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Gianni Bartoli/Claudio Mannini/Carlo Guastini Appunti di Tecnica delle Costruzioni (2) Revisione 28/05/12 Lezione n. 8 Le cupole La soluzione in regime di membrana Le volte sottili In generale, si possono individuare delle strutture bidimensionali curve nello spazio, di piccolo spessore, che prendono il nome di “volte sottili”; il problema della determinazio ne dello stato di sollecitazione e di deformazione indotto da una particolare distribuzione di carico dà luogo a varie trattazioni analitiche, a seconda della tipologia della forma (ad esempio, nel caso di forma generata per rivoluzione si parla di cupole), oppure delle caratteristiche delle sollecitazioni (se si è in presen- za di soli sforzi lungo la superficie della struttura, si individua il problema delle membrane e delle tensostrutture; se la sollecitazione prevalente è invece di natura flessionale, si parla di gusci). In generale, da un punto di vista strutturale il problema è sempre caratterizzato dalla presenza di uno spessore molto contenuto rispetto alle dimensioni ed alla curvatura della superficie; si può pensare quindi ad un solido generato da un segmento di lunghezza pari allo spessore s che si muove lungo una superficie Z mantenendosi ortogonale ad essa. La superficie Z nello spazio, che rappresenta la “superficie media” della volta, è definita a partire da un particolare sistema di coordinate; ad esempio, in un sistema cartesiano, definito un insieme ( 1 , 2 ) di coordinate indipendenti, la superficie Z potrebbe essere descritta dall’insieme dei punti x 1 2 1 2 y 1 2 z 1 2 x f , Z , y f , z f , oppure, più semplicemente, identificando il sistema di coordinate indipendenti in (x,y) dalla consue- ta forma di un campo scalare x Z x,y y z z x,y In coordinate sferiche, di solito le due coordinate indipendenti sono rappresentate dalla latitudine s (o dalla colatitudine s = /2 - s ) e dalla longitudine s , mentre la variabile dipendente è rappre- sentata dalla distanza r s dall’origine s s s s s s s s Z , r r , dove il pedice s è stato introdotto per evidenziare che si tratta di un sistema di riferimento sferico. In ogni punto P della superficie è possibile individuare la normale n alla superficie stessa ed indivi- duare, sui piani che hanno come asse di sostegno la normale n, una serie di curve C i ottenute dall’intersezione della superficie con questi piani; ognuna delle curve ottenute può essere appross i- mata localmente da una circonferenza (cerchio osculatore) di raggio R n,i , al quale viene assegnato segno diverso in funzione del fatto che il centro di curvatura si trovi dalla parte della normale posi- tiva o nella porzione opposta del piano. Tra tutti i valori di R n,i è possibile individuare i due che hanno rispettivamente valore massimo R n,max e minimo R n,min ; questi due valori sono chiamati “rag-

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Lezione n. 8

Le cupole La soluzione in regime di membrana

Le volte sottili

In generale, si possono individuare delle strutture bidimensionali curve nello spazio, di piccolo

spessore, che prendono il nome di “volte sottili”; il problema della determinazione dello stato di

sollecitazione e di deformazione indotto da una particolare distribuzione di carico dà luogo a varie

trattazioni analitiche, a seconda della tipologia della forma (ad esempio, nel caso di forma generata

per rivoluzione si parla di cupole), oppure delle caratteristiche delle sollecitazioni (se si è in presen-

za di soli sforzi lungo la superficie della struttura, si individua il problema delle membrane e delle

tensostrutture; se la sollecitazione prevalente è invece di natura flessionale, si parla di gusci). In

generale, da un punto di vista strutturale il problema è sempre caratterizzato dalla presenza di uno

spessore molto contenuto rispetto alle dimensioni ed alla curvatura della superficie; si può pensare

quindi ad un solido generato da un segmento di lunghezza pari allo spessore s che si muove lungo

una superficie Z mantenendosi ortogonale ad essa.

La superficie Z nello spazio, che rappresenta la “superficie media” della volta, è definita a partire da

un particolare sistema di coordinate; ad esempio, in un sistema cartesiano, definito un insieme (1,

2) di coordinate indipendenti, la superficie Z potrebbe essere descritta dall’insieme dei punti

x 1 2

1 2 y 1 2

z 1 2

x f ,

Z , y f ,

z f ,

oppure, più semplicemente, identificando il sistema di coordinate indipendenti in (x,y) dalla consue-

ta forma di un campo scalare

x

Z x, y y

z z x, y

In coordinate sferiche, di solito le due coordinate indipendenti sono rappresentate dalla latitudine s

(o dalla colatitudine s = /2 - s) e dalla longitudine s, mentre la variabile dipendente è rappre-

sentata dalla distanza rs dall’origine

s

s s s

s s s s

Z ,

r r ,

dove il pedice s è stato introdotto per evidenziare che si tratta di un sistema di riferimento sferico.

In ogni punto P della superficie è possibile individuare la normale n alla superficie stessa ed indivi-

duare, sui piani che hanno come asse di sostegno la normale n, una serie di curve Ci ottenute

dall’intersezione della superficie con questi piani; ognuna delle curve ottenute può essere approssi-

mata localmente da una circonferenza (cerchio osculatore) di raggio Rn,i, al quale viene assegnato

segno diverso in funzione del fatto che il centro di curvatura si trovi dalla parte della normale posi-

tiva o nella porzione opposta del piano. Tra tutti i valori di Rn,i è possibile individuare i due che

hanno rispettivamente valore massimo Rn,max e minimo Rn,min; questi due valori sono chiamati “rag-

Lezione n. 8 – pag. VIII.2

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gi principali” ed il prodotto delle rispettive curvature è detto “curvatura gaussiana” della superfi-

cie(*)

n,min n,max

1 1

R R

Superficie nello spazio: sistemi di riferimento

A seconda del segno di si può definire il punto P sulla superficie come ellittico (se le curvature principali hanno lo stesso segno; in questo caso la superficie è convessa in un intorno di P), para-

bolico (se una curvatura principale è nulla, ad esempio nel caso di un cilindro), iperbolico (se le

curvature principali hanno segni opposti) o ombelicale (se le curvature principali coincidono, e

quindi tutte le direzioni sono principali, ad esempio nel caso di una sfera).

