporazione si ha una perdita della saturazione: questo valore del contenuto in acqua è il limite di ritiro.

La differenza tra limite di liquidità e di plasticità, indicando il campo dei valori del contenuto in acqua nel quale la terra ha lo stato fisico di un corpo plastico o plasmabile, ha una notevole importanza nella caratterizzazione del comportamento di una terra attiva. Si definisce perciò "indice di plasticità la quantità

IP = WL - WP

che, insieme al limite di liquidità WL, viene generalmente usata per classificare le terre. Stabiliti i limiti di consistenza di un terreno, è interessante il loro confronto con il contenuto

d’acqua naturale. Tale confronto si esprime per mezzo dell’ "indice di consistenza" IC o dell’ “indice di liquidità" IL, funzioni dei limiti di consistenza e del contenuto d’acqua naturale W:

P

LC I

WWI

−=

CP

PL I

IWW

I −=−

= 1

I limiti di consistenza costituiscono contrassegni per l’identificazione di una terra. Non

possono essere interpretati quantitativamente come indici delle caratteristiche chimico-fisiche dei granuli o delle proporzioni di minerali presenti. C’è tuttavia una corrispondenza tra la composizione mineralogica e i limiti di Atterberg, come risulta chiaramente dalla tabella 3.I.

Tab. 3.I - Limiti di Atterberg tipici di alcune argille.

Tipo di argilla WL (%) WP (%) IP (%)

Montmorillonite 300-700 55-100 200-650 Illite 95-120 45-60 50-65 Caolinite 40-60 30-40 10-25 Poiché la superficie specifica aumenta al diminuire delle dimensioni dei granuli, c’è da

attendersi che il contenuto in acqua corrispondente ad un dato stato fisico, dipendendo dall’attività superficiale dei granuli, aumenti al diminuire delle loro dimensioni. Inoltre si deve considerare che i limiti di consistenza vengono per convenzione determinati sulla frazione passante al setaccio di apertura 0.42 mm che comprende anche granuli non argillosi. Per questi motivi interessa mettere in relazione i limiti di consistenza con la quantità di materiale che, dal punto di vista granulometrico, è denominata "argilla".

Si definisce pertanto "attività" il rapporto

CFI

A P=

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DESCRIZIONE, IDENTIFICAZIONE E CLASSIFICAZIONE DELLE TERRE 18

dove con CF si indica la frazione argillosa di una terra, cioè la percentuale (in peso) dei granuli che hanno dimensioni inferiori a 2 µ.

Dato un certo valore dell’indice di plasticità, IP, si potrà perciò avere il caso in cui la terra esaminata abbia un’alta percentuale d’argilla, definita granulometricamente di bassa plasticità o, viceversa, che l’argilla sia poca, ma dotata di elevata plasticità. Si ottiene perciò indirettamente un’indicazione sulla natura mineralogica delle argille.

Secondo l’attività, le terre si dividono in poco, mediamente, o molto attive: Terre poco attive A < 0.5 Terre mediamente attive 0.5 < A < 1.0 Terre molto attive A > 1.0 E’ bene osservare che i limiti di consistenza, per il modo stesso in cui vengono determinati,

corrispondono a un assetto mutuo dei granuli (microstruttura) prodotto artificialmente e diverso da quello naturale.

Tra i vari metodi di classificazione proposti per le terre coesive quello di Casagrande ha assunto una notevole diffusione e, integrato con un metodo di descrizione granulometrica per le terre granulari, ha dato origine a un sistema completo d’identificazione e classificazione, il sistema U.S.B.R. diffuso negli U.S.A. e all’Unified Soil Classification (fig. 3.3).

0

0

20

20

40

40

60

60

80

80

100 120

Limite di liquidità, WL (%)

Indi

ce d

i pla

stic

ità, I

P (%

)

CLML

CH

OHMH

CL

MLOL

Fig. 3.3 – Carta di plasticità di Casagrande.

La classifica di Casagrande è basata sull’osservazione che tra il limite di liquidità e l’indice di

plasticità delle argille esiste in generale una relazione lineare (linea A in fig. 3.3). Gli scostamenti da questa relazione denunciano un comportamento particolare e permettono di distinguere le argille dai limi e le terre organiche. Secondo il limite di liquidità si distinguono le terre coesive di alta e bassa plasticità. Il confine è posto in corrispondenza di WL = 50%.

