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LETTERATURA FRANCESE François de Malherbe: François de Malherbe è stato un poeta e scrittore francese di nobili origini. Tra le prime opere, compose il poemetto "Le lacrime di San Pietro" di ispirazione barocca. Nel 1605 su commissione di Enrico IV scrisse la "Preghiera per il re che va nel Limosino" e nello stesso anno viene nominato poeta ufficiale e gentiluomo della camera del Re da Enrico IV, rimasto impressionato dalle sue opere successivamente di Maria de' Medici e di Luigi XIII. Nelle sue opere è chiaro l'intento di superare i modelli del manierismo e del barocco, a tal scopo propone uno stile in cui la chiarezza provenga dalla logica, come riteneva fosse giusto per tutte le opere d'ingegno, e a cui si aggiunga la semplicità e il buon senso. Per questo può essere considerato primo teorico del classicismo e riformatore della lingua francese, nonché ispiratore della Académie française; la sua dottrina poetica infatti, raccolta dai discepoli, esercitò un'enorme influenza sull'evoluzione della poesia francese. Malherbe esigeva un linguaggio poetico di assoluta purezza e semplicità, privo di arcaismi, neologismi, provincialismi, al fine di preservare la lingua francese, ma proprio a causa di questa sua volontà di "spogliare" la lingua,si verificò un impoverimento delle possibilità espressive della poesia francese. Per Malherbe il primo stimolo alla poesia non è la tradizione umanistica italiana né l'antichità classica, alla quale attingevano il manierismo e il barocco in voga ai suoi tempi, ma la corte e i rapporti cortesi; ed è per questo che riesce a raggiungere la massima perfezione stilistica anche in brani altrimenti minori, come una richiesta di grazia o il testo di un balletto di corte. Il concetto di “purezza linguistica” era un ideale propugnato dal classicismo, ma aveva anche una valenza politica in quanto la preservazione della lingua francese era uno degli scopi principali di Luigi XII e XIV. Boileau dedicò a Malherbe un verso, cioè “Enfin, Malherbe vient”, che faceva riferimento alla sua capacità di dare alla lingua francese una specifica sonorità. Vi è una citazione importante da ricordare, "Per quanto assoluto voi siate, non sapreste, Sire, abolire o permettere una parola che l'uso non autorizzasse." Malherbe quindi si era già accorto dell'opposizione tra langue e parole di Saussure. Dalla Consolation à M. du Périer, citiamo il verso "Mais elle était du monde où les plus belles choses, ont le pire destin, et rose, elle a vécu ce que vivent les roses l'espace d'un matin." cioè "Ma lei era di quel mondo dove le più belle cose, hanno il peggior destino, e rosa, lei ha vissuto quel che vivono le rose lo spazio d'un mattino. Questi versi celebri meritano una spiegazione: inizialmente Malherbe aveva scritto «Rosette a vécu…», utilizzando il nome della figlia di du Périer. La modifica - molto felice - dei versi per creare l'apposizione («Rose, elle a vécu…») testimonia la cura incessante per la perfezione manifestata da Malherbe. Per la cronaca, quando l'autore pubblicò questa Consolazione, du Périer aveva già avuto il tempo di risposarsi e d'avere due altri figli. Composti verso il 1600, questi versi sono tra i più melodiosi della poesia francese e non possono non essere comparati se non con quelli dalla celebre «Ode à Cassandre» di Pierre de Ronsard: « Mignonne, Allons voir si la rose...». Tuttavia per il lettore italiano, il richiamo più diretto sono i versi «E come tutte le più belle cose | vivesti solo un giorno | come le rose» tratti da La canzone di Marinella di De André. Théophile de Viau: Théophile de Viau è stato un poeta e drammaturgo francese nato in una famiglia ugonotta, che ebbe una vita movimentata. Studiò in una accademia protestante e prese parte alle guerre di religione, dopo la guerra divenne un brillante poeta giovane nella corte reale. Era un seguace di Giulio Cesare Vanini (che mise in discussione l'immortalità dell'anima) e a causa della sua appartenenza radicale al gruppo libertino, Viau fu bandito dalla Francia e si recò in Inghilterra per poi tornare in Francia ed essere riammesso a corte. Lo stile poetico di De Viau rifiutava le forme razionali e classiche di François de Malherbe, infatti le sue opere erano di ispirazione barocca, come nella sua ode "Un corbeau devant moi croasse" ("Un corvo davanti a me gracchia") con immagini pittoresche e fantastiche di tuoni, serpenti e fuoco, come in un dipinto di Salvator Rosa. Nel 1622, Viau fu denunciato e condannato a causa di una raccolta di poemi licenziosi "Le Parnasse satyrique", che uscì a suo nome, sebbene molte composizioni fossero state scritte da altri. La vicenda diede luogo a varie discussioni fra gli studiosi e gli intellettuali:

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LETTERATURA FRANCESE

François de Malherbe: François de Malherbe è stato un poeta e scrittore francese di nobili origini. Tra le

prime opere, compose il poemetto "Le lacrime di San Pietro" di ispirazione barocca. Nel 1605 su

commissione di Enrico IV scrisse la "Preghiera per il re che va nel Limosino" e nello stesso anno viene

nominato poeta ufficiale e gentiluomo della camera del Re da Enrico IV, rimasto impressionato dalle sue

opere successivamente di Maria de' Medici e di Luigi XIII. Nelle sue opere è chiaro l'intento di superare i

modelli del manierismo e del barocco, a tal scopo propone uno stile in cui la chiarezza provenga dalla

logica, come riteneva fosse giusto per tutte le opere d'ingegno, e a cui si aggiunga la semplicità e il buon

senso. Per questo può essere considerato primo teorico del classicismo e riformatore della lingua francese,

nonché ispiratore della Académie française; la sua dottrina poetica infatti, raccolta dai discepoli, esercitò

un'enorme influenza sull'evoluzione della poesia francese. Malherbe esigeva un linguaggio poetico di

assoluta purezza e semplicità, privo di arcaismi, neologismi, provincialismi, al fine di preservare la lingua

francese, ma proprio a causa di questa sua volontà di "spogliare" la lingua,si verificò un impoverimento

delle possibilità espressive della poesia francese. Per Malherbe il primo stimolo alla poesia non è la

tradizione umanistica italiana né l'antichità classica, alla quale attingevano il manierismo e il barocco in

voga ai suoi tempi, ma la corte e i rapporti cortesi; ed è per questo che riesce a raggiungere la massima

perfezione stilistica anche in brani altrimenti minori, come una richiesta di grazia o il testo di un balletto di

corte. Il concetto di “purezza linguistica” era un ideale propugnato dal classicismo, ma aveva anche una

valenza politica in quanto la preservazione della lingua francese era uno degli scopi principali di Luigi XII e

XIV. Boileau dedicò a Malherbe un verso, cioè “Enfin, Malherbe vient”, che faceva riferimento alla sua

capacità di dare alla lingua francese una specifica sonorità. Vi è una citazione importante da ricordare, "Per

quanto assoluto voi siate, non sapreste, Sire, abolire o permettere una parola che l'uso non autorizzasse."

Malherbe quindi si era già accorto dell'opposizione tra langue e parole di Saussure. Dalla Consolation à M.

du Périer, citiamo il verso "Mais elle était du monde où les plus belles choses, ont le pire destin, et rose, elle

a vécu ce que vivent les roses l'espace d'un matin." cioè "Ma lei era di quel mondo dove le più belle cose,

hanno il peggior destino, e rosa, lei ha vissuto quel che vivono le rose lo spazio d'un mattino. Questi versi

celebri meritano una spiegazione: inizialmente Malherbe aveva scritto «Rosette a vécu…», utilizzando il

nome della figlia di du Périer. La modifica - molto felice - dei versi per creare l'apposizione («Rose, elle a

vécu…») testimonia la cura incessante per la perfezione manifestata da Malherbe. Per la cronaca, quando

l'autore pubblicò questa Consolazione, du Périer aveva già avuto il tempo di risposarsi e d'avere due altri

figli. Composti verso il 1600, questi versi sono tra i più melodiosi della poesia francese e non possono non

essere comparati se non con quelli dalla celebre «Ode à Cassandre» di Pierre de Ronsard: « Mignonne,

Allons voir si la rose...». Tuttavia per il lettore italiano, il richiamo più diretto sono i versi «E come tutte le

più belle cose | vivesti solo un giorno | come le rose» tratti da La canzone di Marinella di De André.

Théophile de Viau: Théophile de Viau è stato un poeta e drammaturgo francese nato in una famiglia

ugonotta, che ebbe una vita movimentata. Studiò in una accademia protestante e prese parte alle guerre di

religione, dopo la guerra divenne un brillante poeta giovane nella corte reale. Era un seguace di Giulio

Cesare Vanini (che mise in discussione l'immortalità dell'anima) e a causa della sua appartenenza radicale al

gruppo libertino, Viau fu bandito dalla Francia e si recò in Inghilterra per poi tornare in Francia ed essere

riammesso a corte. Lo stile poetico di De Viau rifiutava le forme razionali e classiche di François de

Malherbe, infatti le sue opere erano di ispirazione barocca, come nella sua ode "Un corbeau devant moi

croasse" ("Un corvo davanti a me gracchia") con immagini pittoresche e fantastiche di tuoni, serpenti e

fuoco, come in un dipinto di Salvator Rosa. Nel 1622, Viau fu denunciato e condannato a causa di una

raccolta di poemi licenziosi "Le Parnasse satyrique", che uscì a suo nome, sebbene molte composizioni

fossero state scritte da altri. La vicenda diede luogo a varie discussioni fra gli studiosi e gli intellettuali:

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furono pubblicati 55 saggi, sia a favore che contro de Viau. Egli scrisse poemi satirici, sonetti, odi ed elegie,

come "Piramo e Tisbe" (tragedia in 5 atti, rappresentata nel 1621 che diede origine a Romeo e Giulietta),

Traité de l'immortalité de l'âme, traduzione libera del Fedone di Platone e "La Maison de Sylvie" dieci odi

dedicate al suo ultimo protettore.

Biencéances: è una forma di rispetto per la formalità, sia sociale che letteraria, tipica del classicismo,

teorizzata da Boileau nel 1671.

Tristan L'Hermite: dopo aver soggiornato in Inghilterra e in Norvegia, fu al servizio del duca d'Orléans, poi

del duca di Guisa. Nel 1649 entrò all'Académie Française, caratterizzato da uno spirito che lo accomunava ai

libertini. I suoi componimenti furono di ispirazione poetica diversa, alcuni di forma più ufficiale altri meno

formali, le sue opere erano anche caratterizzate da un clima malinconico e scrisse anche un romanzo

picaresco "Le page disgracié" ("Il paggio disgraziato", del 1643) in cui narrava della sua partecipazione alla

battaglia de La Rochelle, al servizio di Luigi XIII, che costituisce una sorta di "primo ingresso dell'Io" (insieme

alla 1° Journé di Theophile) perchè ha una matrice autobiografica, ma effettivamente non è

un'autobiografia, in quanto parla di se non per mettere la sua vita come esempio ma per il semplice gusto

di raccontare. Per arrivare all'autobiografia si dovrà arrivare alle "confessioni di Sant'Agostino e poi alle

confessioni di Rousseau, ma prima di allora un autore non poteva parlare di se stesso. Scrisse poi alcune

tragedie, la prima delle quali, Mariane, del 1636, è una delle più intense del secolo, e riscosse un successo

paragonabile al Cid di Corneille, anticipandone in parte alcuni temi.

Saint Amant: era un rappresentante del seicento letterario francese, era un rappresentante dell'accademia

francese sotto la reggenza di Maria de Medici e Richelieu, che aveva capito che la letteratura e soprattutto

il teatro riuscivano a influenzare la massa, e per questo porta sotto la sua ala i letterati e gli artisti. Egli era

un amante dei piaceri della vita, un amante dell'arte a cui non importava vantarsi della sua appartenenza

all'accademia, infatti rifiuta di pronunciare il suo discorso per l'inserimento all'accademia francese

barattandolo con il programma poetico del grottesco. Egli utilizzava termini semplici, famigliari e triviali, lo

stile era di ispirazione barocca e le sue opere erano per la maggior parte lunghi e divertenti componimenti

da cui si poteva carpire la sua arguzia e il suo spirito di osservazione. Possiamo dire che egli incarna la

contraddizione del secolo tra classicismo e barocco, una contraddizione che possiamo notare

maggiormente nella contrapposizione d'ispirazione fra le opere "solitude" e "Fumeur". Solitude è uno dei

componimenti più famosi e imitati dell'epoca, vi è un costante riferimento a Ovidio e alle sue opere (Tristia)

e alle divinità del classicismo. Le Fumeur invece è un sonetto di matrice barocca in cui possiamo trovare

tematiche che rendono di Saint Amant un precursore di Baudelaire.

Barocco: il barocco in letteratura è un periodo storico in cui molti letterati furono influenzati dal gusto per

l'estrosità, la fantasia, l'esagerazione e il gusto per il bizzarro. Veniva da molti assimilato al cattivo gusto. In

Francia il barocco mira ad arrivare al modernismo; v'era un forte rifiuto per le regole, per i canoni e ci si

affidava al potere dell'innovazione e soprattutto all'individualismo. Corneille parlava di "je ne sais quoi", un

dono dell'artista che proveniva dall'anima, in questo modo si poteva conciliare insegnamento e piacere. Dal

barocco presero poi vita nuove correnti moderne, come il preziosismo.

Voiture e Benserade: erano due letterati seicenteschi che portarono alla metà del secolo ad una sorta di

scontro fra due schieramenti di intellettuali, i jobelins e i uranistes. Lo scontro fra i due schieramenti

cominciò in seguito alla morte di Voiture e si basava su due opere; raggruppati intorno alla duchessa di

Longueville e alla Duchessa di Montausier ( Julie d'Angennes ) gli Uranists si erano schierati per "Sonnet

d'Uranie", di Voiture, considerandolo capolavoro assoluto; mentre presieduto dal principe de Conti, fratello

di Madame de Longueville, i Jobelins (come Mademoiselle de Scudéry), si schierano per il "Sonnet de Job"

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di Benserade, che aspirava ad avere successo e sostituire Voiture come punto di riferimento nel buon gusto

e nella bella lingua.

Preziosismo: il preziosismo fu un fenomeno di costume e di gusto sviluppatosi nel Seicento in Francia ed

ebbe la sua massima diffusione nei decenni centrali del secolo dove costituì, accanto al genere burlesco e

prima del definitivo affermarsi del classicismo, una delle manifestazioni letterarie del barocco. Gli autori si

dilettano sfidandosi a creare componimenti in grado di attrarre il favore del pubblico, spesso soprattutto

dai salotti mondani (come il famoso salotto di Madame de Rambouillet), frequentati anche da donne, che

avevano la possibilità di esprimersi e giudicare. In questo caso, i componimenti dovevano essere più

semplici possibili, un tono leggero, sia per la loro istruzione che per la maggior parte non contemplava le

stesse materie dell’uomo, sia perché giudicate intellettualmente meno capaci degli uomini. L’uomo però

scriveva quasi sempre in funzione della donna. Vi si intrecciò quasi subito un elemento femminista: una

reazione contro la condizione di passività riservata alla donna e una ricerca di una compensazione nella vita

mondana. Si creò quindi la figura della "preziosa", caratterizzate dalla “tandresse” cioè la capacità di amare

in un modo che solo le preziose potevano fare; le preziose erano contro la maternità e l’amore passionale,

l’amore per loro veniva inteso come cortese, un amore cavalleresco e platonico, un amore simile

all'amicizia. Le preziose dovevano quindi allontanarsi dalla passione, perché era fondamentale per una

donna mantenere l’autocontrollo e la lucidità. Possiamo citare opere come l'Astrée di Honoré d'Urfé o i

romanzi di Madeleine de Scudéry.

Il Romanzo nel seicento: il genere che si avvicina più al romanzo – prima che effettivamente esso si

affermasse – era l’epopea. Il romanzo nasce nel seicento, si sviluppa settecento e raggiunge il suo massimo

nell’ottocento. In questo nuovo genere letterario possiamo notare una molteplicità di intrighi, solitamente

esso cominciava con un evento significativo, come duello, v’era spesso un uso di eventi storici e soprattutto

un fine morale. Si predilige un eroe più umano rispetto ai miti, il cui ruolo è quello di insegnare qualcosa,

dare una morale e mostrare valori. Questo nuovo genere assumeva due variazioni, opere di immaginazione

(romanzo sentimentale e eroico come L’Astrée) e storie borghesi (come “Histoires Comiques”, che dava un

ritratto della vita quotidiana con un clima tipico della commedia, riprendendo anche il picaresco). Al fine di

rendere perfetto questo nuovo genere letterario, vennero create le “regole delle tre unità”, che si

rifacevano ad Aristotele e ad Orazio, che scrive “l’arte poetica”. A partire dal 1630 fino al 1660 abbiamo la

teorizzazione di queste regole, fra i teorici spicca la figura di Chapelain che scrive gli “Opuscules”. Queste

regole furono create al fine di creare l’opera perfetta, rifacendosi al concetto di bello eterno, Chapelain

infatti parlava di “regole invariate dei dogmi di invariata verità”, si sviluppa quindi una convinzione secondo

la quale gli antichi avrebbero creato capolavori perché uniformati, per cui se ci si rifaceva ai dogmi e alle

regole, a prescindere dal genio, si poteva creare qualcosa di perfettamente bello. Le tre regole facevano

riferimento all’unità di tempo (per la quale il tempo dell’azione doveva coincidere con quello della

rappresentazione, poi si decise che dovesse girare intorno alle 24 ore, ma in ogni caso la cosa più

importante era la “liasons des scenes” che dovevano essere ben concatenate temporalmente), l’unità di

luogo (Per rispetto alla verosimiglianza il luogo doveva essere preciso, se c’erano più luoghi dovevano

essere vicini. Nella rappresentazione invece il luogo doveva coincidere con quello che lo spettatore riusciva

a vedere, solitamente si optava per una piazza per le commedie e la corte per le tragedie) e l’unità d’azione

(cioè dall’inizio alla fine l’opera deve avere un’azione principale, nessun intrigo parallelo, tutto deve essere

finalizzato all’azione principale per permettere al pubblico di intravedere il destino dei personaggi senza

confusione.).

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Honoré d'Urfé: fu uno scrittore francese, autore del primo romanzo fiume della letteratura francese,

L'Astrée, un romanzo pastorale francese, l'opera letteraria maggiore del XVII secolo, L’Astrée è chiamata a

volte "romanzo dei romanzi", in primo luogo per le sue dimensioni, che fanno sì che venga considerata

come il primo romanzo fiume della letteratura francese (5 parti, 40 storie, 60 libri, più di 200 personaggi,

più di 5000 pagine), ma anche per il notevole successo che ha avuto in tutta quanta l'Europa (tradotta in un

gran numero di lingue e letta in tutte le corti europee). Sarebbe difficile, per non dire impossibile, fare una

specie di riassunto de L'Astrea, che non a caso viene definita romanzo fiume o anche opera ad incastro. il

cui nucleo narrativo è costituito dagli amori del pastore Céladon e della pastorella Astrea; solo dopo mille e

mille avventurose peripezie, e altrettante interminabili digressioni, tuttavia, i due protagonisti potranno

coronare il loro idillio, trovando la tanto sospirata felicità. L'Astrea, situata cronologicamente in un remoto

e poco credibile V secolo d.C., è ambientata nel Forez (paese d'origine di d'Urfé) e presenta numerosi

riferimenti alla biografia dell'autore e alla società dell'epoca. Ai dissoluti e materiali costumi

dell'aristocrazia cortigiana, l'Astrea veniva a contrapporre un ideale amoroso naturale, puro e fondato sulla

fedeltà. Quest'opera ha avuto nei secoli un enorme successo ed è stata letta da moltissime persone,

influenzando in tal modo numerosi autori francesi come Jean-Jacques Rousseau, Jean de la Fontaine o

Molière, che la lessero durante la loro infanzia o la loro adolescenza.

