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L ETTERE M ERIDIANE Anno VI - n. 20 - Gennaio/Aprile 2010 - 2,00 Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi Vittorio Sabadin nel saggio L’ulti- ma copia del “New York Times”: il futuro dei giornali di carta, pubbli- cato da Donzelli nel 2007, ha fissa- to nel 2043 l’anno in cui dovrebbe- ro scomparire i giornali. Abbiamo dunque ancora un bel mucchio di anni a disposizione e con Lettere Meridiane intendiamo viverli pie- namente. Ci siamo presi una forzata pausa di riflessione che è stata più lunga del previsto a causa di proble- mi sopraggiunti alla tipografia che ci stampava, oggi ci ripresentiamo a voi con nuova veste grafica, nuova impaginazione, nuova carta e, dul- cis in fundo, con una nuova periodi- cità; Lettere Meridiane passa infatti da trimestrale a bimestrale, con l’o- biettivo di arrivare entro un anno a mensile. Non avendo vinto al Supe- renalotto siamo stati costretti ad au- mentare il prezzo, fissandolo a 2 eu- ro ci siamo allineati al costo medio di un periodico. Abbiamo rafforzato la redazione con l’arrivo di Alessan- dro Crupi, mentre l’elenco dei col- laboratori si arricchirà presto di altri nomi prestigiosi. Lo scorso settem- bre, nell’editoriale del numero 19, parlavamo di “Un’altra estate da di- menticare”, da allora è passata un’intera stagione e francamente motivi di ottimismo non se ne sono registrati; violenza, degrado e dis- servizi sono stati ancora una volta la cifra dominante della vita sociale del Mezzogiorno d’Italia. La vio- lenza e i disservizi gravano sulle spalle di imprenditori e cittadini, il degrado è sotto gli occhi di tutti; provate a mettervi su un treno in di- rezione Roma - Reggio Calabria e guardate dal finestrino, una volta superato il Lazio noterete un brusco cambiamento del paesaggio: ce- mento, sporcizia, disordine, incuria e abbandono vi accompagneranno in un doloroso crescendo fino a Reggio. Paradossalmente gli ammi- nistratori delle regioni del Sud con- tinuano a parlare di turismo come salvifica prospettiva di sviluppo, ma non riusciamo proprio a immagina- re tour operator ed imprenditori al- berghieri di un certo livello, alle prese con un contesto ambientale che è lontano anni luce da quello delle vere capitali del turismo. Il 2043 è ancora lontano Franco Arcidiaco Il migrante: una risorsa, il punto di vista della Caritas e del Centro Migrantes pagina 3 Alda Merini: la poesia di una piccola ape furibonda pagina 6 L’Associazione Sos Yugoslavia ricorda Ibraj Musa pagine 14-15 Le novità della Città del Sole Edizioni pagine 24-27 Una radice di pietra e di mare più forte della diversità delle rive (Franco Cassano) continua a pagina 2 www.letteremeridiane.it Ricordiamo la lezione de “Il Gattopardo”

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LETTEREMERIDIANEAnno VI - n. 20 - Gennaio/Aprile 2010 - €2,00

Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi

Vittorio Sabadin nel saggio L’ulti-ma copia del “New York Times”: ilfuturo dei giornali di carta, pubbli-cato da Donzelli nel 2007, ha fissa-to nel 2043 l’anno in cui dovrebbe-ro scomparire i giornali. Abbiamodunque ancora un bel mucchio dianni a disposizione e con LettereMeridiane intendiamo viverli pie-namente. Ci siamo presi una forzatapausa di riflessione che è stata piùlunga del previsto a causa di proble-mi sopraggiunti alla tipografia checi stampava, oggi ci ripresentiamo avoi con nuova veste grafica, nuovaimpaginazione, nuova carta e, dul-cis in fundo, con una nuova periodi-cità; Lettere Meridiane passa infattida trimestrale a bimestrale, con l’o-biettivo di arrivare entro un anno amensile. Non avendo vinto al Supe-renalotto siamo stati costretti ad au-mentare il prezzo, fissandolo a 2 eu-ro ci siamo allineati al costo mediodi un periodico. Abbiamo rafforzatola redazione con l’arrivo di Alessan-dro Crupi, mentre l’elenco dei col-laboratori si arricchirà presto di altrinomi prestigiosi. Lo scorso settem-bre, nell’editoriale del numero 19,parlavamo di “Un’altra estate da di-menticare”, da allora è passataun’intera stagione e francamentemotivi di ottimismo non se ne sonoregistrati; violenza, degrado e dis-servizi sono stati ancora una volta lacifra dominante della vita socialedel Mezzogiorno d’Italia. La vio-lenza e i disservizi gravano sullespalle di imprenditori e cittadini, ildegrado è sotto gli occhi di tutti;provate a mettervi su un treno in di-rezione Roma - Reggio Calabria eguardate dal finestrino, una voltasuperato il Lazio noterete un bruscocambiamento del paesaggio: ce-mento, sporcizia, disordine, incuriae abbandono vi accompagnerannoin un doloroso crescendo fino aReggio. Paradossalmente gli ammi-nistratori delle regioni del Sud con-tinuano a parlare di turismo comesalvifica prospettiva di sviluppo, manon riusciamo proprio a immagina-re tour operator ed imprenditori al-berghieri di un certo livello, alleprese con un contesto ambientaleche è lontano anni luce da quellodelle vere capitali del turismo.

Il 2043 è ancoralontano

Franco Arcidiaco

Il migrante: una risorsa, ilpunto di vista della Caritase del Centro Migrantes

pagina 3

Alda Merini: la poesia diuna piccola ape furibonda

pagina 6

L’Associazione Sos Yugoslavia ricorda Ibraj Musa

pagine 14-15

Le novità della Città del Sole Edizioni

pagine 24-27

Una radice di pietra e di mare più forte della diversità delle rive (Franco Cassano)

continua a pagina 2

www.letteremeridiane.it

Ricordiamo la lezione de “Il Gattopardo”

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Anno VI - n. 20 - Gennaio/Aprile 20102 LettereMeridiane

Regolamento

Art.1 Il “Centro Culturale Gino Puccini” indice laterza Edizione del Premio letterario nazionalebiennale “Ing. Gino Puccini”.Art.2 Il premio si articola nella sola sezione dellanarrativaArt.3 Ogni concorrente potrà inviare un unicoracconto inedito e in lingua italiana, su copia for-nita in versione cartacea, più una copia su suppor-to CD. Lo scritto deve essere contenuto in 58 bat-tute per riga, 31 righe per foglio ed entro un limi-te massimo di 8 fogli. Non viene invece fissato unlimite minimo.Art.4 L’Autore deve indicare nome, cognome, in-dirizzo e recapito telefonico, fornire un breve cur-riculum (massimo 10 righe) e spedire il tutto pervia postale allo “Studio Lucio Pasquale” – ViaMichele Di Lando 38 – 00162 Roma, entro e non oltre il 26 mag-gio 2010. Farà fede il timbro postale.Art.5 I racconti ritenuti meritevoli saranno pubblicati in una appo-sita antologia edita da “Città del Sole Edizioni”. L’uscita è previ-sta per fine ottobre 2010. L’Autore parteciperà alle pure spese vi-ve tipografiche della pubblicazione ed avrà diritto a cinque copiedella stessa. L’entità del contributo, comunque molto contenuto,dipenderà dal numero di concorrenti ammessi.

Art.6 All’atto dell’uscita dell’antologia, ciascunconcorrente diventerà esclusivo membro dellaGiuria del Premio, votando tramite appositascheda l’Autore preferito della raccolta (esclu-dendo ovviamente se stesso). Lo spoglio delleschede avverrà pubblicamente, mantenendo la ri-servatezza dei votanti, in una serata che verrà fissa-ta nel mese di dicembre 2010, presso il Grand Ho-tel Ritz di Roma. La Giuria sarà presieduta dalloscrittore Lucio Pasquale, che avrà anche diritto divoto. Le decisioni della Giuria sono inappellabili.Art.7 La mancata consegna o spedizione dellascheda di votazione, costituisce motivo di esclusio-ne dal Premio. L’assegnazione del Premio decade, avantaggio del secondo classificato, qualora il vinci-tore non sia fisicamente presente alla cerimonia dipremiazione, prevista per gennaio 2011, della qualeverrà inviata tempestiva comunicazione scritta.

Art.8 Il vincitore assoluto riceverà come premio la pubblicazionedi un proprio libro personale di 160 pagine, in 300 copie e con ele-gante veste grafica della Collana “Salotto letterario romano” editada “Città del Sole”. Le spese del volume saranno a totale carico del“Centro culturale Gino Puccini”.Art.9 Le opere inviate non saranno restituiteArt.10 Ogni ulteriore dettaglio potrà essere fornito telefonandoallo 06 44241863

LettereMeridiane

3 Il migrante: una risorsa. La Caritas e il Centro Migrantes, due realtà calabresi per una società interetnica

4 Arte: Successo per la mostra fotografica di Maria Concetta Policari Marco Pantani e la Nazionale di Calcio protagonisti di due calendari

5 Arte: Il Vangelo secondo Pasolini rivive nelle foto di Notarangelo

6 Alda Merini: la vita e la poetica di una piccola ape furibonda

7 Rubrica “Recensioni a due piazze”

8 Teatro: Il ricordo di Pino Raffa L’Accademia Flautistica fucina di musicisti calabresi

9 Saverio Strati: la libertà di un intellettuale senza voce

10 Maram, poetessa siriana della libertà e dell’amore

11 Recensioni: Il sarto delle foglie di Caterina Provenzano Verso L’altrove di Livia Naccarato

12 Auser Taurianova: All’Auser di Taurianova presentati gli studi di LentiniLa difficile lotta contro la violenza sulle donne

13 Antonino Metro: un docente sulla scia di Pugliatti

14-15 La storia di Ibraj Musa: paladino della libertà

16 I Beati Paoli: giustizieri o mafiosi XVI secolo? - Rubrica Calabria Anticadi A.Coppola: Dagli Atti della Regia Udienza di Catanzaro (1753-1808)

17 Recensioni: Stabat Mater di Tiziano Scarpa Le campane dell’Inferno di Dario Ganci

18 Recensioni: Nel circo delle stanze di Silvana Baroni

19 La vita e l’arte di Alfonso Gatto

20 Settima edizione del foyer des artistes tra prestigio e continuità La Calabria e i suo drammi nelle liriche di Franco Costabile

21 Il culto della Madonna di Polsi tra leggenda e fede

22 Poesie

23 Gli eventi della Città del Sole Edizioni

24-27 Le novità della Città del Sole Edizioni sommar io

Direttore Responsabile:FRANCO ARCIDIACO

Direttore Editoriale:FEDERICA LEGATO

Coordinamento Editoriale:ORIANA SCHEMBARI

Redattore:ALESSANDRO CRUPI

Stampa:Tipografia A. Trischitta - Messina

Associato USPI Unione Stampa Periodica Italiana

CITTÀ DEL SOLE EDIZIONIREGGIO CALABRIA

Via Ravagnese Sup. 60/A 89131 Reggio Calabria

Città del BergamottoTel. 0965644464Fax 0965630176

www.cittadelsoledizioni.ite-mail: [email protected]

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ABBONAMENTO ANNUO:€ 20,00 comprese spese postali da versare su CCP n. 55406987

intestato a Città del Sole Edizioni S.A.S.

Iscrizione Registro StampaTrib. di Messina n° 17 dell'11 luglio 1991Iscrizione R.O.C. n° 9262

«Questo periodico è aperto a quanti de-siderano collaborarvi ai sensi dell’art.21 della Costituzione della Repubblicaitaliana che così dispone: “Tutti hannodiritto di manifestare il proprio pensierocon la parola, lo scritto e ogni mezzo didiffusione”. La pubblicazione degliscritti è subordinata all’insindacabilegiudizio della redazione; in ogni caso,non costituisce alcun rapporto di colla-borazione con la testata e, quindi, deveintendersi prestata a titolo gratuito.Notizie, articoli, fotografie, composi-zioni artistiche e materiali redazionaliinviati al giornale, anche se non pubbli-cati, non vengono restituiti».

Talìa Peppino, talìaIn quest’odore di maggiosolo il sole s’inginocchiaalla tua ombra. A brandelliè la verità.Su un lembo di rotaiail tuo sangue Impastatotra le false piste dello Statoradice d’una pianta occultache la verità nasconde.Nel frattempo che la storiadì/svelicompagni mesticamminiamo su Cinisi.

Franco AranitiMaggio 1978

Premio Letterario Nazionale di narrativa “Ing. Gino Puccini”III Edizione - Dicembre 2010

Il futuro delle regioni meridionali deve passare preli-minarmente da una bonifica del territorio e, conse-guentemente, del paesaggio; per raggiungere questorisultato nel breve periodo, sono necessarie precisevolontà politiche che inevitabilmente debbono esseresostenute da un apparato legislativo che rivesta i carat-teri dell’eccezionalità. La famosa “Legge Obiettivo”che è stata studiata per portare a compimento le gran-di opere pubbliche, tra i tanti difetti ha l’unico grandepregio di semplificare le “espropriazioni per pubblicautilità”; quello di cui ha veramente bisogno il Mezzo-giorno è di una “Legge Obiettivo” che disciplini nonpiù le edificazioni, bensì le demolizioni, bisognaespropriare tutte le orribili costruzioni che deturpanoil nostro territorio e, semplicemente, demolirle. L’uni-ca variante di cui hanno bisogni i piani regolatori del-

le nostre province è la Variante Caterpillar!Nel frattempo invece è in stato avanzato il progetto direalizzazione di ben 81 centri commerciali (nella solaSicilia) per un totale di 842.000 metri quadrati, unavalanga di calcestruzzo, milioni di metri cubi di ce-mento per realizzare altre abbacinanti isole di alienan-te consumismo. Il procuratore aggiunto della Dda diPalermo, Roberto Scarpinato, coordina le inchieste sul-le attività economiche, diciamo così “pulite”, della ma-fia; a proposito del fenomeno dei centri commerciali di-ce: “Le regioni del Sud sono la Singapore del Mediter-raneo dove i centri per la grande distribuzione sono di-ventati lavatrici del denaro sporco dei mafiosi”. Se qualcuno dovesse pensare che io sia “uscito fuori te-ma” e che tutto ciò non c’entri nulla con la cultura, è pre-gato di smettere subito di leggere Lettere Meridiane.

segue dalla prima pagina

Il 2043 è ancora lontano

I più sinceri auguri a Caterina Provenzano e Carmelo Cozza per la nascita del piccolo Giulio, da tutto lo staff della Città del Sole Edizioni e dalla redazione di Lettere Meridiane

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Anno VI - n. 20 - Gennaio/Aprile 2010 3LettereMeridiane

Padre Mioli, esiste, in Italia, e in parti-colare in Calabria, un problema di ac-coglienza dei migranti?«A livello nazionale, non parlerei di raz-zismo insorgente ma direi che siamo inuna situazione febbricitante, in tal senso.C’è uno stato d’animo che non favoriscel’accoglienza. Da quanto ho visto e letto,credo che le regioni del Sud abbiano mol-to da insegnare al resto d’Italia, probabil-mente, per la stessa condizione dura divita che qui si vive. La comprensioneverso gli immigrati è data anche dal fattoche, in passato, i calabresi hanno vissutola medesima situazione, quando partiro-no, in molti dalla Calabria, in cerca di la-voro, verso paesi lontani. Le statistiche,infatti, ci dicono che, oggi, 373.000 cala-bresi vivono oltre i confini italiani. Il problema di Rosarno, a mio avviso, vainquadrato nel problema generale del la-voro nero, che attanaglia il Sud. A questosi aggiunge la mano pesante delle coschemafiose e di quella struttura verticale, cheparte dai grossi padroni e arriva ai sottopa-droni e caporali, i quali, a loro volta, han-no propri discenti. La retribuzione, il piùdelle volte, passa attraverso questa catena. Questo sistema, questo stato di cose, ca-rica lo stesso immigrato di una tensionemolto forte e non mi meraviglio che pos-sa esplodere. Sono tutte situazioni cono-sciute, piuttosto bene, dai responsabiliche dovrebbero intervenire, ma non lofanno. Mi riferisco, soprattutto, agli entiistituzionali locali e nazionali. A ciò l’o-pera del volontariato non può sopperire». Come attuare in concreto questa inte-grazione? «Lo Stato deve svolgere un ruolo fonda-mentale e deve garantire, in primo luogo,la legalità. Abbiamo una legge che parladi integrazione. Ma si fa pochissimo, ilFondo per l’integrazione è scomparso,come anche la Consulta nazionale. Inquanto Chiesa, insistiamo molto sull’a-spetto educativo e trattiamo i migranti daamici. Ognuno deve fare la propria parte.In tal senso, anche i sindacati possonodarci una mano. Più di un milione di im-migrati, inseriti nel mercato del lavoroitaliano, sono iscritti, infatti, alle organiz-zazioni sindacali. Al loro interno hannoruoli direttivi e questo è un esempio di in-tegrazione. Bisogna creare una societàinteretnica più che multietnica.

Dobbiamo continuare a lavorare sullaformazione e sull’integrazione. Siamostati molto dispiaciuti per la mancataesperienza della consulta qui a Reggio,che abbiamo sostenuto per dare una vocepubblica ai migranti. Il 12% è stata la

percentuale dei votanti che per alcuniversi è un fallimento ma per altri ci sug-gerisce di camminare su questa strada». Quanto accaduto a Rosarno ha lascia-to un segno nella comunità di migran-ti, presente sul nostro territorio?«Sicuramente, adesso, i migranti, sonoun po’ più impauriti. Inoltre, si è venuto acreare un clima difficile, dal momentoche, verso il migrante non regolare, nonvi è più alcun tipo di tolleranza».Come opera la Caritas per favorirel’integrazione?La Caritas è l’organo della chiesa che os-serva i problemi del territorio e cerca dieducare la comunità cristiana all’assun-zione di responsabilità, nei confronti deimigranti. Ci occupiamo, anche, della loroevangelizzazione, affinché possano inse-rirsi nelle nostre parrocchie, oppure farein modo che, tra loro, possano costituireuna comunità di fede e di solidarietà ope-rativa».

Il migrante: una risorsaLa Caritas e il Centro Migrantes, due realtà calabresi per una società interetnica Alessandro Crupi

Gli spiacevoli fatti di Rosarno hanno portato alla ribalta il tema delrapporto con i migranti, aspetto di cruciale importanza e grande attua-lità nella nostra realtà sociale a cui si aggiunge quello dello sfrutta-mento tra datore di lavoro e lavoratore. Un elemento, quest’ultimo, chenon riguarda solo lo straniero che presta la sua opera in Calabria maanche chi - giovani in primis - è costretto a fornire la propria presta-zione lavorativa, in questa regione, in condizioni assolutamente nondignitose e con stipendi (chi ce l’ha) da fame, qualunque sia il volumedi lavoro effettuato. Ma qual è lo stato effettivo del rapporto tra la nostra comunità e quel-la degli immigrati presenti sul territorio? Per comprendere a fondoquesto aspetto, abbiamo preso in esame due realtà che operano all’in-terno del tessuto sociale: la Caritas e il Centro Migrantes. Abbiamo, pertanto, posto alcune domande a Padre Bruno Mioli, diret-tore del Centro Migrantes di Reggio Calabria e a Don Nino Pangallo,direttore della Caritas diocesana.

Don Pangallo, tra cala-bresi e immigrati èscontro o vi è una possi-bilità di integrazione?«In Calabria, esiste il ri-schio di una guerra trapoveri, fra la popolazio-ne locale, spesso succu-be del potere mafioso, ela fragilità di un mondodi migranti che, pur disbarcare il lunario, è di-sposto a vivere con 20euro la settimana. Tuttociò, tra l’altro, in un mo-mento di tensione socia-le dovuto all’acuirsi del-la crisi economica. Unaguerra tra poveri che nonfa bene alla crescita delnostro territorio. Sononecessarie serie politichedi integrazione, che fan-no bene, non solo al mi-grante, ma all’intera so-

cietà italiana. Non nascondiamo che se, oggi, partissero tutte le ba-danti straniere, i nostri anziani non avrebbero assistenza. Così come,se i figli minori di migranti venissero allontanati dalle scuole pub-bliche, non ci sarebbe la possibilità per tanti insegnanti di lavorare».Quindi l’immigrato, a suo parere, dovrebbe essere pienamenteinserito nel tessuto sociale del nostro paese?«L’immigrato è una risorsa. Perché non pensare ad una società, incui, senza perdere la nostra identità, ci apriamo alla diversità? Per ilrapporto tra popolazione locale e immigrati è importante richiama-re questi ultimi, non solo ai loro diritti, ma anche ai loro doveri. Unincentivo all’integrazione, sarebbe l’estensione del diritto di voto eduna maggiore facilità d’accesso al diritto della cittadinanza».In Calabria, la presenza di immigrati come è ripartita?«I romeni sono i più numerosi. Da 2007 - quando è entrato in Euro-pa il loro Stato - ad oggi, sono circa 800.000. Poi, ci sono gli alba-nesi, 440.000. Allo stesso livello numerico si attestano i marocchinie, a seguire, cinesi e ucraini. Siamo ancora in una situazione favore-vole, affinché questo processo di integrazione si attui». Come opera il Centro Migrantes per favorire l’integrazione?«Innanzitutto, c’è una forte collaborazione con la Caritas. Interve-niamo, in primo luogo, a favore dei migranti, andando incontro ailoro bisogni urgenti e alle esigenze primarie, e lavoriamo per sensi-bilizzare, in tal senso, la società civile e i cristiani».

Un migrante al lavoro, risorsa economica e sociale

Il volto della paura - Rosarno 7 gennaio 2010

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Anno VI - n. 20 - Gennaio/Aprile 20104 LettereMeridiane

È figlia d’arte Maria Concetta Policari,giovane fotografa di Rizziconi, un pic-colo paese in provincia di Reggio Cala-bria, sito nel cuore della Piana di GioiaTauro. Il padre, Francesco, le ha tra-mandato la passione-lavoro per la foto-grafia, e Maria Concetta non solo hapreso le redini dello studio di famiglia,ma ha, pure, trasformato la sua inclina-zione in qualcosa di più grande. Le suefoto, infatti, sono, da circa un anno,protagoniste indiscusse in prestigiosemostre nazionali.Nonostante si sia dedicata allo studio,laureandosi in Scienze dell’Educazio-ne, Maria Concetta non ha mai accanto-nato la sua predilezione per la fotogra-fia, scoprendo nuove tecniche da auto-didatta, fino all’incontro con Gianmar-

co Polimeni, artista specializzato nellabody art, e alla nascita del progetto “Ti-la”. Il connubio artistico, tra i due, na-sce dal desiderio di trasmettere impor-tanti messaggi, attraverso “la finzionedel trucco immortalata in un contestoreale”, ossia una sorta di “irreale reale”costituito da istantanee, con prospettiveimprovvisate e senza modificare alcunoscatto con programmi digitali. Lo scorso agosto, nel centro di Rizzico-ni, è stato possibile ammirare un’esposi-zione, che ha consacrato la collaborazio-ne tra i due artisti, e che ha dato il via adeventi a più ampio raggio. In quell’occasione, è stata presentata lamostra fotografica “Identità Sociale”: 17bellissime stampe (50x 70) in carta sati-nata che ritraggono - in un’atmosferaparticolarmente suggestiva, accentuatada un sapiente uso dei colori – donne euomini sulla cui pelle è impressa unamaschera, dietro la quale si nascondono,della quale non sanno fare a meno.Maria Concetta e Gianmarco hanno in-teso, con queste foto, darci un’idea del-lo spessore di queste maschere e di ciòche le produce: il non amore di sé.L’obiettivo/occhio, infatti, proponendo-si come punto di vista ideale, rappre-senta un’interpretazione dello scom-penso tra l’essere e l’apparire, tra l’inte-riorità e l’esteriorità richiesta da coloroche ci circondano. Dopo Rizziconi, la mostra è stata alle-stita, lo scorso inverno, a Cosenza, pri-ma presso la “Sala Museale della Bi-blioteca Nazionale” - con il patrociniodel comune e del Mab -, poi presso la li-breria Ubik. A gennaio, invece, a Mes-sina, presso “l’Accademia Internazio-nale Amici della sapienza” e, recente-mente, a Taormina, - in una mostra col-lettiva -, dove sono in programma altreesposizioni.Maria Concetta Policari, armata dellesua 40 D Canon, si sta preparando pernuove esperienze, alla volta di Roma,dove la mostra fotografica, dal titolo“Identità Sociale e Venezia”, verràesposta alla galleria d’Arte l’Acquario.Un importante traguardo per la giovanefotografa calabrese, che sta portandoavanti, con entusiasmo, i suoi progetti.Gli scatti da lei immortalati promettonomolto bene, e l’idea di puntare su tema-tiche sociali, particolarmente delicate, èquanto mai attuale; uno spaccato deiproblemi del nostro tempo, primo fratutti, l’irreversibile decadenza dell’au-tenticità umana.

Per info: www.tila.iit

Successo per la mostra fotografica di Maria Concetta PolicariLa giovane calabrese ha esposto i suoi scatti realizzati con il body artist Gianmarco Polimeni Federica Legato

arte

Anche quest’anno, l’emerotecaprivata ed itinerante, “La primapagina racconta”, del dott. DiegoDemaio è stata utilizzata per larealizzazione di due calendari. Uno, “Le più entusiasmanti fughesolitarie di Marco Pantani sullemontagne dei giri d’Italia e diFrancia”; l’altro, “Gli Ori e gliArgenti della Nazionale Italianaai Mondiali di Calcio dal 1970 adoggi”.Entrambi i calendari sono statielaborati dalla tipografia FrancoColarco di Taurianova e, in parti-colare, dal bravo grafico Umber-to Sirò. Il calendario che commemora ilciclista Marco Pantani - i cui co-sti sono stati sostenuti dal “Comi-tato Regionale Calabria della Fe-derazione Ciclistica Italiana”,nella persona del presidenteMimmo Bulzomì - racconta, pagina dopo pagina, mese do-po mese, le vittorie del più grande scalatore, “senza l’ausi-lio di doping”.Scorgiamo, quindi, - in un stralcio della Gazzetta del Sud,datato 20 luglio 1989 - Pantani dilettante, appena dicianno-venne, oltrepassare il traguardo a San Mango d’Aquino, inCalabria, nella Sei giorni della corsa del sole. E, a seguire, 12 prime pagine - in cui si alternano La Gaz-zetta dello Sport, il Corriere dello Sport e La GazzettaSportiva - che narrano la fiabesca, meravigliosa storia spor-tiva del grande ciclista romagnolo, del “Pirata”, come erasoprannominato dal giornalismo sportivo, prima del suo tri-ste epilogo. Nell’ultimo mese del calendario vediamo il ci-clista di Cesena, trentenne, in una foto in prima pagina, neLa Gazzetta dello Sport, pedalare verso la vetta di Couche-vel, e accanto un editoriale del compianto Candido Can-navò dal titolo “Quel giallo che si stacca. Una grande sce-na di Sport”.Alla base di questo lavoro, i cui documenti originali sonostati prestati gratuitamente dal dott. Demaio – che è statoegli stesso appassionato ciclista – sono una testimonianzaimportante di uno spaccato della storia del ciclismo sporti-vo, “uno sport che appartiene al territorio, lo attraversa, lorivela, lo conosce, lo esporta”.Il calendario che omaggia la Nazionale di Calcio Italiana èstato ideato e sponsorizzato dalla Scuola Asisport di SilvioLegato e Santo Sisinni, con un “valore e uno scopo peda-gogico”, ossia per introiettare, nei bambini e nei ragazzi, -

che si formano nella scuola calcistica taurianovese – il si-gnificato e la valenza anche di un secondo posto.La copertina di questo calendario, riporta un simpatico di-segno, uscito sulla prima pagina del quotidiano “Libero”,datata 10 luglio 2006, - il giorno dopo la vittoria degli az-zurri dell’ultimo Campionato Mondiale di Calcio - che ri-trae il mediano Rino Gattuso detto “Ringhio” che stringetra i denti un topolino vestito con i colori della bandierafrancese. Poi, si susseguono le prime pagine de La Gazzet-ta dello Sport, il Corrirere dello Sport e La Gazzetta delSud: dalla sconfitta contro il Brasile, alla finale dei Mon-diali del 1970, alle fasi salienti prima e dopo la vittoria del-la Nazionale Italiana del 1982, - un particolare momentodella storia dell’Italia guidata dal grande Presidente, San-dro Pertini – quando la prima pagina della Gazzetta del Suduscì con il tricolore della bandiera Italiana sotto il titolo diapertura “Campioni del Mondo” e, ancora, il girone finaledegli ultimi Mondiali, quelli del 2006, dalla vittoria controil Ghana fino alla vittoria finale, - con il memorabile gridodel cronista Caressa “Campioni del Mondo” – contro laFrancia, sotto il cielo di Berlino. Sono tre i calabresi che hanno vinto il Campionato delMondo di Calcio: Gennaro detto Rino Gattuso, VincenzoIaquinta e Simone Perrotta. Un motivo in più che ha spintogli allenatori Legato e Sisinni a fare questo bellissimo ca-lendario, con la preziosa collaborazione del dott. Demaio. Tra pochi mesi avranno inizio i Mondiali di Calcio 2010. E, disicuro, sulla Nazionale Italiana ci sarà altra storia da scrivere.