Al fine di definire “piccolo” lo spessore della volta, si fa riferimento al rapporto tra lo spessore s ed

il valore dei raggi di curvatura; si definisce quindi di piccolo spessore una volta nella quale si abbia

n,min n,maxs R , R

ed, in questo caso, si può fare riferimento alla “superficie media” della volta (posta in corrisponden-

za di metà spessore).

La teoria delle volte sottili, oltre all’ipotesi di piccolo spessore, si affronta generalmente in campo

elastico lineare ipotizzando:

che gli spostamenti siano piccoli rispetto allo spessore;

che segmenti ortogonali alla superficie media restino normali ad essa anche successivamente alla deformazione;

che le tensioni normali su piani paralleli a quello medio della volta siano trascurabili rispetto alle tensioni sui piani normali alla superficie media.

Le tre ipotesi sono del tutto similari a quelle che si introducono nel problema del de Saint Venant

(piccoli spostamenti, conservazione delle sezioni piane e fibre longitudinali della trave che si scam-

biano solo tensioni tangenziali).

In corrispondenza di una generica configurazione di carico, lo stato tensionale può essere in:

regime di membrana: la risultante delle tensioni in ogni punto giace sulla superficie media (le

tensioni sulle facce ortogonali alla superficie media sono costanti lungo lo spessore); è l’analogo

dello stato piano di tensione in una lastra;

regime di flessione pura: le tensioni sulle facce ortogonali alla superficie media variano linear-mente lungo lo spessore, con valore nullo in corrispondenza della superficie media (analogo al

problema della lastra inflessa o piastra);

(*)

La curvatura gaussiana, nel caso di superficie descritta attraverso un campo scalare, coincide con il determinante

della matrice Hessiana; è possibile dimostrare (e la dimostrazione è dovuta a Eulero) che i raggi di curvatura princi-

pali appartengono a due piani tra loro ortogonali.

s rs

s

s

X Y

Z

P

x

y

z

1=c1 2=c2

O

n

Lezione n. 8 – pag. VIII.3

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regime misto: ogni volta in cui lo stato tensionale membranale e flessionale sono sovrapposti.

Riveste una certa importanza l’individuazione delle situazioni in cui il regime è puramente mem-

branale. Questo si verifica essenzialmente quando:

lo spessore degli elementi resistenti è talmente esiguo per cui la rigidezza flessionale è così pic-cola da poter essere ritenuta praticamente nulla, come avviene nel caso delle membrane vere e

proprie (ad esempio realizzate con tessuti);

il materiale è disposto in modo da poter assorbire soltanto sforzi normali, come avviene ad esempio in tutte le strutture che trovano equilibrio nei confronti dei carichi per mezzo di sforzi

assiali (normalmente di trazione), come nel caso delle tensostrutture;

si vogliono cercare strutture “funicolari” di un dato carico, ossia situazioni in cui, a motivo della

loro forma, le strutture sono in grado di equilibrare le azioni esterne senza la necessità che insor-

gano sollecitazioni flessionali.

Nell’ultimo caso, si deve essere in presenza di volte non troppo “ribassate”, altrimenti il regime

flessionale tende a prevalere sul regime membranale (al limite, se la volta tendesse a divenire una

lastra piana, gli sforzi normali per garantire l’equilibrio in regime membranale dovrebbero tendere

all’infinito, secondo le stesse modalità riportate alla fine del capitolo per il caso di un arco ribassa-

to).

Le cupole

Per cupola si intende una particolare tipologia di volta sottile, ossia un solido tridimensionale, a

doppia curvatura, la cui superficie media è ottenuta per rivoluzione di una curva piana nello spazio

intorno ad un asse, generalmente verticale.

Da un punto di vista geometrico, in ogni punto P della superficie, il semipiano individuato dall’asse

di rivoluzione e passante per tale punto contiene anche la curva che ha generato la superficie e la

normala n in quel punto (di solito assunta come positiva se uscente dalla superficie); la curva piana

individuata dall’intersezione fra la cupola e tale semipiano (corrispondente ad una longitudine s assegnata) prende il nome di meridiano e, in ogni punto P, il raggio di curvatura locale rappresenta

quindi il raggio di curvatura del meridiano, Rm. Lungo il piano ortogonale al precedente e contenen-

te la suddetta normale, la superficie ha curvatura Rp (curvatura di parallelo), che ovviamente, per la

simmetria della struttura, non può che coincidere con la distanza, misurata lungo la normale n, del

punto P dall’asse di rivoluzione. La circonferenza passante per P, individuata dall’intersezione tra la

superficie ed il piano ortogonale all’asse di rivoluzione, descrive il parallelo ed ha raggio r =

Rp∙sin(), con angolo al centro(o)

. Ovviamente i centri di curvatura del meridiano (Om) e del paral-lelo (Op), pur essendo entrambi situati lungo la retta che contiene la normale n, non sono in generale

coincidenti, a meno che la superficie non sia una sfera ed allora, in tal caso, Om Op e Rm = Rp.

Infine, è immediato osservare che Rm e Rp rappresentano i raggi principali della superficie.

La cupola rappresenta una superficie assial-simmetrica, in quanto la geometria risulta ovviamente

indipendente dalla longitudine L; come caso particolare, si può affrontare il problema della deter-minazione dello stato di sollecitazione nel caso in cui sulla superficie agiscano carichi anch’essi

assial-simmetrici. Inoltre, come prima approssimazione, si supponga che la cupola sia chiusa al

colmo, ossia sia descritta da meridiani continui (cioè che collegano P con il punto opposto P1 con

continuità, quindi descrivendo una superficie chiusa superiormente) ed illimitata inferiormente.

Per rispettare la assial-simmetria, in ogni punto della superficie, il carico p può avere componenti

lungo la normale (pn) e lungo il meridiano (pm), ma non può avere componente lungo la direzione

del parallelo, ossia la componente pp è necessariamente nulla.

(o)

L’angolo al centro non coincide (a meno del caso della sfera) con la co-latitudine ϑs; il primo è misurato a partire

da una posizione Op variabile da punto a punto, mentre la latitudine (in un sistema sferico) è misurata a partire da

un’origine fissa.

Lezione n. 8 – pag. VIII.4

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Da un punto di vista tensionale, invece, la simmetria richiede, sempre nel riferimento ortogonale

locale (p, m, n) (p: tangente al parallelo; m: tangente al meridiano; n: normale), l’annullamento del-

le tensioni tangenziali σpn sulla faccia normale alla direzione del parallelo (con normale p).

