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Saggine

Lev Tolstoj

CHE COS’ÈL’ARTE?

DONZELLI EDITORE

Introduzione di Pietro Montani

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Lev Tolstoj

CHE COS’È L’ARTE?

Traduzione e note di Filippo Frassati

Introduzione di Pietro Montani

DONZELLI EDITORE

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CHE COS’È L’ARTE?

Introduzione

di Pietro Montani

Per rispondere alla domanda «Che cos’è l’arte?» Tolstoj sisofferma a lungo sulla superiore finalità etica dell’esperienzaestetica – la sola ragione per cui valga la pena di occuparsene –e ancor più a lungo sul suo snaturamento moderno (al quale delresto riconosce di aver contribuito con la sua opera). Ma l’una el’altro, la destinazione etica e il suo snaturamento, non si capi-rebbero adeguatamente se non si prendesse sul serio il profiloontologico della domanda. Il suo vertere anzitutto sulla cosa esolo in via subordinata sul suo fine, genuino o deviante.

La risposta si farà attendere un po’, com’è giusto per un ro-manziere – quand’anche pentito o ravveduto (siamo nel 1897, eTolstoj ha già pubblicato tutti i suoi grandi romanzi, salvo Resur-rezione, che esce nel 1899). Prima di raggiungerla, infatti, il letto-re dovrà essere indotto a rimettere in questione le opinioni correntisull’arte che egli ha già assunto in modo acritico ma che dovreb-bero lasciarsi agevolmente confutare. In due modi. Narrativo e«straniante» il primo. Erudito – è un po’ schematico, ma conta lasostanza – il secondo. Sono entrambi importanti e vale la pena dicommentarli rapidamente.

Tolstoj apre raccontando un’esperienza personale. Gli è capi-tato, di recente, di assistere alla prova di un’opera lirica moderna,una storia fantastica di principi e principesse indiane. È arrivatocon un po’ di ritardo e per condurlo in sala gli hanno fatto attra-

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versare il «retroscena», la grande macchina occulta che producelo spettacolo, con i suoi innumerevoli addetti: tecnici, comparse,coristi, ballerini, semplici manovali. Il ritardo e la posizione ec-centrica, però, hanno fatto guadagnare al narratore lo sguardo stra-niato grazie al quale, come accade a Pierre Bezuchov nella batta-glia di Borodino, tutto potrà essere restituito nella sua figura piùautentica. Nella fattispecie, la figura di un lavorio convulso e di-spendioso, ridondante e perfino crudele impegnato a sostenereun’esibizione puerile e inverosimile. Un complicato e avvilentecerimoniale che si conforma a regole insensate eppure costrittivee, quel che più conta, abissalmente distanti dal mondo della vita.

L’esempio scelto è facile e parecchio corrivo, è vero. Ma è in-dubbio che i gorgheggi di quei principi e principesse hanno a chefare con l’arte, o meglio con le opinioni correnti sull’arte al tempodi Tolstoj. Sull’arte dozzinale come su quella elevata, sia chiaro:prova ne sia l’altrettanto caustico (e più divertito) smontaggio del-l’Anello wagneriano che leggeremo nel capitolo XIII e nel compas-sato riassunto che Tolstoj ne pubblica in appen dice. La tesi è lim-pida: l’arte si è talmente dissociata dalla vita che per riconoscerla eapprezzarla sono necessari codici e istruzioni non solo specifici maanche particolarmente stravaganti e inverosimili. È un discorso da-tato? Per nulla, evidentemente. Anzi, è sotto gli occhi di tutti cheoggi l’arbitrarietà delle regole vigenti nel «mondo dell’arte» si è ul-teriormente radicaliz zata. Resta da capire se sia anche un discorsoretrivo. Ma è troppo presto per rispondere. Per il momento Tolstojvuole solo che al suo lettore sia mostrato in modo esplicito ciò checostui già sa ma rilutta, per pigrizia o timidezza, a prendere seria-mente in carico: e cioè che l’arte si è ristretta in un mondo chiuso,privo di contatti con la vita e particolarmente incline alla finzioneastrusa e all’invenzione sensazionale.