Marco Pantani e la Nazionale di calcio protagonisti di due calendariDall’emeroteca di Diego Demaio, la storia del ciclista e degli azzurri, raccontata in dodici mesi

F.L.

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Anno VI - n. 20 - Gennaio/Aprile 2010 5LettereMeridiane

“Il Vangelo secondo Pasolini” rap-presentato dall’espressività degliscatti, che il giornalista DomenicoNotarangelo riuscì ad effettuare nel1964 sul set del film di Pier PaoloPasolini Il Vangelo secondo Matteo,rivivono in una mostra. Trentottoimmagini, in bianco e nero, che con-figurano intensità d’animo ed estre-mo coinvolgimento emotivo. Tra il 13 ed il 28 febbraio, queste fo-to sono state esposte in una mostra,aperta al pubblico, presso il Monte diPietà di Messina, nell’ambito della“Notte della Cultura”, promossa dal-l’Assessorato alle Politiche Culturalidel Comune di Messina. L’appunta-mento è stato organizzato dal Ci-neforum Don Orione, in collabora-zione con l’Associazione Arknoah,la Federazione Italiana Circoli delCinema, la Fondazione Centro Spe-rimentale - Cineteca Nazionale, ilCircolo Lumière di Trieste e la Scuo-la di Cinema “Fare un Film” di Mes-sina. La cura della mostra, che dal2004 fa il giro d’Italia e d’Europa, èstata affidata a Nino Genovese eFrancesco Torre, che hanno anchepubblicato un opuscolo, in cui sianalizza la figura di Pasolini. NinoGenovese, che ha allestito, assieme aTorre, l’esposizione, è giornalista,docente, saggista, critico e storicodel cinema, oltre che presidente del«Cineforum Don Orione» di Messi-na. In un’intervista esclusiva a Lette-re Meridiane, ci illustra come è natal’idea di questa mostra. «Quando –spiega – nel 1963, Pier Paolo Pasoli-ni, spinto dal desiderio di realizzareun film tratto dai Vangeli, proprionei luoghi autentici della vita di Cri-sto, si recò in Israele e Palestina,quei siti gli apparvero trasformati,invasi dalla modernità, diversi daquelli in cui si respira ancora la spi-ritualità del protocristianesimo, cheil regista sapeva di poter trovare so-lo nel Meridione d’Italia ancora in-tatto, autentico. Da qui la scelta del-la Basilicata e, in modo particolare,della zona dei Sassi di Matera. Inquei luoghi, per reperire le compar-se, si rivolse al giornalista DomenicoNotarangelo, che gliele trovò ed ot-tenne anche il permesso di seguire lalavorazione del film, effettuando unaserie di foto del set. Queste immagi-ni, conservate per circa quarant’anni,sono state riprodotte, nel 2008, in unbel libro dal titolo Il Vangelo secon-do Matera (pubblicato dalla Casaeditrice Città del Sole Edizioni) efanno anche parte di questa mostrache, finora, non era mai arrivata inSicilia. Pertanto, quando Giovanni

Ardizzone, Vice-Sindaco ed Asses-sore alle Politiche Culturali del Co-mune di Messina, in occasione dellaseconda edizione della “Notte dellaCultura”, si è rivolto al Cineforum«Don Orione» e a Francesco Torre,segretario e prezioso collaboratoredel cinecircolo, abbiamo pensato su-bito pensato di allestire questa mo-stra. Naturalmente, in uno spettacoloserale molto affollato, è stato ripro-posto anche Il Vangelo secondo Mat-teo, - nella copia restaurata dallaFondazione “Centro Sperimentale -Cineteca Nazionale” di Roma, - cheabbiamo voluto far conoscere so-prattutto ai giovani, i quali hanno po-tuto apprezzarne meglio le qualitàstilistico-espressive e il fascino di unbianco e nero di altri tempi». Qual è l’aspetto che più di tutti èstato apprezzato dai visitatori eche bilancio può trarre da essa?«La mostra presentava tutte le fotoscattate sul set del film da DomenicoNotarangelo. Il bilancio è sicura-mente positivo, poiché abbiamo avu-to un notevole afflusso di pubblico,che ha apprezzato la rarità delle foto,l’atmosfera che da esse emanava,che rispecchia sicuramente la poeti-ca pasoliniana: infatti, il mondo de-gli umili e del sottoproletariato, tipi-co della sua opera letteraria e cine-matografica, rivive attraverso i voltiespressivi e marcati delle comparse edei protagonisti del film. Volti stan-chi, arsi dal sole, abbagliati dall’in-tensità della luce, scavati e segnatidalla fatica. Volti di gente umile, dicontadini del Sud, visti sullo sfondodi paesaggi aspri e violenti, di scarnaed estrema bellezza. Ad esempio, uncontadino in canottiera e coppola se-duto su una roccia e, più in alto, duebambini vicini a diverse comparsegià in costume; due soldati di guar-dia al sepolcro, che sembrano ripo-sarsi all’ombra; lo straccivendolo ro-mano Settimio Di Porto nel ruolo diPietro, e così via… ».Cosa lo affascina maggiormentedella figura di Pasolini?«Pier Paolo Pasolini a mio avviso èforse lo scrittore che ha saputo inter-pretare e sintetizzare meglio le in-quietudini, i problemi e le contraddi-zioni del suo tempo. Di lui mi hannosempre affascinato tanti aspetti: ilsuo amore per la letteratura e il cine-ma, che costituiscono i suoi interessipreminenti, il suo rigore intellettua-le, la forza e la coerenza delle sueidee, la sensibilità e la sua “sympa-teia” per il lumpenproletariat, il“proletariato degli straccioni”, iden-tificabile nel sottoproletariato delle

borgate romane. D’altronde, essendoanche lui un condannato dalla so-cietà per la sua “diversità”, si sentesolidale con questo mondo di “dise-redati”, di cui apprezza elementi evalori come la gioiosa semplicità,l’innocenza, la spontaneità, che con-tinuano a sopravvivere pur in un am-biente degradato e un contesto di mi-seria e violenza, almeno fino a quan-do non saranno sopraffatti dal benes-sere piccolo-borghese, che, a suavolta, contamina e asservisce tutto alconsumismo e a quel potere che losottende e indirizza. Comunque, tratutti gli aspetti, quello che mi affa-scina di più è la sua capacità di ripro-durre le sue idee e un intero mondoin dissoluzione attraverso immaginifilmiche di grande rigore stilistico-espressivo e di grande impatto visi-vo».Qual è “Il Vangelo secondo Pasoli-ni” e, dal suo punto di vista, comeva analizzato il rapporto tra Paso-lini e la religione?«Chi dice che io sono uno che noncrede mi conosce meglio di me stes-so. Io posso essere uno che non cre-de, ma uno che non crede che ha no-stalgia per qualcosa in cui credere.Questo pensiero di Pasolini contri-buisce, meglio di qualsiasi altra os-servazione, a sintetizzarne il rappor-to con la religione, di un ateo allacontinua, incessante ricerca della fe-de, di qualcosa in cui credere. La suavisione epico-religiosa del mondo, lapredilezione per la parabola, il suocosiddetto “cattolicesimo eretico”trovano ispirazione nel tema dellaPassione, vista in maniera completa-mente diversa (ma solo apparente-mente antitetica) in due film: La ri-

cotta G e, soprattutto, Il Vangelo se-condo Matteo del 1964, secondo meil film più bello che sia mai stato rea-lizzato sulla figura di Cristo. Un’o-pera estremamente complessa e sof-fusa di un notevole afflato poetico,non disgiunto da una notevole caricarealistica; un omaggio alle speranzedi dialogo tra cristianesimo e marxi-smo; un coraggioso tentativo di pro-porre la figura di un Cristo essenzia-le, combattivo, radicale contestatoredel potere, che rispecchia soprattuttola stessa vocazione allo “scandalo”di Pasolini, intellettuale polemico“controcorrente”».5) Pasolini è stato un artista ed in-tellettuale molto versatile. Nellarealtà attuale, che tende a privile-giare la specializzazione in un de-terminato ramo, l’eclettismo nellacultura viene ancora ritenuto co-me un valore di notevole impor-tanza?Pasolini fu un intellettuale a tuttotondo, polemista e uomo di culturacapace di “dominare” tutti i settori incui si esplica la sua poliedrica perso-nalità ed attività artistica: letteratura,cinema, giornalismo, pittura ed altro.È vero: oggi si tende alla specializ-zazione settoriale. Sono davvero inpochi, nell’ambito della storia dellacultura, i personaggi capaci di acco-starsi a 360 gradi ma nel contempoad altissimi livelli, a tanti diversi evariegati settori, raggiungendo intutti brillanti risultati. Pasolini, che ègiusto ricordare e rivalutare soprat-tutto oggi, nella nostra epoca cosìconvulsa, contraddittoria e priva diautentici valori, fu uno di questi. Mala sua ecletticità non significa super-ficiale ed approssimativo approccio;anzi, al contrario, una capacità di do-minare l’oggetto dei suoi studi, dellesue ricerche e delle sue elaborazionipoetiche, tale da denotare una gran-de maturità artistica e culturale insenso lato. In questa prospettiva dialto livello, l’eclettismo, a mio avvi-so, continua ad esplicare un valore dinotevole importanza nell’ambitodella cultura contemporanea». a

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Il Vangelo secondo Pasolini rivive nelle foto di NotarangeloTrentotto scatti, un libro e una mostra a Messina, a cura di Nino Genovese e Francesco Torre Alessandro Crupi

La copertina del volume di Domenico Notarangelo

www.bottegascriptamanent.it

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Anno VI - n. 20 - Gennaio/Aprile 20106 LettereMeridiane

“La morte mi è nemica/ non mi viene arapire/ e pur con le mie dita/ io tento difuggire (…)”.Così Alda Merini parlava della morteprima di incontrarla, lo scorso primonovembre, all’età di 78 anni. Poco pri-ma, “la piccola ape furibonda” avrà ac-ceso, di certo, almeno idelamente,un’ultima sigaretta, volgendo lo sguar-do, oltre le pareti bianche della camerasterile dell’ospedale San Paolo di Mila-no, - in cui ha consumato la sue ultimeore di agonia, causate da un tumore os-seo - immaginandosi nella sua casa suiNavigli, immaginandosi in mezzo aquel disordine di ricordi e di vestiti.Con la schiettezza che l’ha contraddi-stinta, avrà recitato ancora versi gravididi vita, nel suo tono mesto e inconfon-dibile. La vita di una grande poetessa, di unadelle più importanti voci dal secondoNovecento ad oggi, è possibile rintrac-ciarla nelle sue parole, nella tensione li-rica, nell’ispirazione intensa, nella suapenna tormentata. Alda Merini “aveva una forza, una vita,un coraggio di continuare ad andareavanti... Aveva un linguaggio nuovo,una capacità di inventare con freschez-za”. Sono le parole del premio Nobel

Dario Fo, che tanto si era battuto, negliscorsi anni, per far assegnare, il premiodi cui lui stesso era stato insignito, allaMerini. Un riconoscimento culturaleche, molti speravano, la poetessa rice-vesse.Lei, invece, viveva al limite dell’indi-genza, per scelta, mangiava i pasti of-ferti dai servizi sociali comunali, in unapiccola casa fatiscente, dalla quale nonvoleva trasferirsi. Da un po’ di anniaveva ricevuto il vitalizio Bacchelli.Nata il 21 marzo del 1931, in una fami-glia non agiata, Alda Merini esordì asoli 15 anni con la raccolta La presenzadi Orfeo che destò l’attenzione dei cri-tici, mentre il Liceo Manzoni respinsela sua richiesta di ammissione “perchéinsufficiente alla prova di italiano”. Di questo periodo, sono anche Paura diDio, Nozze romane e Tu sei Pietro.Nel frattempo, sposa Ettore Carniti, conil quale avrà quattro figlie. Conosce e frequenta Quasimodo, Mon-tale e altri rappresentanti della culturadel tempo che la aiutarono a pubblicarele sue opere.Sono gli anni in cui il suo equilibriopsichico viene meno, fino a sfociare inuna grave crisi che la porterà al ricove-ro. La sofferenza mentale, “le ombre

della mente” saranno il ter-reno della sua maturazionelirica e l’esperienza tragicadel manicomio sarà il temadi molte sue poesie, come inLa Terra Santa.Rimasta vedova nel 1981, sirisposerà nell’83 con il poe-ta Michele Pierri e andrà avivere con lui a Taranto dadove, nel 1986 si trasferirà,definitivamente, a Milano.Periodi di serenità si alter-neranno a periodi bui, pertutto il corso della sua vita.“Quel luogo mi ha ucciso emi ha fatto rinascere”- diceAlda Merini, parlando delmanicomio ai giornalisti

che la intervistano, dopo che il suo no-me, a partire dagli anni Ottanta, divienenoto al grande pubblico. E così, parla del periodo della sua rina-scita: “Una mattina mi sono svegliata eho detto: che ci faccio io qui? Così èdavvero ricominciata la mia vita. Ho ri-preso a scrivere e ho perfino trovatoquel successo che non avrei mai pensa-

to di ottenere... In fondo un poeta ha an-che qualcosa di istrionico e di folle. Perquesto il manicomio è stato per me ilgrande poema di amore e di morte”.La Merini imparò, infatti, a conviverecon la malattia e diede alla luce le suepiù belle raccolte poetiche: L’altra ve-rità. Diario di una diversa; La vita fa-cile; La vita felice; Le parole di AldaMerini; Folle, folle, folle d’amore perte; Nel cerchio di un pensiero; Le bri-glie d’oro; Superba è la notte.Dopo la notizia della sua morte, moltiesponenti del mondo politico e cultura-le hanno reso omaggio alla grande poe-tessa: “Viene meno una ispirata e limpi-da voce” così il Presidente Giorgio Na-politano; “se ne va una donna intensa edifficile, un’intellettuale diversa e non

incasellabile in alcun modo” sono le pa-role di Walter Veltroni.Il 4 novembre scorso, si sono tenuti, nelDuomo di Milano, i Funerali di Statoper una delle più importanti voci che,con la sua vita difficile e la sua operasofferta, ha segnato la storia della cutu-ra italiana. Vicino al feretro, ricopertodi rose gialle, centinaia di persone: arti-sti, intellettuali, musicisti, gente comu-ne che ha voluto porgere un ultimo sa-luto ad Alda, e le sue quattro figlie.Il 7 febbraio scorso, il comune di Mila-no ha istituito, nella biblioteca di viaValvassori Peroni, la casa-museo dedi-cata ad Alda Merini, alla sua memoria ealle sue opere. Mentre, sul portone del-la casa sui Navigli – che per motivi lo-gistici non ha potuto ospitare la casa-museo – è stata affissa una targa, loscorso 21 marzo, Giorno Internazionaledella Poesia, nonché giorno della suanascita.A ricordare la figura di questa grandedonna e grande poetessa, emblematicaè la Canzone per Alda Merini di Rober-to Vecchioni: “... Cosa non si fa per vi-vere,/ cosa non si fa per vivere/ guar-da... io sto vivendo;/ cosa mi è costatovivere?/ Cosa l’ho pagato vivere”.Altrettanto significativi sono i versiinediti del prologo scritto da Alda Me-rini, letto da Mariangela Melato, nelfilm-documentario di Cosimo DamianoDamato, Un donna sul palcoscenico,girato nella casa sui Navigli, dove lapoetessa racconta di sé, in un dialogoprivato, durante il quale emerge “lapoetica, la filosofia, la genialità dellaMerini”, attraverso alcuni temi, come ildono della poesia, del misticismo, dellaseduzione, della musica; ma anche ilracconto del dolore della malattia, dellebrutture del manicomio, della follia ri-versata nella poesia: “Un giorno io hoperso una parola, sono venuta qui perdirvelo e non perché voi abbiate rispo-sta. Non amo i dialoghi o le domande,mi sono accorta che cantavo in un’or-chestra che non aveva voci. Ho medita-to a lungo sul silenzio. Al silenzio nonc’è risposta”.Con queste parole Alda Merini ci hafatto strada nel suo mondo, quello inte-riore, sconfinato e lo ha fatto “mettendoa nudo la sua anima” che non può esse-re spiegata in un articolo, che con puòessere racchiusa in confini materiali,che continuerà a vibrare, a “cambiarecolore” e a “cambiare misura” ancoraed Oltre.

Alda Merini: la vita e la poetica di una piccola ape furibondaLa poetessa dei Navigli, che canto la malattia mentale, a pochi mesi della sua scomparsa Federica Legato

Noi qui dentro si vive in un lungo letargo, si vive afferrandosi a qualunque sguardo, contandosi i pezzi lasciati là fuori, che sono i suoi lividi, che sono i miei fiori. Io non scrivo più niente, mi legano i polsi, ora l'unico tempo è nel tempo che colsi: qui dentro il dolore è un ospite usuale, ma l'amore che manca è l'amore che fa male. Ogni uomo della vita mia era il verso di una poesia perduto, straziato, raccolto, abbracciato; ogni amore della vita mia ogni amore della vita mia è cielo è voragine, è terra che mangio per vivere ancora

Dalla casa dei pazzi, da una nebbia lontana, com'è dolce il ricordo di Dino Campana; perchè basta anche un niente per essere felici, basta vivere come le cose che dici, e divederti in tutti gli amori che hai per non perderti, perderti, perderti mai.

Cosa non si fa per vivere, cosa non si fa per vivere, guarda... Io sto vivendo; cosa mi è costato vivere? Cosa l'ho pagato vivere? Figli, colpi di vento... La mia bocca vuole vivere! La mia mano vuole vivere! Ora, in questo momento! Il mio corpo vuole vivere! La mia vita vuole vivere! Amo, ti amo, ti sento!

Ogni uomo della vita mia era il verso di una poesia perduto, straziato, raccolto, abbracciato; ogni amore della vita mia ogni amore della vita mia è cielo è voragine, è terra che mangio per vivere ancora

(Canzone per Alda Merini di Roberto Vecchioni)

La morte mi è nemicanon mi viene a rapiree pur con le mie ditaio tento di fuggireda questa amara vita,ma non vuole colpireil mio cuore di foglia,morte vuole tradirequesta tenera vogliae morir fa l’insettoe la gente gentilema a me che son reiettanon mi viene a colpire.

(Alda Merini, La morte mi è nemica)

Alda Merini con Roberto Benigni

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Gli ingredienti per fare un bestsel-ler ci sono tutti e sono distribuiti sa-pientemente nelle 316 pagine;un’operazione editoriale paracula acominciare dal titolo e dalla coper-tina, per non parlare dei neologismidialettali alla Camilleri (di cui fran-camente non se ne può più) sparsi aprofusione nel testo. Un carosellodi luoghi comuni, un bignamescocopia-incolla dalle pagine dellasterminata letteratura isolana. Qual-che sprazzo di buona scrittura chealimenta il sospetto, considerato ilcontesto, di scarsa originalità; manon è un libro da buttare, tra incon-gruenze narrative e gratuite banalitàsi scorgono vari passaggi coinvol-genti e suggestivi di grande tonoletterario. Tutto ciò non fa che au-mentare la sensazione di trovarsidavanti ad un lavoro posticcio, auna creatura letteraria da laborato-rio. Sono anni ormai, esattamentedall’esplosione della bomba Camil-leri, che gli editori italiani di primafila hanno deciso di seguire la le-zione dei colleghi americani, arruo-lando un esercito di ghost writerche sforna su misura queidieci/quindici libri di successo l’an-no necessari a mantenere il fattura-to; e pensare che ci sono ancora im-becilli che spendono una fortunaper spedire i loro manoscritti allegrandi case editrici, tonnellate dicarta sul cui destino c’è solo da spe-rare che non vada a finire in disca-rica ma venga almeno riciclata.Prendiamo i vari Grisham, Smith,King e Cornwell; in America sisforna con i loro nomi almeno unbestseller l’anno, e parliamo di to-mi da 4/500 pagine minimo, pernon parlare di Michael Crichton,morto prematuramente due anni fa,del quale è già stato confezionato ilprimo postumo (naturalmente ritro-vato nel suo computer già bell’epronto), L’isola dei pirati, 332 pa-gine di avventure mirabolanti, co-me se Emilio Salgari non fosse maiesistito. In Italia invece continua ilfenomeno Camilleri, che, alla tene-ra età di 85 anni, sforna un bestsel-ler dietro l’altro per la felicità dellaMondadori di quel Berlusconi chepoi, dalle pagine di Micromega, sidiverte pure a sputtanare. Magariun’ideuzza, questi campioni dellevendite, la tireranno pure fuori au-tonomamente, ma agli ingredientigiusti per il successo state pur certiche ci pensano gli editor con le lo-ro squadre di redattori-fantasma e iresponsabili del marketing con lenote ai giornali e le comparsate te-levisive. Ma torniamo al nostro li-bro, come vi dicevo questo Contodelle minne ha un andamento schi-zofrenico, dal passo classico-diari-stico della prima parte si arriva abollentissime pagine hard che po-trebbero entrare a pieno titolo nelcatalogo della benemerita (quellasi!) casa editrice Olympia press,storico editore di libri porno di cuiogni porcellone che si rispetti ha al-

meno una decina di titoli negli scaf-fali più irraggiungibili della sua bi-blioteca. “Santino c’è un modo per-ché tu possa essere il primo. Vienidomani da me.” Così risponde laprotagonista quando l’amante (ilmitico Santino Abbasta) confessa ilrammarico per non essere stato ilsuo primo uomo, e lei non si perded’animo, sentite: “Mi tolgo la gon-na e la camicetta, rimango con unasottoveste corta di seta rossa; dasotto spuntano un reggicalze e ilbordo delle calze. Ho le cosce incarne, quanto gli piacciono a Santi-no…”, passa quindi a descriverecon dovizia di particolari la conces-sione del lato b e conclude sapien-te: “Il dolore è un secondo di so-spensione tra l’attesa che il rito sicompia e il piacere che sale violen-to sotto la pelle, una corrente elet-trica tra i muscoli e le ossa, unagioia che scioglie la distanza, sentoperché lui sente, godo perché luigode, esisto perché è lui che mi faesistere.” Viene fatta così definiti-vamente giustizia di due secoli diletteratura femminile virginiawol-feggiante, e l’uomo torna trionfanteal suo ruolo di dominatore di docilischiave che non hanno altro deside-rio se non quello di far godere conogni mezzo il maschio che le hascelte. A tutte le mie amiche tardofemministe, compresa la mia caracompagna di pagina, domando co-me avrebbero reagito se queste pa-gine le avesse scritto un uomo; daparte mia vi assicuro che per molto,ma molto, meno mi sono ritrovato,negli anni 70, con la foto segnaleti-ca in tutti i circoli femministi dellacittà, sede dell’Udi compresa.

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Un’intensa storia corale quella raccontata da Giuseppina Torre-grossa nel “Conto delle minne”: quattro generazioni di donne,dalla bisnonna alla piccola nipote, tutte Agata di nome e tutte de-vote alla Santuzza, patrona di Catania, che si festeggia il cinquedi febbraio. Sullo sfondo la Sicilia, i suoi colori, i suoi sapori, ilmeraviglioso suono della lingua che, intercalando una prosa ele-gante e significativa, immerge il lettore dentro l’atmosfera rare-fatta di un matriarcato di fatto, costellato da un andirivieni di zie,madri, cognate, vicine e amiche. In secondo piano, sebbene con-dizionino fortemente la vita delle donne, gli uomini, come entitàa sé stanti, i nemici, a cui «meno ci fai sapere meglio te la pas-si», incapaci di penetrare a fondo nelle dinamiche del pensierofemminile, mutevoli figure, crudeli fino all’inverosimile, vedi ilcomportamento del console romano Quinziano, che ordina il fe-roce martirio della Santuzza, o tenere canaglie, come nonnoAlfonso, impenitente “femminaro” legalmente dedito a treschepiù o meno ufficiali, padrone assoluto, temuto e rispettato in ca-sa e nel paese, surrogato di padre teneramente amato dalla picco-la Agatina.In una terra dove «i desideri delle donne non contano niente,

mentre quello che vogliono gli uomini diventa destino» puoi so-pravvivere solo se adeguatamente formata, e nonna Agata, nel-l’intimità della cucina, impartirà alla piccola nipote mille racco-mandazioni, una sorta di educazione sentimentale di cui ognunadi noi, più o meno, conserva il sentore. Consigli, istruzioni e di-vieti per sopravvivere in un mondo governato dagli uomini econdizionato da loro; amore, gravidanza, regole di comporta-mento, con grande capacità affabulatoria la nonna traccia unasorta di manuale di sopravvivenza, e inizia proprio con la storiaorribile del martirio della santa, “u cuntu”, seguendo un rito an-cestrale che ricorda antiche cerimonie di “iniziazione”, un pas-saggio dall’infanzia all’età adulta. Le due Agate impastano insie-me le minnuzze, i dolci che ogni anno si preparano in onore del-la santa, che devono risultare morbide ed elastiche come il senodi una donna innamorata, e devono essere perfette, pena la per-dita della protezione della vergine, «Agatì, falle bene quelle cas-

satelle, nzà ma’ la Santuzza si offende»; poi la raccomandazione più importante,«Agatì, paro: non sparigliare mai!». Di tutto questo si ricorderà amaramente la protagonista più avanti nella sua vita,quando il conto delle minne non sarà più paro e questo provocherà dolore. Aga-tina cresce e ascolta, impasta e ascolta, e il legame fra nonna e nipote diventasempre più forte, nella cucina profumata e calda. Insieme ai precetti e agli avver-timenti la nonna le svela i segreti della ricetta, e intanto la spinge a partire, ad an-darsene; «questa è una terra da cui si può solo provenire», le ripete continuamen-te. E Agata parte, se ne va, diventerà ginecologa, al Nord, nonostante le perples-sità della madre, che non l’ha mai amata, «sempre fimmina rimani... devi fare fa-miglia». Ma la nostalgia, il desiderio di tornare a casa, è più forte del dolore cheha portato l’allontanamento e Agata adulta torna, sperimentando sulla propriapelle quanto fossero veri gli insegnamenti della nonna. Palermo le riserverà un’amara sorpresa, con un amore sbagliato, violento, inten-so, una passione sfrenata per un uomo che la annienterà. Il lavoro, le amicizie, lavita, a tutto Agata rinuncia per stare con Santino, sposato, ovviamente, e con unadi quelle donne che non si possono lasciare. Agata inizia una nuova vita, intera-mente focalizzata su di lui, smarrendosi dentro una storia travolgente di sessoestremo che la consuma lentamente, dimentica della “Regola” che la nonna leaveva insegnato, «... devi sapere che gli uomini, se non ci provi piacere quandoti toccano, si sentono mezzi masculi, ma guai a te se ci provi piacere, perché al-lora ti collocano tra le buttane».Lui, Santino Abbasta, (nomen omen?) merita una menzione speciale. Classico ti-po da cui, a vista, è sempre meglio stare alla larga, infallibile seduttore, inclineall’adulterio, gran vanesio dai modi spicci e espliciti, instancabile amante, si di-chiara esperto e disposto a tutto, salvo poi ritirasi atterrito quando lei, nell’estre-mo tentativo di segnare come unica la loro relazione, compie un certo passo. Ov-viamente, come nella migliore tradizione della commedia umana, quando l’ap-prendista stregone supera il maestro, viene allontanato dal laboratorio, punito perla sua audacia e la sua temerarietà. Ed infatti, questa seconda parte del romanzo,che cambia nettamente tono, scrittura e registro linguistico, può essere letta an-che come una sorta di avvertimento per le donne: mai superare i limiti, e, soprat-tutto, mai credere a un uomo che te lo chiede. “Le colonne d’Ercole” in una re-lazione, lecita o illecita che sia, stanno sempre nel sottile confine tra ciò che èconvenientemente trasgressivo, e ciò che è decisamente fuori dagli schemi. Me-glio non osare. In questo turbinio Agata perde anche la ricette delle minnuzze, pessimo segnaleche preannuncia disgrazia e malattia, e la ritrova soltanto quando, sfiancata dal-la passione e dalla malattia, decide di troncare definitivamente la relazione conSantino. Ma, poiché, «bonu tempu e malo tempo non durano tutto il tempo»,Agata cerca di riprendere in mano la sua vita, e riesce a traghettarla verso un por-to più sicuro, forse troppo sicuro. Costruito su una pluralità di chiavi di lettura esu una vasta gamma di sfumature emotive, questo romanzo parla al cuore delledonne con un linguaggio soffuso di ironia e amarezza e, nonostante qualche dis-sonanza e l’epilogo felice che anestetizza la crudezza della storia, è interessanteed emotivamente coinvolgente.

