L’EVOLUZIONE - Esercito Italiano · ANTHROPOS - 114 battaglione e della Brigata. In...

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L’EVOLUZIONEDELLA FANTERIA ITALIANANELLA GRANDE GUERRA

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All’inizio delle ostilità la fanteria italiana com-prendeva un totale di 548 battaglioni così suddi-visi: 438 di fanteria di linea, 58 di bersaglieri e 52di alpini, dei quali 26 di milizia territoriale. Lafanteria avrebbe dovuto essere ordinata in eserci-to permanente, che comprendeva i reparti esi-stenti fin dal tempo di pace, milizia mobile e mili-zia territoriale, costituite di reparti di nuova for-mazione da impiegare come riserva e difesa in-terna dello Stato. I reparti di milizia mobile furonoin realtà costituiti con il personale delle stesseclassi con le quali si formarono i reparti dell’eser-cito permanente e impiegati in zona di guerra;sicché nel complesso non vi fu sensibile differen-za tra reparti dell’una e dell’altra linea. I reparti dimilizia territoriale, costituiti con personale anzia-no o giovane ascritto a detta milizia, furono im-piegati, tranne quelli alpini, per servizi ausiliari eraramente in prima linea.

I reggimenti di fanteria di linea e granatieriavrebbero dovuto essere su tre battaglioni di 4compagnie della forza media di 250 uomini e unasezione mitragliatrici per battaglione, ma, in ef-fetti, gli organici non erano completi, con la se-zione mitragliatrici e le prescritte salmerie spessomancanti. I battaglioni bersaglieri, inizialmente su3 compagnie, all’inizio del 1916 ricevettero an-ch’essi la quarta compagnia. Unità tattica fonda-mentale era la Brigata su due reggimenti di fante-ria, ma anche in questo caso la pratica si discostònon poco dalla teoria, dato che all’inizio dellacampagna, parecchi reggimenti finivano per ope-rare isolatamente e talora anche in settori assailontani da quello nel quale agiva la propria briga-ta. I reggimenti bersaglieri impiegati quali truppesuppletive e staccati dai propri battaglioni ciclisti,lamentavano analoghe deficienze organiche. I re-parti alpini, invece, potevano considerarsi al com-pleto di uomini e di mezzi e, quindi, di sicura ef-

ficienza materiale e morale.In complesso perciò, l’Esercito entrò in guerra

con unità di fanteria non completamente organiz-zate e soltanto nella primavera del 1916 le unitàstesse acquisirono l’efficienza organica previstadalle tabelle di mobilitazione. Così ordinata, lafanteria italiana partecipò alle prime sanguinoseoffensive, che non riuscirono a sfondare le lineedi difesa approntate dal nemico con largo ricorsoalla fortificazione campale ed all’ostacolo passivo.I piccoli successi ottenuti nelle battaglie del 1915furono conseguiti soprattutto con lo slancio el’ardire dei fanti; furono anche pagati, però, a ca-ro prezzo, perché non sostenuti da armi di ac-compagnamento e, soprattutto, da artiglierie dimedio e grosso calibro capaci di avere ragionedelle resistenze avversarie.

La vvasta bbibliografia cche ddocumenta ee rracconta lle vvicende ddi qquel ssanguinoso cconflitto hha ssovente ttrascuratoalcuni aaspetti, ssoprattutto ooperativi, cche hhanno ddecisamente iinfluito ssugli eeventi ffinali. TTra qquesti ddi aassolutarilevanza ssono lle ggraduali ttrasformazioni aa ccui ffurono ssottoposte lle uunità ddi ffanteria, ddapprima pper aarginareil nnemico, ppoi pper rricacciarlo aal ddi llà ddelle AAlpi.

L’EVOLUZIONE DDELLA FFANTERIAITALIANA NNELLA GGRANDE GGUERRA

Sopra.Una sezione mitragliatrici «Maxim Vickers» cal. 6,5 mm diun reggimento bersaglieri all’inizio del conflitto.

In aapertura.Addestramento di una squadra bersaglieri nelle retroviedel fronte del Piave.

Se le trasformazioni organiche non furono no-tevoli, nei primi mesi della guerra si registrò, in-vece, un considerevole aumento dei reparti, chefece accrescere di un quarto la forza della fante-ria. Nella primavera del 1916, infatti, affluironoin zona di guerra 32 nuovi reggimenti di fanteria,26 battaglioni alpini, 4 reggimenti bersaglieri. Fuquesto il primo ed anche il maggiore incrementodi forze durante la campagna: ma ancora più cheper tale apporto numerico, la fanteria accrebbe lasua forza combattiva per quello fornito da unnumero sempre crescente di nuovi mezzi e stru-menti di lotta. Oltre alle bombe a mano, ai lan-ciabombe, alle protezioni passive (elmetti e scu-di), furono distribuite in maggior copia le armiautomatiche. Si cercò, infatti, di eliminare lamaggiore deficienza della nostra fanteria rispettoa quella avversaria, costituita dall’esiguo numerodi mitragliatrici. Così, a partire dal maggio 1916si poté assegnarne con sempre maggiore lar-ghezza ai reparti; fino a che, nell’ottobre dellostesso anno, ogni reggimento poté disporre di 4sezioni mitragliatrici, più una o due sezioni pi-stole mitragliatrici, nuova arma adottata per l’of-fesa e la difesa ravvicinata. Fu iniziata, inoltre,l’assegnazione di due reparti, in seguito deno-minati compagnie mitragliatrici pesanti, a cia-scuna Brigata e Divisione. In considerazione del-l’importanza assunta dai lavori di difesa campaleimposti dalla guerra di trincea, fu incrementatonotevolmente il numero degli zappatori, nell’am-bito del reggimento di fanteria,con la costituzione dei repartizappatori per battaglione difanteria, cui si affidarono buo-na parte dei compiti prima as-segnati alle truppe del genio.Sempre nella primavera del1916, fu incrementato anche ilnumero di portaferiti assegnatia ciascuna compagnia di fante-ria, che passò da 4 ad 8 uomi-ni, mentre i tamburini cambiarono il loro incaricoin porta ordini.

L’espansione dell’Esercito, richiesta per guarnireun fronte ampio 650 km e per sostenere azionioffensive sempre più violente, determinò nel-l’estate 1916 una crisi di complementi e una con-seguente prima riduzione nella forza delle com-pagnie (225 uomini), accompagnata da una crisidei Quadri, dovuta sia alle perdite sia ad una in-sufficiente organizzazione delle fonti di recluta-mento, ed infine una crisi di armamento, tantoche fu necessario ricorrere al vecchio fucile Vet-terli mod. 87/16 per l’armamento di reparti di se-conda linea. D’altro lato però, l’esperienza bellica,l’addestramento migliorato, la comparsa di nuovearmi tra cui le bombarde, il cui impiego a massa

costituì una vera sorpresa tattica, la disponibilitàdi un maggior numero di artiglierie offrirono nuo-ve possibilità di successo, culminanti nella presadi Gorizia nell’agosto 1916.

Nell’inverno 1916-1917 furono costituiti repartiorganici di skiatori, in precedenza della consi-stenza di pattuglia, ordinati in plotoni, compagniee battaglioni per l’impiego tattico in terreni d’altamontagna. Erano formati da alpini e organizzati inmodo da avere una certa autonomia logistica.Vennero quasi tutti disciolti nella primavera 1917.