Ma come è potuto accadere tutto questo? La seconda mossapreparatoria di Tolstoj consiste nell’abbozzare una ricognizionesistematica dell’estetica moderna, da Baumgarten, che ne coniò il

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Pietro Montani

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nome all’inizio del XVIII secolo, fino ai contemporanei. Le sem-plificazioni sono qui numerose, come pure le incomprensioni e leforzature, ma la tesi di fondo appare sensata e sostanzialmentecondividibile (nonché autorevolmente condivisa in tempi più re-centi: e basterà riferirsi al concetto di «differenziazione estetica»introdotto da Gadamer). L’estetica filosofica ha ricondotto l’espe-rienza dell’arte al mero apprezzamento del bello, ma quest’ulti-mo, avendo perso del tutto la sua originaria latitudine metafisica(la kalo ka ga thia, l’unione del buono e del bello pensata dagli an-tichi greci), si è a sua volta ridotto a una considerazione pura-mente sensuale, a un’occasione di piacere che ha via via indebo-lito, fino a perderle del tutto, le sue valenze spirituali. L’esteticamoderna, insomma, avrebbe canalizzato tutta la ricchezza delsentimento (čuvstvo, una parola densa di significati che la tradu-zione italiana restituisce solo in piccola parte) nella dimensione,separata dalla vita e in ultima analisi edonistica, del giudizio di gu-sto. Non è dunque su un’estetica – ecco la prima conclusione a cuiTolstoj voleva giungere – che si può costruire una definizione ade-guata dell’arte. Per sapere che cos’è l’arte, insomma, bisognaguardare altrove. E dove? Ma alla vita, naturalmente.

Eccoci allora alla tesi centrale del libro, che compare nel ca-pitolo V. L’arte, scrive Tolstoj, è «una delle condizioni della vitaumana». Il termine «condizione» (uslovie) dev’essere inteso insenso forte e nella sua felice duplicità semantica. L’arte, in primoluogo, è una condizione di possibilità della vita dell’uomo. Essadefinisce un aspetto costitutivo dell’esser-uomo dell’uomo, untratto antropologico, si potrebbe dire, che consiste nella capacitàdi incontrare il mondo secondo una ricchissima gamma di senti-menti. Ma l’arte, inoltre, è anche la condizione espressiva in cuil’uomo si ritrova tutte le volte che egli elabora uno di questi sen-timenti al fine di condividerlo con altri uomini e tutte le volte incui lo riceve da chi, avendone fatto esperienza, aspira a metterlo

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Introduzione

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in comune. Se così non fosse, dice Tolstoj, l’uomo sarebbe simi-le agli animali o all’autistico Caspar Hauser. Condizione di pos-sibilità dell’umanità dell’uomo, pertanto, l’arte è anche «uno deimezzi attraverso i quali si attuano le relazioni tra gli uomini». Piùprecisa mente: un mezzo per comunicarsi – cioè per condividere –i sentimenti, proprio come il linguaggio è un mezzo per comuni-carsi – cioè per condividere – i pensieri. L’accento, in prima bat-tuta, deve cadere sul concetto di comunicazione, che ha in Tolstojuna portata tanto ampia quanto profonda e ricca di conseguenzerilevanti. Esaminiamo la più importante.

L’aspetto essenziale della comunicazione è quello della co-munità: è il ritrovarsi uniti in un sentire condiviso. L’arte, da que-sto punto di vista, non è che l’organo di una tale comunità e un -ità del sentire. Saremmo così già passati dalla cosa (che cos’è l’ar-te) alla sua funzione (a cosa serve), se Tolstoj non avesse ancoraqualcosa da dire sul fondamento antropologico dell’arte. Sul suoessere, cioè, una condizione di possibilità dell’umanità dell’uo-mo. Si tratta di un’idea notevole quanto facile da fraintendere oda banalizzare. Tolstoj parla a questo proposito di una specifica«attitudine degli uomini a lasciarsi conta giare dai sentimenti al-trui (zaražatsja čuvstvami drugich ljudej)», e dell’arte come delveicolo essenziale di un tale evento partecipativo.

