L’ESILIO E IL RITORNO - La Parola nella Vita · Perché tu sei prezioso ai miei occhi, perché...

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L’ESILIO E IL RITORNO MEMORIA INCONTRI Così dice il Signore: “Non temere, perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni. Se dovrai attraversare le acque, sarò con te, i fiumi non ti sommergeranno; se dovrai passare in mezzo al fuoco, non ti scotterai, la fiamma non ti potrà bruciare, poiché io sono il Signore, tuo Dio, il Santo d'Israele, il tuo salvatore. Io dò l'Egitto come prezzo per il tuo riscatto. Perché tu sei prezioso ai miei occhi, perché sei degno di stima e io ti amo. Non temere, perché io sono con te.” Is 43,1-5 CAMMINO BIBLICO ANNO 2012/2013

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L’ESILIO E IL RITORNO MEMORIA INCONTRI

Così dice il Signore: “Non temere, perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni. Se dovrai attraversare le acque, sarò con te, i fiumi non ti sommergeranno; se dovrai passare in mezzo al fuoco, non ti scotterai, la fiamma non ti potrà bruciare, poiché io sono il Signore, tuo Dio, il Santo d'Israele, il tuo salvatore. Io dò l'Egitto come prezzo per il tuo riscatto. Perché tu sei prezioso ai miei occhi, perché sei degno di stima e io ti amo. Non temere, perché io sono con te.” Is 43,1-5

CAMMINO BIBLICO ANNO 2012/2013

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Perché una memoria

Nella Bibbia la memoria è importante:

“Ricordati di tutto il cammino che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto percorrere in questi quarant'anni nel deserto” Dt 8,2.

“Ricordati che non sei tu che porti la radice, ma è la radice che porta te” Rm 11,18.

Anche nella nostra vita la memoria è fondamentale! Noi siamo anche memoria di chi ci ha preceduto; raccontando la nostra vita e la nostra esperienza riconosciamo le tracce che abbiamo lasciato dietro di noi e indichiamo il cammino a chi ci vuol bene e ci vorrà seguire. La memoria dei nostri incontri è per noi molto importante perché, rileggendola, riviviamo i bei momenti trascorsi insieme riuscendo a rivedere i volti di ciascuna: gli interventi fatti, le parole dette, le emozioni raccontate, i segreti svelati. Allora la Parola diventa “carne”, si fa “vita”, diventa “lampada ai nostri passi, luce al nostro cammino”! Per tutti può essere una testimonianza di vita e un invito a lasciarsi “prendere” e “trasformare” da un cammino insieme fatto di ascolto, condivisione, amicizia e amore…!

“Tutto possiamo in Colui che ci dà la forza” (Fil 4,13).

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Messaggio di Tenerezza

Questa notte ho fatto un sogno, ho sognato che ho camminato sulla sabbia

accompagnato dal Signore, e sullo schermo della notte erano proiettati

tutti i giorni della mia vita.

Ho guardato indietro e ho visto che ad ogni giorno della mia vita, proiettati nel film,

apparivano orme sulla sabbia: una mia e una del Signore.

Così sono andato avanti, finché tutti i miei giorni si esaurirono.

Allora mi fermai guardando indietro,

notando che in certi posti c’era solo un’orma…

Questi posti coincidevano con i giorni più difficili della mia vita;

i giorni di maggior angustia, di maggior paura e di maggior dolore…

Ho domandato allora: “Signore, Tu mi avevi detto che saresti stato con me

in tutti i giorni della vita, ed io ho accettato di vivere con te,

ma perché mi hai lasciato solo proprio nei momenti peggiori della mia vita?”.

Ed il Signore rispose: “Figlio mio, Io ti amo e ti dissi che sarei stato

con te durante tutta il cammino e che non ti avrei lasciato solo

neppure per un attimo, e non ti ho lasciato…

I giorni in cui tu hai visto un’orma sulla sabbia sono stati i giorni in cui ti ho portato in braccio”

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MEMORIA del primo incontro: 27 settembre 2012

con don Antonio Niada

Introduzione all’Esilio

Preghiera: salmo 137 (136)

Iniziamo accogliendoci con il segno della croce e con le parole del card.

Carlo Maria Martini:

“È stata la Parola per prima a rompere il silenzio, a dire il

nostro nome, a dare un progetto alla nostra vita.

È in questa parola che il nascere e il morire, l’amare e il

donarsi, il lavoro e la società hanno un senso ultimo e una

speranza.” (da: In principio la Parola”)

Don Antonio riallacciandosi alle parole di C. M. Martini sottolinea che è la

Parola che rompe il silenzio, è una Parola “performativa” cioè fa quanto

dice, accade quello che promette.