Madeleine de Scudéry: è la prima autrice romanziera francese, scrisse "Le Grande Cyrus", non era una

poetessa perchè la metrica della poesia non rientrava nelle materie di studio delle donne, quindi anche se

alcune donne si dilettavano non diventavano importanti. Era un'abituale frequentatrice dell’Hôtel de

Rambouillet, un proprio salotto letterario che diede lungo al Preziosismo, del quale fu una delle più note

esponenti. Tale salotto era anche frequentato dalla maggior parte delle celebrità dell’epoca come Madame

de La Fayette e Chapelain. Con Madeleine de Scudéry inizia a insinuarsi lo psicologismo nella letteratura; le

scrittrici infatti tendevano a scrivere ponendosi il problema di cosa stesse pensando il personaggio e delle

conseguenze su lui e sugli altri personaggi.

Paul Scarron: è stato uno scrittore francese. Semiparalizzato e storpio dall'età di trent'anni a causa di

un'artrite, reagì alle avversità con la sua socievolezza e il suo spirito brillante. Fu tra i maestri della

letteratura burlesca, con opere come il poema incompiuto in sette libri "Le Virgile travesty en vers

burlesques" e Quinet, una sorta di parodia dell'Eneide in chiave burlesca. La sua opera più importante però,

su Il Roman comique, romanzo comico e incompiuto, che narra la vita e le peripezie di una compagnia di

attori girovaghi, una delle opere più pittoresche tra i romanzi realistici del Seicento. Con quest'opera

Scarron vuole descrivere il teatro, vi sono però dei riferimenti autobiografici, i personaggi infatti

rappresentano l'autore. Destin, possiede grazie fisiche e virtù morali (l'autore prima della malattia), viaggia

molto e a Roma conosce la donna della sua vita, un personaggio positivo il cui nome si riferisce proprio al

destino favorevole. Ragotin invece è l'opposto; semina catastrofi ha un corpo deformato dalle vicende e la

sua sofferenza è motivo di derisione. Lo stesso titolo fa comprendere l'essenza dell'autore, Roman

(immaginazione) e Comique (realtà).

Cyrano de Bergerac: è stato un filosofo, scrittore, drammaturgo e soldato francese del Seicento. La sua

figura ha ispirato la celebre opera teatrale Cyrano de Bergerac di Edmond Rostand del 1897. Grazie ai suoi

romanzi fantastici è oggi considerato uno dei precursori della letteratura fantascientifica. In altro senso e

specialmente per il suo linguaggio fortemente laicistico e poco rispettoso delle istituzioni religiose egli è

considerato un intellettuale libertino, un libertino anticattolico. Nelle sue opere egli unisce l'osservazione

della natura e della realtà, un naturalismo che è però diverso da quello novecentesco. Fa molto uso del

tema del fantastico ed è proprio per questo che si ispira alla natura e all'universo, perchè non crede che ci

sia qualcosa di più fantastico di questi elementi. Vuole fare conoscere al lettore le conquiste della scienza e

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per ciò utilizza il genere del romanzo, utilizzando la fantasia per parlare di temi scomodi. E' anche

importante per la sua concezione di "universo", cioè un immenso organismo vivente in cui tutti gli esseri

formano una catena solidale. Egli quindi rovescia il concetto di antropocentrismo e propone una diversa

visione del mondo in cui l'uomo non è al centro di tutto.

Libertinaggio: è un’attitudine seicentesca critica e ironica degli intellettuali nei confronti di ogni forma di

potere e della religione. I precursori del libertinaggio sono Vanini e Giordano Bruno. I libertini sono

personaggi che criticano i dogmi, non hanno paura di essere ambigui o bisessuali, rischiando la galera. Il

libertinaggio è caratterizzato da un comportamento deciso e senza timore. Col libertinaggio si afferma la

libertà individuale.

Razionalismo: è una corrente filosofica basata sull'assunto che la ragione umana può in principio essere la

fonte di ogni conoscenza. In generale i filosofi razionalisti sostengono che, partendo da «principi

fondamentali», individuabili intuitivamente o sperimentalmente, come gli assiomi della geometria, i principi

della meccanica e della fisica, si possa arrivare tramite un processo deduttivo ad ogni altra forma di

conoscenza. In generale si definiscono razionalisti quei sistemi filosofici in cui la realtà è vista come

governata da una serie di leggi e principi che sono perfettamente comprensibili con la ragione umana e che

coincidono con il pensiero stesso. La filosofia razionalista si contrappone all'irrazionalismo, il quale

privilegia invece altre facoltà umane legate all'istinto, alla volontà cieca, allo scetticismo, ecc. Appartengono

alla corrente razionalista moderna personaggi come Thomas Hobbes, Galileo Galilei, Cartesio e Newton.

Cartesio: opera come scienziato e filosofo per tutta la prima metà del 1600 e ha grande importanza non

solo in ambito filosofico e scientifico, ma pure letterario: é infatti considerato insieme a Pascal il fondatore

della prosa francese; caratteristiche del suo stile sono la chiarezza e la linearità, caratteristiche che

finiranno poi per influenzare anche l'illuminismo. Il linguaggio di Cartesio é il linguaggio della ragione

illuministica per diversi motivi. Innanzitutto l' epoca in cui vive Cartesio é stata definita l' età del

razionalismo, ossia l' età dell' indiscussa onnipotenza della ragione umana: é evidente come vi siano

analogie con l' illuminismo, che prende il nome proprio dai lumi della ragione. Scrive il "Discorso sul

Metodo", una sorta di suo manifesto, in cui unisce scienza e l'esigenza di trovare un metodo per

raggiungere la verità, questo metodo è il dubbio. Si parte quindi dal dubbio, nel senso che ogni principio,

che sia di matrice matematica, filosofica, metafisica o morale deve essere messo in discussione per arrivare

alla verità, verità che può essere raggiunta solo se guidati dal buonsenso e dalla ragione. La ragione ha

quindi due facoltà, intuizione (cioè l'istinto intellettuale) e la deduzione (legata alla metodologia). Individua

quindi 4 principi che porterebbero alla verità: 1) Non ritenere che una cosa è vera a priori ma stabilirlo con

l'analisi. 2) Semplificare ogni tipo di percorso dividendolo in piccoli momenti. 3) Seguire una linea di

pensieri che vanno dalle deduzioni più semplici a quelle più complesse. 4) Fare una sintesi di tutte le analisi

fatte e risolvere il caso. Cartesio quindi apre il passo alla filosofia moderna, ponendo come vero oggetto

della conoscenza le "idee", che hanno il potere di farci vedere "ciò che è fuori". E' poi importante parlare

della distinzione fra anima e corpo; partendo dal principio del dubbio, bisogna mettere in discussione ogni

esperienza, pensando a che sia falsa, ma per per pensare è necessario che si esista (cogito ergo sum), da qui

nasce il primo principio della filosofia, l'esistenza dell'Io pensante. La prima natura dell'uomo è proprio

quella di pensare, che è una cosa che prescinde dalle necessità del corpo, quindi secondo questo concetto

possiamo dividere la "sostanza espansa" cioè il corpo, dalla "sostanza pensante" cioè l'anima.

Giansenismo: è una dottrina teologica che tentò di modificare il cattolicesimo, elaborata nel XVII secolo da

Giansenio, il quale fondò la sua costruzione teologica sull'idea che l'uomo nasce essenzialmente corrotto e

quindi destinato a fare necessariamente il male, e che, senza la grazia di Dio, l'uomo non può far altro che

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peccare e disobbedire alla sua volontà, e che alcuni umani sono predestinati alla salvezza mentre altri no

(teoria della predestinazione), egli credeva anche che permettere all’uomo di potersi salvare da solo era

come sminuire il potere di Dio e rendere vano il sacrificio di Cristo. Ovviamente, la conseguenza della

promulgazione di questa teoria fu diversa: alcuni letterati si unirono a questa visione di pensiero, come

Madame de Lafayette. Il cattolicesimo invece rispose con indignazione, definendo i giansenisti come

“eretici”, un’ira che portò alla distruzione di Port-Royal.

Pascal: un matematico, fisico, filosofo e teologo francese, è uno dei personaggi legati al Giansenismo. "Les

Pensées" è un’opera di Pascal in cui vi sono nove riflessioni, di cui una prima parte fa riferimento all’analisi

dell’uomo e a i suoi comportamenti (descrive la miseria dell'uomo, il suo posto nella natura fra i due infiniti

- il tutto e il nulla -, l'abitudine che lo schiavizza, l'immaginazione che lo inganna, l'amor proprio che lo

seduce, il divertimento che lo distrae ed infine l'affermazione della necessità di cercare Dio) e una seconda

parte che fa riferimento all’analisi dell’apologia cristiana (Bibbia, dogmi). All’interno dell’opera Pascal cerca

di spiegare le contraddizioni dell’uomo derivanti dal peccato originale. Inizialmente l’uomo è creato sano,

puro, poi viene segnato dal peccato originale a causa del suo orgoglio e non può più evadere dalla

situazione di corruzione. Pascal pone in discussione Cartesio perché giudica la ragione incapace di

comprendere la realtà e il senso della vita, ritiene che solo il cristianesimo rende comprensibile l'uomo e

spiega ciò che la pura ragione (scienza e filosofia) è incapace di chiarire. Sosteneva l’inconsistenza del

mondo, dell’uomo e la fragilità dell’esistenza. Esprime poi il concetto dei "due infiniti", vuole sottolineare la

situazione tragica dell’uomo nell’Universo, ponendosi una domanda: Che cos’è l’uomo nella natura? Un

nulla rispetto all’infinito, un tutto rispetto al nulla, qualcosa di mezzo tra il tutto e il nulla. L'uomo, per

Pascal, è tra due infiniti: l'”infinitamente grande” e “infinitamente piccolo: 1) l’infinitamente grande,

rispetto al quale l’uomo non è nulla; 2)l’infinitamente piccolo, rispetto al quale l’uomo è tutto. L’uomo però

non è in grado di conoscere né l’uno né l'altro e prova tremore e sbigottimento perché sperimenta da un

lato la sua grandezza e da un alto la sua miseria (impotenza). Secondo Pascal il percorso obbligato, lo

strumento per arrivare alla verità è la carità (cioè la volontà di aiutare chi si ama,il prossimo, è una forma di

intelligenza). Bisogna anche parlare del concetto di "cuore" di Pascal, secondo cui il cuore è la parte più

spontanea, è più importante della ragione. Il cuore include la volontà, da esso dipendono le conoscenze e si

trovano desideri coscienti e libere decisioni. Pascal attacca il razionalismo e tutti quelli che sono gli

strumenti della ragione. Il razionalismo non si deve ricercare, poiché la ragione è qualcosa di ingannevole,

bisogna essere guidati da due elementi fondamentali, cioè il cuore e la volontà. Il Dio di Pascal è nascosto,è

difficile da trovare soprattutto a chi non è stata concessa la Grazia.

Gassendi: fu un sacerdote, scienziato e filosofo, è autore delle Quinte Obiezioni, nelle quali, pur

condividendo alcune conclusioni di Cartesio - come l'esistenza di Dio e l'immortalità dell'anima - egli critica

il "metodo" attraverso cui esse sono conseguite. Gassendi polemizza innanzitutto l'adozione del concetto

stesso di evidenza. Mancando un criterio oggettivo per stabilire quando un'idea possa dirsi chiara e distinta,

anche ciò che ci appare tale potrebbe essere frutto di un'illusione. Molte pagine sono dedicate da Gassendi

alla critica della separazione tra corpo e anima. L'anima non è per lui che un corpo più sottile, ma

ontologicamente non diverso dalla rimanente materia estesa . E' dunque errato presupporre due sostanze

distinte. Ma lo stesso concetto di sostanza dev' essere evitato. Secondo Gassendi, può conoscere soltanto i

fenomeni: infatti, egli può avere conoscenza compiuta solamente di ciò che fa egli stesso ( nel caso degli

oggetti artificiali ) o di ciò che può scomporre e ricostruire mentalmente, in modo da coglierne la

costruzione interna ( nel caso della realtà naturale ). Le sostanze, la cui esistenza tuttavia non viene negata ,

rimangono al di là di queste possibilità e sono conoscibili solo da parte di Dio. Tuttavia va subito detto che i

testi cartesiani riportati da Gassendi e indicati come citazioni testuali sono spesso riassunti o parafrasati.

Ciò fa sì che egli a volte polemizzi con affermazioni che non corrispondono al dettato del suo interlocutore.

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Di ciò ebbe a lamentarsi Cartesio stesso nelle Risposte alle Quinte Obiezioni: "Voi non combattete le mie

ragioni, ma, dissimulandole come se fossero di poco valore, o riportandole imperfette, cogliete così l'

occasione di farmi molte obiezioni che le persone poco versate nella filosofia sogliono opporre alle mie

conclusioni".

Corneille: drammaturgo francese nato a Rouen da una famiglia borghese, compì i suoi studi al collegio dei

gesuiti di Rouen. Eccellente allievo, specie in latino, si rifece poi sovente alla letteratura antica, sia per gli

aspetti declamatori, sia per i temi. Cominciò la professione di avvocato ma l'amore per una fanciulla gli

ispirò un sonetto e, non è escluso, la stessa commedia Mélite, in cui lo inserì. L'opera, rappresentata prima

a Rouen, poi a Parigi nel 1629, ebbe un discreto successo e lo stimolò a dedicarsi al teatro. Nel 1632 scrisse

Clitandre ou l'Innocence délivrée e prima del 1635 aveva già al suo attivo altre quattro commedie, nelle

quali l'argomento romanzesco è sostenuto da uno stile pieno di vivacità. La sua prima tragedia, Médée, è

del 1635. Si era intanto trasferito a Parigi e godeva della protezione di Richelieuu. Faceva parte anzi delle

compagnie dei “cinque autori” con Boisrobert, Colletet, L'Estoile e Rotrou, che avevano l'incarico di mettere

in versi gli argomenti nati dalla fantasia del cardinale. Ma Corneille, che non ebbe mai la virtù del

cortigiano, ben presto perdette le simpatie del protettore, e probabilmente anche le sovvenzioni. Il

successo di Médée, in cui l'influsso di Seneca era fin troppo palese, fece da prologo al trionfo che fu poi

consacrato dalla sua opera più famosa, Le Cid. Tragedia dell'amore e del dovere, rivela, nel conflitto dei

sentimenti, la profondità dei caratteri dei protagonisti, in una dinamica teatrale che delle regole

aristoteliche osserva, se non l'unità di luogo, rigorosamente quella di tempo. Corneille, in realtà, mal

accettava il concetto delle tre unità di luogo, azione, tempo, ma cercò sempre di restarvi fedele. Di

carattere fiero, Corneille approfondì le sue doti poetiche con principi critici dei quali fecero fede i suoi

discorsi e le sue prefazioni e gli stessi Examens con cui accompagnava la pubblicazione delle opere. La

risposta più valida agli attacchi la diede con drammi nuovi. Due in un solo anno (1640): Horace (Orazio) e

Cinna. Horace è ancora una volta dramma dell'amore e del dovere, per i sentimenti che legano i duellanti

(Orazi e Curiazi) alle donne delle opposte famiglie. Corneille lo dedicò a Richelieu, forse con una parvenza di

ironia, forse per dimostrare che le tre “unità” (rispettate) non potevano impedirgli di creare opere

egualmente valide. Anche Cinna, ispirata al trattato De clementia di Seneca, ebbe successo. In seguito con

Luigi XIV e il nuovo classicismo delle lettere e delle arti, la corte e il pubblico preferivano Quinault e Racine.

Un mondo poetico nuovo aveva preso il posto di quello basato, come i grandi modelli dell'antichità, sul

contrasto delle passioni: motivo caro a Corneille, la cui tragedia fu definita teatro della volontà e del

dovere. Continuò a scrivere, senza più raggiungere, tuttavia, i vertici. Onore, virtù, grandezza, valore sono

temi delle tragedie di Corneille le quali rispettano le tre unità aristoteliche. Quattro virtù ideali sono

rappresentate da quattro eroi: onore (Le Cid), patriottismo (Horace), generosità (Cinna); santità

(Polyeucte). I personaggi delle tragedie di Corneille sono eroi, artefici del proprio destino, fuori del comune

per estrazione sociale e forza morale. Hanno una volontà di ferro e la gloria è la legge alla quale il loro

animo obbedisce fino a condurli, dolorosamente, alla solitudine a causa della rinuncia alla felicità e ai valori

comuni nella collettività. Corneille esalta quindi la libertà dell'uomo, il libero arbitrio secondo quanto

teorizzato dai gesuiti che si contrapponevano alla dottrina del giansenismo.

LE CYD, CORNEILLE

Le Cid è un'opera teatrale di Pierre Corneille composta nel 1636. Il romanzo è ambientato in un tempo

lontano ma con riferimenti alla temporaneità del regno di Luigi XII. I temi principali dell'opera sono

l'eroismo e l'onore, Rodrigo e Chimene fanno parte della nuova aristocrazia e incarnano gli ideali di questa

nuova classe aristocratica, cioè dovere, virtù, generosità, gloria e onore. La figura dell'eroe in realtà ha

qualità definite sin dall'antichità, la novità che porta Corneille è il dramma interiore dei personaggi che

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influenza le loro azioni e quindi l'intrigo e gli ostacoli. La sua opera viene rappresentata al Louvre e al teatro

di Richelieu, ma riceve presto accuse dalla stampa e da molti letterati, tra i critici che condannarono

l'opera, vi fu il cardinale Richelieu che non aveva perdonato a Corneille l'abbandono dalla Società dei

cinque attori, che egli aveva creato. Per attaccare Corneille, si appoggiò alle regole del teatro classico: Le

Cid, in quanto tragicommedia, non rispettava le unità aristoteliche di azione, tempo e luogo, in più le altre

accuse facevano riferimento all'inverosimiglianza e assurdità della vicenda, al mancato rispetto del tempo

reale dell'azione, alla discutibile originalità delle scene, alla mancanza di logica, ai brutti versi o addirittura

fanno accuse di plagio. Corneille quindi si difende dalle accuse con una lettera (Exuse d'Ariste),

puntualizzando anche che in realtà lui aveva già detto che si era ispirato all'opera spagnola, tuttavia alla

fine si sottomette alla sentenza dell'Accademie Française, che gli impone una mitigazione dell'opera.