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DESCRIZIONE, IDENTIFICAZIONE E CLASSIFICAZIONE DELLE TERRE 19

Ogni materiale è identificato da due lettere. La prima indica con C l’argilla, con M il limo, con O le terre organiche. La seconda precisa l’alta (H) o la bassa (L) plasticità.

ML Limi inorganici e sabbie molto fine, sabbie fine limose o argillose leggermente plastiche.

CL Argille inorganiche da bassa a media plasticità, argille sabbiose, argille limose, argille a bassa plasticità.

WL < 50%

OL Limi organici e argille limose organiche a bassa plasticità.

MH Limi inorganici, sabbie micacee.

CH Argille inorganiche ad alta plasticità.

WL > 50% OH Argille organiche da alta a media plasticità.

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STATI DI TENSIONE E DEFORMAZIONE NELLE TERRE 20

CAPITOLO QUARTO STATI DI TENSIONE E DEFORMAZIONE NELLE TERRE 4.1 - Applicazione della meccanica del continuo ai mezzi granulari polifase Sebbene ad una prima sensazione i corpi naturali appaiano come continui, nel senso che occupano una regione dello spazio senza apparente soluzione di continuità, è ben noto invece che essi abbiano una struttura discontinua, a livello almeno molecolare o atomico: Per le terre, la struttura particellare si manifesta in molti casi - si pensi ad esempio alle sabbie - alla semplice osservazione visuale. Di conseguenza, lo studio del comportamento meccanico dei corpi granulari potrebbe essere affrontato in base alle forze che le singole particelle si scambiano e, ai corrispondenti spostamenti. Così facendo, deriverebbe però una notevole complessità nella rappresentazione matematica della deformazione che tali corpi subiscono nel passare da una configurazione ad un’altra e dello stato di sforzo connesso con la deformazione.

Per superare queste difficoltà si fa l’ipotesi che il comportamento di un corpo particellare approssimi quello di un mezzo ideale continuo, ammettendo che un elemento infinitesimo abbia le stesse proprietà del corpo nel suo insieme. Anche se tale ipotesi potrebbe apparire alquanto grossolana, i risultati ai quali si perviene risultano molto soddisfacenti poiché le dimensioni dei granuli sono sufficientemente piccole rispetto non solo a quelle dei corpi di terreno normalmente interessati dalle opere di ingegneria, ma anche a quelle dei provini impiegati in laboratorio per la determinazione sperimentale delle diverse proprietà meccaniche.

4.2 - Tensioni e deformazioni normali e tangenziali Si consideri un elemento di terreno di area trasversale δA e di altezza δz1 (fig. 4. 1).

Si definisce tensione normale σ il limite

A

Flim N

A δδ

σδ 0→

−=

e deformazione unitaria lineare normale ε il limite

zllim

z δδε

δ 0→−= .

Tenendo conto che ai terreni sono normalmente applicati sforzi di compressione e seguendo una convenzione largamente impiegata nella meccanica delle terre, si considerano positive le tensioni e le deformazioni di compressione. Analogamente, si definisce tensione tangenziale τ il limite

A

Flim S

A δδ

τδ 0→

−=

e deformazione unitaria tangenziale γ il limite

zxlim

z δδγ

δ 0→−= . (4.1)

1 In tutto il testo si indicherà con δa un incremento "infinitesimo" della grandezza a e con da e ∆a, rispettivamente, un "piccolo", ma finito, e un "grande" incremento della stessa grandezza.

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STATI DI TENSIONE E DEFORMAZIONE NELLE TERRE 21

Area: AδA B

CO

δz δz

δz

δx

δl

δFN

δFN

δFS

δFS

a)

b)

c) Fig. 4.1 – Tensioni e deformazioni in un elemento. Convenzionalmente, la tensione τ e la deformazione γ si considerano positive se producono un

incremento degli angoli nei quadranti positivi dell’elemento (angolo AOC in fig. 4.lc). Occorre osservare che la definizione (4.1) è alquanto imprecisa, anche se largamente impiegata nella letteratura tecnica. Infatti, la distorsione dell’elemento in fig. 4.1c comprende anche una rotazione rigida dell’elemento stesso. Alla distorsione dell’elemento, depurata della rotazione rigida, è dato il nome di deformazione unitaria di taglio puro ed assegnato il simbolo εxz. Vale la relazione

γε21

=xz .