Siamo dunque dalle parti di una teoria della Einfühlung (o dei«neuroni specchio» come oggi usa dire)? Non proprio. Il concet-to di contagio sarebbe, infatti, decisamente bizzarro se l’autorenon lo avesse scelto al fine di sottolinearne innanzitutto l’elemen-to estatico: il lasciarsi trascinare fuori di sé, da parte del «conta-giato», fino a trasportarsi completamente nel sentire altrui, che intal modo viene autenticamente condiviso. Il contagio a cui pensaTolstoj, dunque, non ha nulla di passivo (l’essere invasi da qualco-sa d’altro), ma va interpretato secondo lo schema semantico di unsentire trascinante che, proprio per questa sua qualità estatica, è giàvirtualmente spiritualizzato perché si risolve (o può risolversi) nel-

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l’idea di una communitas. La comunicazione in quanto contagio(zarazitel’nost’) evidenzia dunque il movimento – «gioioso» di-ce Tolstoj – di una «unione spirituale» che va a costituirsi (o èvirtualmente in via di costituirsi) sul fondamento di un sentirepotentemente condiviso. E anzi: «quanto più intensa è la comu-nicatività (zarazitel’nost’), tanto migliore è l’arte come tale, sen-za riferimenti al suo contenuto, e cioè indipendentemente dal va-lore delle sensazioni (dostoinstvo tech čuvstv: dalla dignità diquei sentimenti) che essa trasmette» (capitolo XV).

Nel riflettere sul fondamento antropologico dell’arte, di cuiabbiamo appena appreso la natura estatica e trascinante indipen-dentemente dai contenuti, Tolstoj sta dunque riformulando a mo-do suo la figura del dionisiaco. Solo che si tratta – e non è cosada poco – di un dionisiaco spiritualizzato. Di un dionisiaco chepuò e deve essere messo in relazione con un elemento di trascen-denza, e cioè con la religione quale egli la intende cogliendone ilmodello nel cristianesimo delle origini. In questo potere e doveressere un’esperienza in ultima analisi religiosa, pertanto, è da ve-dere l’intima insorgenza di un elemento etico nel contesto dellarisposta alla domanda su che cos’è l’arte. Ma è evidente che unatale insorgenza, proprio in quanto intima e non surrettizia, nonpotrà restare disgiun ta da una presa di posizione sui contenutispirituali della comunicazione artistica. Su ciò che gli uominipossono e debbono mettere in comune per realizzare in modocompiuto – e cioè storico – quanto di trascendente è già fin dal-l’inizio iscritto nella loro umanità. Nel loro sentirsi uomini primaancora che nel loro sapersi tali.

Bisognerà dire, allora, che nel rifiuto, radicale e senza appel-lo, dell’estetica in senso moderno Tolstoj ha di mira il fenomeno,certo saliente, dell’autonomizzazione dell’arte, la sua separazione(presunta o vera, comunque documentabile) dal mondo della vi-ta. E nondimeno la sua risposta alla domanda su che cos’è l’artesi lascia comprendere pienamente solo sullo sfondo di una preci-

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Introduzione

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sa – e notevole – riflessione sul sentire (sull’aisthesis: un buonequivalente greco del russo čuvstvo). Vale a dire sullo sfondo diun’altra estetica, che la modernità ha conosciuto e indagato (peresempio con Kant) e ha saputo coordinare con una prospettivaetica (per esempio con Schiller) che si renderebbe disponibile amolte intersezioni rilevanti (ci torneremo). A Tolstoj, tuttavia, aldi là del suo desiderio di entrare autenticamente in contatto conquest’al tra estetica, una tale comprensione risulterebbe comun-que interdetta dalla teoria, che viene esposta in diversi passi dellibro, attraverso la quale egli si propone di spiegare storicamentein che modo l’arte abbia potuto deviare dai suoi obiettivi più qua-lificanti e antropologicamente fondati. In che modo, insomma, es-sa abbia perduto la capacità di farsi esperire come una condizio-ne dell’umanità dell’uomo e della comunità spirituale degli uo-mini.