Cupola di rivoluzione: notazioni

Inoltre, le tensioni tangenziali σpm (e quindi anche le σmp) devono necessariamente essere nulle, in

quanto, per simmetria, devono risultare nulli sia il taglio in direzione dei meridiani sulle facce di

normale p che il momento torcente su tali facce (ossia il momento mpm che ha asse parallelo a p).

Condizione di carico assial-simmetrica: componenti di tensione

Passando alle caratteristiche di sollecitazione, quindi, possono essere presenti soltanto quelle che

derivano dall’integrazione lungo lo spessore delle tensioni agenti; in particolare, considerando ele-

menti di lunghezza unitaria, possono risultare non nulli:

gli sforzi normali di meridiano e parallelo: s/2

m mm

s/2

n z dz

, s/2

p pp

s/2

n z dz

r

Rp

Rm

Om

Op

P

n

P1

P pn

pm

pp

σmm

σmp σmn

σpp

σpm σpn

Lezione n. 8 – pag. VIII.5

Gianni Bartoli/Claudio Mannini/Carlo Guastini – Appunti di Tecnica delle Costruzioni (2) Revisione – 28/05/12

i momenti flettenti di meridiano e parallelo: s/2

m mm

s/2

m z z dz

, s/2

p pp

s/2

m z z dz

il taglio lungo i meridiani: s/2

mn mn

s/2

t t z dz

Evidentemente, per la simmetria del problema, nessuna grandezza può dipendere dalla longitudine

; in particolare, lo sforzo normale np ed il momento flettente mp sono costanti lungo i paralleli.

Le cupole in regime di membrana

Nel caso in cui lo spessore sia sufficientemente piccolo da reputare trascurabile la rigidezza flessio-

nale, è lecito ipotizzare che la cupola si trovi in un regime di membrana, e quindi le tensioni deli-

neate in precedenza siano costanti lungo lo spessore.

Se tale situazione si verifica, i momenti flettenti (mp e mm) sono evidentemente nulli, così come i

valori del taglio di meridiano (t).

In altre parole, in condizioni di carico assial-simmetriche ed in regime di membrana, la cupola si

trova a sopportare il carico esterno esclusivamente attraverso gli sforzi normali di meridiano (nm) e

di parallelo (np), entrambi indipendenti dal valore della longitudine s. Una volta assegnato il carico, è possibile scrivere le equazioni di equilibrio alla traslazione in dire-

zione dell’asse della cupola (Z) ed in una qualunque altra direzione in un piano che contiene l’asse

Z; ulteriori equazioni di equilibrio sono implicitamente soddisfatte a causa della simmetria del pro-

blema (ad esempio, l’equilibrio alla rotazione). In alternativa, l’equilibrio potrebbe essere imposto

per un elemento infinitesimo di cupola rispetto al riferimento locale (p, m, n), in direzione m e n

(essendo l’equilibrio in direzione p automaticamente soddisfatto).

Equilibrio locale in direzione normale

Impostando l’equilibrio locale in direzione normale per un rettangolo infinitesimo di lati Rp∙d e

Rm∙d

, si può osservare che lo sforzo normale di meridiano fornisce una risultante in direzione

normale pari a

In realtà, l’elemento di superficie che si ottiene a partire da due angoli al centro infinitesimi, è una sorta di trapezio,

in cui la base superiore, di lunghezza Rp∙d, è diversa dalla base inferiore (di lunghezza (Rp+dRp)∙d); al

prim’ordine, tuttavia, le due basi hanno lunghezza uguale, per cui tale figura può essere approssimata da un rettango-

lo.

Om

Op

d

Rm

Rp

d r

Rm∙d

dPn

np∙Rm∙d

np∙Rm∙d

nm∙Rp∙d

nm∙Rp∙d

dPn = pn∙Rp∙ Rm∙d∙d

d/2

d/2

P

Lezione n. 8 – pag. VIII.6

Gianni Bartoli/Claudio Mannini/Carlo Guastini – Appunti di Tecnica delle Costruzioni (2) Revisione – 28/05/12

m p m p m p

d d2 n R d sin 2 n R d n R d d

2 2

e, analogamente, per lo sforzo normale di parallelo

p m p m p m

d d2 n R d sin 2 n R d n R d d

2 2

Infine, se pn è la proiezione in direzione normale del carico, la corrispettiva risultante è pari a

n n m pdP p R d R d

Globalmente si ha quindi

m p p m n m pn R d d n R d d p R d R d 0

Dividendo per Rp∙ Rm∙d∙d, si ottiene la relazione finale:

pm

n

m p

nnp

R R

Nell’equazione, nota come equazione di Laplace, si sono assunti i raggi di curvatura positivi se

orientati verso l’interno della cupola, mentre la componente normale del carico applicato è stata

assunta positiva se orientata nel verso positivo della normale uscente dalla superficie.

È conveniente invece scrivere la seconda equazione di equilibrio in termini globali anziché locali;

tagliando la superficie lungo un generico parallelo, è ovvio che, per simmetria, la somma dei carichi

agenti nella porzione superiore di cupola ha risultante verticale G() lungo l’asse di rivoluzione.

Cupola di rivoluzione: equilibrio in direzione verticale

In corrispondenza del parallelo al quale si è interrotta la cupola, per equilibrio, occorre sostituire

alla parte eliminata l’azione che questa avrebbe esercitato su quella analizzata; tale azione si concre-

tizza in una distribuzione di sforzi normali di meridiano nm lungo il parallelo in esame, come evi-

denziato nella figura precedente (gli sforzi normali sono stati assunti positivi, cioè di trazione).

L’equilibrio alla traslazione verticale della zona individuata offre l’equazione

mG n sin 2 r 0

ossia

m 2

p

G Gn

2 r sin 2 R sin

Nell’espressione precedente, la risultante G() è stata assunta positiva se agente verso il basso, cioè in direzione –Z.

r

Rp

Op

P P1

G()

nm nm

Z

Lezione n. 8 – pag. VIII.7

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Una volta nota la geometria della cupola e le caratteristiche del carico assial-simmetrico applicato,

le due equazioni individuate consentono quindi di determinare l’andamento lungo i meridiani degli

sforzi normali nm e np in regime di membrana; il sistema è staticamente determinato, per cui, qua-

lunque sia il carico applicato, purché assial-simmetrico, è possibile trovare una configurazione di

equilibrio con la presenza di soli sforzi normali. In altre parole, la cupola chiusa semi-illimitata in-

feriormente è funicolare di un qualunque carico assial-simmetrico.