Tra la fine del 1916 e l’iniziodel 1917 si posero i piani peruna ulteriore espansione del-l’Esercito. Traendo personalegiovane dai Comandi, dai servi-zi e dagli stessi battaglioni dimilizia territoriale e con altreprovvidenze organiche si riuscìa creare altre nove Brigate difanteria e a costituire una riser-va di complementi. Inoltre, nei

primi mesi del 1917, si adottò un provvedimentoorganico che sviluppatosi rapidamente diede buonifrutti: quello di utilizzare le attitudini individuali deifanti, specializzandoli. Sorsero, così, dapprima lesquadre di lanciatori di bombe a mano e da fucile,poi, nell’estate 1917 i reparti arditi che, costituitida volontari aventi spiccate attitudini fisiche e dotidi ardimento, crebbero rapidamente in numero efama. Erano formati inizialmente su compagnie ebattaglioni autonomi, poi trasformati in reparti ditre compagnie armati complessivamente con 6 se-zioni di pistole-mitragliatrici, 3 sezioni mitraglia-trici pesanti, 6 sezioni di lanciafiamme portatili,una sezione lanciatorpedini.

Nella primavera del 1917 si ebbe, anche, unatrasformazione radicale nella composizione del A

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....nei pprimi mmesi ddellaguerra ssi rregistrò uun cconsi-derevole aaumento ddei rre-parti, cche ffece aaccresccere ddiun qquarto lla fforza ddellafanteria

La «Bombarda» da 58 fu introdotta nell’organico dellaDivisione di fanteria verso la fine della guerra.

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battaglione e della Brigata. In quest’ultima, ondeovviare alle difficoltà del rifornimento comple-menti, si costituì un battaglione complementi,chiamato di marcia, formato da tante compagniequanti erano i battaglioni da rifornire; nel batta-glione, ridotta la forza della compagnia prima a200 e poi a 175 uomini, si trasformò la quartacompagnia in compagnia mitragliatrici, elevando,così, il numero delle mitragliatrici nel reggimentoda 8 a 18; inoltre, le pistole mitragliatrici furonoportate ad una sezione per compagnia fucilieri e,infine, per dare maggior modo ai fanti di vincerele resistenze che si presentava-no sul campo di battaglia, siassegnò a ogni battaglione unasezione di 6 armi lancia torpe-dini, destinate a disimpegnaregli individui isolati dal sangui-noso incarico di aprire i varchinei reticolati mediante pinzetagliafili e tubi esplosivi.

Nell’ottobre 1917, la fanteriacontava circa 900 mila uomini, pari alla metà dellaforza dell’Esercito operante; vi erano 868 batta-glioni, dei quali 64 bersaglieri e 85 alpini, oltre a615 compagnie mitragliatrici autonome, 12 bat-taglioni bersaglieri ciclisti e 21 reparti d’assalto.Complessivamente i reparti di fanteria erano au-mentati di circa un terzo del loro numero origina-rio. Tra l’estate e l’autunno 1917 si costituironoquattro nuove Brigate ordinate su 3 reggimenti difanteria.

Si giunse così alle dolorose vicende della dodi-

cesima battaglia dell’Isonzo dell’ottobre-novem-bre 1917. La ritirata sul Piave comportò notevoliperdite sia in uomini che soprattutto in artiglie-rie, e ciò rese indispensabile un riordinamentodell’Esercito e della fanteria in particolare. Sioperò una importante riduzione di unità che videlo scioglimento di 23 Brigate di fanteria, 3 reg-gimenti bersaglieri e 20 battaglioni alpini. I re-parti di fanteria furono ridotti di circa un quinto,di un settimo i bersaglieri e di un quarto gli alpi-ni. Anche la forza delle compagnie fu contrattaprima a 150 e poi a 145 uomini. Nell’ambitodella compagnia, tutti gli elementi ausiliari delComando e gli addetti a cariche speciali furonoriuniti in un plotone, denominato «misto». In talmodo ogni compagnia risultò su 3 plotoni fuci-lieri «ordinari», uno «misto» e una sezione pi-stole-mitragliatrici.

Nel tempo stesso si rinforzarono, essenzial-mente con i complementi della classe 1899, leunità sopravvissute. Si costituirono anche provvi-soriamente Brigate e reggimenti con personaledella specialità d’artiglieria bombardieri, rimastisenza armi pesanti, che furono impiegati comereparti di fanteria di linea. Il riordinamento sisvolse in tempi oltremodo rapidi così che, nelgiugno del 1918, la fanteria italiana poté valida-mente opporsi all’offensiva austro-ungarica sca-tenata sul Piave, sul Grappa e sugli Altipiani.

Nel 1918 non si apportarono nuove e sensibilitrasformazioni nelle unità di fanteria, ma si conti-nuò a perfezionarle nei particolari e ad aumentar-ne l’efficienza adottando qualche nuovo arma-mento come il mortaio «Stokes», in sostituzionedel lanciatorpedini, il lanciafiamme d’assalto ed ilcannoncino da 37 mm, accrescendo il numerodelle mitragliatrici sino ad avere una media di 36

armi pesanti per reggimento,(considerando anche le armiautomatiche assegnate alle Bri-gate e alle Divisioni), costituen-do, infine, in ogni reggimentoun plotone d’assalto. Fu dispo-sto, inoltre, che il personaledella specialità mitraglieri per-desse ogni dipendenza daicentri di formazione delle unità

mitraglieri; esso divenne per ogni aspetto parteintegrante dei battaglioni e dei reggimenti, abo-lendo così ogni legame estraneo. Questo provve-dimento fu destinato a migliorare il rendimento incombattimento dei reparti mitraglieri.

Al fine di incrementare l’amalgama tra i diversireparti, migliorare l’affiatamento tra formazioni difanteria, artiglieria e genio ed elevare il rendi-mento in combattimento delle Grandi Unità, fu di-sposta l’inscindibilità della Divisione. Fino ad allo-ra, infatti, la limitata disponibilità di forze in rela-

La rritirata ddel PPiave ccom-portò nnotevoli pperdite ee cciòrese iindispensabile uun rrior-dinamento ddell’’Esercito eedella ffanteria iin pparticolare

Una postazione d’alta quota di mitragliatrice «Vickers»in Carnia.

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zione alla vastità del fronte, aveva costretto so-vente a scindere le Divisioni, i cui reparti dipen-denti operarono frazionati e disgiunti a secondadelle imperiose necessità del momento. Il nuovoCapo di Stato Maggiore, Generale Armando Diaz,ordinò invece la manovra e l’impiego unitario del-la Divisione al completo delle sue due Brigate difanteria, del reggimento d’artiglieria da campagnae dei reparti di supporto.

La principale innovazione ordinativa dell’Eserci-to italiano nella Grande Guerra fu la costituzione,nel 1918, prima di Divisioni d’assalto e poi di unCorpo d’Armata d’assalto. La Divisione d’assaltocomprendeva reparti di arditi, bersaglieri, artiglie-ria someggiata, cavalleria, ciclisti e truppe tecni-che. Verso la fine del 1918 era in corso di distri-buzione il moschetto automatico, come arma-mento individuale in sostituzione del fucile, e instudio un nuovo modello di battaglione di fante-ria, ispirato dagli organici tedeschi, che esaltavala capacità di erogazione di fuoco a tiro teso. Lanuova formazione avrebbe dovuto disporre di ben37 armi a tiro a raffica contro le 16 del battaglio-ne vecchio tipo. Questa trasformazione, cheavrebbe rivoluzionato oltre agli organici anche letecniche di combattimento della fanteria, non fecein tempo a essere adottata prima della conclusio-

ne delle ostilità.Riguardo i mezzi di trasporto, la guerra vide una

leggera riduzione del carreggio presso i reggi-menti di fanteria, compensata dall’assegnazioneorganica a ciascun reggimento di fanteria, grana-tieri e bersaglieri di una salmeria. Il numero deimuli in dotazione fu progressivamente ridotto da216 a 100.