Che cos’è l’arte? non si sottrae al compito di proporre un’in-terpretazione storico-sociologica dell’evento culturale che avreb-be reso possibile la nascita dell’estetica moderna (ovvero la se-parazione dell’arte dalla vita). Il processo va fatto risalire agli«anni del rinascimento delle scienze e delle arti» (capitolo VI),quando «le classi superiori», disposte a finanziare gli artisti e aindirizzarne l’opera, persero ogni contatto con i valori spiritualiprofondi della religione (Tolstoj pensa, come si è detto, al cri-stianesimo delle origini) e lasciarono che l’arte continuasse ad at-tingere a un patrimonio di temi religiosi ormai svuotati di ogniforza di verità per ricavarne null’altro che il piacere, in qualchemisura idolatrico, delle forme belle. Detto altrimenti, l’esteticanon sarebbe che un episodio del moderno nichilismo, paralleloall’istituzionalizzazione ecclesiastica e all’irrigidimento dottrina-le della religiosità originaria. Un episodio devastante, da cui nul-la o quasi può essere salvato. E dunque non ci si dovrà meravi-gliare del fatto che la condanna di Tolstoj si spinga fino a coin-

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volgere la sua stessa opera precedente alla conversione degli an-ni ottanta.

Ma su che cosa verte, precisamente, questa condanna così ge-neralizzata e così inflessibile? In che cosa tutta o quasi tutta l’ar-te in senso estetico moderno non sarebbe più all’altezza della suavocazione etica? Nell’avere interrotto la sua rela zione di scambiocon la vita degli uomini, abbiamo detto in modo ancora somma-rio. Il tema, in realtà, è complesso e può essere adeguatamentecompreso solo attraverso il chiarimento di quali siano i contenutigenuini della religione secondo Tolstoj e di quale ne sia il rap-porto con l’esperienza dell’arte.

È un punto nodale, a proposito del quale il libro ci riserva, in-sieme, le aperture più spregiudicate e le più ostinate chiusure.

L’arte, come già sappiamo, è per Tolstoj un modo per comu-nicare – cioè per condividere – i sentimenti provati dagli uominiin vista di una loro più ampia comunità spirituale. L’accento de-ve ora cadere sul processo di spiritualizzazione del sentire, di cuil’arte è l’organo principale. Ma i contenuti che l’arte mette in co-mune sono tanto vari e ricchi quanto lo è l’umana capacità di sen-tire. Non basta, cioè, che essi si ispirino all’universalismo del be-ne, ai valori di fratellanza, amore e solidarietà che il cristianesi-mo ha insediato nella coscienza religiosa istintiva, trasformando-la radicalmente; occorre anche che l’arte sappia far fronte al mo-do in cui questo stesso universalismo si rinnova e si riconfiguranel corso del tempo secondo «l’indice del prodursi di un nuovoatteggiamento dell’uomo nei confronti del mondo» (capitolo IX).Non c’è «nulla di più nuovo – scrive Tolstoj – che le sensazioniscaturite dalla coscienza religiosa di una determinata epoca». Ilsentire religioso, in altri termini, non è solo un sentire intima-mente spiritualizzato – teso, cioè, verso l’idea di una communitas– è anche un sentire pronto a lasciarsi spiritualizzare in modo im-prevedibile e creativo. Occorre pertanto guardare all’arte comeall’organo che rende autenticamente esperibili e condividibili

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proprio queste innovazioni e queste riconfigurazioni del sentirereligioso. L’unione di arte e religiosità, insomma, è la via maestradi un’inesauribile rigenerazione creativa della spiritualizzazionedel sentire. Una via sbarrata, per Tolstoj, dall’estetica modernache, riducendo l’arte al mero apprezzamento sensuale delle belleforme, dimostra di essere in realtà una tendenziale anestetica,un’esperienza che ha «ridotto la gamma dei sentimenti» invece diincrementarla e diversificarla sotto il segno della fondamentaleinnovatività del sentire religioso.

