L’età della stampa

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Società di massa e sfera pubblica

Lo sviluppo dei mezzi di comunicazione s’intreccia con il concetto di sfera pubblica fino a costituire uno dei tratti caratterizzanti dell’era moderna. La percezione dell’importanza dei giornali diventa consistente alla fine del ’700 e nell’arco di un secolo matura fino a profilare la stampa quotidiana di massa come uno dei poteri fondamentali della società (fourth estate).

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Fourth Estate

È nel corso dell’Ottocento che gli intellettuali traducono con l’espressione «quarto potere» la sensazione della potenza della stampa. Sono almeno quattro gli autori che si contendono la paternità del termine: Thomas Carlyle lo cita in Heroes and Hero-Worship (1839), ma attribuendolo a Edmund Burke «Burke said that there were three estates in Parliament; but, in the Reporters’ Gallery yonder, there sat a Fourth Estate more important far than them all».

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Fourth Estate

Non trovandosi la frase nelle opere di Burke, si è pensato che Carlyle si riferisse a Lord Macaulay, che disse nel 1828: «The gallery in which the reporters sit has become a fourth estate of the realm». Altri indicano il saggista William Hazlitt, che scrisse del personaggio di William Cobbett in Table Talk (1821): «He is a kind of ‘fourth estate’ in the politics of the country».

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Opinione pubblica

Il successo di questa espressione fotografa un processo di emancipazione della stampa, soprattutto quella americana, che si libera pian piano dalla dipendenza dai gruppi politici. Nel 1834 il parlamentare britannico Richard Cobden scrive che l’influenza dell’opinione pubblica esercitata attraverso la stampa è il tratto distintivo della società moderna.

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Sfera pubblica

I movimenti rivoluzionari del 1848 sanciscono la formazione di uno «spazio comunicativo» europeo. Ulteriori stimoli alla formazione di una sfera politica internazionale provengono dalla nascita delle grandi organizzazioni operaie e dagli sforzi di inclusione dei popoli colonizzati. In questo spazio si inserisce lo sviluppo delle comunicazioni di massa e della stampa quotidiana in particolare.

Marica Tolomelli, Sfera pubblica e comunicazioni di massa, Gedit Edizioni-Archetipolibri, Bologna 2006

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Nella seconda metà dell’Ottocento, il mutamento sociale e lo sviluppo delle tecnologie di stampa conducono il giornale al contatto con un pubblico di massa e spodestano il radicalismo politico a favore di un’editoria imprenditoriale abituata a mescolare l’intrattenimento all’informazione.

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La pubblicità

Da piccola azienda al servizio delle opinioni di un’elite, il giornale d’informazione diventa una grande impresa commerciale che tende a realizzare un profitto. I costi aumentano ma i prezzi di vendita si riducono, grazie alla pubblicità, interessata a raggiungere un pubblico ampio per conto di grandi inserzionisti con orizzonti nazionali.

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L’informazione si mescola sempre più generosamente con l’intrattenimento, secondo la formula della Penny press, amplificata dall’ampliamento del circuito lettori-pubblicità-notizie innescato dalle nuove modalità produttive.

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Questo passaggio modifica radicalmente la natura e lo stile della comunicazione giornalistica. Di fronte alle realtà del «mercato», per i media come nell’economia in generale, sbiadisce la figura ideale di un «pubblico informato» e non appare più blasfemo il pensiero che l’editoria sia un’attività commerciale come un’altra e che occorra dare al lettore ciò che vuole.

Horace Greeley (1811–1872)

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La lettura del romanzo si avvia a un inesorabile declino e si restringe agli strati più colti, e il talento degli scrittori si spreca in un’editoria giornalistica e d’evasione di basso profilo tanto da indurre nel 1900 lo storico George Macaulay Trevelyan a rimpiangere che i «filistei» (oggi in gergo diremmo i tamarri) si siano ormai impadroniti dell’Arca dell’alleanza (cioè delle macchine da stampa).