Corneille allora rivede il testo e riscrive il finale, dandogli una maggiore ambiguità e facendo capire che alla

fine il matrimonio potrebbe non esserci.

Atto primo: il giovane Rodrigo e la bella Chimena si amano, ma i loro padri sono in contrasto tra loro; come

precettore di suo figlio, il re ha preferito il padre di Rodrigo, Don Diego, a quello di Chimena, il conte Don

Gomez. Durante la disputa il padre di Chimena dà uno schiaffo a Don Diego. Egli non può vendicarsi per la

sua vecchiaia e dunque chiede al figlio di farlo per lui. Rodrigo si trova di fronte ad un forte e straziante

dilemma: se egli non vendica l'onore del padre, perderà l'amore di Chimena, perché non c'è amore senza

stima; se vendica il suo onore e uccide il padre della sua fidanzata, Chimena non sposerà mai l'assassino di

suo padre.

Atto secondo: Rodrigo sceglie di battersi ed è vincitore; nella scena del duello vi è un completo rispetto

della bienceances, all'interno del secondo atto vi è una doppia storia, un intrigo giuridico e una storia

d'amore. Rodrigo durante il duello usa frasi incalzanti e provocatorie nei confronti del padre di Chimene;

parliamo di intrigo politico perchè il duello afferma la posizione sociale e il clima è enfatizzato da termini

come "sangue, onore e nome". All'interno di questa scena però troviamo anche lo "sfogo" dell'infante che

vorrebbe che il suo sentimento d'amore verso Rodrigo venisse rispettato, intanto però, Chimena, a sua

volta, si trova nello stesso dilemma: per salvare il suo onore, non potendo farlo lei di persona in quanto

donna, chiede al re la morte di Rodrigo, mentre Don Diego lo difende, sembra un vero processo; lei non ha

scelta: se non lo farà, Rodrigo non la sposerà mai.

Atto terzo: Rodrigo, intimamente scosso per l'atto compiuto, si reca a casa di Chimena, ma trova la sua

governante Elvira, che lo prega di nascondersi per non ledere l'onore della figlia del conte qualora venisse

vista in sua compagnia. La giovane rientra dal palazzo del re assieme a Don Sancio: questi le si offre come

vendicatore, ricevendo il rifiuto della fanciulla determinata, prima, a ottenere giustizia dal sovrano. Rimasta

sola con Elvira, confida di amare ancora l'uomo di cui chiede la testa. Questi, d'un tratto, esce dal

nascondiglio e prega Chimena di ucciderlo con le proprie mani, così da restituirle ciò che le ha tolto: l'onore

di Don Gomez. La donna riconosce la vendetta di Rodrigo quale reazione giusta e inevitabile, e afferma

altresì come, pur non mutando proposito, rimandi la sua morte al verdetto del re. La parte incriminata di

questo atto è proprio l'amore ancora vivido della donna verso Rodrigo, in quanto si credeva impossibile da

concepire. Possiamo trovare un lessico particolare che rende palpabile il dissidio dei personaggi fra il

sentimento d'amore e la necessità di vendicare l'onore della famiglia: amore come il fuoco, miracolo,

calore. Tuttavia, infine sembra che il dovere filiale venga prima del sentimento d'amore, ed è qui che anche

Chimene diventa eroina, decidendo di dover uccidere Rodrigo.

Atto quarto: i Mori, intanto, arrivano alle porte della città; Rodrigo riporta una grande vittoria su di loro, è

riconosciuto come Cid, Signore degli Arabi sconfitti, e salva così la patria dall'invasione. Nonostante tutti

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cerchino ormai di convincere Chimena che la situazione è cambiata, e che sacrificare il Cid vorrebbe dire

attentare al bene della patria, Chimena è irremovibile. Il re si trova in grande imbarazzo; non potendo

rischiare di perdere il suo salvatore, ricorre a uno stratagemma. Di fronte a Chimena, venuta a reclamare

giustizia una volta di più, finge che Rodrigo sia morto in combattimento. La donna rimane turbata, tradendo

il suo amore per l'eroe ma, dopo aver appreso la verità, torna sulle sue posizioni chiedendo che il padre sia

vendicato. Siccome il sovrano tenta in tutti i modi di dissuaderla da questi propositi, Chimena ricorre ad

un'antica usanza, quella del duello. Promette di concedere la sua mano a colui che ucciderà Rodrigo. Don

Sancio, mediocre combattente per il quale Chimena non ha alcuna stima, si offre volontario.

Atto quinto: prima di andare ad affrontare Don Sancio, il Cid torna da Chimena, comunicandole la volontà

di farsi uccidere per, lasciando così che la vendetta dell'amata possa compiersi. Tuttavia, la fanciulla lo

sprona a combattere lealmente, tradendo nel parlare un amore ancora vivo nei suoi confronti. Rodrigo,

completamente rinfrancato, parte per il duello. Mentre la sfida ha luogo, Chimena sfoga il proprio strazio

interiore con la confidente Elvira. A questo punto, vede Don Sancio venire verso di lei e deporre la spada ai

suoi piedi. Interrompendolo, dà voce a tutta la passione per l'uccisore del padre. I suoi sentimenti sono

ormai inequivocabili. La fanciulla, inoltre, ha interpretato male: il Cid è vivo. Vincitore, ha risparmiato la vita

del rivale. L'opera finisce con la promessa di matrimonio tra i due protagonisti, non prima che Rodrigo

abbia offerto per la terza volta la sua vita a Chimena. La donna, pur avanzando ancora qualche perplessità,

non si oppone più, mentre il re concede che il matrimonio possa essere posticipato di un anno, in modo che

l'offesa venga gradatamente dimenticata. Rodrigo, intanto, guiderà una nuova spedizione contro i Mori.

Racine: fu un drammaturgo e scrittore francese, il massimo esponente, assieme a Pierre Corneille, del

teatro tragico francese del Seicento. Venne educato dai giansenisti alla cultura greca e latina. I personaggi

del teatro classicista di Racine sono antieroi a differenza di quelli delle tragedie di Corneille. Essi sono in

balìa delle passioni dell'animo, dell'odio, dei rapporti di sangue (odio tra fratelli, amore incestuoso), travolti

dai propri insanabili conflitti interiori. La passione piega i destini degli uomini e l'amore, sentimento

devastante, è spesso esasperato dalla gelosia. La debolezza d'animo dei personaggi ed il pessimismo

dell'autore riflettono una visione giansenista dell'esistenza (Fedra). Frequenti sono le scene sanguinose e

macabre e lo sfondo delle vicende è cupo. La trama è semplice e lineare ed il linguaggio è elevato. Ifigenia e

fedra rappresentano le due opere che segnano l'introduzione del sacro all'interno delle tragedie

(giansenismo velato).

La Fedra, Racine.

Fedra è una tragedia in cinque atti scritta da Racine nel 1677. Si rifà ai classici ellenici e latini di Euripide e

Seneca, ma il mito è rivisto sotto la luce di una nuova morale e di una nuova religione: il Cristianesimo

monoteista, non più il paganesimo politeista.

Prefazione: nella prefazione dell'opera l'autore dice "Ecco un'altra tragedia il cui soggetto è tratto da

Euripide". Nello stendere questa tragedia l'autore apporta però alcune modifiche rispetto al tragediografo

greco in particolare nel delineare i protagonisti: Fedra, per Racine non è né del tutto colpevole né del tutto

innocente: "E' vincolata dal proprio destino e dalla collera degli dei ad una passione illegittima di cui lei per

prima ha orrore". Essa compie ogni sforzo per sconfiggerla, preferendo di gran lunga la morte, ma alla fine

è proprio l'eroina tragica ad essere sconfitta confessando il suo tremendo amore; ed è la voce della morte

di Teseo, che porta Fedra a fare la sua confessione che non avrebbe mai osato fare finchè avesse creduto

vivo il marito. Proprio per questa parziale innocenza Racine ha tentato di renderla meno odiosa di quanto

non fosse nell'originale greco, affidando l'accusa contro Ippolito alla nutrice: a questa infatti s'addiceva

meglio una simile bassezza piuttosto che ad una principessa capace poi di esprimere sentimenti tanto nobili

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e virtuosi. Inoltre, Ippolito, mentre in Euripide e Seneca è accusato di aver realmente violentato la

matrigna, nella Phèdre viene accusato solo di averne avuto l'intenzione. Inoltre Racine gli ha attribuito

"...qualche punto debole che lo avrebbe reso un poco colpevole nei confronti del padre", chiamando

debolezza la passione che suo malgrado prova per Aricia, figlia e sorella dei mortali nemici di suo padre.

Primo atto: Ippolito intende partire alla ricerca del padre che si trova nell'Epiro e del quale non si hanno più

notizie. Teramene lo rassicura: il re sarà incappato nell'ennesima avventura galante. Ma la vera ragione di

Ippolito è un'altra, egli vuole sfuggire al fascino di Aricia, di cui è innamorato. Nel frattempo Fedra,

moribonda confessa a Enone il motivo delle sue tribolazioni: è ardentemente innamorata del figliastro

sebbene abbia sempre e solo ostentato odio nei suoi riguardi. Panope annuncia la dipartita di Teseo e la

nutrice, perciò, dà alla regina una nuova speranza: lottare per i suoi figli e preservare il trono da Ippolito e

Aricia, possibili eredi.

Secondo atto: Ismene, confidente di Aricia, svela alla ragazza la morte del suo persecutore e la possibilità

che il giovane Ippolito, restituisca lei la libertà e forse anche il trono. Ippolito parla alla ragazza

confermando gli auspici di Ismene e rivelandole il suo amore. Enone annuncia al principe che la regina

intende parlargli: Fedra è infatti preoccupata che Ippolito, da lei oltremodo odiato, una volta al potere, si

vendichi sui suoi figli. Ma il giovane la tranquillizza: non nutre simili sentimenti e non ha alcun proposito di

vendetta. La regina si lascia trasportare e finisce col svelargli la sua passione, un sentimento obbrobrioso

instillato in lei da qualche dio vendicativo, un amore colpevole che la rende miserabile agli occhi del

mondo: è lei la prima a detestarsi. Invoca il giovane di ucciderla ma Ippolito fugge lasciandole

avventatamente la spada. Teramene lo avvisa che il partito di Fedra, i suoi figli, sono in vantaggio nella

corsa alla successione al trono e che, secondo alcune indiscrezioni, Teseo sarebbe ancora in vita.

Terzo atto: Fedra supplica Enone di trovare uno stratagemma che faccia ritornare Ippolito: è disposta pure

a cedergli il trono o a fargli addestrare i figlioli. Rimasta sola, si abbandona a un monologo in cui sollecita

l'intervento di Venere; in fondo respingendola, Ippolito ha commesso uno sgarbo nei confronti della regina

dell'amore. Enone la avvisa che Teseo è prossimo al ritorno: lei si dispera, sarebbe stato meglio morire

prima anziché ora, disonorata e adultera. Ma Enone ha un piano diabolico: accusare Ippolito di aver tentato

di stuprarla, presentando la spada perduta come prova inconfutabile del misfatto. Teseo punirà il figlio con

l'esilio ma se lo uccidesse tanto meglio. Fedra infatti, al suo arrivo, non va ad abbracciare il marito,

informandolo che un grande disonore è piombato sulla sua famiglia. Il re è sbigottito da questa accoglienza

e cerca di vederci chiaro. Ippolito rifiuta di fuggire perché convinto della propria innocenza, e decide di

affrontare il genitore.

Quarto atto: Enone confessa il misfatto di Ippolito a Teseo. Il dialogo che segue tra i due è acceso: il padre

ha parole durissime nei confronti del figlio, intende esiliarlo in una regione lontana, dove nessuno possa

riconoscerlo e difenderlo. Il giovane si difende debolmente e appellandosi alla rinomata castità; per Teseo

questa è un'autoaccusa: respingevi le altre poiché bramavi soltanto Fedra! Il poveretto confessa il suo unico

peccato: amare Aricia trasgredendo la volontà paterna, ma per il re si tratta di una scusa grossolana. Alla

fine il solo lampo di Ippolito in tutto o il dialogo: Non bisogna credere alle parole di Fedra poiché origina da

un razza tarata. Teseo invoca la vendetta del dio Nettuno, che gli era debitore. Il monarca si reca dalla

moglie e spiattella la giustificazione cercata dallo sciagurato Ippolito, l'amore per Aricia. Alla notizia Fedra

(che voleva dissuadere Teseo da severi propositi di vendetta) rimane basita dal momento che non sapeva di

avere una rivale. Va da Enone a farsi spiegare perché le fosse stata nascosta la relazione tra Ippolito e

Aricia. Sta per commissionare alla nutrice un altro inganno, stavolta ai danni della fanciulla, quand'ecco che

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la coscienza la riporta alla ragione. Caccia via la serva accusandola di essere la causa delle sue sciagure. La

misera Enone riflette sulla sua fiducia mal ripagata dalla padrona.

Quinto atto: Ippolito propone ad Aricia di scappare verso Sparta, ma prima vuole giurarle amore eterno

presso il tempio che punisce i bugiardi. Teseo ha un dialogo con la ragazza, nel corso del quale cerca di

mettere Ippolito in cattiva luce. Ma lei è sicura dell'innocenza dell'amato e rivolge una stilettata al re: di

tutti i mostri che avete combattuto uno solo ne avete lasciato vivere (allude a Fedra). Teseo inizia a

sospettare; intende di nuovo parlare alla nutrice, ma apprende da Panope che Enone si è suicidata

lanciandosi nel mare. A questo punto Teramene racconta al re l'eroica morte del figlio: dopo aver ucciso un

mostro marino, i cavalli del carro, spaventati non si sa bene se da un dio nascosto o dalla pesante caduta

del mostro, sono precipitati tra gli scogli. Le ultime parole del giovane: se mai mio padre riuscisse a scoprire

la mia innocenza, se vuole essere da me perdonato, deve prendersi cura di Aricia e restituire lei

...(sicuramente allude al trono). Teseo, resipiscente, sta per andare a piangere sui resti del figlio quand'ecco

che si imbatte in Fedra. Lui non vuole sapere più nulla, oramai immagina come stanno realmente le cose,

ma lei che si è da poco avvelenata con un unguento portato in Atene da Medea, confessa tutto.

Addolorato, Teseo piange amaramente e promette di ottemperare alle ultime volontà del figliolo: Aricia

sarà la nuova regina e la sua nuova figlia.

Corneille e Racine, differenze: anche se dello stesso periodo storico, influenzati dagli stessi avvenimenti

culturali, Corneille e Racine sono due autori completamente diversi ed è difficile cercare qualcosa che possa

in qualche modo accomunarli eccetto l'amore per le opere teatrali forse. Sono i due massimi esponenti

della letteratura del loro tempo, tuttavia vi sono alcuni punti in cui i due autori divergono. Corneille risente

dell'influsso del barocco, i suoi personaggi sono eroi, in preda a dei dissidi interni tra amore e enore,

tuttavia Corneille tutela la loro libertà rendendoli artefici del proprio destino, viceversa, in Racine, che ha

una formazione del tutto classicista, troviamo personaggi antieroi, in balia delle passioni, queste passioni

tormentano i suoi personaggi e piegano i destini degli uomini e dell'amore. Corneille tende a descrivere le

parti forti dell'uomo, il coraggio, le virtù, la libertà, mentre Racine parla delle debolezze dell'uomo, come

appunto l'incapacità di resistere alle proprie passioni e alla debolezza d'animo che li rende malvagi.

Molière: è stato un commediografo e attore teatrale francese. Alla metà del seicento si assiste al trionfo

della commedia e della farsa, la commedia era caratterizzata dalla dissimulazione dei sentimenti, comicità,

ironia, intrighi tra dame e cavalieri, malintesi e travestimenti, le farse invece erano costruite sullo schema

triangolo marito-moglie-amante e talvolta si ispiravano anche alle farse italiane che si rifanno alla

commedia dell’arte. Molière crea con Madeleine Bejare l'"Illustre Théatre" che fallisce per la concorrenza

delle altre compagnie, in seguito abbandona il progetto e si mette in viaggio con una compagnia di attori. Il

successo arriva quando grazie al fratello del re, recita davanti a Luigi XIV che vedendone la grandezza

decide di fargli condividere il suo teatro (Petit Bourbon) con gli italiani. Molière sembrava un diffidente, ma

in realtà non era un libertino anche se le sue opere sembravano lasciarlo trasparire. In seguito alla messa in

scena di "Le tartuffe", venne accusato di ateismo militante e venne invitato a scrivere un'altra opera

rappresentabile al posto di quest'ultima, Don Juan. Le caratteristiche principali del teatro di Molière sono il

realismo de suoi personaggi, dei quali venivano messi a nudo i vizi e le ipocrisie, la critica nei confronti della

borghesia che stava conformandosi alla nobiltà (il periodo era segnato dall'importanza del denaro) e dalla

comicità verbale, il qui pro quo. Nel teatro di Molière vi è una libertà rispetto alle regole classiche, una

libertà che Molière si prende nei confronti della regola classica: non vi è un’esposizione di eventi che

prepara il pubblico, in quanto secondo Molière il pubblico non deve essere preparato, deve essere colto di

sorpresa,non deve avere delle anticipazioni su quello che capiterà di atto in atto.

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Don Juan, Molière.

Si rifà a un soggetto nobile cioè il don Giovanni che divenne un mito moderno per l’epoca, ed era un nuovo

modo di affrontare il tema dell’amore, un mito che avrà nella letteratura, nella musica, nelle arti in

generale una rappresentazione continua e sempre diversa. Scrive in prosa e rappresenta l’opera il 15

febbraio 1665, rappresentata 15 volte. Il suo "sembrare libertino" è anche percepibile dalla sua libertà nelle

tre unità: l'unità di tempo non dura 24h ma due giorni, ogni atto viene rappresentato in un luogo diverso e

non rispetta neppure l'unità d'azione. Nel 5 atto Don Juan dichiara esplicitamente la sua ipocrisia religiosa

sembrando così l’erede del tartufo, così sin dalla seconda rappresentazione questa scena fu tagliata,

censurata e con questa anche quella dell’incontro di don Juan con un povero morto di freddo in cui il

povero chiede l’elemosina, e don Juan chiede lui di giurar su dio di essere davvero povero e ciò venne

considerata una vera e propria bestemmia. Molte parti furono censurate. Dopo la morte di Molière,

Thomas Corneille trasforma in versi l’opera di Molière, modifica parti troppo audaci, elimina diverse scene

come la scena del povero. Don Juan ebbe poco successo rispetto al Tartufo perché Don Juan professa

l'ateismo, attacca la religione in maniera diretta, scandalosa a differenza del tartufo. I soggetti scandalosi

urtarono quella che era la maniera tradizionalista del pubblico che si mantiene tradizionalista in merito alla

religione.

