Lezione prove strutturate

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Le prove oggettive di profitto: riflessioni sul loro utilizzo nella valutazione scolastica Catina Feresin Dipartimento di Scienze dell'educazione Università di Pola Croazia Con la definizione di prove oggettive di profitto si indica quell’insieme di prove di valutazione messe a punto al fine di ridurre, per quanto possibile, l’incidenza delle variabili soggettive nei momenti di valutazione del profitto scolastico. Tali prove sono definibili anche come prove strutturate di conoscenza, con riferimento al fatto che, per ridurre l’incidenza delle variabili soggettive, sono organizzate in modo tale che le modalità dello stimolo e della risposta siano di tipo chiuso. In questo modo la prova fornisce uno stimolo specifico e altrettanto specifica risulta la prestazione dell’allievo. Una volta definiti gli obiettivi dell’apprendimento da verificare, i test di profitto sollecitano

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Le prove oggettive di profitto: riflessioni sul loro utilizzo

nella valutazione scolastica

Catina Feresin

Dipartimento di Scienze dell'educazione

Università di Pola

Croazia

Con la definizione di prove oggettive di profitto si indica quell’insieme di prove di

valutazione messe a punto al fine di ridurre, per quanto possibile, l’incidenza delle variabili

soggettive nei momenti di valutazione del profitto scolastico. Tali prove sono definibili anche

come prove strutturate di conoscenza, con riferimento al fatto che, per ridurre l’incidenza delle

variabili soggettive, sono organizzate in modo tale che le modalità dello stimolo e della

risposta siano di tipo chiuso. In questo modo la prova fornisce uno stimolo specifico e

altrettanto specifica risulta la prestazione dell’allievo. Una volta definiti gli obiettivi

dell’apprendimento da verificare, i test di profitto sollecitano una prestazione culturale

ponendo una serie di quesiti (item), ai quali si deve rispondere in modo univoco (Moretti &

Quagliata, 1999).

Questo genere di prove, caratterizzate dalla chiusura degli stimoli e delle risposte, consente di

superare, almeno in parte, i limiti d'indagine che derivano dalla soggettività interpretativa cui

le prove tradizionali costringono gli insegnanti e gli alunni. E' noto che l'ambiguità

d'interpretazione per l'alunno diminuisce tanto più la prova presenta stimoli precisi (stimoli

chiusi). Allo stesso modo l'interpretazione di una prova da parte di un insegnante risulta tanto

più univoca quanto più il numero delle risposte possibili è delimitato. Le prove oggettive di

profitto non risentono quindi di quei problemi che derivano dalla mancanza d'univocità

interpretativa, degli stimoli e delle risposte, tipica delle prove tradizionali. Ciò costituisce una

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condizione necessaria, se pur non sufficiente, perché risultino garantiti i requisiti della validità

e dell'attendibilità delle rilevazioni, delle misurazioni e delle valutazioni degli apprendimenti.

Una verifica si definisce valida quando la sua somministrazione consente di misurare

proprio quello che s'intende misurare. La validità esprime il grado di corrispondenza tra una

misura e l'oggetto misurato, ed uno strumento di misura può essere considerato valido in

relazione alla sua capacità di fornire rilevazioni sulla cui base è possibile assumere decisioni

efficaci, efficienti e pertinenti in merito alle qualità indagate. L'accuratezza delle

sollecitazioni, rendendo minima l'ambiguità interpretativa da parte degli allievi, facilita la

costruzione di prove di verifica valide, in quanto favorisce la manifestazione proprio di quelle

conoscenze e/o abilità che effettivamente si vogliono rilevare. Si parla allora, con maggior

precisione, di validità di contenuto, qualità per la quale si richiede che la verifica considerata

costituisca un campione rappresentativo dell'insieme delle conoscenze e/o abilità che si

vogliono indagare. Tali conoscenze e abilità sono definite, in primo luogo, sulla base degli

obiettivi fissati in fase di programmazione ed, in secondo luogo, sulla base dei contenuti

effettivamente svolti durante la procedura didattica.