4.3 - Tensioni totali, pressioni di contatto e pressioni interstiziali E’ necessario comprendere chiaramente che le tensioni appena definite non hanno nulla a che vedere con le tensioni di contatto dei singoli granuli. infatti l’elemento di superficie δA deve essere immaginato come appartenente ad un piano ideale che attraversi il terreno e che comprenda in generale sia le sezioni delle particelle solide che quelle dei fluidi interstiziali. A queste tensioni si da il nome di "tensioni totali".

Immaginando invece che l’elemento δA passi proprio per le superfici di contatto dei granuli, indicando con δAc, la somma delle corrispondenti aree e con ∑ 'nδ la componente normale della risultante delle forze di contatto, è possibile definire una "pressione media di contatto"

c

c An

δδ

σ ∑−='.

Essendo δAc << δA, risulta che le pressioni di contatto sono sempre molto maggiori delle tensioni totali. A parità di tensione totale σ, quanto più i granuli sono piccoli, tanto minori sono le pressioni di contatto. Mentre comunque i valori delle tensioni totali non superano qualche MPa, le pressioni

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STATI DI TENSIONE E DEFORMAZIONE NELLE TERRE 22

medie di contatto possono superare le migliaia di MPa, il limite superiore essendo dato dai valori delle tensioni di plasticizzazione dei minerali costituenti i singoli granuli.

Oltre ai granuli, che nel loro insieme costituiscono lo "scheletro solido" delle terre, i terreni naturali comprendono anche dei fluidi, in genere acqua e gas, che occupano gli spazi interstiziali e che possono sostenere una certa pressione. Alla pressione dell’acqua è normalmente associato il simbolo u ed è dato il nome di "pressione interstiziale". La pressione dei gas è spesso indicata con il simbolo ug.

4.4 - Il principio delle tensioni efficaci Per effetto della costituzione particellare delle terre è ragionevole ritenere che il loro comportamento meccanico dipenda, in qualche misura, dal valore delle tensioni presenti nelle singole fasi. La relazione che definisce quantitativamente tale concetto è stata stabilita nel 1936 da Terzaghi, attraverso il fondamentale “principio delle tensioni efficaci"1. La prima parte di tale principio recita:

1 Pur mantenendo per tradizione questa denominazione, è opportuno precisare che il termine “principio” è erroneo, trattandosi di una legge sperimentale.

“The stress in any point of a section through a mass of soil can be computed from the total principal stresses σ1, σ2 and σ3 which act at this point. If the voids of the soil are filled with water under a stress u the total principal stresses consists of two parts. One part u acts in the water and in the solid in every direction with equal intensity. It is called neutral stress (or the pore pressure). The balance σ’1 = σ1 – u, σ’2 = σ2 – u and σ’3

= σ3 – u represents an excess over the neutral stress u and it has its seats exclusively in the solid phase of the soil. This fraction of the total principal stress will be called the effective principal stress”.

Le tensioni in ogni punto di una sezione attraverso una massa di terra possono essere calcolate dalle tensioni principali totali σ1, σ2 e σ3 che agiscono in quel punto. Se i pori della terra sono pieni d’acqua ad una pressione u, le tensioni principali totali si dividono in due parti. Una parte, u, agisce nell’acqua e nella fase solida, con uguale intensità, in ogni direzione. Le differenze σ’1

= σ1 – u, σ’2 = σ2 – u e σ’3 = σ3 – u rappresentano un incremento rispetto alla pressione interstiziale ed hanno sede esclusivamente nella fase solida della terra. Questa frazione della tensione principale totale sarà chiamata tensione principale efficace.

Il principio delle tensioni efficaci si esprime allora sinteticamente nella equazione: σ’ = σ - u (4.2)

dove σ’ indica la tensione efficace, σ quella totale ed u la pressione interstiziale.

Come alle tensioni totali, così anche alle tensioni efficaci non è possibile assegnare un preciso significato fisico. I problemi che sorgono sono gli stessi incontrati nel definire il significato di tensione in un materiale granulare. Questo concetto è implicitamente espresso nella prima parte del principio delle tensioni efficaci, dove si afferma solo che queste risiedono nella fase solida, ed è ulteriormente evidenziato nella seconda parte del principio stesso:

"All measurable effects of a change of stress, such a compression, distortion and a change of shearing resistance, are

exclusively due to changes in the effective stresses".

Tutti gli effetti misurabili di una variazione dello stato di tensione, come la

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STATI DI TENSIONE E DEFORMAZIONE NELLE TERRE 2

compressione, la distorsione e la variazione di resistenza al taglio, sono dovuti

esclusivamente a variazioni delle tensioni efficaci.

