Letteratura italiana B Introduzione al corso · 2020-04-21 · Bibliografia • Gli appunti del...
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Letteratura italiana B
Introduzione al corso
Prerequisiti
Gli studenti devono avere una sicura
conoscenza di base dei movimenti e degli
autori principali della Letteratura italiana dalle
Origini al Verismo. Gli studenti dovranno inoltre
dimostrare di saper fare l’analisi metrica,
retorica e tematica di una lirica scelta tra un
elenco di venti scaricabile dal sito del docente.
Elenco liriche per i Prerequisiti
• Testo di riferimento per l’analisi delle liriche
(reperibile presso la Biblioteca Umanistica di S.
Agostino): Cesare Segre e Clelia Martignoni,
Testi nella storia, Milano, Bruno Mondadori, 1992,
4 voll.
• Nell’elenco, dopo i titoli delle liriche vengono
indicate anche le pagine del testo di riferimento
dove trovarne l’analisi.
• Francesco d’Assisi, Laudes creaturarum (I, pp. 50-53)
• Guido Guinizzelli, Io vogl’ del ver la mia donna laudare
(I, pp. 208-209)
• Guido Cavalcanti, Chi è questa che vèn, ch’ogn’om la
mira (I, pp. 214-215)
• Cecco Angiolieri, S’i’ fossi foco, ardereï lo mondo (I, pp.
294-295)
• Dante Alighieri, Vita Nuova, cap. XL e sonetto Deh
peregrini che pensosi andate (I, pp. 448-450)
• Francesco Petrarca, Solo et pensoso i più deserti
campi (I, pp. 605-606)
• Ludovico Ariosto, Avventuroso carcere soave, (II, pp.
201-202)
• Torquato Tasso, Vecchio et alato dio, nato co’l sole, (II,
pp. 584-585)
• Giovan Battista Marino, Bella schiava (II, pp. 902-903)
• Giuseppe Parini, Il bisogno (II, pp. 1329-1334)
• Vittorio Alfieri, Tacito orror di solitaria selva (II, pp. 1410-
1411)
• Ugo Foscolo, Alla sera (III, pp. 198-200)
• Alessandro Manzoni, Marzo 1821 (III, pp. 441-447)
• Giacomo Leopardi, Alla luna (III, pp. 585-587)
• Emilio Praga, Vendetta postuma (III, pp. 1204-1206)
Obiettivi formativi
• Il corso si propone di approfondire le conoscenze
richieste nei Prerequisiti attraverso un percorso che
affronterà lo studio di alcuni movimenti letterari e
autori specifici.
• Questo consentirà agli studenti non solo di fissare i
momenti salienti della storia letteraria italiana dei
periodi presi in considerazione, ma anche di
ripercorrere le biografie e le opere dei maggiori autori
che li hanno caratterizzati e, in particolare, di
applicarsi alla lettura e di esercitarsi nell’esegesi dei
testi proposti.
• Con ciò gli studenti acquisiranno quegli strumenti di
contestualizzazione e di analisi critica imprescindibili
nello studio della letteratura in generale.
Contenuto del modulo B1
Ugo Foscolo. Dopo un excursus sugli elementi
caratterizzanti la cultura e l’arte italiana ed
europea tra Sette e Ottocento, e in particolare
sui concetti di classicismo e neoclassicismo, il
corso si concentrerà sulla vicenda artistica e
sulle opere di Ugo Foscolo.
Contenuto del modulo B2
Dal decadentismo al modernismo. Il corso
prenderà in esame gli aspetti principali della
crisi tardo ottocentesca e primo novecentesca
analizzando testi di Pascoli, d’Annunzio, Svevo
e Pirandello.
Bibliografia• Gli appunti del corso sono parte integrante del
programma. L’esame orale verterà sugli argomenti e sui
testi trattati durante le lezioni.
• Manuale consigliato per la verifica scritta sui Prerequisiti:
1. Alberto Casadei e Marco Santagata, Manuale di
letteratura italiana medievale e moderna, Milano,
Mondadori, Roma-Bari, Laterza, 2014.
• Bibliografia del modulo B1 (edizioni consigliate):
1. Ugo Foscolo, Poesie, a cura di Matteo Palumbo, Milano,
BUR, 2010, pp. 77-103 e 107-138 (59 pp.).
2. Id., Ultime lettere di Jacopo Ortis, introduzione di Walter
Binni, note di Lucio Felici, Milano, Garzanti, 2007 (200
pp.).
Bibliografia• Bibliografia del modulo B2 (edizioni consigliate):
1. Gabriele d’Annunzio, Il piacere, postfazione di Simona
Micali, Milano, Feltrinelli, 2015 (279 p.).
2. Giovanni Pascoli, Myricae, introduzione di Pier Vincenzo
Mengaldo, Milano, BUR, 2006 (una selezione di liriche
per un massimo di 100 pp.).
3. Italo Svevo, La coscienza di Zeno, Milano, Oscar
Mondadori, 2014 (392 pp.).
4. Luigi Pirandello, Il fu Mattia Pascal, Milano, Mondadori,
216 (222 p.).
Modalità di verifica dell’apprendimento
Esame scritto e orale.
L’esame scritto verificherà il possesso dei prerequisiti
attraverso un massimo di venti domande sia a risposta
multipla o discorsiva sia con richiesta di analisi di un
testo.
Solo superando l’esame scritto lo studente potrà
accedere a quello orale.
L’esame orale verificherà sia la conoscenza delle opere,
degli autori e dei movimenti trattati durante le lezioni,
sia la capacità degli studenti di leggere, parafrasare e
analizzare criticamente i testi proposti durante il corso.
Altre informazioni• I due moduli si svolgeranno nel secondo (B1) e nel terzo
(B2) sottoperiodo.
• I corsi sono riservati agli studenti di LLSM, indirizzo
Linguistico-letterario.
• I programmi dei corsi hanno una validità di tre anni.
• Gli studenti con programmi scaduti, cioè sino all’a.a.
2015/2016 compreso, sono pregati di rivolgersi al docente.
• Gli studenti, frequentanti o non frequentanti, dovranno
presentarsi all'esame con tutti i testi indicati in bibliografia e
disponibili alla Civica Biblioteca A. Mai (P.zza Vecchia 15) o
alla Biblioteca della Facoltà di Lingue (P.zza S. Agostino).
• Gli studenti non-frequentanti dovranno aggiungere
alla bibliografia già indicata i testi elencati qui di
seguito per il modulo B1:
1. Marco Cerruti e Enrico Mattioda, La letteratura nel
Neoclassicismo. Vincenzo Monti, in Storia della
letteratura italiana, diretta da Enrico Malato, vol. VII,
Il primo Ottocento, Roma, Salerno, 1998, pp. 289-
370 (82 pp.).
2. Maria Antonietta Terzoli, Ugo Foscolo, in Storia della
letteratura italiana, diretta da Enrico Malato, vol. VII,
Il primo Ottocento, Roma, Salerno, 1998, pp. 379-
475 (97 pp.).
• Gli studenti non-frequentanti dovranno aggiungere
alla bibliografia già indicata i testi elencati qui di
seguito per il modulo B2:
1. Angelo Leone De Castris, Il decadentismo italiano.
Svevo, Pirandello, d’Annunzio, Bari, De Donato,
1975 (262 pp.).
2. Carlo Salinari, Miti e coscienza del Decadentismo
italiano, d’Annunzio, Pascoli, Fogazzaro e Pirandello,
Milano, Feltrinelli, 1960, cap. III, pp. 107-183 (76
pp.).
L’età napoleonica e il neoclassicismo
• Rivoluzione americana → 1776
• Rivoluzione francese → 1789
=
• Fine dell’Antico regime (Ancien régime) →
espressione che nella saggistica storico-culturale
designa il regime monarchico assoluto precedente la
Rivoluzione e, in senso più generale, viene usata per
indicare ogni velleità politica di ritorno o
sopravvivenza del passato, o la nostalgia per sistemi
educativi o gusti culturali antiquati.
e invece
• Formazione di un nuovo mondo borghese e liberale.
L’età napoleonica e il neoclassicismo
• Rivoluzione francese = concretizzarsi di alcune delle idee
più radicali dell’Illuminismo:
• si rifiuta il principio di autorità proprio dell’Antico regime
• si cerca di costruire una società razionale, fondata sulla
libertà, sulla fratellanza e sull’uguaglianza di tutti i
cittadini di fronte allo Stato.
• Ma gli effetti reali della Rivoluzione furono sconvolgenti e
andarono ben al di là degli intenti degli illuministi:
• sia per i caratteri estremistici assunti già nei primi anni;
• sia per il rigore con cui distrusse principî e simboli che
per secoli erano stati cardini della società europea;
• sia per la diffusione delle sue idee in gran parte
d’Europa, in seguito alle strepitose vittorie delle armate
rivoluzionarie.
L’età napoleonica e il neoclassicismo
• 21 gennaio 1793 → decapitazione di Luigi XVI;
• 27 luglio (9 termidoro) 1794 → colpo di stato contro
Robespierre e i giacobini, fine del regime di
«Terrore»;
• Le armate francesi esportano la Rivoluzione e i suoi
principi fuori di Francia;
• In molti paesi conquistati dalle armate francesi si
creano regimi repubblicani almeno potenzialmente
liberi e indipendenti
• 10 novembre (18 brumaio) 1799 → colpo di stato
contro il Direttorio e istituzione del Consolato;
• 18 maggio 1804 → proclamazione dell’impero.
L’età napoleonica e il neoclassicismo
• Lo spirito e i principi della Rivoluzione influenzarono
tutto l’Ottocento e anche il Novecento:
• moti del 1848 → rivoluzione «borghese» anti-
restaurazione che teoricamente fallì, ma che in realtà
portò la borghesia industriale e imprenditoriale alla
definitiva conquista anche del potere politico;
• Comune di Parigi del 1871 → rivoluzione proletaria,
vera erede della rivoluzione del 1789, repressa nel
sangue;
• Rivoluzione bolscevica del 1917.
L’età napoleonica e il neoclassicismo
• In Italia: triennio giacobino o «rivoluzionario» (1796-
1799) vs un sempre più accentuato imperialismo
francese e dispotismo napoleonico (contraddizione
politica);
• Allontanamento, in Europa e anche in Italia,
dall’Illuminismo, che aveva nutrito la rivoluzione, ma al
contempo era stato contraddetto dalla rivoluzione
stessa (contraddizione culturale).
tuttavia
• Il triennio giacobino accelerava il formarsi di una nuova
classe di intellettuali pronta sia a trasformare la cultura
in azione e in strumento con il quale agire sulla società.
L’età napoleonica e il neoclassicismo
• I nuovi strumenti principali con i quali i nuovi intellettuali
italiani «rivoluzionari» cercano di incidere sulla società sono:
• I giornali (già molto presenti nel Settecento, ma che nel
triennio conoscono uno sviluppo esponenziale), come ad
esempio il “Termometro politico della Lombardia”, le
“Effemeridi repubblicane”, il “Monitore italiano”, fondato da
Melchiorre Gioia e da Ugo Foscolo
• Il teatro: nascita del nuovo teatro classico/rivoluzionario;
• Principale centro di diffusione delle idee rivoluzionarie e
giacobine in Italia → Milano, capitale della Repubblica
Cisalpina.
• Le cose cambiano radicalmente dopo il ritorno di Napoleone
(ora primo console) in Italia → battaglia di Marengo, 14
giugno 1800.
L’età napoleonica e il neoclassicismo
• Perché i più avanzati intellettuali italiani decidono,
nonostante la delusione, di restare comunque fedeli a
Napoleone? → differenza tra vecchio e nuovo dispotismo.
• Grazie alle novità napoleoniche, la struttura sociale del
«ceto» intellettuale cambia radicalmente: non più solo
aristocratici, preti o comunque borghesi legati
all’aristocrazia e alla Chiesa, ma intellettuali borghesi
finalmente indipendenti e liberi di impegnarsi socialmente
seguendo le loro idee.
L’età napoleonica e il neoclassicismo• Due testi contrapposti: sonetto A Bonaparte l’Italico di
Lorenzo Mascheroni.
A Bonaparte l’italico
Io pur ti vidi coll’invitta mano,
Che parte i regni, e a Vienna intimò pace,
Meco divider con ricurvi giri
Il curvo giro del fedel compasso.
E ti vidi assaltar le chiuse rocche
D’ardui problemi col valor d’antico
Geometra Maestro, e mi sovvenne
Quando l’Alpi varcasti Annibal novo
Per liberar tua cara Italia, e tutto
Rapidamente mi passò davanti
L’anno di tue vittorie, anno che splende
Nell’abuso de’ secoli qual sole.
Segui l’impresa, e coll’invitta mano
Guida all’Italia tua liberi giorni.
L’età napoleonica e il neoclassicismo
• Ugo Foscolo, lettera dedicatoria dell’ode A Bonaparte
liberatore
• Esce nel novembre del 1799, preposta alla ristampa
dell’ode A Bonaparte liberatore, già pubblicata nel maggio
del 1797, all’indomani della prima fulminea campagna
napoleonica in Italia;
• È conseguenza della delusione dovuta al trattato di
Campoformio (ottobre del 1797)
• Punti essenziali:
• Napoleone non deve dimenticare le aspirazioni di
libertà di un popolo intero,
• non deve accondiscendere alle ambizione di potere
anziché ascoltare chi lo esorta a comportarsi da vero
liberatore.
L’età napoleonica e il neoclassicismo
• La prosa della lettera, temprata su modelli latini, scarna
e drammatica, preannuncia quella dell’Ortis.
• Politicamente, Il passaggio successivo verso l’assoluta
delusione di Foscolo nei confronti di Napoleone si avrà
con l’Orazione a Bonaparte pel congresso di Lione,
scritta in occasione della celebrazione di questo evento
nel 1802.
• Questa delusione sempre crescente verso l’operato di
Napoleone produsse:
• la consapevolezza che l’Italia era caduta sotto una
nuova forma di dominazione straniera,
• il carattere politico del suicidio di Jacopo Ortis e il
tono drammatico delle Poesie, pubblicate nel 1803.
Classicismo e neoclassicismo
• I decenni che vanno dalla fine del Settecento all’inizio
dell’Ottocento, sia in Europa che in Italia, sono
estremamente contraddittori anche dal punto di vista
culturale, perché vedono la compresenza di tendenze
diverse a volte nettamente contrapposte, altre volte
manifestazione di una stessa sensibilità, espressa
però con modalità differenti.
Classicismo e neoclassicismo
• Tendenze presenti tra fine Settecento e inizio
Ottocento:
• sopravvivenze del classicismo arcadico e
dell’estetica sensista;
• Nascita di un gusto nordico, malinconico,
sentimentale (preromantico);
• affermarsi del gusto e dell’estetica neoclassica.
Classicismo e neoclassicismo
• Arcadia: l’Accademia dell’Arcadia è movimento
letterario di ispirazione classicista, fondato a
Roma il 5 ottobre 1690. Il nome si ricollega
idealmente sia all’omonima regione della Grecia
classica su cui regnavano Pan, le ninfe e le driadi
e identificata come una sorta di paradiso terrestre,
sia al poema di Jacopo Sannazzaro Arcadia
(scritto negli anni Ottanta del Quattrocento,
pubblicato nel 1502).
Classicismo e neoclassicismo• Classicismo: il termine classicismo in letteratura si
riferisce a una corrente di pensiero sorta in Europa a
partire dall’Umanesimo (XV secolo), ma con
anticipazioni importanti già nel Trecento (Petrarca) e
nei secoli precedenti, nella quale vengono esaltati gli
ideali generalmente attribuiti alle civiltà greco-romana,
ossia i concetti di armonia, di misura e di proporzione
come regole di un’arte che assurga a modello artistico
e anche etico universali. L’umanesimo si accostò ai
classici attraverso non solo una metodologia
filologica, basata sui commenti e sul restauro testuale
delle opere antiche, ma anche con un’esplosione di
opere poetiche ispirate all’arte classica.