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«Il tipico uomo del ceto medio pensa che quando le sue lettere vengono portate dodici volte al giorno da Islington a Camberwell (…) e i treni fanno lo stesso tragitto ogni quarto d’ora si sia arrivati al grado più alto del progresso e della civiltà. Per lui non conta nulla che i treni lo portino semplicemente da una vita triste e non libera a Islington a una vita triste e non libera a Camberwell».

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Ma le grida d’allarme, talvolta miste a un anacronistico rimpianto, vengono spesso sommerse da una diffusa fiducia nella funzione «pedagogica» della stampa. Coloro che guardano ai giornali come strumenti di educazione, civilizzazione, “inclusione” sociale ed emancipazione delle masse di diseredati forniscono lo schema per tutte le future polemiche sul contrasto fra cultura di massa e cultura d’élite.

Miley Cyrus, Wrecking Ball (2013)

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«L’operaio di oggi col suo foglio da un penny, è grazie a questo un uomo più informato, meglio in grado di giudicare e con interessi più ampi dell’operaio di trent’anni fa, che doveva accontentarsi di pettegolezzi e voci».

John Malcolm Ludlow, 1867

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Ma il futuro è ormai segnato e porterà sempre più pettegolezzi: i nuovi lettori non chiedono alla stampa informazioni, conoscenze o poesie, ma svago, evasione, cronaca nera, scandali, sesso, catastrofi, epidemie, corse dei cavalli

George Newnes, fondatore nel 1881 di Tit-Bits

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Società di massa e sfera pubblica

La nuova stampa assume un ruolo sempre più strategico e prefigura nuove forme di comunicazione, in un panorama che produce mutamenti decisivi nelle strutture di intermediazione tra pubblico e privato, tra governanti e governati, tra Stato e società.

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Modifiche strutturali

Avvento della pubblicità

Diverso modello di proprietà

Catene di giornali e periodici

Offerta per richiamare pubblici di massa

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I giornali ad alta tiratura dei “magnati della stampa”, grazie anche a particolari eventi bellici, diventano importanti veicoli di orientamenti e slogan, proponendosi come fondamentale sostegno al morale della nazione.

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Guerra e informazione

• Avvento della stampa popolare

• Progressi tecnologici (telegrafo)

• Assenza di censura

• Gusto del pubblico per i racconti di epiche avventure

Sono le basi su cui matura il ruolo dei corrispondenti di guerra, che hanno avuto un ruolo importante nelle guerre della seconda metà dell’Ottocento.

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Guerra e informazione

Almeno a partire dalla Guerra di Crimea, si scopre che le rivelazioni della stampa possono abbattere i governi, soprattutto se non si sincronizzano gli interessi politico-militari e quelli dei media. I governi scoprono perciò la necessità di tenere sotto controllo i giornalisti.

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Guerra e informazione

Durante la Guerra di Secessione, i giornalisti diffondono informazioni di fatto preziose per il nemico, nelle spedizioni coloniali contribuiscono a stimolare sentimenti nazionalistici e sciovinistici.

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La rivoluzione di Northcliffe

Alfred Harmsworth, editore di una serie di piccole riviste che totalizzano circa due milioni di copie, nel 1894 compra un giornale popolare, l’Evening News, e nel 1896 ne fonda uno nuovo, venduto ad appena mezzo penny: il Daily Mail.

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Il Daily Mail

È il primo giornale veramente nazionale, di facile lettura, pensato per l’uomo della strada e con posizioni politiche populiste. Conta su una produzione e una distribuzione efficienti e certifica le vendite. Nel 1899 raggiunge il milione di copie.

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Il Daily Mail

Harmsworth lancia il suo giornale con lo scopo esplicito di intrattenere oltre che di informare, nella scia di un pensiero diffuso sulla necessità di dover comunque incartare i contenuti utili e “alti” dentro o insieme a motivi di evasione e divertimento.

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Il Daily Mail raccoglie tutte queste sollecitazioni in un blocco entusiastico. Si vanta delle nuove straordinarie invenzioni che favoriscono la stampa, di comporre a macchina i testi e di poter produrre 200.000 giornali all’ora, tagliati e piegati. Dedica una pagina alle donne e non nasconde la pubblicità.