Sesso, dolci e Camilleri. Come ti costruisco un best sellerFranco Arcidiaco Maria Zema

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Anno VI - n. 20 - Gennaio/Aprile 20108 LettereMeridiane

Un viaggio è la vita che si raccontasul palcoscenico della quotidianità.Chi ha conosciuto Pino Raffa sa co-sa si intenda con questa affermazio-ne. Chi ha conosciuto Pino Raffa siè sentito parte di una delle sue tan-te famiglie. Accanto a quella di san-gue composta dalla moglie Vincen-za e dalle figlie Francesca e Sonia,durante la sua vita lunga cinquanta-sette anni, Pino ha saputo costruirealtre famiglie con quella stessa na-turalezza con cui creava spazi sce-nici, la stessa dedizione, la stessagenerosità, lo stesso spirito leggeroe profondo che caratterizzavano lasua esistenza come i suoi personag-gi. Una persona, in una parola, indi-

menticabile. Sono lucidi gli occhiquando ci si accorge che, nonostan-te il suo distacco un anno fa, la suapresenza è ancora costante, discretae irrinunciabile, nel focolare dome-stico come sul palcoscenico. Sonolucidi gli occhi di Sonia, una delledue figlie, quando ci racconta laquotidianità di un uomo di cui a ca-sa manca il suono, manca lo spirito,manca tutto. “Sempre sorridente, de-terminato, fermo ma calmo nelle suedecisioni, papà sapeva tranquillizza-re tutti e sdrammatizzare in ogni si-tuazione, anche la più difficile, sen-za affrontarla con superficialità“.Attore reggino di numerose caratte-rizzazioni, maestro della commedia

dialettale, Pino Raffa iniziò a fareteatro a Reggio negli anni Settantacon la Cooperativa Reggina Teatra-le di Enzo Zolea, prima di approda-re a SpazioTeatro di cui sarebbe di-venuto vicepresidente. I personaggia lui più cari sono stati Aglietielloin Non ti pago di Eduardo, PaoloBorsellino nel Sogno spezzato diRita Atria e poi un curioso DonMarzio nella Bottega del caffè diGoldoni, la sua ultima interpreta-zione. Giunge, infatti, prematura-mente il richiamo ineludibile, unanno fa, della battaglia più dura espietata della malattia, egregiamen-te vinta dal suo spirito ma non dalsuo corpo.

La memoria ha fatto il proprio do-vere e lo ha fatto in modo specialeperché ricordare Pino non è statosolo doveroso e commovente ma,per chi lo ha amato e conosciuto, èstato ed è vitale e necessario. A te-stimoniare tutto ciò è un afflatospontaneo che ha sostenuto la fami-glia e che, ad un anno dalla suascomparsa, naturalmente è appro-dato al palcoscenico del cine-teatroOdeon sul quale, lo scorso 22 otto-bre, artisti diversi, ma che con luihanno lavorato, hanno sentito divolergli rendere omaggio, in occa-sione della serata di beneficenza infavore dell’hospice “Via delle Stel-le”. Ancora un altro caffè è stato iltitolo scelto per la serata ed è stataanche la battuta finale dell’ultimarappresentazione di Pino Raffa,Bottega del Caffè di Goldoni. Unafrase emblematica perché fu il suoaddio ad un pubblico, che non loavrebbe dimenticato, ma è anche unrichiamo ad una quotidianità pre-ziosa e intensa; la stessa che nel la-boratorio di SpazioTeatro abbiamorespirato attraverso il ricordo diGaetano Tramontana, amico di Pi-no prima che regista e presidentedell’omonima associazione. “Que-sto luogo parla di lui. Queste pan-che, le altre pedane le ha costruitelui, queste luci si accendono graziealla sua opera. Lui è sempre qui”. Èun’eredità ricca di umanità, di otti-mismo, di amore per la vita, di no-stalgica memoria quella che ha la-sciato a tutti noi. Un’eredità traboc-cante di commozione perché costel-lata di piccoli grandi frangenti incui Pino c’era. Ma Pino è ancoraqui. In ciascuna delle persone chehanno condiviso con lui la vita, su ogiù dal palcoscenico, c’è e ci sarà alungo il desiderio di sentirsi attesida lui per ordinare “ancora un altrocaffè”.

(articolo apparso su www.strill.it il 22 ottobre 2009)

“Riggiu non vindiu mai ranu”, dice un vecchio prover-bio che sta ad evidenziare come la nostra città non siamai riuscita a produrre nulla di buono. Tuttavia, nono-stante i retaggi storici che attualmente ci portiamo anco-ra dietro, esistono diverse realtà sul territorio impegnateseriamente a farlo emergere ad alti livelli, dimostrandoil contrario. Da circa un anno e mezzo, l’Accademia Flautistica diReggio Calabria è una di queste configurandosi come ilpunto di riferimento della formazione musicale, in tuttoil Sud Italia, indirizzata al perfezionamento dei flautistiprofessionisti. Un’i-niziativa nata sullabase dei sacrificicompiuti dal giovanedirettore artistico del-l’Accademia, Ales-sandro Carere, che,per formarsi, è dovu-to emigrare al Nord,alla “Scala” di Mila-no e ad Imola. In que-st’ottica, la strutturasorge assecondandola necessità di creare,proprio al Sud, uncentro adeguato checonsenta ad un musi-cista meridionale diperfezionarsi in que-st’area del territorionazionale senza esse-re costretto a partire.Carere ci conferma iltarget di questo suo progetto, fulcro dell’Accademia:«Alta formazione significa che ci rivolgiamo ad un seg-mento di musicisti diplomati o diplomandi o che, co-munque, esercitano questa professione. Per questa ra-gione non si tratta della classica scuola con dieci aulema di una sala concerti dove svolgere adeguatamente,ad un certo livello di formazione, la lezione musicale».Ponendosi, dunque, questo obiettivo la struttura offre di-verse attività che spaziano dal corso annuale e di forma-zione fino alla masterclass. «Quest’ultimo – ci spiegaCarere – è rivolto a studenti o per chi si trova nella fasedi passaggio tra studio e professionismo musicale. Ilcorso annuale prevede, invece, un incontro al mese nel-la sala concerti con il pianista accompagnatore mentre la

masterclass è un evento straordinario, che organizziamoquattro o cinque volte all’anno nell’arco di due-tre gior-ni ciascuno. È un seminario-convegno che si svolge al-la presenza di ospiti di assoluta eccellenza in questocampo. Tra di essi abbiamo avuto, infatti, i primi flautidella “Scala” di Milano, del teatro “Bellini” di Cataniae il docente di flauto al conservatorio di Stoccarda». E illivello di partecipazione a tutte queste attività? Il giova-ne direttore artistico, perfezionatosi alla “Scala” di Mi-lano e vincitore di tutti i corsi nazionali a cui ha presoparte, ci rassicura: «L’Accademia è stata creata per il

meridione d’Italia edaccogliamo molti ra-gazzi provenienti davarie città». La strut-tura propone anchealcune attività, diparticolare attrazioneed importanza come ilcosiddetto “weekendin Accademia”, unatre giorni di concertitematici e master-class gratuite per gliallievi iscritti. Sisponsorizza poi lapartecipazione a con-corsi flautistici. Unesempio è stato il fe-stival di Firenze, te-nutosi il 19, 20 e 21marzo scorso, conuna certa rappresen-tanza di musicisti ca-

labresi. Resta il fatto che operare, in ambito artistico-culturale, nel nostro territorio, non è facile, ma forsequesto rappresenta un motivo in più per far crescere, an-che in questo settore, la città e l’intera Calabria. A que-sto proposito, per Carere la maggiore difficoltà consistenel non «riuscire ad inquadrare l’applicazione in campomusicale come una professione. Attraverso l’Accademia– spiega – cerchiamo di far capire che l’approccio pro-fessionistico richiede competenze particolari». Sullafunzione del flauto, il direttore artistico sottolinea comeesso «sia uno degli strumenti leader dell’orchestra, inquanto raddoppia il soprano, ricoprendo un ruolo fonda-mentale nel repertorio lirico-operistico e, dall’Ottocentoin poi, nella musica da camera».

Il ricordo di Pino RaffaLe orme di un indimenticabile interprete sui palcoscenici della vita Anna Foti

L’Accademia Flautistica fucina di musicisti calabresiA Reggio, un punto di riferimento per i professionisti del settore

Alessandro Crupi

Flautisti all’opera all’interno dell’Accademia

teatro

Pino Raffa (foto di Reno Riggi)

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Anno VI - n. 20 - Gennaio/Aprile 2010 9LettereMeridiane

È durata tre giorni la manifestazio-ne culturale dedicata al grandescrittore calabrese. Saverio Stratiha ricevuto il premio “Siberene”,nell’ambito della diciassettesimaedizione della kermesse omonima,promossa dal comune di Santa Se-verina (KR). Saverio Strati, appassionato scrit-tore, illustre contemporaneo, uo-mo di grande spessore umano eculturale, nato a Sant’Agata delBianco nel 1924. La storia dellasua produzione culturale è fatta disacrificio e vocazione sincera.Strati nasce in una famiglia di con-tadini, forgiato da quella stessarealtà di sudore e fatica, lavoro eanelito di riscatto, che diventerà iltratto distintivo del suo realismopoetico. Non ha le possibilità eco-nomiche per studiare: al lavoro neicampi succederà quello di murato-re che svolgerà per i primi annidella sua gioventù. “Da contadino e da muratore. A di-ciotto anni avevo il metro in tascae davo consigli anche agli altri. Cisono case popolari ad Africo Vec-chio costruite dalle mie mani. Lavita la conosco, non ho bisogno dilibri per scrivere. L’ho sofferta, lavita, l’ho vissuta come nessun al-tro forse degli scrittori italiani.Verga, scrittore più grande diManzoni, quando ha scritto i Ma-lavoglia, ha avuto bisogno di qual-cuno che gli mandasse i proverbi.Io li conosco tutti. I giovani di og-gi non li conoscono.”Riesce a perfezionare gli studi gra-zie all’aiuto economico di uno zio,consegue la licenza liceale e siiscrive alla facoltà di Lettere, dopoaver provato medicina per accon-tentare la famiglia. Proprio duran-te gli anni universitari avvienel’incontro decisivo per la sua car-riera letteraria: quello con Giaco-mo Debenedetti, illustre critico eallievo di Verga. A lui Strati fa leg-gere alcuni dei racconti che con-fluiranno ne La Marchesina, cheDebenedetti sottoporrà alla direttaattenzione di Alberto Mondadori.Inizierà così il lungo rapporto conla casa editrice, che pubblicherà lamaggior parte delle sue opere. Trai numerosi successi e riconosci-menti letterari, ricordiamo: Tibi eTascia (Premio InternazionaleVeillon 1960), Mani Vuote, Il No-do (Premio Sila 1966), Gente inviaggio-Racconti (Premio Sila1966), Noi Lazzaroni (Premio Na-poli 1972), I cari Parenti (1982) eLa Conca degli Aranci (1987) pas-sando attraverso il prestigioso Su-

per Campiello del 1971 attribuitoa Il Selvaggio di Santa Venere. Strati racconta la Calabria rurale efeudale. La fame che asciuga i cor-pi, la brutale fatica del lavoro in-chiodata alla condanna della spo-liazione padronale. La semi schia-vitù e la rassegnazione inerme dicontadini ripagati con brodaglia evino dall’intontimento di interegiornate al sole. Ma la sua produ-zione letteraria è soprattutto unracconto epico del passaggio, uncomposito affresco verista di altis-simo valore storico, oltre che lette-rario. La piaga della fame, la reifi-cazione di uomini e bambini, l’an-nullamento della dignità sono lebasi del racconto dell’emigrazione(tema centrale di molti romanzi,da Noi Lazzaroni a Il Nodo). Ma èsu questo tema che il tormento delcorpo lascia spazio alla tragediadella coscienza. Si avverte l’anna-spare del pensiero in quel dispera-to flusso di anime vaganti, la ger-minazione di impulsi nuovi. L’e-migrante non è il bracciante chevuole resistere e sopravvivere, mainizia ad essere un uomo consape-vole dell’ordine semifeudale e dellavoro servile. La fuga dalle landedisperate acquista un valore diprotesta contro il meccanismo diaccumulazione del capitale agra-rio, in un circolo alimentato dal-l’acquisizione di nuove conoscen-ze che arrivano da chi è già parti-to. Si inizia a capire che esistonoluoghi nel mondo - l’America - incui il lavoro non è semiservile co-me nella morta terra di Calabria. Amani vuote racconta di questa con-sapevolezza, dell’andare comeunica scelta possibile. Con Il NodoStrati dipinge il Sud più amaro,quello da cui sono costretti a scap-pare persino i giovani intellettuali.In questo la vera novità della suadenuncia, che passa attraverso lanarrazione degli stenti corporaliper arrivare a quella del pensieroconsapevole. Da un lato la desola-zione di una terra abbandonata e ilpermanere di un’arretratezza so-cioculturale. Il lavoro smette di es-sere soma, ma anche se si è squar-ciato il velo della più nera oppres-sione sociale, permane quella del-le sovrastrutture ideologiche, lementalità, le abitudini ancestrali dichi nulla cambia “sotto questopezzo di cielo”. Dall’altro il giova-ne intellettuale che si lascia defini-tivamente alle spalle questo im-mobilismo nella consapevolezzadella necessità di un contributo il-luminato per cambiare le cose, at-

traverso lo scrivere i libri. Si rive-de molto di Strati in questa voca-zione illuministica. Il romanzo la-scia aperta la questione della fun-zione dell’intellettuale che è con-dannato dalla fuga a spendere lon-tano dalla terra d’origine le sueenergie per il riscatto della stessa,forse la stessa condizione che oggiStrati vive nella sua casa toscana.Proprio dalla sua residenza diScandicci qualche mese fa ha resonoto il suo stato di difficoltà eco-nomica. Lo ha fatto in una letteraaperta consegnata alla stampa - di-sarmante per la sua profonda uma-nità - in cui ripercorre la sua vitaletteraria e personale. Parla di sé intono sommesso, con una seriaumiltà così lontana dallo snobbi-smo troppo spesso tollerato a mol-ti intellettuali. Leggiamo: “Nel1991 la Mondadori rifiutò - non soperché - di pubblicare Melina giàin bozza e respinse l’ultimo mioromanzo Tutta una vita che è ri-masto inedito”. Strati ha chiesto dibeneficiare della legge Bacchelli,richiesta finalmente accettata, do-po una lunga trafila burocratica, ildicembre scorso. Lo scrittore haricevuto anche un contributo dallaRegione Calabria, erogato con unprovvedimento ad hoc e sono sta-te, inoltre, acquistate un migliaiodi copie de I cari parenti, destina-te alla distribuzione nelle scuole.Di questi tempi la parola libertàecheggia di sovente nelle arenemediatiche e nelle agorà pubbli-che. La parola più “liquida” chequesto Paese è riuscito a deco-struire nei suoi aspetti semanticifino alla radice profonda del suoessere in nuce. Una scansione tota-le, una sorta di violenza perpetratanon con spargimento di sangue maattraverso le leggi del marketing,così usuali alla pratica politicamoderna. Stupisce l’accanimentosull’uso politico di questa parola,che può all’occorrenza sostenereuna tesi e il suo contrario: libertàdi diffamazione versus libertà diinformazione e di espressione, li-bertà di agire nel nome delle istitu-zioni ovvero libertà di porsi incontrasto con esse. La libertà diagire in un privato che sposta apiacimento i limiti delle responsa-bilità pubbliche. L’impressione èdi una deriva sociologica, libertàcome scudo morale e oggetto discambio sugli scaffali del mercatosociopolitico, sullo sfondo di unterrificante vuoto etico nelle cate-gorie del dibattito pubblico. Men-tre il tema libertà infiamma le co-

scienze, ad uno sguardo più atten-to non può sfuggire che la partitadella libertà intellettuale si giocaoggi intorno a regole che trascen-dono la sfera politica ed ideale. IlMinculpop non è l’unico nemico -immaginario o reale - da cui difen-dersi, ed è lo stesso specchio dellapolitica a rifletterlo. E così, a benguardare, il vero censore della li-bertà intellettuale si nasconde die-tro le trame del potere economico.Saverio Strati ha nel cassetto alcu-ni romanzi rimasti inediti. L’edito-re che ha deciso di non pubblicarele sue opere - per motivi ideologi-ci o economici non è dato sapere -è lo stesso da poco condannato adun risarcimento multimilionarioper motivi di illeciti comporta-menti finanziari. L‘Italia che dero-ga la libertà intellettuale ad unmercato economico, fatto di pochigruppi editoriali che si spartisconoi meriti, rischia di diventare unPaese immobile e autoreferenzia-le, in cui è sempre più facile di-menticare l’enorme patrimonioculturale delle voci senza un me-gafono proprio perché senza unpadrone. L’auspicio è che non ac-cada più l’ignominia dell’indiffe-renza, e che alla libertà di parola,idealmente tutelata, si accompa-gnino politiche concrete.

L’appassionato scrittore di Sant’Agata del Bianco ha ricevuto il Premio “Siberene”

Saverio Strati: la libertà di un intellettuale senza voceLa difficile condizione dell’illustre contemporaneo, imbavagliato dal marketing della politica Beatrice Mollica

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Anno VI - n. 20 - Gennaio/Aprile 201010 LettereMeridiane

Maram ama la Calabria. Spera, come leistessa dice, di tornarvi presto, magari perpresentare “Ti guardo”, una delle sue ul-time raccolte poetiche, attualmente inpromozione in Italia, definita dal criticoletterario Giuseppe Conte “un canzonie-re d’amore luccicante come perle e tene-broso come la più nuvolosa delle notti”.Il volume, uscito a Beirut nel 2000 epubblicato, nel 2009, da MultimediaEdizioni nella traduzione dall’arabo diMarianna Salvioli, è, infatti, una dellepiù recenti opere di Maram al-Masri,poetessa siriana nata sulle rive del Medi-terraneo, ad appena “venti miglia mari-ne” dall’isola di Cipro, a Lattakia. Nello scorso mese di gennaio, Maram,che è riconosciuta come una delle princi-pali voci del panorama letterario araboed è molto nota al pubblico internaziona-le - con libri pubblicati in diversi paesiarabi e tradotti in Francia, Spagna, GranBretagna, Lussemburgo, Macedonia,Serbia, Grecia, Germania, Stati Uniti -ha iniziato un tour italiano, che il 29 l’haportata a Poggibonsi, il 31 a Castelleonee il 1° febbraio a Crema, dove ha tenutoreading di grande successo, incentratisull’ultima raccolta, “Les Âmes auxpieds nus”, pubblicata, pure nel 2009, aParigi - dove l’autrice vive - e sul volu-me edito da Multimedia. In Calabria è venuta spesso; a Reggio, adesempio, ha contribuito, con la sua affa-scinante presenza e la sua ricchezza poe-tica, alla rassegna “VersoSud. Incontriinternazionali di poesia”, promossa nel2007 dalla Regione Calabria e dal comu-ne reggino e curata dalle associazioni“Angoli Corsari” e “Casa della poesia”.Nello stesso anno, ha percorso anche illitorale jonico cosentino, dove ha ricevu-to, nell’omonimo centro collinare, il Pre-mio Calopezzati per la sezione “PoesiaMediterranea” ed è stata ospite a Cariatidella rassegna letteraria “L’onda e la me-moria. Voci del Mediterraneo”. Anche inqueste circostanze, la poetessa ha incan-tato le platee, con la sua bellezza esalta-ta dagli abiti tipici del suo paese, con i“sussurri urlati”, nella recitazione deiversi tanto originali ed intimistici, fatti diimmagini d’effetto e battute fulminee, econ la convinzione delle sue idee, riguar-danti, principalmente, l’essere femminilein un mondo che, a suo avviso, deve an-cora imparare il rispetto per quello che ledonne “sentono” e sono: “Ogni donna -ha spiegato Maram - deve cercare primadi tutto la sua libertà, ogni giorno, confatica, in ogni aspetto della propria vitaquotidiana. La battaglia della libertà edell’emancipazione può essere combat-tuta da qualsiasi posto nel mondo e daqualsiasi donna, a prescindere dalla suanazionalità. Ogni donna è unica ed unicisono i suoi diritti. La passione che ledonne possiedono, quasi fosse un dononaturale, riescono a trasmetterla in ognimomento della propria vita”.La sua, intensissima di eventi, si è svoltafino all’età di 20 anni in Siria, da cui èfuggita per tre volte solo perché volevasentirsi libera da uno stile di vita sotto-messo, che le impediva di confrontarsicon i coetanei, altre idee, diverse menta-lità e, sopportando, nei vari passaggi,amori difficili, ostacoli e tragedie, comeun grave lutto e il rapimento di un figlio.

A Parigi vive dal 1982, ma è dal mondoarabo che arrivano le pubblicazioni deisuoi primi libri: a Damasco, a cura delMinistero dell’Educazione nel 1984, hapubblicato il primo, intitolato “Ti minac-cio con una colomba bianca”; a Tunisi,nel 1997, presso l’Editrice Oro del Tem-po, la raccolta “Ciliegie rosse su una pia-strella bianca” (l’edizione italiana è del2005 a cura dell’editrice ligure “Libero-discrivere”). Questo volume, accolto congrande favore dalla critica araba, dai let-

tori e dalla comunità poetica internazio-nale, è stato tradotto in molte lingue e leè valso, nel 1998, il prestigioso “PrixAdonis” del Forum Culturale Libanesein Francia, dedicato a quello che è consi-derato il più grande poeta vivente delmondo arabo, e cioè Adonis, che di lei hascitto: “Due cose mi attraggono nellascrittura di Maram al-Masri: la prima è ilmodo con cui riesce a dare forma lingui-stica alla sua femminilità, vissuta e im-maginata con purezza originale, ma chescivola poi con le parole, le sensazioni ele impressioni, in modo libero attraversoi labirinti dell’erotismo. La seconda è co-me tutto ciò sia tradotto in una scritturache pare non tanto tecnica quanto organi-ca, fatta di passione, di quotidianità, dicose semplici ma calorose ed inconteni-bili, al punto che tutto il suo corpo nevenga coinvolto, per fermarsi invecequasi all’orlo della lingua...”. Basta que-sto, dunque, per comprendere perchè,nella prefazione all’edizione italiana, ilcritico letterario osserva, profondamenteconvinto: “Maram è la sua poesia”. Loconferma, del resto, lei stessa, nell’inter-vista raccolta durante il suo percorso ca-labrese, in occasione della presentazionedel volume; dal colloquio emerge davve-ro la sua capacità di “tenerezza rivolu-zionaria”, in grado di produrre il cambia-mento; quello che ha saputo operare nel-la sua essenza di “migratrice”, non solodella vita, ma anche tra le parole e le suepassioni profonde e intense. Maram, tu parli spesso del distaccoche hai verso il tuo paese; dici: “Io so-

no nel mondo intero”. In noi calabresi,invece, è forte il “sentimento” del no-stro luogo natale. Cosa conta di più algiorno d’oggi?È vero, i miei sentimenti non apparten-gono più al mio paese… c’è un tristesenso di distacco. Per me la patria èdov’è la gente che amiamo, dove i tuoidiritti sono riconosciuti. Io amo la Siria;con essa ho legami particolari, laggiù è ilresto della mia famiglia. Tutto ciò cheaccade in Siria mi tocca profondamente,come quello che accade nel mondo. Ioho lasciato il mio paese natale ormai da25 anni. Non sono mai tornata per 13 an-ni. I miei stessi legami con i paesaggi sisono affievoliti… laggiù mi sento stra-niera. Perchè tutto è cambiato: la miacittà è diventata un’altra città… i ricordisono dentro di me. Certamente i primianni ho molto sofferto di nostalgia, mabisognava che io vivessi, perchè nonavevo scelta. L’emigrato è un essere cheha perduto la speranza di vivere bene nelsuo paese, allora trasferisce prima la suaanima, poi il corpo… e quando ha recu-perato il suo corpo, la sua anima fuggeda lui e comincia il suo andare-tornarealla città natale. Io dico che abito il mon-do per ironia. Perché, essendo poeta, lamia anima è universale, oppure che tuttoil mondo mi «abita ». Io dico che gli uo-mini hanno il diritto di vivere dove stan-no bene, e il dovere dei governanti è direndere la vita degna e decente per i lorocittadini. Ogni volta che un immigratofugge, poi muore nel mare, c’è anchequalcosa che in me che muore. La cosache conta di più, è un luogo dove io pos-so vivere bene, circondarmi di gente chemi è cara… e vivere semplicemente indignità. Negli incontri letterari porti la tuapoesia, ma sempre unita al fascino del-la tua presenza, della tua voce, alle vo-ci di tutte le donne. E’ questo il segre-to del tuo successo?Io non so se è questo il segreto del miosuccesso… perchè c’è gente che non miconosce, ma ama tanto la mia poesia, al-trimenti non sarebbe tradotta in tante lin-gue. È anche vero che la personalità delpoeta o dello scrittore gioca un ruolo nelsuo successo. Tutto quello che posso di-re è che non “tradisco”, quando, (in pub-blico), leggo i miei poemi. “La ciliegia rossa sulla piastrella bian-

ca” può essere il cuore oppresso daldolore mentre, fai notare, l’amore chelo fa esplodere non è compreso dallapersona cara. Perché hai scelto di can-tare la singolarità dell’amore sofferen-te? Pensi che sia quello in cui la donnasi mostra veramente capace di amare?Io scrivo le cose che conosco, non potreiscrivere altrimenti… io credo che la poe-sia non deve essere vuota, ma deve por-tare un messaggio segreto, che aiuti a il-luminare i sentimenti, la vita ed ogni co-sa. I miei poemi sono piccoli fogli di car-ta nascosti in una bottiglia gettata in ma-re… io lascio che il lettore prenda da es-si ciò che vuole. Ed è miracoloso, che lagente trovi le loro storie, l’umanità è si-mile. Ovunque io legga i miei versi, tro-vo persone toccate dalla loro grazia… ionon sono niente… sono mediatrice di pa-role e sentimenti, e ogni volta che finiscoun libro, mi chiedo se posso scrivere an-cora… Credo che ogni persona abbia lesue idee sull’amore e le relazioni; tutta-via, anche se penso che ciascuno è diver-so, c’è una linea, e cioè l’eredità umana,che ci unisce tutti.Restiamo sul tuo “racconto” dell’amo-re: da molti versi di questa raccolta,emerge anche una donna che accettal’amore più difficile, sapendo di nonpoter avere mai per sé la persona ama-ta. Perchè ti soffermi su questi casi?Nel mio libro, parlo dell’amore difficilee non riconosciuto; dell’amore extraco-niugale, appunto. Io mostro il sentimen-to dell’amore da un’altra angolazione,maledetto dalla società e dalla religione.Voglio dire che peggio dell’adulterio è lacrudeltà, la condanna verbale, la violen-za. Io amo le donne, nella capacità di do-narsi, senza giudicare. Altrimenti provoper loro una grande compassione. Qual è, secondo te, la felicità dell’a-more?La felicità dell’amore… è la semplicità,l’abbondanza, la generosità, l’accordo, laparità….Cosa ti aspetti dalla tua poesia, dallavita, dalle donne, dal mondo?Io offro la mia poesia alla vita, al mondo,agli uomini e alle donne. Mi piacerebbeche fosse ricevuta con amore, che dia unaltro sguardo al sentimento, che tocchi eche apra lo spirito… per un mondo sen-za sofferenza, ma so che ciò non saràpossibile.

Maram, poetessa siriana della libertà e dell’amoreIl canto di una donna migratrice che con le sue parole ha conquistato il mondo Assunta Scorpiniti

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“Il poeta, conservatore degli infi-niti volti di ciò che vive”, scrive-va René Char in Fogli d’Ipnos;una definizione estremamente ap-propriata all’autrice de Il sarto

delle foglie (Rubbettino Editore).Già docente, saggista e giornali-sta, Caterina Provenzano esordi-sce con una raccolta poetica sor-prendente per la ricchezza dei te-mi e per l’originalità dei modi sti-listici. Liriche simili a pennellate, eventiminimi che disvelano un signifi-cato espanso: il “ricamo” pazien-te di un laborioso essere, che, trala certezza e l’incertezza, tra laforza – i “rami di ginestra/ forti”-e la debolezza – le “foglie di ace-ro/ fragili”- porta avanti la suaopera, vive. E in questo percorso di realizza-zione, che è ideale per l’una (Ca-terina) e materiale per l’altro (ilvolatile chiamato il sarto delle fo-glie), si va per tentativi e a volte sirimane smarriti, e a volte ci si av-vilisce “(...) Ci ho provato col col-

tello,/ una forbice e le unghie,/ mac’impiego tanto tempo/ e la vita siassottiglia.”.La vita, che traspare dalle poesiedella Provenzano, “è un continuo,inarrestabile inizio e una continuaconquista”, come ha osservatoFrancesco Collura in un commen-to all’opera. La vita raccontatanella sua quotidianità, fatta di pic-coli tasselli difficili da collocare,forse perché siamo cechi e la ce-cità ci ha tolto la speranza “(...)Non contiamo più le stelle/ inten-ti a sprofondare/ nei buchi neri ebianchi/ di questo nostro libro/aperto solo a metà.”L’immediatezza linguistica, nelleliriche, si contrappone all’ermeti-smo dei concetti, sfociando in unostile limpido e raffinato, allo stes-so tempo, intriso di passaggi“suggestivi grazie al ritmo a volte

serrato e a volte cadenzato”, comeha scritto, nella presentazione allaraccolta poetica, Heinz Peter Li-chtenberg.Non mancano accorgimenti stili-stici, anche di maniera, e unachiaro dinamismo espressivo conla consistente presenza di figureretoriche, tra le quali chiasmi,metafore, ossimori, anafore, me-tonimie: “Passerà questo profon-do sconforto/ passerà se mi appli-co di più/ passerà se studierò dipiù”; “(...) Il niente butto per ac-cudir l’amor”.Versi pregnanti delle contraddi-zioni proprie del mondo e del-l’uomo, “fotografate” da una vi-suale intima e cosciente. L’occhiodelle Provenzano, infatti, non èmai accusatore, non giudica “i pa-radossi e le mistificazioni” del-l’ambiente che la circonda, sotto-linea nella prefazione all’opera,Augusta Torricelli Frisina. Ci sono, certo, vedute torve chefanno “male agli occhi”, ma chenon sono capaci di sdradicare lafiducia nella vita, che si materia-lizza nell’amore di una mammaverso i propri figli. Il sentimentomaterno, infatti, è il tema sul qua-le sono incentrate alcune liriche,come Soltanto una madre.L’ermetica dei pensieri può esserericondotta alle varie e vaste pro-spettive della mente umana, cheintraprende percorsi propri, il cuisignificato recondito sembra pale-sarsi nel paradosso che è la vitastessa, con il suo volto drammati-co e insieme comico. Da qui, ilsentire cosmopolita che incontrail terreno meridionalismo dei co-lori, dei profumi, della musicalitàlinguistica.L’esistenza immaginata, ricordatae vissuta sono intrecciate, a volte,in un groviglio, al quale, però,non si cede, contro il quale sicombatte: “(...) Passerà questoprofondo sconforto/ (...) se avrò ilcoraggio di lanciare anch’io/ sassilontani, lontani dalla raziona-lità.”.Mentre, in altre liriche si ravvisauna greve malinconia, arida comel’assenza: “Questo silenzio in cu-cina/ non ha un buon sapore./ Cheme ne faccio di un caffè/ bevutocaldo se manca/ il tuo cucchiaionel lavello?”.Un esordio convincente e riuscito,quello di Caterina Provenzano. Lepoesie della raccolta Il sarto dellefoglie sono una matura analisidell’animo umano e del rapportoinevitabile con ciò che lo circon-da. Un passo obbligato, nel viag-gio verso “quell’incanto” che sichiama poesia.