Alla data dell’armistizio, la fanteria contava 702battaglioni di fanteria di linea, granatieri, bersa-glieri e alpini, oltre a 29 reparti d’assalto a livellodi battaglione; con una forza complessiva paricirca ai tre quinti di quella totale dei combattentidelle varie armi, valutata in poco più di due milio-ni di uomini. Nel novembre 1918 le percentuali ditruppe scelte (bersaglieri e reparti d’assalto) e ditruppe speciali (alpini e bersaglieri ciclisti) eranorispettivamente di 7,2 e 8 % in confronto alla fan-teria di linea. Nonostante il poderoso sviluppo cheebbe l’artiglieria e il sensibile aumento del genio,nel 1917-1918 l’aliquota della fanteria rispettoalle altre armi non si era quindi abbassata in mo-do significativo.

In conclusione, le principali linee di sviluppodella fanteria italiana nella Grande Guerra furono:• incremento notevole delle mitragliatrici per au-

mentare la potenza di fuoco delle minori unità;• costante diminuzione numerica della forza della

compagnia passata da 250 a 145 fucili al fine dirisparmiare l’elemento uomo;

• specializzazione dei compiti della fanteria culmi-nata con la costituzione delle truppe d’assalto;

• introduzione di nuove e diversificate sorgenti difuoco (cannoncino, lanciafiamme, lanciatorpedi-ni, mortaio, pistola mitragliatrice e moschettoautomatico, bomba a mano e da fucile).

Filippo CCappellanoTenente Colonnello,

Comandante del CUSDIFE

BIBLIOGRAFIA

C. Barbasetti, Organizzazione e sviluppo della fanteriaitaliana durante la campagna 1915-1918, «Rassegnadell’Esercito Italiano», 1922;C. Manzoni e A. Ricagno, «Evoluzione organica del-l’Esercito Italiano prima e durante la Grande Guerra»,Scuola di Guerra, s.d.;«Relazione ufficiale: L’Esercito Italiano nella GrandeGuerra (1915-1918)», Stato Maggiore dell’Esercito -Ufficio Storico, volumi ed anni vari;Notizie organiche sommarie sull’Esercito mobilitato,Comando Supremo - Reparto Operazioni - Ufficio AffariVari e Segreteria - Sezione Istruzioni, 1917;Formazioni organiche, Comando 4a Armata - UfficioOperazioni, s.d..

Fanti italiani sul basso Piave.

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Attualmente, circa un terzo dei ricorsi ammini-strativi-giurisdizionali presentati avanti i TAR ri-guarda l’annosa problematica dei trasferimenti delpersonale militare. Ed in effetti i Tribunali Ammini-strativi Regionali si sono espressi innumerevoli vol-te, sicchè - per brevità - ci limiteremo ad esaminaresolo le decisioni più recenti, al fine di esporre, nellamaniera più chiara possibile, l’orientamento deiGiudici amministrativi al riguardo.

La prima considerazione da farsi è che i «trasferi-menti», pur essendo atti provenienti della P.A., nonlo sono stricto sensu, ma rientrano nella più strettacategoria degli «ordini», di talchè il provvedimentodi trasferimento non abbisogna di motivazione, ri-chiesta invece per tutti gli atti amministrativi exL.7/8/90, n. 241: così si esprime la recente Sent.TAR Valle d’Aosta 17/5/04, n. 46.

A dire il vero, tale orientamento può ritenersiormai consolidato, poiché questo stesso principioè stato elaborato anche dal TAR Campania IV Sez.26/1/04, n. 288, in cui si aggiunge che - proprioperché si tratta di «ordini» e non di «atti ammini-strativi» - non deve nemmeno essere comunicatoall’interessato l’avvio del procedimento di trasfe-rimento.

Arrivati a questo punto occorre chiedersi qualesia l’interpretazione espressa al riguardo dai ma-gistrati amministrativi. Risponde a questo propo-sito la Sent. TAR Lazio II Sez. 27/7/04, n. 7476, incui si distingue il trasferimento a domanda (ove èprevalente la volontà del militare), da quello«d’autorità» in cui non si devono ricomprenderesolo i trasferimenti d’ufficio per esigenze di servi-zio, ma anche tutti quelli in cui la determinazionedell’Autorità prescinda da ogni manifestazione divolontà del militare.

Tuttavia un primo spiraglio, rispetto a questoorientamento giurisdizionale, più restrittivo, sem-bra aprirlo la Sent. TAR Sardegna I Sez. 23/3/04,n. 428, in cui, pur ribadendo che i provvedimentidi trasferimento di militari non abbisognano dimotivazione, si precisa che devono concretamen-te sussistere in fatto i motivi che hanno determi-nato l’adozione dell’ordine di trasferimento, altri-menti quest’ultimo si appalesa illegittimo.

Tuttavia i Giudici dimostrano anche delle apertu-re in senso più favorevole al personale delle FF.AA.,perché la Sent. TAR Parma 21/10/04, n. 682 affer-ma che i trasferimenti d’autorità vanno comunquemotivati ed aggiunge il TAR Catanzaro, Sez. I,6/2/04, n. 252 che - a maggior ragione - devonoessere motivati i dinieghi di trasferimento richiestidal militare, nel caso in cui il richiedente sia inpossesso dei requisiti che la stessa Amministrazio-ne ha individuato come indispensabile ai fini del-l’accoglimento dell’istanza.

Sempre in materia di diniego di trasferimento, ilTAR Abruzzo Sez. Pescara 8/4/04, n. 391 (comeanche la precedente Sent. TAR Sardegna 9/5/02,n. 497) osserva che - definendosi i trasferimenticome «ordini» e non «atti» in senso lato - non vi èuna situazione giuridica soggettiva tutelabile co-me diritto alla sede di servizio; tuttavia, in caso dicomprovate eccezionali esigenze personali e/ofamiliari del militare, deve essere congruamentemotivato il diniego di trasferimento richiesto dal-l’interessato, appunto perchè l’ampia discrezio-nalità esistente in merito (insindacabile dal Giudi-ce del TAR) non può tradursi in un mero arbitriodell’Autorità, poiché anche quest’ultima ha l’ob-bligo di rispettare il principio di imparzialità estretta legalità ex artt. 97 e 98 Costituzione.

Quanto sopra ci porta ad introdurre la comples-sa problematica del familiare di militare portatoredi handicap. Al riguardo l’art. 33, comma 5, Leg-ge 5/2/92, n. 104 (modificata dal successivo art.19, L. 8/3/2000, n. 53) stabilisce che il pubblicodipendente, il quale assista un parente conviventeentro il terzo grado (ove non vi siano altri familiariconviventi), ha diritto di scegliere la sede di lavoropiù vicina al proprio domicilio e non può esseretrasferito senza il proprio consenso. In questocomplesso argomento si è pronunciato il TARCampania Sez. IV con Sent. 23/3/04, n. 3109, che- richiamando un precedente parere della Com-missione Speciale del Consiglio di Stato 19/1/98,n. 394 - ha affermato come tale norma (applica-bile anche al personale delle FF. AA.) non attribui-sce al militare un diritto soggettivo nella prece-denza al trasferimento, ma un semplice interesse

IL TTRASFERIMENTODEL PPERSONALE MMILITARE

tutelabile giuridicamente a scegliere una sede ovesia possibile, perché il diritto di essere assistitodel portatore di handicap deve essere bilanciatocon il superiore interesse pubblico alla sicurezzamilitare ed all’efficienza dei reparti.