Introduzione al salmo 137

Il salmo 137, non è contemporaneo ai fatti che racconta, è posteriore al

538 a.C., fa memoria e rilegge l’esperienza dell’esilio. Chi scrive è già

ritornato in Giuda, ma è stato testimone oculare della deportazione.

Come genere letterario è una lamentazione.

La lamentazione non è mai solo disperazione, troviamo sofferenza

interiore, dubbi, perplessità, domande, ricerca di un senso, tutto sembra

arrivare al limite senza superarlo, perché la speranza è già data: è un

compimento che è avvenuto o che avverrà quando solo Dio sa.

L’esperienza dell’esilio può essere anche la nostra esperienza, la Storia ci

porta ad essere esiliati, siamo tutti un po’ esuli, com’è scritto nella Lettera

agli Ebrei noi non abbiamo una patria.

Spiegazione del salmo 137

vv.1-3: i primi tre versetti contengono un amore struggente per

Gerusalemme, città della pace, dove il mistero ha lasciato un segno

vero del suo passato.

vv. 4-6: il salmista ha un grande amore per la città di Sion, anche in

esilio non è possibile dimenticarsi di Gerusalemme. Nella Bibbia

l’uomo deve poter compiere l’azione, proferire parola, esercitare il

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culto, per questo le auto-maledizioni vengono mandate alla mano

destra, la sua paralisi provoca l’incapacità di compiere ogni azione;

alla lingua, che è l’organo della comunicazione, attaccandosi al

palato, non solo non può comunicare ma non può lodare e ringraziare

il Signore; alla memoria, l’incapacità di ricordare, cioè lasciare

cadere il ricordo di Dio e della sua Alleanza.

vv 7-9: maledizioni per i persecutori, questi versetti esprimono la

grande sofferenza vissuta dagli esiliati.

L’autore ispirato è uno strumento di Dio, egli sa riconoscere nella storia la

presenza di YHWH. Accoglie il criterio storico e lo fa diventare

manifestazione di Dio, la realtà non è negata, non viene nascosto il peccato

del popolo, né la sua difficoltà ad essere fedele all’alleanza.

Introduzione all’esilio

Evento storico

Il fenomeno dell’esilio era comune nell’Oriente antico: la

deportazione delle classi dominanti dal punto di vista economico, politico

e spirituale, era una misura preventiva contro eventuali insurrezioni del

paese dominato. Già nel 734 alcune città del regno del Nord ne fecero la

dura esperienza (cfr 2 Re 15,29), nel 721, dopo un assedio durato tre anni, la

capitale Samaria venne occupata e gli Israeliti furono deportati in Assiria.

Nel territorio attorno a Samaria si stabilì gente di Babilonia e di città

assire. Queste colonizzazioni, mescolandosi con gli Israeliti rimasti sul

posto, diedero origine ai Samaritani (2 Re 17,24ss). Dei deportati del regno

del Nord non si sa più nulla.

Le deportazioni che più hanno inciso nella storia del popolo

dell’alleanza, sono quelle fatte da Nabucodonosor, a conclusione delle sue

campagne di invasione, negli anni 597, 587 e 582 (cfr 2 Re 24,14; 25,11; Ger.

52,28ss). L’esperienza più forte è la presa di Gerusalemme, seguita

dall’incendio della reggia, del tempio di YHWH e della città. La rovina di

Gerusalemme e la distruzione del Santuario, hanno una risonanza

tremenda sulla coscienza religiosa del popolo di Giuda. La “dimora” di

YHWH è distrutta; le realtà che avevano trasmesso il piano salvifico non

esistono più: né terra, né promessa, né dinastia regale, né popolo.

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L’esilio e il ritorno:

La prima grande deportazione del popolo d’Israele avviene nell’VIII°

in Assiria, e coincide con la caduta del regno del Nord. L’impero Assiro

riduce a vassalli i territori conquistati, sottoponendoli a pesanti tributi.

Per il regno del Sud, la deportazione in Babilonia inizia nell’anno

597 a.C. con l’assedio di Gerusalemme che dura dieci anni (cfr 2Re 25,1-7),

in quell’anno vengono deportati i notabili, i colti, i sacerdoti e la casta del

potere politico, sociale e civile; nel 587 a.C., con la distruzione della città e

del tempio, viene deportato anche il popolo per avere più forza lavoro,

come purtroppo era consuetudine in quei tempi (cfr 2Re 25); la terza

deportazione avviene nel 582 a.C. e i babilonesi uniscono il territorio di

Giuda alla provincia di Samaria (cfr. 52,28 ss).