Classicismo e neoclassicismo
• Sensismo: ispirandosi alla filosofia di Condillac, che
faceva derivare tutte le conoscenze umane dai sensi, la
poetica sensistica considerava la poesia un prodotto
puramente “sensuale” e, come tale, le assegnava lo
scopo di suscitare in chi legge o ascolta una sensazione
piacevole, uguale a quelle provocate dalle altre
sensazioni piacevoli come quelle del mangiare o del
bere, che si provano nella vita pratica. Era una
concezione materialistica che, portata alle estreme
conseguenze, non solo avviliva la poesia ma anche
negava ad essa ogni valore assoluto ed universale,
perché la faceva dipendere da un gusto individuale, non
uniforme e variabile da persona a persona.
Classicismo e neoclassicismo
• Neoclassicismo: «Il termine “neoclassico” designa un
gusto, una tematica e uno stile sviluppatisi nelle arti
figurative verso la metà del Settecento […] e praticati
per più di mezzo secolo, sino ai primo decenni
dell’Ottocento. […] Il termine e il concetto di
“neoclassicismo” sono stati anche variamente estesi,
per analogia, alla produzione letteraria di quel periodo.
Per quanto riguarda l’Italia, si deve al Carducci
l’applicazione del termine nella critica e nella storiografia
letteraria italiana» [da Roberto Cardini,
«Neoclassicismo». Per la storia del termine e della
categoria, in “Lettere Italiane”, a. XLIV, n. 3, luglio-
settembre 1992, pp. 365-402].
Classicismo e neoclassicismo
• Laocoonte (Agesandro, Atanadoro, Polidoro)
Classicismo e neoclassicismo
• Nike di Samotracia (Pitocrito, II sec. a.C. circa)
Classicismo e neoclassicismo
• Testa di Atena (Fidia, V sec. a.C. circa)
Classicismo e neoclassicismo
• Jacques-Louis David (1748-1825): Il giuramento
degli Orazi (1785) .
Classicismo e neoclassicismo
• Jacques-Louis David (1748-1825): Marat
assassinato (1793) .
Classicismo e neoclassicismo
• Jacques-Louis David (1748-1825): Amore e
psiche (1817).
Classicismo e neoclassicismo
• Antonio Canova (1757-1822): Amore e psiche
(1793)
Classicismo e neoclassicismo
• Antonio Canova (1757-1822): Paolina Borghese
come Venere vincitrice (1804-1808)
Classicismo e neoclassicismo
• Antonio Canova (1757-1822): Le Grazie (1814-
1817)
Classicismo e neoclassicismo
• Il gusto neoclassico non è un fenomeno unitario, ma
complesso, talvolta contraddittorio e aperto a esiti diversi.
• Rapporti molto stretti tra Rivoluzione francese e
neoclassicismo:
• → fioritura di un classicismo repubblicano, sanguigno e
fertile di spunti polemici e libertari, che aveva avuto una
notevole fortuna nell’Italia del triennio giacobino e
soprattutto nella Cisalpina;
• → riforma del teatro in senso politico sociale, imperniata
soprattutto sul rinnovamento del repertorio (Tieste di
Foscolo del 1795):
• → diffusione di una lirica repubblicana e giacobina
(raccolte come il Parnaso democratico, cui collaborarono
tra gli altri Vincenzo Monti, Foscolo, Mascheroni e altri).
Classicismo e neoclassicismo
Rotta l’aspra catena, e il giogo tolto
Di Servitù così spiacente e dura,
Di Libertà al luminoso volto
Par che lieta riviva insin natura.
Già di Bergamo tutto il popol folto
Aura respira più serena, e pura,
E intorno all’Arbor trionfale accolto
Alto pensier nutre ed alta cura.
Ecco che il brando irrugginito imbraccia
Contra il Leon, che sull’Adriaco freme,
E i nuovi ferri invan per lui minaccia;
Spinto da quel furor, che nulla teme
Ei ritorrà dalle nemiche braccia
Il cittadin, che stretto in carcer geme.
Classicismo e neoclassicismo
Pesenti, il Dio che tutto regge e vede
No, più non vuol che l’ingiustizia regni,
Che il popol suo li prepotenti indegni
Seguano ancor a calpestar col piede.
Scacciolli alfin dall’usurpata sede,
Lor sottraendo le provincie e i regni,
Ed esaltando i nostri oppressi ingegni,
Anco la bella Libertà ci diede.
Segui, o d’Orobia Gedeon, l’impresa,
Gerico t’aspettò e tu le hai sciolta
La catena servil; già Brescia è resa.
Teco milita il Dio delle coorti
E i deboli adoprò un’altra volta
(Ride anche il ciel) da superare i forti.
Classicismo e neoclassicismo
• L’affermazione del regime napoleonico e il tentativo di
egemonizzare in funzione francese ed imperiale le varie
manifestazioni culturali determinarono però un
impoverimento della confusa ma vivace attività artistica e
letteraria giacobine:
• il gusto di una classicità sempre più monumentale,
• il rilievo dato agli studi eruditi e dell’antiquaria,
• la rivalutazione della romanità augustea rispetto a quella
repubblicana,
• il diffondersi delle traduzioni dei poeti antichi e il nuovo
parziale accantonamento di Dante.
• Per questi motivi, il neoclassicismo che ha avuto maggiore
fortuna e risonanza critica è stato quello legato al campo
dell’archeologia (sono di quel tempo gli scavi di Ercolano e
Pompei) e alle arti figurative.
Classicismo e neoclassicismo
• Johann Joachim Winckelmann (1717-1768):
• Storia dell’arte nell’antichità (1764)
• Gotthold Ephraim Lessing (1729-1781):
• Laocoonte (1767)
• Drammaturgia amburghese (1767-69)
• Winckelmann: «Nobile semplicità e quieta grandezza. […]
Come la profondità del mare che resta sempre immobile
per quanto agitata sia la superficie».
Classicismo e neoclassicismo
• Il neoclassicismo è cultura egemone dell’età napoleonica,
anche per la sua disponibilità ad accogliere, fatto salvo il
decoro formale, gli aspetti più torbidi e inquieti dell’età
contemporanea: quegli aspetti, appunto, che si è soliti definire
preromantici, mentre in realtà sono già impliciti negli
orientamenti ideologici e di gusto dell’Illuminismo (ad esempio
in Rousseau, in Alfieri ecc.)
• Quindi: illuminismo (e neoclassicismo) → razionalità, ma
anche → sensibilità e sentimento (preromanticismo)
• Da ciò anche la scoperta delle letterature nordiche o popolari,
ad esempio:
• Pamela (1740) di Samuel Richardson (1689-1771)
• I canti di Ossian (1760) di James Macpherson
• Elegia sopra un cimitero di campagna (1751) di Thomas Gray
• Notti (1742) di Edward Young
• Idilli (1756) di Salomon Gessner.
Ippolito Pindemonte (1753-1828)• I Cimiteri di Pindemonte e i Sepolcri di Foscolo:
Io aveva concepito un poema in quattro canti e in ottava rima sopra i
Cimiteri, soggetto che mi parea nuovo, dir non potendosi che trattato
l’abbia chi lo riguardò sotto un solo e particolare aspetto, o chi, sotto il
titolo di sepolture, non fece che infilzare considerazioni morali e religiose
su la fine dell’uomo. L’idea di tal Poema fu in me destata dal
Camposanto ch’io vedea, non senza un certo sdegno, in Verona. Non
ch’io disapprovi i Campisanti generalmente, ma quello increscevami
della mia patria, perché distinzione alcuna non v’era tra fossa e fossa,
perché una lapide non v’appariva. […] Compiuto quasi io aveva il primo
canto, quando seppi che uno scrittore d’ingegno non ordinario, Ugo
Foscolo, stava per pubblicare alcuni suoi versi a me indirizzati sopra i
Sepolcri, l’argomento mio, che nuovo più non pareami, cominciò allora a
spiacermi, ed io abbandonai il lavoro, ma leggendo la poesia a me
indirizzata, sentii ridestarsi in me l’antico affetto per quell’argomento; e
sembrandomi che spigolare si potesse ancora in tal campo, vi rientrai, e
stesi alcuni versi in forma di risposta all’autore de’ Sepolcri, benché
pochissimo abbia io potuto giovarmi di quanto aveva prima concepito e
messo in carta sui Cimiteri.
Ippolito Pindemonte (1753-1828)• Calcedonio Reina, Amore e morte (1883).
Ippolito Pindemonte (1753-1828)• Mummia di Rosalia Lombardo, 1920.
Ippolito Pindemonte (1753-1828)
• La sua lirica è caratterizzata dalla sistemazione in versi
eleganti e vicini al gusto neoclassico di un’ispirazione
‘nordica’ e aperta al gusto del lugubre, dell’orrido, del
sublime.
• Tuttavia, il livello semantico resta piuttosto basso, tipico
di una lirica che segua una moda – quella del
sentimentalismo patetico – senza né entrare nel
profondo dell’animo umano né occuparsi dei problemi
reali che emergevano drammaticamente dalla società
(come invece aveva fatto il neoclassicismo
repubblicano e come farà Foscolo).
Ippolito Pindemonte (1753-1828)
• Tutto ciò si trova anche nelle altre opere o raccolte di
Pindemonte:
• le Poesie campestri,
• le Prose campestri,
• le Epistole,
• la tragedia Arminio,
• la stessa traduzione dell’Odissea, che l’opera di
maggior impegno del Pindemonte
Introduzione a Monti attraverso le discussioni
sulla lingua ispirate al neoclassicismo
Principali partecipanti alla discussione:
• l’abate veronese Antonio Cesari (1760-1828):
• «Tutti in quel benedetto tempo del 1300 parlavano e
scrivevano bene. I libri delle ragioni de’ mercatanti, i
maestri delle dogane, gli stratti delle gabelle e d’ogni
bottega menavano il medesimo oro. Senza che tutti
erano aggiustati e corretti, ci riluceva per entro un
certo natural candore, una grazia di schiette maniere e
dolci, che nulla più».
• Cura l’edizione del Vocabolario della Crusca del 1806-
1811 allegandole numerose giunte;
• Difende le scelte operate nel Dizionario nel saggio
Dissertazione sopra lo stato presente della lingua.
Introduzione a Monti attraverso le discussioni
sulla lingua ispirate al neoclassicismo
Principali partecipanti alla discussione:• Vincenzo Monti, in opposizione al Cesari, scrisse i 7 volumi
della Proposta di alcune correzioni e aggiunte al vocabolario
della Crusca (1817-1826), nei quali:
• rileva alcuni errori filologici del Cesari;
• confuta la legittimità di un vocabolario che trova le sue
fonti in un solo momento, sia pur importante, dello
sviluppo linguistico della nazione;
• sottolinea l’errore di costruire questo vocabolario su una
dimensione geografica limitatissima (Firenze e al
massimo la Toscana;
• Sottolinea la necessità di un vocabolario e di una
grammatica storica capace di creare uno strumento
linguistico che sia «la tavola rappresentativa di tutto il
sapere di una nazione».
Introduzione a Monti attraverso le discussioni
sulla lingua ispirate al neoclassicismo
• Monti:
• «La lingua che forma il solo legame d’unione tra questi
miseri avanzi degli antichi signori del mondo; lingua che
in mezzo a tanti dialetti è la sola per cui veniamo a
intenderci fra noi; e si toglie che a brevi distanze non
diveniamo gli uni e gli altri popolo straniero, ma
seguitiamo a dispetto della fortuna, ad essere pur
sempre famiglia italiana […] quindi lingua non Fiorentina,
non Senese, non Pistoiese, ma Italiana».
• Lingua d’arte, che rifiuta gli apporti dialettali, sostenuta, ricca
e raffinata.
• Quest‘o è il limite delle tesi montiane, che lo definiscono
culturalmente un classicista-illuminista;
• Ma sul piano ideologico, queste tesi sono la più coerente
difesa linguistica dell’idea di nazione italiana.
Vincenzo Monti (1754-1828)
• Sul rapporto tra letteratura classica e letteratura moderna:
Ma, dimando io, forse gli antichi hanno esaurito il bello
della poesia? Sarebbe lo stesso che dire che hanno
esaurito della natura, che hanno provato tutte le maniere
di sentire. Eppure le combinazioni, le esperienze, le
scoperte sì in fisica che in metafisica hanno a noi nepoti
procacciato un numero infinito di sensazioni ad essi ignote
[…], eppure Cornelio, Racine, Voltaire e persino
Shakespeare, sono pieni di sentimenti, di affetti ai quali
non giunse né Sofocle né Euripide; Milton e Klopstock
d’immagini e di pensieri non mai sognati da Omero, molto
meno da Virgilio; Gessner di grazie che non conobbe
Teocrito […]. Un uomo di buon senso e docile deve
prendere per guida e norma de’ suoi giudizi la ragione,
non mai l’autorità.
Vincenzo Monti (1756-1828)
• Opere principali:
• Prosopopea di Pericle, ode (1779)
• La bellezza dell’universo, poemetto (1781)
• Pellegrino apostolico, poemetto (1782)
• Pensieri d’amore. Versi (1783)
• Al signor di Montgolfier, ode (1784) [per il primo
viaggio umano in areostato del 1° dicembre 1783,
dedicata al signor di Montgolfier che aveva per primo
fatto salire al cielo un pallone areostatico senza
passeggeri].
• Teatro: Aristodemo (1786) + Galeotto Manfredi (1788)
→ influssi alfieriani e shakespeariani.
• Musogonia (poemetto in ottave: 1793, 1797, 1826).
• In morte di Hugo Bassville (Bassvilliana, poemetto:
1793 → per la morte di Nicolas-Jean Hugo detto
Bassville).
Vincenzo Monti (1756-1828)
• Il Prometeo (1797 → dedicato a Napoleone),
• Il fanatismo, La superstizione, Il pericolo (1797, cantiche
polemiche contro il papa, lo Stato della Chiesa, il potere
ecclesiastico e della religione),
• Per l’anniversario della caduta dell’ultimo re di Francia (1799)• Queste del periodo repubblicano di Monti sono Liriche:
- si propongono un fine pratico (far dimenticare il proprio
passato e trovare una sistemazione),
- nascono però anche dal superamento delle convinzioni.
Sono comunque tra i migliori esempi di quel neoclassicismo
repubblicano che voleva legittimare le conquiste moderne con il
riferimento alle civiche e liberatorie virtù antiche della Grecia
antica e di Roma repubblicana.
• La Mascheroniana (1800: poemetto in terzine per la morte di
Mascheroni che, presso il trono di Dio e alla presenza di
Giustizia e Pietà, rievoca le sciagure d’Italia con le ombre del
Parini, Verri e Beccaria).
Vincenzo Monti (1756-1828)
• Opere del periodo imperiale:
• Il beneficio (per l’incoronazione del 1805),
• l bardo della Selva nera (per le imprese germaniche fino ad
Austerlitz, 1806),
• la Spada di Federico II (per altre vittorie in Germania,
1806),
• la Palingenesi politica (per le campagne di Spagna, 1809),
• 1810-1811: traduzione dell’Iliade in due tomi (nel 1812, nel
1820 e nel 1825 ne cura altre edizioni rivedute) di cui vengono
poste le basi metodologiche nelle Considerazioni sulle
difficoltà di ben tradurre la protasi dell’Iliade (1807). Per
Foscolo, Monti era il «gran traduttor de’ traduttor d’Omero».
• Opere successive al 1815:
• Il mistico omaggio (1815),
• Il ritorno d’Astrea (1816),
• L’invito a Pallade (1819).
La portata culturale e politica dell’opera di
Monti
• Giudizio di Leopardi su Vincenzo Monti:
«Tutto quello che spetta all’anima al fuoco all’affetto
all’impeto vero e profondo sia sublime, sia
massimamente tenero gli manca affatto. Egli è un poeta
veramente dell’orecchio e dell’immaginazione, del cuore
in nessun modo».
• Monti è giudicato importante dalla critica soprattutto come
animatore e mediatore della cultura neoclassica, ossia
come interprete dei vari orientamenti del gusto e delle
inquietudini culturali dell’età a cavallo tra la Rivoluzione e
Napoleone.