Rispetto al caso delle travi si nota una differenza abbastanza importante: nel caso di una trave, asse-

gnato un dato carico, esiste una forma (o più forme) della struttura che è funicolare del carico; una

forma strutturale di una trave è quindi funicolare di una particolare tipologia di distribuzione di ca-

rico (uniforme, concentrato, radiale, etc.). Infatti, solo per particolari configurazioni del carico il

solo sforzo normale è in grado di garantire l’equilibrio della struttura (nel piano si hanno due equa-

zioni di equilibrio in una sola incognita). La cupola, invece, si presta più della trave a resistere per

forma, ossia a trovare una configurazione di equilibrio caratterizzata dalla presenza di soli sforzi

normali (due equazioni di equilibrio per due sforzi incogniti); ogni cupola assial-simmetrica è funi-

colare di un qualunque carico con la stessa simmetria; come nel caso dell’arco, questo spiega la

fortuna incontrata dalla forma strutturale della cupola nello sviluppo storico delle strutture.

Volendo rimuovere l’ipotesi di cupola semi-illimitata inferiormente, è possibile stabilire comunque

un regime di membrana, se si dispongono, al bordo della cupola, vincoli in grado di trasmettere i

soli sforzi compatibili con tale regime, forniti dalla parte inferiore della cupola, ora rimossa. Di con-

seguenza, si individua la configurazione di vincolo detta di “appoggi in sede conica”, ossia di una

serie di appoggi sul contorno che hanno come asse la tangente alla cupola al bordo e che definisco-

no un cono coassiale con la cupola; in tal caso, infatti, le uniche reazioni v presenti uguagliano il

valore dello sforzo normale di meridiano che la cupola avrebbe avuto in tale sezione se fosse stata

illimitata inferiormente. La definizione “appoggi in sede conica” deriva dal fatto che le rette di

azione delle reazioni dei vincoli individuano le generatrici di un cono, tangente alla cupola lungo il

bordo.

Cupola di rivoluzione: appoggi in sede conica

Come è già stato evidenziato in precedenza, nonostante la disposizione di appoggi in sede conica,

gli sforzi normali np e nm possono non essere le uniche caratteristiche di sollecitazione non nulle in

condizioni di assial-simmetria, potendo essere presenti anche tagli e momenti di meridiano (t e mm)

e momenti di parallelo (mp), purché indipendenti dalla longitudine .

Tuttavia, il regime flessionale che si sovrappone a quello membranale è in generale trascurabile, in

quanto si può pensare alla soluzione in regime di membrana come a quella di una possibile “struttu-

ra principale” della cupola effettiva. Infatti, si può pensare di scomporre idealmente la struttura in

0

0

r

Rp

Op

G()

v

Z

v

Lezione n. 8 – pag. VIII.8

Gianni Bartoli/Claudio Mannini/Carlo Guastini – Appunti di Tecnica delle Costruzioni (2) Revisione – 28/05/12

tanti elementi infinitesimi, tagliandola lungo le linee dei meridiani e dei paralleli, in modo da indi-

viduare un reticolo di “rettangoli”. Si può ora ipotizzare di risolvere la struttura, sottoposta ad un

carico assial-simmetrico, in base ad una struttura principale nella quale, lungo le linee di separazio-

ne tra i vari elementi di superficie appena individuati (quindi sia in direzione meridiana che in dire-

zione parallela), vengano disposte una serie di cerniere “cilindriche”, in modo da annullare l’azione

flettente nella cupola; l’operazione è equivalente a quella che potrebbe essere effettuata in un arco,

posizionando una serie di cerniere distribuite lungo l’asse dell’arco, in modo che questo venga ad

essere costituito da una serie infinita di “bielle” capaci di scambiarsi soli sforzi normali.

Cupola di rivoluzione: struttura principale del carico

La struttura principale individuata è obbligata a ricercare una configurazione di equilibrio in regime

di membrana, ossia in assenza di qualsiasi azione flessionale; la soluzione della struttura andrebbe

successivamente completata reintroducendo le azioni (t, mm e mp) precedentemente soppresse, in

modo da garantire la congruenza degli spostamenti lungo le linee di divisione tra i vari elementi.

Però, dal momento che è stata individuata una struttura principale che, in conseguenza di quanto

detto in precedenza, è “funicolare” del carico applicato, si può affermare che le incognite iperstati-

che sono inessenziali ai fini dell’equilibrio e che producono effetti trascurabili sullo stato di solleci-

tazione/deformazione della cupola.

Si giunge pertanto all’importante risultato secondo cui una cupola di rivoluzione, soggetta

all’azione di carichi assial-simmetrici, può essere studiata facendo ricorso alla sola soluzione in

regime di membrana (purché sia vincolata alla base in maniera rispettosa della presenza delle sole

sollecitazioni che a tale regime competono, ossia attraverso appoggi in sede conica), potendosi

ritenere trascurabili le sollecitazioni di natura flessionale che in essa insorgono.

Tale soluzione è accettabile a patto che non si sia in presenza di singolarità significative nei carichi

e nella geometria della cupola, che possono localmente generare degli stati flessionali assolutamen-

te non trascurabili; ecco allora che sarà in generale necessario che il carico esterno non presenti né

forti concentrazioni né forti discontinuità, che lo spessore e la curvatura varino con regolarità lungo

la struttura e che la superficie media non presenti punti singolari. Altre ipotesi, come accennato in

precedenza, devono essere fatte sulla geometria complessiva della cupola, che non deve presentare

né un forte grado di ribassamento né una forte rigidezza flessionale (quest’ultimo fatto corrispon-

dente alla richiesta che, in generale, la cupola debba presentare uno spessore sufficientemente mo-

desto rispetto ai raggi di curvatura).

Un’analisi a parte (e che verrà svolta nel capitolo successivo) riguarda invece la possibile presenza

di condizioni di vincolo diverse da quella di appoggi in sede conica; in tale caso, infatti, la soluzio-

ne in regime di membrana è accettabile ovunque tranne che in una zona in prossimità dei vincoli,

tanto più estesa quanto maggiore è lo spessore della cupola in rapporto ai suoi raggi di curvatura.

cerniera

cerniera

cerniera

cerniera

Lezione n. 8 – pag. VIII.9

Gianni Bartoli/Claudio Mannini/Carlo Guastini – Appunti di Tecnica delle Costruzioni (2) Revisione – 28/05/12

Per completezza, è necessario precisare che una soluzione di membrana esiste anche per carichi non

assial-simmetrici, sebbene in questo caso per garantire l’equilibrio, oltre agli sforzi normali di meri-

diano e di parallelo, si sviluppano anche sforzi tangenziali tmp = tpm agenti sulla superficie della cu-

pola.