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La rivoluzione di Northcliffe espone e “dimostra” il potere della stampa. I leader politici attribuiscono considerevole influenza alla stampa popolare e ne corteggiano i proprietari.

«Aiuto! Sento di nuovo i demoni del sensazionalismo crescere in me. Tenetemi, presto! Frenatemi, se mi volete bene!»

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L’Inghilterra considera le due Repubbliche boere del Transvaal e dello Stato libero d’Orange un ostacolo alla sua espansione coloniale in Africa e nel 1897 Alfred Milner, l’Alto Commissario della Colonia del Capo, cerca il sostegno dell’opinione pubblica sfruttando la questione degli Uitlanders, avventurieri inglesi insediati nei territori boeri. Quando uno di questi viene ucciso in circostanze poco chiare, in Africa del Sud e in Gran Bretagna si costituiscono comitati che denunciano la «ferocia» dei boeri e chiedono un intervento militare britannico per far rispettare i diritti degli Uitlanders.

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Si aprono negoziati in cui l’Inghilterra tergiversa, mentre fa affluire truppe in Sudafrica. Il Presidente Kruger, cosciente del pericolo, è disposto a fare concessioni ma quando accetta le proposte di Milner, questi rincara la dose, chiedendo le miniere del Transvaal. Convinto dell’inevitabilità della guerra, Kruger lancia un ultimatum che scade l’11 ottobre 1899. Quel giorno i primi commando boeri entrano nella Colonia inglese del Natal e inizia la seconda guerra anglo-boera.

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La guerra anglo-boera

Milner ed il governo londinese hanno raggiunto il loro scopo. La soluzione è affidata alle armi e il ruolo di aggressore spetta ai Boeri. La posizione complessiva della stampa britannica in questa circostanza assume anche toni apertamente razzisti: i Boeri, identificati senza sfumature con i tedeschi, sono descritti come, pigri, sporchi e ignoranti, sleali e bigotti, oltre che schiavisti.

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L’opinione pubblica

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I campi di concentramento

Al di là delle esasperazioni (eliminare i boeri come popolo e cancellare il loro paese dalla mappa africana), i giornali come il Daily Mail approvano senza riserve le drastiche misure antiguerriglia dei militari e appoggiano l’istituzione dei campi di concentramento, sostenendo che qualunque angheria venga inflitta ai boeri e alle loro famiglie sarà comunque più di quello che meritano.

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Lizzie van Zyl

La foto è stata scattata nel 1901 all’ospedale del campo di concentramento di Bloemfontein, in Sudafrica. La bambina, prossima alla morte, si chiama Lizzie van Zyl.

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La piccola, dopo l’internamento, è stata colpita dalla febbre tifoide e viene portata in ospedale solo quando le sue condizioni sono ormai disperate. Non parla inglese e viene trattata con poca condiscendenza dal personale medico, che non la capisce e la tiene in isolamento “perché dà fastidio”. La piccola, che è nata il 22 aprile 1894, muore il 9 maggio del 1901, senza il conforto dei genitori o di persone care. Ha compiuto da poco 7 anni.

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La fotografia della bimba morente viene fornita al Ministro delle Colonie Joseph Chamberlain da Arthur Conan Doyle, medico volontario nell’ospedale di Bloemfontein, e viene usata per sottolineare l’inciviltà dei Boeri, sostenendo che rispecchi la condizione della bimba all’ingresso del campo e che il suo evidente stato di denutrizione è il risultato del disinteresse della madre.

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Nel frattempo un’attivista dei movimenti per i diritti delle donne, Emily Hobhouse, saputo dell’esistenza di questi «campi profughi», aveva visitato Bloemfontein alla fine di gennaio del 1901, trovando i 1800 «ospiti», per la maggior parte donne e bambini, in condizioni drammatiche, stipati a dozzine in piccole tende dall’odore nauseabondo, senza sapone per lavarsi, con un approvvigionamento idrico insufficiente e razioni di cibo al di sotto di quelle prescritte.