Concludiamo questa panoramica giurisdizionalesui trasferimenti con 2 sentenze in materia di tra-sferimento di Ufficiali, perché, in primis, il TAR Par-ma già sopra citato con la Sent. 6/3/03, n. 113, haaffermato che l’obbligo di motivazione degli attidella P.A. sancito dall’art.3, L. 7/8/90, n. 241, deb-ba essere applicato anche ai trasferimenti degli Uf-ficiali delle FF. AA., ma, in particolare il TAR Cata-nia, III Sez., 24/3/04, n. 726 (sempre trattando la

materia del trasferimento degli Ufficiali), aggiungeche la situazione familiare degli Ufficiali ed il relati-vo diritto al ricongiungimento familiare è subordi-nato alla superiore necessità dell’AmministrazioneMilitare di dar corso all’avvicendamento periodicodel personale con incarichi di comando, proprioperché gli Ufficiali sono di norma più soggetti amovimenti disposti d’autorità, di talchè non è con-figurabile alcun diritto al mantenimento della sededi servizio.

Marco VValerio SSantonocitoAvvocato Patrocinante presso la Corte Suprema

di Cassazione e Magistrature Superiori

Un illecito penale commesso da un militare co-stituisce - normalmente - anche illecito discipli-nare. Ciò si verifica poiché un fatto a valenza pe-nale può essere autonomamente valutato dalleautorità militari anche dal punto di vista discipli-nare, integrando - comunque - la violazione deidoveri attinenti al servizio e alla disciplina. Si puòverificare, inoltre, la circostanza per la quale uncomportamento a rilevanza penale presenti anchedei profili peculiari che nulla hanno a che vederecon l’integrazione di una fattispecie criminosa,ma di per sé sono idonei a fondare un’eventualeautonoma responsabilità disciplinare. Nel primocaso si tratta di analizzare il rapporto tra procedi-mento penale e procedimento disciplinare, nel se-condo caso si tratta di valutare l’autonomia dellamancanza disciplinare e, di conseguenza, di pro-cedere separatamente dall’illecito penale all’ac-certamento della relativa responsabilità. L’aspettoche qui interessa è la doppia natura illecita di unreato, quella penale e quella eventualmente disci-plinare che dovrà essere valutata dalle autoritàgerarchiche. In effetti, è principio fondamentaledel diritto sanzionatorio la circostanza per la qua-le l’irrogazione di una sanzione penale non pre-cluda, per lo stesso fatto, l’applicazione anche diuna sanzione disciplinare allo stesso soggetto. In

questo caso si dovrà valutare quanto e come ilgiudizio penale, ormai concluso, abbia rilevanzanella valutazione degli stessi fatti dal punto di vi-sta disciplinare.

In sostanza, i rapporti tra diritto penale e dirittodisciplinare devono essere esaminati - innanzi-tutto - in relazione ai rapporti tra i diversi proce-dimenti di accertamento dei relativi illeciti, suc-cessivamente con riguardo all’esame del giudicatopenale ai fini dell’azione disciplinare.

L’ipotesi contemplata nel primo caso è quellanella quale per uno stesso fatto viene iniziato con-temporaneamente un procedimento disciplinareed uno penale, oppure quando il procedimentopenale sia iniziato prima di quello disciplinare. Perqueste vicende interviene la norma di cui all’art.117, d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, la quale dispo-ne che, qualora per un fatto addebitato ad unpubblico dipendente sia stata iniziata un’azionepenale, il procedimento disciplinare non può esse-re promosso sino al termine di quello penale e, segià iniziato, deve essere sospeso. L’art. 117, d.P.R.n. 3/1957, si coordinava perfettamente con lenorme del vecchio codice di procedura penale(1930) che stabilivano una vera e propria pregiu-diziale penale per i procedimenti disciplinari. Il si-stema è stato sensibilmente modificato con il nuo-

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LL’ESAME DDEL GGIUDICATO PPENALEAI FFINI DDISCIPLINARI

vo codice di procedura penale (1988) che noncontempla più una pregiudiziale penale, ma disci-plina solamente, all’art. 653 c.p.p., l’efficacia dellasentenza penale nel giudizio disciplinare. In que-sto contesto, l’art. 117, d.P.R. n. 3/1957 non puòritenersi implicitamente abrogato, anzi risulta in-direttamente confermato dalla norma di cui all’art.9, comma 2, legge 7 febbraio 1990, n. 19, recante- tra l’altro - norme sulla destituzione dei pubblicidipendenti, la quale dispone, per l’ipotesi di desti-tuzione del pubblico dipendente, militare o civile,a seguito di condanna penale, la prosecuzione o lapromozione della relativa azione disciplinare, la-sciando intendere - nel primo caso - l’avvenutasospensione dello stesso. Bisogna sottolineare chel’art. 117, d.P.R. n. 3/1957 si riferisce all’azionepenale e la stessa, nel nuovo sistema penale pro-cessuale, viene esercitata dal pubblico ministerocon la richiesta di rinvio a giudizio o nelle altreforme particolari previste dai procedimenti specia-li. Il problema allora è relativo all’attività prece-dente all’azione penale, precisamente quella cheviene configurata come fase delle «indagini preli-minari», la quale - ad una prima lettura della nor-ma - non sembra idonea a determinare la sospen-sione del procedimento disciplinare o la mancataproposizione dello stesso. In una prospettiva piùampia e tenendo presenti le finalità dei procedi-menti penale e disciplinare si può affermare senon l’obbligatorietà, almeno l’opportunità dellasospensione del procedimento disciplinare anchenella fase delle indagini preliminari o comunqueprecedente alla vera e propria azione penale. Ciòin relazione, innanzitutto, al principio del buonandamento della pubblica amministrazione, per ilquale avviare un procedimento disciplinare in pen-denza delle indagini preliminari, con la prospettivadi sospenderlo successivamente o, addirittura, diannullare il provvedimento finale contrastante conl’esito del giudizio penale, appare quanto mai in-congruo e contrario ai criteri di efficienza ed eco-nomicità dell’azione amministrativa. La sospensio-ne del procedimento disciplinare in pendenza diindagini preliminari appare allora legittima ed op-portuna.

La giurisprudenza ha più volte affermato che lanorma costituisce un principio generale del setto-re del pubblico impiego, in base al quale il com-portamento dell’amministrazione di attesa delladefinizione del giudizio penale non è in alcunmodo censurabile. Si tenga, infine, conto che lanorma dettata dall’art. 117, d.P.R. n. 3/1957,benché la stessa sia contenuta nel Testo unico

delle disposizioni concernenti lo statuto degli im-piegati civili dello Stato, è ritenuta norma generaledel diritto disciplinare, applicabile anche ai proce-dimenti disciplinari dei militari.

Per quanto riguarda, poi, la valenza della sen-tenza penale, è necessario riferirsi all’art. 653c.p.p. che contempla le tassative ipotesi per lequali quest’ultima ha efficacia di giudicato nelprocedimento disciplinare. L’art. 653, 1° comma,c.p.p. stabilisce che la sentenza penale irrevoca-bile di assoluzione ha efficacia di giudicato nelgiudizio per responsabilità disciplinare davanti al-le pubbliche autorità quanto all’accertamento cheil fatto non sussiste o non costituisce illecito pe-nale ovvero che l’imputato non lo ha commesso.L’art. 653, comma 1-bis, c.p.p. dispone che lasentenza penale irrevocabile di condanna ha effi-cacia di giudicato nel giudizio per responsabilitàdisciplinare davanti alle pubbliche autorità quantoall’accertamento della sussistenza del fatto, dellasua illiceità penale e all’affermazione che l’impu-tato lo ha commesso. Per quanto riguarda que-st’ultima disposizione, un ampio dibattito dottri-nale e diversi e divergenti orientamenti giurispru-denziali ha da sempre suscitato la sentenza diapplicazione della pena su richiesta delle parti,cosiddetta sentenza di patteggiamento, di cui al-l’art. 444 c.p.p.. Il problema è rilevante per i dueprofili fondamentali del giudizio disciplinare:quello relativo all’accertamento dei fatti costi-tuenti mancanza disciplinare e quello connessocon l’eventuale responsabilità per i fatti accertatie addebitati. Il secondo aspetto deve essere sem-pre accertato dall’autorità amministrativa, per cuinon può sussistere alcuna ipotesi di sanzione de-stitutiva automatica a seguito di condanna penalea carico del pubblico dipendente, così come piùvolte ribadito dalla Corte costituzionale edespressamente stabilito dall’art. 9, comma 1, l. n.19/1990 (a parte quanto introdotto dall’art. 5,legge 27 marzo 2001, n. 97, in tema di estinzionedel rapporto di impiego a seguito di condanna peralcuni specifici reati contro la pubblica ammini-strazione, quest’ultima legge introduce norme sulrapporto tra procedimento penale e procedimentodisciplinare ed effetti del giudicato penale neiconfronti dei dipendenti delle pubbliche ammini-strazioni). Qualche perplessità emerge relativa-mente all’accertamento dei fatti costituenti man-canza disciplinare. Infatti, in caso di condannapenale la sentenza acquista valore di cosa giudi-cata quanto all’accertamento della sussistenza delfatto e della sua illiceità penale, circostanza pro-