Anno VI - n. 20 - Gennaio/Aprile 2010 11LettereMeridiane

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L’esordio poetico di Caterina Provenzano ne Il sarto delle foglieEventi minimi della vita e del suo difficile equilibrio: una matura analisi che convince Federica Legato

Lunga è la storia di Livia Naccarato che da sempre,si può dire, ha coltivato la poesia con una fedeltàrara e con un impegno che la vede sempre attenta aciò che le accade intorno. Tuttavia non si è mai lasciata impaniare dalle sirenedelle mode ed ha seguito la sua strada avvertendo ilbisogno di rifugiarsi spesso nelpassato da dove ha preso motivie cadenze della sua espressività.Ormai sono parecchie le suepubblicazioni e quasi tutte legatea principi e a valori tradizionaliall’interno dei quali immette ilcalore della sua sensibilità acce-sa, riuscendo così a realizzareuna letteratura legata ai classiciche sono sullo sfondo delle sueacquisizioni.Anche questo nuovo libro, intito-lato Verso l’Altrove (Città delSole Edizioni), resta fedele agliassunti in cui si è vista interpre-tata e capita e in cui ha creduto,dimostrando una coerenza chepochi hanno e che la connotacome una delle interpreti chemaggiormente e con con-vinzione hanno saputo rinvedireil patrimonio magno greco ormaifrantumato e disperso.I temi affrontati sono quelli con cui ogni poeta pri-ma o poi deve fare i conti e Livia non fa mistero delsuo smarrimento dinanzi all’eternità, dinanzi allamorte. Per esorcizzarla volge lo sguardo indietro epesca nel serbatoio degli affetti perfino con un certorimpianto.

Del resto il “nostos” è una delle caratteristiche di chiha radici profonde in quei luoghi cari a Omero, aIbico, a Nosside a Pitagora.Si sente che la lezione di Petrarca, di Tasso, di Ar-iosto, di Leopardi, di Foscolo e di Manzoni, soltan-to per fare i nomi maggiori, è entrata nel dna della

poetessa, però si sente anche cheella fa di tutto per arrivare a unaautonomia che le permette didare un senso nuovo a episodivissuti o a racconti che ha as-coltato con l’avida curiosità chesempre vive in chi ha l’animoteso alle fibrillazioni della poe-sia.In questo libro c’è un di più di te-mi, soprattutto una attenzione alproblema di Dio e nelle pagineperciò serpeggia un’ansia di car-ità cristiana, un vento lieve che sadi pietas: “La tua mancanza/ e lamia nostalgia/ ti ho portato indono/ in ginocchio sulla terra./ Ionuda dinanzi al tuo ricordo/chiedere carezze/ per le mie carnifredde/ io povera fra le più po-vere./ Ed è inutile sedersi/ davan-ti ai portoni di chiese/ inutile ten-dere la mano/ non di monete/ ha

bisogno l’animo mio/ ma del tuo amore/ bocca cheall’altra/ si tende/ per non morire”.Semplice, convincente, pacata nel suo dire e nell’as-coltare, Livia Naccarato si distingue per la suaumiltà, per il suo passo dolce ma severo che è spec-chio delle meraviglie del suo cuore e dei suoi pen-sieri che tendono al bene.

Poesie dalle profonde radici in Verso l’altrove di Livia NaccaratoLa sensibilità accesa e l’impronta magno greca, materia delle liriche edite da Città del Sole

Dante Maffia

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Anno VI - n. 20 - Gennaio/Aprile 201012 LettereMeridiane

L’Associazione di volontariato Auserdi Taurianova ha organizzato, il 27 gen-naio, in occasione del Giorno della Me-moria, un convegno dal titolo “Uominie storie di uomini dai Lager di ieri... e dioggi”, in collaborazione con l’Istituto“Ugo Arcuri” per la Storia dell’Antifa-scismo e dell’Italia Contemporanea inprovincia di Reggio Calabria.L’Auser, da diversi anni, organizza in-contri “per meglio conoscere la storiadella Shoah e per andare incontro allo

sforzo degli storici nel dare un volto euna voce a tutte le vittime del crudelesterminio” – ha spiegato la presidente,Maria Rosa Romeo.Il convegno, è stato incentrato sullapresentazione del libro “Nel recintodell’Inferno – I Calabresi nei Lagernazisti” (Rubbettino Editore) dello sto-rico e giornalista Rocco Lentini.L’opera costituisce un’analisi ineditadella deportazione calabrese e rappre-senta un importante tassello, atto a col-mare le lacune della storiografia suicampi di concentramento, riguardantiil tributo pagato dai calabresi durantel’orrore nazista.Sull’argomento, oltre all’autore, hannorelazionato: il saggista Giulio Ierace ela dott.ssa Nuccia Guerrisi. Quest’ultima ha sottolineato l’impor-tanza di far capire “ai giovani che ladeportazione non è qualcosa di estra-neo”, che non appartiene alla nostracultura, alla nostra identità, perchémolte persone vicine a noi hanno vis-suto l’orrore dei Lager.Il Giorno della Memoria, oltre ad esse-re dedicato al genocidio degli ebrei, èanche dedicato alle altre vittime, corpianonimi, torturati e annientati dallafollia e dalla violenza: zingari, omo-sessuali, oppositori politici, disabili etanti altri, circa 12 milioni di vite. A pochi è noto che anche tanti calabre-si hanno subito l’orrore dei campi diconcentramento nazisti; nostri conter-

ranei, la maggior parte dei quali sonomorti nei Lager. Aspetto, questo, che lastoriografia internazionale ha volutoignorare e oscurare, fino agli studi de-gli storici dell’Istituto “Ugo Arcuri”.Un altro elemento importante, del sag-gio di Lentini, consiste nella dettaglia-ta sezione dedicata alle schede dei de-portati calabresi nei Lager nazisti e deideportati calabresi morti nei Lager na-zisti. Qui troviamo notizie che vannodal luogo di provenienza, al luogo dicattura, fino alla durata della deporta-zione e all’esito di questa. Non ultime, le interviste, raccolte invari anni, ai deportati calabresi che so-no riusciti a tornare nel proprio paese

d’origine, dopo aver attraversato quel-l’inferno.Un particolare saliente della follia na-zista, che il saggista Giulio Ierace haevidenziato – dopo essersi soffermatoa raccontare l’esperienza del padre,Francesco Ierace, soldato catturato inGrecia ed internato, all’indomani dell’8settembre 1943 – è la cosiddetta “colpad’autore”, ossia il fatto che un uomoebreo, omosessuale, zingaro etc., “eracolpevole al di là di quello che faceva,ma solo per quello che era”.Un altro elemento indicativo della sot-tovalutazione, e finanche della nega-zione, del terribile assassinio di circa12 milioni di persone è il fatto che finoa pochi anni fa non erano accessibilidocumenti, archivi importantissimi perla ricostruzione della tragica storia deiLager e di tutti “coloro che si sono im-battuti nell’inferno tedesco.Lentini, a conclusione dell’incontro,ha raccontato la lunga contesa, avutasicon i maggiori esponenti che hannoprodotto la storiografia internazionale,per riconoscere il ruolo dei Partigianicalabresi che combatterono nell’Ap-pennino Ligure. Inoltre, “secondo gli storici, la Resi-stenza al Sud non c’era stata”; tutte no-tizie mortificanti e infondate. L’autore ha, infine, spiegato le ragioniche lo hanno spinto a portare avantiquesto lavoro, fra tutte, l’ingiusta nonconsiderazione del tributo pagato daicalabresi durante la furia nazista.L’Auser, attraverso il titolo dell’incon-tro, ha intenso lanciare un monito adutilizzare l’analisi storica per com-prendere il presente e, in questo caso,per riconoscere i Lager di oggi, che,non meno di ieri, e sebbene in diverseforme, sono atti a ledere la persona,come i “ghetti” nei quali vivevano gliextracomunitari di Rosarno. “I Lager ci sono sempre stati: calpe-

stare la dignità umana dei deportati,equivale a calpestare la dignità degliextracomunitari dell’ex Opera Sila” -ha concluso Lentini – “Affinché, comeha detto Primo Levi, ciò che è succes-so non succeda mai più, è necessariofare la storia con la testa rivolta inavanti” non dimenticando mai i nomidi coloro che hanno vissuto nel recintodell’Inferno, molti dei quali in quel-l’Inferno hanno perso la vita.

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“Nel recinto dell’Inferno - I Calabresi nei Lager nazisti”

All’Auser di Taurianova presentati gli studi di LentiniL’Associazione ha incontrato lo storico in occasione del Giorno della Memoria Federica Legato

La difficile lotta contro la violenza sulle donneL’Auser di Taurianova si oppone, in prima linea, all’omertà sui soprusi

In occasione della Gior-nata Internazionale con-tro la violenze sulledonne, l’AssociazioneAuser di Taurianovaha voluto organizzare,fortemente, un incon-tro per discutere del-l’importante tematica. Sono intervenuti, -moderati dalla presi-dente, Maria Rosa Ro-meo - la consigliera diparità Patrizia Malarae il padre di RobertaLanzino, la giovanebrutalmente violentatae uccisa, da un gruppodi uomini, nel lugliodell’89.Per la dott.ssa Romeo vige ancora oggi un clima omertoso sul-la violenza alle donne, due su tre subiscono violenza in fami-glia, altre nei luoghi di lavoro. Per questo l’Auser intende impegnarsi, in prima linea, a favoredelle donne, con un progetto per la realizzazione di un centrodi ascolto, a Taurianova, nel cuore della Piana, dove l’omertà èancora più radicata.Patrizia Malara ha raccontato episodi di cui è stata spettatrice, du-rante la sua esperienza come consigliera di parità. Da questi èemerso che, il più delle volte, i giudici, in Calabria, non sono pron-ti a questo tipo di reati. Pertanto, le donne che denunciano i loro

aguzzini, spesso, nonottengono giustizia. Molte donne subisco-no violenza sul luogodi lavoro, tra queste,un numero consisten-te riguarda le segreta-rie e le commesse chesono vittime di ricattida parte di superiori odi datori di lavoro.Francesco Lanzino,partendo dalla espe-rienza dolorosa che hasegnato la sua fami-glia, ha parlato del-l’attività che la Fon-dazione Roberta Lan-zino svolge, per de-nunciare ogni tipo di

violenza ai danni degli individui più deboli. La Fondazione, infatti, offre, alle vittime di violenza, l’assi-stenza legale gratuita e l’assistenza psicologica e, inoltre, si co-stituisce parte civile durante i processi.L’impegno del dott. Lanzino e della moglie, si imbatte, spesso,in storie drammatiche di minori vittime di ripetute violenze,che non hanno nessuno che li difenda e che divento adulti congravi problemi psicologici. La vita dei coniugi Lanzino è, ormai, interamente dedicata aquesta difficile battaglia, perché non si ripeta mai più l’orroredi cui è stata vittima la loro amata figlia, Roberta.

F.L.

Da sinistra: Maria Rosa Romeo, Nuccia Guerrisi, Giulio Verace e Rocco Lentini

Da sinistra: Maria Rosa Romeo, Patrizia Malara e Francesco Lanzino

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Anno VI - n. 20 - Gennaio/Aprile 2010 13LettereMeridiane

Rispetto e stima. Per molti, gli obietti-vi di una vita. Le vie per l’ottenimentodi tali riconoscimenti sono molteplicie, talune metodiche, stanno senz’altroai confini con l’amoralità. Tuttavia nul-la di più semplice. Sono sufficienti una buona dose diumiltà, d’integrità morale, correttezzaprofessionale ed apertura mentale. Se siaggiungono una sterminata cultura ed ilsorriso sempre sulle labbra, ecco a voi ilritratto di un Professore Universitariocome pochi, un vero Maestro che, sullascia di Salvatore Pugliatti, ha posto co-me suo credo didattico il metodo, ripu-diando lo sterile e mero nozionismo chespesso la fa da padrone nelle aule uni-versitarie.Per quanto in me difettino autorevolez-za, carisma e notorietà (a differenza de-gli illustri accademici che hanno resoomaggio al Prof. Antonino Metro in oc-casione della cerimonia di consegna delprimo volume degli studi che i suoi al-lievi gli hanno simbolicamente volutoconsegnare), non posso non imprimeresu “carta” quella che è stata la mia espe-rienza didattica ed umana con colui il

quale ha magistralmente guidato l’ate-neo giuridico messinese per ben 21 an-ni.Sono una studentessa reggina ancora“work in progress”, ancora invischiatanei - taluni paludosi - meandri dell’ate-neo peloritano, facoltà di Giurispru-denza. Determinazione ne è servita tanta - oltread una costante ed intensissima profu-sione d’energie mentali - per venir fuoridal primo step: il famigerato triennio delcorso di laurea in “Scienze Giuridiche”.Il mio primo contatto con il ProfessoreMetro fu puramente casuale. Pienad’entusiasmo e fiducia nei miei mezzientravo in aula 2 sul finire di un roven-te mese di Settembre; il primo impattocon quell’ambiente in cui mi ero cata-pultata non senza l’incoscienza dellamia giovane età. L’austerità dell’am-biente era stemperata da quel “signoredistinto” che alternava italiano a peri-frasi latine. Una chiarezza cristallinaper neofiti del diritto, un vero piacerestar lì ad ascoltare. Lo spessore professionale di un profes-sore, c’è poco da fare, lo si percepisce

a pelle. Noi studenti, in barba alle oni-riche visioni di taluni docenti presun-tuosi, non alla ricerca del 18. Gli esamidegli insegnamenti di cui era titolareMetro erano terreno ideale per lo stu-dente ansioso d’arricchirsi; non eranocerto semplici: si doveva entrare nelcuore della materia, dimostrare di aversaputo studiare con metodo e padro-neggiare i concetti con elasticità e pro-prietà di linguaggio. Una volta dimo-strato questo, il docente, non esitava apremiare il discente - rispetto al quale sicollocava in una posizione sorprenden-temente paritaria - con un buon voto. Se la Signora Nessuno si sedeva a fareesami con Metro e sapeva dimostrarequanto precedentemente da me accen-nato, nulla ostava al 30 e, perché no,magari ci scappavano anche i sincericomplimenti. Sì, anche un docente concinquant’anni di carriera universitariapuò fare i complimenti ad una studen-tella alle prime armi. L’impatto emoti-vo di un simile evento è stato per mepotentissimo e così, dopo aver sostenu-to appena tre esami, avevo già le ideechiarissime su chi avrei voluto come

relatore. Era più che altro un sogno daragazzina: come avrei potuto io avvici-nare un veterano della mia facoltà edincontrare la sua disponibilità a seguir-mi nel percorso di redazione della tesi?Il coraggio però, non mi è mai manca-to per fortuna. Ho deciso così di salirele scale del “Dipartimento di DirittoRomano e Storia della Scienza Roma-nistica” tutto d’un fiato. Così iniziavaquell’avventura che mi avrebbe fattoconoscere una persona fuori dal classi-co format dell’anziano professorone darincorrere nei corridoi dell’universitàper elemosinare un incontro. Non sapevo cosa dire e come compor-tarmi quando un giorno, discutendo delmateriale da utilizzare per la mia tesi,ad un certo punto lo vidi prendere unasua pubblicazione da uno scaffale pol-veroso e dirigersi verso la fotocopiatri-ce… Cercai di dire: “Ma Professore,dia a me, provvedo io con le fotoco-pie!”, ma lui mi sorrise e mi disse “Noncambia nulla se le faccio io!”. Al che ri-masi di stucco e sentii in me crescere ilsenso di profondo rispetto che già nu-trivo nei suoi riguardi. Bastò così poco a farmi redigere il tut-to in pochissime settimane con unoslancio d’entusiasmo fuori dal comune.Giornate intere a studiare, tradurre dallatino e scrivere al computer: nessunastanchezza, solo la voglia di fare il me-glio che le mie capacità mi consentiva-no. La lampante dimostrazione che, perstimolare gli studenti, non paga il terro-rismo psicologico, ma basta un gestocordiale.Il giorno della mia laurea ero strana-mente tesa. La mia proverbiale calma,quella che mi aveva accompagnata per23 esami, paradossalmente aveva cedu-to il posto ad una tensione emotiva paz-zesca. Avevo paura di deludere mestessa con una performance mediocre, imiei familiari e gli amici ma, lo confes-so, soprattutto lui. Desideravo, più diogni altra cosa, mostrare la mia gratitu-dine al mio Professore con un esamebrillante, come per “ripagarlo” dellacortesia, della professionalità, della sti-ma che mi aveva accordato. Arrivato ilmio turno mi inchiodai sulla poltronci-na, di fronte alla commissione di laureae mi concentrai per imprimere, indele-bilmente nella memoria, quegli attimiche stavano per susseguirsi vorticosi.Non ho parole per esprimere le sensa-zioni che prova una studentessa quan-do un relatore di tale caratura, si dedicaad un encomio delle proprie qualità. Ho cercato di non rivelare la tanta emo-zione ma gli occhi mi si sono velati dilacrime, le stesse che cercavano diuscire prepotenti anche quando “il mioProfessore”, a conclusione del propriosplendido discorso di ringraziamento,sempre in occasione della cerimonia insuo onore, ha pronunciato pressappocole seguenti parole: “Desidero rivolgereun ultimo grazie ai miei studenti, di-cendo loro che non possono immagina-re quanto mi abbiano potuto dare. Vo-glio che tengano sempre in mente chequanto mi hanno saputo dare, non è af-fatto paragonabile al poco che io sonoriuscito a dare a loro”. Non una frase dicircostanza ma una genuina gratitudineai suoi studenti, quelli che mai dimen-ticheranno i suoi sinceri occhi celestiche fanno così bene all’Università.

Anche quest’anno un impegnativo programma per lanuova stagione culturale.Sì, e lo confermo con orgoglio. Basta guardarsi attornoper constatare la progressiva scomparsa di organizzazioniillustri che animavano la mondanità culturale di una città,così bella e così bistrattata, come Roma.E le istituzioni?Quando esistono etichette come “Uffici Culturali”, “As-sessorati alla Cultura” e simili pos-siamo ben renderci conto della si-tuazione. Come se la cultura fosseun ufficio, dove un non bene identi-ficato interlocutore, omniesperto ditutte le espressioni culturali, apponea sua discrezione il timbro della va-lidità di progetti o iniziative. Con-tributi, anche sostanziosi, vengonodistribuiti a pioggia ad associazioniche magari esistono solo sulla cartao che hanno l’unico merito di esse-re vicine alle persone giuste. Men-tre un movimento culturale, con di-verse centinaia di aderenti e più di40 anni di storia - come il nostro -non ha, per legge, alcun diritto di ac-cesso ai possibili contributi. È solograzie ad illuminati imprenditori pri-vati, nello specifico il Cavaliere delLavoro Fausto Maria Puccini, cheriusciamo ad essere operativi.Ma a questo punto perché nontrasformare il movimento cultu-rale in associazione?Un movimento culturale non ha tes-sere o quote da pagare, non ha unostatuto, non ha gerarchie. È soltanto un’idea che camminae che è aperta a tutti. Non è più di un’associazione ma èsemplicemente una cosa diversa, una Transavanguardia,che ha lasciato una traccia indelebile nell’arte e nella cul-tura, non avrebbe potuto accedere ai contributi.Che intendimenti ed obiettivi si pone il movimento?Soprattutto, mantenere vivi quei valori sociali e culturaliche rischiano di scomparire. In una società, dove l’unica

alternativa all’arroganza è la totale indifferenza, spadro-neggiano la volgarità e il cattivo gusto. Noi riteniamo cheparlare di poesia, di sentimenti sia qualcosa di benefico edi necessario.E la vostra collana Salotto Letterario Romano? È uno dei fiori all’occhiello del movimento. In quattro an-ni, abbiamo pubblicato venti volumi. La scelta, sulla casaeditrice “Città del Sole”, si è rivelata felice. Asseconda, a

pieno, la nostra maniacale ricercadella qualità, nella carta, nella ve-ste grafica e tipografica. La prezio-sa collaborazione di grandi artisti,che fanno parte del nostro movi-mento, rende ogni copertina unavera opera d’arte. È, attualmente,in preparazione l’antologia chefarà da base alla terza edizione delnostro premio biennale “Ing. GinoPuccini” per la narrativa. Il con-corso prevede che ogni partecipan-te diventi anche membro dellaGiuria, vanificando ogni possibiletentativo di pressione o manipola-zione. Il vincitore avrà diritto allapubblicazione di un suo personalevolume di 160 pagine.Riesce a conciliare questa impe-gnativa attività di organizzatorecon la sua professione di consu-lente di direzione?Con molte difficoltà. Ho iniziatododici anni fa a dedicarmi a questomovimento, per trovare spazi di-stensivi al mio lavoro. Oggi, ne so-no assorbito a tal punto che cerco,

attraverso la mia professione, spazi distensivi alla freneti-ca attività culturale. Non mi sento, però, un organizzatore;perché la figura dell’organizzatore (a Roma ce ne sonodavvero tanti) è incentrata su eventi con fini lucrativi,spesso anche in maniera indegna. Non credo proprio chesia il mio caso. Pertanto, ringrazio quanti mi sostengono emi stimolano, e ringrazio anche coloro che cercano dismontarmi, convinti di riuscirci.

Antonino Metro: un docente sulla scia di PugliattiLa carriera del brillante ed umile professore raccontata da una sua ex allieva Silvia Laurendi

Intervista a Lucio Pasquale del centro culturale “Gino Puccini”Lo scrittore, punto di riferimento di uno dei più importanti movimenti culturali italiani

Francesco Toscano

Lucio Pasquale in un ritratto dello scultore Giovanni Bruno Tarantola

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Anno VI - n. 20 - Gennaio/Aprile 201014 LettereMeridiane

Con profondo e sentito cordoglio infor-miamo che è morto a Nis dove era rifu-giato e profugo con la sua famiglia, IbrajMusa, albanese kosovaro, capofamigliadi uno dei nuclei familiari adottati dallanostra Associazione, SOS Yugoslavia -SOS Kosovo Metohija, all’interno delProgetto Kosovo Metohija. Un uomocon una storia di vita quasi unica e forseirripetibile. La sua vita, le sue scelte di vi-ta sono state un pezzo di storia del nove-cento, un pezzo di storia dei Balcani e deisuoi popoli. Ed egli l’ha vissute da prota-gonista, con coscienza e coraggio.Musa Ibraj era nato il 24 Aprile 1923;aveva 13 figli da tre matrimoni: la primamoglie albanese, la seconda rom e l’attua-le, la signora Rosa, serba. Veterano dellaII Guerra Mondiale, durante l’occupazio-ne nazifascista della Jugoslavia, ha com-battuto nella Resistenza come partigiano,prima in Albania, poi in Serbia e infine inBosnia. Egli e la sua famiglia vivevano aOsek Hila, villaggio a 5 Km da Djakovi-ca, abitato da 1600 albanesi e poche deci-ne di serbi.Dopo l’aggressione della Nato e la conse-guente occupazione del Kosovo nel giugno‘99, che ha dato via libera alle forze terro-riste dell’UCK nella provincia serba, comealtre migliaia di famiglie di albanesi koso-vari, gli Ibraj sono dovuti scappare in Ser-bia per non essere uccisi dai secessionisti. Infatti furono da essi definiti come “tradi-tori” e “collaboratori” dei serbi, per il so-lo fatto di non credere nell’indipendenzaed essersi battuti per l’unità e l’amiciziatra i popoli del Kosovo, contro le violen-ze e le sopraffazioni terroriste dell’UCK. Per questo la sua famiglia ha pagato forseil prezzo più alto di tutte le famiglie degliscomparsi nel Kosovo Metohija, pur es-sendo albanesi kosovari: tre figli e tre ni-poti rapiti ed assassinati dalle bandeUCK, di cui 5 identificati ed uno ancoradisperso. Ibraj ha saputo dei corpi ritrova-ti solo poco prima di morire, in quanto ilfiglio maggiore superstite, che andò adidentificare i propri fratelli, nipoti e unsuo figlio, non lo disse al vecchio Musa,per non dargli ulteriore dolore.

La vicenda di quest’uomo, un vero e pro-prio pezzo di storia vissuta dei Balcani,che ha attraversato gli avvenimenti succe-dutisi nel secolo scorso, con grande corag-gio, sempre partigiano, nel senso più pienodi questo termine, schierato cioè dalla par-te della sua gente, della giustizia, della li-bertà, costi quel che costi: dal 1941 quan-do prese la via della montagna per combat-tere i nazifascisti, fino al 1998 quando fueletto comandante della “Milizie di autodi-fesa albanesi del Kosovo” contro il terrori-smo e le violenze dell’UCK. Queste mili-zie erano formate in gran parte da kosova-ri albanesi, ed in molti paesi miste, eranopresenti in oltre 130 comuni del Kosmet,come forma di autodifesa per proteggere lapopolazione civile dalle bande e dalle im-posizione violente dell’UCK.Quando, attraverso l’Associazione SrecnaPorodica, con cui abbiamo uno dei Pro-getti di solidarietà per il KosovoMethoija, ci fu proposta questa famigliada sostenere, come vittima del terrorismoUCK, non sapevamo tutta la storia delvecchio Musa; fu per noi una giornata in-dimenticabile quando ci recammo nellaloro attuale disagiata casa, a Hum un pae-se di campagna vicino a Nis, dove vivonocome profughi, per scappare dalle ritor-sioni dei criminali UCK, oggi “padroni”del Kosovo sotto comando NATO.Quel giorno facemmo un’intervista videodell’incontro, dove Ibraj Musa ci rac-contò della sua straordinaria e incredibile

storia di vita. Quando gli feci alcune do-mande riguardo il presente e le vicendepiù recenti, riguardanti gli avvenimentitragici accadutigli nella guerra del Koso-vo, egli, che nonostante gli 85 anni di età,era di una lucidità e vitalità stupefacenti,mi rispose che dopo aver conosciuto ecombattuto i nazifascisti, null’altro pote-va spaventarlo, e che dato che anch’essialla fine furono cacciati e spazzati via dalpopolo, stessa sorte toccherà ai banditi edassassini dell’UCK.Sulla sua esperienza di comandante diqueste Milizie locali di autodifesa (forma-tesi nel maggio giugno 1998), egli disse:.…Quando vidi quello che stavano facen-do contro la nostra gente per costringerliad andare con loro e contro i nostri ami-ci e paesani serbi, per cacciarli dal vil-laggio che era di tutti noi, decisi che do-vevamo organizzarci per impedire al-l’UCK di entrare nel paese e terrorizzarela nostra gente…ho deciso semplicemen-te questo…abbiamo sempre vissuto insie-me, perché questi banditi volevano di-struggere tutto quanto era stato cercatodi fare? A quale scopo? I popoli devonovivere insieme in pace, onestà e lealtà re-

ciproca… Questo era la Jugoslavia…Il vecchio Musa fu indicato dalla sua gen-te grazie alla sua storia di combattentepartigiano ed al rispetto di cui era circon-dato, e considerato uomo giusto e saggio.Quando gli chiesi quale fu il momentopreciso che gli fece prendere una decisio-ne così difficile e che avrebbe avuto con-seguenze drammatiche per lui e la sua fa-miglia, egli rispose: … una notte vennero alla nostra casa e inaltre case, gente dell’UCK e ci disse cheavremmo dovuto andarcene da Osek Hilaed abbandonare il villaggio perché ci sa-rebbero stati attacchi contro la poliziaserba e l’esercito jugoslavo nei giorni se-guenti. Noi ed il resto del villaggio rifiu-tammo, perché quello era il nostro paesee la nostra terra. Nei giorni seguenti tor-narono ancora una volta ma stavolta perminacciarci. Poi la mattina trovai questopezzo di carta di quaderno attaccato sul-la porta di casa…Musa ci fece vedere questo foglio con suscritto con una penna a sfera: O state con noi o bruceremo le vostre ca-se. Arruolati con i tuoi fratelli. UCK (Ushtria Clirimtare e Kosoves ).