La deportazione è stata una prova sconvolgente per gli ebrei di quel tempo

poiché, per quattro secoli, la loro realtà, la loro vita, si è identificata con il

tempio; con la sua distruzione, il disegno di Dio sembra sconvolto, cade

l’ideale in cui hanno creduto a lungo.

Il popolo in esilio si poneva molte domande:

dov’è il nostro Dio?

il nostro Dio è ancora il nostro Dio? è ancora un Dio che salva?

che cosa vuole il Signore da noi?

perché Dio si irrita, ci castiga?

Queste domande e altre ancora hanno prodotto molte considerazioni che il

popolo ha elaborato anche con l’aiuto dei profeti. Don Antonio le ha

sintetizzate per noi in cinque punti fondamentali:

1. Riconoscimento da parte di Israele del suo peccato

La deportazione è il castigo di Dio per il peccato di idolatria. Israele

adora altri idoli, dimentica YHWH e il suo progetto, non è fedele

all’alleanza, commettendo il peccato di idolatria rifiuta Dio.

2. Dio manifesta al suo popolo il suo amore geloso

Israele è il popolo eletto: il popolo eletto deve testimoniare l’unicità

di questa elezione, dicendo a tutto il mondo che c’è un unico Dio che

fa parte della storia ed è un Dio pietoso, misericordioso, lento all’ira

e grande nell’amore. Diventando idolatra, Israele cerca ciò che non è

Dio, va contro il suo progetto. Dio è geloso del suo popolo e non può

sopportare che Israele, cercando solo ciò che produce morte, lo

rinneghi.

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3. Un aiuto alla conversione, un richiamo forte da parte di Dio al

suo popolo perché si riconverta all’alleanza

L’esilio è anche una prova di purificazione che produce germogli

nuovi: “Toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne” (cfr Ez

36,26). Il popolo vive sulla sua pelle cosa significhi aver abbandonato

YHWH.

L’uomo, quando cerca la sicurezza nei calcoli umani (guerre per

conquiste, oppressioni, idolatria), si allontana da Dio; questa scelta

produce solo disordine, dolore e morte; la risposta di Dio, attraverso i

profeti, è una Parola che invita alla conversione, al pentimento e alla

purificazione.

4. Una richiesta di perdono = conversione

Non c’è più il tempio né la monarchia, sembra tutto perduto senza

rimedio; ma anche nei momenti più bui, all’uomo che riconosce il

suo peccato, Dio rivela sempre la sua misericordia e la sua fedeltà:

Dio ha generato il suo popolo e non può dimenticarlo. Infatti egli non

rigetta per sempre il suo popolo ma suscita la speranza attraverso la

parola dei profeti “C’è una speranza per la tua discendenza: i tuoi figli

ritorneranno entro i loro confini” (Ger 31,17). Anche quando Dio sembra

molto lontano, che non ascolti, che dorma (come Gesù sulla barca in Mt

8,23-27), c’è sempre qualcuno che fa rinascere la speranza, Dio non

distrugge, non porta la morte ma la vita.

5. La manifestazione del grande amore di YHWH per il suo popolo

che non vuole distruggere ma riconquistarlo con amore

L’esperienza dell’esilio è essenziale per fare un esame radicale di

fronte a Dio, costringe il popolo a ritornare a Lui, con la

consapevolezza dell’appartenenza.

Il ritorno dall’esilio esprime il pentimento o il ritorno interiore del popolo

a Dio e il ritorno di Dio al suo popolo, naturalmente anche il ritorno

materiale dei profughi alla loro terra.

Don Antonio ci suggerisce di ringraziare Dio anche per i nostri momenti

di sofferenza: luogo della purificazione e del ritorno, della certezza

dell’amore di Dio.

Concludiamo con la preghiera del Padre Nostro.

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MEMORIA del secondo incontro:

4 ottobre 2012 San Francesco

Accoglienza

Preghiera: salmo 80 (79)

Iniziamo il nostro incontro con il canto di San Francesco “Laudato sii”.

Abbiamo pregato poi il salmo 80 (79) ripetendo i versetti che più ci hanno

colpito, come facciamo abitualmente.

In questo incontro abbiamo cercato di fare memoria dei personaggi biblici

che ci hanno maggiormente interessato lo scorso anno e ri-cor-dare quello

che ci è rimasto nel cuore ed è stato importante per noi nella vita di tutti i

giorni.