Le misure che si ottengono dalla somministrazione di una verifica si definiscono

attendibili quando risultano costanti sia al variare del soggetto che le rileva e/o delle

condizioni in cui vengono rilevate, sia al ripetersi della stessa, cioè ad una successiva

somministrazione. Il requisito dell'attendibilità è collegato alla possibilità di predeterminare,

nella maniera meno ambigua possibile i criteri d'interpretazione delle risposte. Lo studio

sull'attendibilità, collegato all'esigenza di disporre di misure precise, stabili e oggettive, fa

riferimento a considerazioni generali della teoria della misura, in base alle quali il valore

d'ogni misurazione può essere considerato come la somma di una componente vera e di una

componente d'errore. Quest'ultima è, a sua volta, conseguenza della presenza d'errori

sistematici, dovuti all'influenza esercitata sulla misura da variabili non considerate e d'errori

casuali, diversi per ogni misura e quindi difficili da identificare (Blalock, 1984).

Come ha notato Giovannini (1994): "Quanto al problema della validità di uno strumento di

rilevazione, la ricerca docimologica ha mostrato come esso sia molto più complesso di quanto

possa apparire a prima vista. Ciò che è possibile validare, infatti, non è lo strumento in sé, ma

uno strumento in relazione allo scopo per cui è stato costruito. In tal modo uno strumento può

essere valido per misurare, per esempio, il risultato di un apprendimento, ma non la procedura

eseguita dallo studente per giungere a quel risultato…".

Il termine oggettivo, con cui vengono spesso denominate le prove strutturate di

conoscenza, va riferito unicamente alla possibilità di predeterminare l'esattezza delle risposte e

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i punteggi ad esse relativi, rispetto ai momenti della somministrazione e della correzione della

prova. La correzione della prova e l'attribuzione del punteggio risulta perciò oggettiva

chiunque sia il correttore. Va comunque precisato che molte importanti decisioni, necessarie

per progettare e costruire una prova di verifica, restano affidate alla soggettività dei docenti;

tra queste, quelle collegate alle seguenti domande: "Quale è lo scopo della prova? Quali

conoscenze, abilità, competenze deve valutare? Quanta parte della disciplina considerata deve

abbracciare? Quanti dei quesiti dovrebbero riguardare ogni settore della disciplina e ogni

obiettivo educativo?". Le prove oggettive garantiscono, rispetto a quelle tradizionali,

l'esplicitazione delle scelte soggettive e, quindi, la possibilità di un loro controllo pubblico e

democratico. Le prove oggettive, sono predisposte direttamente dai docenti o da gruppi di

docenti per valutare l'apprendimento di una o più classi, di una o più scuole, per cui la loro

validità ed attendibilità sono limitate ai gruppi d'alunni in riferimento al cui apprendimento le

prove sono state costruite. Per assicurarne “l’oggettività” e, quindi, strutturarle, i docenti

devono attenersi ad alcuni criteri di base riguardanti la loro programmazione, la stesura degli

item, la loro correzione. Affinché i rischi della soggettività vengano davvero minimizzati, è

quindi necessario favorire una metodologia di lavoro che preveda il coinvolgimento di un

gruppo d'insegnanti che abbiano, oltre ad una riconosciuta competenza disciplinare, anche una

consolidata esperienza proprio nell'insegnamento del settore disciplinare considerato. Solo in

questo modo è possibile garantire un'analisi corretta e completa delle tante e complesse

variabili connesse alle reali difficoltà che una prova di verifica comporta per gli allievi.

Le caratteristiche strutturali delle prove oggettive garantiscono che tutti gli alunni ai

quali una prova viene somministrata si trovino nelle stesse condizioni, risultando identiche le

domande loro rivolte e uguale il tempo di cui dispongono per fornire le risposte. Inoltre queste

stesse caratteristiche, considerate dal punto di vista del docente/valutatore, evitano il

verificarsi di tutti quegli effetti d'alterazione e distorsione del giudizio che sono una frequente

conseguenza dei limiti strutturali propri delle prove di verifica tradizionali (Calidoni &

Petracchi, 1994; Giovannini, 1994). Nei giudizi espressi sulla base delle informazioni che si

ricavano dalla somministrazione di una prova oggettiva non possono, infatti, intervenire alcuni

fra i noti effetti d'alterazione del giudizio quali:

• effetto alone, alterazione del giudizio riferito ad una certa prova a causa dell'influenza

esercitata da giudizi attribuiti a precedenti prove dello stesso allievo;

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• effetto contrasto, alterazione del giudizio riferito ad una certa prova a causa dell'influenza

esercitata dalle prove d'altri allievi;

• effetto stereotipia, alterazione del giudizio riferito ad una certa prova a causa della scarsa

alterabilità dell'opinione che ogni docente si crea rispetto ad un allievo.