…Allora capimmo cosa stava per succe-dere, abbiamo raccolto tutto quello cheavevamo come armi, fucili da caccia, ac-cette, coltelli e cominciammo a vigilare enon girare più soli…formammo delle pat-tuglie di noi del villaggio 24 ore al gior-no, notte e giorno. Alcuni giorni dopo in-dividuammo tre dell’UCK che si aggira-vamo nelle vicinanze delle case, li disar-mammo e li consegnammo alla polizia,che ci dette il permesso di tenere le loroarmi e di restare armati… Il figlio maggiore che era con noi nellastanza a quel punto ci fa vedere appesidietro alla porta un Kalashnikov ed un fu-cile da caccia, che ancora possedevano.Alla domanda come si erano procurati learmi per la loro Milizia egli rispose che inKosovo, quasi tutti, da sempre possedeva-no un arma, ribadendo che: …ogni arma della Milizia era nostra, do-vevamo avere solo il permesso di tenerlelegalmente, per il resto erano nostre…Queste Milizie furono poi autorizzate intutto il Kosovo, a tenersi le armi che se-questravano all’UCK.

La storia di Ibraj MusaL’Associazione SOS Yugoslavia-SOS Kosovo Metohija

Si comunica che l’Associazione S.O.S. Yugoslavia ha prodotto, all’inter-no dei progetti per S.O.S. Kosovo - Metohija, le copie dei DVD origina-li di Kosovo nove anni dopo. La guerra infinita di R. Iacona, trasmessoda RAI 3 il 19 settembre 2008 - che è stato visto da circa cinque milionidi telespettatori ed a cui ha collaborato l’Associazione S.O.S. Yugoslavia- e di Kosovo 2005, viaggio nell’apartheid di R. Veljovic ed E. Vigna.Con questo lavoro di Iacona si rompe a livello mediatico di massa unavergognosa cappa di silenzio e falsificazioni sulla tragedia dei KosovoMetohija.Tutto ciò è stato possibile grazie all’estrema correttezza e coscienziositàdi Iacona, un vero ed indipendente professionista dell’informazione, cheha avuto il coraggio ed il rigore di non accettare per buone le verità e lericostruzioni sulle tragedie dei popoli jugoslavi e del popolo serbo in par-ticolare.È necessario divulgare questo lavoro i cui proventi di sottoscrizione an-dranno ai figli dei rapiti e profughi dei Kosovo - Metohija.

Chiunque intenda sostenere il progetto o ricevere il DVDpuò rivolgersi ai numeri

328.7366501 oppure 339.5982381

…Tu paladino della libertà, torrente d’entusiasta giovinezzaor mandi a noi di luce, un caldo raggio dal tuo sepolcro.E giunge a noi. Perché… sentisti ...del dolor, e come un cavaliere del poema ariostesco…offristi il tuo soccorso.Ora…altri innalzano il tuo vessillo e lottano e resistonoPer l’avvenire comune…

(Stralci adattati di V. Nazor, poeta jugoslavo, di un poe-ma dedicato ai partigiani italiani, che combatterono interra jugoslava contro il nazifascismo)

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Anno VI - n. 20 - Gennaio/Aprile 2010 15LettereMeridiane

: paladino della libertàricorda un uomo giusto

...Noi cercavamo di costringerli a restarefuori dal villaggio, cercando di evitareconflitti armati e violenze. In questo modoin tutto il nostro villaggio fino al giugno‘99, non ci fu neanche una casa bruciata...Neanche una gallina è rimasta ferita…Nessuna devastazione o distruzione è statapermessa, né da una parte, né dall’altra……Non tutti erano d’accordo nel villaggio,perché una contrapposizione così netta,poteva esporre il villaggio a rappresaglieterroriste, infatti quando furono istituitequeste milizie per l’autodifesa locale, alcu-ni suoi membri furono uccisi dall’UCK inaltri villaggi, così molti avevano paura enon entrarono direttamente; ma visto comeè andata…facemmo un buon lavoro e conbuoni risultati…Poi è arrivata la NATO…Sulla sua situazione e della sua famigliaoggi, egli rispose: …oggi viviamo qui in Serbia come profu-ghi, ma solamente profughi senza una ca-sa ed un lavoro, perché la Serbia è ancheil mio paese, e sempre in tutta la mia vitaabbiamo vissuto, come albanesi kosovari,insieme. Nel bene come nelle cose brutte,e qui non mi sento straniero, ma certa-mente non mi sento bene, oggi viviamo intanti in questa piccola casa, con due pic-cole pensioni, le spese sono tante, soprat-

tutto quelle sanitarie e per l’affitto, è unavita molto dura e difficile. A tutti ci man-ca il nostro Kosovo, la nostra gente, i no-stri vicini, albanesi, serbi, rom, con cuiabbiamo vissuto insieme e in pace per ol-tre 50 anni… Poi sono arrivati quei male-detti terroristi dell’UCK…e hanno fattoquello che sapete, e sulla mia famiglia sisono accaniti, e si sono presi il sangue deimiei figli e nipoti. Si sono vendicati per-ché non siamo stati loro complici…male-detti…perché siamo stati leali e corretticon il nostro stato, in cui abbiamo semprevissuto e ci aveva sempre rispettato e ac-cettato. Perché dovevamo andare con lo-ro e distruggere tutto quello che avevamocostruito faticosamente insieme con glialtri?…Forse dovevamo cercare di averedi più e più cose, questo è normale, è giu-sto. Per migliorare e correggere cose sba-gliate, questo sì…Ma perché uccidere, di-struggere, bruciare case, chiese, ammaz-zarsi tra fratelli, paesani, amici…Perchéavremmo dovuto diventare complici diterroristi e criminali, che terrorizzavanola propria stessa gente?…Questo per noinon poteva essere accettabile, siamo sem-pre stati leali e onesti cittadini del nostropaese, perché dovevamo diventare crimi-nali?..Perché? Forse loro avevano i loro

obiettivi, interessi, profitti, qualcuno liusava, ma quelli non potevano essere gliinteressi della nostra gente albanese delKosovo…E poi si è visto cosa hanno fattodel nostro Kosovo oggi, aiutati dai loroamici americani...Un regno governato dabanditi e delinquenti, dove vi è solo crimi-nalità e paura, per la gente semplice, peril popolo…Anche nel nostro villaggio og-gi, c’è solo paura e la gente onesta è si-lenziosa solo per paura, ce lo dicono lorostessi di nascosto…Per questo avremmodovuto collaborare con loro?….Io ho fat-to il partigiano contro i nazifascisti nellaII guerra mondiale, ma noi eravamo par-tigiani per liberare il nostro popolo, nonper terrorizzarlo e farlo ubbidire. E’ unabella differenza non pensi?…Che mi dia-no del traditore non mi tocca, loro sonodei traditori della nostra gente, perché glihanno portato solo odio e sofferenze per iloro sporchi interessi…Dopo alcuni secondi di silenzio e l’enne-sima sljiva offertaci in segno di amicizia,così concludeva:…Sai, figlio mio, troppe tragedie abbia-mo vissuto, tanto dolore abbiamo nel cuo-re, la nostra vita è stata stravolta e feritada tutti gli avvenimenti successi, questonon si può più cambiare, questo ci ac-

compagnerà fino alla tomba…ed io sonovicino al mio giorno. Ma per loro che re-stano bisogna avere fiducia e speranzache qualcosa cambierà, che tornino tem-pi più giusti, di pace, di amicizia, di one-stà. Io di guerre ne ho fatte tante, ma sem-pre dalla parte delle cose giuste. Mai perme stesso, ma per la nostre genti, i nostripopoli. Per questo sono sereno e riescoancora a sorridere e spero che un giorno sirivedrà un paese libero e giusto…Io non cisarò, ma ci saranno i miei nipoti, ed i ni-poti e figli delle nostre genti, e tornerannoa vivere, lavorare e divertirsi insieme, uni-ti come fratelli…Vedrai che sarà così…Lastoria non la può fermare nessuno..Peròora voglio abbracciarti per l’aiuto che cihai portato con la vostra Associazione.Per me e per tutta la nostra famiglia è unonore avervi qui nella nostra piccola casa,avervi potuto accogliere come amici e fra-telli. Perché da oggi questo saremo…Gra-zie per l’aiuto, ma soprattutto grazie che ciavete riconosciuti degni della vostra soli-darietà e ci avete tenuti in considerazio-ne…Da ora in poi la nostra casa saràsempre anche la tua, figlio mio...

Penso sia inutile sottolineare che unGRAZIE senza limiti, siamo noi che sen-tivamo di dirgli e dovergli, il nostro mo-desto contributo economico non può ave-re alcun tipo di paragone con la vita vis-suta e l’operato della vita di un uomo co-sì. Un uomo giusto, onesto, semplice, unuomo che ha attraversato la storia semprein piedi e a testa alta, pagando prezziumani terribili, ma anche un uomo concui abbiamo riso e sorriso di piccole cose,di aneddoti della sua esistenza. Per esem-pio del succo di frutta che gli toccava be-re, perché la moglie ed il figlio non gli la-sciavano più bere la sljivovica…così mi ètoccato, essendo seduto accanto a lui, unasequela di brindisi continui…anche perlui, mi diceva, dovevo sacrificarmi…Edho dovuto sacrificarmi….. volentieri.Non so se con queste righe sono riuscito aricordare degnamente quest’uomo e lasua storia, ma due cose sono certe: una èche per la nostra Associazione, che ha po-tuto averlo come parte dei suoi progettisolidali (che continueranno), è stato unonore avere la sua amicizia e rispetto (perquesto la nostra riconoscenza va a Rad-mila Vulicevic, nostro referente a Nis, edal suo lavoro, che sono stati il tramite, inquanto la famiglia Ibraj sono membri del-l’Associazione Srecna Porodica).La seconda è che la speranza e l’impegnoche un tempo migliore si delinei all’oriz-zonte dei popoli, nel Kosovo, nei Balcanie nel mondo, può avvenire solo con l’ ap-porto e l’esempio di vita, di uomini così.Di uomini come Ibraj Musa, albanese ko-sovaro del Kosovo Metohija, cittadino ecostruttore della Jugoslavia, coraggiosodifensore del Kosovo e dei popoli che loabitavano, e leale ed onesto cittadino del-la Serbia poi. D’ora in poi Membro ono-rario della nostra Associazione.Anche nel suo ricordo ed esempio, andia-mo avanti nel nostro impegno di solida-rietà e amicizia tra i popoli, e nello speci-fico con il Progetto Kosovo Metohija.

Addio Musa Ibraj….i HVALA (Grazie)!

Sostegno materiale e morale alle famiglie di MetohijaL’iniziativa di “Sos Kosovo” per ridare dignità e giustizia ai popoli oppressi

L’associazione Sos Kosovo Metohija, all’interno delle nostreattività di solidarietà, in particolare del Progetto “Sos KosovoMetohija”, ha dato avvio ad un nuovo Progetto che riguarderàle enclavi e le famiglie isolate di Metohija. Questo nuovo im-pegno si è reso possibile facendo seguito alla richiesta giun-taci dai Padri ortodossi di Decani che da alcuni mesi hannoiniziato un lavoro di assistenza alle enclavi ed a famiglie iso-late del Metohija. Questo consiste in una visita settimanalefissa alle enclavi ed a queste famiglie serbe isolate, per rice-vere le loro richieste di emergenza primaria e portare aiuti,sostegni e solidarietà morale. Il Progetto definito in un incon-tro specifico avvenuto con alcuni Padri a Torino, non potràcerto risolvere i problemi drammatici e sempre più difficilidelle minoranze serbe e non albanesi di quell’area, rinchiuse edisolate nelle enclavi, ma sarà un ulteriore piccolo sostegno alnostro impegno per la solidarietà, la verità e la giustizia in quel-la terra vessata e oppressa da violenza ed ingiustizia. L’accor-do preso è di impegnarci ad una collaborazione definita su que-sti obiettivi iniziali:- sostegno economico ai figli di rapiti o scomparsi di quell’area;- sostegno materiale legato ad emergenze specifiche, da lororichieste (contributi economici particolari, medicine, aiuti ali-mentari);- limitati progetti specifici per piccole enclavi, da loro richie-sti come di primaria necessità;- acquisto di produzioni realizzate a Decani e dalle famiglie(dal vino alla cera, a produzioni della terra, a lavori artigiana-li in legno o lana fatti dalle donne, ed altro);la divulgazione di materiale informativo circa la situazionedella vita della gente e le loro richieste ed esigenze.Il primo passo è stato una piccola donazione economica sim-bolica, che ha sancito l’avvio della collaborazione stabilita. Ilnostro referente in loco del Progetto è Padre Pietro mentre co-lui che settimanalmente, sotto scorta internazionale, si recapresso le enclavi a portare e a raccogliere le richieste di aiutoe solidarietà, per l’Italia è Enrico Vigna. Con soddisfazione,

ma anche consapevolezza delle difficoltà, invitiamo tutti i no-stri soci, amici, sostenitori dell’impegno di solidarietà concre-ta e consapevole, che dura ormai da oltre dieci anni con il po-polo serbo e le altre minoranze, angariate dalle violenze cri-minali e terroriste, nella ex Jugoslavia e nel Kosmet, a conti-nuare a darci una mano e riaffermare così concretamente i va-lori della solidarietà, dell’amicizia e della pace tra i popoli. Lanostra Associazione, che in questi dieci anni si è fondata e ca-ratterizzata su basi laiche e apartitiche, indirizzando e sostenen-do fino all’ultimo centesimo esclusivamente realtà formate dal-la gente e dal popolo, quindi non istituzionali, ha scelto un im-pegno con i Padri di Decani, e ciò è un riconoscimento al fattoche questi Padri, che ogni giorno rischiano la vita per riaffer-mare il diritto a restare in quella terra insieme al proprio popo-lo, rappresentano un avamposto di giustizia e diritti dei popolia vivere, esistere e lavorare nella propria terra e dei propri avi.

… il sole non sa che i miei occhi sono felici come tut-ta la natura, ma il mio cuore è triste a causa di tuttociò che accade intorno a me. Saltellerei anch’io alle-gramente e canticchierei per i tanti boschi e radure,ma non posso. Non posso per le persone, non possoper le mine e non posso per le tante cose che stannoin agguato ad ogni mio passo. Nelle mie vicinanze,non tanto lontano da me, solo una decina di metri, sisentono il rumore allegro dei bambini, i colpi del pal-lone, canzoni che si svolgono dietro allegre altalene,e io posso solo osservare tutto ciò e pensare: perchénon posso anche io giocare, cantare e rallegrarmidella primavera con i miei coetanei? Che colpa ab-biamo commesso, per cui da dieci anni aspettiamo laprimavera con il cuore di ghiaccio?….

(Milica S., Kosmet - tratto dal libro “Dalla guerra all’assedio, lettere di bambini serbi

del Kosovo Metohija”, di E. Vigna)

Enrico Vigna Associazione SOS Yugoslavia-SOS Kosovo Metohija

Il Direttivo di SOS Yugoslavia SOS Kosovo Metohija

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Anno VI - n. 20 - Gennaio/Aprile 201016 LettereMeridiane

La leggenda più intrigante e miste-riosa dell’antica Palermo è quelladei Beati Paoli. Al di là delle possi-bili interpretazioni circa l’identità egli scopi della “setta”, è interessanteevidenziare che il romanzo scrittoda Luigi Natoli (Palermo 1857-1891) sortì un successo da farlo col-locare tra i testi più letti in assolutodai siciliani nel XX secolo. Succes-so straordinario, paragonabile aquello de Il Codice da Vinci deigiorni nostri. I Beati Paoli del Nato-li, che aveva scelto lo pseudonimodi William Galt, uscirono in dispen-se tra il 1909 e il 1910, in 239 pun-tate per Il Giornale di Sicilia. Nel1921 vennero pubblicati in volume eda quel momento le “fantastiche ge-sta” son cresciute a dismisura. Fuispirato alla società segreta, di cuiaveva narrato le storie leggendarie ilmarchese di Villabianca nel tomoXIV dei suoi Opuscoli Palermitani.Protagonista delle vicende narrateera la misteriosa, occulta setta deiBeati Paoli, che operò tra la fine delXV sec. e la prima metà del XVI. Sichiamavano così in quanto gli adep-

ti andavano vestiti come i monaci diSan Francesco di Paola. Pare cheoperarono nel 1185, in assoluta se-gretezza, per difendere la parte piùdebole ed oppressa della società pa-lermitana. «La nostra giustizia - af-fermavano i Beati Paoli - non è scrit-ta, ma è scolpita nei nostri cuori. Noila osserviamo e costringiamo gli al-tri ad osservarla per garantire il piùdebole contro il più forte e per im-porla non abbiamo che un’arma ilTerrore». Le sanguinose vendettevenivano firmate con il marchio in-confondibile della mano armata dipugnali o delle spade incrociate esormontate dal crocifisso. La settadei Beati Paoli utilizzava la propriastruttura segreta e nacque per con-trastare lo strapotere di alcuni nobi-li, che in città abusavano della giu-stizia, amministrandola in forma dioppressione. L’immagine dei BeatiPaoli che, incappucciati, agivanonell’oscurità a difesa dei deboli e innome dell’equa giustizia, ha profon-damente colpito la fantasia popola-re. Restano per anni al margini dellastoria di Palermo e dell’intera Sicilia

e solo dopo il 1841, con l’espander-si delle società segrete patriottiche,entrano a pieno titolo nella leggen-da. La loro esistenza non è del tuttoprovata però il sottosuolo di Paler-mo è ricco di sotterranei e soprattut-to nel quartiere popolare del “Capo”esistono cunicoli cupi e misteriosiche contribuiscono ad alimentare lacuriosità. Il mistero che avvolge i Beati Paoli

permane ancora oggi, deriva dall’as-senza reale di fonti storiche e quantodiffuso sino ad ora passa dai raccontipopolari. Sul concetto di “setta” neiBeati Paoli, esistono due tesi contra-stanti. La prima, del Natoli, che laidentificava come «organizzazione digiustizieri». Al contrario, il Villabian-ca, la faceva risalire ai «vendicasi»del 1185, definendola «setta di empiae capricciosa gente», che dominavaPalermo con lo «sgherrismo». Certamente, «il sentimento mafiosoe l’omertà» sono fortemente rappre-sentati nel romanzo e, in qualchemisura, la struttura arcaica e occultadella mafia, legata principalmente afattori agrari dei pascoli, diventandoun modello ideale da guardare connostalgia. I Beati Paoli di WilliamGalt furono pubblicati anche inAmerica. Il romanzo, intorno al1917, fu diffuso sul Progressonexyorchese in dispense bimestraliperò, “in forma abusiva”. Galt-Na-toli, legittimato a pretendere un so-stanziale risarcimento, in virtù dellapubblicazione americana non auto-rizzata, pare che si sarebbe accon-tentato di un esiguo compenso, cioèdi un pugno di dollari. Il Natoli di-mostrò di essere una persona perbe-ne, quando nel contenzioso sul ro-manzo evitò la “speculazione eco-nomica”, nonostante vivesse inenormi difficoltà. Aveva undici figlie una moglie, viveva con uno stipen-dio di insegnante. Un romanzo diNatoli-Galt Fra Diego La Matinafece scandalo nella diffusione ame-ricana per il contenuto anticlericale.I personaggi erano dei preti e nonpotevano urtare la Chiesa. Qui eranarrata con crudezza di accenti lastoria secentesca di un frate agosti-niano di Recalmuto che finisce sulrogo dell’Inquisizione dopo averlottato contro le atroci prepotenze ele ingiustizie del clero. Il vecchiomazziniano pregò allora il prete diriferire ai suoi superiori che «1a sto-ria non si può ritrattare o coprire conun velo. Ed un tale potere non l’honé io né il Papa». La Sicilia che sidipana tra passato e presente, riccadi storie, culture e tradizioni anchecon il mistero che avvolge i BeatiPaoli attrae e suscita un’intensa eappassionante curiosità.

Dagli Atti della Regia Udienza di Catanzaro (1753-1808)

Proseguiamo la pubblicazione degli atti contenuti in altridue dei nove fascicoli di persone tra quelle elencate nel-la nota della Segreteria di Stato del 12 aprile 1800.In essa il Segretario di Stato e dell’Ecclesiastico France-sco Migliorini presenta un elenco di 29 persone le qualiinvocano un compenso per i servizi resi “nelle passateturbolenze”, perché verifichi i servizi resi e la condottatenuta “nell’estinta anarchia” e riferisca.

ARCHIVIO DI STATO DI CATANZARORegia Udienza – Dispacci e carte varieGiunta di corrispondenza – Busta 274

È una supplica al Re del cappellano Gianbattista DiMaria da San Giovanni di Gerace.

S.R.M

Adest sigillum

[non leggibile]Il cappellano don Giambattista Di Maria di san Giovan-ne diocesi di Gerace in provincia di Calabria Ultra pro-strato a piedi del Suo Real Trono devotamente le rappre-senta come è quasi un anno che con la compagnia da luiradunata va a presso all’Eminentissimo Cardinale e spe-cialmente in Cotrone, in alte mura ed indi nell’attacco diquesta capitale, portandosi con zelo e coraggio in defesadella Corona, fando sempre da capo nella detta sua com-pagnia. Egli nel proprio paese unitamente colli suoi fratel-li notar Tomaso ed Antonio non permisero d’erigersi l’al-bero infame ed esortò il Popolo a prender le armi controdè Rebelli. Si portò in altri paesi specialmente in Sidernoad incoraggir la gente e far delle reclute promettendo car-lini dieci a ciascheduno che voleva arrollarsi, con pagarlidi proprio. Oggi sta nella Capitale con detta sua compa-gnia esposto agli ordini de Superiori e per guarnigionedella città, senza veruna gradazione nella proprietà, ma so-lo con l’onore di cappellano come sta il detto suo fratelloAntonio, perché l’altro infortunatosi si ebbe a rimpatriare.Perciò ricorre dalla M.S. quale pietosa madre special-mente dei calabresi e la supplica di benignarsi a dargliqualche cappellania con qualche beneficio, assegnandolialcune piccole rendite delle soppresse cappelle di SanGiovanne e del Rosario in detta sua Padria, avendo unanumerosa famiglia e li genitori decrepiti e poveri, che ri-

maser in abbandono pel assenza dè figli non potendoliprestar quel che si procacciava ognuno con la rispettivaindustria, pregandola di vantaggio per qualche gradua-zione per detti suoi fitti, ed essendo opra di somma ca-rità, l’avrà da una pietosa Madre e Regina ut deos.

[N.B.: La supplica non è sottoscritta]ARCHIVIO DI STATO DI CATANZARO

Regia Udienza – Dispacci e carte varieGiunta di corrispondenza – Busta 274

È una certificazione per il sacerdote don Nicola Perri daparte del comune di San Vito in Calabria Ultra.

Da noi qui sottoiscritti del Regimento di San Vito in Ca-labria Ultra si fa veridica ed indubitata fede, qualmenteil nostro concittadino don Nicola Perri juniore è statomai sempre un sacerdote di reprensibile santo costume,la onde col suo esempio ave edificato l’intera popolazio-ne. Egli sono circa diciesettanne ch’esercita la carica diconfessore. Tempo fa venne mandato da Monsignor Ve-scovo per economo curato nella terra di Soverato, dove sitrattenne per un anno. In diversi paesi poi per più e replica-te volte ha predicato le intere quaresime gratuitamente, sic-come ha fatto nella prossima passata, a nostra richiesta inquesta suddetta nostra Padria di San Vito e sempre e da per-tutto con pause e vantaggio delle pecorelle di Gesù Cristo.Più attestiamo come nel 1796, tempo in cui più volte si or-dinò dal nostro Sovrano che si predicasse à Popoli per ani-marli a volontariamente militare sotto le sue Bandiere, perla conservazione della Santa Religione e dello Stato, il rid-detto don Nicola sempre disimpegnò siffatto incarico conzelo e profitto. Ed ultimamente per l’esecuzione del RealDiploma dello stante mese di settembre il medesimo nè fuda noi pure eletto per incoraggiare i giovani per la leva disettembre dello scorso anno, acciò nuovamente si induces-sero a correre e non differire la loro partenza per presentar-si ed unirsi all’altre Reali Truppe. Ciò è quanto si può danoi asserire in onor del vero ed a fede etc.San Vito, 25 settembre 1799.F.to Don Giuseppe Doria SinadcoVito Palmieri è elettoAdest sigillum con la legenda “Santo Vito” e in centrol’effige del Santo

Rubrica di Domenico Coppola

I Beati Paoli: giustizieri o mafiosi XVI secolo?Le tesi sulla misteriosa setta dell’antica Palermo, dai libri di Natoli ai giorni nostri Pino Terranova

CALABRIA ANTICA

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Anno VI - n. 20 - Gennaio/Aprile 2010 17LettereMeridiane

Musica e libri sono le passioni della suavita. Passioni che percorrono apparen-temente vie parallele, che lo scrittoreveneziano Tiziano Scarpa, invece, abil-mente congiunge in una sorta di matri-monio d’amore il cui frutto è “StabatMater”, centoquarantaquattro pagine diparole musicate da un direttore d’or-chestra d’eccezione, Antonio Vivaldi.Con “Stabat Mater” (Einaudi editore),Scarpa ha vinto il sessantatreesimo Pre-mio Strega 2009 per la letteratura, con-correndo, fino all’ultimo, con un altroautore di spessore, Antonio Scurati. Unriconoscimento di tutto rilievo a cuiScarpa attribuisce potere di diffusione,“la forza, cioè, di far conoscere i libriad un tipo di pubblico che altrimentinon potrebbe informarsi sulle novità

editoriali, – spiega – una sorta di indi-catore di libri meno conosciuti”.Tiziano Scarpa è approdato a ReggioCalabria, dopo un breve passaggio aCosenza, per presentare la sua ultimacreazione e prendere parte al progettodel circolo culturale Rhegium Julii,“Per amare il libro”, diffondere, cioè, lapassione verso i libri nelle scuole, attra-verso la conoscenza diretta dei più si-gnificativi autori contemporanei. AReggio, Tiziano Scarpa interviene al-l’Auditorium dell’Università della Ter-za Età, invitato dal direttore FrancoCernuto, in un incontro pacato e incisi-vo che lascia infinite emozioni dopol’ascolto di alcuni brani letti dalla gior-nalista Ilda Tripodi. Parole dal saporeessenziale, “sono episodi raccontati in

sintesi – spiega l’autore – non rivelotutti i dettagli, mi piace pensare che chilegge il romanzo, possa metterci dentro

la sua immaginazione”. Nessun filo conduttore lega quest’ulti-ma opera con le precedenti. “Affronto sempre cose diverse – chiari-sce Scarpa – in questo caso è una storiache volevo raccontare da anni”.La storia è ambientata nella Venezia delSettecento, teatro della vicenda - narra-ta tra fantasia e realtà, come rivela l’au-tore stesso alla fine del libro – è “l’O-spitale” della Pietà dove nel 1687 nasceCecilia, abbandonata in orfanotrofio.La trovatella cresce in quel contesto in-sieme ad altre in uguale condizione.Ben educata, diventa un’eccellente vio-linista grazie all’incontro con una per-sona che le cambia la vita, don AntonioVivaldi, insegnante di musica al Pietàdi Venezia per circa trent’anni.Ed è qui che la consistenza della veritàs’incrocia con l’immaginazione diScarpa.Realmente Vivaldi insegnò in quell’i-stituto e altrettanto realmente, tre seco-li dopo, Tiziano Scarpa nasce nel repar-to di maternità dell’Ospedale Civile diVenezia, dove si trovava la sede del-l’antico Ospedale della Pietà. “Sonostato partorito in quell’edificio – rivelal’autore – sono nato nelle stanze dell’exorfanotrofio, dove Vivaldi insegnava edirigeva le sue allieve, componendo perloro un’infinità di concerti e musichesacre”.La fantasia, invece, si concentra sull’ionarrante, la giovane trovatella Cecilia,malinconica e pessimista che rifugia lesue angosce scrivendo lettere alla madre“immaginaria e immaginata” usando glispazi bianchi degli spartiti scartati.Lettere che altro non sono se non il ri-flesso dei suoi pensieri, dei suoi senti-menti.L’incontro con Vivaldi segna la “rivolu-zione con il suo essere innovatore, lasua figura le dà coraggio per affrontaremeglio la vita e la musica è il motorepropulsore.I personaggi narrati s’intrecciano, quin-di, con la vita dell’autore, appassionatodi Vivaldi del quale possiede circa due-cento compact disc e la coincidenzadell’Ospedale della Pietà, ha rappresen-tato per Scarpa “una specie di ammoni-mento del destino, un sigillo all’originedella mia fantasia, del mio pensare at-traverso personaggi diversi da me. Datanto tempo desideravo offrire un tribu-to alla musica del mio compositore pre-ferito e alla malinconica sorte delle sueallieve”. r

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Il vincitore del Premio Strega 2009 ha presentato il suo libro in Calabria

“Stabat Mater”: l’omaggio di Tiziano Scarpa a VivaldiMusica e libri: gli ingredienti del successo dello scrittore veneziano Roberta Pino

“Le Campane dell’Inferno”: opera prima di Dario GanciUn romanzo fantasy che racconta il tragico terremoto di Messina del 1908