• In ogni caso, Monti venne ammirato da molti autori italiani
e da molti autori stranieri: da Byron a Stendhal a Madame
de Staël.
Ugo Foscolo (1778-1827)
Foscolo sperava che gli Italiani dopo
Napoleone potessero conquistare
finalmente la propria indipendenza, ma sa
di essersi ingannato:
«Non lo nego: e chi non s’inganna? E chi,
quand’anche tema d’ingannarsi, lascia
intentato ciò che accarezza la passione
perpetua della sua vita?».
La prima parola chiave per capire la
biografia di Foscolo è: passione!
Ugo Foscolo (1778-1827)
Passione =
1) passione con la quale vive gli ideali di
libertà, di indipendenza e d’unità del paese;
2) passione con ci vive la sua alta
vocazione all’arte (ma a un’arte di forte
impronta civile);
3) Passione con cui vive le sue vicende
sentimentali.
Quindi, quella di Foscolo è una biografia
pienamente ‘romantica’.
Ugo Foscolo (1778-1827)
La seconda parola chiave per capire la
biografia di Foscolo è libertà, il cui concetto
gli deriva da:
1) gli scrittori classici e moderni: Plutarco
(Vite parallele), Tacito (Storie, Annali),
Dante;
2) la Rivoluzione francese;
3) il generale Bonaparte che al comando di
un esercito di straccioni sconfigge gli
eserciti dei tiranni.
Ugo Foscolo (1778-1827)
Il dilemma di Foscolo nel 1815:
1) no all’Austria e al ritorno dell’antico
regime, superato nelle coscienze dai valori
e dai grandi princìpi della Rivoluzione
francese.
2) no anche a Napoleone, che ha tradito
quei valori e quei principi.
Scelte rimanenti: il suicidio? L’esilio?
Ugo Foscolo (1778-1827)
Ultime lettere di Jacopo Ortis
Al lettore
Pubblicando queste lettere, io tento di erigere unmonumento alla virtù sconosciuta; e diconsecrare alla memoria del solo amico mioquelle lagrime, che ora mi si vieta di spargere sula sua sepoltura. E tu, o Lettore, se uno non seidi coloro che esigono dagli altri quell’eroismo dicui non sono eglino stessi capaci, darai, spero,la tua compassione al giovine infelice dal qualepotrai forse trarre esempio e conforto.
Lorenzo Alderani
Redazioni e vicende editoriali dell’Ortis:
1796: prima menzione del romanzo nel Piano deglistudi (ispirato dall’amore per Isabella Teotochi-Albrizzi e dalla lettura di Julie, ou la NouvelleHéloïse di Rousseau)
1798: prima edizione bolognese → 45 lettere
1799: edizione pirata a cura di Angelo Sassoli,intitolata Vera storia di due amanti infelici;
1802: seconda redazione ed edizione a Milano;
1816: terza redazione (pochi ritocchi formali) ededizione a Zurigo con una letteraantinapoleonica e una Notizia bibliografica;
1817: quarta redazione (poche correzioni) ededizione londinese.
Da’ colli Euganei, 11 Ottobre 1797
Il sacrificio della patria nostra è consumato: tutto èperduto; e la vita, seppure ne verrà concessa, non ciresterà che per piangere le nostre sciagure, e la nostrainfamia. Il mio nome è nella lista di proscrizione, lo so:ma vuoi tu ch'io per salvarmi da chi m’opprime micommetta a chi mi ha tradito? Consola mia madre: vintodalle sue lagrime le ho obbedito, e ho lasciato Veneziaper evitare le prime persecuzioni, e le più feroci. Ordovrò io abbandonare anche questa mia solitudineantica, dove, senza perdere dagli occhi il mio sciaguratopaese, posso ancora sperare qualche giorno di pace? Tumi fai raccapricciare, Lorenzo; quanti sono dunque glisventurati? E noi, purtroppo, noi stessi italiani ci laviamole mani nel sangue degl’italiani. Per me segua che può.Poiché ho disperato e della mia patria e di me, aspettotranquillamente la prigione e la morte. Il mio cadaverealmeno non cadrà fra le braccia straniere; il mio nomesarà sommessamente compianto da’ pochi uomini,compagni delle nostre miserie; e le mie ossa poserannosu la terra de' miei padri.
26 Ottobre
La ho veduta, o Lorenzo, la divina fanciulla; e te ne ringrazio.La trovai seduta miniando il proprio ritratto. Si rizzòsalutandomi come s’ella mi conoscesse, e ordinò a unservitore che andasse a cercar di suo padre. Egli non sisperava, mi diss’ella, che voi sareste venuto; sarà per lacampagna; né starà molto a tornare. Una ragazzina le corsefra le ginocchia dicendole non so che all’orecchio. È un amicodi Lorenzo, le rispose Teresa, è quello che il babbo andò atrovare l’altr’jeri. Tornò frattanto il signor T***: m’accoglievafamigliarmente, ringraziandomi che io mi fossi sovvenuto dilui. Teresa intanto, prendendo per mano la sua sorellina,partiva. Vedete, mi diss’egli, additandomi le sue figliuole cheuscivano dalla stanza; eccoci tutti. Proferì, parmi, questeparole come se volesse farmi sentire che gli mancava suamoglie. Non la nominò. Si ciarlò lunga pezza. Mentr’io stavaper congedarmi, tornò Teresa: Non siamo tanto lontani, midisse; venite qualche sera a veglia con noi. Io tornava a casacol cuore in festa. - Che? lo spettacolo della bellezza bastaforse ad addormentare in noi tristi mortali tutti i dolori? vediper me una sorgente di vita: unica certo, e chi sa! fatale. Mase io sono predestinato ad avere l’anima perpetuamente intempesta, non è tutt'uno?
23 Ottobre
[…] V’era con lui un tale; credo, lo sposo promesso di sua figlia.Sarà forse un bravo e buono giovine; ma la sua faccia non dicenulla. […]
1° Novembre
[…] Se nondimeno non vi fosse quello sposo, perché davvero - ionon odio persona del mondo, ma vi sono cert'uomini ch’io hobisogno di vedere soltanto da lontano. – Suo suocero me n’andavatessendo jer sera un lungo elogio in forma di commendatizia: buono- esatto - paziente! e niente altro? possedesse queste doti conangelica perfezione, s’egli avrà il cuore sempre così morto, e quellafaccia magistrale non animata mai né dal sorriso dell’allegria, né daldolce silenzio della pietà, sarà per me un di que’ rosaj senza fioriche mi fanno temere le spine. Cos’è l'uomo se tu lo abbandoni allasola ragione fredda, calcolatrice? scellerato, e scelleratobassamente. - Del resto, Odoardo sa di musica; giuoca bene ascacchi; mangia, legge, dorme, passeggia, e tutto con l’oriuolo allamano; e non parla con enfasi se non per magnificare tuttavia la suaricca e scelta biblioteca. Ma quando egli mi va ripetendo con quellasua voce cattedratica, ricca e scelta, io sto lì lì per dargli unasolenne smentita. Se le umane frenesie che col nome di scienze edi dottrine si sono iscritte e stampate in tutti i secoli, e da tutte legenti, si riducessero a un migliajo di volumi al più, e’ mi pare che lapresunzione de’ mortali non avrebbe da lagnarsi - e via sempre conqueste dissertazioni.
20 Novembre
Arquà è discosto, come tu sai, quattro miglia dalla mia casa;ma per più accorciare il cammino prendemmo la via dell’erta.S’apriva appena il più bel giorno d’autunno. Parea che Notteseguìta dalle tenebre e dalle stelle fuggisse dal Sole, cheuscia nel suo immenso splendore dalle nubi d’oriente, quasidominatore dell’universo; e l’universo sorridea. Le nuvoledorate e dipinte a mille colori salivano su la volta del cielo chetutto sereno mostrava quasi di schiudersi per diffondere sovrai mortali le cure della Divinità. Io salutava a ogni passo lafamiglia de’ fiori e dell’erbe che a poco a poco alzavano ilcapo chinato dalla brina. Gli alberi susurrando soavemente,faceano tremolare contro la luce le gocce trasparenti dellarugiada; mentre i venti dell’aurora rasciugavano il soverchioumore alle piante. Avresti udito una solenne armoniaspandersi confusamente fra le selve, gli augelli, gli armenti, ifiumi, e le fatiche degli uomini: e intanto spirava l’ariaprofumata delle esalazioni che la terra esultante di piaceremandava dalle valli e da’ monti al Sole, ministro maggioredella Natura. - Io compiango lo sciagurato che può destarsimuto, freddo e guardare tanti beneficj senza sentirsi gli occhibagnati dalle lagrime della riconoscenza.
15 maggio
O Amore! le arti belle sono tue figlie; tu primo hai guidato su laterra la sacra poesia, solo alimento degli animali generosi chetramandano dalla solitudine i loro canti sovrumani sino alle piùtarde generazioni, spronandole con le voci e co' pensierispirati dal cielo ad altissime imprese: tu raccendi ne' nostripetti la sola virtù utile a’ mortali, la Pietà, per cui sorridetalvolta il labbro dell'infelice condannato ai sospiri: e per terivive sempre il piacere fecondatore. degli esseri, senza delquale tutto sarebbe caos e morte. Se tu fuggissi, la Terradiverrebbe ingrata; gli animali, nemici fra loro; il Sole, focomalefico; e il Mondo, pianto, terrore e distruzione universale.Adesso che l'anima mia risplende di un tuo raggio, iodimentico le mie sventure; io rido delle minacce della fortuna,e rinunzio alle lusinghe dell'avvenire. – [segue nella slidesuccessiva…]
O Lorenzo! sto spesso sdrajato su la riva del lago de' cinquefonti: mi sento vezzeggiare la faccia e le chiome dai venticelliche alitando sommovono l'erba, e allegrano i fiori, eincrespano le limpide acque del lago. Lo credi tu? io delirandodeliziosamente mi veggo dinanzi le Ninfe ignude, saltanti,inghirlandate di rose, e invoco in lor compagnia le Muse el'Amore; e fuor dei rivi che cascano sonanti e spumosi, vedouscir sino al petto con le chiome stillanti sparse su le spallerugiadose, e con gli occhi ridenti le Najadi, amabili custodidelle fontane. Illusioni! grida il filosofo. – Or non è tuttoillusione? tutto! Beati gli antichi che si credeano degni de' bacidelle immortali dive del cielo; che sacrificavano alla Bellezza ealle Grazie; che diffondeano lo splendore della divinità su leimperfezioni dell'uomo, e che trovavano il BELLO ed il VEROaccarezzando gli idoli della lor fantasia! Illusioni! ma intantosenza di esse io non sentirei la vita che nel dolore, o (che mispaventa ancor più) nella rigida e nojosa indolenza: e sequesto cuore non vorrà più sentire, io me lo strapperò dalpetto con le mie mani, e lo caccerò come un servo infedele.
25 Maggio
Tornerò, Lorenzo: conviene ch'io esca; il mio cuore si
gonfia e geme come se non volesse starmi più in petto:
su la cima di un monte mi sembra d'essere alquanto più
libero; ma qui nella mia stanza – sto quasi sotterrato in
un sepolcro. –
Sono salito su la più alta montagna: i venti
imperversavano; io vedeva le querce ondeggiar sotto a'
miei piedi; la selva fremeva come mar burrascoso, e la
valle ne rimbombava; su le rupi dell'erta sedeano le
nuvole - nella terribile maestà della Natura la mia anima
attonita e sbalordita ha dimenticato i suoi mali, ed è
tornata alcun poco in pace con se medesima.
20 Novembre
Non sono felice! mi disse Teresa; e con questa parola mi strappòil cuore. Io camminava al suo fianco in un profondo silenzio.Odoardo raggiunse il padre di Teresa; e ci precedevanochiacchierando. La Isabellina ci tenea dietro in braccioall’ortolano. Non sono felice! - io aveva concepito tutto il terribilesignificato di queste parole, e gemeva dentro l’anima,veggendomi innanzi la vittima che doveva sacrificarsi a’pregiudizi ed all’interesse. Teresa, avvedutasi della miataciturnità, cambiò voce, e tentò di sorridere […]
Tacque e si rivoltò addietro dicendo di volere aspettare laIsabellina che si era un po’ dilungata da noi; ma io sospettaich’ella m’avesse lasciato per nascondere le lagrime che leinnondavano gli occhi, e che forse non poteva più rattenere. Ma,e perché, le diss’io, perché mai non è qui vostra madre? - Da piùsettimane vive in Padova con sua sorella; vive divisa da noi eforse per sempre! Mio padre l’amava: ma da ch’ei s'è purostinato a volermi dare un marito ch’io non posso amare, laconcordia è sparita dalla nostra famiglia. La povera madre miadopo d’avere contraddetto invano a questo matrimonio, s’èallontanata per non aver parte alla mia necessaria infelicità. Iointanto sono abbandonata da tutti! ho promesso a mio padre, enon voglio disubbidirlo - ma e mi duole ancor più, che per miacagione la nostra famiglia sia così disunita - per me, pazienza!
Dopo due giorni ammalò. Il padre di Teresa andò avisitarlo, e si giovò di quell'occasione a persuaderlo ches'allontanasse da' colli Euganei. Come discreto egeneroso ch'egli era, stimava l'ingegno e l'animo diJacopo, e lo amava come il più caro amico ch'ei potesseaver mai; e m'accertò che in circostanze diverse avrebbecreduto d'ornare la sua famiglia pigliandosi per generoun giovine che se partecipava d'alcuni errori del nostrotempo, ed era dotato d'indomita tempra di cuore, avevaa ogni modo, al dire del signore T***, opinioni e virtùdegne de' secoli antichi. Ma Odoardo era ricco, e di unafamiglia sotto la cui parentela il signore T*** fuggiva allepersecuzioni e alle insidie de' suoi nemici, i quali loaccusavano d'avere desiderato la verace libertà del suopaese; delitto capitale in Italia. Bensì imparentandosiall'Ortis, avrebbe accelerato la rovina di lui, e dellapropria famiglia. Oltre di che aveva obbligata la sua fede;e per mantenerla s'era ridotto a dividersi da una moglie alui cara. Né i suoi bilanci domestici gli assentivano diaccasare Teresa con una gran dote, necessaria allemediocri sostanze dell'Ortis.
20 NovembreNoi proseguimmo il nostro breve pellegrinaggio fino a che ci apparvebiancheggiar dalla lunga la casetta che un tempo accoglieva
Quel Grande alla cui fama è angusto il mondoPer cui Laura ebbe in terra onor celesti.
Io mi vi sono appressato come se andassi a prostrarmi su lesepolture de’ miei padri, e come uno di que’ sacerdoti che taciti eriverenti s’aggiravano per li boschi abitati dagl’Iddii. La sacra casa diquel sommo italiano sta crollando per la irreligione di chi possiede untanto tesoro. Il viaggiatore verrà invano di lontana terra a cercare conmeraviglia divota la stanza armoniosa ancora dei canti celesti delPetrarca. Piangerà invece sopra un mucchio di ruine coperto diortiche e di erbe selvatiche fra le quali la volpe solitaria avrà fatto ilsuo covile. Italia! placa l’ombre de’ tuoi grandi. - Oh! io mi risovvengocol gemito nell’anima, delle estreme parole di Torquato Tasso. Dopod’essere vissuto quaranta sette anni in mezzo a’ dileggi de’ cortigiani,le noje de’ saccenti, e l’orgoglio de’ principi, or carcerato ed orvagabondo, e tuttavia melancolico, infermo, indigente; giacquefinalmente nel letto della morte e scriveva esalando l’eterno sospiro:Io non mi voglio dolere della malignità della fortuna, per non dire dellaingratitudine degli uomini, la quale ha pur voluto aver la vittoria dicondurmi alla sepoltura mendico. O mio Lorenzo, mi suonano questeparole sempre nel cuore! e’ mi par di conoscere chi forse un giornomorrà ripetendole.
13 maggio– Abbiate pace, o nude reliquie: la materiaè tornata alla materia; nulla scema, nullacresce, nulla si perde quaggiù; tutto sitrasforma e si riproduce – umana sorte!men felice degli altri chi men la teme. –
17 aprile[…] la Natura? ma se ne ha fatti quali pursiamo, non è forse matrigna?