Come si vede, Terzaghi si riferisce alla misura degli effetti delle tensioni efficaci e non a

quella delle tensioni stesse. Pur con i limiti appena indicati, ed allo scopo di meglio chiarire il concetto di tensione

efficace, si consideri un volume di terra e una superficie piana che lo attraversi idealmente passando per i punti di contatto tra i granuli. Se δA è l’area di una porzione di tale superficie, si può porre:

δA = δAc + δAw + δAg

dove δAc è l’arca complessiva delle superfici di contatto tra i granuli, δAw è l’area delle sezioni dei pori occupati dall’acqua e δAg l’area delle sezioni pori occupati dal gas.

Indicando con δn’ e δs’ le forze normali e tangenziali che i granuli si trasmettono attraverso le superfici di contatto e con uw e ug le pressioni dell'acqua e del gas, per l'equilibrio devono valere le relazioni:

- δFN = - Σδn’ + uw δAw + ug δAg

δFS = Σδs’ dove δFN e δFS sono le componenti normali e tangenziali delle forze che si trasmettono attraverso δA.

Dalla definizione di tensione totale si ottiene:

A

AuAulim

A'nlim

AF

lim ggww

AA

N

A δδδ

δδΣ

δδ

σδδδ

++−=−=

→→→ 000 (4.3a)

A

'slimA

Flim

A

S

A δδΣ

δδ

τδδ 00 →→

−=−= . (4.3b)

Se il grado di saturazione è sufficientemente elevato (Sr > 0.8 - 0.9), cioè quando il volume di gas è piccolo rispetto a quello dell’acqua, si può porre con sufficiente approssimazione uw = ug = u. In queste condizioni risulta

⎟⎠

⎞⎜⎝

⎛ −=+

≅+

AA

uA

AAu

AAuAu cgwggww

δδ

δδδ

δδδ

1 .

Poiché l’area di contatto tra i granuli è molto piccola (δAc/δA << 1), si può porre u(1- δAc/δA) ≅ u e pertanto la (4.3a) assume la forma:

uA

'nlimA

+−=→ δ

δΣσδ 0

. (4.4)

Ponendo

A

'nlim'A δ

δΣσδ 0→

−=

si ottengono infine le relazioni

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STATI DI TENSIONE E DEFORMAZIONE NELLE TERRE 19

σ = σ’ + u (4.5a) τ = σ’ (4.5b)

che corrispondono alla (4.2). In notazione indiciale le (4.5) possono essere rappresentate dall’unica relazione

σij = σ’ij + u δij (4.6)

dove ⎩⎨⎧

=01

ijδperper

jiji

≠=

è il simbolo di Kronecker.

E’ opportuno notare che per le terre granulari (sabbie, ghiaie), in cui la differenza tra ug e uw è sempre piuttosto piccola, il campo di validità della (4.6) si estende a valori del grado di saturazione minori di quelli indicati. Il principio delle tensioni efficaci non risulta invece più verificato sperimentalmente per σ’ > 20 - 30 MPa; in effetti, in questi casi, l’area di contatto tra i granuli risulta relativamente elevata e la condizione δAc /δA << 1 non risulta più soddisfatta. Peraltro questi valori delle tensioni efficaci sono molto elevati rispetto a quelli usuali nei problemi di geotecnica e pertanto, in questo ambito, la (4.6) è da considerarsi esatta.

Il principio delle tensioni efficaci è indispensabile per lo studio delle proprietà meccaniche delle terre e per la soluzione dei problemi applicativi.

Dal riconoscimento del ruolo delle tensioni efficaci nel comportamento dei terreni ha avuto origine la geotecnica moderna.

4.5 - Invarianti e percorsi di tensione e deformazione Mediante la costruzione dei cerchi di Mohr è possibile rappresentare lo stato di sforzo e di deformazione di un elemento materiale in un qualunque istante, al variare delle sollecitazioni agenti sul corpo a cui tale elemento appartiene.