DARIO GANCILE CAMPANE DELL’INFERNO Edizioni Smasherpp. 416 - € 14,00

“Ti stupiresti se sapessi quante persone sono coinvolte inquesta faccenda… Persone importanti, pezzi grossi dellapolitica e dell’economia cittadina, non sono l’unico vendu-to schifoso”. Sul rintocco delle campane di una chiesa, sul frastuonodella terra che trema e si apre e vomita mostri. Satanicocome il suono cupo della canzone degli AC/DC. Incredibi-le come per definizione è un racconto fantasy e realisticocome il reportage di una tragedia, quella riconoscibilissi-ma del terremoto di Messina del 1908. Le campane dell’Inferno, opera prima di Dario Ganci, nonla capisci subito. Leggi l’intro e ti sembra storico. Poi vaiavanti e vieni catapultato nella contemporaneità di sei ra-gazzi siciliani, scombinati e normalissimi come tutti i lorocoetanei. E vai ancora avanti. Iniziano a spuntarti fuori dal-la terra esseri strani, umanoidi magici e spietati, situazioniimprobabili e impossibili che lo stesso si consumano ai dan-ni degli altrettanto impreparati giovanotti, sugli scorci diuna Messina viva e vera (e chi conosce la città, avrà un pia-cevole revival sensoriale tra le pagine di più marcata am-bientazione). La confusione ci mette un attimo a diventareordine e la mente ha bisogno di superare lo spiazzamentoper far quadrare la storia nella sua cornice. Poi, bisogna so-lo allacciare le cinture e lasciarsi trasportare nel viaggiospaziale, onirico, temporale, fisico del romanzo.Messina diventa nell’immaginazione dell’autore, puresupportata da citazioni bibliche e dalla rievocazione di mi-ti ancestrali, una grandissima Bocca dell’Inferno che riget-ta ogni sorta di mostro, demone, vampiro e malvagità. Labattaglia tra Bene e Male si incarna negli uomini e nellecreature magiche che combattono insieme o come avversa-ri in base alla prevalenza in loro dell’uno o dell’altro. I Tem-plari del Sigillo, una specie di corpo paramilitare che alle di-rette dipendenze del Vaticano, lotta per sorvegliare la Boc-ca dell’Inferno apertasi a Messina dopo il terribile terremo-to del 1908, decideranno di addestrare e “utilizzare” anche isei ragazzi che, a seguito di un incidente, si ritrovano in pos-sesso di poteri magici. Una spirale di eventi, violenza e col-pi di scena precipiterà allora i personaggi verso un finaletutt’altro che rassicurante… Una metafora, a modo suo, che“spiega” (denuncia) la presenza reale della corruzione benradicata nella città reale. Dario Ganci è messinese, è un gio-

vane uomo, ha stu-diato (e continua astudiare) nell’ambitodella comunicazione.Attualmente vive aTorino, ma la sua ter-ra non l’ha dimenti-cata. E le ha resoomaggio – nel bene enel male, è proprio ilcaso di dirlo! – conl’opera d’esordio.Ma parliamo di unaspetto basilare perla comprensione delromanzo. Le conta-minazioni. Chiaro èinfatti il fascino delfumetto di Hagiwarasull’opera di Ganci.In germe, si possonoravvisare in essa le stesse caratteristiche che portano adamare, o odiare, anche il manga Bastard!! L’oscuro di-struttore. Nonostante l’ambientazione cittadina e i perso-naggi presi da una probabilissima quotidianità giovanile,non possono sfuggire la mescolanza dei toni, che passanod’improvviso dal tragico all’ilare, dal greve fino al grotte-sco. Né si possono ignorare i riferimenti al panorama mu-sicale heavy metal, una certa attenzione per l’azione, l’im-magine spettacolare e l’adrenalina anche a discapito dellalinearità e della credibilità della trama. D’altra parte, comeè evidente nel Bastard!! Di Hagiwara, anche Le Campanedell’Inferno sembra sottintendere un certo gusto per la pa-rodia del genere del quale fa parte, il fantasy. Dunque, pollice in su per la prima di Ganci. Siamo solo al-l’inizio, è vero, e piccole imperfezioni di stile e di plot sipossono ancora notare. Quelle son cose che solo pochissi-mi possono vantare come frutti maturi fin da subito. Ma lostesso, Dario Ganci esordisce con una buona proposta cheammicca alla realtà locale come all’Estremo Oriente, alpresente come al passato remoto. E poi sperimenta. Senzatimore, sperimenta senza preoccuparsi del mercato, del ri-spetto dei generi, delle sequenze logico-temporali care al-la tradizione… sperimenta, in linea con le tendenze piùgiovani e audaci del romanzo contemporaneo. Del resto,già nel titolo si preannuncia una storia mica male, un’av-ventura mica da poco…

Francesca Pugliese

Un momento dell’incontro reggino con Tiziano Scarpa

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Anno VI - n. 20 - Gennaio/Aprile 201018 LettereMeridiane

È del tutto comprensibile e fisiologi-co che uno scrittore così intenso e ar-roventato come Silvana Baroni a uncerto punto deflagra e sceglie un mo-mento topico per rivoltarsi, scatenar-si. Pronta nella sua costanza di Lin-guita a non stare affatto arroccata oin bilico dentro una straniante, asprameditazione maturata in molti annidi poesia. Un’opera complessa, libe-rata dai lacci di una poesia preserva-ta o autentica per inoltrarsi, ribellata,nei motivi logici e spesso tautologi-ci; un’anima sganciata dal trofismodel verso per un bisogno interno didepauperarsi e rimescolare gli echi,gli imprevisti, gli accumuli vissutidentro una società la cui decomposi-zione offriva una potente carica distraniamento. Quest’autrice, sociaserpentina dal lungo percorso fra gli

alienati di un mondo sempre piùalieno alle logiche dei tecnicismiaberranti. In questo libro intermezzoNel Circo delle Stanze, Silvana Ba-roni è potenziata da una nuova abi-lità; guarda il mondo da una torrettain bilico tra la linea spezzata di unfunambolo equilibrista e l’altro dasé; lo fa riunendo i lembi separati diuno straordinario Circo all’inverso.Nel suo percorso l’autrice scalza ivariopinti mosaici della società sa-tolla e bieca, non si rifugia con la te-stolina nascosta a metà dalla corazzacome la tartaruga. Ovunque a visoaperto dentro un coraggio esistenzia-le ritrovato pur nelle macerie di undestino avverso; dal bene e dal malerespinge gli ordinati filtri della suafede incerta tanto per non soccombe-re all’assillo degli opposti: il verodal posticcio, la redenzione e la ca-duta. Nel libro il lettore seguirà lecorsie non imposte e l’autrice nespiega gli assunti; forse apparirà asi-stematica come un Basilide o unCarpocrite, per giungere ad accomu-nare e, subito dopo, far saltare e

scontrare i linguaggi. È la fisiologiadel sarcasmo e dell’ironia che s’iner-pica in Silvana Baroni la quale giun-ge, con la sua esperienza umana, atoccare un lembo, solo un lembo, diperfettibilità non richiesta né trovata.Questo libro così sganciato dai se-danti libricini che includono l’affet-tistica del sentimento spaurito e con-trito dalle crisi febbrili odierne, pa-rassitarie anche di metodologie. Unpiccolo Trattato che sgomita per ve-dervi malamente inclusa una prigio-ne che non c’è, un agglomerato no-nostante i rappezzi strutturalisti od’altra mano. Il Circo ha un dato fi-siologico di tre fasi ricognitive, qua-li: Ortiche di sapienza (Soglia di ma-cerante ricerca d’infinito) Affetti col-laterali (Verità e fantasmi dove lenotti scorrono in contrabbando) e

L’organza delle maniche larghe(Una lucidissima e risolutrice Babe-le). Silvana Baroni è poeta senzagabbie e schemi, la sua ricerca nonsempre passa per il cervello chespesso si abusa, la scrittura passa an-che per il naso; detto così potrebbeingenerare quasi una “decadenza” odeformazione professionale: nellaBaroni vince l’ùlulo come fiuto, ilsegno che restituisce alla frase il ni-tore necessario, non ci interessa se ènascosto, purché scoperto in unacompiuta ratio. La linea di questapoesia va da Bertolucci-Bigongiari-Villa, ma non staremo ai raffrontiperché si trasformano, col tempo, inprigioni e puzzle che neppure ci ri-guardano dall’applicazione come re-ferenziali storici. La parola della Ba-roni pare scoppiata da un guscioinerte, per poi essere colata nella ir-realtà e nelle sue invenzioni e non siavverte discrasia. I sensi per un pocosi perdono e si smarriscono nelle vo-ragini della glossolalia, non trovia-mo in questa poesia l’ovvio e lospreco delle fonti culturali, l’opera-

zione è sempre condotta sull’organi-smo stesso di un contenuto versale enon sui segni o suoni come s’usa ne-gli automatismi sperimentali. La Ba-roni rappresenta Nel Circo delleStanze l’atto di un congegno autono-mo, la misura dei suoi mezzi è col-ma, citiamo a caso: «Da un cieloventriloquo esplode il temporale/nu-bi di rimmel macchiano i merli delletorri poi il tiepido selciato/Ne usciròpresto come insetto svolazzando pri-ma che si svuoti il cielo e s’inlividi lasera/mi guardo attorno-forse ho an-cora un paio di occhiali da sole da re-galare», Da regalare (?). O, in altraparte: «La donna forza l’immortalitàsposa il marito, serra il mollusco alsicuro nella sublime sua sproporzio-

ne/ lo preserva in delirio nel corpodella bara lo spia come gli girano gliormoni/ come l’andirivieni del suofare si ammucchi in onda smessa…attende altro riciclo…/ che Pilato sene lavi le mani» (In attesa). Autricedi altri libri di poesia Tra l’Io e il Séc’è di mezzo il me ’91 Stagioni - 94Acquerugiola-acquatinta - ’97, Nodidi rete - ’98 Ultimamente - 01’, Il Tal-lone d’Achille di una donna - ‘02.Splendidamente vuole rompere i li-miti del rispecchiamento ma anchedella ragione a rovescio e consegnarciun prodotto semibarbero che ha unasua “linea” nazionale e fare del silen-zio - come ha scritto acutamente Gian-ni Celati sulle traduzioni dei linguaggiinventati - un grillo parlante».

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Nel circo delle stanze di Silvana BaroniL’opera intensa e coraggiosa di una poetessa senza gabbie e senza schemi Antonio Coppola

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Anno VI - n. 20 - Gennaio/Aprile 2010 19LettereMeridiane

Voglio iniziare questo breve lavoro suAlfonso Gatto con le sue stesse parole:“Sono nato nel 1906 a Salerno: ricordotutto dei miei primi anni. Posso dire chesono diventato scrittore e più propria-mente poeta per aver sempre sentito die-tro di me, dalla nascita altre stanze, altriluoghi altre stagioni in cui ero vissuto”.E ancora dalla prefazione all’OscarMondadori della scelta delle sue poesiefatta da lui stesso: “Voglio che la poesiasia la sola a dire chi sono, con la natura-lezza che le è propria. Nessuno sapràquanto un poeta speri o disperi della suadebolezza, della sua vanità. Da ragazzo,ero io solo a dare un volto ai poeti, a vo-lere che fossero proprio così quali io livedevo. Sarò lieto se cercherete d'imma-ginarmi a modo vostro e con l’aiuto del-le mie sole poesie”. Alfonso Gatto nasce a Salerno da geni-tori calabresi. Dopo un’infanzia e unaadolescenza difficili, segnate da alcuneperdite fra cui quella del fratello Gerar-do, si iscrive all’Università di Napoliche però presto abbandona. Inizia perGatto un periodo quanto mai vario, tra-vagliato, errabondo; infatti fa l’istituto-re, il commesso di libreria e poi via vial'insegnante, il critico d’arte, il poeta e ilpittore. Vive in molte città italiane comeTorino, Bologna, Milano, Firenze e Ro-ma. Nel 1939 è a Milano dove si lega difraterna amicizia e ne condivide l’espe-rienza culturale-figurativa con Persico,Venturi e Giolli. È molto importante peril nostro il suo sodalizio con questogruppo milanese in quanto fu egli stessopittore e acuto critico d'arte. Sono da ri-cordare a questo proposito i suoi studi suCarrà, Cagli, Rosai di cui sintetizza lapittura con grande acume. “In ogni qua-dro di Rosai - egli scrive- - l’inespressocontinua a vibrare quasi a desiderarsi, inun languore tonale che è nostalgia fisicadella sua pittura così fortemente astrat-ta”. Sempre a Milano, nel 1936, fu arre-stato per aver ospitato un amico antifa-scista e sconta sei mesi di carcere. Subi-to dopo si trasferisce a Firenze dovestringe amicizia con molti poeti fra cuiPratolini con cui fonda nel 1938 la rivi-sta “Campo di Marte”. Quelli di Firenzesono anni di grandi fermenti culturali:basta pensare alle riviste Corrente, Fron-tespizio, Letteratura.Sono gli anni della “Scuola ermetica conLuzi, Bingorgiari, Bo, Macri, a cui si ag-giunge Gatto. Sempre a Firenze, abbia-mo i poeti d'ispirazione cattolica comeBetocchi e Pratolini impegnato in cam-po politico-sociale, mentre si facevastrada il fantastico surreale con Landolfie Delfini.Intanto, Gatto aveva pubblicato il suoprimo volume di poesie 1sola a Napolinel 1932 che ebbe subito i riconosci-

menti di Ungaretti, Montale, De Rober-tis, Ferrata. Nel 1937 segue il suo secon-do libro “Morte ai paesi”; nel 1943 par-tecipa alla Resistenza dalle posizioni delPCI da cui si distacca nel 1950. Dal1951 vive a Roma fino alla morte avve-nuta nel 1976 in un incidente d’auto vi-cino Orbetello. Di Gatto bisogna ricor-dare i volumi: “Amore della vita” del‘44, “Il corpo sulla neve” del ‘49, a cuisi aggiungono poesie per bambini: “Il si-garo di fuoco” e il “Vaporetto”. Del ‘62è “Osteria flegrea” e del ‘66 “La storiadelle vittime” che ebbe il Viareggio del‘69. Con le prime due raccolte di Gattosiamo a piena scuola ermetica, quali so-no i poeti che Gatto considera suoi mae-stri, per meglio comprendere la sua poe-tica: Baudelaire, Rimbaud, Verlaine, Pa-scoli e Leopardi, poeti che del resto han-no influenzato tutta la poesia del Nove-cento. Primo fra tutti, Leopardi, comedimostra con precisione e alto senso cri-tico la studiosa Anna Dolfi nel suo sag-gio “Leopardismo di terza età”. Ma l’a-more e la conoscenza di Leopardi daparte di Gatto sono confermati da unsuo: Ritratto di Leopardi, uscito in “Cir-coli” nel maggio 1935.In questo, così sintetizza: “Leopardi ciha lasciato la sua poetica, il tempo delsuo lavoro, l’intelligenza dei suoi mezziespressivi... senza pretendere di darciuna retorica. E il suo fu un bisogno dicorpo, di natura. Nell'opera di Leopardis’assiste così ad una continua vita dellaforma del corpo rispetto all'orrore delnulla. Di tutti i tempi passati, di tutte leciviltà morte, immutabile come la natu-ra, rimane la poesia”. Niente di più veroe di più doloroso del bisogno di corpo inLeopardi che, per ragioni obiettive, delproprio corpo ha potuto usare quasi insenso assoluto soltanto il cervello, men-tre le altri parti sono come inesistenti.Anche in Gatto c’è prepotente, lo stessobisogno di corpo, di natura, come eglistesso afferma nell’intervista a Ferdi-nando Camon: “Alla poesia come attopuro di cultura non ho mai creduto. Ioho sempre creduto alla poesia come fat-to fisico. In questo senso la poesia neisuoi risultati deve poter esistere con unaesemplarità naturale”. E ancora nell’in-troduzione all’atto unico “Il duello” egliscrive: “Il mondo dobbiamo tutti toccar-lo un’altra volta con le mani, coi piedi,con la testa, con tutto il corpo, annusar-lo, guardarlo di scorcio e d’un balzo fe-rirlo”. Il poeta deve portare alla luce l’o-scura matrice dell’essere, nel suo diveni-re fatta di “non sapere e di non senso”.Questa coscienza produce dolore. Quan-do il dolore resta senza riscatto ecco co-sa dice il poeta nel prologo: “Alla storiadelle vittime”, nella casa della sua poe-sia, egli, il poeta, ha da ospitare l'accusa,

la memoria e il numero di vittime quan-te la storia ne tramanda da millenni. Mi-surare nell’arte lo sgomento delle vitti-me, il loro silenzio, questo è forse il pri-mo tentativo di averle fra noi, di veder-le, di riconoscerle, d'ascoltarle, in unavoce che serva a rifiutare la ricettivitàipocrita e dolente della cultura. In con-trasto a questo sofferto stato d’animo,quale amore di vita, erompe da una del-le sue poesie più belle “Vento sulla Giu-decca”, come un raptus furente in cui sipassa “Dai venti che spogliano le navi esono morti” in un crescendo vertiginosod’immagini ai bellissimi versi:Ed eri bella ed eri il sole mattone sumattone oltre quel muro, la campagna, ilcielo.Straordinaria questa materializzazionedel sole in modo così umano, da artigia-no che si costruisce mattone su mattoneil suo muro, il suo punto fermo, ma oltrequel muro la libertà, l’immensità dellacampagna e del cielo. Personalità inquieta, ricca, interessantequesta di Gatto che vive di contrasti, co-me giustamente afferma Pratolina nelsuo intervento al convegno “La culturaitaliana negli anni 1930-1945”, tenutosia Salerno nel 1980: “La vita, la vita diGatto ora ci se n’accorge, messi da par-te l’amore e il disamore (non era facileGatto), che trascina, frantuma, ricompo-ne e depura nel verso la propria vicendaquotidiana altera e dolente, fitta di gor-ghi esistenziali”. Coglie bene Pratoliniquel suo essere estroverso e introversoinsieme, orgoglioso e geloso di sé,gioioso e triste. A volte si lascia andare a

grandi furori alla Campanella, e a voltea rapite dolcezze; quando dà piena li-bertà alla sua fantasia. Animo ricco quello di Gatto, liberatorio,avido del nuovo, ma anche del passato,ha cercato di amalgamare due diversepulsioni, l’una fatta di cantabilità e dol-cezza melica, l’altra affidata ad un ana-logismo sfrenato che lo ha portato adesiti surreali anche se, come, dice Ferra-ta, si tratta di un Surrealismo d’idillio. Inqueste sue cupezze e dolcezze, si ravvi-sa il suo essere meridionale, il suo biso-gno di fuggire per poter ricordare, il suoamore viscerale per la madre.Del suo essere meridionale egli stessoscrive: “Così bruciato dal suo fareestemporaneo, per una vita pensata lun-gamente, il meridionale ha questa deli-catezza quasi da implume. In un imme-more, irreale deserto, egli distende le sueossa rimaste bambine, la sua ossessivagracilità”. Con l’immagine struggentedell’implume egli sintetizza l’essere me-ridionale, recuperando con la memoriaquell’infanzia gracile e tremante che purnell’adulto permane ancora sempre viva,sempre dolente. E la memoria, a mio pa-rere, il tema centrale e più profondo del-la poesia di Gatto. Il senso della memo-ria, così profondamente sentito, dal no-stro poeta e da ogni meridionale, ha ra-dici lontane, nel mondo greco, in Plato-ne in quanto non è che reminiscenza. Aquesta luce si comprendono le parole delpoeta, riportate all’inizio di questo brevelavoro: “Posso dire di essere diventatopoeta per aver sentito altri luoghi, altrestagioni in cui ero vissuto”.

La vita e l’arte di Alfonso GattoL’intensa attività dell’intellettuale: tra ermetismo e meridionalismo Livia Naccarato

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Anno VI - n. 20 - Gennaio/Aprile 201020 LettereMeridiane

Si sale con giravolte da brivido fi-no alle pendici dell’Aspromonte,passando prima da Laganadi. Dopopochi chilometri un cartello ci indi-ca Sant’Alessio in Aspromonte, unpaese agreste dove la pace è assicu-rata. Radure e boschi che costeg-giano l’unica strada provincialeche conduce al sito, tutto intornocolture estensive e silenzio, tantosilenzio. I sindaci dei paesi vicinio-ri fanno il loro meglio e non basta-no gli interventi della Provincia odella Regione per “aggiustare”l’assetto idrogeologico di questeamene contrade. Sant’Alessio è stato guidato conlungimiranza da Francesco Marra,oggi vicesindaco, che compie per-corsi ad ostacoli per fare quadrarerisorse e altri aspetti. Qui, in questoborgo, con ciclici incontri annualisi tiene un Premio che gli altri cen-tri, piccoli o grandi, lo sognano so-lo. L’edizione regionale, la settimaper la precisione, si è tenuta in que-

sto Comune con un’accoglienza diprim’ordine concepita dall’attualesindaco cerimoniere Stefano Cala-brò, un giovane dinamico dotato diuna specifica cultura etica e filoso-fica. Un’edizione preparata con ga-lante garbo insieme a Marra, deca-no delle manifestazioni. Un pro-gramma denso di ospiti, dove spic-ca la presenza dell’ambasciatoredell’Albania S. E. Rrok Logu, invisita d’onore al borgo aspromon-tano. Uno scambio di doni e la ban-diera albanese del suo eroe e com-battente Skanderbeg, oggi l’Alba-nia è travagliata dalle elezioni te-nute da due candidati di oppostischieramenti, Andrzej Stasiuk e Sa-li Berisha. La Calabria è particolar-mente sensibile alle minoranze al-banesi che ormai sono un’entità ra-dicata nelle nostre comunità. Inquesta piacevole tornata di festadella cultura, l’anima della stessamanifestazione si è fatta sentirecon la presenza autorevole di Anto-

nino Lazzarino De Lorenzo, citta-dino onorario di Sant’Alessio. Che dire del Premio Foyer Des Ar-tistes, sempre meglio diretto e con-cepito dal suo Presidente, Antonio

Morgante, che non tralascia le re-gole salde di un Premio consolida-to, Medaglia d’Oro al merito dellaCultura, dell’Arte, della Scienza?Morgante, seguito da un Consigliodirettivo nazionale intelligente, ve-leggia verso lidi romani dove ha ilsuo centro propulsore e dove haavuto il suo battesimo. A Roma la manifestazione sceglienelle sue serate uomini dal “gotha”del mondo della scienza, delle let-teratura, delle arti. Questo Premiocosì denso, superlativo, serio, inde-fettibile, sprona tutte le Ammini-strazioni a rivolgerci parola peraprire con loro un dialogo di nuovedimensioni. La Calabria, dove il“sintomo” si è percepito più evi-dente a Sant’Alessio in Aspromon-te, ha dato un significativo apportoal riuscito incontro dello scorso 13Agosto, il migliore degli appunta-menti d’estate. Questi i premiati che, in questa edi-zione regionale dell’evento dedica-ta alla Calabria, hanno ricevuto illoro riconoscimento: Rrok Logu,Ambasciatore; L. R. Borruto, Poe-tessa; D. Costantino, PresidenteCids; G. Costantino, Pediatra; A.De Lorenzo, Docente Universitario;G. Giordano, Presidente ConsiglioProvinciale; A. Guarna, Urologo; L.M. Lombardi Satriani, Antropolo-go; A. Lucifero, Artista; G. Nucera,Consigliere Regionale; Mons. V.Pizzimenti, Protonotario Apostoli-co; Rivista Calabria Sconosciuta; A.Sapone, già Presidente ConsiglioComunale; A. Severino, Musicista;A. Terremoto; A. Trapani Lombar-do; F. Triglia, Scultore; M. Tripodi,Assessore Regionale; C. Zagami,Fondazione Ass. Gea. Ad inizio se-rata è stato consegnato il Tigliod’Oro (undicesima edizione) aMons. Salvatore Nunnari, che ha te-nuto un discorso pacato e interioriz-zato mettendo in risalto il bisogno dipace con Cristo nella famiglia. Un arrivederci al prossimo anno eche il cospicuo lavoro fatto dal Co-mune valga a rinforzare il sodalizioe i suoi organi statutari.

Una terra di emigranti, tra miseria e fascino: il canto de La rosa nel bicchiere

La Calabria e i suo drammi nelle liriche di Franco CostabileIl poeta di Sambiase, morto suicida, che fece propria la sofferenza di un popolo

Incomprensione, tormento e solitudine. Il destino diuna terra nelle rime di Franco Costabile, poeta chemescola liricità ed epicità per raccontare il travagliodella Calabria del dopoguerra. I soprusi dei feudatari e dei mafiosi, la presenza debo-le e ambigua dello Stato, il dramma della povertà edell’emigrazione sono i temi che ricorrono nelle poe-sie della raccolta La rosa nel bicchiere, edita per laprima volta nel 1961 da Canesi, Roma, e pubblicataattualmente da Qualecultura di Vibo Valentia. Una poesia di denuncia che descrive la triste epopeadei contadini meridionali, quelli che partono “condieci centimetri di terra secca sotto le scarpe, con ma-ni dure, con rabbia, con niente” equelli che rimangono nella betto-la “a buttare il re e l’asso chia-mando onore una coltellata e di-sgrazia non avere padrone”. L’u-so in molte liriche della primapersona plurale, denota il caratte-re epico e lirico della poesia diCostabile, che fa vedere il buio incui è immersa la Calabria e nonlascia spazio alla speranza. Ma inmezzo alla crudeltà, alla miseriae al degrado, tra il dramma deisuoi abitanti, c’è il fascino e l’u-manità di una “vita chiara di don-ne, di bambini di carri tirati daibuoi e a sera, quando ai balconic’è sonno di garofani, due stellebizantine s’affittano una stanzanel cielo della piazza” . Paesi epersone dimenticate sono i prota-gonisti di La rosa nel bicchiereche inizia con tredici brevi ele-gie, quasi degli haiku, raggruppa-

te con il titolo mosche, prosegue con componimentipiù elaborati, per approdare a poemi come Ultima uvache si conclude con un monito ai politici “Non venitea bussare con cinque anni di pesante menzogna” e Ilcanto dei nuovi emigranti in cui l’esodo biblico, ladiaspora dei calabresi nel mondo, è ribellione control’ingiustizia subita nella terra di nascita. Poeta estre-mamente lucido, che ha fatto propria la sofferenza diun popolo, Franco Costabile che nacque a Sambiase il27 agosto 1924, visse il dramma dell’assenza del pa-dre che dopo il matrimonio abbandonò la madre e ilfiglio che doveva ancora nascere per trasferirsi in Tu-nisia.

Il poeta scrive di questo distac-co in un componimento giova-nile “Vana attesa” stampato aNicastro dall’editore Nucci nel1939. Nel 1950 pubblica, a pro-prie spese, il libro di poesie Viadegli ulivi per i Quaderni di Au-sonia, Siena. Dopo la pubblica-zione di La rosa nel bicchierealcune sue liriche vengono pub-blicate nel 1964 sul volume Set-te piaghe d’Italia insieme a rac-conti di Sciascia, Rea, Zanzotto ealtri autori. Si toglie la vita il 14aprile 1965 a 40 anni. Ungarettiscrisse il suo epitaffio che è an-che riportato sulla facciata dellacasa natale a Sambiase: “Conquesto cuore troppo cantastoriedicevi ponendo una rosa nel bic-chiere e la rosa s’è spenta a pocoa poco come il tuo cuore, si èspenta per cantare una storia tra-gica per sempre”.