La ferita era assai larga, e profonda; e sebbene nonavesse colpito il cuore, egli si affrettò la morte lasciandoperdere il sangue che andava a rivi per la stanza. Glipendeva dal collo il ritratto di Teresa tutto nero disangue, se non che era alquanto polito nel mezzo; e lelabbra insanguinate di Jacopo fanno congetturare ch’einell’agonia baciasse la immagine della sua amica. Stavasu lo scrittojo la Bibbia chiusa, e sovr’essa l’oriuolo; epresso, varj fogli bianchi; in uno de’ quali era scritto: Miacara madre: e da poche linee cassate, appena si potearilevare, espiazione; e più sotto; di pianto eterno. In unaltro foglio si leggeva soltanto l’indirizzo a sua madre,come se pentitosi della prima lettera ne avesseincominciata un’altra che non gli bastò il cuore dicontinuare.
Padova, 11 Dicembre
Nella Italia più culta, e in alcune città della Francia ho
cercato ansiosamente il bel mondo ch'io sentiva
magnificare con tanta enfasi: ma dappertutto ho trovato
volgo di nobili, volgo di letterati, volgo di belle, e tutti
sciocchi, bassi, maligni; tutti. Mi sono intanto sfuggiti que'
pochi che vivendo negletti fra il popolo o meditando nella
solitudine serbano rilevati i caratteri della loro indole non
ancora strofinata. Intanto io correva di qua, di là, di su, di
giù come le anime de' scioperati cacciate da Dante alle
porte dell'inferno, non reputandole degne di starsi fra'
perfetti dannati. In tutto un anno sai tu che raccolsi?
ciance, vituperj, e noja mortale.
Foscolo sul suo romanzo:
«Io lo amo assai perché è il
libro del mio cuore; ne
scriverò de’ migliori forse per
gli altri, ma nessuno mi farà
sentire tanto quanto questo».
Ugo Foscolo (1778-1827)
Alcune fonti dei sonetti
Meritatamente (VI)Corrispondenze:
1a quartina:
Properzio, «Meritatamente, poiché potei fuggire la
mia donna, / ora ragiono con le alcioni sulle onde
deserte».
1a terzina:
Alfieri: «tacito orror di solitaria selva / di sì dolce
tristezza il cor mi bea / che in essa al par di me non
si ricrea / tra’ figli suoi nessuna orrida belva».
Alla sera (I)Corrispondenze:
1a quartina:
Della Casa, «O sonno, o della quieta umida
ombrosa / notte placido figlio».
Influsso di Lucrezio → De rerum natura
Alla sera (I)Corrispondenze con l’Ortis (lettera del 23 maggio)
«Mi affaccio al balcone ora che la immensa luce del
sole si va spegnendo, e le tenebre rapiscono
all’universo que’ raggi languidi che balenano
sull’orizzonte; e nella opacità del mondo malinconico e
taciturno contemplo le immagini della Distruzione
divoratrice di tutte le cose».
Dei Sepolcri
Foscolo sui Sepolcri:
«I monumenti inutili a’ morti giovano a’ vivi perché
destano affetti virtuosi lasciati in eredità dalle persone
dabbene».
Dei SepolcriI Sepolcri come rinascita dell’illusione, che riafferma sul
piano del sentimento quanto è negato dall’intelletto e
che sembra incarnarsi nel significato che la tomba può
assumere nella vita dell’uomo e delle nazioni:
- la tomba come centro sul quale convergono la pietà e
il culto degli amici e dei parenti, che intrecciano con il
defunto una “celeste […] corrispondenza d’amorosi
sensi”;
- la tomba come simbolo delle memorie di tutta una
famiglia attraverso i secoli e che realizza una continuità
di valori da padre in figlio;
Dei Sepolcri- la tomba come segno stesso di civiltà dell’uomo che,
insieme al culto dei morti, ha creato i suoi valori
essenziali (le nozze, i tribunali, gli altari);
- la tomba che racchiude in sé i valori ideali e civili di
tutto un popolo (Santa Croce per gli italiani, Maratona
per i greci) che ad essa s’ispira per operare il proprio
riscatto;
- la tomba, infine, il cui significato si allarga a tutti gli
uomini del mondo e i cui valori non sono travolti dal
tempo ma eternati dal canto dei poeti (Aiace, Ettore).
Struttura dei Sepolcri
- L’esordio (vv. 1-50 prime tre strofe).
- La polemica e l’esempio del Parini, (vv. 51-90,
quarta strofa).
- La funzione civile dei sepolcri (vv. 91-150, quinta
strofa).
- Le tombe in Santa Croce (vv. 151-212, sesta
strofa).
- La terza apostrofe a Pindemonte (vv. 213-225,
settima strofa).
- Le tombe dei grandi Troiani e la funzione della
poesia (vv. 226-295, ottava strofa).
Struttura dei Sepolcri
Da notare:
- la progressione cronologica del poema: dal
presente all’antichità più remota e mitica;
- la progressione poetica: da Parini (poeta civile e
satirico) ad Alfieri (poeta tragico e precursore
dell’idea di nazione italiana) ad Omero (poeta epico
che attinge al sublime e massimo interprete della
funzione eternatrice della poesia).
Decadentismo e modernismo
Pellizza da Volpedo, Il quarto stato (1901)
Decadentismo e modernismo
Rimbaud → il poeta veggente
Verlaine → il poeta suggeritore
Mallarmé → il poeta sacerdote
Importanza del simbolo
Letteratura = pittura → dall’impressionismo al
simbolismo
Decadentismo e modernismo
Odillon Redon, L’occhio, come un pallone bizzarro,
si dirige verso l’infinito.
Decadentismo e modernismo
Verismo (positivismo) → decadentismo (e
simbolismo poetico, che è una delle
manifestazioni del decadentismo)
Impressionismo → simbolismo pittorico
Nuovo mito umano/eroe nei protagonisti dei
romanzi di:
- Huysmans: A ritroso
- Wilde: Il ritratto di Dorian Gray
- d’Annunzio: Il piacere
Decadentismo e modernismo
Declino del verismo e anticipazioni del decadentismo:
1881 → Verga pubblica I Malavoglia
Fogazzaro pubblica Malombra
Verismo sempre più cupo e pessimistico: 1894 → I
Viceré di De Roberto
Falso verismo in d’Annunzio, da Terra vergine (1882)
alle Novelle della Pescara (1902)
Falso verismo nel Gualdo di Decadenza (1892)
Preferenza per l’analisi psicologico-introspettiva
anziché storico-sociale → dall’oggettività alla
soggettività!
Decadentismo e modernismoLe componenti principali del decadentismo:
1) La poesia si allontana dal dato reale e accoglie
suggestioni musicali: maggiore vicinanza con la musica
→ Wagner, creazione dell’opera d’arte totale, tetralogia
L’anello del Nibelungo 1876 (L’oro del Reno, La
valchiria, Sigfrido, Il crepuscolo degli dei).
2) Il superomismo di Nietzsche: Al di là del bene e del
male (1881), Così parlò Zarathustra (1883).
3) L’intuizionismo di Henri Bergson: L’evoluzione
creatrice (1907).
4) La scoperta dell’inconscio di Freud: L’interpretazione
dei sogni (1900).
La scoperta dell’inconscio di Freud
(1856-1939)• «La voce dell’intelletto è tenue ma non tace prima
di avere ottenuto udienza. Alla fine, sovente dopo
innumerevoli ripulse, trova ascolto. Questo è uno
dei pochi punti per cui si può essere ottimisti
sull’avvenire dell’umanità, ma in sé non è cosa da
poco e vi si possono riannodare altre speranze. Il
primato dell’intelletto è certo molto, molto lontano,
ma verosimilmente non a distanza infinita».
Gabriele d’Annunzio
(1863-1938)
- Prima fase dannunziana o periodo romano (1881-
1891): la nascita dell’estetismo;
- Seconda fase dannunziana (1891): la stanchezza
e il desiderio di rinascita
- Terza fase (dal 1892): l’invenzione del
superuomo
- Quarta fase: d’Annunzio panico e notturno
Gabriele d’Annunzio
(1863-1938)
- Prima fase dannunziana: il falso verismo
Da Bestiame (Terra vergine):
E quand’era giunto, Nora gli metteva sotto il naso una scodella
piena di zuppa ch’egli divorava, senza levare il capo, con l’avidità di
un cane famelico. Egli non la guardava quella femmina riboccante di
giovinezza e di lussuria, quella femmina dal ventre fecondo e dalle
poppe gonfie di latte; egli non fiutava l’odore sano di quelle carni in
fermento. Aveva sempre le chiazze gialle negli occhi: si gettava là,
in un canto, sullo strame, come una bestia stracca; e dormiva.
Rossastro, d’un colore di rame vecchio, con una pezzuola legata
intorno alla faccia come se ci avesse delle piaghe, con ciocche
lunghe di capelli pregni di grasso sfuggenti sulla fronte bassa e sul
collo di testuggine; bruto. Puah!
Gabriele d’Annunzio
(1863-1938)
- Seconda fase dannunziana (1891): la stanchezza
e il desiderio di rinascita:
→ Poema paradisiaco + L’innocente;
→ suggestioni tolstojane;
→ tuttavia, permane la presenza di una forma
artificiosa, preziosa e di descrizioni di raffinati paesaggi.
Gabriele d’Annunzio
(1863-1938)
- Terza fase (dal 1892): l’invenzione del superuomo
→ La vergine delle rocce (1895)
→ d’Annunzio nobilita con la sua arte l’atteggiamento
politico conservatore delle classi agiate e della classe
politica italiana
→ inizio dell’attività drammaturgica = mezzo per
diffondere meglio il suo verbo politico-ideologico-
artistico (opera d’arte totale)
Gabriele d’Annunzio
(1863-1938)
- Nel teatro dannunziano (La città morta; La Gioconda,
La Gloria, La Nave) si celebrano:
a) la morale superumana in uno sfondo compiaciuto di
preziosità archeologiche e mitologiche
b) l’esaltazione della lussuria e del sangue, della
violenza e del sacrilegio
c) l’esaltazione di un ideale femminile contraddistinto da
una passionalità sensuale, bramosa e istintuale. Il
modello di personaggio femminile dannunziano è
dunque una donna satanica e stregonesca
Gabriele d’Annunzio
(1863-1938)
- Terza fase. Le Laudi del cielo, del mare, della terra e
degli eroi:
1°: Maia (1903) il poeta esalta un superomistico ardore
di sperimentazioni e di avventura
2°: Elettra (1903) è dedicato alla celebrazione degli eroi
e risuona tutto di poesia patriottica
4°: Merope (1912) contiene la Canzone della guerra
d’oltremare, cioè la celebrazione della conquista della
Libia
5°: Asterope (postuma) esalta circostanze ed eventi
della Prima guerra mondiale
Gabriele d’Annunzio
(1863-1938)
- Quarta fase. Alcyone (1903) e il d’Annunzio panico e
notturno.
→ Il terzo libro delle Laudi, Alcyone (1903) è quello
nel quale si rivela la poesia più bella, sentita e
sincera di d’Annunzio, quella nella quale l’autore
esprime le proprie emozioni e i propri sentimenti
con una sincerità e una limpidezza inusuali.
→ Notturno (1916)
Il Piacere (1889)
- Scritto in 6 mesi (26 luglio 1888-10 gennaio
1889) a Francavilla a Mare in Abruzzo (c/o
Francesco Paolo Michetti, l’amico «tanto grande
conoscitore di anime quanto grande artefice di
pittura»)
- Svolta decadente intorno alla metà del 1884:
Intermezzo di rime (1883) → Baudelaire e
Théophile Gautier
- 1885: d’Annunzio alla direzione della «Cronaca
Bizantina» → estetica preraffaellita
Erodiade (da Intermezzo, 1883, sezione Le
adultere)
Su ‘l suo letto di cedro e d’oro è insonne
Erodiade al fianco del Tetrarca,
pavida se gemendo l’aura varca
i profondi atrii selve di colonne.
Per lei sopire levano le donne
un canto lene, mentre in ciel s’inarca
la pura luna. Al fianco del Tetrarca
pavida sta la concubina insonne.
Ecco su ‘l piatto il capo del Battista
e il nero sangue e la gran barba irsuta
e le palpebre atroci ancóra aperte
e le pupille orribili e la trista
bocca, che sì gran ruggito avea, muta
e la mascella leonina inerte.
Il Piacere (1889) Da una lettera del 1887: «dramma di alta
passione» con tre personaggi «due donne e un
uomo, tutti e tre eletti di mente e di spirito».
Importanza delle esperienze giornalistiche e
della sperimentazione dei linguaggi specialistici
relativi alle arti, ma non solo.
Sperelli come erede di tante figure baudelairiane,
ma anche di tanti personaggi derivati dai romanzi
dei fratelli Goncourt, di Joséphin Péladan, di Paul
Bourget; Il Piacere come paradigma italiano
dell’estetica decadente, che include anche il
«negativo».
Il Piacere e A ritroso- I modelli percettivi, ideologici e narrativi del decadentismo
influenzano la struttura classica del romanzo e la sua
funzione mimetica, ribaltandole e dissolvendole.
- Esempio di ciò è il romanzo di Huysmans A ritroso,
costruito come un viaggio tutto cerebrale dell’io decadente
nel labirinto dell’arte e delle esperienze del senso e del
gusto.
- Il protagonista, Des Esseintes, è dominato da una
coscienza, nevrotica e mostruosa: questo personaggio
può essere considerato un erede degenerato del dandy
baudelairiano: sofferente, ossessivo, e messosi
volontariamente in un isolamento completo che lo separa
da tutto il resto del mondo.
Il Piacere (1889)- Per d’Annunzio di questi anni l’arte va intesa come
«verità perseguita con metodo»
- «Questo fondamentale errore letterario dei
romanzieri naturalisti proviene da un errore
scientifico. Essi credono che le cose esteriori
esistano fuori di noi, indipendentemente, e che
quindi dovrebbero avere per tutti li spiriti umani
medesima apparenza».
Il Piacere (1889)
Maria Hardouin di Gallese Barbara Leoni
- Dualismo: Elena Muti vs. Maria Ferres
- Tecnica della duplicazione (dualismo) o del «raddoppio» →
ritornello o Leitmotiv (e quindi elemento strutturale).
StrutturaDiviso in 4 libri:
I (5 capp.)
II (4 capp.)
III (4 capp.)
IV (3 capp.)
Tempo del racconto:
Il romanzo inizia il 31 dicembre 1886, ed è occupato da
più o meno lunghi flashback (analessi); la vicenda si
conclude il 20 giugno 1887, ma il «tempo della storia» è
più ampio, perché attraverso i flashback comprende
l’arrivo a Roma di Sperelli nel settembre del 1884 e la
separazione da Elena il 25 marzo 1885.
- Personaggi:
Andrea Sperelli-Fieschi d’Ugenta
Elena Muti duchessa di Scerni
Lord Humphrey Heathfield
Marchesa d’Ateleta (cugina dello Sperelli)
Giannetto Rùtolo
Maria Ferres
- Dedicatoria:
A Francesco Paolo Michetti
Struttura e vicenda:
l’opera è composta di 4 libriLibro primo, diviso in 5 capitoli:
presentazione del protagonista nel momento in cuiincontra Elena dopo quasi due anni diseparazione;
lungo flashback (analessi) sulla vicenda d’amore;
dopo essere stato lasciato da Elena, Andrea si dàa una lunga serie di altre relazioni nelle qualicerca di rievocare l’antica amante attraverso ilcorpo di altre donne;
tentando di sedurre donna Ippolita Albonico,Andrea entra in contrasto con Giannetto Rùtolo;duello con Rùtolo: Andrea viene ferito.