Ripensando all’incontro con don Antonio sull’Esilio

Nell’Antico Testamento, Israele stabilisce un’alleanza con Dio e

promette di essergli sempre fedele, riconoscendo la sua grandezza;

ma per diversi motivi, che possono cambiare a seconda del contesto

storico in cui avvengono, il popolo rompe l’alleanza e commette “ciò

che è male ai suoi occhi”, poi si pente, chiede aiuto a Dio che, per la sua

misericordia e fedeltà, sempre lo riaccoglie. Tutto questo ci fa capire

che da sempre la fragilità dell’uomo lo porta a cadere ma poi a

risollevarsi. Anche noi oggi, come Gesù ci ha insegnato, non

dobbiamo scoraggiarci per le cadute, ma trovare sempre la forza di

rialzarci e guardare con fiducia e speranza al nostro Dio che sempre

ci perdona e ci accoglie.

La Parola di Dio è antica e sempre nuova, sempre attuale: oggi ci può

dire ancora qualcosa.

A volte si ha difficoltà ad accettare l’affermazione che ogni tanto

viene fatta sul valore della sofferenza, considerandola come un dono.

Si è detto che “l’esilio per il popolo è una prova di purificazione che

produce germogli nuovi”. Quando si vive una grande sofferenza, un

forte dolore, nella fede in Dio si può trovare conforto e sostegno, a

volte è proprio la sofferenza che ci riavvicina a Dio: è Lui che ci

guarisce. Nel dolore però è anche possibile perdere le fede.

Il dolore innocente non si riesce ad accettare, come ad esempio la

sofferenza nei bambini, perché questo accade? Il dolore innocente è

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un mistero! Spesso non riusciamo ad accettare chi considera la

sofferenza una benedizione.

Gli ebrei in esilio erano arrivati al limite della sopportazione, non

avevano più niente a cui aggrapparsi e, in quel periodo di

disperazione, erano riusciti a risollevarsi facendo memoria del

passato. Partendo dalla creazione, ricordando Abramo e Mosè,

ritrovarono la speranza e la certezza che il loro Dio non avrebbe mai

potuto dimenticare per sempre il suo popolo.

Anche a noi spesso accade così, facendo memoria dei periodi di

grande sofferenza, riconosciamo che proprio in quei momenti Dio

era presente e ci sosteneva con la Sua Parola o attraverso la presenza

di amici che ci aiutavano a ritrovare fiducia e speranza.

Quando tutto ci va bene ci sentiamo autosufficienti.

Il libro di Giobbe pone molti interrogativi sulla sofferenza. I tre

amici lo accusano di non essere stato un uomo giusto e di avere

peccato contro Dio, meritando così il suo castigo. Sappiamo che non

è così. Non ci sono risposte precise in questo libro sul dolore e sulla

sofferenza, Giobbe continua ad avere fede e riconosce l’onnipotenza

e la grandezza di Dio: “Comprendo che puoi tutto e che nessuna cosa è

impossibile per te” (Gb 42,2) e alla fine viene ricompensato. La risposta

alla sofferenza innocente può essere Gesù stesso che ha accettato di

morire sulla croce.

Figure bibliche che più ci hanno colpito

Anna, la mamma di Samuele, delusa dal marito, derisa dal sacerdote

Eli, è stata poi ripagata dalla sua sofferenza con il dono di un figlio.

La storia di Anna mi ha permesso di fare alcune riflessioni: nei

momenti di grande dolore, d’incomprensione, di scoraggiamento, di

angoscia, l’unico posto per sentirmi rinfrancata e confortata è andare

dal Signore, in preghiera. Dio permette certe circostanze nella vita

(che non sempre si comprendono) tuttavia quando viene implorato

con tutta la forza d’animo, il Signore non può rimanere indifferente.

Il profeta Elia che nel suo silenzio e nella sua disperazione ha

ritrovato Dio.

Elia conosce Dio nella voce del silenzio. Dio non parla nei segni

della potenza e della grandezza del mondo. Ascoltare il silenzio per

riflettere su tante cose: sul bene, sul male; nel silenzio non c’è solo

ascolto ma anche ricordo. Ascolta e ricorda!

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Io mi sono riproposta di stare almeno cinque minuti al giorno in

silenzio per ascoltare la voce di Dio.

Un altro personaggio biblico importante è stata la profetessa Culda

(2Re 22,1-20) che nessuna di noi conosceva. Tramite l’aiuto di questa

donna, il re Giosia ha scoperto il contenuto del “Libro della Legge” è

ha dato inizio ad un’importante riforma.

Debora è stata una figura significativa, l’abbiamo apprezzata per il

suo coraggio e la sua determinazione.

Nel cammino fatto finora, il periodo che mi è sembrato più

interessante nella storia del popolo d’Israele, è quello dei giudici,

dall’organizzazione tribale alla monarchia, periodo di transizione.