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blematica con riguardo alle sentenze di patteg-giamento, stante il loro intrinseco carattere nego-ziale e la conseguente carenza di quella piena va-lutazione dei fatti e delle prove che caratterizza,invece, ogni altra sentenza di condanna. La rifor-mulazione dell’art. 445 c.p.p., ad opera della l. n.97/2001, in merito agli effetti dell’applicazionedella pena su richiesta delle parti, con il direttorinvio al novellato art. 653 c.p.p., comporta cheanche la cosiddetta sentenza di patteggiamentoabbia il valore di sentenza di condanna con l’effi-cacia stabilita nei giudizi disciplinari. Non di me-no, in giurisprudenza, si è costantemente affer-mato «che i fatti che hanno dato luogo alla sen-tenza penale di patteggiamento devono formareoggetto di un’autonoma considerazione e la rela-tiva sanzione deve essere irrogata sulla base di unseparato giudizio di responsabilità disciplinare,senza che la ricordata sentenza penale patteggia-ta possa assurgere a presupposto unico per l’ap-plicazione della sanzione disciplinare ovvero aparametro valutativo cui conformare la gravitàdella sanzione da irrogare».

Per l’esame del giudicato penale, infine, l’ammi-nistrazione ha a disposizione dei tempi prestabi-liti che non possono essere disattesi. La l. n.19/1990 ha stabilito che la destituzione (corri-spondente alla perdita del grado per rimozione)del pubblico dipendente, militare o civile, può es-sere inflitta all’esito del procedimento disciplinareche deve essere proseguito o promosso entro 180giorni dalla data in cui l’amministrazione ha avutoconoscenza della sentenza irrevocabile di con-danna. L’art. 5, comma 4, l. n. 97/2001, disponeche, al di fuori dei casi in cui consegue la penaaccessoria dell’estinzione del rapporto di lavoro od’impiego di cui all’art. 32-quinquies c.p., neiconfronti dei dipendenti pubblici condannati consentenza penale irrevocabile per i delitti di cui agliartt. 314, 1° comma, 317, 318, 319, 319-ter e320 c.p. e di cui all’art. 3, l. n. 1383/1941 (reatipropri dell’appartenente alla Guardia di Finanza),l’estinzione del rapporto di lavoro o d’impiegopuò essere pronunciata a seguito di procedimentodisciplinare che deve avere inizio o proseguireentro il termine di novanta giorni dalla comunica-zione della sentenza di condanna all’amministra-zione competente.

Le norme sopra riportate delineano un quadropiuttosto articolato che conviene schematizzare inrelazione al tipo di pronuncia del giudice penale:• sentenza penale di condanna o di applicazione

della pena su richiesta delle parti riferita ai reati

di cui alla l. n. 97/2001 (artt. 314, 1° comma,317, 318, 319, 319-ter e 320 c.p.): 90 giorniper l’esame del giudicato penale (per i fatticommessi dal 6 aprile 2001), decorrenti dallacomunicazione all’amministrazione della sen-tenza penale di condanna. Entro il 90° giornodevono essere formulate (e notificate) le conte-stazioni;

• sentenza o decreto penale di condanna e sen-tenza di applicazione della pena su richiestadelle parti per tutti gli altri reati non contemplatidalla l. n. 97/2001: 180 giorni per l’esame delgiudicato penale, decorrenti dalla data in cuil’amministrazione ha avuto notizia della senten-za irrevocabile di condanna. Entro il 180° giornodevono essere formulate (e notificate) le conte-stazioni;

• sentenze di proscioglimento e sentenze di as-soluzione (tranne quelle pronunciate perché ilfatto non sussiste o l’imputato non l’ha com-messo): 180 giorni per l’esame del giudicatopenale, decorrenti dalla data di irrevocabilitàdella sentenza, se questa è successiva alla datadi deposito, o dalla data di deposito, se l’irrevo-cabilità si sia realizzata prima. Entro il 180°giorno devono essere formulate (e notificate) lecontestazioni;

• decreto di archiviazione: 180 giorni per l’esamedella posizione disciplinare, decorrenti dalla da-ta di deposito del decreto di archiviazione o, ec-cezionalmente, quando si possa dimostrare chel’acquisizione tardiva non sia dovuta ad inerziadell’amministrazione, dalla data del rilascio del-la copia conforme a cura degli uffici giudiziari.Entro il 180° giorno devono essere formulate (enotificate) le contestazioni.È necessario, comunque, evidenziare che il Con-

siglio di Stato, con Adunanza Plenaria 14 gennaio2004, n. 1 ha precisato che l’art. 9, comma 2°,della legge n. 19/1990 va interpretato nel sensoche l’amministrazione procedente è tenuta a con-cludere il procedimento disciplinare nel terminecomplessivo di 270 giorni da quando ha avutonotizia della condanna penale del dipendente in-colpato. Tale termine complessivo si ricava som-mando il termine di 180 giorni imposto per l’ini-zio del procedimento disciplinare a quello dei«successivi» 90 giorni imposto appunto per laconclusione del procedimento disciplinare.

Fausto BBassettaTenente Colonnello CC

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Quest’anno avranno luogo le celebrazioni per ilnovantesimo anniversario della conclusione vitto-riosa, nel novembre del 1918, della Prima guerramondiale. Il conflitto, iniziato il 4 agosto 1914 aseguito dell’assassinio dell’Arciduca FrancescoFerdinando, erede al trono dell’Impero austro-ungarico, doveva essere, secondo le dottrine delmomento, molto breve, una guerra di movimento.

Invece si trasforma subito in guerra di trincea,dove ogni battaglia vede migliaia di caduti, afronte, molto spesso, di conquiste minime, anchesolo di poche centinaia di metri di terreno.

Ormai gli storici hanno analizzato quella guerrain ogni suo aspetto, politico, diplomatico, milita-re, e hanno scritto tutto su quella che viene defi-

nita, per la prima volta nella storia dell’umanità,come «Guerra Mondiale». Ma ogni tanto escequalche «curiosità» che, nel confermare i raccontidi coloro che hanno vissuto quelle vicende in pri-ma persona, ci impone di non perdere la memoriadi quegli uomini che, quasi un secolo fa, hannocombattuto l’ultima guerra per l’unità d’Italia.

Anche un piccolo particolare ci può parlare di queigrandi e drammatici avvenimenti che hanno avutoinizio, per il nostro Paese, nel maggio del 1915.

Un esempio è ciò che è accaduto a un militare diorigini sarde, il Sergente Giovanni Sale, assegna-to, nel 1968, cioè 50 anni dopo quegli avveni-menti, al 76° reggimento fanteria «Napoli», doverimane in servizio fino al 1985, con l’incarico di«maestro di scherma» per il presidio di Cividale.