Struttura e vicenda
Libro secondo, diviso in 4 capitoli:
la convalescenza di Andrea a villa Schifanoja,residenza immaginaria sulla costa dell’Adriatico,ospite della cugina marchesa d’Ateleta;
Incontro con Maria Ferres, di cui Andreas’innamora ricambiato;
lunghe descrizioni paesaggistiche dedicate almare e alla spiaggia: questi due ambientinaturali sono presenti in diversi romanzi diD’Annunzio (Il trionfo della morte) erappresentano il tentativo di molti protagonisti dirinnovarsi interiormente e di riconciliarsi con sestessi in uno spazio incontaminato e lontanodalle mistificazioni della civiltà urbana.
Struttura e vicenda
Libro terzo, diviso in 4 capitoli:
Rientro di Andrea a Roma e ricaduta nel mondomondano intriso di raffinatezza estetica e dicorruzione morale;
questo ambiente soverchia il sentimento d’amoredi Andrea per Maria e lo trasforma in purodesiderio fisico e in mero istinto di possesso;
a peggiorare le cose viene il ritorno di Elena aRoma in compagnia dal marito Lord HumphreyHeathfield;
Andrea è dilaniato tra due amori e due donnecompletamente diverse: Elena e Maria.
Struttura e vicenda
Libro quarto, diviso in 3 capitoli:
Andrea sovrappone sempre di più le immagini
delle due donne e alla fine, dilaniato
internamente dal fatto che Elena continua la sua
vita ignorandolo, ne invoca il nome mentre si
trova tra le braccia di Maria;
il romanzo si conclude con la vendita all’asta dei
mobili del palazzo di Maria Ferres, causata dal
fallimento del marito, e con Andrea che si aggira
smarrito per le stanze oramai vuote.
Andrea Sperelli
Il conte Andrea Sperelli-Fieschi d’Ugenta, unico erede,
proseguiva la tradizione familiare. Egli era, in verità, l’ideal
tipo del giovine signore italiano nel XIX secolo, il legittimo
campione d’una stirpe di gentiluomini e di artisti eleganti,
l’ultimo discendente d’una razza intellettuale. Egli era, per
così dire, tutto impregnato di arte. La sua adolescenza,
nutrita di studi varii e profondi, parve prodigiosa. Egli alternò,
fino a’ vent’anni, le lunghe letture coi lunghi viaggi in
compagnia del padre e poté compiere la sua straordinaria
educazione estetica sotto la cura paterna, senza restrizioni e
constrizioni di pedagoghi. Dal padre appunto ebbe il gusto
delle cose d’arte, il culto spassionato della bellezza, il
paradossale disprezzo de’ pregiudizi, l’avidità del piacere.
(Libro I, cap. II)
Tutto penetrato e imbevuto di arte, non aveva ancora
prodotto nessuna opera notevole. (cap. II)
Nel tumulto delle inclinazioni contraddittorie egli aveva
smarrito ogni volontà ed ogni moralità. La volontà abdicando,
aveva ceduto lo scettro agli istinti; il senso estetico aveva
sostituito il senso morale. Ma codesto senso estetico
appunto, sottilissimo e potentissimo e sempre attivo, gli
manteneva nello spirito un certo equilibrio; così che si poteva
dire che la sua vita fosse una continua lotta di forze contrarie
chiusa ne’ limiti di un certo equilibrio. (Libro I, cap. II)
In casa della marchesa d’Ateleta sua cugina, sopra un albo di
confessioni mondane, accanto alla domanda «Che cosa
vorreste voi essere?» egli aveva scritto «principe romano».
Giunto a Roma in sul finire di settembre del 1884, stabilì il suo
home nel Palazzo Zuccari alla Trinità de’ Monti, su quel
dilettoso tepidario cattolico dove l’ombra dell’obelisco di Pio VI
segna la fuga delle Ore. Passò tutto il mese di ottobre tra le
cure degli addobbi; poi, quando le stanze furono ornate e
pronte, ebbe nella nuova casa alcuni giorni d’indicibile
tristezza. Era una estate di San Martino, una primavera de’
morti grave e soave, in cui Roma adagiatasi, tutta quanta d’oro
come una città dell’Estremo Oriente, sotto un ciel quasi latteo,
diafano come i cieli che si specchiano ne’ mari australi. Quel
languore dell’aria e della luce, ove tutte le cose parevano quasi
perdere la loro realtà e divenire immateriali, mettevano nel
giovine una prostrazione infinita, un senso inesprimibile di
scontento, di sconforto, di solitudine, di vacuità, di nostalgia.
(Libro I, cap. II)
Roma nel Piacere
la Roma preferita da Sperelli;
la Roma dell’amore;
la Roma delle ville nobiliari;
la Roma del dissidio interiore e della morte;
la Roma fantastica e indeterminata,
trasfigurata in dimensione onirica
dell’esistenza;
la Roma degli altri: il popolo;
la Roma della speculazione.
Roma era il suo grande amore: non la Roma dei Cesari ma la
Roma dei Papi; non la Roma degli Archi, delle Terme, dei
Fori, ma la Roma delle Ville, delle Fontane, delle Chiese. Egli
avrebbe dato tutto il Colosseo per la Villa Medici, il Campo
Vaccino per la Piazza di Spagna, l’Arco di Tito per la
Fontanella delle Tartarughe. La magnificenza principesca dei
Colonna, dei Doria, dei Barberini l’attraeva assai più della
ruinata grandiosità imperiale. E il suo gran sogno era di
possedere un palazzo incoronato da Michelangelo e istoriato
dai Carracci, come quello Farnese; una galleria piena di
Raffaelli, di Tiziani, di Domenichini, come quella Borghese;
una villa, come quella d’Alessandro Albani, dove i bussi
profondi, il granito rosso d’Oriente, il marmo bianco di Luni, le
statue della Grecia, le pitture del Rinascimento, le memorie
stesse del luogo componessero un incanto intorno a qualche
suo superbo amore. (Libro I, cap. II)
La Roma dell’amore
Essi comprendevano l’alto grido del poeta:
«Eine Welt zwar bist Du, o Rom! Tu sei un
mondo, o Roma! Ma senza l’amore il
mondo non sarebbe il mondo, Roma
stessa non sarebbe Roma». E la scala
della Trinità de’ Monti glorificata dalla lenta
ascensione del Giorno, era la scala della
Felicità, per l’ascensione della bellissima
Elena Muti. (Libro I, cap. IV)
La Roma delle ville nobiliari
Per essi Roma s’illuminava d’una voce novella. Ovunquepassavano, lasciavano una memoria d’amore. […] Le villedei cardinali e dei principi: la Villa Pamphily, che si rimiranelle sue fonti e nel suo lago tutta graziata e molle, oveogni boschetto par chiuda un nobile idillio ed ove i balaustrilapidei e i fusti arborei gareggian di frequenza; la villaAlbani, fredda e muta come un chiostro, selva di marmieffigiati e museo di bussi centenarii, ove dai vestiboli e daiportici, per mezzo alle colonne di granito, le cariatidi e leerme, simboli d’immobilità, contemplano l’immutabilesimmetria del verde; e la Villa Medici che pare una forestadi smeraldo ramificante in una luce soprannaturale; e laVilla Ludovisi, un po’ selvaggia, profumata di viole,consacrata dalla presenza della Giunone cui Wolfgangadorò, ove in quel tempo i platani d’Oriente e i cipressidell’Aurora, che parvero immortali, rabbrividivano nelpresentimento del mercato e della morte; tutte le villegentilizie, sovrana gloria di Roma, conoscevano il loroamore. (Libro I, cap. IV)
la Roma del dissidio interiore e della
morte
La città giaceva estinta, come sepolta
dalla cenere d’un vulcano invisibile,
silenziosa e funerea come una città
disfatta da una pestilenza, enorme,
informe, dominata dalla Cupola che le
sorgeva dal grembo come una nube.
(Libro IV, cap. I)
la Roma fantastica e indeterminata, trasfigurata in
dimensione onirica dell’esistenza
Splendeva su Roma, in quella memorabile notte di febbraio,un plenilunio favoloso, di non mai veduto lume. L’aria parevaimpregnata come d’un latte immateriale; tutte le coseparevano esistere d’una esistenza di sogno, parevano imaginiimpalpabili come quelle d’una meteora, parevan esser visibilidi lungi per un irradiamento chimerico delle loro forme. Laneve copriva tutte le verghe dei cancelli, nascondeva il ferro,componeva un’opera di ricamo più leggera e più gracile d’unafiligrana, che i colossi ammantati di bianco sostenevano comele querci sostengono le tele dei ragni. Il giardino fioriva asimilitudine d’una selva immobile di gigli enormi e difformi,congelato; era un orto posseduto da una incantazionelunatica, un esanime paradiso di Selene. Muta, solenne,profonda, la casa dei Barberini occupava l’aria: tutti i rilievigrandeggiavano candidissimi gittando un’ombra cerulea,diafana come una luce; e quei candori e quelle ombresovrapponevano alla vera architettura dell’edifizio il fantasmad’una prodigiosa architettura ariostea. (Libro III, cap. III)
la Roma degli altri: il popoloCome i due entrarono, nella gente dell’osteria nonavvenne alcun moto di meraviglia. Tre o quattro uominifebricitanti stavano intorno a un braciere quadrato,taciturni e giallastri. Un bovaro, di pel rosso,sonnecchiava in un angolo, tenendo ancora fra i denti lapipa spenta. Due giovinastri, scarni e biechi, giocavano acarte, fissandosi negli intervalli con uno sguardo pienod’ardor bestiale. E l’ostessa, una femmina pingue,teneva fra le braccia un bambino, cullandolopesantemente. Mentre Elena beveva l’acqua nelbicchiere di vetro, la femmina le mostrava il bambino,lamentandosi. «Guardate, signora mia! Guardate,signora mia!» Tutte le membra della povera creaturaerano di una magrezza miserevole; le labbra violaceeerano coperte come di grumi lattosi. Pareva quasi che lavita fosse di già fuggita da quel piccolo corpo, lasciandouna materia su cui ora le muffe vegetavano. (Libro I, cap.I)
La prospettiva ideologica
Sotto il grigio diluvio democratico odierno,
che molte belle cose e rare sommerge
miseramente, va anche a poco a poco
scomparendo quella special classe di antica
nobiltà italica, in cui era tenuta viva di
generazione in generazione una certa
tradizione familiare d’eletta cultura,
d’eleganza e di arte. (Libro I, cap. II)
La Roma della speculazioneRoma splendeva, nel mattino di maggio, abbracciata dal
sole. Lungo la corsa, una fontana illustrava del suo risoargenteo una piazzetta ancor nell’ombra; il portone d’unpalazzo mostrava il fondo d’un cortile ornato di portici estatue; dall’architrave barocco d’una chiesa di travertinopendevano i paramenti del mese di Maria. Sul ponteapparve il Tevere lucido fuggente tra le case verdastre,verso l’isola di San Bartolomeo. Dopo un tratto di salita,apparve la città immensa, augusta, radiosa, irta dicampanili, di colonne e d’obelischi, incoronata di cupolee di rotonde, nettamente intagliata, come un’acropoli, nelpieno azzurro. «Ave, Roma. Morituri te salutant» disseAndrea Sperelli, gittando il residuo della sigaretta versol’Urbe. […] Erano nella villa Sciarra, già per metàdisonorata dai fabbricanti di case nuove; e passavano inun viale di lauri alti e snelli, tra due spalliere di rose.(Libro I, cap. V)
Il tema dell’amore tra spiritualità ed eros
Dicotomia dell’amore in Sperelli:
- amore spirituale: Maria Ferres
- amore carnale (eros): Elena Muti
- Impossibilità di ricomposizione di questi due aspetti →
prevalenza in Sperelli dell’influenza del secondo.
- Amore carnale = pulsione monomaniacale = dimensione sado-
masochistica = morte (perdita dell’identità e annichilimento della
volontà)
- Amore carnale → importanza dello sguardo come mezzo di
‘possesso’: → per Hugo von Hofmannsthal (Der neue Roman von
d’Annunzio), ognuno cade «sotto lo sguardo implacabile dell’altro,
ognuno viene divorato dall’attenzione dell’altro».
- Sguardo = Medusa
Il tema dell’amore tra spiritualità ed eros
Lo scudo con la testa di Medusa di Caravaggio (Firenze, Galleria
degli Uffizi)
Il tema dell’amore tra spiritualità ed eros
Andrea Sperelli lo seguì con lo sguardo, fin su la soglia, inquieto.
Rimasto solo, fu preso da una terribile angoscia. La stanza,
tappezzata di damasco rosso cupo, come la stanza dove Elena due
anni innanzi erasi data a lui, gli parve allora tragica e lugubre. Forse
quelle erano le tappezzerie medesime che avevano udite le parole di
Elena: – Mi piaci! – L’armario aperto lasciava vedere le file dei libri
osceni, le rilegature bizzarre impresse di simboli fallici. Alla parete
pendeva il ritratto di Lady Heathfield accanto a una copia della Nelly
O’Brien di Joshua Reynolds. Ambedue le creature, dal fondo della
tela, guardavano con la stessa intensità penetrante, con lo stesso
ardor di passione, con la stessa fiamma di desiderio sensuale, con la
stessa prodigiosa eloquenza; ambedue avevano la bocca ambigua,
enigmatica, sibillina, la bocca delle infaticabili ed inesorabili bevitrici
d’anime; e avevano ambedue la fronte marmorea, immacolata,
lucente d'una perpetua purità. […] Andrea avrebbe dato qualunque
prezzo per sottrarsi al supplizio che l’aspettava ed era attratto da
quel supplizio. (Libro IV, cap. I)
Il tema dell’amore tra spiritualità ed eros
Nelly o’Brian di Joshua Reynolds
Sintesi dei temi de Il piacere
I temi che emergono de Il Piacere sono quindi:
- l’affermazione della figura dell’esteta intellettuale inquieto, che
vive in un mondo tutto suo, dominato dal culto della bellezza;
- ma, al contempo, la critica implicita, attraverso la messa in
rilievo dei difetti di Sperelli, della società aristocratica e alto
borghese di fine Ottocento, completamente vuota di contenuti
e sentimenti;
- la descrizione della Roma rinascimentale-barocca come spazio
privilegiato per l’esistenza dell’intellettuale esteta;
- l’avversione nei confronti delle masse popolari e della folla:
- la riflessione sui diversi tipi di amore: da quello finalizzato al
puro piacere, il cui raggiungimento diventa una vera e propria
ossessione, all’amore puro e spirituale.
Giovanni Pascoli (1855-1912)
Il fanciullino1a ed. 1897 sul “Il Marzocco” , 2° ed. 19023 nel volume
Miei pensieri di varia umanità, infine 3° ed. nel 1907
nella raccolta Pensieri e discorsi.
È diviso in 20 capitoli.
Postulati principali:
La poesia non è logos, ma è una perenne capacità di stupore
infantile, in una disposizione irrazionale che può permanere
dentro di noi anche in età adulta, soprattutto durante la
vecchiaia.
Il fanciullino, sovvertendo le norme della razionalità, rende le
cose grandi piccole e quelle piccole grandi per poterle
osservare meglio, e, di conseguenza, adatta la misura delle
cose alle sue esigenze conoscitive; questa disposizione
alogica fa sì che nelle cose – anche in quelle quotidiane e
familiari – si scoprano somiglianze e relazioni inconsuete.
Il fanciullinoPascoli esalta quindi l’infanzia, vista come candore e bontà, come
innocenza e confidente e immaginoso rapporto col mondo;
l’infanzia è il “nido” non disfatto, cioè da punto di vista della sua
biografi, la famiglia prima dell’uccisione del padre, prima
dell’intervento brutale degli uomini e della storia che disarticola
quel legame naturale.
Pascoli, con questo testo, si inquadra nel Simbolismo francese di
fine Ottocento che mira a superare i limiti logico-razionali entro i
quali sembrava dovesse operare la poesia: il poeta assimila
l’attività poetica allo stupore infantile e a una sorta di capacità
prelogica, il cui eco può permanere ed echeggiare ancora
nell’animo dell’uomo adulto.
Il fanciullino: fontiIl Fedone di Platone: fine ultimo del far poesia è esorcizzare la
morte e tenere a bada l’angoscia esistenziale attraverso quella
forma di sopravvivenza, sia pure provvisoria, che è la parola.