Si tratta, non c’è dubbio, di una posizione notevole e moltofeconda, che rafforzerebbe l’affinità del pensiero di Tolstoj con ilprogetto schilleriano di un’«educazione estetica» (lo Schillerdrammaturgo, del resto, è tra i pochi che Tolstoj salva dalla suacondanna) se non trovasse un sistematico correttivo nella pregiu-diziale di una comprensibilità immediata e senza sforzo che Tol-stoj attribuisce all’arte autentica al fine di salvaguardarne l’irri-ducibile inerenza al sentire del «popolo», l’unico, a suo dire, ca-pace di conformarsi spontaneamente ai contenuti profondi delsentimento religioso. L’unico, insomma, ancora in grado di tene-re in riserva, nella devastazione del moderno, la determinazioneantropologica dell’arte, il suo costituirsi come una «condizione»dell’umanità dell’uomo e della comunità degli uomini.

Quest’idea di un’accessibilità immediata e senza sforzo è re-sponsabile della chiusura ostinata di cui s’è detto. Una chiusurache fa aggio, e di molto, sull’apertura appena descritta. Prima didiscuterne le debolezze, tuttavia, bisognerà comprenderne le mo-tivazioni.

L’arte autentica, per Tolstoj, è arte «popolare». Questa tesidev’essere intesa sullo sfondo della considerazione antropologi-ca dell’arte che Tolstoj ha introdotto nel V capitolo del suo libroe che è stata discussa più sopra. È attraverso l’arte che gli uomi-ni si uniscono in un sentire condiviso, proprio come è il linguag-

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gio a unirli nella condivisione del pensiero. Ma se il linguaggio(jazyk) non è tanto, per Tolstoj, una facoltà intellettuale dell’uo-mo quanto il tramandamento delle parole (slovo) e dei discorsi(reč) attraverso cui gli uomini hanno ricevuto da altri uomini quelmodo di interpretare il senso della vita, quella «sapienza» (razu-menie) che nasce solo nel contatto sempre rinnovato tra il lin-guaggio e il mondo della prassi, l’arte, a sua volta, non è tantouna collezione di opere o un insieme di forme canonizzate quan-to il tramandamento del senso della vita colto sotto il profilo del-la sua essenziale tonalità emotiva: il necessario risvolto senti-mentale, si potrebbe dire, di ogni autentica sapienza di vita. «Noisiamo abituati – scrive Tolstoj – a intendere per arte solo ciò cheleggiamo, o ascoltiamo e vediamo nei teatri, ai concerti e allemostre, e gli edifici, le statue, i poemi, i romanzi […]. Ma tuttoquesto è soltanto la minima parte di quell’arte che nella vita uti-lizziamo per intrattenere le relazioni tra noi. Tutta la vita umanaè piena di opere d’arte d’ogni genere, dalla ninna-nanna alla ce-lia, dalle imitazioni agli ornamenti delle nostre dimore, agli abitie alle suppellettili domestiche, dagli uffici religiosi alle solenniprocessioni. Tutto ciò è attività artistica».

La natura «popolare» dell’arte, dunque, consiste nel suo scio-gliersi in «forme di vita». È così, dice Tolstoj, che la intesero i fi-losofi dell’antichità. È così che «ai nostri tempi la intende la gen-te del popolo che nutre credenze religiose». Ciò che si tratta ditrasmettere – e di rinnovare – nella sua più ampia e comunitariaspiritualità non è altro che questo sentimento religioso spontaneo,a sua volta innestato in una forma di vita diffusa e radicata nellaquale quel sentire vada a fecondare la razumenie dell’uomo, lasua capacità di dare un senso a ciò che gli accade intonandolo sulregistro del bene (vale a dire, ribadiamolo, sul registro del cri-stianesimo). L’ambito di un’«educazione estetica» risulta in talmodo confermato ma anche rigorosamente circoscritto e la pre-giudiziale della comprensibilità immediata e senza sforzo viene

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legittimata nella sua ambizione a farsi valere come criterio selet-tivo, come discrimine tra l’arte vera e l’arte intesa come «passa-tempo» delle classi colte. Quella pseudo-arte che «facendosisempre più esclusiva è divenuta sempre più incomprensibile perun numero crescente di persone» (capitolo X): un «simulacrocontraffatto» (poddelka) che Tolstoj riconosce esemplarmentenel Gesamtkunstwerk wagneriano (di cui presenta, lo si è detto,una feroce descrizione straniata).