Giuseppe Gangemi

Settima edizione del foyer des artistes tra prestigio e continuitàA Sant’Alessio in Aspromonte, premiate illustri personalità delle arti e delle scienze Antonio Coppola

Veduta di Sant’Alessio in Aspromonte

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Anno VI - n. 20 - Gennaio/Aprile 2010 21LettereMeridiane

Ogni anno in estate una voce soave dalcuore dell’Aspromonte si propaga pertutta la Calabria e parte della Siciliaorientale. È la voce di Maria che chia-ma a raccolta tutti i propri figli. E que-sto richiamo è, da millenni, sempreascoltato, tanto che la Vergine dell’A-spromonte si trova a ricevere migliaiadi visite dai devoti di ogni dove, spe-cialmente il 2 settembre, giorno dellasua festa. Su questa festa Corrado Alva-ro scrisse: “Dirò d’una festa che è forsela più animata delle Calabrie. Le festefanno conoscere la natura degli uomini.Nell’Aspromonte abbiamo un Santua-rio che si chiama di Polsi, ma comune-mente della Madonna della Montagna.È un convento basiliano del millecento,uno dei pochi che rimangono in piedinelle Calabrie. La Madonna è opera si-ciliana del secolo XVI, scolpita nel tufoe colorata, con due occhi bianchi e ne-ri, fissi, che guardano da tutte le parti”.La storia della Madonna della Monta-gna inizia notte tempo quando un pa-store, di nome Italiano, si mise alla ri-cerca di un vitello smarrito e lo ritrovògenuflesso, davanti ad una croce grecache, attualmente, è conservata presso ilSantuario di Polsi. Subito dopo gli ap-parve la Madre del Cristo che gli chie-se di costruire una Chiesa in quel luogo.Qualcuno, invece, racconta che, nel1084, Ruggero il Normanno, duranteuna battuta di caccia, udì un latrare di ca-ni provenire dalla valle e recatosi sulluogo vide un vitello inginocchiato, difronte alla croce greca, e ivi decise di co-struire una chiesa ed affidarla ai monacibasiliani. Altri, ancora, raccontano chenel 1111 dei pescatori di Bagnara, men-tre tiravano le reti, videro galleggiare,sull’acqua del mare, una grande cassacon dei ceri accesi. Dopo averla portataa riva, l’aprirono e trovarono la statua diMaria che misero su un carro, trascinatoda buoi verso la montagna; ma il carrosparì. Tempo dopo, un pastore trovò unvitello inginocchiato davanti al cespu-glio, - dove prima era stata trovata lacroce - non riuscendo a smuoverlo, simise a scavare e trovò la statua scompar-sa, cosa che indusse Roberto il Guiscar-do, fratello di Ruggero il Normanno, afar costruire una chiesa in quel luogo.Si dice, anche, che, molto prima del ri-trovamento della croce greca, esistevagià un luogo di culto dedicato alla Ma-donna. Più precisamente, si ipotizzal’esistenza di un insediamento fondatonel III secolo d. C., da alcuni siciliani,in prevalenza messinesi, rifugiatisi sul-l’Aspromonte per sfuggire alle persecu-zioni contro i Cristiani. Qui fondaronouna chiesetta, sormontata da una crocegreca (che pare essere quella ritrovatasecoli dopo), ma, poi, abbandonarono illuogo, per tornare alle proprie terre d’o-rigini, dopo l’Editto di Costantino checoncesse la libertà di culto.La storia della Madonna della Monta-gna, inoltre, è scandita da numerosi mi-racoli. Fra i più celebri, la risurrezionedel rampollo dei principi di Roccella eil miracolo della “prena”. Del primo, siracconta che i principi di Roccella, avu-to un figlio maschio per intercessionedella Vergine, si recarono, nel 1771, al

Santuario, per ringraziare Maria ma,durante il viaggio di andata, giunti neipressi di Bovalino, il bambino morì. Igenitori lo deposero in una bara e con-tinuarono il viaggio. Poi, posero la baraal cospetto della Madre Celeste e ini-ziarono a recitare litanie, fin quando,giunti all’invocazione “Sancta Maria dePoupsys”, il bimbo riebbe la vita e sialzò da quella bara, oggi conservatapresso il Santuario. Il secondo eventovede protagonista una donna incinta,appunto “prena”, che durante il viaggioper Polsi, ebbe un malore, si sedette a

terra e pregò la Vergine per avere unpo’ d’acqua. Improvvisamente, dallaterra uscì un rigagnolo d’acqua che laraggiunse, così la donna potè bere econtinuare il suo pellegrinaggio. Que-sto rigagnolo d’acqua, ancora esistente,è conosciuto come “l’acqua da prena”.La lista dei miracoli è molto lunga edarriva fino ai giorni nostri. Ricordiamo,solo, il bambino di Siderno che, nel1975, cadendo da un parapetto, anti-stante il Santuario, rimase illeso, pergrazia della Madonna.Agli occhi del visitatore, Polsi apparecome un paesino antico e disabitato,molto simile a quelli di cui si raccontanelle fiabe per bambini. Ogni angoloreca una lapide di marmo bianco, ve nesono pure del 1700, dove è scritta, initaliano o in latino, la storia del luogo.

Passeggiando, fra quei vicoli, si hal’impressione di vivere ai tempi antichi.Tanto che, sembra di sentire le note al-legre e festose della tarantella e di ve-dere uomini e donne, in cerchio, ad ese-guire il tradizionale ballo, mentre più inlà si assiste alla macellazione di qual-che capretto. Ci sono poi, un maestoso albero cavo -dove le persone sono solite fare una fo-to ricordo - e il nuovo percorso dellaVia Crucis. Si accede da un cancellettodi legno e si cammina per una ripida estretta salita, dalla fitta vegetazioneaspromontana, scorgendo, ai lati, delleartistiche pietre, raffiguranti le stazionidel Calvario di Cristo.La Signora della Montagna, a differen-za delle altre statue raffiguranti la Ma-donna, non ha un viso dolce ma un’e-spressione che incute timore, benché isuoi lineamenti conservino uno sguardomaterno. Corrado Alvaro, a tal proposi-to, scrisse: “Questa Madonna non hanulla di dolce, bensì d’imperioso, nes-suno può muoverla dalla sua nicchiasenza che avvenga il terremoto, e perpoterla portare in processione se n’èfatta una copia, ma più leggera”. Di fat-ti, in processione, il 2 settembre, vieneportata una copia più leggera, realizza-ta in legno, donata dal principe Ruffo diScilla, nel 1751. Mentre, quella origina-le, realizzata in pietra di tufo, risale alXVII secolo. La si porta solo ogni ven-ticinque anni, esclusivamente, secondola tradizione, da uomini di San Luca.Molte sono le visite dei fedeli che of-frono, alla Signora di Polsi, preghiere esimboli “ex voto”: ceri a forma dellaparte del corpo sanata, monili preziosi ealtro. Omaggi alla Madonna che, bene-vola, vigila sul cammino dei suoi fede-

li, per proteggerli dalla perfida magaSibilla che, la leggenda vuole, nascostafra le aspre rocce della montagna, di-rimpetto alla vallata.All’uopo Alvaro scrisse: “Ognuno faquello che può per fare onore alla Regi-na della festa: la gente ricca può porta-re, essendo scampata ad un male, un ce-ro grande quanto la persona di chi havoluto la grazia, o una coppia di buoi, opecore, o un carico di formaggio, di vi-no, di olio, di grano; ci sono tanti modiper disobbligarsi con la Vergine delica-ta, come la chiamano le donne. Uno,denudato il petto e le gambe, si portaaddosso una campana di spine che locopre dalla testa ai piedi, spine lunghe edure come crescono nel nostro spinosopaese, e che ad ogni passo pungono chici sta in mezzo. Una femminella fa untratto di strada sulle ginocchia; e così leragazze fanno la strada ballando, e bal-leranno giorno e notte per le ore chehanno fatto il voto, fino a che si ritrove-ranno buttate in terra o appoggiate almuro, che muovono ancora i piedi. E icacciatori, poi, che fanno voto di spara-re alcuni chili di polvere; in quei giorninon si parla di porto d’armi, e i Carabi-nieri lo sanno. Gli armati si dispongononei boschi intorno al Santuario e spara-no notte e giorno”. In segno di ringraziamento, per lo piùdonne percorrono il corridoio, che dal-l’ingresso della Chiesa porta al Sagrato,strisciando sulle ginocchia. Fanno la co-siddetta “strascinata”, spesso dopo esser-si recati al Santuario a piedi e scalzi. Padre Stefano De Fiores, a proposito diquesti pellegrinaggi, ha scritto nel suoMaria presenza viva nel popolo di Dio:“Il pellegrinaggio è un eccellente luogodi verifica dei rapporti tra fede e reli-gione. Esso può essere assunto dallaprospettiva di fede cristiana per i suoivalori, la sua capacità simbolica edespressiva, per le sue possibilità di tra-sformazioni vitali; ma deve pure esseresalvaguardato da certe concezioni chenon si armonizzano con la rivelazione.Tra i valori del pellegrinaggio ravviso iseguenti: capacità aggregativa eccezio-nale, rispetto della struttura spazio-tem-porale dell’uomo, ricerca di un incontropersonale con Dio o con la Vergine e iSanti, ritrovamento del festivo e del gra-tuito. Il pellegrinaggio è simbolo dellacondizione itinerante dell’uomo e delcristiano”.

Il culto della Madonna di Polsi tra leggenda e fedeMigliaia di pellegrini, verso l’Aspromonte, per incontrare la Vergine delicata dei miracoli Gaetano Errigo

Veduta di Polsi

Polsi: un momento della processione in onore della Madonna della Montagnacon l’ex vescovo di Locri Giancarlo Bregantini

La statua della Madonna della Montagnacustodita nel Santuario di Polsi

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Anno VI - n. 20 - Gennaio/Aprile 201022 LettereMeridiane

Mi dissuru...

Mi dissuru: Quand’unu s’imbriaca, l’unica cosa giusta c’avi a fari è mi si menti longu ’nta ‘na ‘nnaca e lentu lentu s’avi dondolari.

U fici, e, dopu un pocu i ‘nnacamentu, mi vitti circondatu i milli gnomivenuti di luntanu. Tomi, tomi, e subitu mi vinni lu sgumentu.

Appena eu rimvinni i chiddhu statu i vitti belli allegri e ben disposti; cu l’occhi virdi e cu dhi facci tostimi ficiru sintiri rilassatu.

Mi rissuru: “Si n’omu furtunatu, a nui ‘ndi manda Dio personalmente mi ‘nci ricimu assai velocemente chi ccosa, ra to vita, voi scartatu”.

Ristai sorpresu e tisu com’un palu…e dumandai: “Pirchì, tra tanta gentichi faci cosi belli ed importanti,a mia soltanto faci stu regalu?”.

Mi rispundiu u capu, era u cchiù saggiu: “U sai chi Dio non faci i cosi storti, u nomi toi è stato estratto a sorti. Ora fa’ prestu e dacci stu messaggiu!”

Scusatemi, m’aviti a pirdunari… Si c’è di mezzu Diu vogghiu pinsari, è l’esistenza mia che va scandita pi cu’ già sapi tuttu ra me vita.

chi dura, ormai u sapiti, da tant’anni,campai cuntentu, senza fari danni. Non eppi ‘mbiria, odio o gelusia non eppi, pa ricchezza, ‘a bramosia. Cu tuttu chistu, gnomu, vogghiu diri chi nenti ra me vita è da scartari.

“Ma quandu avanti a Diu nui ndi truvamu,si ‘ndi dumanda, chi ci rispundimu?” Pi tutti i cosi belli, puru pi guai, ricitinci o Signuri: Grazie assai!

Nino Romeo

Scilla Insieme

Scilla, nell’ora di viola mi chinerò su di te all’insaputa delle tue estasi; il mare sciaborda negli spazi delle rocce e gorgoglia sulla rena. Sono ai nebulosi margini del tuo Castello, Scilla, sei una macchia di betulle nella tua linea d’orizzonte. Le case basse, lo scintillio dei ricci, l’urlo lento d’un paesaggio antico ci palpita in gola. Fu vita il tuo abbraccio pieno di linfe e di sapori; a notte, all’improvviso il primo, alacre passo verso onde di vita percepita. Occhi spiano da imposte illuminate sulla sagoma dei corpi; la tenebra d’un tratto rispose in chiarità vivente.

Sesto Benedetto

Gabbianu

L’aria u susteni,tisi i so ali teni.Lentu, ma si movi,i botta n’o trovi.

Scifula p’u mari,e sapi piscari.Eccu, torna, si jazza,c’u mari non si nnazza.

Gira, no si jetta,u mari, carmu spetta.Non esti sutta fida,eccu a so grida.

U celu dispittusu,si vesti fulijinusu.O suli ccuppa,u mari pari na suppa.

Si sapi, i marzu,i misi esti farzu.Misi di ‘lizzioni,listi e cunfusioni.

U gabbianu si porta?U volu est’a so sorta.Varda e non si cunorta,i cu sadda i porta a porta.

Torna e so pinsèri,si nchjana chi speri!Vola nt’o celu jaddu,e pisci teni cu nu saddu.

Orchisimia

Eppuru cacchi cosa mi mancava

‘Na sira ‘nto barcuni era ssittatu, vardava u cielu traboccanti i stelli intornu aviva sulu cosi belli e tuttu, a’ngiru a mia, s’era acquietatu.

Fissava u mari calmu chi so pisci e, o sonu di ‘na musica ‘i luntanu, eu m’assopiva chianu, chianu, chianu pirchì tanta belleza ti sturdisci.

Ssittatu ‘nto barcuni ora pinsava: Aviri tuttu u bellu du creatu, vardati quantu sugnu furtunato. Eppuru... cacchi cosa mi mancava!

Aviri tuttu e tuttu o postu stava, a testa mia girava sempr’a ‘ntundu godendu di billizzi ‘i chistu mundu: Eppuru.... cacchi cosa mi mancava.

Luntanu ancora ‘a musica sunava e ‘a luna, col gran cielo sullo sfondo, spandiva luci e rallegrava il mondo, eppuru... cacchi cosa mi mancava.

E sempri ‘i stu pinseru ossessionatu vardai luntanu e vitti supra ‘o mari ‘na splendida signora caminari non vi nascondo chi ristai ‘ncantatu.

Aviva l’occhi azzurri e ‘u sguardu duci, satava, bella, allegra, spinzerata Signuri meu, chi notti sta nuttata, dimmi cu è, si no’ ti mentu in cruci!

Ssittata supra a un petalu di sciuri, mi fici signu ed eu cu l’occhi fissi mi ‘nbicinai. Sintiti chi mi rissi:“Su ccà pi ccu mi cerca, eu su l’amuri”.

Quandu la notti si consegna ‘o jornu sparisci la magia chi c’est’ntornu; ma eu chi spaddhi rrutti e l’aria stanca capisciu finalmenti chi mi mmanca!

Nino Romeo

Ritratti lettoraliA ngiru, pari na festa,ogni muru ti mpesta.Si vardatu d’ogni parti,si chiamat’a sparti.

Chistu è n’amicu!sugnu eu chi t’u dicu.Nchjana certu,e no sgarra,ch’a bisognu? parra!

Nc’esti puru pi ttia,u rispettu vali pi mmia.Dassili parrari a genti,u sai c’a nnui sulu senti.

A mprubbicu dinnu, dinnu,sutta, sutta eu m’u spinnu.I cosi com’è giustu vannu,ccà pur’i petri u sannu.

Non sulu i lavuri,i nui passinu i favuri.Ogni cosa i nui passa,nuddu poti mi si rrassa.

Ccà si vai a cumandu,sensa mi si jetta u bandu.Avimu l’occhi perti,d’u putiri simu sperti.

E’ tuttu nu mangia, mangia,esti sicuru chi nenti cangia.U cambiu esti i facciata,mai si finisci stà mangiata.

Cussì risati si fannu,populu fissa a ttia u dannu.Nt’e ritratti c’a tavarca,firmati su, e i marca.

Cu nesci c’a menza risa,tantu nenti nci pisa.Nci su i pittinati frischi,cuccù ti mbrischi.

Cu pari chi ti ciangi,paru e sparu non ti cangi.Cu ridi tuttu scialatu,d’accordu c’u cumparatu.

Carcunu forsi si sarba,e u voti si ti garba.I na parti o i ll’atra,m’esti genti pulita, no latra.

Orchisimia

Dai profumo al fioreFratello, fratello, qualunque cosa accadaprima di tuffarti nella mischia inconsapevolecerca il Cristo islamico nei volti.Ricorda gli occhi veri del dolore, il tuopiantoavvolto nel viso specchiato, ricordaquel ragazzo dilaniato nel delirio meridiano...Ricorda sempre, o fratello, queste parole:dai profumo al fiore che ancora s‘apre per tenel vento violaceo d’esilio;dai profumo al fiore nell’anima brevedi quel ragazzo irrealeche stampava lembi di cielo nella tua bocca.

Sesto Benedettopo

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Anno VI - n. 20 - Gennaio/Aprile 2010 23LettereMeridiane

Omaggio a Sebastiano Di MarcoAl Cilea due giorni per ricordare l’operatore culturale reggino scomparso venti anni fa

Posso dire che, nel bene e nel male,ma sempre sostenendociò che sembrava giusto, abbiamolavorato, studiato,discusso, lottato, perso, vinto, sba-gliato, inciso, insommavissuto; che abbiamo sempre cerca-to di capire perchéabbiamo perso e come e dove ab-biamo sbagliato, e chel’avere avuto molte volte ragione el’aver a volte vinto nonè mai stato accompagnato da trion-falismo e dal disprezzo.E che su questa strada vogliamocontinuare.

Sebastiano Di Marco

Sebastiano Di Marco è stata una figura dif-ficile da dimenticare per Reggio Calabria.Docente di inglese, impegnato in politicanegli anni “caldi” 60-80, appassionato dicinema e animatore culturale, la sua pre-

senza ha segnato la vita della città e di tan-ti che l’hanno conosciuto.Fondatore nel 1968 del Circolo del Cine-ma “Charlie Chaplin”, che ha diretto pervent’anni, a lui si devono le proficue colla-borazioni con associazioni, enti ed istitu-zioni culturali nazionali ed internazionalidi cui il circolo e la città godettero in que-gli anni. Divenne anche vicepresidente perdiversi anni della F.I.C.C. - FederazioneItaliana Circoli del Cinema, rappresentan-te nazionale della I.F.F.S. - Federazione In-ternazionale dei Circoli del Cinema e rap-presentante nazionale al primo Festival In-ternazionale dei Circoli del Cinema. Fine intellettuale, scrittore, poeta, Seba-stiano aveva doti umane eccezionali, edera anche un organizzatore nato, trascina-tore, coinvolgente, pieno di entusiasmo.Per la sua casa transitavano registi, scritto-ri, rifugiati politici, studenti provenienti datutto il mondo. Un male incurabile l’haportato via troppo presto, nel 1988, a solicinquantanni. Dopo la sua scomparsa, lasua eredità culturale è stata raccolta dalCircolo “Charlie Chaplin” e dal Circolo“Cesare Zavattini” e alla sua memoria è in-titolata una sezione del Festival Internazio-nale dei Circoli del Cinema della F.I.C.C.A distanza di più di venti anni dalla suamorte, si è voluto omaggiare la sua figuracon un evento speciale. Il Comitato Pro-motore “1988-2008. Iniziative Culturali suSebastiano Di Marco”, costituito dalla Fa-miglia Di Marco, dal Circolo del Cinema“Charlie Chaplin”, dal Circolo del Cinema“Cesare Zavattini, dalla F.I.C.C. e dallaCittà del Sole Edizioni, ha così organizza-to due serate interamente dedicate a lui, ri-sultato di una fitta e difficile preparazione

durata più di due anni.L’evento si è svolto il 19 e 20 marzo pres-so il Teatro “Francesco Cilea” di ReggioCalabria. Venerdì è stato il momento del ri-cordo personale con la proiezione del do-cumentario “Quello che resta…” del regi-sta Dario Liotta, che trae il titolo dalla suaraccolta di poesie pubblicata postuma; unricordo intenso, non agiografico, dove ilregista ha cercato di rintracciare le istanzeprofonde che hanno animato un uomo cheha inciso profondamente nella formazionedi tanti reggini, che per l’occasione si sonoritrovati.La seconda serata è stata dedicata allospettacolo; perché Sebastiano Di Marco èstato anche scrittore e poeta. La lettura deibrani scelti dalle sue opere è stata curata daDaniela Pellicanò, accompagnata da Giam-piero Locatelli al pianoforte. Subito dopo lamessa in scena del suo testo teatrale “LSD”,a cura di SpazioTeatro, con l’adattamento ela regia di Gaetano Tramontana. Uno spet-tacolo strepitoso, pieno di brio ed umori-smo, una lieve presa in giro del mondo del-la scuola, dove Di Marco operava. Contemporaneamente all’interno del Tea-tro è stato possibile ammirare la mostra acura di Reno Ammendolea, “Con lo sguar-do di Sebastiano” che raccoglie una partedelle sue fotografie.Tra gli obiettivi del Comitato, anche lapossibilità di ricordare e apprezzare l’ope-ra letteraria di Sebastiano di Marco anchein futuro. Per questo motivo si è volutopromuovere, in collaborazione con la casaeditrice Città del Sole Edizioni, il volumeOpere, che raccoglie tutti i suoi testi, editie inediti, insieme al dvd del documentariodi Dario Liotta.

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Il teatro dell’identità di Ninello NerpaLa presentazione della raccolta di commedie occasione per parlare del nuovo teatro calabreseIl teatro contemporaneo calabrese vive oggi unainedita fioritura grazie alla nascita e all’affer-mazione di nuove compagnie e attori capaci diportare avanti progetti interessanti. In particola-re la città di Reggio sta esprimendo in questi ul-timi anni una vitalità inaspettata, dopo un perio-do di lungo silenzio. Bisogna infatti risalire allafine degli anni ’60 e ai primissimi anni ’70 perritrovare un impegno teatrale giovanile altret-tanto intenso, scomparso poi molto velocemen-te. Testimone di quegli anni è un autore regginodi graffianti commedie di carattere politico esociale, che oggi sceglie di firmarsi con lo pseu-donimo di Ninello Nerpa nel volume che le rac-coglie, insieme ad altre più recenti, dal titolo “Ilteatro dell’identità”, pubblicato da Città del So-le Edizioni.Rinunciando a comparire ufficialmente, NinelloNerpa sceglie una maniera molto teatrale di pre-sentare il proprio lavoro. In una serata organiz-zata dalla casa editrice e dall’emittente televisi-va RTV, ha invitato proprio i giovani o menogiovani protagonisti del teatro reggino a intervenire alla tavola rotonda “Le nuoveforme del teatro, oggi”, riservandosi solo un breve intervento “via satellite”. L’evento si è svolto il 25 marzo presso il Teatro sullo Stretto di Campo Calabro del-la stessa televisione reggina e ha visto la partecipazione di Maria Milasi, di Offici-ne Joniche delle Arti, Gaetano Tramontana, di SpazioTeatro, Salvatore Neri e Ra-chele Ammendola, Massimo Barilla, dei Mana Chuma, Cinzia Messina, Paolo Vi-lasi, di Teatro Athena, Basilio Musolino, di Experimenta, il ballerino Paolo Man-giola e il sassofonista Carmelo Coglitore. Uomini e donne provenienti dai diversi rami del mondo dello spettacolo che hannoparlato delle opportunità e delle difficoltà di fare teatro nella nostra regione. In Ca-labria luci e ombre accompagnano le attività del settore, con i seri problemi dovu-ti a una legge regionale in materia che non appare adeguata e al passo con le evo-luzioni dei tempi e con le rinnovate esigenze di un mondo che è divenuto in questiultimi tempi molto variegato, come ha sottolineato Oreste Arconte, membro dellacommissione regionale della Calabria per il teatro. La serata è stata animata anche da alcune brevi performance, tratte dai testi di Ner-pa, a cura di Maria Milasi, Rachele Ammendola, Gaetano Tramontana e SalvatoreNeri. Il contrasto tra finzione e realtà, in teatro e in tv, la lotta dei personaggi-uo-mini per emergere e non essere più marionette in mano a “pupari”, la difficoltà ditrovare lavoro nel sud resa con grande ironia, sono i temi dei brani rappresentati:una teoria di personaggi che hanno perso il loro autore, Nerpa, emigrato negli anni’70, come ci racconta nel suo collegamento telefonico, sul lago Bajkal per una ra-ra forma di “allergia”, che ha quasi del tutto dimenticato l’Italia, Reggio e le loroprofonde contraddizioni.

La casa editrice Città del Sole,in collaborazione con l’Asso-ciazione Auser di Taurianova,ha organizzato, lo scorso dicem-bre, un incontro dal titolo “Ilviaggio delle parole”. L’evento,svoltosi nei locali dell’Associa-zione taurianovese, è stato coor-dinato da Antonella Cuzzocreache, dopo il saluto della presi-dente Auser Maria Rosa Ro-meo, ha illustrato i momenti incui si è articolato il reading dibrani tratti da tre libri editi daCittà del Sole: Rotte Mediterra-nee di Francesco Idotta, Letteredalla Calabria di Ida Nucera eIl pacchetto rosso di Federica Legato. Libri che, pur trattando argomenti diversi, sono uni-ti da un unico filo rosso che è appunto il viaggio.I brani, letti dalla viva voce degli autori, sono stati accompagnati dall’intervento musicaledel maestro Davide Mangano che ha eseguito brani di musica classica per chitarra. Il viaggio è cominciato con il libro di Francesco Idotta e, dunque, con il viaggio fisico,quello vero e proprio, per poi passare al viaggio inteso come viaggio spirituale, quello del-la fede che è perfettamente descritto dalle parole di padre Giancarlo Bregantini, ex vesco-vo di Locri, che, attraverso la voce di Ida Nucera, ha invitato il popolo calabrese a coltiva-re la speranza, la vera speranza, quella che solo la fede è capace di fortificare. Infine, le pa-role tratte dal romanzo di Federica Legato hanno rappresentato il viaggio interiore, intesoqui come abbandono all’amore.Tutte le letture sono state arricchite e esplicitate dalla proiezione di suggestivi video, checon immagini e musiche – dal canto della Carmelitane alle canzoni di Conte e De Andrè –hanno richiamato il senso delle parole dei tre autori.A suggello dell’incontro, l’attrice Cinzia Messina si è prestata alla lettura-recitata di trepoesie di Alda Merini. Un omaggio alla grande poetessa, da poco scomparsa, che con le sueparole ha rappresentato una delle voci più importanti e più alte delle cultura italiana.

Il viaggio delle parole Auser - Taurianova

Il viaggio delle parole all’Auser di Taurianova

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Anno VI - n. 20 - Gennaio/Aprile 201024 LettereMeridiane

L’AREA GRIGIAdove tutto è ’ndrangheta e niente è ’ndranghetadi Franco Musolino - Pasquale Romeopp. 84 - € 12,00Collana TraccePrefazione di Giuseppe Pignatone

La ’ndrangheta è un’entità autono-ma o fa invece parte di alcuni aspet-ti del modo di vivere calabrese e ciappartiene profondamente in alcuniaspetti culturali fondamentali? Èquesta la domanda cui tentano didare risposta il Prefetto Franco Mu-solino e lo psichiatra Pasquale Ro-meo, nel volume L’area grigia. Do-ve tutto è ’ndrangheta e niente è’ndrangheta. Il volume alterna le domande di unindefinito intervistatore alle risposteprecise e circostanziate di un uomoche fa parte del Sistema-Stato, l’ex-prefetto di Reggio Calabria (ora aGenova) Musolino, e lo psichiatra ecriminologo Romeo, da anni attentoosservatore della società calabrese.Un’intervista a due voci, un dialogofitto, serrato, spesso difficile, chetenta di spiegare in cosa può consi-stere la ’ndrangheta, non tanto comeorganizzazione criminale che si in-staura in un territorio e lo tiene sottoscacco, ma come emanazione di de-

terminate dinamiche culturali e so-ciali che fanno parte integrante deltessuto civile calabrese e, come tali,diventano estremamente complesseda riconoscere ed estirpare. Come sottolinea l’autore della pre-fazione, Giuseppe Pignatone, Procu-ratore della Repubblica di ReggioCalabria, il libro offre all’attenzionedel lettore molteplici temi, tuttiugualmente utili ed interessanti al fi-ne di comporre un quadro che si pre-senta molto desolante, ma vero: levicende storiche che hanno favoritola nascita di un sentimento anti-sta-tale si accompagnano ad alcune ca-ratteristiche della società calabrese,e in generale delle regioni meridio-nali. La tendenza al fatalismo, lamancanza di volontà di cambiamen-to, l’individualismo esasperato e il“ruolo coercitivo” della famiglia siinnestano in un clima di legalità de-bole, tessuto sulla cultura del “favo-re” e caratterizzato da una cattivacomunicazione Istituzioni-cittadini.

Il calabrese “aspetta”, non reclama isuoi diritti, non pretende dalle Istitu-zioni una buona amministrazione,salvo poi lamentarsi delle disfunzio-ni in modo sterile. Da qui nasce la cosiddetta “area gri-gia”, la nebulosa caligine che avvol-ge una società che non è in grado diguardare in faccia il proprio nemico,il muro di gomma permeabile allepiù diverse sollecitazioni, nella qua-le il cittadino nella sua individualitàaffonda e il sistema della società ci-vile e delle Istituzioni si disperde. Èquesto il messaggio che il volumeesplicita, raccogliendo il grido di al-larme di quanti combattono la guer-ra quotidiana contro la delinquenza,il malaffare e la corruzione, cheemerge ogni giorno dalle cronachegiudiziarie locali e nazionali. E l’accusa che il volume lancia a tut-ti è chiara: «La ’ndrangheta è un cla-moroso alibi per coprire un colpevo-le disimpegno civile».

La ’ndrangheta come alibiLa critica analisi della società calabrese del Prefetto Musolino e dello psichiatra Romeo

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Vite nel ghettoIl tragico racconto del sobborgoreggino di ArghillàIL TACCO DI DIOArghillà e la politica dei ghettidi Katia Colicapp. 128 - € 14,00Collana Lettera trentadue

Esistono luoghi che sono stati tradi-ti. Ai margini delle nostre città quie-te e soddisfatte, vivono quartieri di-menticati. Adagiate in un abbando-no dolente e silenzioso, intere aree ei loro sfortunati abitanti si accon-tentano di sopravvivere in una quo-tidiana lotta per non soccombere,lontani dagli occhi distratti dellamaggioranza. Luoghi come lo Zen di Palermo, le Vele di Scampia aNapoli, Librino di Catania. Luoghi come Arghillà di Reggio Cala-bria, ennesimo quartiere senza identità, la cui bellezza paesaggisticafa a pugni con il degrado urbano e sociale che l’affligge. A raccontare queste esistenze ai margini è Katia Colica, architetto egiornalista, con il suo libro Il tacco di Dio è penetrata nel cuore delsobborgo reggino, accostandosi ai racconti di vite piegate, senza spe-ranza e futuro. Ad Arghillà è facile incontrare bande di ragazzini che dalla stradahanno imparato a crescere in fretta, prostitute bambine che escono alcalare della sera, quando chi può si confina in casa, Qui vivono abu-sivi, immigrati, poveri, qui la prostituzione, lo spaccio, la miseria so-no all’ordine del giorno. Questo è il quartiere dei Rom, confinati nel-la collina a nord della città in nome della “delocalizzazione”, e dellefamiglie più povere che hanno occupato case di edilizia popolare,malsane e ai limiti della invivibilità. Un reportage duro, che raccoglie un grido di rabbia e di amarezza, edi questo si fa eco in una narrazione che è insieme documento e poe-sia, ha la forza delle immagini proposte senza veli e la voce di colo-ro che hanno prestato la propria storia affinché potesse essere ascol-tata dagli “altri”.«Noi siamo il tacco di Dio e tutto ci è vietato», dice una vecchia ama-reggiata alla fermata di un autobus che non passa quasi mai, e il suosfogo è quello di tutte le donne intervistate nel libro, perché, comesempre, a pagare il prezzo più alto di sofferenza e disagio è propriola popolazione femminile, che vede consumare i destini dei propri fi-gli negli stessi meandri in cui si sono spenti i propri.