Anche in quel tempo però, come già detto all’inizio, si ripetono

sempre le stesse situazioni: il popolo pecca, si allontana dal Signore,

si pente, chiede aiuto e il Signore lo perdona. Oggi succede la stessa

cosa, l’uomo non cambia mai! Non consideriamo il progetto di Dio

ma il progetto personale: l’immagine, il successo, l’arricchimento, la

carriera. Perché c’è questa mancanza? La fede è sempre più debole.

Noi viviamo una vita tutta materiale, diamo importanza all’avere e

non all’essere. Il potere allontana dalla fede.

Alla fine dell’incontro abbiamo pregato insieme la bellissima esortazione che ci ha

mandato don Felice Tenero “Non portare con te”, composta dalla sua comunità per il

trasferimento del Vescovo

Non portare con te

Non portare con te solamente la parola,

affilata come una spada pronta per il combattimento;

porta con te, nella voce e nel canto,

la melodia del sogno e della speranza.

Non portare con te solo occhi critici,

capaci di denudare l’ingiustizia e l’oppressione;

porta con te anche uno sguardo dolce e pieno di tenerezza,

capace di perdono e misericordia.

Non portare con te solamente mani ferme e forti,

per poter rimuovere barriere e ostacoli;

porta pure con te, sulla punta di dita sensibili,

il balsamo che cura le ferite del corpo e dell’anima.

Non portare solamente la Buona Notizia del Vangelo,

come un tesoro di pietre preziose;

porta con te anche l’arte, la grazia e la magia

di trasmetterla ad altre culture e popoli diversi.

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MEMORIA del terzo incontro: 18 ottobre 2012

Il re, il popolo, il profeta

Accoglienza

Preghiera: Sof 3,9-20

Testi di Studio Is 7,1-17 e Is 9,1-6

Dopo un’accoglienza reciproca, ricordando in modo particolare le nostre

amiche assenti, abbiamo pregato Sof 3,9-20.

Sofonia ha profetato sotto il regno di Giosia (640-609 a.C.) prima della

riforma, quando il re era ancora un bambino, circa ottant’anni dopo il

regno di Acaz.

Sofonia denuncia il comportamento iniquo, menzognero, idolatra degli

abitanti di Gerusalemme, ma annuncia che dalla morte rinascerà la vita: “il

Signore ha revocato la tua condanna, ha disperso il tuo nemico, tu non vedrai più la

sventura perché il Signore tuo Dio in mezzo a te è un salvatore potente, per te

esulterà di gioia” (Sof 3,15-17). Il profeta annuncia l'intervento di Dio che

trasformerà completamente le cose e rivelerà il suo amore e la sua bontà al

“resto d'Israele”.

Nel libro di Sofonia la parola “Anawîm = Poveri di YHWH” acquista un

significato profondo: sono i poveri, gli oppressi, coloro che cercano la

volontà di Dio e desiderano realizzare il suo progetto (cfr Sof 2,3 e 3,12)

reclamando la giustizia per i deboli, i piccoli, gli indigenti. La tenacia di questi “poveri di YHWH” sarà descritta da Isaia nei quattro

canti del Servo (cfr Is 42,1-9; 49,1-6, 50,4-9, 52,13-53,12).

Sarà il “resto”, il “filo rosso” della profezia che ci condurrà fino a Gesù.

Introduzione

La Bibbia è nata proprio dalla preoccupazione che il popolo non deve

dimenticare il passato e perdere la sua identità. Il popolo non deve perdere

la memoria (anche per una persona perdere la memoria è una delle cose

più gravi). In ogni nuovo periodo della storia, soprattutto nei periodi di

infedeltà e di crisi, l'esperienza dell’Esodo e dei giudici riaffiora nella

memoria dei profeti e diventa un criterio per denunciare gli errori dei re e

per aiutare il popolo a fare una revisione del suo cammino.

Il passato viene riletto per aiutare il popolo a vedere nell’oggi la presenza

nascosta del Dio liberatore “Voi saprete che Io Sono il Signore ” (cfr Ez. 14,8;

32,15; Is.45,3).

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Colpisce l'aspetto di questo piccolo popolo che nella sua debolezza ha

resistito nella storia ed è ancora presente oggi, mentre degli altri grandi

imperi si parla solo come passato.