Sul fondamento di questo criterio restrittivo e penalizzanteTolstoj può abbandonarsi, non senza compiacimento, a una de-bordante demolizione dell’arte che gli risulta più lontana dallasua idea di educazione estetica. Non solo Wagner, ma anche Bau-delaire (con speciale accanimento) e Verlaine, Mallarmé e Mae-terlinck, Beethoven e Brahms, Monet e Renoir. Senza escluderei suoi grandi romanzi. È la parte più fragile del libro. Quella chenessun lettore di oggi potrebbe seriamente accogliere. E nemme-no discutere, perché le sue motivazioni sono state esplicitate sen-za la più piccola esitazione: prendere o lasciare.

È proprio su queste motivazioni, tuttavia, che occorrerà anco-ra, da ultimo, soffermarsi in modo critico. Il che signi fica: rinun-ciare a smontarle prendendone di mira l’impre sentabilità dellapars destruens (che cresce, occorre dirlo, quando Tolstoj proponeal suo lettore qualche modello di arte popolare contemporanea)per saggiarne fino in fondo la coerenza.

Il punto saliente è questo: l’arte quale la intende Tolstoj develimitarsi alla comunicazione di una serie di variazioni sul tema diun sentire già preventivamente accolto nell’ordine del giusto edel bene (vale a dire di un sentire conforme al cristianesimo del-le origini) o non deve, piuttosto, rinnovare ed estendere questostesso ambito sentimen tale perlustrandone gli aspetti imprevedi-bili, le zone oscure, i risvolti apparentemente irriducibili? L’o-rientamento di Tolstoj, lo si è visto, sembra propendere per que-sta seconda strada. La strada di un’etica che si intreccia intima-

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mente con le forme del sentire fino a presentarsi essa stessa co-me un sentire permeato di trascendenza, aperto al rinnovamentoe all’estensione dei suoi contenuti. Ma ciò comporta non solo chealla disposizione sentimentale dell’uomo vada riconosciuto il re-quisito inalienabile della libertà (ecco un concetto con cui Tolstojdenuncia un rapporto irrisolto), ma anche che al lavoro sulla for-ma, all’elaborazione comunicativa del sentire, vada riconosciutauna specifica capacità maieutica, un’attitudine ad addentrarsi nel-l’incognito e nell’inesplorato che non potrebbe tollerare alcunaprescrizione limitativa né potrebbe, in via di principio, adeguarsiall’ordine del già noto e del già sperimentato. E che non dovreb-be, infine, indietreggiare di fronte alle difficoltà della forma, eperfino al rischio dell’oscurità e dell’azzardo sperimentale quan-do ciò sia richiesto dal carattere incognito del territorio in cuisempre di nuovo la razumenie, la sapienza di vita, è tenuta a ri-mettersi in contatto con i sentimenti. Se così non fosse, infatti,l’arte ricadrebbe nella condanna più penetrante che Tolstoj riser-va all’estetica: quella di depotenziare il sentimento e di svuotar-ne la costitutiva apertura all’imprevedibilità dell’esperienza, con-solidando gli steccati che separano l’arte dalla vita.

Tolstoj, che conosceva perfettamente la fatica e la comples-sità della forma espressiva, fantastica qui di un’arte del futuro(capitolo XIX) che potrebbe risparmiarsele senza rinunciare a«destare sentimenti nuovissimi e insoliti». Un’arte che «diverràinfinitamente più ricca di contenuto» proprio in quanto «la suaforma non sarà inferiore all’attuale, ma superiore […] non per laraffinatezza di una tecnica complicata, ma nel senso che saprà co-municare sobriamente, con semplicità e chiarezza e senza alcun-ché di superfluo, il sentimento che l’artista ha provato e vuoldiffondere».