Il saggio sulla mafia di Sharo GambinoLA MAFIA IN CALABRIAdi Sharo Gambinopp. 336 - € 16,00Collana TraccePrefazione di Paolo Pollichieni

Quando, nel 1969, le forze del-l’ordine interruppero un summitmafioso a Montalto, in Aspro-monte, Sharo Gambino intuì chela vecchia mafia contadina cala-brese stava per mutare pelle ecompiere un salto di qualità. Nacque così La mafia in Cala-bria, primo saggio sull’argomento in Italia, pubblicato nel 1975e per il quale vinse l’anno successivo il Premio Sila, conferitoda una giuria presieduta da Carlo Bo. Nel volume venne rico-struita l’evoluzione del fenomeno, il suo percorso storico, ladifferenza tra mafia siciliana e ’ndrangheta calabrese, i primi ti-midi e fallimentari tentativi da parte dello stato di fronteggiarela sua ascesa, e l’escalation che negli anni ‘70 aveva portato aldilagare dell’odioso crimine dei sequestri.Gambino dedicò poi al tema della criminalità anche Mafia lalunga notte della Calabria e ‘Ndranghita dossier, cui hannofatto seguito un’intervista per la BBC ed un ciclo di conferenzein Svizzera. Non smise mai di occuparsi di mafia in tutta la sualunga attività giornalistica, dimostrando profonda conoscenza delfenomeno, acutezza di analisi e un forte impegno civile, come te-stimonia nella sua prefazione il giornalista Paolo Pollichieni chescrive: «Molti impiegarono lustri e lustri prima di capire l’evolu-zione del pianeta ’ndrangheta ma non Sharo Gambino: per primocapì che quel summit tenuto in Montalto nell’ottobre del 1969avrebbe cambiato il corso delle cose. Lo capì, lo scrisse e lospiegò. Trent’anni dopo, la ricostruzione di quella prima guerra dimafia contenuta nell’inchiesta “Olimpia” gli darà ragione. AMontalto naufragò l’ultimo strenuo tentativo della vecchia “ono-rata società” di far fronte comune contro “le nuove leve” ». La presente edizione è arricchita dalla riproduzione anastaticadella deposizione rilasciata nel 1955 da Serafino Castagna, pri-mo pentito di ’ndrangheta, dove descrisse tutto l’esoterico ceri-moniale ’ndranghetista, meglio noto come “codice della mafia”.

Processo a SinistraIl j’accuse di Ubaldo Schifino

UN PARTITO SENZA SE STESSO di Ubaldo Schifino pp. 168 € 10,00

Un pamphlet attua-lissimo sulla “di-savventura eletto-rale” del Centrosi-nistra e soprattuttodella Sinistra inquella che è statauna delle sue roc-caforti, Crotone, la“Stalingrado” pereccellenza della Calabria. A condurre l’analisi èUbaldo Schifino nel suo doppio ruolo di protagoni-sta e antagonista: alle elezioni per la Presidenza del-la Provincia, il Centrosinistra si divide e presenta,infatti, cinque candidati e - si sa - tra cinque litigan-ti, il sesto, Stanislao Zurlo, candidato del Centrode-stra, la spunta. Dalla profonda denuncia civile e politica di Schi-fino emerge anche e soprattutto l’ambiguo ruolosvolto da importanti personaggi della vita politicaprovinciale e regionale: da Sergio Iritale, a EnzoSculco, a tanti altri ancora. E anche l’inadeguatez-za di una certa, troppa, parte della dirigenza del Pdlocale e nazionale. Sullo sfondo: una città lacera-ta dalla politica ma soprattutto dalla malapolitica,che l’ha resa “cimitero di veleni” e territorio “pri-vilegiato” di forze affaristiche e speculative. In primo piano invece risale l’analisi approfonditadelle contraddizioni interne al Partito democraticolocale e nazionale, e la speranza di una rinascitasotto la guida del nuovo segretario nazionale, PierLuigi Bersani. Altri spunti sono offerti dagli appa-rati del testo: la Prefazione dello storico FulvioMazza, l’Introduzione della giornalista RossanaCaccavo e l’Intervento del Vicepresidente vicariodel Parlamento Europeo On. Gianni Pittella.

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Anno VI - n. 20 - Gennaio/Aprile 2010 25LettereMeridiane

Nadia Crucitti torna in libreria con Berlino 1940 La convocazioneLa storia vera del regista tedesco Veit Harlan e del più famoso film antisemita Jud Suss

BERLINO 1940La convocazionedi Nadia Crucittipp. 256 - € 14,00Collana Raggi

Nadia Crucitti, autrice reggi-na divenuta famosa con il ro-manzo Casa Valpatri pubbli-cato da Mondadori nel 1996,torna in libreria, questa voltacon una casa editrice calabre-se, con Berlino 1940 La con-vocazione. La storia vera delregista tedesco Veit Harlan edel più famoso film antisemi-ta JUD SÜSS: ,considerato ilcapitolo più infame della ci-nematografia tedesca, è ilfilm che più di tutti ha rap-

presentato e diffuso la propa-ganda antisemita del regimenazista, definito dal giovaneMichelangelo Antonioni “po-tente, incisivo, efficacissimo,ripreso in maniera impecca-bile, fin troppo”. All’ascesa di Hitler, molti de-gli artisti che vivevano inGermania emigrano perchéebrei, altri vanno via per ri-fiuto della dittatura. L’attoreVeit Harlan rimane perché lanuova ideologia gli piace,perché ammira la sontuositàscenografica delle adunatenaziste, e soprattutto perchésta per raggiungere il suo ve-ro obiettivo, la regia cinema-tografica. E resta anche perché crede

che l’artista possa creare ri-manendo estraneo al suotempo, senza subire condi-zionamenti politici e pesanticompromessi.Vanesio e superficiale, arrivi-sta e amante delle belle don-ne, Harlan non è antisemitama, divenuto ormai famosograzie ai suoi rapporti con ilpotere, pagherà la sua scelta:Goebbels, Ministro dellaPropaganda nazista, lo obbli-gherà a girare nel 1940, inpieno conflitto bellico, JudSüss, il film assurto a simbo-lo dell’antisemitismo, vero eproprio strumento di propa-ganda della persecuzionecontro gli ebrei. Questo romanzo racconta la

storia di un uomo e di una na-zione che preferirono, davan-ti all’instaurarsi di una ditta-tura che aveva già in sé i ger-mi del sistema criminale, nonvedere e non sentire, metten-do a tacere la propria co-scienza ed evitando di sce-gliere. Ed è al contempo unbellissimo affresco della sto-ria del cinema degli anni ’30e ’40, in un periodo nel qualela sua potenza artistica e co-municativa si andava impo-nendo agli intellettuali e allemasse. Con questo volume si inaugu-ra la nuova collana di narrati-va della Città del Sole Edizio-ni, Raggi, di cui è direttriceproprio Nadia Crucitti.

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IL FIGLIO DELLA VIPERA di Angelina Brasacchio pp. 104 - € 10,00 - Collana La vita narrata

Anni Sessanta a Petelia, piccolo centro situato nei pressi della Valle del Ne-to, in Calabria. Il paese, come tanti altri dell’epoca, è una realtà prevalente-mente rurale, caratterizzata dalla contrapposizione tra le esigenze dei padro-ni e i disagi dei contadini. In questo scenario nasce la storia d’amore tra Cla-ra, figlia del notaio Bellomo - una delle famiglie più potenti del luogo - e Lu-cio, figlio di contadini, ma poco incline al lavoro manuale. Lucio con il matrimonio diviene erede dei terreni del suocero, compiendo lasua personale scalata sociale. Ma l’arrampicatore resta vittima della sua stes-sa ambizione, quando è costretto a venire a patti con Petruzzo, uomo prepo-tente, cinico ed emarginato, il “figlio della vipera”, pericoloso ed insidioso come il rettile che, si dice,l’abbia nutrito da piccolo. Una vicenda tutta calabrese, ambientata nella realtà contadina del crotone-se, negli anni in cui i cambiamenti sociali si facevano più forti e i contrasti più evidenti. Un viaggionelle radici della Calabria, alla scoperta di quei “caratteri” che ne hanno condizionato la storia.

IL CREPUSCOLO DEGLI DEIdi Fabrizio Arnòpp. 264 - € 14,00 - Collana La vita narrata

Una raccolta di racconti sorprendente per la forza di uno stile che ha comepunto di riferimento la narrativa americana. Fabrizio Arnò coglie nel segnocon la sua prima pubblicazione, secondo quanto ne scrive il prof. Aldo Ma-ria Morace nella sua prefazione: «Le radici di queste narrazioni tanto piùumane quanto più crudeli sono nella lezione della beat generation; e non acaso Ginsberg, Kerouac, Borroughs e Bukowski appaiono come personaggi“risuscitati” dalla scrittura nel racconto eponimo, Il crepuscolo degli dei, econsegnati ad una sopravvivenza ancipite, che diviene interrogazione impla-cabile sul nesso tra vita e arte: una sorta di omaggio diegetico ai maestri d’e-lezione, in particolare a Bukowski ed allo splendore spietato del suo stile, al-

la focalizzazione brutale - e vetrina nella sua intransigente durezza - di un mondo in cui sembra esserestata uccisa la pietà. Arnò compie senza ambagi la sua discesa negli inferi; e vince la sua scommessanarrativa in virtù di una lingua modernissima, feroce e pietosa nella mimesi della violenza, speculareal mondo che ritrae, e spinosa anche quando sembra stemperarsi nell’ironia».

CONCERTO A BERLINO di Francesca Viscone pp. 118 - € 10,00 - Collana La vita narrata

«Qui sono straniera. Mi piace sapere che da qualche parte la gente è felice.Adoro la massa festante. E vedere le cupe uniformi dei Vopos girare per stra-da impacciate e non più minacciose, mi piace. Mi piace la gente su quel mu-ro, le sue risate e il suo pianto... ». Come binari paralleli scorrono le vite diPiera e di Christian, e mentre sembra che l’amore e i sogni possano vincere,il tempo veloce della Storia spazza via tutto ciò che incontra. A questa dupli-ce corsa, verso la memoria del passato e l’ansia del futuro si contrappone “ilnon tempo della Calabria”: un incantesimo avvolgente, un’eco insistente an-che dentro le vicende dell’Europa, come scrive Luigi Bianco, con «quel suo-no di nenia», che «arriva dalle antiche frasi in dialetto, quel vivere, non vivere e fuggire e ritornare,quell’illusione di felicità che ti porta l’infanzia delle fiabe». Storia d’amore, di amicizia e attraversa-menti, Concerto a Berlino è “una carezza poetica”, ma anche un racconto duro, che nulla al concedeallo stereotipo del Sud bello e solare e a quello del crollo del muro come festa infinita.

IL ROSPO NEL POZZOdi Giulia Di Marcopp.120 - € 10,00Collana La bottega dell’inutile

Quello che colpisce di questo volumetto, lindo nellasua veste tipografica, è la levità narrativa con un lin-guaggio fresco moderno e nel contempo concreto nelnarrare i fatti. Il titolo originale ed ironico Il rospo nelpozzo che l’autrice sapientemente spiega offre la mi-sura del suo pensiero sull’essere umano assetato di co-noscenza («Fatti non foste a viver come bruti/ ma perseguir virtute e conoscenza», dice Dante) avvaloratodalle due citazioni di Bacon e Einstein in esergo. La materia che dà forma agli argomenti è molto variama sempre viva e solare. Motivo centrale del lungo racconto è il viaggio in luo-ghi fascinosi che suscitano un pletora di emozioni nella esplosione di coloriprofumi sapori e generano nell’autrice sensazioni mai prima provate. Il viaggiorappresenta la metafora della propria esistenza nel ritrovare in sé la forza delcambiamento, nell’auscultarsi, nel seguire un nuovo iter esistenziale. È naviga-zione interiore e questo aspetto richiama alla mente Il battello ebbro di Rim-baud. «Il mondo è un grande libro» affermava sant’Agostino per conoscerlo bi-sogna leggerne le pagine, nutrirsi quindi di sapere attraverso il contatto direttocon le persone. Le tappe del viaggio di Giulia scandiscono pulsioni e sentimen-ti di fronte alle visioni che si squadernano davanti ai suoi occhi. La contempla-zione della natura diventa motivo di meraviglia e di incanto. Il testo analitico,quasi uno zibaldone di persone e cose, è colmo di idee, suggestioni, pensieri,descrizioni che convogliano pathos e realtà coinvolgendo emotivamente il frui-tore-lettore. La musicalità raffinata dei versi è senza dubbio poesia in prosa, l’e-leganza discorsiva e la scrittura chiara rendono il racconto gradevole e induco-no alla lettura.

Francesco Dell’Apa

NON SI CANTANO PIÙ MESSEdi Paola Laganàpp. 208 - € 14,00Collana La vita narrata

L’espressione “non si cantano più messe” appartienea una tradizione e a un linguaggio antico ed assumediversi significati a secondo delle situazioni a cui siriferisce. Nel testo essa avrà una doppia valenza.Matteo è un giovane di bell’aspetto e belle speranzeche vorrebbe fare il cantante di professione, stufo diesibirsi solo nelle feste di paese o nelle messe di fu-nerali o matrimoni. La Svizzera sembra la rispostaai suoi sogni e, accompagnato da una lettera di presentazione scritta dal sinda-co in persona, emigra. Sprovveduto e ingenuo, si ritrova subito coinvolto in unmondo nuovo, luccicante, pieno di promesse, ma estremamente pericoloso. Unambiente dal quale non ci si tira fuori facilmente se non a costo di rimetterci lavita. La coraggiosa scelta di Matteo lo fa diventare una persona indegna di fi-ducia, un traditore, una persona di nessun valore, per la quale non si deve per-dere tempo, né, appunto, cantare più messe. L’esordio narrativo di una promet-tente autrice che sa mescolare in un giusto equilibrio registri drammatici e leg-geri. Paola Laganà è reggina di nascita, ma vive da diversi anni a Milano.

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DALL’ETR 200 AL FRECCIAROSSA di Vincenzo Foti pp. 112 - € 15,00

«Come ha ricordato anche Paolo Rumiznel suo libro “L’Italia in seconda classe”,“il treno, non l’aereo ha fatto l’Italia”.Cogliendo con acutezza il particolaremomento di rilancio che vive oggi il tra-sporto ferroviario, Vincenzo Foti offre inquesto libro una prospettiva di approfon-dimento storico orientata all’evoluzione dei treni che, a parti-re dagli anni Trenta del Novecento, hanno via via accorciato ledistanze in Italia, facendo annotare record di velocità, innova-zioni tecniche, crescita industriale, di lavoro, e di evoluzionedel comfort di viaggio». Così scrive Roberto Scanarotti, diret-tore di Fsnews, nella prefazione al volume in cui viene tratteg-giata una vera e propria storia dei treni ad alta velocità in Ita-lia. Il libro si chiude con una postfazione di Antonio Cianciul-lo, giornalista de La Repubblica, ed è corredato da una riccadocumentazione iconografica.

LE VILLE LIBERTYDI PELLARO a cura di Giovanni Marcianò pp. 112

“L’urbanistica entranella scuola” per rac-contare e diffonderel’evoluzione urbana,ma anche per creare spunti di approfondimento sul “senso” diuna città, di un quartiere o di un percorso nella storia locale. Ilpercorso ha visto protagonisti gli studenti delle scuole calabre-si, in particolare quelli della scuola media “Don Bosco” diPellaro, che hanno condotto uno studio artistico-tecnico e cul-turale per recuperare la memoria e valorizzare il loro territo-rio; in particolare ci si è soffermati sulle ville in stile Liberty,edificate negli anni della ricostruzione della Grande Reggio,quando il borgo cessò di essere comune autonomo e il RegioDecreto del 7 luglio del 1927 ne stabilì l’aggregazione, insie-me ad altri tredici comuni. Gli edifici gentilizi, sorti dopo la devastazione del terremotonel 1908, sono esempi di quel movimento artistico che carat-terizzò i primi decenni del novecento e le cui tracce sono evi-denti proprio nelle decorazioni dei pavimenti, delle facciate,nei mosaici, nella lavorazione del ferro e nell’illuminazionidelle abitazioni reggine.

Anno VI - n. 20 - Gennaio/Aprile 201026 LettereMeridiane

TOTÒ ED IOdue pellegrini dell’Area Interrottadello Strettodi Corrado Rindone e Antonino Vitettapp. 150 - € 12,50

Nell’area dello Stretto diMessina vivono Totò edIo, due personaggi, duecittadini, due viandanti,due pellegrini. Si muovono tra le due

sponde con tutte le diffi-coltà logistiche ben note,effetto delle scelte tecni-che e politiche operate sulterritorio. Il racconto tragicomicodelle loro avventure è untentativo di sintetizzare esdrammatizzare i reali di-sagi che i comuni cittadinicalabresi e siciliani subi-scono nei loro spostamen-ti, in quella che tutti rico-noscono come “l’Areamai Integrata dello Stret-to”. Nati dalla fantasia di due

ingegneri dei trasporti del-l’Università di Reggio Ca-labria, Corrado Rindone eAntonino Vitetta, che permesi hanno tenuto un’iro-nica rubrica sul quotidianoon line Strill.it, Totò ed Iodiventano ora un libro.Tra i due “reggini” imma-ginari si instaura un fittodialogo; si pongono do-mande, cercano risposte,osservano situazioni quo-tidiane della città, in un to-no ora pungente ora rasse-gnato, concedendosi qual-che chicca qua e là; una

poesia di Nicola Giunta, lacitazione di famose canzo-ni popolari e brani che rac-contano un modo di esseredella popolazione reggina,rassegnata a subire le stor-ture del sistema.Il libro vuole in modo ori-ginale e “leggero” affron-tare annosi problemi rela-tivi ai trasporti e alla via-bilità di un territorio che sivorrebbe evoluto ad “AreaMetropolitana”, ma che,come recita il titolo, puòsolo ancora definirsi “in-terrotta”.

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L’Area Interrotta dello Stretto nelle avventure tragicomiche di Totò ed Io

METROPOLITANA DEL MARE di Beniamino Cordovapp. 152 - € 12,00

Questo volume inaugura la nuova collana “Magistralis” diretta dalProf. Costa, preside del Corso di Laurea in Urbanistica dell’Unive-ristà Mediterranea di Reggio Calabria, dedicata ai temi dell’urba-nistica e del territorio. In particolare lo studio affronta il problemaprincipe dell’area dello Stretto di Messina, cioè il suo attraversa-mento. Da decenni, le due comunità coinvolte, calabrese e sicilia-na, e la Facoltà di Architettura di Reggio Calabria in particolare, siinterrogano sulle possibilità di unire le due coste. Non solo il famigerato “ponte”, ma levarianti del trasporto metropolitano sono le alternative prese in esame dalla comunitàscientifica e dal potere politico. A questo dibattito l’autore dà un valido contributo, nelsenso dell’analisi della realtà attuale e delle alternative da porre in essere. Con la prefazione del Prof. Enrico Costa e del Sindaco di Reggio Calabria, GiuseppeScopelliti.

SICUREZZA E TERRITORIOdi Federico Curatola pp. 144 - € 12,00

La ricerca portata avanti in questo volume affronta un tema crucia-le, destinato a montare nell’interesse, e nella preoccupazione del-l’opinione pubblica: la sicurezza del territorio.Un tema non sufficientemente all’attenzione e all’azione concretadella classe politica. La particolare morfologia della Calabria, dove rilievi montagnosi ecollinari scendono a picco sul mare, incisi da numerosi corsi d’ac-qua, rende difficile la messa in sicurezza di aree devastate dalla cementificazione selvag-gia e dall’abusivismo edilizi. Ogni anno eventi naturali causano gravi danni che assumo-no proporzioni a volte tragiche. Quella proposta dell’autore è un’innovativa impostazio-ne che mira ad un’azione di prevenzione e governo del territorio in maniera risolutiva,nell’ottica di superamento della continua emergenza perché, come scrive “la pianifica-zione strategica incide sulla cultura di un territorio, prima ancora che sul suo ambientefisico”. Prefazione di Enrico Costa. Postfazione di Vincenzo Pizzonia, docente di Geo-logia applicata alla pianificazione, Università Mediterranea.

Magistralis

“Magistralis”, una definizione aulica per indicare valore scientifi-co, decoro e validità nel tempo delle monografie proposte da unanuova Collana diretta da Enrico Costa, preside del Corso di Lau-rea in Urbanistica della Facoltà di Architettura di Reggio Calabria.Due le serie di “Magistralis”: Urbanistica e Multidisciplinarietà.

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Anno VI - n. 20 - Gennaio/Aprile 2010 27LettereMeridiane

Il racconto per immagini di una città senza identitàNegli scatti degli studenti reggini una Reggio scossa da un terremoto lungo cent’anni

SPAESATA CITTÀ Daniele Colistra pp. 132 - € 15,00

Un terremoto lungo cent’annisembra avere scosso ReggioCalabria, dopo la devastazio-ne del sisma del 1908. Unacittà “infranta”, piegata, sov-vertita dal movimento telluri-co, che reca su di sé le tracceinfinite di una rovina checontinua e alimenta se stessa:non più a causa di catastrofinaturali però, ma per lo scri-teriato intervento umano. I luoghi dell’abbandono, del-l’incuria, del sovvertimentodelle regole sono immaginidi una città divisa, confusa,in perenne stato conflittualecon se stessa. Una città spae-sata, senza punti di riferi-mento e senza identità.

A distanza di cento anni dal terremotodel 1908, il lavoro di un gruppo di stu-denti della Facoltà di Architettura di

Reggio Calabria, coordinati dal pro-fessore Daniele Colistra, ha raccoltouna serie di istantanee del tessuto ur-bano reggino, nei luoghi dove più evi-denti sono le tracce di una mano uma-na che ha lasciato frammenti e rovine,come e più del sisma. Gli scatti rac-contano di un’eterna città cantiere, do-ve palazzi non finiti aggrediscono lecolline e il mare, le vie-mulattiere so-no spirali impazzite che si allargano esi allungano, espandendosi caotica-mente, ferendo un paesaggio che sipresenta estenuato e sconfitto.«L’idea che ha generato questo libro ènata quasi per caso, nell’aprile del2008, pensando al terremoto di cui adicembre avremmo celebrato il cente-nario - dichiara il curatore -.Pensavo alla distruzione, alle immagi-ni della città in macerie. Alla ricostru-zione, alla ripresa della vita ordinaria.Pensavo alle commemorazioni per il

centenario, ad alcune parole ricorrentie abusate: fato, città bella e gentile,tragedia, impeto della natura, ricostru-zione, resurrezione. Intuivo che si sa-rebbe parlato di tutto, tranne del fattoche, ancora oggi, un terremoto è in at-to. Dopo il 1908, Reggio ha subitoun’interminabile scossa di assesta-mento, lunga cento anni. Una scossache ha devastato il territorio e la città,l’ambiente e la mentalità della genteche vi abita».Le fotografie sono di: Erika Albanese– Marco Benincasa – Giorgio Canniz-zaro – Filippo Labate&Giuseppe Ro-meo – Elisa Morano – Elena Nicolò –Fulvio Orsenigo – Francesca Palmisa-no & Tany Vazzana – Vincenzo Pannia– Anna Panzera – Daniela Sidari – Do-menico Spataro.Daniele Colistra è professore associa-to di Disegno presso l’Università Me-diterranea di Reggio Calabria.

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UN PERSONAL TRAINER PER IL CORPO E L’ANIMA di Diego Provenzano pp.160 - € 12,00

Questa non è una guida specifica del fitness, con indicazioni prettamente tecni-che, con nuove rivelazioni e scoperte da applicare per l’esercizio del corpo. È una combinazione di suggerimenti pratici, frutto del vissuto dell’autore, del-le sue competenze professionali e del proprio metodo elaborato nell’arco dellasua attività, che diviene spunto di riflessioni ed esortazioni. Partendo dall’assunto fondamentale che il benessere della mente, del corpo edell’anima sono intimamente legati, il libro si sviluppa come una guida praticadi consigli semplici, non banali, che puntano a sollecitare i lettori a un correttostile di vita. In una società che impone determinati modelli corporei, è impor-tante che ognuno giunga alla piena accettazione di se stesso, nella consapevolezza della propria unicitàdi essere umano. Il complesso di scelte che sono alla base del benessere personale diventa condizionefondamentale per vivere intensamente la propria vita in armonia con se stessi e con gli altri, in una so-cietà sempre più gioiosa.

I PESCATORI REGGINI e altre storie di Paolo Neri pp. 104 - € 9,00

Una storia semplice, scritta con il cuore da un uomo che ama il mare, densa disentimenti autentici e genuini. Una storia antica, resa vigorosa dalla forza dei ri-cordi, dalle emozioni, dai personaggi che l’autore tratteggia nitidamente, dise-gnando un affresco palpitante di vita vissuta, addolcito dalla nostalgia e dal rim-pianto di quel tempo in cui “bastavano piccole irrisorie cose a fare sentire l’ani-mo soddisfatto”. Tra una “uscita di pesca”, il ricordo di uno scherzo tra amici,la passione per il calcio, si avvicendano «quasi scolpite nella mente – scrivel’autore – storie di uomini uniti in un sol palpito», una galleria di volti e carat-

teri che molto hanno influito nella formazione umana e spirituale dell’autore. Filo conduttore per buo-na parte del testo è il tema del mare, sul quale l’autore si sofferma più volte, sia negli aspetti della vitadella comunità dei pescatori e delle loro famiglie, che sul suo personale rapporto con esso. Paolo Neriè autore di numerose pubblicazioni e vanta una proficua attività giornalistica. Come scrittore e poeta haricevuto diversi riconoscimenti.

LUDOVICO di Paolo Praticòpp.168 - € 12,00 - Collana La vita narrata

L’orrore della seconda guerra mondiale, la lotta partigiana e il dopoguerra mi-tigato da una delicata storia d’amore, all’interno di un ampio arco temporale ric-co di avvenimenti. Sullo sfondo una complessa vicenda di speculazioni econo-miche, traffici internazionali non sempre trasparenti e deviazioni esoteriche,che coinvolge ambienti particolari, tra i quali la più alta nomenclatura vaticana. «Con sottile e misurata tessitura psicologica, - sostiene il critico Stefano Man-gione, nella prefazione, - l’autore stacca la vicenda privata dal territorio deglieventi nei quali i protagonisti operano e, nel contempo, non la rende avulsa poi-ché tessuto che, pur non modificando la natura del pensiero e del sentimento,tuttavia in qualche maniera ne scandiscono il ritmo, condizionano e delineano possibilità e campo diespressione». Paolo Praticò è psicologo e psicoteraupeta, ha vinto diversi concorsi letterari e ha al suoattivo numerose pubblicazioni, tra cui La chiave della vita, edito nel 2006 da Città del Sole Edizioni.

IL COMPLESSO DI COLLEGNO di Fortunato Aloi pp. 88 - € 10,00

La “vicenda” politica della DestraItaliana dal 1995 ad oggi, dalla svol-ta di Fiuggi alla realtà attuale, chevede Allenza Nazionale fondersi econfondersi con altre componentipolitiche all’interno del Popolo del-la Libertà, è in queste pagine analiz-zata attraverso una serie di scritti at-tinenti ad argomenti e temi legati aposizioni assunte dal Partito. Argomenti e temi, questo è il cri-terio della scelta, di contenuto socio-culturale e politico, da cuisi può desumere il tralignare dell’attuale Destra dalle sue sto-riche posizioni. Il discorso prende le mosse da alcuni punti fer-mi (rapporto con la storia, socialità, difesa dei valori etico-re-ligiosi, stato etico e stato laico), senza di che la Destra perse lasua identità, la sua ragione d’essere. Ed è questo il filo condut-tore lungo il quale si muove questo lavoro che mette a con-fronto le idee, i principi, i programmi di ieri con quanto sta ac-cadendo oggi nella politica nazionale di destra.

SUL CAMMINO INIZIATICO Percorrendo il sentiero di Daniele Zangari pp. 136 - € 12,00

L’autore ha raccolto in questo librouna serie di articoli apparsi su alcu-ne riviste di orientamento esotericoe iniziatico, oltre che di conversa-zioni tenute in cenacoli e circoliesoterici in un periodo abbastanzalungo. Questa raccolta rappresentauna sorta di continuità del volumeapparso nel 2007, Sulla via da seguire - Frammenti di unpercorso iniziatico (Città del Sole Edizioni) e comprendescritti prodotti nello stesso periodo dei precedenti, rappre-sentando quindi un completamento di quel percorso. Nel vo-lume sono evidenziati alcuni aspetti operativi del “camminoiniziatico”. Nella prima parte si è voluto dare uno spaziomaggiore alla ritualità e alla simbologia massonica, mentrenella seconda parte si è delineato il cammino iniziatico chesul piano della Prisca Sapienza ha un diritto di preminenzae che deve poter proseguire verso la sua completa realizza-zione. L’autore è studioso di esoterismo e simbologia dellaTradizione e ha pubblicato diversi saggi sull’argomento. Nel2008 ha ricevuto il Premio nazionale per la Saggistica “Gu-glielmo Calarco”.

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