Atto I: la scena inizia con Sganarello e Gusmano che discutono sulla inaspettata e segreta partenza di Elvira,

al seguito del marito Don Giovanni. Durante la discussione, Sganarello si lascia andare, confidandosi e

confessando al Gusmano chi realmente è Don Giovanni: un padrone perfido, cinico e libertino, che prova

diletto nel conquistare le donne e consumare i piaceri carnali, per poi abbandonarle con disprezzo. Dopo la

dipartita di Gusmano sopraggiunge Don Giovanni, il quale ha un lungo discorso con Sganarello sul suo

modo di vivere: egli gli confessa che non riesce a restar legato a una donna perché dopo la prima

consumazione dell'atto sessuale, quest'ultima perde di fascino e di interesse per lui, il quale, quasi per

istinto, è costretto a cercarne nuovamente un'altra, alla quale riservare il triste e perfido trattamento della

precedente. Il loro dialogo si interrompe improvvisamente alla vista della “prossima designata” alle

crudeltà di Don Giovanni, il quale ordisce insieme al mal volenteroso Sganarello un piano per rapirla in

barca durante una gita col suo legittimo fidanzato, sul mare. Sganarello obbedisce come sempre agli ordini

del padrone che però cerca sempre di dissuadere in qualche modo dalle sue iniquità. Infatti durante il

dialogo, Sganarello chiede a Don Giovanni se sia realmente il caso di rapirla con la forza, dato che 6 mesi

prima era addirittura arrivato ad uccidere un Commendatore, padre di una delle sue innumerevoli vittime,

reato per il quale era stato assolto dal giudice. Successivamente Elvira riesce a trovare per strada il suo

consorte, il quale ipocritamente afferma di sentirsi colpevole di averla sottratta al convento in cui lei stava e

di averla sposata, perché adesso sente che il Cielo gli è avverso e finalmente lui se ne è accorto. Un altro dei

temi ricorrenti dal I fino al V atto è il concetto del Cielo come sommo giudice, che non si può beffare, e che

dopo aver concesso un'innumerevole quantità di chance di redenzione, punirà chi gli volterà le spalle. Un

Dio quindi inteso come una forza esterna che va temuta; vagamente rassomigliante al concetto che i greci

avevano dei propri dei pagani, anziché all'attuale Dio del cattolicesimo. Ritornando al dibattito tra Don

Giovanni ed Elvira, quest'ultima non crede alle fandonie inventate seduta stante dal marito, al quale giura

di vendicarsi in maniera terribile.

Atto II: il piano del malefico Don Giovanni e Sganarello viene sventato da un'improvvisa burrasca che li

scaraventa sulla battigia della costa. Qui vengono recuperati e tratti in salvo da due contadini: Pierotto e

Carlotta, promessi sposi. Una volta recuperati i sensi Don Giovanni, accortosi della bellezza di Carlotta, si

rinfranca dal suo recente fallimento, e si getta nella sua arte della seduzione, con encomi ed elogi iperbolici

alla umile contadina, che dapprima non si fida molto dei grandi paroloni adorni di Don Giovanni. Alla fine

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però cede alla tentazione di poter abbandonare il suo misero rango di contadina e divenire un'agiata

signora. A nulla servono le esortazioni a mantenere la sua promessa di matrimonio, che le vengono

ricordate dal fidanzato Pierotto, accortosi di quello che accade. Dopo aver usato, in maniera vile, Carlotta

come scudo per difendersi dalle percosse di Don Giovanni, Pierotto si dilegua in preda all'angoscia. A

riguardo del matrimonio, va ricordato che a quell'epoca si usava sposarsi prendendo fisicamente la mano

della presunta moglie, senza la presenza di testimoni. Non appena Pierrot se ne va, sopraggiunge Maturina,

un'altra contadina, alla quale Don Giovanni precedentemente aveva promesso di sposarla, che,

sospettando dell'infedeltà del futuro marito, rivendica davanti ai presenti di essere la sola designata a

maritarsi con lui. Ha quindi luogo un acceso dibattito tra Carlotta e Maturina, senza esclusione di offese e

scherni, nel quale entrambe affermano di essere le promesse consorti di Don Giovanni. Quest'ultimo riesce

ad evitare il medesimo confronto e le eventuali scuse con uno scaltrissimo stratagemma il quale consiste

nel negare e allo stesso tempo affermare quello che ognuna delle due asserisce. Tale dibattito si conclude

con la promessa, ad entrambe, di matrimonio che viene così posticipato all'indomani mattina. In

quell'istante sopraggiunge Ramaccio, uno spadaccino al servizio di Don Giovanni, che reca a quest'ultimo la

notizia che dodici uomini a cavallo lo stanno cercando, con cattive intenzioni. All'udire tali parole, Don

Giovanni escogita all'istante lo stratagemma di scambiarsi d'abito con Sganarello, il quale, afferrando subito

lo scopo di tale manovra e compresi i rischi che corre, escogita a sua volta un piano migliore.

Atto III: Don Giovanni asseconda e adotta quindi l'idea di Sganarello, che consiste nel vestirsi da viaggiatore

lui, e da medico il servo. Ha luogo quindi un altro dialogo tra Don Giovanni e Sganarello, dal quale emerge

lentamente il carattere vile del servo. Egli infatti si diverte nel raccontare al padrone di aver abusato

dell'abito da medico che indossa, per prescrivere medicine puramente a casaccio, al primo malcapitato, che

supplicava il suo parere e/o supporto medico. Tale scena va a riprendere il “tema dell'abito che fa il

monaco”, assai ricorrente in quasi tutte le pièces di Molière, soprattutto ne il Medico Volante. Strada

facendo Don Giovanni e Sganarello incontrano Francesco, un povero mendicante, al quale chiedono

informazioni per giungere in città. Il pover'uomo accetta di buon grado di aiutarli, indicandogli la strada e

inoltre avvertendoli che l'intera zona è da diverso tempo battuta da predoni. Al momento dei

ringraziamento per le preziose informazioni, il povero chiede gentilmente a Don Giovanni, in cambio di una

perpetua preghiera, di fargli un'elemosina: il libertino accetta, a patto che egli bestemmi. Il pover'uomo

dimostra di essere povero economicamente, ma riccamente volitivo e saldo alla fede che non tradisce

nemmeno in cambio di un Luigi d'Oro, preferendo morire di fame. Don Giovanni allora, mosso da un

barlume di inaspettata compassione, gli dona ugualmente un Luigi d'Oro, asserendo di darglielo per amore

dell'umanità. In quel medesimo istante Don Giovanni intravede da lontano un uomo assalito da tre banditi,

scena di enorme vigliaccheria (come asserisce lo stesso Don Giovanni), che lo chiama in suo aiuto. Grazie

alla sua destrezza nella spada mette in fuga i banditi, e ottiene così una devotissima riconoscenza

dall'assalito. Si scopre però che questi è Don Carlos, uno dei fratelli di Elvira, giunto insieme a suo fratello

ed a un seguito di uomini per saldare una faccenda d'onore. Il consanguineo di Elvira quindi si confida con il

libertino, confessandogli che più precisamente devono saldare i conti con la spada con un certo Don

Giovanni, il quale ha oltraggiato l'intera famiglia, approfittando dell'innocente Elvira. Don Giovanni,

apprendendo che Don Carlos non conosce il volto di questo suo oltraggioso nemico, coglie l'occasione per

inscenare un piano per arruffianarsi il consanguineo di Elvira, ed evitare il duello, offrendosi di presentargli

lui stesso questo fantomatico Don Giovanni interpretato da uno dei suoi servi, abbigliati come lui, e

mandati come capro espiatorio alla morte, proprio come voleva fare precedentemente con Sganarello.

Sfortunatamente per Don Giovanni, sopraggiunge Don Alonso, fratello di Don Carlos ed Elvira, il quale, a

quanto pare, conosce o comunque è in grado di riconoscere l'oltraggioso libertino che ha lordato l'onore

della loro famiglia. Don Alonso dunque si appresta ad adempiere alla sua vendetta, quando viene fermato

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da Don Carlos, che dopo un lungo e controverso dibattito con il fratello, lo convince a lasciarlo andare,

riproponendosi di saldare il loro conto in un secondo momento, dato che se non fosse per lui, quei tre

banditi lo avrebbero ucciso. Non appena si allontanano i fratelli di Elvira, Don Giovanni rimprovera

Sganarello di non aver tentato di aiutarlo contro i due fratelli. Prima di incamminarsi nuovamente verso

casa, Don Giovanni intravede tra gli alberi limitrofi alla strada un superbo edificio che si rivela essere la

tomba del medesimo commendatore da lui ucciso sei mesi prima. Quindi, Don Giovanni e il suo servo

(quest'ultimo con grande ribrezzo e contrarietà), aprono la tomba ed accedono al mausoleo nel quale

trovano la rinomata statua del Commendatore, in abiti da imperatore romano. Dopo aver biasimato

l'immotivato lusso del luogo, Don Giovanni, per beffarsi della statua incredibilmente rassomigliante al suo

proprietario, ordina al servo, oramai più contrariato che mai, di invitare tale statua a cena, per quella sera.

Con grande costernazione e terrore di Sganarello, la statua gli risponde chinando la testa a guisa di

consenso. Don Giovanni, incredulo, formula una seconda volta, personalmente, l'invito, che la statua

riaccetta nel medesimo modo, suscitando in Don Giovanni la voglia di uscire dal mausoleo.

Atto IV: una volta usciti dal mausoleo, Sganarello ha un breve dibattito con il padrone, il quale nega la

strana realtà dei fatti appena accaduti. Dunque Don Giovanni rincasa, e non appena dà ordine che gli venga

servita la cena, si presenta alla porta un commendatore, nonché suo creditore: il signor Domenica, che

viene infine ricevuto con grandi cerimonie, scuse per l'attesa, inviti a banchettare insieme, moine ed

atteggiamenti ruffiani, che hanno la funzione diversiva di cambiare repentinamente discorso, ogni qual

volta il commendatore accenna ai soldi che il libertino gli deve. Don Giovanni riesce dunque a dominare il

signor Domenica: creditore che era più che deciso a essere rimborsato proprio quella sera, tanto che aveva

aspettato tre quarti d'ora nell'atrio, totalmente incurante delle esortazioni dei servi di Don Giovanni, che

volevano convincerlo che il proprio padrone non era in casa. Sganarello, infine, irritato dalle parole del

commendatore che gli ricordano di avere anche lui un conto monetario in sospeso, butta fuori di casa il

povero e sconcertato Domenica. Subito dopo Violetta annuncia l'arrivo del padre, Don Luigi, giunto sin lì

per rimproverare il figlio per la vita sregolata e dannata che conduce. Don Luigi ricorda come abbia a lungo

desiderato e pregato il cielo per avere un figlio; figlio che adesso è solamente motivo della sua vergogna e

del suo dolore. Don Luigi poi se ne va, deluso dalle parole sarcastiche e denigratorie del figlio. Non appena

Don Luigi si congeda, Don Giovanni mostra tutta la sua contrarietà alle parole del padre, augurandogli

addirittura di morire presto. Prima di potersi sedere per la cena, Ragotino giunge nella sala, annunciando al

padrone libertino che una signora velata desidera parlargli. Tale donna si rivela essere Donna Elvira. Ella,

non più carica di ira ed astio nei confronti dell'uomo che l'ha illusa, lo supplica, in nome dei sentimenti che

provò per lui in passato, di redimersi dal suo stile di vita scellerato e peccaminoso, salvandosi

dall'imminente punizione celeste. Anche Donna Elvira si congeda, annunciando che si ritirerà a vita solitaria,

nonostante le incitazioni del suo falso sposo, quasi ammaliato dal suo stato d'animo, a rimanere. La cena

viene finalmente servita, ma prima che Don Giovanni e Sganarello possano iniziare a mangiare, vengono

interrotti da una terza visita. Don Giovanni si trova infatti a ricevere colui che ironicamente aveva invitato a

cena quello stesso pomeriggio, che altri non è che la statua del Commendatore. La statua che va dai vivi

rispecchia il rito dei morti e inoltre rappresenta la religione cattolica che punisce il male. Tale ospite

inconsueto ed inatteso invita a sua volta Don Giovanni a venire alla sua cena, la sera successiva,

chiedendogli se ne avrà il coraggio. Don Giovanni accetta di andarci, portandosi il servo Sganarello,

assolutamente contrariato e sgomentato. Come al solito, il libertino accetta la sfida, non tirandosi mai

indietro dinnanzi a niente e a nessuno, sicuro di sé e sicuro di essere padrone del suo stesso destino.

All'uscita, Don Giovanni si offre di far luce con una fiaccola al suo strano ospite, che però dice di non averne

bisogno, perché è guidato dal cielo.

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Atto V: l'indomani Don Giovanni, mosso dal proposito di riavvicinarsi al padre, per mettersi al sicuro da

svariati spiacevoli incidenti che potrebbero accadere (soprattutto il duello con Don Alonso e Don Carlos),

finge una totale redenzione. Credendo a tali parole, il padre, in preda alla più grande felicità, afferma di

averlo perdonato di tutte le sue malefatte passate, abbracciandolo amorosamente. Quindi Don Luigi colmo

di gioia corre a casa da sua moglie, per darle la buona notizia. La notizia di redenzione suscita commozione

e felicità anche a Sganarello, il quale viene subito smentito dalla confessione del padrone, che lo lascia

basito. Don Giovanni ammette di lasciarsi andare a tali confidenze solo perché ha piacere ad avere un

testimone del fondo della sua anima, e un confidente dei veri motivi che lo costringono a comportarsi così:

confessa che la sua finta conversione altro non è che uno stratagemma utile ed una mossa politica. Si

giustifica inoltre asserendo che l'ipocrisia è un fattore comune tra le persone, e che molte di queste usano

la stessa maschera per ingannare il mondo. Infine conclude il suo monologo, elogiando l'ipocrisia, la quale,

secondo lui, offre meravigliosi vantaggi, tra i quali quello di non essere esposti al biasimo collettivo.

Successivamente, Don Giovanni si incontra con Don Carlos, al quale cerca di far credere la sua redenzione.

Inizialmente Don Carlos è lieto di tali parole, e del fatto che si potrà risolvere la questione in modo pacifico,

con il matrimonio tra Donna Elvira e Don Giovanni, in modo di mettere il salvo l'onore della famiglia. Ma

quando Don Giovanni gli confessa che anche lui, proprio come Donna Elvira, si ritirerà a vita privata e

solitaria in un convento, su consiglio del Cielo, Don Carlos ritorna sui passi del fratello, rinnovando la sfida a

duello, che avverrà in un luogo più opportuno di quello. Prima dell'appuntamento con la statua del

Commendatore, il libertino ed il servo Sganarello incappano in uno Spettro con le sembianze di una donna

velata, che proclama che Don Giovanni ha poco tempo per approfittare della misericordia del Cielo, prima

che la sua dannazione sia irrevocabile. Dopo di ché lo spettro cambia forma, tramutandosi nel Tempo con la

falce in mano. Dinnanzi a ciò, Sganarello rimane completamente terrorizzato, ed esorta ancora una volta il

padrone alla redenzione. Don Giovanni invece, dopo aver curiosamente detto di conoscere tale strana

voce, sguaina scetticamente la spada, gettandosi sullo spettro, il quale vola via. Don Giovanni dunque

riconferma a Sganarello che nessuno riuscirà mai a farlo pentire. Poco dopo, il libertino ed il suo servo

incontrano la statua del Commendatore, che gli ricorda l'appuntamento a cena. Don Giovanni dunque gli

chiede le indicazioni della sua abitazione, e la statua, come se volesse cortesemente accompagnarlo, gli

chiede la mano, che il libertino gli dà. La statua dunque proclama che il perseverare nel peccato comporta

una morte funesta, e che chi respinge il cielo apre il cammino alla sua folgore. Detto ciò Don Giovanni inizia

a sentirsi ardere da un fuoco invisibile, dunque un grande fulmine, accompagnato da gran fracasso, lo

investe, e la terra si spalanca, inghiottendolo tra fiamme fuoriuscenti. La battuta finale dell'opera spetta a

Sganarello, che si lamenta della paga che non potrà più ricevere dal momento che il suo padrone è stato

appena ucciso.

François de La Rochefoucauld: è stato uno scrittore, filosofo e aforista francese, fu un moralista inteso

come sociologo e psicologo, infatti il suo obbiettivo era quello di leggere il cuore umano, una sorta di

antropologo che studiava il comportamento e le conseguenze dell'agire umano, dando importanza agli

umori, responsabili delle gesta umane. Un punto focale del pensiero di Rochefoucauld era la sorte che

decide le nostre azioni, il fato che tutto decide e tutto ha già scritto. Di famiglia nobile, fu introdotto a corte

giovanissimo, partecipò a vari complotti contro il cardinale Richelieu e contro il cardinale Mazarino, per

questo conobbe la prigione e l'esilio, finché, deluso, abbandonò ogni impegno politico e si dedicò alla vita

mondana. Animatore di salotti letterari, si legò di tenera amicizia con Madame de La Fayette. Nel 1665

pubblicò la raccolta Riflessioni o sentenze e massime morali, la raccolta comprende 504 massime,

successivamente ne aggiungerà altre. Tali massime nacquero come un gioco letterario fra intellettuali.

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Madame de Sévigné: figlia di un aristocratico parigino di antica nobiltà e di una giovane della ricca

borghesia, rimase orfana in tenera età. Avviata agli studi letterari, ricevette un'educazione molto accurata.

Nel 1644 sposò un gentiluomo bretone, da cui ebbe due figli. Rimasta vedova, si stabilì a Parigi e frequentò

i salotti del preziosismo, entrando in contatto con gli scrittori dell'epoca. La separazione dall'amatissima

figlia Marguerite-Françoise, che aveva seguito in Provenza il marito, conte di Grignan, costituì l'occasione di

un epistolario protrattosi per venticinque anni. Nelle 1115 Lettres (Lettere, di cui 798 alla figlia) appaiono

episodi di vita quotidiana accanto a eventi memorabili, protagonisti della cronaca mondana accanto a

uomini e donne del popolo, alternanza di festa e funerale, dramma e piacere, aneddoto leggero e

meditazione religiosa. Tutto degno dello stesso interesse, segnato dal medesimo amore per la vita e dalla

stessa attenzione per l'interlocutore, specie quando le lettere sono indirizzate alla figlia lontana e fanno

trapelare una struggente nostalgia. La freschezza dell'ispirazione, l'autenticità dei sentimenti, la vivacità

delle immagini, lo stile che dissimula lo studio e la ricercatezza dietro la naturalezza fanno di questo

epistolario un capolavoro ineguagliato del genere.