Cenni sul profeta Isaia

Isaia è il profeta più conosciuto e ricordato. E’ nato a Gerusalemme

intorno al 760 a.C. ed è probabilmente di nobili origini. Questo profeta,

fermo e coraggioso, è un personaggio di grande fascino per l’attrattiva che

esercita la sua figura di uomo d’azione, per la vastità della sua cultura e

per la forza del suo insegnamento. La profezia del Primo Isaia si attua dal

740 al 701 a.C., sotto la dominazione di due re: Acaz (736-716 a.C.) ed

Ezechia, figlio di Acaz (716-687 a.C.). Altro profeta del regno del Sud,

contemporaneo di Isaia, è Michea.

Primo Isaia o Proto Isaia (cap. 1-39) – genere letterario poetico

Nei primi cinque capitoli, questo testo accusa severamente il popolo

corrotto, ipocrita e infedele e annuncia le sventure che si abbatteranno su

Giuda e Gerusalemme. All’interno dei successivi capitoli (6,1-12,6) c’è

una sezione chiamata “Il libro dell’Emmanuele”. Negli oracoli relativi

alla guerra siro-efraeimita, Isaia manifesta la speranza nella fragilità di un

bambino, contrapponendosi ad Acaz che mette la sua fiducia nella forza

militare e impone al popolo pesanti tributi. La nascita di un bambino non

significa solo la continuità della discendenza ma può essere intesa anche

come riporre la fiducia nei piccoli.

Contesto storico in cui opera il profeta Isaia

Nella prima metà dell’VIII sec. a.C. (800-750) il regno d’Israele

raggiunge il massimo del suo potere mentre l’Assiria vive un periodo di

momentanea debolezza, permettendo la nascita di piccole nazioni.

Dopo la morte di Geroboamo II e di suo figlio Zaccaria, la dinastia di

Ieu finisce ne743 a.C. (cfr 2Re14, 23-29 e 2Re15, 8-12). Nel 738 a.C., il re

assiro, Tiglat Pileser III, ha già raggiunto le montagne del Libano,

facendone una nuova provincia assira. Da questo momento in poi, molti

tentativi furono fatti fra i vari re per formare delle coalizioni anti assire, ma

con scarso successo. Rezin re di Aram e Pekach re di Israele-Efraim,

chiedono ad Acaz re di Giuda, di fare un’alleanza con loro, ma Acaz non

accetta; non essendo vassallo dell’Assiria, come il regno del Nord, non ha

alcun interesse ad inserirsi in un’alleanza il cui successo non è sicuro (2Cr

28; 2Re 16ss). Acaz, nonostante l’invito di Isaia alla calma e alla

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riflessione, si allea con l’Assiria contro i due re nemici Rezin e Pekach

che, sorpresi alle spalle, vengono sconfitti (guerra siro-efraimita 734-732 a.C).

Israele perde tutta la Galilea e la sua classe dirigente viene deportata

in Assiria. Pekach viene ucciso. Cade anche Damasco nel 732 a.C. Anche

Rezin viene ucciso e il suo territorio trasformato in una provincia assira.

Il regno di Giuda si ritrova ora, esso stesso, vassallo dell’Assiria.

Siamo vicini alla fine del regno del nord (cfr Is 7,1-17).

Is 7, 1-17

Acaz, considerato uno dei peggiori re di Giuda per la sua idolatria, è

paragonato al re d’Israele Acab, che sposò la regina Gezabele e sfidò il

profeta Elia (cfr 1Re 18 ss).

Acaz, per propiziarsi le benevolenze degli dei, arriva ad immolare i suoi

figli alla divinità, bruciandoli.

Questo atteggiamento del re, che rispecchiava l’uso dei popoli di quel

tempo, ci ha molto scosso e ci siamo chieste: “oggi questo potrebbe ancora

accadere?…

Riflettendo bene, abbiamo riscontrato che possiamo avere atteggiamenti di

grande egoismo o possesso verso i nostri figli o le persone deboli, tanto da

arrivare a “sacrificarli” per i nostri progetti personali.

L’incontro tra Acaz e Isaia avviene in un luogo di acque e quindi di

fecondità e di vita. Isaia ha con sé il figlio Seariasùb che significa “portatore

di speranza”. La parola che pronuncia Isaia non è più soltanto per Acaz ma è per tutto il

popolo.

Il segno che il re Acaz ha rifiutato di chiedere a Dio, gli è stato dato: è

l’annuncio della nascita di un figlio, il cui nome “Emmanuele” che significa

“Dio con noi”, rivela che Dio vuole proteggere e benedire Giuda.

ISAIA 9, 1-6

Questo testo ridà speranza e fiducia al popolo che non vede futuro.

La speranza è racchiusa in un bambino che porterà la pace.

“Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce”: camminare nelle

tenebre non significa soltanto essere al buio, senza speranza, ma tenere una

condotta di vita immorale. Sul popolo lontano da Dio, viene la “luce”

portata da un bambino, che genera vita, pace, diritto e giustizia.

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MEMORIA del quarto incontro: 25 ottobre 2012 Caduta di Samaria ed esilio a Ninive capitale dell’Assiria.

Con Tea Frigerio – Suora missionaria di Maria - Saveriana

“Ascoltatemi, voi che siete in cerca di giustizia,

voi che cercate il Signore;

guardate alla roccia da cui siete stati tagliati,

alla cava da cui siete stati estratti.

Guardate ad Abramo vostro padre,

a Sara che vi ha partorito;” Is 51,1-2a”

Premessa

Tea Frigerio è missionaria in Brasile dal 1974.

Tea ha iniziato il nostro incontro, commentando il testo di Isaia 51.

Le prime due righe dei versetti citati sopra, sono un parallelismo, due

pensieri che esprimono la stessa realtà: “Voi che cercate la giustizia” e “Voi che

cercate il Signore”, cercare la giustizia e cercare il Signore affermano la

stessa cosa. Anche Gesù usa parallelismi: a un dottore della legge

dice“Amerai il Signore Dio tuo e il prossimo tuo come te stesso (cfr Mt 22,37-39), e

nel discorso della montagna: “Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia”

(cfr Mt 6,33), con definizioni diverse queste citazioni esprimono lo stesso

concetto.

Isaia forse sta parlando a persone sfiduciate, senza speranza, e

ricorda loro che sono state estratte dalla roccia, da un materiale resistente,

non friabile; è bella l’immagine di Abramo rappresentata dalla roccia così

resistente e del grembo di Sara, colei che genera, paragonata alla cava.

Abramo e Sara, pur avendo vissuto molte difficoltà le hanno sempre

superate. Infatti Isaia ribadisce: “Guardate ad Abramo vostro padre e a

Sara che vi ha partorito” e ricorda loro che appartengono a quella stirpe,

perciò non possono lasciarsi vincere dalle difficoltà e dallo

scoraggiamento.

Interventi del gruppo sui versetti d’Isaia

Ritornare alle origini per continuare il cammino.

La nostra difficoltà spesso è quella di “ricordare”, di fare memoria

del passato.

La roccia dà un senso di forza che serve nella nostra vita per superare

ogni ostacolo.

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La cava nella roccia che è il ventre di Sara, ci dà un senso di

protezione.

E’ strano che il secondo versetto d’Isaia nomini anche Sara, di solito

si parla di Abramo, Isacco e Giacobbe.

Tea ci dice che Isaia è un profeta speciale, ha un’attenzione particolare alle

voci femminili, a differenza di Ezechiele che non parla mai delle donne o

ne parla male.

Simboli

Prima di introdurre il tema, Tea ci spiega i simboli che ci accompagnano in

questo incontro: al centro del tavolo c’è la bandiera dei popoli indigeni del

Sud America che si chiama ‘WIPALA’ fatta dai sette colori

dell’arcobaleno. L’arcobaleno rappresenta l’armonia tra cielo e terra, Dio e

la terra devono essere in armonia.

Fiori colorati portati da Belem, fatti a mano da una donna che li vende per

sopravvivere; rappresentano la speranza in tempo di crisi, sono i “fiori

della speranza”.

Contenitore del cero, piatto fatto di foglie proveniente dall’India, lo usano

per mangiare e poi lo riempiono di fiori e lo abbandonano sulla corrente

del fiume.

Tema dell’incontro:

Caduta di Samaria ed esilio a Ninive capitale dell’Assiria.

Perché si parla così poco dell’esilio di Ninive e moltissimo di quello di Babilonia? Noi non abbiamo saputo dare una risposta, abbiamo solo ricordato che la città di

Ninive è descritta nel libro di Giona come una delle città più corrotte.

Tea E’ molto conosciuto l’esilio in Babilonia perché gli scritti arrivati a

noi sono stati redatti da autori del sud, ricordiamo che in Giuda c’era

Gerusalemme con il tempio e la reggia. Il sud ha sempre visto il nord con

occhio negativo; dopo la distruzione di Samaria, conquistata dall’Assiria,

sembra che tutto sia finito, che il nord sia sparito, ecco perché l’esilio di

Ninive è quasi sconosciuto!

Tea ci dice che dobbiamo innanzitutto allargare il concetto di esilio e

liberarci da una visione biblica che riduce l’esilio a quello di Babilonia,

dobbiamo avere un orizzonte più ampio. Oltre a quello per conquista,

come nel caso di Ninive e Babilonia, ci sono altri tipi di esilio e di esiliati:

16

I perseguitati, costretti a fuggire, come Geroboamo che ha dovuto

scappare in Egitto perché Salomone voleva ucciderlo. Altri, come

Geremia, contrari alla monarchia e perseguitati, hanno dovuto andare

in esilio.