La Scienza nuova di Vico, nella quale si trova la metafora del
fanciullo applicata all’uomo primitivo; Vico si concentra anche sul
rapporto tra il pensiero dei primitivi e il loro linguaggio: così come
l’uomo primitivo vichiano, il fanciullino pascoliano dà nome alle
cose, scopre tra loro somiglianze e relazioni, e adattando i nome
delle une a quelli delle altre, ne arricchisce i significati
attribuendo più ‘pensieri’ a una sola ‘parola’.
Il fanciullino: fontiLeopardi, teorizzatore della coincidenza tra la condizione del poeta
con quella dell’uomo delle origini del mondo oppure con quella
dell’infanzia, (cfr. la canzone Ad Angelo Mai: “Assai più vasto /
l’etra sonante e l’alma terra e il mare / al fanciullin, che non al
saggio appare”).
Spencer (Principles of sociology) e di Sully (Études sur l’énfance):
sono saggi che riflettono sulle analogie tra lo sviluppo della
società dal mondo primitivo a quello civile e lo sviluppo
dell’essere umano dallo stato infantile a quello senile.
Pascoli: l’ideologiaPascoli antimoderno e Pascoli antiscientifico.
In ciò Pascoli rispecchia si inserisce in quel generale orientamento
del tempo, in quella progressiva crisi delle certezze positivistiche
di cui si è già detto e che è tipico del Decadentismo,
ma
In generale i decadenti lo concretizzavano o nel vagheggiamento di
un mondo di pura bellezza e di edonismo (Huysmans, Wilde,
d’Annunzio), o in una sperimentazione del nuovo sul piano
biografico e su quello espressivo (Rimbaud)
Pascoli, invece, lo concretizza certamente nello sperimentalismo
linguistico-strutturale, ma anche in un ripiegamento intimistico,
nel vagheggiamento della campagna e delle umili cose come un
paradiso perduto → rifiuto della storia.
Pascoli: l’ideologia e le contraddizioniPascoli socialista, poeta-vate e animato da un generico
umanitarismo: questi elementi possono essere collegati al
vagheggiamento di una legge d’amore mirante a regolare la
convivenza umana al di là della storia e nel nome della fraternità,
e non sono altro che il mito dell’infanzia trasportato dal piano
individuale a quello della collettività.
Pascoli nazionalista: aspetto da ricondurre ancora al concetto di
“nido”, perché col tempo il suo valore semantico si allarga da una
dimensione familiare a una nazionale: Pascoli auspica che gli
italiani superino ogni lotta di classe per riunirsi compatti nel “nido”
comune, l’Italia.
La produzione pascoliana
Poesia «intimista»:
Myricae (edizioni principali: 1891, 1892, 1894, 1897, 1900, 1903, 1911);
Poemetti (1897); Canti di Castelvecchio (1903): Primi poemetti (1904);
Nuovi poemetti (1909)
Poesia sul mondo classico:
Poemi conviviali (1904, pubblicati prima sul “Convito” di Adolfo De Bosis e da
ciò il titolo)
Poesia e testi patriottici:
Odi e Inni (1906); La grande proletaria si è mossa (1911); Poemi italici (1911);
Poemi del Risorgimento (incompiuti e pubblicati postumi con l’Inno a Roma e
l’Inno a Torino, composti in latino per il cinquantesimo dell’Unità d’Italia e poi
tradotti in italiano dallo stesso Pascoli); Canzoni di re Enzio (1908-1909)
Pascoli poeta in latino e autore di saggi di critica letteraria,
leopardiani e danteschi.
Pascoli: una forma nuova di poesia
P. P. Pasolini: «assai ricco e complesso è l’apporto del Pascoli alle
forme poetiche del Novecento: determinante anzi, se in definitiva
la lingua poetica di questo secolo è uscita dalla sua
elaborazione».
G. Barberi Squarotti: «lo sperimentalismo pascoliano si esercita
interamente sulle forme e sulle scritture».
Elementi della poesia pascoliana
Pascoli e la natura: la descrizione degli oggetti della natura e della
vita di campagna ha sia un valore oggettivo sia un valore
soggettivo, perché si caricano di significati nascosti, diventano la
proiezione dei sentimenti del poeta, e quindi proprio attraverso
l’oggetto si esprime il soggetto, per il quale non esistono più
gerarchie di valore, di significato o d’importanza precostituite, ma
in una prospettiva di assoluta alogicità, l’infinitamente piccolo può
accostarsi ed avere la stessa importanza dell’infinitamente
grande e viceversa.
Pascoli: una forma nuova di poesia
Elementi della poesia pascoliana
Pascoli e la poesia: la poesia è l’unico strumento possibile di
conoscenza del mondo, che instaura parallelismi simbolici e
soggettivi nella percezione della realtà.
Pascoli e il «nido»: Il simbolo ricorrente con maggior frequenza nella
poesia pascoliana è l’immagine del “nido”, caldo, segreto,
raccolto in una sua esistenza senza rapporti con l’esterno e nel
quale Pascoli traduce il proprio fortissimo legame con la sua
famiglia comprensiva sia dei vivi ma soprattutto i morti, sempre
tenacemente presenti; importante è quindi la memoria
dell’infanzia e dei lutti che hanno colpito il nucleo familiare,
disperdendolo; da questa realtà sono esclusi i rapporti sociali e
soprattutto quelli amorosi: l’elemento erotico è quasi
completamente assente dalla sua poesia e dalla sua vita perché
sentito come minaccia alla sicurezza del “nido”.
Pascoli: una forma nuova di poesia
Elementi della poesia pascoliana
Pascoli e le cose umili: il simbolismo e il vagheggiamento legati alle
piccole e umili cose tipiche del mondo campestre sono da
interpretare come evasione dalla storia, dagli scontri di volontà e
di interessi che la società neo-industriale, liberale e capitalistica
di quegli anni rendeva sempre più brutali e che nella situazione
italiana dell’ultimo Ottocento si presentavano in campo politico-
sociale con particolare intensità.
Quindi: dilatazione dei confini del ‘poetabile’ e ampliamento del
campo lessicale con l’utilizzo dei termini gergali, all’uso
dell’onomatopea, del verso “parlato”.
Pascoli: modalità tecniche e stilistiche della sua
poesia
Elementi della poesia pascoliana
Contini: in Pascoli tre livelli linguistici, grammaticale, pre-
grammaticale e post-grammaticale; la lingua grammaticale è
quella codificata, la lingua pre-grammaticale è al di qua della
codificazione, in quanto costituita dalle onomatopee e con valore
fonosimbolico; la lingua post-grammaticale è invece al di là della
codificazione, in quanto consta di termini tecnici e gergali.
Pascoli: modalità tecniche e stilistiche della sua
poesia
Elementi della poesia pascoliana
La metrica: Pascoli lavora sia sul ritmo che sul timbro della lirica,
giocando sulla compresenza di due diversi piani, uno evidente,
l’altro nascosto. Pascoli accoglie i versi e i sistemi strofici
tradizionali per valersene come un primo piano, scoperto, ma al
contempo fa emergere il secondo piano, meno evidente, che
dissolve la compattezza metrica tradizionale facendo riaffiorare
un sottofondo metrico e ritmico diverso.
L’emersione del secondo piano avviene sia attraverso una continua
frantumazione sintattica e metrica operata da cesure, parentesi,
puntini sospensivi, enjambements, sia attraverso un uso sapiente
e capillare dei legami fonici (assonanze, allitterazioni,
“disseminazione” fonica di una parola nei versi circostanti ecc.).
Pascoli: modalità tecniche e stilistiche della sua
poesia
Elementi della poesia pascoliana
Infine, la poetica pascoliana è basata prevalentemente sull’uso del
simbolo; caratteristica del simbolo è quella di non avere
un’interpretazione univoca, ma una o più interpretazioni possibili,
ciascuna delle quali ha una sua plausibilità.
Pascoli: Myricae
La raccolta si è formata lungo un arco di tempo molto ampio, fra gli
ultimi anni Settanta dell’Ottocento e il 1900, e abbraccia diversi; il
grosso del lavoro, tuttavia, si situa fra il 1889 e il 1893
La raccolta conta nove edizioni, dalla prima del 1891, che
comprende appena 22 componimenti, all’ultima del 1911:
l’ordinamento definitivo è raggiunto nella quinta edizione (1900),
che consta di 156 poesie; i 22 testi della prima edizione salgono
a 72 nella seconda, che segue pochi mesi dopo (1892).
Nella terza edizione (1894) i componimenti raggiungono il numero di
116: molti di quelli aggiunti sono di tema funebre, a cominciare
dal poemetto iniziale, Il giorno dei morti: il ricordo dei suoi defunti
suscita in Pascoli il rimpianto per una felicità perduta, del “nido”
familiare che si può ricostruire solo attraverso una sorta di
ricongiungimento memoriale dei morti ai vivi.
Pascoli: genesi della lirica Patria
«E ho veduto i grandi cantieri gialleggianti delle stoppie, e
le grandi viti tra gli olmi coi pampini già un poco
accartocciati e striduli. Il cielo azzurro con qualche
spennellata di nuvole bianche e trasparenti. Una grande
calma dappertutto, e il grosso palpito, e la romba cupa in
qualche parte di quella campagna, d’una trebbiatrice».
Pascoli: Patria
Sogno d’un dì d’estate.
Quanto scampanellare
tremulo di cicale!
Stridule pel filare
moveva il maestrale
le foglie accartocciate.
Scendea tra gli olmi il sole
in fascie polverose;
erano in ciel due sole
nuvole, tenui, róse;
due bianche spennellate
in tutto il ciel turchino.
Siepi di melograno,
fratte di tamerice,
il palpito lontano
d’una trebbiatrice
l’angelus argentino…
dov’ero? Le campane
mi dissero dov’ero,
piangendo, mentre un cane
latrava al forestiero,
che andava a capo chino.
Pascoli: rime in Patria
Sogno d’un dì d’estATE.
Quanto scampanellARE
tremulo di cicALE!
Stridule pel filARE
moveva il maestrALE
le foglie accartocciATE.
Scendea tra gli olmi il sole
In fascie polverose;
erano in ciel due sole
nuvole, tenui, róse;
due bianche spennellATE
in tutto il ciel turchino.
Siepi di melogrANO,
fratte di tamerice,
il palpito lontANO
d’una trebbiatrice
l’angelus argentino…
dov’ero? Le campANE
mi dissero dov’ero,
piangendo, mentre un cANE
latrava al forestiero,
che andava a capo chino.
Pascoli: dispersione anagrammatica del
sostantivo «tremulo» in Patria
T = quanTo, sTridulo, maesTrale, accarTocciaTe;
R = scampanellaRe, stRidule, filaRe, maestRale,
accaRtocciate;
[TR] = sTRidule, maesTRale, accaRTocciate;
[EM] (voc. + ‘m’, ‘n’ o ‘l’) = quANto, scAMpANELLar,
cicALe, stridULe, pEL, fILsre, IL maestrALe;
M = scaMpanellare, Moveva, Maestrale;
[ULO] = stridULO
L = scampaneLLare, cicaLe, striduLe, peL fiLare, iL
maestraLe;
O = stridulO
Pascoli: Orfano
Lenta la neve fiocca, fiocca, fiocca.
Senti: una zana dondola piano piano.
Un bimbo piange, il piccolo dito in bocca;
Canta una vecchia, il mento sulla mano.
La vecchia canta: intorno al tuo lettino
C’è rose e gigli, tutto un bel giardino.
Nel bel giardino il bimbo si addormenta
La neve fiocca lenta, lenta, lenta.
.
Pascoli: fonti della lirica Arano
Promessi sposi (cap. IV) : «A destra e a sinistra, nelle
vigne, sui tralci ancora tesi, brillavan le foglie rosseggianti a
varie tinte; e la terra lavorata di fresco, spiccava bruna e
distinta ne’ campi di stoppie biancastre e luccicanti nella
guazza»
Pascoli: Arano
Al campo, dove roggio nel filare
qualche pampano brilla, e dalle fratte
sembra la nebbia mattinal fumare,
arano: a lente grida, uno le lente
vacche spinge; altri semina; un ribatte
le porche con sua marra paziente;
ché il passero saputo in cor già gode,
e il tutto spia dai rami irti del moro;
e il pettirosso: nelle siepi s'ode
il suo sottil tintinno come d'oro.
Pascoli: tessiture fonemiche di «tintinno» in
Arano
le due ‘t’ di TinTinno trovano come un’anticipazione in
TuTTo, peTTirosso, soTTil;
TInTInno è preceduto immediatamente da sotTIl: la ‘i’ ha
una presenza forte in tutta la quartina, in particolare al
verso 8, dove la sinalefe in 7a mette in forte rilievo IrTI;
La ‘o’ finale di tintinnO è subito ripresa da cOme e OrO;
OrO rima con mORO ed è in assonanza con le altre due
parole-rima della quartina: gOde e Ode ed è
foneticamente introdotto da rOggiO al v. 1, pOrche al v.
6, passerO e cOr al v. 7, pettirOssO al v. 9.
Pascoli: fonti della lirica Lavandare
Canti popolari marchigiani (1875):
«Retorna, Amore mio, se ci hai speranza, / per te la vita
mia fa penetenza! / Tira lu viente, e nevega li frunna, / de
qua ha da rvenì fideli amante»
«Quando ch’io mi partii dal mio paese, / povera bella mia,
come rimase! / Come l’aratro in mezzo alla maggese».
Pascoli: Lavandare
Nel campo mezzo grigio e mezzo nero
resta un aratro senza buoi, che pare
dimenticato, tra il vapor leggero.
E cadenzato dalla gora viene
lo sciabordare delle lavandare
con tonfi spessi e lunghe cantilene:
Il vento soffia e nevica la frasca,
e tu non torni ancora al tuo paese!
Quando partisti, come son rimasta!
Come l’aratro in mezzo alla maggese.
Pascoli: Lavandare
Nel campo mezzo grigio e mezzo nERO
resta un arATro senza buoi, che pare
dimenticATo, tra il vapor leggERO.
E cadenzATo dalla gora viENE
lo sciabordAre delle lavandAre
con tonfi spessi e lunghe cantilENE:
Il vento soffia e nevica la frasca,
e tu non torni ancora al tuo paESE!
Quando partisti, come son rimasta!
Come l’aratro in mezzo alla maggESE.
Pascoli: fonti della lirica Dialogo
A.E. Brehm La vita degli animali: «chi mai non ha sentito a
sazietà, almeno nei luoghi ove più abbondano i passeri,
quel loro monotono “sclip, sclip, dib, dib”? […]. Per solito
fanno udire um “dib, dib” mentre volano, “sclip” mentre
sono posati, e di ambedue i suoni si servono per
richiamo […] e anche quando sono tranquilli o stanno
mangiando, non sanno trattenersi da un ommesso “dib,
dib, bilp, bilp”».
Sulle rondini: «Un dolce “vitt” che non di rado si prolunga in
“videvitt”, esprime contentezza e si usa come richiamo
[…]. Il verso comincia “virb, virb, videvitt”, si tramuta in
un prolungato barrito, e finisce con “vid, vaid, voida,
zer”».
Pascoli: DialogoScilp: i passeri neri su lo spalto
corrono, molleggiando. Il terren sollo
rade la rondine e vanisce in alto:
vitt...videvitt. Per gli uni il casolare,
l'aia, il pagliaio con l'aereo stollo;
ma per l'altra il suo cielo ed il suo mare.
Questa se gli olmi ingiallano la frasca,
cerca i palmizi di Gerusalemme:
quelli, allor che la foglia ultima casca,
restano ad aspettar le prime gemme.
Dib dib bilp bilp: e per le nebbie rare
quando alla prima languida dolciura
l'olmo già sogna di rigermogliare,
lasciano a branchi la città sonora
e vanno come per la mietitura,
alla campagna, dove si lavora.
Dopo sementa, presso l'abituro
il casereccio passero rimane;
e dal pagliaio, dentro il cielo oscuro
saluta le migranti oche lontane.