Jean de La Fontaine: è stato uno scrittore e poeta francese, autore di celebri favole con intenti moralisti. I

personaggi nelle sue favole sono per lo più animali parlanti, ma ricche di riferimenti critici e ironici al

potere, sono caratterizzate da uno stile allo stesso tempo raffinato e semplice, e vengono considerate

capolavori della letteratura francese. Nonostante fosse di spirito indipendente, visse quasi tutta la sua vita

sotto la protezione dei nobili dell'epoca. Visse a corte sotto la protezione di Nicolas Fouquet, politico che

amava circondarsi di letterati; per compiacerlo, la Fontaine scrisse per lui varie opere, come poemi,

madrigali, commedie, e perfino libretti d'opera. Quando però Fouquet cadde in disgrazia, La Fontaine

coraggiosamente prese le parti del suo protettore scrivendo un trattato in sua difesa: questo lo fece cadere

a sua volta in disgrazia e in gravi difficoltà finanziarie. Visse in esilio finchè poco tempo dopo, divenne

"gentiluomo servente" sotto la protezione di Madame d'Orleans di Lussemburgo e dopo la morte di questa

passò sotto la protezione di Madame de la Sablière, intenditrice di filosofia e scienza, il cui salotto era

frequentato dai personaggi più ingegnosi dell'epoca. Frequentò letterati del calibro di Jean Racine, Molière

e Madame de La Fayette. Nel 1683 fu eletto membro dell'Académie Française. Riuscì a pubblicare una

prima raccolta di Favole nel 1668 (dal primo al sesto volume in centoventiquattro episodi) intitolata "Fables

choisis mises en vers" e una seconda nel 1679 (dal settimo all'undicesimo, mentre un dodicesimo fu

pubblicato successivamente). All'inizio la prima raccolta, destinata al delfino di Francia, non ha molto

successo, aveva un fine didattico, tematica leggera, con una morale ed era scritta per i bambini,

successivamente trasforma il genere didattico in genere letterario, togliendo tutti gli ornamenti, evitando il

linguaggio aulico, alleggerendolo ma facendo restare la morale, l'intento era anche quello di raccontare la

natura umana. In seguito il genere delle favole subisce un'evoluzione; quelle della seconda raccolta infatti

sono più complesse e mostrano più punti di vista. Nella seconda raccola si ispira più a Esopo ed è dedicata

alla preferita del re e all'interno ci sono morali più filosofiche, più difficili da interpretare. Nel dodicesimo

episodio vi è un contrasto tematico, una parte parla della cattiveria, dell'invidia e della follia, l'altra invece

della gioia di vivere e dell'amicizia. Facendo riferimento a due favole prese dalla prima raccolta, possiamo

notare l'intento di La Fontaine nel voler inviare un messaggio, contestualizzandolo in diverse situazioni, ma

che fondamentalmente hanno un tema comune, nella fattispecie il rifiuto per la morte. Nella prima favola,

quella dello "sfortunato" possiamo notare la voglia del protagonista di andarsene, egli infatti evoca la

morte più volte, ma quando finalmente essa si presenta egli la rifiuta terrorizzato. Nella seconda storia

invece, quella del "boscaiolo", assistiamo ad un intero calvario dell'uomo, stanco e affamato, che solo alla

fine evoca la morte, una sola volta e subito essa appare. Le differenze fra le due storie sono che intanto

nella prima favola troviamo un vocabolario elegante, gentile e "prezioso", una allitterazione della M che

rievoca la morte e un imperfetto che sottolinea le invocazioni ripetute nel tempo, un'ansiosa attese della

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morte. Nella seconda favola invece c'è un impulso diverso, è più un grido, non una preghiera quotidiana,

ma un impeto di disperazione e all'interno di essa troviamo un linguaggio più schietto e semplice, più

realistica e tormentata della prima.

Charles Perrault: fu uno scrittore francese, membro dell'Académie française dal 1671, e autore del celebre

libro di fiabe "I racconti di Mamma Oca", raccolta di undici fiabe fra cui Cappuccetto Rosso, Barbablù, La

bella addormentata, Pollicino, Cenerentola e Il gatto con gli stivali.

Madame de La Fayette: è stata una scrittrice francese. Viene considerata l'inventrice del romanzo

moderno, un romanzo prezioso, psicologico, intimista, con una struttura elaborata e soprattutto il primo

romanzo breve. Ella sposa il conte de Lafayette e per questo si avvicina alla corte, prendendo rapporti coi

letterati, diventando amica di La Rochefoucold e creando un salon letteraire. Rimane vedova e si allontana

dalla corte, convertendosi al giansenismo e al pensiero di Pascal. Le sue eroine le somigliano molto, nella

solitudine, nell'assenza del marito, nella vita agiata e nella concezione pessimistica dell'amore. In quanto

"preziosa" rifiuta le passioni, preferendo l'amicizia, concependo l'amore come "forza perturbatrice, peste

del genere umano e una cosa scomoda". I suoi romanzi vengono scritti in forma anonima, in una prosa

raffinata che analizza il cuore umano, ella infatti cerca di capire in che modo le persone possono arrivare

alla "saggezza senza passioni". Nelle sue opere è importate l'argomento storico legato alla finzione: ella

infatti sceglierà la corte di Enrico II, dietro la quale però, si nascondono situazioni e personaggi della corte

di Luigi XIV, a lei contemporanea, in questo modo può fare una critica indiretta, con lo scopo di dare un

insegnamento e correggere la condotta degli uomini e i loro costumi.

La principessa di Clèves, Madame de La Fayette.

Scritto in uno stile sobrio e raffinato, è considerato il primo romanzo psicologico moderno e modello di un

consistente filone della letteratura francese - tra cui Manon Lescaut, dell'abbé Prévost, La vita di Marianna

di Pierre de Marivaux e Madame Bovary di Gustave Flaubert. Le vicende sono ambientate nella corte di

Enrico II, dietro la quale però, si nascondono situazioni e personaggi della corte di Luigi XIV, a lei

contemporanea, in questo modo può fare una critica indiretta, con lo scopo di dare un insegnamento e

correggere la condotta degli uomini e i loro costumi. L'argomento scritto in prosa è l'amore, analizzato nelle

relazioni fra i veri personaggi, al fine di dare una morale, cioè la purificazione dalle passioni. Troviamo uno

scontro fra il sentimento d'amore e la fedeltà matrimoniale. Parliamo di un amore tormentato, questo

possiamo notarlo dalla scelta dell'autrice di non far incontrare subito la protagonista col suo amore, ma li fa

incontrare solo dopo il matrimonio col marito. Ciò che rende verosimile il romanzo è il fatto che all'interno

dell'opera vengono indicati intrighi reali connessi a fatti veri. Per quando riguarda la corte e i suoi

protagonisti, possiamo notare che i due elementi caratterizzanti sono l'ambizione e la galanteria. La

galanteria è intesa come eleganza e bravura nel fare la corte, elemento che da un "vestito aristocratico"

all'amore, inconciliabile col matrimonio, legato a ragioni sociali, in realtà l'unico che riesce a conservare un

equilibrio fra entrambi gli elementi è proprio il principe di Clèves. L'ambizione si manifesta in guerre e

tornei, il valore virile degli uomini che vogliono conquistare la donna vieni dimostrato in battaglia. La

bienseance in quest'opera è un aspetto importante, interpretata come la regola che porta l'individuo a

rispettare la propria carica e i titoli, reprimendo ogni sorta di sentimento e passione, considerati non

convenienti e poco rispettosi. Caratteristica dell'autrice, è l'eliminazione di tutte le descrizioni degli

ambienti, a meno che non siano funzionali agli eventi, preferisce concentrarsi sui comportamenti dei

personaggi (es. la preparazione della principessa).

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Personaggi:

Principessa di Clèves: la protagonista, moglie moralmente esemplare ma innamorata del duca di Nemours,

è fedele e sincera al proprio marito al punto di confessargli la propria passione amorosa per il duca. Viene

educata dalla madre lontana dalla corte con dei valori e una moralità ferma. E' diversa dalle altre donne di

corte, arrossisce se le fanno i complimenti, è modesta ed è proprio questa sua semplicità che fa nascere la

passione degli altri personaggi. Ella vive continuamente - per scelta dell'autrice - situazioni per le quali non

è preparata, sondandone i comportamenti in occasioni che non si aspetta.

Principe di Clèves: innamorato gelosamente della propria moglie, è consapevole di non esser ricambiato e

alla fine sembra accettarlo; ma, dopo la scoperta della passione amorosa della moglie per il duca, ne muore

di dolore.

Duca di Nemours (Giacomo di Savoia-Nemours): spasimante di Elisabetta I, decide di abbandonare

l'impresa per amore della principessa. Affabile e galantuomo libertino per eccellenza, dimostra un certo

rispetto per la moralità della protagonista.

Madame di Chartres: madre della principessa, è la prima a capire i veri sentimenti della figlia per il duca;

esempio morale per la protagonista, morirà in maniera "stoica". Notiamo questa sua forte tendenza a

seguire la moralità anche alla sua morte, quando esorta la figlia a mantenere la sua buona reputazione,

utilizzando un linguaggio quasi giudiziario alla quale la figlia sembra doversi difendere, è un discorso

processuale ma drammatico.

Storia: la protagonista, Mademoiselle de Chartres, è una delle dame più affascinanti e corteggiate della

corte di Enrico II di Francia; sposa il principe di Clèves, uomo che stima ma non ama. La novella sposa

conosce l'amore dopo il matrimonio nella persona del duca di Nemours, corteggiatore di Elisabetta I

d'Inghilterra: l'amore è corrisposto, ma la fedeltà matrimoniale impedisce alla principessa di Clèves di

tradire il proprio sposo, anche dopo la morte di quest'ultimo (causata in parte dalla confessione della

moglie di essersi innamorata del duca). Nonostante le pressioni del duca di Nemours, la protagonista si

ritira in un monastero nei pressi dei Pirenei per intraprendere una vita umile e di carità, morendo ammirata

da tutti per le sue buone opere. Scena del ballo: i due si incontrano in occasione del ballo; il re chiede alla

principessa di ballare col primo che entrerà dalla porta, entra quindi il duca di Nemours e i due - senza

essersi presentati - ballano. In seguito i due vengono invitati dalla regina a presentarsi e intanto assistiamo

ad una sorta di bilancio della madre della principessa che parla dell'incontro fra i due e del fatto che tutti in

sala si sono accorti della bella coppia che si era appena formata. La scelta dell'autrice è quella di fare vivere

alla ragazza situazioni per le quali non è preparata, sondandone i comportamenti in occasioni che non si

aspetta. Scena della morte della madre: durante la scena della morte della madre della principessa,

assistiamo ad una sorta di processo giudiziario da parte della madre, la quale con un linguaggio tragico e

processuale, invita la figlia a mantenere la propria dignità e la propria morale, sapendo del suo amore verso

il duca. Scena del furto del quadro: durante la scena del furto del quadro notiamo effettivamente quanto

profondi siano i sentimenti che legano la principessa al duca, un amore così forte che non potrà più

reprimere, decidendo di parlarne al principe. Scena della confessione: nella scena della confessione

assistiamo ad un monologo della protagonista, che possiamo dividere in due parti, una prima in cui fa una

sorta di resoconto, con un linguaggio diretto e subordinato, e una seconda in cui regnano le interrogative,

importarti perchè creano un crescendo sentimentale che porterà alla confessione. Questa scena è stata

criticata perchè si credeva che non rispettasse la verosimiglianza (il duca nascosto che ascolta la

conversazione), qui nasce il sentimento di gelosia del marito, che tuttavia prova anche rispetto verso la

sincerità della donna nell'ammettere il suo amore verso il duca. Il sapere dai suoi uomini che la donna non

aveva detto la verità, ma che trascorreva del tempo col duca, porteranno il principe a morire di dolore.

Scena della morte del principe:assistiamo ad una confusione sentimentale del principe, combattuto nel

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credere o no alla donna, geloso per il fatto che una volta morto la moglie si sarebbe potuta sposare di

nuovo. Assistiamo anche alla disperazione della principessa per non essere creduta dal principe. In effetti

dopo la sua morte ella si ritirerà, rifiutando di sposare il duca.

Les Caractères: è un'opera di Jean de La Bruyère del 1688. L'opera si divide in due parti, la prima parte è un

riadattamento in chiave moderna del testo di Teofrasto, noto discepolo di Aristotele, nella seconda è più

originale, scritta da lui. E' una raccolta di massime e ritratti morali con una forte critica politica e sociale

data dall'uso dell'ironia. I primi due capitoli sono generici, parlano della natura dell'uomo in generale, negli

altri invece noteremo delle tematiche ben precise. La parte che riguarda Teofrasto dura una ventina di

pagine, poi se ne discosta per parlare non dei costumi greci ma di quelli contemporanei, descrivendo sia i

ceti più elevati che quelli meno abbienti. Possiamo notare un rispetto della bienseance, dei canoni

classicisti e dell'obbiettivo educativo dell'arte. Dietro questa profonda analisi dei vizi c'è il ritratto perfetto

dell'Honet Homme, modello da seguire, acculturato, elegante, riflessivo, discreto, galante ma non prezioso,

pedante o indisciplinato. La forma utilizzata è la scrittura frammentaria, che è un elemento che ritroviamo

nella letteratura classica greca e latina, una forma caratterizzata dalla discontinuità una scrittura a sé che

non si lega agli altri, questa forma tra l'altro, rappresenta anche la sua visione frammentaria del mondo.

Illuminismo:

Punto di vista Storico: è un periodo storico che caratterizza il settecento, dopo la morte di Luigi XIV, sale il

duca D'Orleans, che riesce a dare un certo potere al Parlamento, potere che prima non aveva, un periodo in

cui la situazione finanziaria è grave, Luigi XIV aveva sperperato tutto. Il duca D'Orleans continuò a

perseguire i giansenisti. Dopo lui, a soli diciotto anni sale Luigi XV, che lascia governare Fleuri, il suo

precettore; in questo periodo il giansenismo assume una portata politica molto forte, assistiamo

all'intromissione del papa all'interno del parlamento, facendo crescere il contrasto fra le due fazioni. Il re

era guidato da madame de Pompadour, che contribuì alla crisi finanziaria influenzando la politica estera.

Luigi XVI, eredita quindi una Francia in bancarotta e non riesce a proporre riforme necessarie per la ripresa,

sposa Maria Antonietta, detta l'austriaca, un personaggio non molto apprezzato dai francesi e in seguito

convoca gli stati generali con lo scopo di imporre nuove tasse, con una sorta di furbata a discapito del terzo

stato che reagisce unendosi a nobili e clero fondano l'Assemble Nazionale Costituente, affermando che ogni

decreto dovesse passare attraverso tale ente. Il re rispose armando le sue truppe e in poco tempo fu la

rivolta, che vide Luigi XVI morire, proclamando la repubblica.

Punto di vista letterario: la cultura illuminista fa molto riferimento a personaggi come Locke (con

l'Empirismo e la sua esperienza esterna, sensazione, ed interna, riflessione) e Kant, con la sua forte critica

verso il mondo. Assistiamo quindi ad uno sviluppo della scienza e della cultura, alla supremazia della

ragione da parte di queste nuove figure che si fanno chiamare "Philosophes", non intesi come filosofi, ma

come uomini di mondo, di cultura, viaggiatori e dall'interesse verso la cultura a 360°. Si impone il Deismo,

diverso dalla religione, cioè una "religione" naturale, si crede ad una divinità al di fuori del dogmatismo. Gli

illuministi sono materialisti, empiristi, vogliono combattere il principio di autorità, mettono in discussione

ogni sorta di verità. Si rifanno a forme letterarie come il saggio, il racconto filosofico o il giornale,

utilizzando un linguaggio semplice, efficace, ironico e polemico. Gli illuministi proclamano l'uguaglianza di

tutti gli uomini, il filantropismo, l'accettazione delle diversità, il cosmopolitismo, la fiducia nel risolvere i

problemi con la ragione e la positività, l'ottimismo, la speranza di poter creare una società giusta.

Importante è anche il sensismo, cioè un'attenta considerazione della fantasia, dell'immaginazione e

dell'affettività, non ripudiano il sentimento ma esso deve essere regolato dalla ragione. Credono

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nell'utilizzo educativo della letteratura, nella divulgazione del sapere e ripudiano l'oziosità. La storia viene

considerata come un insieme di errori.

Encyclopédie: è una vasta enciclopedia pubblicata nel XVIII secolo, in lingua francese, rappresenta un

importante punto di arrivo di un lungo percorso teso ad avvicinare tutte le discipline in un unico progetto.

Grazie alla Societé des Arts, un insieme di scienziati, assistiamo ad un primo tentativo di avvicinare diverse

discipline mettendo insieme il loro sapere scientifico e tecnico. Nel 1739, un anno prima della sua morte,

Chambers rifiutò l'offerta di pubblicare in Francia un'edizione tradotta della sua Cyclopaedia, da dedicare a

Luigi XV. Negli anni immediatamente successivi, tuttavia, la traduzione in francese fu iniziata da John Mills,

un letterato inglese, da tempo residente in Francia, il quale prese come assistente il professore tedesco

Gottfried Sellius, stabilitosi da diverso tempo a Parigi. Essi si rivolsero quindi al tipografo reale, il libraio ed

editore André Le Breton, perché ottenesse per loro conto il permesso di pubblicazione ed i relativi privilegi

di stampa; questi, invece, se li fece concedere a proprio nome, provocando il risentimento di Mills. Più tardi

Le Breton si mostrò estremamente insoddisfatto del lavoro svolto da Mills, accusandolo di avere

un'insufficiente padronanza del francese, quindi riuscì a posticipare il progetto per riprenderlo nel 1745

accordandosi con tre librai ed editori, tra cui Diderot, in seguito si aggiunse anche De L'Ambert. Questi due

si fecero portatori di questo progetto, riacquistarono i manoscritti tradotti da Mills e cercarono altri

dizionari da tradurre per apliare gli argomenti dell'enciclopedia. Diderot era convinto che questo doveva

essere un'impresa della quale dovevano occuparsene una intera società di persone, letterati e artisti, sparsi

in tutto il mondo ma legati da un unico interesse verso l'uomo, doveva essere un opera libera, un'opera

non asservita al potere del governo. in effetti però, l'enciclopedia fu uno strumento politico perchè aiutò a

sottolineare la "lotta" fra le fazioni: l'aristocrazia era pro all'enciclopedia perchè vi vedeva un sostegno

contro i gesuiti e i giansenisti, i gesuiti non la volevano perchè loro aveva creato "le dictionaire de Trévoux"

che non ebbe lo stesso successo e fece loro rimpiangere di aver sottovalutato un tale strumento sociale, i

giansenisti erano contro perchè erano troppo intransigenti nelle loro regole per condividere la libertà

dell'enciclopedia e il clero la appoggiava perchè contro i gesuiti.

Montesquieu: è definito un "lettorato impuro". Ha la capacità di dre ad ogni argomento (politico,

scientifico, storico) una fisionomia letteraria. Fra le sue opere è molto famoso "Les Lettres Parsanes"

(1721), in cui propone una corrispondenza fittizia fra tre viaggiatori persiani e di altri personaggi, in realtà

lui dirà di avere trovato queste lettere e di averle tradotte, una sorta di sotterfugi per declinare le

responsabilità di una eventuale critica. Spicca il tema del viaggio, un tema particolarmente apprezzato nel

periodo illuministico, lo ritroveremo in Voltaire per esempio. La particolarità del romanzo epistolare è la

coesistenza di più voci, che permette una polifonia ideologica e stilistica, scrive in modo diverso a seconda

del personaggio che interpreta. Nelle su opere è palpabile la critica nei confronti di ogni forma di tirannia,

rivendicando la libertà. L'esprit de Loi è un'altra opera importante, un saggio considerato la prima opera di

scienza politica. Nella prefazione l'autore spiega il suo metodo di ricerca: ha esaminato gli uomini, le leggi e

i costumi delle società, poi stabilito dei principi universali. Parla della divisione delle due leggi; le leggi

positive quelle emanate dall'uomo, e naturali quelle che vigono a prescindere dall'intervento dell'uomo,

sono due leggi che non sono mai contraddittorie fra loro. Queste due leggi dipendono dal Clima, che

secondo Montesquieu influenza politica e morale. Egli collega anche ad ogni forma di governo una legge e il

principio su cui si fonda. Repubblica; virtù, Monarchia; onore, Dispotismo; paura. Propone anche come

modello l'Inghilterra, col suo bilanciamento dei poteri, perché pensa che la monarchia tenda sempre ad

estendere il proprio potere.