Questa considerazione restrittiva della forma, che Tolstoj de-cide di imporsi anche al prezzo di incrinare la coerenza delle suetesi e di mortificarne i tratti più audaci e innovativi, sarebbe rie-

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mersa potentemente, a distanza di qualche decennio, nelle poeti-che ufficiali dei regimi totalitari che l’avrebbero collegata a unaparallela scomunica dell’arte «degenerata» di cui Tolstoj, se neavesse avuto la possibilità, non avrebbe potuto che registrare conraccapriccio le perverse consonanze con il suo giudizio.

Sarebbe tuttavia ingiusto concludere su questa convergenza.Dalla quale si dovrà piuttosto trarre l’invito a districare i numerosifili del discorso tolstojano per riannodarli, se è possibile, sotto il se-gno di un’etica del sentire che sappia riconoscere il suo intreccio in-determinato – e dunque libero – ma anche ineludibile – e dunquevincolante – con un’etica della forma.

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Tutte le note, i commenti e le traduzioni fra parentesi quadre sonodel traduttore. Le restanti note sono di Tolstoj.

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I.

Prendete un qualsiasi giornale del nostro tempo, e ci trovere-te sempre una rubrica di teatro e di musica; quasi in ogni nume-ro potrete leggere la descrizione di questa o quella mostra o d’unsingolo quadro, mentre in tutti troverete le recensioni dei nuovilibri apparsi, sian essi di contenuto artistico, di versi, di racconti,o siano romanzi.

Potrete inoltre conoscere con tempestività e dovizia di parti-colari come la tale attrice o il tale attore abbiano recitato la loroparte in un certo dramma o commedia o opera, e quali pregi ab-biano rivelato; e sarete informati sull’argomento del nuovodramma o commedia o opera, e sui suoi difetti e meriti. Con lastessa sollecitudine e con identica profusione di particolari ver-rete anche a sapere come il tale artista abbia cantato, o suonatoal pianoforte o col violino, un certo pezzo e in che cosa consi-stano i pregi e i difetti di quel pezzo e della sua esecuzione. Inogni grande città v’è sempre almeno una mostra di nuovi quadri,i cui pregi e difetti sono vagliati con acutissima profondità dipensiero da critici e intenditori. Quasi ogni giorno vengono pub-blicati nuovi romanzi o versi, sia in volume sia nelle riviste, e igiornali si ritengono in obbligo di fornire ai loro lettori minu-ziose recensioni di queste opere d’arte.

In Russia, dove a favore dell’educazione popolare si spendesoltanto la centesima parte di quanto sarebbe necessario per por-re tutto il popolo in condizione di studiare, il governo stanzia mi-

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lioni per sostenere l’arte sovvenzionando accademie, conserva-torî, teatri. In Francia, all’arte sono assegnati otto milioni, e lostesso accade in Germania e in Inghilterra. In ogni grande città sicostruiscono edifici immensi per adibirli a musei, accademie,conservatorî, scuole d’arte drammatica, o per rappresentazioni econcerti. Centinaia di migliaia d’operai – carpentieri, muratori,imbianchini, falegnami, tappezzieri, sarti, parrucchieri, orefici,fonditori in bronzo, tipografi – trascorrono la vita intera in pe-santi fatiche per soddisfare le esigenze dell’arte, talché non esisteforse alcun’altra attività umana, ad eccezione della guerra, capa-ce di assorbire altrettante energie.

E non basta che una tal massa di lavoro venga spesa in questaattività: ad essa, proprio come in guerra, si sacrificano addiritturavite umane: centinaia di migliaia d’uomini si dedicano sin dallagiovane età e per tutta la loro esistenza ad appren dere a muoverei piedi con estrema rapidità (i ballerini); altri (i musicisti), a toc-care ancor più rapidamente tasti e corde; altri ancora (i pittori), adisegnare e dipingere tutto ciò che vedono; ed altri, infine, a rigi-rar le frasi nei modi più diversi e a trovare la rima a ogni parola.E tali uomini, spesso molto buoni, intelligenti, adatti a ogni lavo-ro utile, s’inselvatichiscono in queste occupazioni singolari estupe fa centi e diventano sordi a tutte le manifestazioni serie del-la vita, si trasformano in specialisti limitati e pienamente soddi-sfatti di sé, capaci soltanto di virtuosismi coi piedi, con la linguae con le dita.