Esempio: la cupola sferica

Nel caso di cupola rappresentata da una calotta sferica, i raggi di curvatura di meridiano e parallelo

coincidono in ogni punto con il raggio R della cupola (Rm = Rp = R), per cui le equazioni di equili-

brio si semplificano nelle seguenti:

m p n

m 2

n n p R

Gn

2 R sin

Una volta nota la distribuzione di carico, è agevole determinare, nell’ordine, la risultante G(),

l’andamento di nm ed il valore di np.

Caso 1: carico uniforme

Nel caso di carico uniforme, in corrispondenza di un generico angolo al centro , la risultante verti-cale del carico vale

Cupola semisferica sottoposta ad un carico uniforme

2

G q R sin

da cui

2

m 2 2

q R sinG q Rn

22 R sin 2 R sin

cioè i meridiani della cupola sono uniformemente compressi da uno sforzo pari a qR/2.

Considerando un elemento infinitesimo sulla superficie di lunghezza R∙d lungo il meridiano e di lunghezza unitaria in direzione del parallelo, la risultante dell’azione dovuta al carico q vale

dv q R d cos

ed ha una proiezione in direzione normale pari a

2

ndv dv cos q R d cos

r = R∙sin()

Op Om

R

q

d R∙d∙cos()

dv = q∙R∙d∙cos()

dvn

dv

Lezione n. 8 – pag. VIII.10

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Il carico per unità di superficie in direzione normale vale quindi

2

2n

n

q R d cosdvp q cos

R d R d

dove il segno negativo deriva dal fatto che tale azione è orientata all’opposto rispetto al verso della

normale uscente dalla superficie. È a questo punto possibile valutare lo sforzo normale sul parallelo

che vale

2 2

p n m

q R 1n p R n q R cos q R cos

2 2

Lo sforzo normale sui paralleli dipende quindi dal valore della co-latitudine ; in particolare, assu-

me il valore minimo nel vertice della cupola, pari a

p,min p 0

q Rn n

2

mentre assume il valore massimo in corrispondenza del bordo. Nel caso di calotta semisferica, il

valore massimo per =90° è pari a

p,max p 90

q Rn n

2

La cupola è quindi compressa lungo i paralleli nella metà superiore (fino ad un valore della co-

latitudine pari a 45°) mentre è tesa, sempre in direzione dei paralleli, nella metà inferiore, con valori

via via crescenti verso il bordo.

Cupola semisferica sottoposta ad un carico uniforme: equilibrio di metà cupola

È facile rendersi conto che lo sforzo normale lungo i paralleli debba necessariamente cambiare di

segno lungo lo sviluppo del meridiano; infatti, tagliando a metà la semisfera (ossia individuando un

quarto di sfera mediante una sezione con un piano verticale passante dal centro), è necessario che lo

sforzo normale di parallelo assuma sia valori positivi che negativi per rispettare la condizione di

equilibrio alla traslazione orizzontale. Analizzando invece l’equilibrio alla rotazione, si può osser-

vare che la risultante del carico passa dal baricentro di un semicerchio e quindi dista 4R/(3) dal centro della sfera, mentre la risultante della reazione verticale nm passa dal baricentro della semicir-

R X

X’

np

M

R

2R/

4R/(3)

V1/2

V1/2

q

nm

R∙cos()

Lezione n. 8 – pag. VIII.11

Gianni Bartoli/Claudio Mannini/Carlo Guastini – Appunti di Tecnica delle Costruzioni (2) Revisione – 28/05/12

conferenza di base, e quindi a distanza 2R/ dal centro)(+)

. Le due risultanti (uguali, per equilibrio

alla traslazione verticale, e di valore q∙∙R2/2) producono quindi una coppia

2 3q R 2 R 3 R q RM

2 4 3

che deve essere bilanciata dalla coppia prodotta dall’azione dello sforzo normale sui paralleli rispet-

to all’asse X-X’:

/2 /2 3

2

p

0 0

1 q R2 n R cos Rd 2 q R cos R cos Rd

2 3

M

che quindi equilibra quella offerta dall’eccentricità tra carico applicato e reazione verticale.

Caso 2: azione del peso proprio

Ipotizziamo un peso specifico γm del materiale costituente la cupola. In corrispondenza di un gene-

rico angolo al centro , si individua una calotta sferica di raggio R∙sin() e altezza x = R - R∙cos(),

la cui area della superficie vale 2∙∙R∙x; di conseguenza, la risultante verticale del carico vale

2

m mG 2 R R R cos s 2 R 1 cos s

avendo indicato con s lo spessore della cupola.

Cupola semisferica sottoposta all’azione del peso proprio

Di conseguenza, si ha

2

m m

m m2 2 2

2 R 1 cos sG 1 cos s Rn s R

1 cos2 R sin 2 R sin sin

Considerando, al solito, un elemento infinitesimo sulla superficie di lunghezza R∙d in direzione del

meridiano e di lunghezza unitaria in direzione del parallelo, la risultante dell’azione dovuta al peso

proprio vale

mdv s R d

(+)

Il carico verticale ha retta di azione passante per il baricentro di un semicerchio, il quale si trova ad una distanza dal

centro del cerchio pari a d0, mentre la risultante delle reazioni verticali passa per il baricentro di una semicirconfe-

renza, il quale si trova ad una distanza dal centro del cerchio pari a d1; i valori di d0 e d1 sono offerti dalle relazioni:

/2

3

0

0 /22

0

R 2 22 Rd R cos R2 3 43d R

3R R2 Rd22

/2

2

0

1 /2

0

2 Rd R cos2 R 2

d RR

2 Rd

r = R∙sin()

Op Om

R

d

dv = γm∙s∙R∙d

dvn

dv

x

R∙cos()

Lezione n. 8 – pag. VIII.12

Gianni Bartoli/Claudio Mannini/Carlo Guastini – Appunti di Tecnica delle Costruzioni (2) Revisione – 28/05/12

ed ha una proiezione in direzione normale pari a

n mdv dv cos s R d cos

alla quale corrisponde un carico per unità di superficie in direzione normale

mn

n m

s R d cosdvp s cos

R d R d

dove il segno negativo deriva sempre dal fatto che tale azione ha verso opposto rispetto alla normale

uscente dalla superficie.