Il comportamento di alcuni materiali ideali particolarmente semplici, come quelli linearmente elastici, dipende solamente dagli stati iniziale e finale e non da come questi sono connessi tra loro. Al contrario, il comportamento della maggior parte dei materiali naturali e tra questi in modo particolarmente evidente le terre, dipende anche da come evolve lo stato di sforzo e di deformazione. Per rappresentare, quindi, l’insieme dei diversi stati raggiunti da un corpo durante un generico processo di carico sarebbe necessario costruire in uno stesso diagramma l’insieme dei diversi corrispondenti cerchi di Mohr. In tale modo, però, la rappresentazione grafica risulterebbe molto appesantita e di scarsa utilità pratica. È questo il motivo per cui nella Meccanica delle Terre ci si riferisce spesso ad una diversa e più sintetica rappresentazione degli stati di sforzo e di deformazione e della loro evoluzione.

Assimilando il terreno ad un solido continuo, lo stato di sforzo e di deformazione in ciascun punto è individuato dai tensori simmetrici a nove componenti σij e εij. Se il sistema di riferimento viene cambiato, anche i tensori delle tensioni e delle deformazioni cambiano. È tuttavia evidente che gli stati di sforzo e di deformazione non possono dipendere dal modo con cui questi vengono rappresentati. Pertanto, è opportuno riferirsi a quantità proprie di tali tensori (invarianti) che rimangono costanti anche se cambia il sistema di riferimento.

Le tensioni e le deformazioni principali sono invarianti; queste, insieme alle rispettive direzioni principali, permettono la rappresentazione completa dello stato di un mezzo continuo.

Nello spazio delle tensioni, le componenti del vettore σr

lungo la diagonale spaziale e sul piano deviatorico hanno le seguenti espressioni:

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STATI DI TENSIONE E DEFORMAZIONE NELLE TERRE 20

)(33

321 σσσσ ++=nr

)(,n 2322 σστ ξ −=

r

⎟⎠

⎞⎜⎝

⎛ +−=

232 12

1σσ

στ η,nr

essendo ξ ed η le coordinate di un sistema cartesiano ortogonale sul piano deviatorico. Analogamente, per le deformazioni valgono le relazioni:

)(n 32133 εεεε ++=

r

)(,n 232 εεγ ξ −=r

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ +

−=23

22 121,

εεεε ηn

r.

Per le terre, è utile distinguere il comportamento associato a variazioni di volume da quello connesso con deformazioni di taglio. Per questo motivo il tensore delle tensioni e quello delle deformazioni sono decomposti nelle loro componenti isotrope e in quelle deviatoriche. Questa suddivisione è particolarmente conveniente perché conduce ad una rappresentazione sintetica degli stati di tensione e di deformazione ed anche perché, almeno nell’ipotesi di elasticità e isotropia dei mezzo, il lavoro di deformazione, L, può essere semplicemente rappresentato dalla somma del lavoro, Lv, prodotto dalla variazione di volume e di quello, Ls, dovuto alla distorsione.

Le espressioni degli invarianti di tensione e di deformazione possono essere impiegate per esprimere il lavoro di deformazione L:

( )( )

( )( )

⎟⎠

⎞⎜⎝

⎛ +−⎟

⎞⎜⎝

⎛ +−+

+−−+

+++++=

=++=⋅=

22322131

21

21

321

321

2323

321321

εεε

σσσ

εεσσ

εεεσσσ

γτγτεσεσ ηηξξ nnnnnnLrr

(4.7)

Nel caso di stati di tensione e deformazione caratterizzati da simmetria radiale (σ3 = σ2; ε3 =

ε2), l’espressione del lavoro diviene

( )( ) ( )( 31313131 3222

31 εεσσεεσσ −−+++=L ) (4.8)

mentre per uno stato piano di deformazione (ε2 = 0, σ2 =0) si ha:

( )( ) ( )( 31313131 21

21 εεσσεεσσ −−+++=L ) (4.9)

L’espressione (4.8) può ulteriormente essere semplificata se si pone

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STATI DI TENSIONE E DEFORMAZIONE NELLE TERRE 21

( 31 231 σσ +=p ) (4.10)

31 σσ −=q (4.11) 31 2εεε +=v (4.12)

( 31 232 εεε −=s ) , (4.13)

assumendo la forma:

sv qpL εε ⋅+⋅= . Si può osservare che l’invariante vε rappresenta la deformazione di volume. Infatti, se si

considera un cubo avente spigoli di lunghezza l1, l2 e l3, sottoposto a una variazione di volume dV, valgono le relazioni

V = l1 l2 l3

V + dV = l1 (1- ε1) l2 (1- ε2) l3 (1- ε3) avendo supposto positive le deformazioni unitarie di compressione. Sviluppando i prodotti nella e trascurando gli infinitesimi d’ordine superiore si ottiene

vVdV εεεε =−=++ 321 . (4.14)