Né basta ancora. Ricordo d’avere una volta assistito alla pro-va di un’opera moderna tra quelle che più abitualmente vengonorappresentate in tutti i teatri d’Europa e d’America1.

Arrivai quando già era cominciato il primo atto. Per entrarenella sala dovetti passare dal retroscena. Mi condussero per gli

1 [Dal diario del critico V. F. Lazurskij si apprende che il 19 aprile 1897 Tol-stoj si recò, su invito del direttore del conservatorio di Mosca, Vasilij Il’ic Safo-nov, a una prova dell’opera Feramors di Anton Grigor’evic Rubinštejn, rappre-

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Le tre Norne intrecciano una fune d’oro e parlano del futuro. LeNorne escono, appare Sigfrido con Brunilde. Sigfrido s’accomiata da lei,le dà l’anello e se ne va.

Primo atto. Sul Reno, un re vuole sposarsi e trovare un marito persua sorella. Hagen, fratello cattivo del re, gli consiglia di prendersiBrunilde e di dare la sorella in moglie a Sigfrido. Compare Sigfrido. Gliviene propinato un filtro magico, in virtù del quale egli dimentica tuttoil passato, s’innamora di Gutruna e s’accorda con Gunther per procurar-gli Brunilde in sposa. Cambiamento di scena. Brunilde se ne sta con l’a-nello, viene a trovarla una Valchiria, le racconta che la lancia di Wotan èandata in pezzi, e la consiglia di restituire l’anello alle ondine del Reno.Sopraggiunge Sigfrido, trasformatosi in Gunther grazie all’elmo magi-co, esige da Brunilde l’anello, glielo strappa via, e se la porta a letto.

Secondo atto. Sul Reno, Alberico e Hagen discutono sul modo diprocurarsi l’anello. Arriva Sigfrido, racconta che ha trovato la sposa perGunther, e racconta pure d’aver trascorso la notte con lei, ma dice d’a-ver collocato la sua spada tra loro. Giunge Brunilde, riconosce l’anelloalla mano di Sigfrido, e accusa quest’ultimo d’essere stato lui, e nonGunther, a dormire con lei. Hagen eccita lo sdegno di tutti controSigfrido e risolve d’ucciderlo l’indomani a caccia.

Terzo atto. Ancora le ondine nel Reno raccontano tutto ciò che èaccaduto; arriva Sigfrido, che si è smarrito. Le ondine gli chiedono l’a-nello, ma lui non lo cede. Giungono i cacciatori. Sigfrido racconta la suastoria. Hagen gli dà una bevanda che gli fa tornare la memoria; alloraSigfrido racconta come egli ha ridestato Brunilde, e tutti si meraviglia-no. Hagen colpisce alla schiena Sigfrido, e cambia la scena. Gutrunaaccoglie alla reggia il cadavere di Sigfrido, Gunther e Hagen si disputa-no l’anello, e Hagen ammazza Gunther. Brunilde piange. Hagen vuoltogliere l’anello dal dito di Sigfrido, ma la mano si solleva. Brunildeprende l’anello e, quando il cadavere di Sigfrido viene portato sul rogo,monta a cavallo e si butta anch’essa nel fuoco. Il Reno cresce e l’acquaraggiunge il rogo. Nel fiume ci sono tre ondine. Hagen si butta nel fuocoper prendere l’anello, ma le ondine lo agguantano e se lo trascinano via.Una di esse detiene l’anello.

E l’opera è finita.L’impressione che lascia il mio riassunto è, naturalmente, incomple-

ta. Ma per quanto incompleta, è certo incomparabilmente più vantag-

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Tolstoj, Che cos’è l’arte?

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giosa per l’autore, di quella che riceve chi legge i quattro libretti ove èstampata per intero questa storia.

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Appendice II