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Romanzo nel settecento: genere più libero, la poesia classica vive un momento di stasi e il romanzo prende

campo in un periodo di sperimentazione. La poesia vive un momento di crisi fomentata anche dalla

"querelle des anciens et des moderners" che divideva i lettorati in due fazioni, chi pensava che per

raggiungere la perfezione bisognava rifarsi ai classici e chi invece voleva sperimentare nuove forme. E' una

questione che durerà fino a fine secolo, finchè Chenier farà rivivere la poesia dandole riferimenti classici ma

ponendo attenzione alle scienze. Il romanzo è esente da questa crisi, scatenando dibattiti per la sua

"libertà" e troverà in personaggi come Marivot e Prevost un pretesto per diventare un modo per affrontare

i conflitti dell'epoca e le tensioni morali contemporanee. A differenza dei romanzi del seicento, nel

settecento emergono innovazioni particolari, come il rapporto fra Personaggio e Autore; il personaggio

infatti scrive spesso in prima persona come se fosse un racconto autobiografico, questo lo possiamo notare

specialmente in Manon Lescaut.

Lesage: fu un autore di romanzi di costume e di tipo psicologico. Si rifà al picaresco spagnolo, utilizzando

uno stile forte, insolente, carico di ironia e forza satirica. Utilizza personaggi che analizzano la società in

chiave ironica, creando polemiche mascherate da romanzi di formazione, da una rappresentazione

realistica del mondo. Una sua opera famosa è "Histoire de Gil Blas de Santillane", che narra dello studente

di Oviedo Gil Blas, di umili origini, che si mette in viaggio per andare a studiare all'Università di Salamanca.

Inesperto del mondo, gli capitano le avventure più diverse: viene truffato, è sequestrato dai banditi, salva

una signora caduta nelle loro mani, finisce innocente in prigione, diviene servo, poi segretario, poi medico.

A Madrid conosce il mondo del teatro e quello della corte: torna a Oviedo in tempo per assistere il padre

morente e qui si sposa con Antonia. Tornato a Madrid, diviene favorito di un conte che tuttavia cade in

disgrazia; nuove disgrazie, come la morte della moglie, e nuove avventure che hanno tuttavia un lieto fine

con il matrimonio di Gil Blas con la bella Dorotea. La morale complessiva può essere tratta da queste

avventure, essa consiste nel rilevare come l'astuzia sia il motore delle azioni umane: così come con l'astuzia

gli uomini soddisfano i loro vizi – la passione per il denaro, la volontà di farsi largo a qualunque costo nella

vita, l'imbrogliare gli ingenui – così ancora con l'astuzia i buoni devono imparare a difendersi e difendendo

la propria virtù è lecito trarre anche qualche vantaggio. Di Lesage è da notare anche il tema dell'esperienza,

considerato come un modo per l'uomo di migliorarsi, ma non trasformarsi. Una scelta particolare del

narratore è anche il modo di scrivere, egli infatti fa raccontare la storia al protagonista quando è anziano e

maturo, con un occhio critico verso i suoi sbagli e le sue debolezze.

Pierre de Marivaux: è stato un drammaturgo e scrittore francese considerato il più importante

commediografo di Francia del XVIII secolo, ha composto numerosi testi per la Comédie-Française e la

Comédie-Italienne di Parigi. Egli usa personaggi stereotipati, che affrontano l’apposizione tra l’essere e

l’apparire, ognuno di essi porta una maschera, un travestimento, egli si rifà al modello della “doppia

coppia”, cioè fa prendere i ruoli opposti a quelli reali per vedere le reazioni dell’altro (es. Il gioco dell'amore

e del caso). Utilizza un linguaggio ambiguo e allusivo, è il teatro dell’equivoco. Si rifà alla drammaturgia di

Molière, ne riprende e ne completa alcuni aspetti coltivando sia il romanzo che il teatro. Aggiunge al teatro

dell'illustre predecessore una componente amorosa, un nuovo modo per affrontare l’amore, egli studia la

psicologia amorosa, un amore più puro e onesto, un amore che prevale sugli interessi personali. E’

importante l’uso della conversazione. Troviamo innamorati di rango e innamorati servitori, Nello specifico

gli interessa soprattutto l'innamoramento che diventa un gioco teatrale dove i personaggi cercano di

mascherarsi per scoprire se sono corrisposti, il gioco del mascheramento dei sentimenti è presente in tutte

le sue commedie, gioco sottile e psicologico. Nella lingua francese il suo nome ha dato origine al verbo

marivaundage che indica lo scambio di proposte galanti o comunque molto raffinate, con un linguaggio

delicato e ambiguo, ma non volontario, giusto perché viene mal interpretato. Una sua opera importante è I

due romanzi più importanti sono La vie de Marianne e Le paysan Parvenue, considerate due opere

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autobiografiche immaginarie in cui si presenta lo stesso conflitto tra l'individuo e la società, i due eroi

affrontano avventure che rendono la storia drammatica, piena di introspezione psicologica, entrambi i due

eroi sono attori e spettatori. La vita di Marianna è un romanzo rimasto incompiuto, nel quale si raccontano

le avventure di una giovane ragazza, orfana e incerta delle proprie origini che prova a conquistarsi un posto

nella società grazie alla sua bellezza e alla sua intelligenza. Marivaux, fedele alle dinamiche dei suoi tempi,

inizia l’opera con una prefazione particolare, un avvertimento al lettore nel quale sostiene di non essere lui

l’autore della storia,ma di aver semplicemente “trovato” il manoscritto. Questa tecnica gli consente di

creare l’illusione della realtà, di elevare Marianne da personaggio di finzione a persona realmente esistita,

riuscendo così a stabilire un legame speciale, quasi di confidenza, tra lettore e narratore. Anche Il villano

rifatto utilizza lo schema delle memorie, ma qui il personaggio, per la sua stessa estrazione contadina, non

si abbandona all'analisi dei sentimenti e si limita a ragionare sui fatti della sua vita; l'autore ne rappresenta

il successo, conseguito in modo ambiguo con il fascino esercitato sulle donne, senza ombra di giudizio

morale. "Il gioco dell'amore e del caso" è uno dei suoi capolavori teatrali. Si tratta di una commedia che fu

rappresentata la prima volta dagli attori della Comédie italienne il 23 gennaio 1730: il successo fu grande e

si tennero quindici repliche. Il 28 gennaio l'opera venne allestita a Versailles. L'intreccio dell'opera si basa

sullo scambio di ruoli che avviene, per caso, tra alcuni dei personaggi della commedia. Orgone ha una figlia,

Silvia, alla quale concede di vestire i panni della sua cameriera, Lisetta, allo scopo di studiare segretamente i

comportamenti del suo futuro sposo, il giovane Dorante. Anche Dorante, però, ha usato lo stesso

stratagemma: mascherato da Arlecchino, suo servitore, studierà il comportamento di Silvia. Silvia e

Dorante, nei panni dei rispettivi servi, si innamorano e la stessa cosa accade anche ai due servitori che

indossano le vesti dei loro padroni. Silvia è amareggiata dal fatto di essersi innamorata di quello che crede

un servo ma Dorante le rivela la sua identità e Silvia, per vendetta, non gli svela di non essere Lisetta e

chiede a suo fratello Mario di fingersi uno spasimante per farlo ingelosire e testarne la tempra. La

commedia termina con il doppio matrimonio che si celebra tra Silvia e Dorante e tra Arlecchino e Lisetta.

Prévost: autore caratteristico per i suoi elementi classici e anticlassici. Fu educato dai gesuiti ma si avvicina

al giansenismo. Nelle sue opere possiamo trovare una scarsa attenzione per l'ambientazione ma una

particolare cura per i personaggi. In una sorta di autobiografia mascherata, troviamo uno spiccato senso

della fantasia e una predisposizione per l'eccesso che spesso sfocia nel macabro. I personaggi di Prévost

sono eroi borghesi, allo scopo di illustrare le conseguenze della passione amorosa.

Histoire du chevalier Des Grieux et de Manon Lescaut, Prevost

E' l'opera più famosa di Prévost, è il settimo e ultimo volume di Mémoires et aventures d'un homme de

qualité, preceduta da "Histoire de M. Cleveland", dando ai due racconti dei finali del tutto diversi (da una

parte Fanny resta in vita, dall'altra Manon muore). Quando questo libro venne pubblicato in Francia per la

prima volta fu bandito, ma divenne molto popolare, anche grazie alle edizioni pirata che furono

ampiamente diffuse. In una delle edizioni successive, quella definitiva del 1753, Prévost attenuò alcuni

aspetti ritenuti scandalosi e introdusse maggiori considerazioni moralistiche. Nel racconto l'autore inserisce

i due personaggi all'interno di un contesto storico caratterizzato da una crisi economica e sociale, inserendo

quindi tematiche come l'ossessione per il denaro, considerato fondamentale per trovare la felicità,

utilizzando un certo realismo, questo elemento lo ritroviamo soprattutto nel rapporto fra i due protagonisti

e nella fattispecie in Manon, che più volte si allontana da Des Grieux ogni qual volta può vivere una vita più

agiata. E' un opera dalla tragicità così alta che viene paragonata a una tragedia raciniana, anche se

effettivamente lo schema "lui, lei, l'amante" è di Moliere. L'intrigo della storia è per l'epoca inaccettabile e

inverosimile, perchè l'idea che un nobile si innamori di una prostituta rovinandosi è impensabile. Dissemina

l'opera di allusioni e suspance così da ottenere l'attenzione del lettore. Nella prefazione troviamo una

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riflessione morale con riferimenti classici volta a dare una dignità letteraria all'opera. Troviamo uno stile

malinconico, raffinato, con una forte capacità di riflessione, sembra quasi di leggere un lunghissimo

monologo. Il protagonista è un giovane di 22 anni, di cui Prevost dipinge le passioni ma anche le qualità, è

un personaggio che trova in se stesso una certa virtù, ma che non è proprio in pace con se stesso. E'

rivoltoso e dopo la morte dell'amata molto malinconico anche se con una grande voglia di tornare in se

(dissidio tipico anche di Racine), infatti è oggettivo e riconosce i difetti della sua storia d'amore con Manon,

tanto che alla fine non sa se l'amore sia un bene o un male. La storia è caratterizzata da un forte contrasto

fra alcuni elementi che creano una particolare ambiguità: infatti vengono mischiati passione e negatività,

buoni sentimenti e azioni cattive, sta quindi al lettore credere cosa sia giusto e cosa sbagliato. E' da

analizzare anche il concetto di "provvidenza" diverso da quello personale di Prevost, il protagonista infatti

spesso evoca la fortuna intesa come "chance" e "argents", quindi non è intesa come la intende il

giansenismo. Secondo Prevost l'eroe è colui che arriva a conoscere lo stato limite dei suoi sentimenti

superando le crisi più nere, Des Grieux infatti, è chiamato dai critici "L'orfeo di Prevost", perchè quando

torna dall'America racconta dei suoi tormenti amorosi come farebbe un poeta, egli stesso infatti si definisce

un esploratore di terre sconosciute quando si riferisce ai suoi sentimenti e alle sue passioni. Des Grieux

rimane un personaggio aristocratico nei suoi atteggiamenti, è disperatamente attaccato alla sua veste da

nobile, la sua ingenuità è dovuta al fatto che crede che la società possa accettare la sua situazione. Una

eccezionale particolarità utilizzata da Prevost è il modo in cui egli spiega l'incontro fra i due: in pratica narra

del primo incontro, poi del secondo dopo due anni e successivamente parte una sorta di flashback in cui

racconta l'inizio della storia, quindi abbiamo un tempo della narrazione diverso dalla storia. Nella prima

parte possiamo notare una elevazione dei protagonisti che vengono elevati rispetto agli altri personaggi

dell'ambientazione, per una nobiltà di portamento, una grazia particolare che ispirano sentimenti dignitosi.

Lo sconosciuto rivolge domande a 4 persona diverse, ogni persona contribuisce alla crescita del registro

patetico e alla tragicità, fino ad arrivare a Des Grieux, che ispira compassione per la sua condizione

sofferente, il lettore quindi viene incuriosito e vuole sapere di più della sua storia, Manon invece viene

descritta con termini come aggraziata, modesta e nobile, anche se concretamente è una prostituta. E'

quindi un incipit che lascia tre casi di suspance: il mistero sui personaggi, sulla loro relazione e sulle cause

che li hanno portati fin li. Il motore di tutto è ovviamente la passione, citata spesso da Des Grieux. Vi è

quindi una introduzione approssimativa dei personaggi, anche se non descrittiva a livello fisico, e si capisce

già che saranno due persona molto diverse fra loro che si innamoreranno poi per un colpo di fulmine, che

possiamo notare dai superlativi. Il finale richiama molto la tragedia e il giansenismo, Manon non era

destinata alla grazia, fin dall'inizio questo amore è definito "fatale" e si assiste all'evocazione di Dio da parte

di Des Grieux, stavolta non distante ma di conversione e approccio alla fede, lui era destinato alla grazia.

La passione: Lo scopo principale, l'intento morale dell'opera è quello di mostrare come i giovani, guidati

dalla passione, possano perdere se stessi. Il tema della passione è utilizzato da Prevost come forza tragica,

le emozioni sono crude, che è diverso da Racine che identifica la tragicità in una forma più trascendentale e

meno terrena, la passioni di Prevost deve essere una fora che deve fare lottare contro le convenzioni, una

sensazione elementare vissuta come una sorta di malattia. Ci ricorda molto "il trattato delle passioni" di

Cartesio, all'interno della quale troviamo passioni primitive come l'odio, l'amore, il piacere, l'ammirazione e

la paura, Prevost riporta nella sua opera tutte queste passioni cambiando però l'ammirazione con la

speranza. Tuttavia la passioni dominante è l'amore, che è descritta come "exptionelle", resa soggettiva dal

fatto che è una passione formata da tutte le passioni primitive, arricchite dalle passioni secondarie, cioè

fierezza, vergogna, generosità, gelosia e inquietudine. Secondo Prevost l'uomo nasce con una grande voglia

di trovare la felicità, ma è un desiderio impossibile da realizzare, perchè preferendo il bene soggettivo a

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quello collettivo non può essere davvero felice, l'eroe che si accorge di provare amore verso un'altra

persona è destinato alla tragicità.

Trama: ambientato principalmente in Francia e, nel finale, in Louisiana, agli inizi del XVIII secolo. La storia

narra del Cavaliere Des Grieux e della sua amante Manon Lescaut. Des Grieux proviene da una famiglia

nobile, ma rinuncia a tutta la ricchezza ereditaria scappando via con Manon. I giovani amanti si stabiliscono

a Parigi, dove Des Grieux si cerca in tutti i modi di soddisfare le abitudini lussuose di Manon, per esempio

chiedendo soldi al fedele amico Tiberzio e barando al gioco. In varie occasioni, Des Grieux perde le sue

ricchezze in circostanze accidentali e Manon più volte lo abbandona per uomini più ricchi, poiché non può

sopportare di vivere nella miseria. Dopo l'ennesima truffa ai danni del ricco signor G*** M***, i due amanti

vengono fatti imprigionare ma, mentre Des Grieux riesce a salvarsi grazie all'intervento del padre, Manon

viene condannata all'espatrio in America. Des Grieux cerca di salvarla, ma non può far altro che seguirla

fino a New Orleans. In America, riescono a vivere in pace per un certo periodo di tempo, sotto il favore del

governatore della città. Quando però Des Grieux gli comunica la sua volontà di prendere in moglie Manon,

il governatore, che li credeva già sposati, vuole darla in sposa a suo nipote, Synnelet, innamorato di lei. Des

Grieux sfida a duello Synnelet e, pensando di averlo ucciso, decide di scappare da New Orleans con Manon.

I due amanti si avventurano nelle regioni selvagge della Louisiana, sperando di raggiungere un

insediamento inglese, ma Manon muore per la fatica e gli stenti. Dopo aver sepolto Manon, Des Grieux

decide di tornare in Francia con il fedele amico Tiberzio, che nel frattempo l'aveva raggiunto in America,

dove decide di riprendere la carriera ecclesiastica.

Diderot: è stato un filosofo, enciclopedista e scrittore francese. Fu uno dei massimi rappresentanti

dell'Illuminismo e uno degli intellettuali più rappresentativi del XVIII secolo. Fu promotore ed editore dell'

Encyclopédie, avvalendosi inizialmente dell'importante collaborazione di d'Alembert, che però alle prime

difficoltà con la censura si ritirerà. Oltre al colossale lavoro enciclopedico, Diderot scrisse opere filosofiche e

teatrali, romanzi, articoli e saggi su disparati argomenti. Fu un autore eclettico, un "philosophe" per

eccellenza. Scrive un romanzo libertino "Les bijoux indiscretes", combatte i dogmatismi e non accetta le

credenze non dimostrate. Troviamo due vecchietti seminudi che giocano con le bolle di sapone, che

rappresentano i sistematici, filosofi che non dimostrano le propri idee, e un fanciullo gigantesco che

distrugge tutto, lui è l'esperienza (impostazione allegorica). Dopo questo romanzo si dedica al teatro, e tra il

1760-61 scrive romanzi nuovi ispirati a Richardson e alle sue riflessioni sul dramma patetico e borghese,

secondo cui il dramma deve parlare dei costumi veritieri della società di ogni classe. Fino ad adesso

abbiamo avuto solo tragedie, commedie e tragicommedie, il dramma è un genere nuovo, un po' un mix fra

tragedia e commedia, in cui però la borghesia è al centro. Scriverà anche La Religeuse, un romanzo a

impianto tradizionale ma particolare, che ebbe come scopo quello di criticare l'istituzione conventuale, qui

da un parte si immedesima in Suzanne prendendo il suo punto di vista, dall'altra si commuove da esterno

delle sue vicissitudini. Questo atteggiamento lo ritroveremo soprattutto in "Il nipote di Rameau", un

dialogo satirico fra Diderot e il nipote di Rameau, nel quale vengono discusse questioni di etica ed estetica,

come l'esistenza della virtù e se essa porta alla velocità o la centralità del genio nella creazione artistica.

Scrive anche "Jacques il fatalista" un romanzo che racconta dei viaggi che intraprendono Jacques e il suo

padrone. Durante i loro viaggi i due affrontano discorsi vari che vengono continuamente interrotti sia

dall'incontro di nuovi personaggi, sia dall'intervento dell'autore che si rivolge direttamente al lettore.

Romanzo molto ironico e apparentemente frammentario, sfugge a ogni regola precedente; questa

caratteristica ne fa un'opera originale e moderna. I suoi personaggi si sottomettono alla mente del lettore,

che trae da solo le conclusioni.