Figlio di un combattente della Prima guerramondiale, da bambino ha sentito tante volte rac-contare, nelle lunghe serate prima di andare adormire, quella lunga, spesso tragica, esaltanteesperienza vissuta da suo padre.

Il ricordo di quelle storie lo lega alla memoriadel padre, perso a vent’anni, e la destinazione aCividale lo porta a vivere nei luoghi dove il padrediceva di essere stato durante la guerra.

Nei primi mesi del 1987, viene contattato daAdo Cont, un anziano del posto, il quale ricordache da bambino aveva visto dei soldati che parla-vano una strana lingua accamparsi nei prati diAzzida, una piccola frazione di Cividale.

Lo accompagna, allora, in un terreno boscosonei pressi dell’abitato e gli mostra un masso sucui è scolpito: «QUI ATTENDÒ IL PIÙ BEL BATTAGL.DEL MONDO 151° FANTERIA 3° BATTAGLIONEBRIGATA SASSARI».

La presenza di quel masso è la conferma diquanto Giovanni Sale aveva avuto modo di leggerenel volume «Fanterie Sarde», scritto dal TenenteGraziani.

Il sentimento di affetto per il padre e di ammi-razione per quei combattenti è così forte che eglidecide di acquistare il terreno dove è situato quelmasso e, aiutato dal personale del 59° reggimentofanteria «Calabria», di stanza in quegli anni a Ci-vidale, riesce a valorizzare il monolito trasfor-mandolo in un monumento che eterni la memoriadei combattenti sardi, cercando di esaudire l’au-spicio riportato in un passo del volume: Che il

IL MMASSO DDI AAZZIDA

monumento...sarebbe durato nei secoli.Passare per Azzida e fermarsi di fronte a quel

masso ci può aiutare a comprendere meglio per-ché la memoria della Prima guerra mondiale è an-cora così viva in Italia.

Il primo anno di guerra è, per l’Esercito Italiano,quello delle prime «spallate» sul Carso, delle pri-me quattro offensive sull’Isonzo, che producono ilsolo risultato di piantare la Bandiera sulle pendicidel terribile Carso.

Una delle unità che si distingue particolarmenteè la Brigata «Sassari» che, pur se appena costitui-ta, diviene subito protagonista, tanto da esserel’unica Grande Unità ad avere, in quel conflitto, isuoi reggimenti (151° e 152°) decorati di ben dueMedaglie d’Oro al Valor Militare.

Tratta dal settore della 3a Armata e inviate a di-fesa dell’Altopiano, entra in linea nel settore diMonte Fior e Monte Castelgomberto, sulle Melettedi Foza.

Anche sulla guerra della «Sassari» esiste una va-

sta memorialistica e l’opera più nota è «Un annosull’Altopiano» di Emilio Lussu, che descrive gliavvenimenti che hanno inizio da questa fase e siconcludono con la discesa della Brigata verso Ci-vidale, dove alcuni soldati avranno modo di scol-pire quel masso.

Sono uomini che hanno vissuto una delle fasipiù cruente e importanti del conflitto allorché,sottratti dalle pietraie carsiche, raggiungono l’Al-topiano nel momento in cui gli austriaci hanno giàoccupato la conca di Asiago e stanno inviandopattuglie per rilevare il terreno e preparare l’azio-ne che dovrebbe consentire di superare le ultimedifese italiane sul Monte Fior e sul Monte Castel-gomberto, per avere così il controllo delle valli dacui scendere nella pianura veneta e cadere allespalle delle tre Armate schierate sull’Isonzo e nelCadore, per provocare il crollo del nostro Paese.

Monte Fior e Monte Castelgomberto sono difesidai battaglioni alpini «Argentera», «Monviso», «ValMaira» e «Morbegno», sottoposti a una serie diviolentissimi attacchi che riescono a respingeresubendo, però, perdite rilevanti, tali da far temeredi non poter più resistere alla pressione nemica

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Arditi della Brigata «Sassari».

che, giorno dopo giorno, si fa sempre più forte.Dopo un movimento durato tutta la notte, all’al-

ba del 5 giugno 1916 la Brigata «Sassari» raggiun-ge le proprie posizioni e in questo nuovo scenario,così diverso da quello del Carso che ha appena la-sciato, attende il nemico. Nel pomeriggio, dopo unviolento bombardamento durato tutta la mattina,le truppe della 6a Divisione imperiale attaccano leposizioni italiane di Monte Fior e di Monte Castel-gomberto, avanzando in massa e a plotoni affian-cati; l’urto è violento, ma viene ovunque contenu-to, anche per il pronto intervento di alcune com-pagnie del 151° reggimento, attestato a guardiadella sottostante Val Frenzela.

La sera del 7 giugno, dopo un bombardamentodi parecchie ore, viene rinnovato l’attacco controMonte Fior e Monte Castelgomberto, mettendo adura prova la resistenza degli alpini. Il I battaglio-ne del 151° reggimento e il II del 152°, i cui Co-mandanti cadono eroicamente sul campo, muo-vono al contrattacco sulla dorsale del Monte Spill- Monte Fior e sulla selletta che unisce questo alMonte Castelgomberto, ristabilendo la situazione.

Ma il nemico tenta l’ultimo sforzo per raggiun-

gere la sottostante pianura. Così, verso le 21.00,mentre nella zona imperversa un violento tempo-rale, dopo un nuovo bombardamento con i grossicalibri, le truppe austriache investono le linee ita-liane; fra gli attaccanti vi sono anche i musulmanidel 2° reggimento bosno-erzegovese, che muovo-no all’assalto indossando il caratteristico fez difoggia turca. La situazione diviene subito diffici-lissima: alpini e fanti devono retrocedere insieme,così che gli austriaci, superate le difese avanzatedi Monte Fior, riescono ad affacciarsi anche suMonte Castelgomberto. Nella notte stessa, però, il152° reggimento contrattacca e nelle prime oredel mattino riesce a riconquistare le posizionidella selletta abbandonate precedentemente,mantenendo così il possesso di Monte Castel-gomberto contro cui gli austriaci aprono un vio-lento fuoco di artiglieria di tutti i calibri. I fantidella «Sassari», senza più munizioni, riescono an-cora a respingere il nemico con furibondi contrat-tacchi alla baionetta, ma nel pomeriggio la situa-zione diviene talmente critica che, per ordine delComando del Gruppo Alpini da cui dipendono tat-ticamente, i reparti della «Sassari» e ciò che rima-ne dei quattro battaglioni alpini ripiegano sulleretrostanti posizioni del Monte Spill, Monte Mielae Monte Tondarecar, dove viene organizzata la li-nea di resistenza a oltranza.

Il sacrificio della «Sassari» assume le dimensionidi un olocausto: in tre giornate di combattimentosi contano circa 300 tra morti e dispersi e 242 fe-riti fra la truppa, 5 morti e 18 feriti fra gli Ufficiali.

Tra i tanti caduti rimasti insepolti nelle fenditurerocciose della selletta, vi è l’irredento triestinoGuido Brunner, Ufficiale del 152° reggimento, allacui memoria sarà concessa la Medaglia d’Oro alValor Militare.

A quel punto però l’offensiva austriaca, perdutolo slancio iniziale per la tenace resistenza italiana,si attenua fino a esaurirsi.

Il Comando italiano emana, così, gli ordini perun’immediata controffensiva che vuole costringe-re il nemico a ritirarsi oltre la Val d’Assa.