Lo sforzo normale sul parallelo vale quindi

m

p n m m m

s R 1n p R n s cos R s R cos

1 cos 1 cos

Sia lo sforzo normale sui meridiani che quello sui paralleli dipendono dal valore della co-latitudine

; in particolare, considerando una cupola semisferica, si hanno i valori:

= 0° = 90°

nm m s R

2

m s R

np m s R

2

m s R

Quindi i meridiani risultano compressi, con valore della compressione crescente procedendo dal

vertice verso il bordo (imposta) della cupola, mentre i paralleli, inizialmente compressi, diminui-

scono la loro compressione procedendo verso il bordo, per poi risultare in trazione al di sotto di un

certo valore 1 della co-latitudine; il valore 1 può essere ricavato ricercando l’angolo in corrispon-denza del quale si ha un valore nullo dello sforzo normale nei paralleli:

2

m 1 1

1

1 10 s R cos y cos 0 y y y 1 0

1 cos 1 y

da cui

1 1

1 5 5 1y cos 52

2 2

ossia i paralleli risultano in trazione al di sotto di un angolo di circa 52° a partire dal vertice.

Se una cupola semisferica, sottoposta all’azione del peso proprio e uniformemente supportata in

direzione verticale in corrispondenza dell’imposta, venisse realizzata con un materiale non resisten-

te a trazione (ad esempio, in muratura) si avrebbe la rottura per trazione dei paralleli al di sotto

dell’angolo 1, con la conseguente apertura di lesioni in direzione ortogonale (ossia in direzione dei

meridiani), di ampiezza crescente procedendo verso l’imposta.

Cupola semisferica sottoposta all’azione del peso proprio:

stato fessurativo per materiale non resistente a trazione

R

1

Lezione n. 8 – pag. VIII.13

Gianni Bartoli/Claudio Mannini/Carlo Guastini – Appunti di Tecnica delle Costruzioni (2) Revisione – 28/05/12

Esempio: la cupola conica sottoposta all’azione del peso proprio

Nel caso di cupola conica, in corrispondenza di un generico parallelo a distanza x dal vertice del

cono, con proiezione orizzontale del raggio di parallelo pari a r(x) = x/tg(0), la superficie laterale

della parte superiore del cono vale

S x r(x) a(x)

essendo a(x) l’apotema del cono corrispondente all’altezza x

0

xa(x)

sin

e quindi

0

xS x r x

sin

Di conseguenza, ipotizzando un peso specifico γm del materiale ed indicando con s lo spessore della

cupola, il peso proprio del cono individuato vale

m m

0

xG x s S x s r x

sin

A questo punto, è possibile valutare lo sforzo normale nel meridiano, che assume il valore

m m

m 2

0 0 0 0

G x s r x s xxn x

2 r x sin 2 r x sin sin 2 sin

Alla generica quota x, il raggio di curvatura del parallelo vale

0

p 2

0 0 0 0

r x x cosx 1R x

sin tg sin sin

mentre ovviamente il raggio di curvatura del meridiano, Rm, non è definito (oppure lo potremmo

considerare infinito), essendo nulla la curvatura della generatrice del cono.

La componente normale del carico può essere ricavata analogamente agli esempi precedenti: su un

elemento di lunghezza da, la risultante vale

mdv s da

ed ha una proiezione in direzione normale pari a

n 0 m 0dv dv cos s da cos

0

0

x x

r(x) r

h

a(x)

Rp(x)

Op(x)

n

Lezione n. 8 – pag. VIII.14

Gianni Bartoli/Claudio Mannini/Carlo Guastini – Appunti di Tecnica delle Costruzioni (2) Revisione – 28/05/12

alla quale corrisponde un carico per unità di superficie in direzione normale

m 0n

n m 0

s da cosdvp s cos

da da

dove il segno negativo è ancora dovuto al fatto che tale azione ha verso opposto rispetto alla norma-

le uscente dalla superficie.

Si ottiene, quindi, dall’equazione di equilibrio locale in direzione normale (ricordando che raggio di

curvatura dei meridiani è infinito)

p pm

n n

m p p

n nnp p

R R R

0 m

p n p m 0 2 2

0 0

x cos s xn p R s cos

sin tg

Invece della variabile indipendente x, le equazioni precedenti possono essere scritte anche in fun-

zione del valore del raggio orizzontale di parallelo r(x)

mm

m 2

00

mm

p 2

00

s r xs xn

sin 22 sin

s r xs xn

tgtg

Nel caso di cupola conica soggetta a peso proprio, quindi, sia i paralleli che i meridiani risultano

compressi, con un valore dello sforzo di compressione crescente da un valore nullo al vertice (x =

0) fino ad un valore massimo alla base del cono (x = h).

È da notare che nel caso della cupola conica, la soluzione per un carico offerto dal peso proprio è

del tutto equivalente a quella di un carico uniforme q qualora si ponga q = γm·s/cos(θ0).

Influenza del ribassamento: il caso dell’arco parabolico

Nel caso dell’arco parabolico, sottoposto all’azione di un carico q uniforme, lo stato di sollecitazio-

ne è generalmente caratterizzato dalla sola presenza di sforzi normali.

Considerando, ad esempio, il caso di un arco a tre cerniere, imponendo l’equilibrio alla traslazione

verticale e la condizione di annullamento del momento flettente in chiave, si ottiene:

f

H H

V V

L

x

y A B

C vC

q

Lezione n. 8 – pag. VIII.15

Gianni Bartoli/Claudio Mannini/Carlo Guastini – Appunti di Tecnica delle Costruzioni (2) Revisione – 28/05/12

qLV

2 ;

L L LM 0 V q H f 0

2 2 4 C

da cui 2q L

H8 f

L’equazione della parabola, rispetto agli assi (x,y) segnati in figura, è la seguente (ottenuta impo-

nendo il passaggio per A e C e la tangenza orizzontale in C)

4 f x xy 1

L L

per cui il momento flettente ad una generica distanza x da A vale

2 2 2

2

x L x q L 4 f x xM x V x q H y q x q 1 0

2 2 2 8 f L L

Di conseguenza, l’arco parabolico a tre cerniere equilibra un carico uniforme con soli sforzi normali

di compressione, che variano dal valore massimo in corrispondenza dell’imposta

22q L 4 f

N H cos V sin 18 f L

A

al valore minimo in chiave 2q L

N H8 f

C

Nel caso di rapporti f/L non troppo elevati, il valore dello sforzo è praticamente uniforme lungo

l’arco, dal momento che il rapporto 2

N 4 f1

N L

A

C

assume valori molto prossimi ad 1 per f/L < 0,1.