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Voltaire: è stato un filosofo, drammaturgo, storico, scrittore, poeta, aforista, enciclopedista, autore di

fiabe, romanziere e saggista francese. Il nome di Voltaire è indissolubilmente legato al movimento culturale

dell'Illuminismo, di cui fu uno degli animatori e degli esponenti principali, insieme a Montesquieu, Locke,

Rousseau, Diderot e d'Alembert, tutti gravitanti attorno all'ambiente dell’Encyclopédie. La vasta produzione

letteraria di Voltaire si caratterizza per l'ironia, la chiarezza dello stile, la vivacità dei toni e la polemica

contro le ingiustizie e le superstizioni; deista, cioè seguace della "religione naturale" che vede la divinità

come estranea al mondo e alla storia, ma scettico, fortemente anticlericale e laico, è considerato uno dei

principali ispiratori del pensiero razionalista. Durante il suo esilio scrive "le lettres philosophes" o

"anglaises", perchè anche lui (come Montesquieu) vede l'Inghilterra come punto di riferimento, infatti parla

di questa terra lodandone la libertà politica e di religione, mentre la Francia è vista come sorpassata e i

francesi come schiavi dei pregiudizi (sono più dei trattati che delle lettere), lo scopo non è quello di

proporre un modello ma più che altro quello di sollecitare i francesi a svegliarsi. Un'altra sua importante

opera è l"Essai sur les moeurs", un opera storica dove domina l'idea del progresso. Secondo Voltaire la

storia dell'uomo è legata alla istituzioni, ai costumi, alle nazioni e alle leggi, quindi è un cammino faticoso.

La maggior parte degli uomini vengono considerati "massa passiva" che non riesce a compiere il proprio

cammino, l'unico modo per distinguersi dalla massa è affidarsi alla ragione (propone l'idea del formicaio),

contrappone alla natura ostile la forza razionale, l'ingegno, la capacità di valorizzare gli aspetti positivi, è un

ottimista. Le "Comtes Philosophiques" sono una trasposizione narrativa del pensiero di Voltaire in cui ogni

personaggio rappresenza una concezione filosofica di cui l'autore dimostra l'infondatezza e il pericolo

portandola all'eccesso paradossale, in un ambiente esotico o immaginario, perchè il genere fantastico

giustifica gli elementi che altrimenti sarebbero inverosimili o non credibili. L'obbiettivo è ovviamente dare

una morale attraverso dei personaggi legati fra loro dalla tematica del viaggio a cui Voltaire da diverse

interpretazioni. Tra i racconti più importanti troviamo "Zadig e il viaggio nella storia", "Voltaire nel viaggio

immaginario" e "Micromega e il viaggio fantastico", quest'ultimo è stato scritto dopo l'analisi di Newton. Il

racconto filosofico di Voltaire è un genere breve, un po' un romanzo di formazione, che presenta un eroe

che impara attraverso il viaggio, incontri ed esperienze particolari. L'esperienza trasforma il protagonista e

lo spinge a ricavare una morale. Ogni capitolo permette di affrontare un tema e in ognuno si sostiene una

tesi. Fa una critica morale, sociale, politica e filosofica della società, denuncerà la condizione della donna, la

schiavitù e il dogmatismo religioso. Per quanto riguarda la critica, lo strumento più importante è l'ironia,

tutto avviene facendo della satira e una volta che riesce ad aggirare la censura comincerà a parlare di ogni

sorta di argomento.

Il Candido, Voltaire

E' un romanzo breve, un po' un romanzo di formazione, che presenta un eroe che impara attraverso il

viaggio, incontri ed esperienze particolari. L'esperienza trasforma il protagonista e lo spinge a ricavare una

morale. Ogni capitolo permette di affrontare un tema e in ognuno si sostiene una tesi. Fa una critica

morale, sociale, politica e filosofica della società, attraverso l'uso dell'ironia. Per quanto riguarda

l'ambientazione, il protagonista farà un viaggio davvero lungo, visitando i cinque continenti, andando da

Westfalia, dove è inizialmente ambientata la vicenda, l’Olanda, il Portogallo, il Paraguay, la terra di

Eldorado, la Francia, l’Inghilterra, Venezia e Costantinopoli. La narrazione si svolge nel 1700 in un periodo di

circa un anno e mezzo. Si alternano tempi lenti, come le riflessioni dei personaggi o i dialoghi, e scene di

azione dei personaggi. Sono presenti molte analessi: i personaggi, quando si rincontrano dopo molto tempo

(sempre in luoghi impensabili), narrano le loro vicende passate che li ha condotti fino in quel particolare

luogo. L’autore adopera a volte termini stranieri, utilizzati dei vari personaggi dei luoghi attraversati dai

protagonisti. Fa esprimere i personaggi in modo formale o informale a seconda della situazione in cui si

trovano. Per quanto riguarda lo stile l’autore utilizza una scrittura semplice, per dar modo al lettore di non

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soffermarsi sull’interpretazione del modo di scrivere, ma di renderlo partecipe delle vicende e delle

riflessioni dei personaggi e dell’autore stesso. Il narratore è onnisciente e racconta i fatti come uno

spettatore esterno: non è altro che il cronista del viaggio del protagonista. Il narratore non assume il punto

di vista dei personaggi, ma ne esprime, a volte, i pensieri, tramite il discorso indiretto libero. Il tema

centrale del romanzo è la comprensione della situazione del mondo: questo è evidenziato dai ripetuti

ragionamenti di Pangloss, di Candido, di Martino e dai fatti narrati dagli “sventurati” del romanzo. Allevato

dal filosofo Pangloss, Candido cresce con la convinzione che il loro sia il migliore dei mondi possibili.

Nonostante i vari viaggi lo portino a riscontrare realtà diverse rispetto alla propria ideologia, Candido

rimane ottimista per tutta la durata del romanzo. L’autore è, in un certo modo, furbo ad accostare poi

Martino con Candido, che nonostante le lunghe e ripetute riflessioni rimangono sempre della propria

convinzione personale. Al termine delle vicende non si comprende bene quale delle due posizioni sia

preminente sull’altra, ma si riconosce che nessuna delle due è completamente vera o falsa: Martino ha

ragione nel dire che nel mondo molta gente non è felice, ma non che tutte le persone non lo sono; Candido

e Pangloss, hanno ragione quando dicono che molte cose vanno bene perché necessitano di andare bene,

ma non quando affermano che tutto va bene. Tutta questa riflessione porta però questi filosofi alla

“conquista” di una conoscenza particolare: ammettono che, per dare un valido significato alla propria vita

devono lavorare, affrontare la quotidianità e coltivare il proprio orticello. Bisogna anche sottolineare che

questa consapevolezza non viene rivelata loro da un filosofo o da un dotto, ma da un contadino turco, che

sicuramente non si sarebbe mai soffermato a ragionare su questioni quali quelle dei protagonisti del

romanzo, ma che aveva trovato comunque il modo più utile per “sopportare” la vita.

Capitolo 1

Nel primo capitolo troviamo un linguaggio ironico, allusioni, figure iperboliche e la descrizione dei

personaggi come un ritratto in chiave ironica. Il tutto si muove sotto lo schema cause/effetto, che fa ridere

il pubblico. Troviamo anche un riferimento a Liebniz, "tout est bien" diventa "tout est pour le mieux". Una

volta ceduto alla tentazione per la donna, Candide viene cacciato e comincia il suo viaggio.

Capitolo 2/3

Il secondo e terzo capitolo girano attorno alla critica sulla guerra con un punto di vista distaccato ed

estraniato, notiamo una descrizione della parata militare in cui spicca l'ossimoro "boucherie eroique", che

fa riferimento alla carneficina e all'eroismo. Qui la guerra viene caratterizzata da immagini forti e crude, un

linguaggio violento riferito a morte e sofferenza, che da una sensazione di indignazione per l'uccisione di

donne, anziane e bambini. Vi è soprattutto una critica ai re, che credono entrambi di aver vinto, quando in

realtà a causa di questa carneficina hanno perso entrambi. Alla fine del terzo capitolo Candide scappa.

Capitolo 5

Nel quinto capitolo notiamo una critica alla provvidenza, quindi non sono la critica alle azioni degli uomini

ma anche degli eventi naturali, come il terremoto, evento per il quale Voltaire metterà in discussione

l'ottimismo. Candide quindi assume un tono diverso, constata che nulla va più bene, si sente impotente e

inizia ad approcciarsi a un atteggiamento più drammatico.

Capitolo 14

Il quattordicesimo capitolo del racconto è probabilmente quello più importante perchè è li che Candide

matura grazie al viaggio e incarna alcune delle tematiche che sono più care a Voltaire. Il protagonista arriva

(come naufrago) quindi in questa isola caratterizzata dal tema del meraviglioso, in cui un cicerone gli farà

da guida e attraverso diverse domande lo aiuterà a maturare. Vi è poi l'incontro con la società de ElDorado,

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una società utopica, che vive in pace, che non ha più bisogno del progresso. Vi è una coesistenza del lusso e

dell'umiltà, i personaggi non si curano del lusso anche se vivono in una terra di ricchezze, ma sono

soprattutto caratterizzati da ricchezze immateriali, come la generosità, la bontà e la gentilezza. Ritroviamo

la critica verso la condizione della donna, le guardie sono delle donne. infine, Candide impara l'importanza

del viaggio, diversamente che al principio in cui il castello era il luogo prediletto, assumendo la

consapevolezza che il mondo ideale sarebbe un mondo con una tolleranza religiosa, senza un prevaricare

del sistema giudiziario e spinge una critica verso la Spagna, terra di colonizzatori che causano schiavitù.

Capitolo 30

In questo capitolo Pangloss si rivela non ottimista del tutto, dopo la sua sofferenza continuerà a sostenere

l'ottimismo ma senza crederci. Qui si chiude il racconto per mano di una riflessione di Candide, circa

l'importanza del lavoro, affrontando la quotidianità ma non dimenticando di coltivare la propria anima,

nasce da qui l'espressione "coltivare il proprio orticello".

Jean-Jacques Rousseau: è stato un filosofo, scrittore e musicista svizzero di lingua francese. Nato da una

famiglia calvinista ginevrina di origine francese, ebbe una gioventù difficile durante la quale si convertì al

Cattolicesimo, visse e studiò a Torino e svolse diverse professioni, tra cui quella della copia di testi musicali

e quella di istitutore. Trascorse alcuni anni di tranquillità presso la nobildonna Françoise-Louise de Warens;

quindi, dopo alcuni vagabondaggi tra la Francia e la Svizzera, si trasferì a Parigi, dove conobbe e collaborò

con gli enciclopedisti. Nello stesso periodo iniziò la sua relazione con Marie-Thérèse Levasseur, da cui

avrebbe avuto cinque figli. Il suo primo testo filosofico importante, il Discorso sulle scienze e le arti, vinse il

premio dell'Accademia di Digione nel 1750 e segnò l'inizio della sua fortuna. Dal primo Discours

emergevano già i tratti salienti della filosofia rousseauiana: un'aspra critica della civiltà come causa di tutti i

mali e le infelicità della vita dell'uomo, con il corrispondente elogio della natura come depositaria di tutte le

qualità positive e buone. Questi temi sarebbero stati ulteriormente sviluppati dal "Discorso sull'origine e i

fondamenti della diseguaglianza tra gli uomini" del 1754: da questo secondo Discours emergeva la

concezione di Rousseau dell'uomo e dello stato di natura, la sua idea sull'origine del linguaggio, della

proprietà, della società e dello Stato. Secondo Rousseau l'uomo per natura e' buono, sono le arti e le

scienze che lo allontanano dalla sua natura primitiva e lo corrompono. L'evoluzione storica allontana

l'uomo dal suo stato di natura, infatti prima di sviluppare il linguaggio ha una sensibilità sviluppata verso la

natura, poi, con lo sviluppo del linguaggio e la nascita della civiltà, l'uomo perde tale sensibilità. Il linguaggio

e' il mezzo attraverso cui l'uomo riesce ad imporre il diritto di proprietà sulle cose. Un altro testo, il

Contratto sociale del 1762, conteneva la proposta politica di Rousseau per la rifondazione della società sulla

base di un patto equo – costitutivo del popolo come corpo sovrano, solo detentore del potere legislativo e

suddito di sé stesso. Scrive un trattato pedagogico, L'Emilio dell'educazione. La prima parte studia

l'educazione del bambino dai 0 ai 12 anni e definisce questo tipo di educazione negativa. Secondo Rousseau

l'allievo non deve seguire un obbligo ma deve essere lasciato libero di sviluppare la sua sensibilità senza lo

studio. Ciò viene chiamato eta' della natura. In questo modo il bambino si preserva dall'errore e sviluppa la

propria sensibilità. Vi è invece un'educazione definita positiva dai 12 anni all'adolescenza, qui è necessaria

la guida del maestro per lo sviluppo delle passioni e della ragione, si sviluppa un giudizio morale e religioso

e per la prima volta si analizza il periodo dell'adolescenza. Dopo la pubblicazione l'opera viene "messa al

rogo". Questi e altri suoi scritti vennero condannati e contribuirono a isolare Rousseau rispetto all'ambiente

culturale del suo tempo. Le sue relazioni con tutti gli intellettuali illuministi suoi contemporanei, finirono

per deteriorarsi a causa di incomprensioni, sospetti e litigi, e Rousseau morì in isolamento quasi completo.

Considerato per alcuni versi un illuminista, e tuttavia in radicale controtendenza rispetto alla corrente di

pensiero dominante nel suo secolo, Rousseau ebbe influenze importanti nel determinare certi aspetti

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dell'ideologia egualitaria e anti-assolutistica che fu alla base della Rivoluzione francese del 1789; anticipò

inoltre molti degli elementi che, tra la fine del XVIII e l'inizio del XIX secolo, avrebbero caratterizzato il

Romanticismo, e segnò profondamente tutta la riflessione politica, sociologica, morale, psicologica e

pedagogica successiva, alcuni elementi della sua visione etica essendo stati ripresi in particolare da

Immanuel Kant.

Le Confessioni, Rousseu.

Dopo la condanna al rogo dell'Emilio, Rousseau si trasferisce in Inghilterra, agitato da queste manie di

persecuzione e ridotto a vivere in miseria. Scrive le confessioni a Parigi. L'opera riprende il punto di vista

dello stile de le confessioni di Sant'Agostino. Rousseau nella sua prefazione dice ''scrivo queste confessioni

perché al momento del giudizio universale andrò davanti a Dio con questo libro e gli faro' sapere chi sono

veramente". Si parte dal racconto della sua nascita, racconti della sua adolescenza fino a capire come sono

nate le sue manie di persecuzione e le sue attrazioni sessuali, attribuisce le sue inclinazioni sessuali a

quando la sua tata da al piccolo lo sculaccio'. Les reveries vengono concluse nel 1778. Sono composte da 10

passeggiate. La decima passeggiata resterà incompleta' poichè Rousseau morirà. L'immagine che lui ci da

all'interno dell'opera e' quella di uomo vecchio e dai capelli bianchi che ha anche difficoltà a ricordarsi della

sua vita passata. Uno degli argomenti principali dell'opera e' la solitudine poichè lui si sente isolato dal

resto del mondo. Non vuole quasi piu' ricercare l'altro. Nella prima passeggiata Rousseau interpella il

lettore rendendolo partecipe della sua solitudine e del suo progetto di scrittura. Lo scrittore inizia il libro

con una riflessione. E' un uomo vecchio, solo e deriso da tutti. L'ultima cosa che gli resta da fare e' studiare

se stesso. Mette per iscritto I pensieri che nascono durante le sue passeggiate. Per Rousseau il sonno e'

simile alla morte. Morte vista come discesa nelle tenebre. L'autore trova dopo 10 anni la serenità nella

solitudine. Chi l'ha perseguitato gli ha permesso di trovare la tranquillità, traspare la calma, e' piu' felice

della sua solitudine di quanto lo fosse insieme agli altri. Scriverà l'opera solo per se stesso, perchè ama

scrivere, ci descriverà le sensazioni che l'autore prova durante le sue passeggiate. Nella quinta passeggiata,

Rousseau ha un incidente, cade, sbatte la testa e perde quasi i sensi. Questo incidente gli fa provare una

sensazione piacevole perchè in questo stato di euforia, si sente bene. L'euforia avvicina l'uomo allo stato di

natura, quando ancora non era corrotto dalla societa'. Rousseu cercherà allora l'estasi, un modo per uscire

da se stessi, cosa che può avvenire solo con l'abolizione dell'"io", la perdita di identità ottenibile soltanto

per mano della fantasticheria, si ritrova quindi sull'isola di San Pierre, un luogo che per lui è una sorta di

porta per il paradiso, una dimensione surreale che permette di trovare la solitudine e l'ozio (inteso come

meditazione), questa solitudine preziosa gli permette di aprire un mondo attorno a se e di osservare con

altri occhi ciò che sta attorno a lui, come le piante.