In questa seconda fase della battaglia, che iniziail 16 giugno, la 25a Divisione italiana, costituitadalle Brigate «Sassari» e «Piacenza», nel tentativodi riconquistare Monte Fior e Monte Castelgom-berto, obbliga gli austriaci a un ripiegamento cheli porta ad attestarsi sulle posizioni dominanti delMonte Mosciagh e del Monte Zebio, dove hannoorganizzato la linea di resistenza contro cui la«Sassari» va ripetutamente all’attacco dal 27 giu-gno al 15 agosto. A nulla, però, valgono i valorosi

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Il Capitano Emilio Lussu.

ed epici assalti dei «Sassarini» condotti all’armabianca e privi del necessario sostegno dell’arti-glieria: le posizioni dello Zebio, scavate nella roc-cia, protette da larghe fasce di reticolati e difeseda numerose mitragliatrici, verranno mantenutedagli austriaci sino alla fine del conflitto. Negliscontri cade da prode anche il Comandante dellaBrigata, il Generale Eugenio Di Maria, decoratocon la Medaglia d’Oro al Valor Militare.

Per i combattimenti sostenuti nelle «trincee deiRazzi e delle Frasche» sul Carso e per «l’eroica di-fesa e riconquista di Monte Fior e di Monte Ca-stelgomberto», il 5 agosto viene concessa alleBandiere del 151° e del 152° reggimento la primaMedaglia d’Oro al Valor Militare.

Il 1° settembre la Brigata viene inviata a riposo.La stanchezza di due anni di guerra si fa sentire

anche nelle linee nemiche e così il rigido invernodel 1916-1917, con temperature che scendono fi-no a 24° sotto lo zero, finisce per essere il vero ne-mico dal quale difendersi, mentre gli Alti Comandiitaliani studiano un’operazione che possa migliora-re l’assetto difensivo sull’Altopiano di Asiago.

La controffensiva dell’estate precedente, infatti,pur avendo consentito la riconquista di parte del

terreno perduto nella fase iniziale della Strafex-pedition, si è arrestata davanti alle posizioni ne-miche che corrono sulla dorsale che dal MonteOrtigara scende verso il Monte Zebio, costituendoun pericoloso trampolino di lancio per possibilifuture azioni offensive austriache verso la pianuravicentina. Il perno della difesa austriaca è propriol’Ortigara e così Cadorna decide di attaccarequelle posizioni per spingere gli austriaci oltre ilciglio occidentale dell’Altopiano.

L’operazione (chiamata in codice «azione K» esuccessivamente «azione difensiva nell’ipotesiuno»), prevista per la metà del mese di ottobre1916, per carenza di artiglierie e successivamenteper le difficili condizioni meteorologiche invernali,viene rinviata al mese di giugno 1917 e affidataalla 6a Armata, che può disporre di 190 000 uo-mini e 1 758 cannoni e bombarde di ogni calibro.Una Divisione, la 52a, è composta interamente dareparti da montagna e il peso maggiore dell’of-fensiva ricade proprio sui 18 battaglioni alpiniche, invano, dal 10 al 29 giugno si lanciano all’at-tacco del Monte Ortigara.

Solo dopo terrificanti bombardamenti dell’arti-glieria italiana la cima del monte viene occupatadagli alpini i quali, però, devono immediatamenteritirarsi a causa del diluvio di fuoco che a lorovolta le artiglierie austriache fanno cadere sulle

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Azzida come si presenta oggi.

posizioni appena conquistate.Dopo alterne vicende, il monte Ortigara viene

definitivamente abbandonato dagli italiani il 24giugno, anche se i combattimenti proseguono fi-no al 29, talmente cruenti da far meritare all’Orti-gara il nome di «Tomba degli Alpini».

Anche questa battaglia vede impegnata la Brigata«Sassari» in un’azione concorrente che ha per obiet-tivo la conquista delle posizioni nemiche di MonteZebio e Monte Mosciagh, su cui si era già profusoinutilmente tanto sangue l’anno precedente.

Così, Giuseppe Tommasi, Ufficiale del 151° reg-gimento, nel suo «Brigata Sassari - Note di guer-ra», descrive l’attesa della battaglia: «Siamo dinuovo sull’Altopiano. Fra qualche giorno si attac-cherà: sarà una grande battaglia. Passano conti-nuamente reparti, convogli e bocche da fuoco perraggiungere la loro posizione. La stagione è buo-nissima ma c’è in tutti una grande voglia di me-nare le mani. Da noi c’è l’entusiasmo che ha sem-pre avuto la Sassari quando era convinta della ne-cessità di fare un’operazione e riconosceva ade-guata la disponibilità dei mezzi».

La Brigata è pronta in linea la mattina del 10giugno, ma gli uomini del 151° e 152° vivranno,quel giorno, eventi drammatici.

Alle 5 del mattino, l’artiglieria inizia il fuoco dipreparazione ma, per una serie di cause (vicinan-za della nostra linea a quella nemica, scarsa visi-bilità a causa della nebbia, impreparazione di al-cune batterie giunte da poco in quel settore), ilfuoco italiano è corto e si abbatte violento sulleposizioni della «Sassari», facendo strage di uomi-ni. Tutti rimangono però ai loro posti, anche sescossi nel morale. I reggimenti, schierati in lineaper l’assalto, non riescono a comunicare con lesorgenti di fuoco a causa dell’interruzione dellelinee telefoniche, i portaordini sono tutti feriti omorti, gli osservatori di artiglieria sono anch’essicolpiti dal fuoco delle artiglierie amiche e nessunoriesce a comunicare tempestivamente con le bat-terie da cui parte il tiro; e nemmeno quando alleretrovie giunge la comunicazione di ciò che staaccadendo nelle trincee italiane i risultati del fuo-co cambiano.

Non appena arriva l’ordine «liberatorio» dell’as-salto, la «Sassari» irrompe con ciò che resta deitre battaglioni del 151° reggimento nella trinceanemica che viene conquistata, mentre il 152°, cheha subito le perdite maggiori dal fuoco amico,non riesce ad avanzare, anzi deve respingere i fu-riosi contrattacchi austriaci.

I rincalzi non riescono a sostenere lo sforzo del-le prime ondate e così, a fine giornata, dopo es-sere stata distrutta dal tiro italiano e da tre con-trattacchi nemici respinti, la «Sassari» è costrettaa ripiegare sulle linee di partenza.

Così Giuseppe Tommasi descrive il giorno dopola battaglia: «Il bosco non esiste più e neanche latrincea. Dire rovina è poco, quella di ieri è statoun annientamento.... Ma non piango i morti: sonogià tutti degli eroi. Sono questi soldati ancora vi-venti oggi, che hanno tutto l’abito chiazzato digiallo dalla polvere dei proiettili, che mi fanno piùmale.... Se parlano in gruppo, fra di loro, bisbi-gliano una sola parola: «l’artiglieria!». Terribile ilfuoco di ieri! Vaquer che rimane seppellito tantotempo col suo plotone sotto le macerie del rico-vero, è ancora stordito. Scintu, che a trovarsi solodi notte anche tra selvaggi non proverebbe la mi-nima impressione, ieri si incitava da sé puntellan-dosi le mani alle ginocchia con queste parole“Scintu, fatti coraggio!”. E la maggior parte dei re-parti stava allo scoperto, in balia del fuoco, senzasperanza e salvezza, come una carovana sperdutain mezzo al deserto sotto la furia del ghibli».

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Il Capitano Giuseppe Tommasi.

L’azione viene ritentata il 19 giugno dagli altrireparti della 25a Divisione, la Brigata «Piacenza» eil 5° reggimento bersaglieri, che rimangono a lorovolta decimati.

In quella che passerà alla storia come la «batta-glia dell’Ortigara», il sacrificio della «Sassari» siaccomuna a quello degli alpini: tra gli italiani sicontano 926 Ufficiali e 21 730 soldati caduti, deiquali 378 Ufficiali e 8 213 uomini di truppa ap-partengono ai 18 battaglioni alpini della 52a Divi-sione; la «Sassari» conta 73 morti, 716 feriti e 127dispersi nella truppa; 4 morti, 27 feriti e 7 disper-si tra gli Ufficiali. Tra i caduti il Sergente MaggioreFerdinando Podda e il Caporal Maggiore GiuseppePintus, entrambi decorati con la Medaglia d’Oro alValor Militare.