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Tornata in marzo, reduce da altre visite, la donna aveva trovato una situazione addirittura peggiore. La popolazione del campo era raddoppiata e la denutrizione e le malattie avevano sfigurato le persone che aveva conosciuto, tra cui la piccola Lizzie. La Hobhouse rintraccia allora l’autore della foto, un internato di nome de Klerk, e ottiene la conferma dell’evidenza: quello era lo stato della bambina dopo due mesi di vita nel campo.

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La Hobhouse ristabilisce la verità sulla foto, ma la sua lotta per denunciare la terribile realtà dei campi di concentramento inglesi in Sudafrica incontrerà mille difficoltà. Il suo Rapporto sulle condizioni di vita nei campi di concentramento, ignorato dalle autorità, sarà pubblicato in giugno e venduto al prezzo di tre penny, trovando così spazio nel dibattito pubblico grazie al fatto che molti quotidiani, tra cui il Daily News, The Speaker e Labour Leader, ne riportano ampi brani.

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Il leader liberale Henry Campbell-Bannerman aiuta la Hobhaus, a costo di creare tensioni nel suo partito, facendo e definendo, in un intervento pubblico all’assemblea della National Reform Union il 14 giugno 1901, una «barbarie» la conduzione della guerra.

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Ma i giornali che muovono le critiche subiscono un crollo delle vendite, mentre parte una campagna di denigrazione che tratta la Hobhouse come un’isterica, una traditrice o una credulona che avrebbe dovuto verificare le voci raccolte. Conan Doyle boccia il suo Rapporto e il governo le impedisce di tornare in Sud Africa, nominando una commissione d’inchiesta che, pur invocando il miglioramento delle condizioni dei campi, non ne critica la legittimità e riconferma i pregiudizi sui boeri.

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Gli Stati Uniti

Anche negli Stati Uniti la pubblicazione dei giornali diventa un’industria di primo piano e l’informazione un prodotto di massa.

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Yellow journalism

A buon mercato e facili da leggere, ricchi di illustrazioni e contenuti popolari, i giornali di Hearst sono l’espressione di un nuovo giornalismo, detto Yellow journalism, caratterizzato da storie di interesse umano, da toni scandalistici e sensazionali, cui si aggiungono i tabloid, altrettanto sensazionalistici e pieni di immagini, e le riviste illustrate.

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La guerra ispano-americana

La guerra ispano-americana fornisce un esempio di come i giornali ad alta tiratura possano essere utilizzati per influenzare l’opinione pubblica nel corso di un conflitto, promuovendo il nazionalismo e il bellicismo.

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Negli Stati Uniti si guarda con simpatia alla popolazione cubana, vittima della violenza e della corruzione con cui l’agonizzante colonialismo spagnolo governa l’isola, reprimendo col pugno di ferro, nel 1895, una violenta rivolta.

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La Spagna, pur di evitare il combattimento, cederebbe a qualsiasi richiesta e lo stesso Presidente americano Mc Kinley è contrario alla guerra, ma bisogna fare i conti con l’opinione pubblica.

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Negli Usa, la propaganda dei dissidenti cubani e la yellow press, con le sue descrizioni delle crudeltà spagnole a Cuba, contribuiscono in modo determinante, a indirizzare l’opinione pubblica verso la guerra.

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Il circuito formato dal giornalismo, dall’opinione pubblica e dagli ambienti politici prepara ricette molto saporite per un pubblico che apprezza le sensazioni forti: indignazione, paura e gloria. I giornali captano questi umori e sfornano emozioni in abbondanza, mentre i politici ritengono subito conveniente cavalcare la tigre dei sentimenti popolari.

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Chi fiuta meglio il clima è Randolph Hearst che sfrutta la fame di conquista ordinando ai suoi giornali di spingere verso la guerra.

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Mentre cresce la tensione diplomatica fra il governo americano e quello spagnolo, nel febbraio del 1898 gli Stati Uniti inviano la corazzata Maine all’Avana, per proteggere i propri cittadini residenti a Cuba ma anche per esercitare una pressione sugli spagnoli.

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Il 15 febbraio la nave salta in aria, causando la morte di oltre 260 marinai. Sabotaggio spagnolo, come afferma subito la stampa americana, o degli insorti cubani, per forzare la mano agli Stati Uniti?.