Per stati piani di deformazione, lo sviluppo della (4.7) conduce ad espressioni diverse degli invarianti che assumono la forma

231 σσ +

=s (4.15)

2

31 σσ −=t (4.16)

31 εεε +=v (4.17) 31 εεεγ −= (4.18)

essendo quindi γεε ⋅+⋅= tsL v . Gli invarianti s e t non permettono la descrizione di uno stato di tensione generale (pur

nell’ambito dell’ipotesi di isotropia) poiché viene ignorato il valore della tensione intermedia σ2. Il significato fisico degli invarianti s e t può essere riconosciuto rappresentando lo stato di

sforzo con il cerchio di Mohr. Dalla fig. 4.2 si vede come l’invariante s rappresenti l’ascissa del centro del cerchio, cioè la tensione media, mentre l’invariante t rappresenti la misura del raggio, cioè la tensione tangenziale massima.

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STATI DI TENSIONE E DEFORMAZIONE NELLE TERRE 22

σ

(s, t)t

s σ1σ3

Fig. 4.2 – Definizione sul piano di Mohr degli invarianti di tensione in condizioni di deformazione piana.

Definiti correttamente gli invarianti di tensione e di deformazione, è possibile mostrare con un

esempio il concetto di percorso di tensione. Si consideri un elemento di terreno sollecitato, in condizioni di simmetria radiale, secondo il

seguente programma di carico: 1) σ’1, σ’2 e σ’3 vengono incrementati ugualmente a partire da zero; 2) σ’1 viene incrementato ulteriormente, rimanendo σ’2 e σ’3 costanti; 3) σ’2 e σ’3 vengono incrementati, lasciando costante σ’1. Il percorso delle tensioni è riportato in figura 4.3 dove i segmenti O’A’, A’B’ e B’C’

corrispondono ai passi 1), 2) e 3).

O’ A’

B’

C’ p, p’

Bu

3 3

1 2

Fig. 4.3 – Percorsi di tensione.

Il tratto O’A’ è caratterizzato da q’= 0. Nel tratto A’B’ si ha:

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STATI DI TENSIONE E DEFORMAZIONE NELLE TERRE 23

( ) 131 312

31 ''''p δσδσδσδ =+=

131 '''q'q δσδσδσδδ =−==

e quindi 23

−='p

qδδ . Inoltre, se in corrispondenza del punto B’ la pressione interstiziale è u, il punto

B rappresenta lo stato dell’elemento in termini di tensioni totali.

4.6 - Tensioni litostatiche Il peso proprio produce uno stato tensionale che influenza il comportamento meccanico del terreno e che pertanto occorre determinare. Ciò è possibile in situazioni, morfologiche, e stratigrafiche semplici e in particolare nel caso in cui la superficie del terreno è orizzontale per una estensione sufficientemente grande rispetto alla profondità considerata e si ha una uniformità orizzontale delle proprietà del terreno, condizioni che si verificano frequentemente nei terreni di origine sedimentaria.

Le tensioni nel terreno dovute al solo peso proprio si dicono geostatiche o litostatiche. Se la superficie del terreno è orizzontale, i piani verticali e orizzontali sono piani principali. In

queste condizioni le equazioni di equilibrio per un cubo elementare le cui facce sono parallele a tali piani si riducono alle equazioni

03 =∂

∂=

∂∂

xxhσσ

02 =∂

∂=

∂∂

yyhσσ

01 =−∂

∂=−

∂∂

γσ

γσ

zzv

dove σv e σh sono le tensioni litostatiche totali, verticali e orizzontali, e γ il peso dell’unità di volume del terreno. Se γ è variabile con continuità con la profondità z, si ha in generale

( )dzzv ∫= γσ

Nel caso in cui il peso di volume possa essere ritenuto costante a tratti (come spesso avviene,

ad esempio, nei terreni stratificati) si ha: ∑=

iiiv z∆γσ .

Questa espressione si semplifica ulteriormente ed assume la forma

zv γσ =

se il terreno è uniforme lungo la direzione verticale. Nella maggior parte dei terreni naturali, gli spazi intergranulari sono parzialmente o

totalmente pieni d’acqua. Ad una data profondità, a, dal piano di campagna s’incontra un piano che

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STATI DI TENSIONE E DEFORMAZIONE NELLE TERRE 24

delimita superiormente l’acqua presente e che, in condizioni statiche (acqua in quiete) determina la pressione dell’acqua sottostante. In un punto posto a profondità z tale pressione vale

( ) www zazu γγ =−=

avendo indicato con zw = z - a la distanza del punto dalla superficie piezometrica e con γw il peso specifico dell’acqua (fig. 4.4).