Fischia un grecale gelido, che rade:
copre un tendone i monti solitari:
a notte il vento rugge, urla: poi cade.
E tutto è bianco e tacito al mattino
nuovo: e dai bianchi e muti casolari
il fumo sbalza, qua e là turchino.
La neve! (Videvitt: la neve? Il gelo?
ei di voi, rondini, ride:
bianco in terra, nero in cielo,
v'è di voi chi vide... vide... videvitt?)
La neve! Allora, poi che il cibo manca,
alla città dai mille campanili
scendono alla città fumida e bianca;
a mendicare. Dalla lor grondaia
spìano nelle chiostre e nei cortili
la granata o il grembiul della massaia.
Tornano quindi ai campi a seminare
veccia e saggina coi villani scalzi,
e - videvitt - venuta d'oltremare
trovano te che scivoli, che sbalzi,
rondine, e canti: ma non sai la gioia
-scilp - della neve, il giorno che dimoia.
Pascoli: L’assiuolo
Dov’era la luna? ché il cielo
notava in un’alba di perla,
ed ergersi il mandorlo e il melo
parevano a meglio vederla.
Venivano soffi di lampi
da un nero di nubi laggiù;
veniva una voce dai campi:
chiù…
Le stelle lucevano rare
tra mezzo alla nebbia di latte:
sentivo il cullare del mare,
sentivo un fru fru tra le fratte;
sentivo nel cuore un sussulto,
com’eco d’un grido che fu.
Sonava lontano il singulto:
chiù…
Su tutte le lucide vette
tremava un sospiro di vento:
squassavano le cavallette
finissimi sistri d’argento
(tintinni a invisibili porte
che forse non s’aprono più? …);
e c’era quel pianto di morte…
chiù…
Pascoli: tessiture fonemiche della lirica
L’assiuolo
- «notAvA in un’ALbA di perLA», v. 2
- «Ed Ergersi il MandorLO E il MeLO», v. 3
- «da UN Nero di NUbi laggiU’», v. 6
- «sentivo il cullARE del mARE», v. 11 (“sentivo” ritorna
anaforicamente all’inizio dei vv. 12 e 13)
- «fINIsIMI sIstrI d’argeNto / tINtINNI a INvIsIbIlI porte», vv.
20-21 = riverberazioni e disseminazione del sostantivo
“tintinni” nelle 8 parole dei due versi: 46 lettere, di cui 14
I, 7 N e M, 5 T.
Pascoli: Novembre
Gemmea l’aria, il sole così chiaro
che tu ricerchi gli albicocchi in fiore,
e del prunalbo l’odorino amaro
senti nel cuore...
Ma secco è il pruno, e le stecchite piante
di nere trame segnano il sereno,
e vuoto il cielo, e cavo al piè sonante
sembra il terreno.
Silenzio, intorno: solo, alle ventate,
odi lontano, da giardini ed orti,
di foglie un cader fragile. È l’estate
fredda, dei morti.
Pascoli: Ultimo canto
Solo quel campo, dove io volga lento
l’occhio, biondeggia di pannocchie ancora,
e il solicello vi trascolora.
Fragile passa fra’ cartocci il vento:
Uno stormo di passeri s’invola:
nel cielo è un gran pallore di viola.
Canta una sfogliatrice a piena gola:
Amor comincia con canti e con suoni
e poi finisce con lacrime al cuore.
Pascoli: Notte di vento
Allora sentii che non c’era,
che non ci sarebbe mai più...
La tenebra vidi più nera,
più lugubre udii la bufera...
uuh...uuuh...uuuh...
Venìa come un volo di spetri,
gridando ad ogni émpito più:
un fragile squillo di vetri
seguiva quelli ululi tetri...
uuh...uuuh...uuuh...
Oh! Solo nell’ombra che porta
quei gridi... (chi passa laggiù?)
Oh! solo nell'ombra già morta
per sempre... (chi batte alla porta?)
uuh...uuuh...uuh...
Pascoli: Notte di vento
Allora sentii che non c’era,
che non ci sarebbe mai più...
La tenebra vidi più nera,
più lugubre udii la bufera...
uuh...uuuh...uuuh...
Venìa come un volo di spetri,
gridando ad ogni émpito più:
un fragile squillo di vetri
seguiva quelli ululi tetri...
uuh...uuuh...uuuh...
Oh! Solo nell’ombra che porta
quei gridi... (chi passa laggiù?)
Oh! solo nell'ombra già morta
per sempre... (chi batte alla porta?)
uuh...uuuh...uuh...
Modernismo
Manuali di storia della letteratura italiana recenti sulla questione
Decadentismo vs. Modernismo:
1) Baldi-Giusso-Razetti-Zaccaria, Dal testo alla storia dalla storia
al testo (1995): d’Annunzio, Pascoli, Svevo e Pirandello vanno
considerati decadenti per «tradizione ormai consolidata» (cfr.
Carlo Salinari, Miti e coscienza del Decadentismo italiano e
Leone de Castris, Il Decadentismo italiano. Svevo, Pirandello,
D’Annunzio), MA gli ultimi due poi se ne distaccano.
2) Segre-Martignoni, Testi nella storia (1992): separa Pirandello
e Svevo da Pascoli e d’Annunzio e li inserisce, insieme a Tozzi e
Gadda, nel capitolo: I maestri della modernità novecentesca.
ModernismoManuali di storia della letteratura italiana recenti sulla questione
Decadentismo vs. Modernismo:
3) Enrico Malato, Storia della letteratura italiana (1999): Svevo,
insieme con Pirandello e Tozzi, promuove l’istituzione in campo
narrativo della nostra cultura moderna;
4) Giulio Ferroni, Storia della letteratura italiana (1991): occorre
distinguere dal Decadentismo e dalle Avanguardie una
letteratura della «negazione»: autori isolati che sconvolgono la
nozione stessa di personaggio senza necessariamente
proiettarsi verso il futuro o pretendere di accelerare il percorso
della storia o di inventare nuovi linguaggi risolutivi.
ModernismoManuali di storia della letteratura italiana recenti sulla questione
Decadentismo vs. Modernismo:
1) Barberi Squarotti, Storia della civiltà letteraria italiana (1994)
→ Crepuscolari, Futuristi, Pirandello inclusi nel Decadentismo;
2) Ugo Dotti, Storia della letteratura italiana (2007) → inserisce
genericamente Svevo e Pirandello nelle Avanguardie, senza
considerare le loro incompatibilità;
3) Asor Rosa, Storia europea della letteratura italiana (2009) →
criteri di inquadramento vecchi: include nel Decadentismo, oltre
a d’Annunzio e Pascoli, Svevo, Pirandello, le Avanguardie, la
narrativa degli anni ’30 e ’50, la poetica ermetica e post-
simbolista.
ModernismoMotivi delle differenti prospettive critiche:
- crisi della categoria critica di Decadentismo, usata dalla
cultura idealistica e da quella marxistica per darne una
valutazione sostanzialmente negativa;
- Romano Luperini: la stagione del Decadentismo è esistita
anche da noi, ma è durata quanto quella del Verismo e della
Scapigliatura, circa un quindicennio, fra Il piacere (1889) e
Alcyone (1904), fra Myricae (1891) e Poemi conviviali (1904).
- Decadentismo italiano contemporaneo o di poco successivo a
quello francese: in Francia se ne parla a partire dalla
pubblicazione di un sonetto di Verlaine nel 1883 e poi dalla
pubblicazione della rivista «Le décadent» del 1886.
ModernismoPer Luperini la vera nozione del Decadentismo consiste in una
crisi dei valori borghesi declinata:
- o secondo una tendenza artistica volta a rivendicare il valore
positivo dell’artificio e della raffinatezza estetica tipici delle
epoche di tramonto o di decadenza,
- o secondo una tendenza artistica di rifiuto delle poetiche
tradizionali e di creazione di nuove modalità poetiche;
- mentre il Simbolismo, nato poco prima del Decadentismo,
finisce col confluivi facendone parte organicamente.
ModernismoModernismo = nuova fase
Definizione:
Il modernismo è una generica tendenza culturale, che,
prendendo atto della crisi del positivismo, si ispira in maniera
più incisiva alla rottura epistemologica rappresentata alla fine
dell’Ottocento e all’inizio del Novecento da Nietzsche,
Bergson e Freud e afferma veramente quella coscienza di
una radicale separazione dal passato che segna
l’affermazione piena del moderno.
Movimenti e autori precedenti che aprono al moderno:
- Leopardi e la generazione romantica;
- i maestri della modernità: Flaubert, Baudelaire, Verga, De
Roberto, Pascoli e d’Annunzio.
ModernismoDifferenze tra Modernismo e Avanguardie.
Le avanguardie esprimono in versante più oltranzista, della
prospettiva modernista, perché la loro intenzione è quella di:
- rompere definitivamente e violentemente i ponti col passato;
- mettersi alla testa di un processo che deve anticipare il futuro
e far trionfare il progresso;
- travalicare l’azione estetica in azione politica.
Tendenze artistiche primonovecentesche: Avanguardia e
Modernismo: in questa bipartizione Pirandello, Svevo, Tozzi,
Gadda, Montale, Ungaretti e Saba, non aderiranno mai alle
Avanguardie, tenendosene lontani e polemizzando
apertamente con essi.
ModernismoGiacomo Debenedetti ed Erich Auerbach: le categorie tipiche
della narrativa modernista europea:
Debenedetti → l’introduzione del personaggio annichilito
dall’angoscia esistenziale, come in Tozzi; l’invenzione
dell’inetto come anti-personaggio, in Svevo e Pirandello; il
parallelo fra la teoria della fisica dei quanti o la scissione
dell’atomo da un lato e la frammentazione della coscienza e
della psicologia del personaggio dall’altro; il trionfo dei
personaggi-brutti.
Auerbach → Il calzerotto marrone (Mimesis) su Virginia Woolf: il
momentaneo e il fortuito la fanno da padroni, le grandi svolte
della storia perdono la loro importanza; l’accidentale, il
casuale, il frammentario, l’istante ecc. emergono in primo
piano, rivelando la disgregazione e il declino del mondo
borghese, ma essendo anche sintomi della vitalità
insopprimibile di una nuova esistenza possibile.
ModernismoAuerbach → nel modernismo prevale in modo assoluto e
definitivo il soggettivismo prospettico, che non rinuncia affatto
a fornire una idea totalizzante della realtà, ma raggiunge
questo obiettivo mutando radicalmente i modi della
narrazione.
Modernismo: contorni cronologici
Modernismo: è una tendenza, NON un movimento unitario,
perché condivide una stessa cultura, NON una stessa
poetica.
In Italia si sviluppa nel periodo giolittiano, ma raggiunge il
massimo sviluppo tra le due guerre, cioè quando comincia ad
esaurirsi il ciclo delle Avanguardie, e si estingue con l’avvento
del neorealismo postbellico.
Capolavori narrativi: Il fu Mattia Pascal (1904), Novelle per un
anno (1923) e Sei personaggi in cerca d’autore (1921) di
Pirandello, le novelle di Tozzi, La coscienza di Zeno di Svevo
(1923); la Cognizione del dolore (1937) e il Pasticciaccio
(1946) di Gadda.
Capolavori lirici: Allegria di naufragi (1919) e Sentimento del
tempo (1933) di Ungaretti; Ossi di seppia (nell’edizione 1928)
e Le occasioni (1939) di Montale; Il Canzoniere di Saba
(1921, poi 1945).
Luigi Pirandello (1867-1936)Persistenza degli stessi temi in tutta la produzione pirandelliana:
- il contrasto tra apparenza e realtà;
- lo sfaccettarsi della verità (tante verità quanti sono coloro che
presumano di possederla);
- l’assurdità della condizione umana, fissata – pur nella
molteplicità del suo sentire e del suo agire – in categorie
predefinite (adultero, innocente, ladro ecc.) e in un formalismo di
regole e norme che soffoca la vita.
L’umorismo (1908) si basa:
- sul «sentimento del contrario», ossia sulla deriva ironica delle
situazioni più drammatiche;
- sulla contemporanea presenza di rappresentazione e di
riflessione;
- sull’artista che svela con ironia la verità “ufficiale”, fatta di
sostanziale precarietà, proclamata da una società ipocrita e
strenuamente legata alle sue convenzioni;
- sulla possibilità di scomporre i vari aspetti della personalità e a
coglierne le contraddizioni attraverso la ragione.
Luigi Pirandello (1867-1936)Pirandello: rapporti con il Verismo e «la Sicilia come metafora»
della condizione universale dell’essere umano.
I suoi personaggi ‘siciliani’ sono:
- oppressi da una società angusta,
- rinchiusi nei pregiudizi arcaici di questa società,
- desiderosi di aprirsi un varco attraverso la prigione dei tabù
della collettività siciliana,
- insicuri e scettici per l’esito fallimentare che tutte le
esperienze individuali (e storiche) hanno sempre avuto in
Sicilia.
Dimensione europea di Pirandello1) Il poliedrico sfaccettarsi della verità avvicina Pirandello a Proust: Per
il critico E. Wilson esiste uno stretto rapporto tra la nuova
“molteplicità” con la quale viene rappresentato l’essere vivente e le
fondamentali acquisizione della fisica moderna, perché «tutte le
nostre osservazioni sui fenomeni dell’universo sono relative, poiché
dipendono dal luogo in cui ci troviamo, dalla velocità e della
direzione in cui ci stiamo muovendo… Proust ha ricreato il mondo
del romanzo da punto di vista della relatività; ha dato per la prima
volta alla letteratura un equivalente totale delle nuove teorie della
fisica moderna».
2) La concezione dell’arte di Pirandello, nella quale ha tanta parte
l’appello alla ragione, la sua distruzione dell’illusione scenica
tradizionale, la sua concezione del teatro hanno molti punti in
comune con la concezione del teatro di Brecht.
3) I filoni più notevoli del teatro contemporaneo, quelli
dell’incomunicabilità e dell’assurdo da Jonesco a Beckett,
presuppone la lezione di Pirandello.
Luigi Pirandello. Il fu Mattia Pascal: vicende
redazionali ed editoriali
Scritto nei primi anni del Novecento, il romanzo fu pubblicato
a puntate sulla “Nuova Antologia” tra il 16 aprile e il 16 giugno
1904 e immediatamente dopo in volume per i tipi della stessa
rivista.
Riedito nel 1910 e 1918 da Treves con tagli e puntualizzazioni
utili a una maggior aderenza alla poetica dell’“umorismo”, e
nel 1921 presso Bemporad con l’aggiunta di una Avvertenza
sugli scrupoli della fantasia.
Luigi Pirandello. Il fu Mattia Pascal: struttura
18 capitoli + 1 avvertenza (aggiunta nel 1921) divisi in tre blocchi
narrativi:
1) i capp. 1-5, dove prevale la descrizione comico-satirica della
prima vita di Mattia Pascal;
2) i capp. 6-16, quelli della prima morte e della seconda vita nei
quali Mattia Pascal si trasforma in Adriano Meis;
3) i capp. 17-18, quelli della seconda morte e della terza vita, nei
quali Adriano Meis muore per reincarnarsi in Mattia Pascal, ma
quest’ultimo, non potendo più assumere questa identità, diventa il fu
Mattia Pascal.
Luigi Pirandello: Il fu Mattia Pascal«Una delle poche cose, anzi forse la sola che sapevo di certo era
questa: che mi chiamavo Mattia Pascal. E me ne approfittavo. Ogni
volta qualcuno de’ miei amici o conoscenti dimostrava d’aver
perduto il senno fino al punto di venir da me, per qualche consiglio o
suggerimento, mi stringevo nelle spalle, socchiudevo gli occhi e gli
rispondevo:
- Io mi chiamo Mattia Pascal.
- Grazie, caro. Questo lo so.
- E ti par poco?
Non pareva molto, per dir la verità, neanche a me. Ma ignoravo
allora che cosa volesse dire il non saper neppure questo, il non
poter rispondere, cioè, come prima, all’occorrenza:
- Io mi chiamo Mattia Pascal». (Cap. I)
Luigi Pirandello: Il fu Mattia Pascal«Ragioniamo un po’, arrivati a questo punto. Io n’ho viste di tutti i colori.