Laclos, Les Liaisons Dangereuses:

Questo romanzo epistolare è un classico conosciuto per la sua esplorazione della seduzione, vendetta e

malizia umana, nonostante l'autore lo avesse concepito soprattutto per far riflettere, tramite i personaggi

principali, sul biasimevole stato dell'educazione femminile e sulle sue conseguenze sulla morale nella

Francia del XVIII secolo. Ispirato dalla città di Grenoble, inoltre un racconto moralistico sulla corruzione e lo

squallore della nobiltà della Francia dei Borbone. Il romanzo suscitò notevole scalpore sin dalla sua prima

pubblicazione nel 1782 e continuò ad essere pubblicato in numerose edizioni. E' caratterizzato da una forte

introspezione psicologica. La grandezza dell'opera sta nella sua polifonia, troviamo un tono diverso a

seconda del personaggio che scrive la lettera, inoltre ogni personaggio fornisce un punto di vista diverso

dell'amore: libertinaggio (marchesa e visconte), amore passionale (madame de Tourvel), amore cortese

(Danceny) e l'amore sensuale (Cecile). Il punto di forza del libro resta il registro che cambia a seconda dell’

autore delle lettere: pudico quando scrive Cécile, ingenuo per Danceny, elegante e audace lo stile di

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Valmont, arguto e a tratti strafottente quello della marchesa di Merteuil. La bravura di Laclos sta proprio

nel suo essere stato in grado di calarsi in tanti personaggi diversi tra loro Individuiamo tre gruppi di lettere,

il primo gruppo va dalla lettera 1 alla lettera 50, scambio di lettere fra marchesa e visconte e fra Cecile e

Danseny. Il secondo gruppo va dalla lettera 51 alla lettera 87, in questo gruppo troviamo la lettera 81 che è

la più importante forse per l'autobiografia della marchesa. Il terzo gruppo infine va dalla lettera 88 alla 175,

in cui vediamo il cuore della storia e la sua conclusione. Il visconte e la marchesa sono due libertini per cui

hanno la grande capacità di dissimulare i sentimenti, la marchese è probabilmente il personaggio più

importante della storia perchè sarà lei a muovere la sorte dei personaggi. Cecile rappresenta il fallimento

dell'educazione conventuale, mentre madame de Tourvelle la "femme naturelle". Letterà 1: caratterizzata

dallo stile ingenuo di Cecile, scrive nella lettera della vita di convento, facendo carpire un po' la sua

predisposizione per la sensualità, utilizzando un linguaggio eccessivamente semplice (frasi brevi l'una

accanto all'altra). Nel penultimo paragrafo l'uso della prima persona sottolinea l'egocentrismo della

ragazza. Lettera 2: la seconda lettera è scritta dalla marchesa al visconte con un tono imperioso, qui

possiamo notare il rapporto sottomesso del duca rispetto alla marchesa e si nota come essa si metta al

livello dello scrittore, è lei a manovrare il fato dei personaggi. Lettera 4: nelal quarta lettera notiamo la

caratterizzazione del visconte, che scrive alla marchese rifiutandosi di aiutarla nel suo intento perchè la

facilità dell'opera che gli chiede di compiere nuocerebbe alla sua reputazione di don giovanni, e ci presenta

madame de Tourvel. Lettera 33: questa lettera è importante perchè ci fa capire l'importanza della lettera

come metodo di seduzione, cosa che non crede la machesa. Essa fa della retorica al visconte dicendo che le

lettere non bastino per accattivare una donna, è il discorso immediato che funziona. Qui v'è una critica agli

scrittori (cita Rousseau), gli scrittori fanno di tutto per scrivere cose profonde ma fondamentalmente il

lettore davanti a questo resta freddo alla situazione. Lettera 81: questa è probabilmente la lettera più

importante del romanzo, qui possiamo notare la descrizione della marchesa, una vera e propria analisi

psicologica, un'autobiografia scritta per mano della stessa donna. Essa vanta il suo "essersi fatta da sola",

lei stessa dice "io sono l'opera di me stessa", vanta la sua capacità di essere autodidatta utilizzando termini

quasi teatrali e un linguaggio molto schietto. Le caratteristiche fondamentali del suo personaggio carpibili

da questa lettera sono la sua lucidità, utilizzata per controllare gli altri attraverso la sua capacità di

analizzare la psiche del prossimo e soprattutto la dissimulazione, cioè la capacità tipica dei libertini di

nascondere i propri sentimenti. E' l'unica lettera in cui non porta una maschera. Lettera 90: diversamente

dalla marchesa, madame de Tourvel non porta una maschera, non è una libertina, non sa dissimulare. Lei è

una donna fedele, mostra una sensibilità e una morale forte. Non potrebbe mai amare l'uomo di

qualcun'altra, anche se effettivamente così è. Essa vede il buono nelle persone e si nota quanto la

sensibilità trasformi l'atteggiamento verso le persone, notiamo qua la trasfigurazione progressiva

dell'amore verso il visconte, il suo dolore per le parole del visconte (che le scrive la 99esima lettera per dirle

del suo piano) si manifesterà nella lettera 143 e si parlerà della sua morte nella lettera 165, lettera nella

quale si manifesterà la sua grandezza nelal capacità di chiedere perdono. Lettera 130: qui viene descritta

Rosmunde, una donna preziosa che si fa portavoce dell'amore prezioso. Dimostra la superiorità della

donna, che conosce il benessere dell'amore concepito dalla femme tandre. Nella lettera 175 infine,

assistiamo alla fine del racconto che termina con il manifestarsi dell'animo della marchese a livello fisico,

ella infatti verrà sfigurata dal vaiolo e si ritirerà dalla società.

Trama: la storia narra del tentativo di vendetta da parte di madame de Merteul, una libertina abbastanza

furba e scaltra per i suoi tempi, la quale dopo essere stata abbandonata dal suo amante e avendo scoperto

che questi deve sposare una ragazzina quindicenne appena uscita dal convento (la timida e inesperta

Cecile) decide di fargliela pagare 'educando' a suo modo la futura sposa, e facendola diventare preda delle

cattive voci e dei falsi virtuosismi e moralismi dell'epoca. Per far questo madame spera nell'aiuto di un suo

ex amante e amico di vecchia data, per l'appunto il visconte di Valmont (con cui la donna ha la complicità

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tipica di un rapporto tra libertini che, prima che amanti, sono anche amici e confidenti) e a cui chiederà di

sedurre la ragazzina e di 'iniziarla' al sesso. Sfortunatamente per lei, Valmont è troppo preso da un'altra

impresa, ovvero quella di sedurre la bellissima moglie di un comandante d'esercito al momento occupato in

Corsica, la presidentessa Tourvel. Se inizialmente la figura della presidentessa sembra una delle tante prede

del libertino, ad un certo punto notiamo che la donna, così decisa nel rifiutare la corte serrata dell'uomo, lo

porta all'esasperazione, tanto che alla fine, stremato,egli stesso finirà preda dell'amore.. Proprio quando

questo amore potrebbe essere rivelato e messo allo scoperto, con una signorina Tourvel che cede alle

lusinghe del libertino e un Valmont sempre più attirato da questa donna così irragiungibile e allo stesso

tempo così seducente, la perfida madame de Merteul presa da un sentimento di gelosia e di possesso,

ferita nell'orgoglio, consiglierà al libertino di abbandonarla, e nel più feroce dei modi: facendogli confessare

di fronte alla donna che ama di averla presa in giro con una lettera semplice ma allo stesso tempo atroce,

una lettera che segnerà una vera e propria rottura degli equilibri del racconto. Valmont non oserà scegliere

tra la sua figura di seduttore e il sentimento puro che nutre per questa donna, perchè il personaggio, che

non ha nessuno scrupolo e nessun ritegno, non accetterà mai di cadere nel ridicolo davanti alla società

fallendo quindi nella sua impresa di seduzione. Il romanzo, fino ad allora abbastanza comico e ironico,

diventerà tutto ad un tratto il triste specchio dei costumi dell'epoca, ed è proprio in questo punto che De

Laclos denuncerà maggiormente la sua società e i falsi moralismi della gente comune. La lotta fra i due

libertini è ormai inevitabile e la marchesa rivela a Danceny la relazione fra Valmont e Cécile. I due si battono

in duello e Valmont muore, ma non prima di aver consegnato al giovane le lettere che smascherano le

trame della marchesa di Merteuil. La marchesa, sfigurata dal vaiolo e conosciuta finalmente nella sua reale

natura, si isola dalla società mentre M.me de Tourvel e Cécile si ritirano in convento dove M.me de Tourvel

morirà poco dopo.

Beaumarchais e Le Mariage de Figaro: è stato un drammaturgo e polemista francese, vive una vita un po

rocambolesca, entra in corte come maestro di musica e lavora in Inghilterra come agente segreto. E'

famoso per la trilogia composta dalle opere Il barbiere di Siviglia, Le nozze di Figaro e La madre colpevole.

L'originalità di Beaumarchais va ricercata non tanto nella trama e nella caratterizzazione dei personaggi,

quanto nel modo personale con cui racconta le vicende: ritmo, gaiezza, piglio e un linguaggio spontaneo e

autentico. La scrittura delle sue opere è talvolta precipitosa, come autore di teatro si fa guidare più

dall'intuito che dalla tecnica, il suo utilizzo di motti di spirito è fin troppo abusato, nonostante tutto questo

la sua opera ha assunto una rilevanza storica e il teatro dell'Ottocento, deriva da lui. Nelle sue opere egli

propone una visione dell'uomo furbo che riesce a prendere in pugno la propria vita e va del senso di

volontà e della furbizia un modo per cambiare le carte in tavola e raggiungere uno status più alto, fa della

satira politica, e milita per la difesa e per l'emancipazione delle donne, ma le maltratta, parla

dell'importanza della libertà ma pensa di fare denaro col commercio di schiavi, un ipocrita. Il barbiere di

Siviglia è un'opera rappresentata per la prima volta nel 1775, propone una satira lieve ma efficace

dell'ottimismo della classe borghese in ascesa prima della rivoluzione, nello stile tipico del drammaturgo

francese. Essa parte inizialmente come opera comique (quindi in musica) ma successivamente la trasforma

in commedia, in quattro atti, poi in cinque. Ebbe un grande successo grazia alla sua abilità di far osservare la

realtà accattivando il pubblico senza mai risultare noioso. Con Beaumarchais per la prima volte viene

inserito il politichese, infatti Almaviva rappresenta il parassita sociale, il desiderio libertino, a lui si

opponeva Figaro, che rappresenta i valori di innovazione e rivoluzione, guidato da intelligenza a

incompetenza, rappresenta la dignità del terzo stato. Dalla trama, il Barbiere sembra una commedia

tradizionale, basata su uno schema classico. Eppure, all'interno di quel quadro, Beaumarchais pone le basi

di un'arte comica nuova, capace di fondere in un abile dosaggio la satira con "l'imbroglio". Il meccanismo

perfetto dell'intrigo, la verve brillante del dialogo, i brani satirici, il ritmo dell'azione teatrale: Beaumarchais

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si rivela un autore sicuro e rigoroso. I personaggi, Figaro, Rosina, il conte Almaviva, Bartolo, Basilio, non

sono caratteri stilizzati, ma sono tratteggiati in modo nuovo, realistico, sono già eroi dotati di personalità

propria. Il capolavoro di Beaumarchais è senza dubbio Il matrimonio di Figaro, che arricchisce e

approfondisce i caratteri già individuati nel Barbiere, qui troviamo nella parte finale la rappresentazione in

musica di tutti i personaggi, troviamo una celebrazione dell'arte a 360°, pittura, musica ecc, troviamo

riferimenti alla pittura seicentesca (conversazione spagnola). La struttura si fa più complessa: l'autore

domina magistralmente un imbroglio composto da innumerevoli intrighi. Già il Barbiere celebrava il trionfo

di Figaro, un personaggio affascinante, ingegnoso e astuto, intraprendente e senza scrupoli. Qui la novità

rilevante è che il valletto ottiene il successo non "per" il suo padrone, ma per se stesso, anzi addirittura

"contro" le ambizioni del conte. Nelle didascalie possiamo notare la descrizione degli ambienti.

Beaumarchais si fa portavoce di un nuovo modo di approcciarsi alla commedia, trasformandole nello stile e

nelle tematiche. I temi dell'amore e della giovinezza, già centrali nel Barbiere di Siviglia, acquistano nel

Matrimonio di Figaro sfumature più ricche: si va dai primi battiti del cuore del paggio Cherubino ai

turbamenti della contessa, alla malinconia di fronte all'usura del tempo che appanna fatalmente anche i

sentimenti più vivi. L'opera dunque presenta una gamma di toni più ampia, più intensa. Il Conte di Almaviva

è un libertino tiranno, un personaggio fondamentale che caratterizza la satira politica contemporanea

all'autore. Non esita a imbrogliare Figaro, è un violento, in lui ritroviamo i temi dell'autorità, della vendetta

e della gelosia. Figaro agisce per amore ma anche per denaro, per salire di status. Lui riesce ad evolvere, sa

ordire bene i suoi piani, con astuzia uscire da situazioni imbarazzanti, replicare con spirito.

AttoI: è il mattino del giorno delle nozze fra Figaro e Susanna e questi sono nella stanza che il Conte ha loro

destinato. Figaro misura la stanza e Susanna si prova il cappello che ha preparato per le nozze. Figaro si

compiace della generosità del Conte, ma Susanna insinua che quella generosità non è disinteressata: il

Conte vuol rivendicare lo "ius primae noctis", che egli stesso aveva abolito. Figaro si arrabbia e trama una

vendetta, ma il pericolo non viene solo dal Conte, anche la non più giovane Marcellina vuol mandare all'aria

i progetti di matrimonio di Figaro così come Don Bartolo, che hanno un conto in sospeso con l'ignaro

Figaro. Quando Susanna resta sola nella camera, entra il paggio Cherubino che racconta le sue sventure, ma

l'arrivo del conte lo costringe a nascondersi e ad assistere alle proposte galanti che il Conte rivolge alla

cameriera. All'arrivo di Don Basilio anche il Conte si nasconde e ascolta le chiacchiere di Don Bortolo sulle

attenzioni amorose rivolte dal paggio alla Contessa. Spinto dalla gelosia, il Conte esce dal nascondiglio, poi,

scoprendo che il paggio era lì nascosto, si arrabbia. Entrano i contadini e Figaro che ringraziano il Conte per

aver abolito il famigerato ius primae noctis. Il Conte si sente giocato e, con un pretesto, rimanda il giorno

delle nozze e ordina la partenza immediata di Cherubino per Siviglia dove dovrà arruolarsi come ufficiale

del suo reggimento; è a questo punto che Figaro si prende gioco del paggio con una delle arie più celebri

dell'opera, "Non più andrai, farfallone amoroso".

AttoII: la Scena si svolge nell'appartamento della Contessa: una magnifica camera, con un'alcova, la porta

d'entrata alla destra, un gabinetto alla sinistra, una porta in fondo che conduce alle stanze delle cameriere.

Susanna sta raccontando all'addolorata Contessa le pretese del Conte, ma arriva Figaro ed espone il suo

piano di battaglia: ha fatto pervenire al Conte un biglietto anonimo dove si afferma che la Contessa ha dato

un appuntamento a un ammiratore per quella sera, nel contempo Susanna dovrà fingere di accettare un

incontro segreto con il Conte e, Cherubino, (che non è ancora partito) andrà al posto di lei vestito da donna,

così la Contessa potrà cogliere il marito in fragrante. Mentre il paggio sta travestendosi sopraggiunge il

Conte che, insospettito dai rumori provenienti dalla stanza dove la Contessa ha rinchiuso Cherubino, decide

di forzare la porta. Intanto Cherubino fugge, saltando dalla finestra, e Susanna ne prende il posto. Così

quando dal guardaroba esce Susanna invece di Cherubino, il Conte è costretto a chiedere perdono alla

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moglie. Vista la situazione d'imbarazzo del Conte, Figaro spera di poter finalmente affrettare la cerimonia

nuziale, ma la sorte gli gioca un brutto tiro: arriva il giardiniere Antonio che afferma di aver visto qualcuno

saltare dalla finestra della camera della Contessa. Figaro cerca di parare il colpo sostenendo di essere stato

lui a saltare, ma arriva Don Bartolo con Marcellina che reclama i suoi diritti matrimoniali su Figaro.

Atto III: la scena si svolge in una ricca sala, con due troni, preparata per la festa di nozze. Il Conte si trova

solo nella libreria: è sconcertato. La Contessa vuol convincere Susanna a concedere un appuntamento

galante al Conte che però si accorge dell'inganno e promette di vendicarsi. Il giudice Don Curzio entra con le

parti contendenti e dispone che Figaro debba restituire il suo debito o sposare Marcellina, ma da un segno

che Figaro ha sul braccio si scopre ch'egli è il frutto di una vecchia relazione tra Marcellina e Don Bartolo, i

quali sono quindi i suoi genitori. Marcellina è felice di aver ritrovato il figliolo, ma mentre abbraccia Figaro

arriva Susanna con la somma necessaria per scioglierlo dall'obbligo di sposare Marcellina. Vedendoli

abbracciati Susanna dapprima s'infuria, poi, compresa la felice situazione, si unisce alla gioia di Figaro e dei

due più anziani amanti. Marcellina acconsente alla tardiva proposta di matrimonio dallo stesso Don Bartolo

e condona il debito come regalo a Figaro per le nozze con Susanna. Don Bartolo aggiunge altro denaro,

mentre il Conte schiuma di rabbia. La Contessa, determinata a riconquistare il marito, detta a Susanna un

bigliettino, sigillato da una spilla, per l'appuntamento notturno da far avere al Conte. Modificando il piano

di Figaro e agendo a sua insaputa, le due donne decidono che sarà la stessa Contessa e non Cherubino a

incontrare il Conte al posto di Susanna. Mentre alcune giovani contadine recano ghirlande per la Contessa,

Susanna consegna il biglietto galante al Conte che si punge il dito con la spilla. Figaro è divertito, poi si

festeggiano due coppie di sposi: oltre a Susanna e Figaro, anche Marcellina e Don Bartolo.

Atto IV: la scena si svolge di notte in un folto giardino con due padiglioni praticabili, l'uno a destra e l'altro a

sinistra. Nell'oscurità del parco del castello, Barbarina sta cercando la spilla che il Conte le ha detto di

restituire a Susanna, ma che ha perduta. Figaro capisce che il biglietto ricevuto dal Conte gli era stato

consegnato dalla sua promessa sposa e credendo ad una nuova trama, si nasconde con un piccolo gruppo

di persone da usare come testimoni del tradimento di Susanna, che però ha udito, non vista, le rampogne

di Figaro e si sente offesa dalla sua mancanza di fiducia. Entra Cherubino che, vista Susanna, (che è in realtà

la Contessa travestita) decide di importunarla. Nello stesso momento giunge il Conte il quale, dopo aver

scacciato il Paggio, si mette a corteggiare quella che crede essere la cameriera. Fingendo di veder arrivare

qualcuno, la Contessa travestita da Susanna fugge nel bosco mentre il Conte va a vedere cosa succede; nel

contempo Figaro, che stava spiando gli amanti, rimane solo e viene raggiunto da Susanna travestita da

Contessa. I due si mettono a parlare ma Susanna durante la conversazione dimentica di falsare la propria

voce e Figaro la riconosce e per punirla fa esplicite avances alla Contessa. In un turbinio di colpi di scena,

alla fine Figaro chiede scusa a Susanna per aver dubitato della sua fedeltà mentre il Conte vede Figaro che

corteggia quella che crede sua moglie. La Contessa e Susanna, chiariscono l'inganno al Conte

profondamente allibito che chiede con sincerità il perdono della Contessa. Le nozze tra Figaro e Susanna si

possono finalmente celebrare; la "folle giornata" si chiude così in modo festoso.

Chénier: è un poeta che dipinge la natura, un poeta figurativo che cura il dettaglio, le immagini e lo stile.

Soprattutto per la poesia scritta la sera prima della sua morte, egli viene descritto come "pre-romanticista",

questo per i sentimenti che trasparono dalle sue parole, ciononostante, egli incarna in realtà il perfetto

neoclassicista, ha un'adorazione particolare per la cultura greca, e per il 'bello' della cultura ellenistica. In lui

notiamo anche una sorta di tentativo di restituire una "verginità" alla lingua, cerca di usare la lingua

spogliandola di ogni sorta di influenze storiche. Dopo aver lavorato come segretaria 1787-1790 presso

l'Ambasciata di Francia a Londra, ha partecipato al movimento rivoluzionario, pur rimanendo un forte

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sostenitore della monarchia e Luigi XVI. Lavora presso le Journal de Paris, condannando gli eccessi della

Rivoluzione in articoli violenti contro Jacques Pierre Brissot e Jean-Paul Marat. Il poeta è stato arrestato e

incarcerato a Saint-Lazare, 7 marzo 1794. Là, è stato condannato a morte dal e ghigliottinato il 25 luglio,

con l'accusa di essere nemico del popolo. Chenier scrive La Jeune Captive la notte prima della sua morte,

sembra che l'abbia scritta in onore di Aimèe de Coigny, una giovane donna di cui era innamorato, anche lei

imprigionata. La cosa stupenda di questa poesia è il fatto che nonostante egli l'abbia scritta il giorno prima

della sua morte, essa non è drammatica e triste, ma al contrario è un inno alla vita. Elogia la natura e alla

disperazione dei suicidi oppone la sua spensieratezza.