La tensione litostatica verticale efficace risulta dalla applicazione della (4.2) e, per un terreno uniforme, si ha:

wwvv zzu' γγσσ −=−= . (4.19) Introducendo il peso di volume sommerso γb = γ - γw la (4.19) può essere scritta nella forma

( ) ( ) aazazz' wbwv γγγγσ +−=−−= .

piano di campagna

superficie piezometrica

0

0

z zw

A

a tubopiezometrico

Fig. 4.4 – Distribuzione della pressione interstiziale in condizioni idrostatiche.

La tensione verticale efficace in un terreno parzialmente o completamente sommerso in

acqua, in condizioni litostatiche, si ottiene perciò direttamente, come la tensione totale, dalla somma dei prodotti dei pesi unitari, strato per strato, per i corrispondenti spessori di terreno sovrastante il punto considerato, purché si attribuisca ai volumi sommersi il peso di volume γb del terreno sommerso.

Le equazioni della statica, con l’espressione delle condizioni di equilibrio, non possono fornire il valore delle tensioni orizzontali σh. L’equilibrio di un elemento di terreno, come il cubo prima esaminato, è possibile per qualsiasi valore delle tensioni orizzontali.

Considerazioni sulla storia delle tensioni nei depositi naturali, come si vedrà nel seguito, e dati sperimentali forniscono un valore approssimato delle tensioni orizzontali in condizioni litostatiche, se non sono intervenuti fenomeni naturali o cause artificiali a provocare spostamenti orizzontali nel

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STATI DI TENSIONE E DEFORMAZIONE NELLE TERRE 25

terreno. In generale le tensioni efficaci orizzontali sono espresse in funzione di quelle verticali,

attraverso un coefficiente v

h

''

Kσσ

= .

Per il rapporto tra le tensioni efficaci, orizzontale e verticale, in condizioni litostatiche tale

coefficiente prende il nome di "coefficiente di spinta in quiete",

v

h

''

Kσσ

=0 (4.20)

il cui valore è in genere compreso tra 0.5 e 2. I valori più frequenti sono però inferiori all’unità (K0 = 0,5 - 1).

Nel caso particolare in cui il terreno non abbia mai subito nel passato tensioni verticali maggiori di quelle presenti (per effetto di carichi applicati o di depositi successivamente asportati), il coefficiente K0 si ottiene con discreta approssimazione dalle caratteristiche di resistenza del terreno. In queste condizioni, K0 = 0.45 – 0.55 in sabbie e ghiaie e K0 = 0.55 – 0.7 in limi e argille.

Noto K0, si può definire completamente lo stato tensionale in condizioni litostatiche attraverso le seguenti relazioni:

vσ = γz σ’v = σv – u σ’h = K0σv

σh = σ’h + u. 4.7 - Tensione superficiale e capillarità Una facile esperienza permette di mostrare come un mezzo poroso sciolto, ad esempio una sabbia, possa assumere una certa consistenza in particolari condizioni d’umidità. Per giustificare teoricamente questo comportamento, apparentemente in contrasto con l’assenza di coesione e, più in generale, per studiare una caratteristica interazione tra fase liquida e fase solida, è necessario introdurre il concetto di tensione superficiale e di risalita capillare dei liquidi.

Per effetto delle interazioni molecolari, sulla superficie dei liquidi si manifesta una sorta di resistenza a trazione, così che le superfici libere tendono a comportarsi come membrane in tensione. Se ci si riferisce alla condizione del tutto generale di superficie di separazione curva, nell’ipotesi di semplice curvatura la condizione d’equilibrio alla traslazione nella direzione dell’asse di simmetria x-x (fig. 4.5) può essere espressa nella forma:

( ) 02 0210

0

=−−∫−θθ

θ

θsinTdscospp s

∴ ( ) 022 00210

=−− ∫ θθθθ

sinTdcosRpp s

Si ha quindi:

RT

ppp s=−= 21∆ .

Nel caso di superficie a doppia curvatura, se R1 e R2 sono i raggi principali, si ottiene

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STATI DI TENSIONE E DEFORMAZIONE NELLE TERRE 26

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛+=

21

11RR

Tp s∆

e, se R1 = R2 = R (superficie sferica),

RT

p s2=∆ .