La struttura appena individuata (arco a tre cerniere) può quindi essere definita come “funicolare del

carico” distribuito uniforme, intendendo con questo che la struttura riesce ad equilibrare il carico

esterno grazie ai soli sforzi normali (in questo caso, di compressione), risultando ovunque nulli i

valori del taglio e del momento flettente.

Si possono poi fare alcune osservazioni aggiuntive:

se la struttura avesse avuto la forma opposta (ossia con la concavità della parabola rivolta verso

l’alto anziché verso il basso), si sarebbe ricavato lo stesso risultato, con la differenza che lo sfor-

zo normale sarebbe risultato di trazione anziché di compressione; la forma a parabola con conca-

vità verso l’alto si presterebbe quindi ad essere utilizzata quando si dovesse considerare una

struttura in grado di sorreggere sforzi di trazione ma non sforzi di compressione. È questo ad

esempio il caso di una fune, che, per la particolare snellezza, non è in grado di sopportare né

sforzi di compressione né sollecitazioni flessionali; da questa osservazione discende la denomi-

nazione di struttura “funicolare” del carico. La forma studiata (parabola con concavità verso il

basso) si presta invece ad essere utilizzata nel caso di materiali con bassa (o nulla) resistenza a

trazione, quali ad esempio le murature; tale geometria corrisponde infatti alla forma intuitiva

dell’arco, storicamente realizzato con materiali non in grado di sopportare sforzi di trazione.

La forma della struttura, che realizza la condizione di essere funicolare di un dato carico, è colle-gata all’andamento del diagramma del momento flettente che nascerebbe, a parità di carico, in

una trave rettilinea di luce L, pari alla corda dell’arco, e avente gli stessi vincoli; valutandone il

diagramma del momento flettente e realizzando una trave che ne segue l’andamento, si otterreb-

be una struttura in grado di equilibrare il carico esterno con soli sforzi di trazione (se la concavità

è la stessa del diagramma dei momenti) o di compressione (se la concavità è opposta a quella del

diagramma dei momenti).

Lezione n. 8 – pag. VIII.16

Gianni Bartoli/Claudio Mannini/Carlo Guastini – Appunti di Tecnica delle Costruzioni (2) Revisione – 28/05/12

La condizione di struttura funicolare è quella che realizza, nel caso di sezioni compatte (ad

esempio, rettangolari) il miglior sfruttamento del materiale, in quanto la sezione risulta unifor-

memente compressa (o tesa).

Un’ultima osservazione, un po’ meno intuitiva, riguarda il fatto che in strutture iperstatiche che

ammettono una struttura principale che risulta funicolare per la particolare condizione di carico, il

ruolo svolto dalle incognite iperstatiche nell’equilibrio della struttura diviene secondario. In altre

parole, operando nell’ottica del metodo della congruenza, una volta individuata una struttura princi-

pale, resa isostatica attraverso l’eliminazione dei gradi di vincolo (esterni o interni) sovrabbondanti,

se questa risulta funicolare del carico applicato, si può prescindere dall’effetto delle incognite iper-

statiche nella determinazione dello stato di sollecitazione, limitando lo studio alla sola struttura

principale. Rimandando ad altri testi per l’approfondimento dell’osservazione appena fatta (ad

esempio, al cap. VI del primo volume del testo di P. Pozzati “Teoria e Tecnica delle Strutture”,

UTET, 1972), vale la pena di ricordare che tale approccio viene utilizzato, ad esempio, nel calcolo

di una struttura reticolare in acciaio caricata nei nodi; anche se il vincolo che si realizza tra le varie

aste è spesso più simile ad un incastro piuttosto che ad una cerniera vera e propria, la soluzione ot-

tenuta ignorando l’effetto dei momenti flettenti alle intersezioni delle aste, oltre che delineare una

procedura di progetto a favore di sicurezza, nell’ottica del primo teorema dell’analisi limite, è co-

munque molto prossima alla soluzione elastica effettiva della travatura. In questo caso, infatti, la

struttura principale ottenuta svincolando a flessione le estremità delle aste è funicolare del carico

assegnato (forze agenti solo nei nodi), per cui si può prescindere dall’effetto che i momenti flettenti

inducono nelle aste, in quanto trascurabile rispetto allo stato tensionale prodotto dai soli sforzi nor-

mali.

Tornando all’arco a tre cerniere descritto in precedenza, questa osservazione porta alla conclusione

che, se anche venissero fatte variare le condizioni di vincolo (a parità di carichi e forma della strut-

tura), non si otterrebbero valori molto diversi delle caratteristiche di sollecitazione; ad esempio, se

l’arco fosse vincolato con le sole due cerniere di estremità oppure fosse incastrato alle estremità, le

sollecitazioni si discosterebbero molto poco dalla soluzione della struttura isostatica di arco con tre

cerniere. A titolo di esempio, nella figura seguente è riportato l’andamento della curva delle pres-

sioni (ossia dell’eccentricità e = M/N), valutato nelle due condizioni di arco a due cerniere e di arco

incastrato, per una struttura con L = 10 m, f =1 m (f/L = 1/10), sezione rettangolare 20 × 50 cm;

mentre nel caso di arco a tre cerniere la curva delle pressioni coincide con la linea d’asse (essendo

ovunque nulla l’eccentricità a causa dell’assenza di momento flettente), negli altri due casi tale cur-

va si discosta dalla linea media dell’arco ma rimane sempre molto prossima ad essa, come dimostra

il confronto con le dimensioni della sezione (tratteggiata in figura; si noti che la scala delle altezze è

amplificata rispetto a quella delle ascisse).