Due tra le caratteristiche più significative delle prove oggettive sono collegate alla

variabile tempo, la cui diversa utilizzazione condiziona fortemente la qualità complessiva di

una qualsiasi procedura d'insegnamento-apprendimento. L'uso sistematico delle prove

oggettive rende possibile operare una verifica frequente del livello d'apprendimento di tutti gli

studenti, mentre un analogo risultato non è evidentemente ottenibile con i tradizionali colloqui

orali. Inoltre, la somministrazione di tali prove richiede l'impiego di una quantità di tempo

molto ridotta se confrontata con quella necessaria per ascoltare verbalmente tutti gli studenti di

una classe.

Fino ad ora, infatti, abbiamo visto i pregi dell'utilizzo delle prove oggettive;

consideriamone ora alcuni limiti. Per quanto riguarda gli ostacoli teorici, un particolare

problema nasce dall’adozione di criteri di misurazione dei risultati di tipo quantitativo. Infatti,

spesso le misure di tipo quantitativo nascondono o coprono procedimenti qualitativi,

essenzialmente di tipo interpretativo, sia nella definizione delle variabili o categorie (i termini

che figurano, per esempio, in una scala nominale non sono numeri e la loro scelta, operata

secondo un certo criterio piuttosto un altro, potrebbe implicare una distorsione nella

valutazione finale dei risultati), sia, soprattutto, nell’attribuzione di un valore alle variabili. Per

esempio, i risultati di un test a risposta multipla appaiono diversi secondo il peso specifico

attribuito ai diversi item o gruppi di item; attribuzione di peso che implica, ancora,

un’interpretazione del loro grado di pertinenza rispetto all’obiettivo di cui controllare

l’eventuale raggiungimento.

Altri problemi, apparentemente empirici, ma che costituiscono la spia di un limite di

tipo teorico, si riferiscono al controllo delle variabili in gioco. È difficile standardizzare i

procedimenti didattici, in quanto anche se si riesce a compiere una descrizione operativa delle

loro fasi, è tutt’altro che scontato che i diversi insegnanti ne diano attuazioni equiparabili.

Risolvere quest’ordine di problemi, legati al controllo delle variabili in gioco, appare molto

delicato dal punto di vista epistemologico. A rigore, si può parlare soltanto di grado di

corroborazione di un’ipotesi pedagogica.

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In conclusione nella ricerca educativa sul campo, nelle situazioni formative, la

complessità delle variabili in gioco è tale da rendere la clausola ceteris paribus assai più simile

a un assunto convenzionale, a una condizione ideale, che a una condizione effettivamente

rispettata. Ciò implica che, in presenza di esiti discrepanti rispetto a quelli attesi, non si possa

considerare automaticamente confutata la validità dell’ipotesi (e viceversa).

Ma se tutto questo è vero, allora ne consegue che nella valutazione dei risultati di una ricerca

didattica, comunque condotta, il momento dell’interpretazione e della discussione, chiamato a

mettere a fuoco l’intorno imponderabile e irriducibile dell’azione educativa e il significato da

attribuire agli stessi risultati oggettivamente emersi, risulta comunque determinante rispetto a

quello tecnico della verifica dell’ipotesi, per quanto raffinate siano le misurazioni di tipo

quantitativo messe in campo (Baldacci, 2001).

Bibliografia

BALDACCI, Metodologia della ricerca pedagogica, Milano, Mondadori, 2001.

BLALOCK, Statistica per la ricerca sociale, Bologna, Il Mulino, 1984.

CALIDONI, PETRACCHI, Validità e attendibilità della valutazione. In La valutazione degli

alunni nella scuola elementare, Brescia, Editrice La Scuola, 1994.

DOMENICI Manuale della valutazione scolastica, Laterza, Bari 1993, pp. 160-172.

MORETTI, QUAGLIATA Strumenti per la verifica degli apprendimenti. Le prove di verifica

strutturate e semistrutturate, Monolite editrice, Roma, 1999.

GIOVANNINI Valutazione sotto esame, Milano, Ethel Editoriale G. Mondadori, 1994.

GIOVANNINI La valutazione: ovvero oltre il giudizio sull'alunno, Milano, Ethel Editoriale

G. Mondadori, 1995.

MASON Le esigenze di validità e attendibilità, In Valutare la scuola. Prodotti, processi,

contesti dell'apprendimento, Padova, Cleup Editrice, 1996.