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La tragedia scatena l’eccitazione guerresca che la stampa del gruppo Hearst va fomentando da mesi, fornendo il pretesto per grandiose manifestazioni patriottiche in tutti gli States, in cui, al grido di «Ricordiamoci del Maine!», si reclama a gran voce l’intervento militare.

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Mentre il Presidente McKinley viene convinto dal suo gabinetto, in cui compare tra gli altri Theodore Roosevelt, la tensione tra i due paesi aumenta e il 23 aprile 1898 la Spagna dichiara guerra agli Stati Uniti.

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Il 1° maggio la flotta americana attacca le Filippine e mette fuori combattimento le navi spagnole nella baia di Manila, senza riportare perdite, costringendo alla resa la guarnigione locale. Assicuratasi la superiorità navale, in giugno gli americani sbarcano a Cuba.

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Il 16 luglio, dopo dodici giorni di bombardamenti, la guarnigione di Santiago si arrende; ad agosto viene occupata senza resistenza anche l’isola di Puerto Rico e il 12 del mese viene firmato l’armistizio. Iniziano subito i negoziati di pace, in cui la Spagna non riesce a difendere nessuna delle sue posizioni.

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Gli Stati Uniti ottengono l’indipendenza per Cuba e la cessione di Puerto Rico, che diventa uno “stato libero” associato agli Usa, dell’isola di Guam, nel Pacifico, e delle Filippine, fra la sorpresa degli insorti locali che si aspettavano anch’essi il riconoscimento dell’indipendenza.

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Così muore il grande impero spagnolo, sotto i colpi dell’opinione pubblica. Il conflitto viene ricordato, secondo una definizione del Segretario di Stato americano John Hay, come the splendid little war.

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Roosevelt approfitta della vittoriosa campagna per comparire in tutte le pose sul suo cavallo preferito, riuscendo a conquistare - grazie agli yellow papers di Pulitzer - la notorietà che gli basta per imporsi facilmente alle successive elezioni presidenziali.

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La guerra ispano-americana

Tornano attuali gli interrogativi sull’influenza della stampa di massa sull’opinione pubblica, soprattutto in momenti critici, ridefinendo i rapporti tra le funzioni dei media. L’informazione si precisa come un compito produttivo e professionale distinto dall’educazione, devoluta semmai ad ampliare il bacino dei lettori.

Marines nei pressi di Manila, 1898

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Quarto potere

Parimenti si redistribuisce il prestigio dei mezzi di comunicazione, da soli o nelle loro connessioni, e il credito attribuito alla loro influenza, sia in termini di fiducia che di timore.

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«Ciò a cui mira la proprietà di questi giornali è il potere, un potere senza responsabilità, storicamente prerogativa della prostituta».

Stanley Baldwin (1931)

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«Il tempo ha cancellato per sempre le società così piccole da consentire ai loro membri una conoscenza profonda l’uno dell’altro e trovare la loro posizione mediante il giudizio di chi li conosce a fondo. La pubblicità è un cattivo rimedio e un’arte diabolica. Ma è venuta per restare e ogni anno è più potente e decisiva nelle sue sentenze».

Judge Learned Hand, Proceedings in Memory of Justice Brandeis (1942).

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«La mano che regola la stampa, la radio, lo schermo e le riviste più diffuse, regola il paese. Ci piaccia o no, dobbiamo imparare ad accettarlo».

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Il Primo Emendamento

È più probabile giungere a una giusta conclusione attraverso una moltitudine di voci che non attraverso una scelta compiuta d’autorità. Il Primo Emendamento «presuppone che le giuste conclusioni siano ottenute tirandole fuori da una moltitudine di opinioni piuttosto che da qualsiasi tipo di selezione autorevole. Per molte persone questo è - e sempre sarà - considerata follia, ma su questo presupposto abbiamo puntato tutto».

USA contro Associated Press, 52F. Supp. 362,372 (D.C.S.D.N.Y 1943).

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+ Briggs e Burke, 245.

Strumento di formazione dell’op e anche di più (246).