δs

θ

θ0

θ0

TsTs

R

x

x

p1

p2

p1 p2-

Fig. 4.5 – Tensione superficiale lungo una superficie a semplice curvatura.

Per effetto della tensione superficiale, la pressione agente sulla faccia concava della superficie

di separazione è maggiore della pressione agente sull’altra faccia e tale differenza è tanto più accentuata quanto minore è il raggio di curvatura. Le azioni molecolari che si stabiliscono al contatto tra un liquido e una superficie solida danno luogo a un ben definito angolo di contatto β e quindi ad una curvatura della superficie liquida vicino al contorno (fig. 4.6a). Immergendo parzialmente in acqua un tubo di vetro di piccolo diametro, si osserva una risalita del liquido nel tubo fino ad una quota diversa da quella del livello esterno dell’acqua (fig. 4.6b). Poiché nel caso di contatto acqua-vetro si ha β = 0, la superficie aria-acqua può divenire sferica con raggio pari a quello del tubo.

L’altezza di risalita può essere determinata imponendo l’equilibrio delle forze agenti sulla sezione del fluido passante per il punto E, dove la pressione è evidentemente uguale a quella dei punto A e cioè nulla (con riferimento alla pressione atmosferica). Allora:

0444

222

=−=dpdhdp wcE π∆πγπ

∴ 02

=−RT

h swcγ

da cui:

d

Th

w

sc γ

4= . (4.21)

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STATI DI TENSIONE E DEFORMAZIONE NELLE TERRE 27

βliquido

solid

o

Ts

hc

d

CD

A E

b)

Fig. 4.6 – Angolo di contatto tra solido e liquido e risalita capillare.

Poiché per l’acqua a temperatura ambiente Ts = 75 dine/cm = 75/980 g/cm, si ha:

d.

dhc

30980

754≅

⋅⋅

= (cm).

Queste considerazioni possono essere riferite ai pori della terra, che costituiscono un insieme

di tubi capillari in cui, per effetto della tensione superficiale, se non è satura, si stabilisce una pressione dell’acqua negativa (- hcγw). Per il principio delle tensioni efficaci, se le tensioni totali sono nulle, ad un valore negativo della pressione interstiziale corrisponde un uguale valore positivo delle tensioni efficaci.

La relazione (4.21) stabilisce una corrispondenza fra altezza di risalita capillare e diametro del tubo, valida biunivocamente nell’ipotesi di tubi cilindrici a direttrice circolare. Se queste condizioni non sono soddisfatte, come accade nei mezzi porosi naturali, la determinazione dell’altezza di risalita capillare è molto complicata e, soprattutto, viene a mancare la corrispondenza biunivoca con le dimensioni dei pori. Inoltre la configurazione di equilibrio della superficie di separazione acqua-aria dipende dalla storia trascorsa, in particolare da una eventuale precedente immersione. Ciò si constata facilmente osservando l’altezza di risalita dell’acqua in tubi di forma diversa e con diametro variabile (fig. 4.7).

Se l’altezza di risalita hc è superiore alla lunghezza h2 del tubo (caso n. 2) la superficie limite assumerà la curvatura corrispondente ad h2, cioè:

2

2

22

dh

Tr

w

s >=γ

.

Le differenti configurazioni di equilibrio nei tubi 3, 4 e 5 si realizzano rispettivamente con il

tubo precedentemente vuoto o pieno d’acqua. Nella situazione rappresentata nel tubo 6 la posizione dell’elemento liquido di altezza ∆h può

essere qualunque, indipendentemente dal valore di hc. Indicando con r1 e r2 raggi in corrispondenza dei menischi, deve essere soddisfatta l’equazione di equilibrio:

wss h

rT

rT

p γ∆∆ =−=21

22

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STATI DI TENSIONE E DEFORMAZIONE NELLE TERRE 28

da cui

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛−=

21

112rr

Th

w

s

γ∆ .

L’insieme di queste schematizzazioni dà un’idea di quello che avviene realmente nel terreno.

La risalita capillare può interessare spessori notevoli di terra (dell’ordine dei metri) e la configurazione di equilibrio dell’acqua è irregolare in relazione alla disuniformità dei pori e alle condizioni d’immersione precedente (frange capillari).

h c

h 2

d

d

∆h

r2

r1

1 2 3 4 5 6

Fig. 4.7 – Risalita capillare in tubi di forma e dimensioni diverse.