Il 9 luglio, dopo aver dato l’addio ai propri mortisepolti nei tanti cimiteri di Monte Zebio, la Brigatascende a riposo in Val Piana, da dove era partitacon tanto entusiasmo e dove torna decimata.

La «Sassari» è rimasta sull’Altopiano di Asiagoper oltre un anno ed Emilio Lussu, uno dei più va-lorosi e amati Ufficiali della Brigata, scriverà annidopo il libro «Un anno sull’Altopiano» per parlaredei «Rote Teufel» (i Diavoli Rossi), come vengonochiamati dal nemico, la cui fama si è propagataben presto fra le truppe e fra i Comandi, tanto darendere questi uomini orgogliosi di appartenere aidue reggimenti della «Sassari».

Uno dei battaglioni del 151°, il III, è chiamato «ilbattaglionissimo» e il Tenente Alfredo Graziani daTempio Pausania, il famoso Cavalleggero dell’An-no sull’Altopiano, è uno dei Comandanti di com-pagnia di quel battaglione. Con l’antico nome dibattaglia: «Tenente Scopa» egli firmerà, nel 1934,il libro «Fanterie Sarde all’Ombra del Tricolore», ilsuo diario di guerra che, unitamente ai citati volu-mi di Lussu, Tommasi e a «Gli intrepidi Sardi dellaBrigata Sassari» di Leonardo Motzo, costituisconoi pilastri della vasta memorialistica sulla «Sassari»fiorita nel primo dopoguerra.

In esso egli, Ufficiale di cavalleria volontaria-mente rimasto alla «Sassari», riporta la «sua guer-ra» con la Brigata. Nel capitolo XVII descrive i ri-cordi dell’agosto 1917 allorché la Brigata, reduceda quell’anno sull’Altopiano, iniziato con l’arrestodella Strafexpedition e concluso con la «battagliadell’Ortigara», dopo quel breve periodo di riposoin Valpiana, viene inviata nella zona di Cividale adisposizione della 2a Armata, impegnata nell’11a

battaglia dell’Isonzo.Gli uomini sono induriti dalla guerra, hanno con-

tinuamente cambiato l’orizzonte «entro il quale

pensavano di dover morire e, per questo solo fat-to, sono indotti ad infischiarsi di tutto e di tutti».

Così Alfredo Graziani descrive quei giorni nellepagine del suo celebre libro: «Smontati a Cividale,abbiamo proseguito immediatamente per Azzidadove, a qualche chilometro, ci attendeva un vastoprato, verde e ospitale. Prima cosa: l’appello. Nonmancava nessuno. Arrivano le casse di cottura; ilrancio, appetitosissimo, con la fame che si vede ingiro.... In cinque minuti, plotone per plotone, lacompagnia è a posto e i soldati, dopo aver minac-ciato di divorare anche i cucinieri e dopo il con-sueto coro (la “tasgia”), in cui non son mancati isaluti e i frizzi all’ignoto Colonnello di Udine (Uf-ficiale del Comando Militare di Tappa che avevarilevato il passaggio “troppo rumoroso” del con-voglio della “Sassari” nella stazione friulana, ndr),si son ficcati sotto le tende.

Ancora un breve chiacchierio, un brusio semprepiù lieve; poi, nella notte illune, non si è visto che ilfioco lumicino del Corpo di Guardia; mentre nel va-sto silenzio, non si potevano udire che i passi ca-denzati delle sentinelle, vigilanti sul sonno di tutti.

Azzida è un paesetto distante qualche chilome-tro dal luogo in cui ci siamo attendati. Curioso!

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Nell’ovale rosso Giovanni Sale.

Siamo ancora dentro la vecchia Italia e sentiamouno stranissimo linguaggio. Gli abitanti ci diconoche è slavo, e citano frasi e parole: “gospodichna”che significa “ragazza” e che, in slavo, si dice dalpari “gospodichna” - “ocii lepii”, cioè “occhi belli”nell’una e nell’altra parlata. Ma se può essereuguale il linguaggio, i sentimenti sono davveroitaliani. Buona e brava, infatti, questa gente! Lostesso trattamento e le medesime attenzioni dellagente veneta.

Nel campo assegnato alla mia compagnia, pro-prio al centro, vi è un monolito granitico di qual-che metro di lunghezza per uno di larghezza, evisto che il da fare non era molto e che distrarredue o tre uomini dalle solite esercitazioni non eraun delitto, ho pensato di lasciare quel monolito incustodia a tre minatori i quali dopo un paio digiorni vi avevano scolpito la dicitura ....

I fanti, anche degli altri battaglioni e del reggi-mento fratello, accorrevano in massa ad ammirareil capolavoro, invidiandoci la fortuna di avere tro-vato quel macigno, oramai dimentichi del fieroColonnello di Udine le cui sfuriate avevano lascia-to così brutta impressione, e unicamente compre-

si dal pensiero che il “monumento della 12a” sa-rebbe durato nei secoli».

Da lì a qualche giorno quegli uomini partecipe-ranno all’11a Battaglia dell’Isonzo, combattuta dal29 agosto al 21 settembre per la conquista del-l’Altopiano della Bainsizza, nel corso della qualesapranno ancora distinguersi per valore ed eroi-smo, tanto che il 16 settembre il Bollettino diGuerra n. 845 del Comando Supremo citerà, per laseconda volta, la Brigata «Sassari» all’ammirazio-ne del Paese.

Ritrovare quel masso scolpito novant’anni fa daqualche ignoto minatore dell’iglesiente appenasceso dall’Altopiano e di passaggio in questa lon-tana parte d’Italia per andare verso nuove batta-glie, la Bainsizza, il Piave, Vittorio Veneto, ci fa ri-vivere quegli avvenimenti e ci fa pensare alle mi-gliaia di giovani che, partiti dalla Sardegna, dopoun lunghissimo viaggio in nave, in treno e in ca-mion, attraverso regioni e città italiane di cui nonavevano mai sentito parlare prima, Gradisca-Isonzo-Carso-Asiago-Piave, andavano incontro aun nemico di cui nulla sapevano, ma che combat-terono con tenacia, senza mai tirarsi indietro.

Uomini semplici, che proiettati in un contestodiverso da quello dell’Isola dove avevano semprevissuto, trovarono nell’appartenenza regionalel’elemento principale della loro straordinariacompattezza.

Erano uomini coraggiosi, dalla mira infallibile,avvezzi alle fatiche, rapidi nei movimenti, capacidi agire al buio e in silenzio, radicati a sentimentidi onore e di rispetto della parola data che li ren-deva capaci di accanite resistenze e di grandi im-peti bellici.

Anche questi uomini provavano l’immensa tri-stezza degli attimi che precedono l’assalto, quan-do il pensiero correva alla famiglia laggiù, nel-l’Isola lontana. Nei momenti terribili del corpo acorpo cercavano il coraggio nell’appoggio fisico,oltre che psicologico, del compagno a fianco, ur-lando all’unisono il caratteristico grido di guerra:«Forza Paris!» ( Avanti insieme).

Vedere quel masso ci porta alla mente tutti queigiovani sardi che, assieme alle centinaia di mi-gliaia di giovani provenienti dalle altre regionid’Italia, combatterono e morirono, senza nullachiedere, in nome di quel sogno di Unità naziona-le intesa nell’accezione più pura del termine.

Enrico PPinoGenerale di Divisione,

Comandante del CME Veneto

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Il Tenente Alfredo Graziani.