Passare anche per imbecille o per... peggio, non sarebbe, in fondo, per
me, un gran guajo. Già – ripeto – son come fuori della vita, e non
m’importa più di nulla. Se dunque, arrivato a questo punto, voglio
ragionare, è soltanto per la logica». (Cap. IV)
«Vi seggono, di solito, certi disgraziati, cui la passione del giuoco ha
sconvolto il cervello nel modo più singolare: stanno lì a studiare il così
detto equilibrio delle probabilità, e meditano seriamente i colpi da
tentare, tutta un’architettura di giuoco, consultando appunti su le
vicende de’ numeri: vogliono insomma estrarre la logica dal caso, come
dire il sangue dalle pietre; e son sicurissimi che, oggi o domani, vi
riusciranno.
Ma non bisogna meravigliarsi di nulla.
— Ah, il 12! il 12! — mi diceva un signore di Lugano, pezzo d’omone, la
cui vista avrebbe suggerito le più consolanti riflessioni su le resistenti
energie della razza umana. — Il 12 è il re dei numeri; ed è il mio
numero! Non mi tradisce mai! Si diverte, sì, a farmi dispetti, magari
spesso; ma poi, alla fine, mi compensa, mi compensa sempre della mia
fedeltà». (Cap. VI)
Luigi Pirandello: Il fu Mattia Pascal«Fremevo. Finalmente il treno s’arrestò a un’altra stazione. Aprii lo
sportello e mi precipitai giù, con l’idea confusa di fare qualche cosa,
subito: un telegramma d’urgenza per smentire quella notizia.
Il salto che spiccai dal vagone mi salvò: come se mi avesse scosso
dal cervello quella stupida fissazione, intravidi in un baleno... ma sì!
la mia liberazione la libertà una vita nuova!
Avevo con me ottantaduemila lire, e non avrei più dovuto darle a
nessuno! Ero morto, ero morto: non avevo più debiti, non avevo più
moglie, non avevo più suocera: nessuno! libero! libero! libero! Che
cercavo di più?» (Cap. VII)
«Ero solo ormai, e più solo di com’ero non avrei potuto essere su la
terra, sciolto nel presente d’ogni legame e d’ogni obbligo, libero,
nuovo e assolutamente padrone di me, senza più il fardello del mio
passato, e con l’avvenire dinanzi, che avrei potuto foggiarmi a
piacer mio.
Ah, un pajo d’ali! Come mi sentivo leggero!». (Cap. VIII)
Luigi Pirandello: Il fu Mattia Pascal«— Oh oh oh, che c’entra Copernico! — esclama don Eligio,
levandosi su la vita, col volto infocato sotto il cappellaccio di paglia.
— C’entra, don Eligio. Perché, quando la Terra non girava...
— E dàlli! Ma se ha sempre girato!
— Non è vero. L'uomo non lo sapeva, e dunque era come se non
girasse. Per tanti, anche adesso non gira. L’ho detto l’altro giorno a
un vecchio contadino, e sapete come m’ha risposto? Ch’era una
buona scusa per gli ubriachi. Del resto, anche voi scusate, non
potete mettere in dubbio che Giosuè fermò il Sole». (Cap. II)
«Scelsi allora Roma, prima di tutto perché mi piacque sopra ogni
altra città, e poi perché mi parve più adatta a ospitar con
indifferenza, tra tanti forestieri, un forestiero come me». (Cap. X)
Luigi Pirandello: Il fu Mattia Pascal«Una sola volta mi rivolse, all’improvviso, una domanda particolare: “Perché sta
a Roma lei, signor Meis?” Mi strinsi ne le spalle e gli risposi: “Perché mi piace di
starci…”. “Eppure è una città triste”, osservò egli, scotendo il capo. “Molti si
meravigliano che nessuna impresa vi riesca, che nessuna idea viva vi
attecchisca. Ma questi tali si meravigliano perché non vogliono riconoscere che
Roma è morta”. “Morta anche Roma?” esclamai, costernato. “Da gran tempo,
signor Meis! Ed è vano, credo, ogni sforzo per farla rivivere. Chiusa nel sogno
del suo maestoso passato, non ne vuol più sapere di questa vita meschina che
si ostina a formicolarle intorno. Quando una città ha avuto una vita come quella
di Roma, con caratteri così spiccati e particolari, non può diventare una città
moderna, cioè una città come un’altra. Roma giace là, col suo gran cuore
frantumato, a le spalle del Campidoglio. Son forse di Roma queste nuove case?
Guardi, signor Meis. Mia figlia Adriana mi ha detto dell’acquasantiera, che stava
in camera sua, si ricorda? Adriana gliela tolse dalla camera,
quell’acquasantiera; ma l’altro giorno le cadde di mano e si ruppe: ne rimase
soltanto la conchetta, e questa, ora, è in camera mia, su la mia scrivania, adibita
all’uso che lei per primo, distrattamente, ne aveva fatto. Ebbene signor Meis, il
destino di Roma è l’identico. I papi ne avevano fatto – a modo loro, s’intende –
un’acquasantiera; noi italiani ne abbiamo fatto, a modo nostro, un portacenere.
D’ogni paese siamo venuti qua a scuotervi la cenere del nostro sigaro, che è poi
il simbolo della frivolezza di questa miserrima vita nostra e dell’amaro e
velenoso piacere che essa ci dà». (Cap. X)
Luigi Pirandello: Il fu Mattia Pascal«Io mi vidi escluso per sempre dalla vita, senza possibilità di rientrarvi.
Con quel lutto nel cuore, con quell’esperienza fatta, me ne sarei andato
via, ora, da quella casa, a cui mi ero già abituato, in cui avevo trovato
un po’ di requie, in cui mi ero fatto quasi il nido; e di nuovo per le
strade, senza meta, senza scopo, nel vuoto. La paura di ricader nei
lacci della vita, mi avrebbe fatto tenere più lontano che mai dagli
uomini, solo, solo, affatto solo, diffidente, ombroso; e il supplizio di
Tantalo si sarebbe rinnovato per me. Uscii di casa, come un matto. Mi
trovai dopo un pezzo per la via Flaminia, vicino a Ponte Molle. Che ero
andato a fare lì? Mi guardai intorno; poi gli occhi mi s’affissarono su
l’ombra del mio corpo, e rimasi un tratto a contemplarla; infine alzai un
piede rabbiosamente su essa. Ma io no, io non potevo calpestarla,
l’ombra mia. Chi era più ombra di noi due? Io o lei? Due ombre! Là, là
per terra; e ciascuno poteva passarci sopra: schiacciarmi la testa,
schiacciarmi il cuore: e io, zitto; l’ombra, zitta. […] Mi stropicciai forte la
fronte, per paura che stessi per ammattire, per farmene una fissazione.
Ma sì! Così era! Il simbolo, lo spettro della mia vita era quell’ombra: ero
io, là per terra, esposto alla mercé dei piedi altrui. Ecco quello che
restava di Mattia Pascal, morto alla Stìa: la sua ombra per le vie di
Roma». (Cap. XV)
Luigi Pirandello: Il fu Mattia Pascal«Questo inseguimento, questa costruzione fantastica d’una vita non
realmente vissuta, ma colta man mano negli altri e nei luoghi e fatta
e sentita mia, mi procurò una gioja strana e nuova, non priva d’una
certa mestizia, nei primi tempi del mio vagabondaggio. Me ne feci
un’occupazione. Vivevo non nel presente soltanto, ma anche per il
mio passato cioè per gli anni che Adriano Meis non aveva vissuti.
[…] Nulla s’inventa, è vero, che non abbia una qualche radice, più o
men profonda, nella realtà; e anche le cose più strane possono
esser vere, anzi nessuna fantasia arriva a concepire certe follie,
certe inverosimili avventure che si scatenano e scoppiano dal seno
tumultuoso della vita; ma pure, come e quanto appare diversa dalle
invenzioni che noi possiamo trarne la realtà viva e spirante! Di
quante cose sostanziali, minutissime, inimmaginabili ha bisogno la
nostra invenzione per ridiventare quella stessa realtà da cui fu tratta,
di quante fila che la riallaccino nel complicatissimo intrico della vita,
fila che noi abbiamo recise per farla diventare una cosa a sé!
Or che cos’ero io, se non un uomo inventato? Una invenzione
ambulante che voleva e, del resto, doveva forzatamente stare per
sé, pur calata nella realtà». (cap. VIII)
Luigi Pirandello: Il fu Mattia Pascal— Libero! — dicevo ancora; ma già cominciavo a penetrare il senso e
a misurare i confini di questa mia libertà. Ecco: essa, per esempio,
voleva dire starmene lì, di sera, affacciato a una finestra, a guardare il
fiume che fluiva nero e silente tra gli argini nuovi e sotto i ponti che vi
riflettevano i lumi dei loro fanali, tremolanti come serpentelli di fuoco;
seguire con la fantasia il corso di quelle acque, dalla remota fonte
apennina, via per tante campagne, ora attraverso la città, poi per la
campagna di nuovo, fino alla foce; fingermi col pensiero il mare
tenebroso e palpitante in cui quelle acque, dopo tanta corsa, andavano
a perdersi, e aprire di tratto in tratto la bocca a uno sbadiglio. (Cap. XI)
— Intanto, questo, — egli mi dice: — che fuori della legge e fuori di
quelle particolarità, liete o tristi che sieno, per cui noi siamo noi, caro
signor Pascal, non è possibile vivere. (Cap. XVIII)
Il fu Mattia Pascal: considerazione conclusive
- La condizione degli esseri umani e la realtà dei rapporti sociali, pur
drammatiche o addirittura tragiche che siano, vengono analizzate e
raccontate attraverso il filtro dell’ironia;
- l’ironia e il «sentimento del contrario» sono quindi la modalità
contemporanea di esprimere artisticamente il più netto pessimismo sulla
realtà priva di senso e di logica dell’essere umano;
- lo scenario privilegiato nel quale si svolgono le vicende narrate è
prevalentemente urbano (Roma per Mattia Pascal, Trieste per Zeno
Cosini);
- non esiste più il tempo lineare storico (passato, presente e futuro), e
anche la strutturazione del romanzo guarda sempre di meno alla fabula e
sempre di più all’intreccio, ossia all’ordine arbitrario dato dal narratore ai
fatti che racconta;
- e questo perché il narratore non è più esterno alla storia (onnisciente),
bensì interno (omodiegetico): la narrazione, infatti, viene fatta in prima
persona dal protagonista;
- il punto di vista dal quale il protagonista narra la vicenda non è dunque
imparziale, ma soggettivo, e questo rende difficile al lettore capire qual è la
reale verità dei fatti narrati.
Italo Svevo (1861-1928)
- Una vita, 1892 → protagonista Alfonso Nitti
- Senilità, 1898 → protagonista Emilio Brentani
- La coscienza di Zeno, 1923
Svevo scoperto nel 1926 n Francia da Benjamin
Crémieux, in Italia nel 1925 da Eugenio Montale
(Omaggio a Italo Svevo sulla rivista «L’Esame»).
La coscienza di Zeno è un’indagine su quello che
Umberto Saba definì l’«immenso reame
dell’inconscio» e dei rapporti di questo con la
realtà sociale nella quale l’individuo vive.
Italo Svevo (1861-1928)
«La malattia è una convinzione ed io nacqui con quella convinzione». (Cap. III)
«Quella malattia mi procurò il secondo dei miei disturbi: lo sforzo di liberarmi
dal primo». (Cap. III)
«“Oggi, 2 Febbraio 1886, passo dagli studii di legge a quelli di chimica. Ultima
sigaretta!!”. Era un’ultima sigaretta molto importante. Ricordo tutte le speranze
che l’accompagnarono. M’ero arrabbiato col diritto canonico che mi pareva
tanto lontano dalla vita e correvo alla scienza ch’è la vita stessa benché ridotta
in un matraccio. Quell’ultima sigaretta significava proprio il desiderio di attività
(anche manuale) e di sereno pensiero sobrio e sodo. Per sfuggire alla catena
delle combinazioni del carbonio cui non credevo ritornai alla legge. Pur troppo!
Fu un errore e fu anch’esso registrato da un’ultima sigaretta di cui trovo la data
registrata su di un libro. Fu importante anche questa e mi rassegnavo di
ritornare a quelle complicazioni del mio, del tuo e del suo coi migliori propositi,
sciogliendo finalmente le catene del carbonio. M’ero dimostrato poco idoneo
alla chimica anche per la mia deficienza di abilità manuale. Come avrei potuto
averla quando continuavo a fumare come un turco?». (Cap. III)
Italo Svevo (1861-1928)
«Adesso che son qui, ad analizzarmi, sono colto da un dubbio: che io
forse abbia amato tanto la sigaretta per poter riversare su di essa la
colpa della mia incapacità? Chissà se cessando di fumare io sarei
divenuto l’uomo ideale e forte che m’aspettavo? Forse fu tale dubbio
che mi legò al mio vizio perché è un modo comodo di vivere quello di
credersi grande di una grandezza latente. Io avanzo tale ipotesi per
spiegare la mia debolezza giovanile, ma senza una decisa
convinzione. Adesso che sono vecchio e che nessuno esige qualche
cosa da me, passo tuttavia da sigaretta a proposito, e da proposito a
sigaretta. Che cosa significano oggi quei propositi? Come
quell’igienista vecchio, descritto dal Goldoni, vorrei morire sano dopo di
esser vissuto malato tutta la vita?». (Cap. III)
«[…] tendenza a ridere delle cose più serie». (Cap. IV)
Italo Svevo (1861-1928)
«– Oh, dormi! Dormi fino ad arrivare al sonno eterno! Ed è così che augurai a
mio padre la morte […]. Non so però se tanta ira puerile fosse rivolta al dottore
o non piuttosto a me stesso. Prima di tutto a me stesso, a me che avevo voluto
morto mio padre e che non avevo osato dirlo. Il mio silenzio convertiva quel
mio desiderio ispirato dal più puro affetto filiale, in un vero delitto che mi
pesava orrendamente». Cap. IV
«Non v’è niente di più difficile a questo mondo che di fare un matrimonio
proprio come si vuole. Lo si vede dal caso mio ove la decisione di sposarmi
aveva preceduto di tanto la scelta della fidanzata. Perché non andai a vedere
tante e tante ragazze prima di sceglierne una? No! Pareva proprio mi fosse
spiaciuto di vedere troppe donne e non volli faticare. Scelta la fanciulla, avrei
anche potuto esaminarla un po’ meglio e accertarmi almeno ch’essa sarebbe
stata disposta di venirmi incontro a mezza strada come si usa nei romanzi
d’amore a conclusione felice. Io, invece, elessi la fanciulla dalla voce tanto
grave e dalla capigliatura un po’ ribelle, ma assettata severamente e pensai
che, tanto seria, non avrebbe rifiutato un uomo intelligente, non brutto, ricco e
di buona famiglia come ero io. Già alle prime parole che scambiammo sentii
qualche stonatura, ma la stonatura è la via all’unisono». (Cap. V)
Italo Svevo (1861-1928)
«Io ero abbastanza cólto essendo passato attraverso due facoltà universitarie
eppoi per la mia lunga inerzia, ch’io credo molto istruttiva. Lui, invece, era un
grande negoziante, ignorante ed attivo. Ma dalla sua ignoranza gli risultava
forza e serenità ed io m’incantavo a guardarlo, invidiandolo». (Cap. V)
«– Ma tu sei pazzo, veramente pazzo! […] Quella bambina finì realmente
coll’imbarazzarmi. Se, quando parlavo con gli altri, il mio occhio s’incontrava
nel suo, subito dovevo trovare il modo di guardare altrove ed era difficile di
farlo con naturalezza. Certo arrossivo. Mi pareva che quell’innocente col suo
giudizio potesse danneggiarmi. Le portai dei doni, ma non valsero ad
ammansarla. Essa dovette accorgersi del suo potere e della mia debolezza e,
in presenza degli altri, mi guardava indagatrice, insolente». (Cap. V)