Curva delle pressioni nei due casi di arco incernierato (in rosso) e incastrato (in celeste) alle impo-

ste

Lezione n. 8 – pag. VIII.17

Gianni Bartoli/Claudio Mannini/Carlo Guastini – Appunti di Tecnica delle Costruzioni (2) Revisione – 28/05/12

La soluzione trovata nel caso dell’arco a tre cerniere fornisce un valore della spinta orizzontale H e

dello sforzo normale in funzione della freccia f dell’arco: 2

C

q LH N

8 f

È altresì evidente che se il valore della freccia tendesse a zero, il comportamento dell’arco dovrebbe

tendere a quello di una trave rettilinea (labile, nel caso di un arco a tre cerniere), nella quale

l’equilibrio ai carichi esterni (un carico uniformemente distribuito, in questo caso) è garantito dalla

presenza di momento flettente e taglio, in assenza di sforzi normali; nel caso di un arco a due cer-

niere, la corrispettiva trave rettilinea di luce L, incernierata alle estremità, riesce a portare lo stesso

carico q attraverso una distribuzione parabolica del momento flettente, che assume il valore massi-

mo in mezzeria: 2

max

q LM

8

In alternativa, come dimostra l’espressione vista precedentemente, se volessimo sorreggere il carico

con soli sforzi normali, questi dovrebbero tendere a valori infiniti man mano che l’arco tende a di-

ventare molto ribassato, ossia quando f/L 0.(+)

Il passaggio dal comportamento ad arco a quello a trave deve avvenire con gradualità, per cui lo

sforzo normale deve via via attenuarsi (e al contempo taglio e momento flettente devono crescere)

al diminuire della freccia della struttura, seguendo un criterio definito da alcuni autori come “conti-

nuità statica” (si veda, ad esempio, il testo di Pizzetti e Zorgno Trisciuoglio, “Principi statici e for-

me strutturali”, UTET 1980). Dalla soluzione rigorosa per l’arco a due cerniere, si osserva che, ini-

zialmente, all’aumentare del grado di ribassamento della struttura, la spinta orizzontale H (e conse-

guentemente lo sforzo normale) tende a crescere, seguendo l’andamento descritto in precedenza; in

corrispondenza di un certo valore di f/L la spinta raggiunge il suo massimo e, continuando a ridurre

l’altezza dell’arco, tende a decrescere rapidamente, fino ad annullarsi per un valore di pochissimo

inferiore rispetto a quello per il quale se ne era osservato il massimo. Nel grafico seguente si è ri-

portato, nella forma adimensionale h = H/(qL) (ossia tramite il rapporto tra spinta orizzontale e ca-

rico totale agente sulla trave), il valore della spinta in funzione del rapporto tra altezza e luce

dell’arco; in linea continua è indicata l’iperbole

H Lh '

q L 8 f

che rappresenta la soluzione trovata in precedenza per l’arco a tre cerniere. Il grafico si riferisce al

solito arco preso ad esempio in precedenza (L = 10 m, f variabile, sezione rettangolare 20 × 50 cm):

per valori inferiori a f/L 1/10, si nota che il valore della spinta comincia ad essere minore rispetto

a quello calcolato in precedenza, raggiungendo un massimo per f/L 1/50 = 0,02, per poi tendere rapidamente a zero.

(+)

Vedendo il problema alla rovescia, considerando cioè una fune tesa anziché un arco compresso, è intuitivo compren-

dere che, per sostenere un carico applicato, sorreggendo la fune soltanto alle sue estremità, sarebbe necessario eserci-

tare una forza di trazione (“tiro” nella fune) enorme, se volessimo mantenerla in posizione rettilinea.

Lezione n. 8 – pag. VIII.18

Gianni Bartoli/Claudio Mannini/Carlo Guastini – Appunti di Tecnica delle Costruzioni (2) Revisione – 28/05/12

Valore della spinta orizzontale (adimensionalizzata) in un arco parabolico a due cerniere in fun-

zione del rapporto f/L

Il valore del rapporto f/L per cui la spinta assume il valore massimo (che rappresenta una sorta di

“spartiacque” tra il comportamento flessionale e quello funicolare del carico) dipende dalla

geometria della sezione trasversale. Per una sezione con una rigidezza flessionale maggiore di

quella assiale, una sezione a doppio T, ad esempio, il comportamento ad arco viene abbandonato

per valori più alti del rapporto f/L (indicativamente, intorno a f/L 1/20 = 0,05) e la spinta cresce in misura più contenuta; questo è dovuto al fatto che la sezione rettangolare si presta meno dell’altra a

resistere per flessione, per cui l’arco corrispondente tende a rimandare il più possibile la trasforma-

zione “in trave”, cercando di esaltare la spinta per sostenere il carico esterno.

Il grafico seguente permette di interpretare il passaggio da arco a trave riportando i valori della

spinta H, dello spostamento verticale in chiave vC e del momento flettente in chiave MC al variare

del rapporto di ribassamento, sempre per l’esempio analizzato in precedenza; le varie grandezze

sono espresse nella forma adimensionale:

*

2

fun

H Hh

q LH

8 f

, *

2

C,trave

M Mm

q LM

8

C C

, *

4

C,trave

v vv

5 q Lv

384 E J

C C

Lezione n. 8 – pag. VIII.19

Gianni Bartoli/Claudio Mannini/Carlo Guastini – Appunti di Tecnica delle Costruzioni (2) Revisione – 28/05/12

Valore di h*, v

* e m

* in un arco parabolico a due cerniere a sezione rettangolare, in funzione del

rapporto f/L

Evidentemente il valore del momento flettente m* deve tendere a zero (e parallelamente il valore di

h* deve tendere a 1) man mano che il comportamento tende a divenire quello dell’arco, e quindi per

valori “alti” di f/L; l’opposto avviene invece quando f/L 0. È interessante notare che gli anda-

menti di v* e di m

* sono praticamente coincidenti, a riprova del fatto che le deformazioni sono es-

senzialmente di natura flessionale, per cui, quando lo sforzo normale prende il sopravvento e la

struttura abbandona il comportamento a trave per andare verso quello ad arco, la rigidezza assiale fa

sì che le deformazioni siano estremamente contenute.

In corrispondenza di f/L 1/50 = 0,02 (al quale corrisponde il massimo della spinta H), i tre grafici passano per il valore 0,5 e quindi il comportamento è esattamente intermedio tra quello di una trave

e quello di un arco.

Per f/L 1/10 = 0,1 il comportamento è già al 95% quello dell’arco, per cui si può indicativamente

adottare questo limite come grado di ribassamento oltre il quale la teoria della trave (o dell’arco, a

seconda da quale parte si guardi il problema) deve essere abbandonata.