Gli emigrati come Amos, pastore e agricoltore del sud, ha dovuto

emigrare al nord per trovare lavoro. Anche nel libro di Rut si legge

che Elimèlech, con la moglie Noemi e i due figli, per una grave

carestia, hanno dovuto trasferirsi a Moab per non morire di fame.

Gli esiliati politici: tante persone, durante la dittatura, sono scappate

per evitare le persecuzioni e tante altre sono state cacciate da chi era

al potere.

Gli indigenti che lasciano spontaneamente la propria terra perché

non hanno niente e vanno in cerca di una situazione migliore.

I rifugiati: quando un paese è colpito da una guerra (come oggi in

Siria), la popolazione spesso fugge in un territorio più sicuro. Sarà

avvenuto così anche nel regno del Nord che è stato sotto assedio per

molto tempo, tanti abitanti si saranno rifugiati al sud.

Sono tutti esilii, gente che, per motivi diversi, è costretta a vivere fuori

dalla propria terra.

Quando avviene l’esilio in Babilonia che inizia nel 597 a.C. e termina nel

538 a.C., c’è già molta gente esiliata di entrambi i regni, lontana dalla

propria patria, che resterà in giro per il mondo allora conosciuto.

Insieme leggiamo il testo di 2Re 17,24-41 – Origine dei Samaritani Dopo la caduta di Samaria (721 a.C.) il re d’Assiria fa deportare tutti

gli Israeliti a Ninive e, per non lasciare la terra incolta, manda a Samaria

altri popoli conquistati. Gente di Babilonia, Cuta, Avva, Amat e

Sefaruaim. Sono popoli idolatri, non conoscono il Dio d’Israele, ciascuno

adora le proprie divinità. Il re Assiro manda dei sacerdoti israeliti, per far

conoscere YHWH, però questi popoli, pur venerando il Signore,

continuano a servire i loro dei. Gli Israeliti presenti in quel territorio, sono

infedeli non rispettano più le leggi e l’alleanza con il loro Dio. Gesù,

quando dice alla Samaritana: “Hai detto bene ‘non ho marito’; infatti hai

avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito” (Gv 4,17-18)

intende richiamare la situazione dei popoli idolatri della Samaria.

Ricordiamo che il Regno del Nord è stato deportato, non è sparito!

Quando l’Assiria è al potere, conquista Babilonia, in seguito Babilonia

17

cresce e conquista il territorio assiro, con lo spostamento dei deportati da

un posto all’altro; è certo quindi che i deportati del Regno del Sud in

Babilonia, si sono incontrati con i discendenti del Regno del Nord,

deportati a Ninive molti anni prima.

Il re Giosia

Un fatto storico descritto nella Bibbia è quello di Giosia. Il progetto

di questo re non riguarda solo la riforma religiosa deuteronomista, ma è

molto più ampio: un solo Dio, un solo tempio, una sola nazione, è un progetto

economico-politico che vuole unificare tutto il regno, come al tempo di Davide.

Giosia vuole riprendere all’Assiria le terre del nord, ma questa si allea con

l’Egitto e Giosia muore al nord, ucciso durante la battaglia di Meghiddo

nel 609 a.C. per mano di Necao il faraone d’Egitto.

Come nasce la profezia

La profezia nasce come critica alla monarchia. Nasce al nord perché,

essendoci dieci tribù, la memoria dell’esodo è molto più forte e il pensiero

profetico circola più facilmente. Il padre della profezia è Elia, seguito da

Eliseo, suo discepolo, e da Osea. La storia deuteronomista è nata al nord

dal pensiero di Elia e di Osea: da loro ha inizio il profetismo.

Al sud c’è solo la tribù di Giuda perché quella di Beniamino è stata

incorporata da Giuda. La dinastia davidica non fa nascere i profeti, perché

il re è considerato dal popolo il figlio di Dio; il Salmo Due ne è un

esempio: “Annunzierò il decreto del Signore. Egli mi ha detto: ‘Tu sei mio figlio, io

oggi ti ho generato” (Sal 2,7- riferito a Davide), perciò la critica alla monarchia

non poteva esprimersi, la divinità non si deve giudicare.

Il pensiero, il modo di agire e la resistenza di Elia, Eliseo, Osea e

Amos vengono portati al sud dai discendenti di questi profeti, arrivati lì

per diversi motivi. Dobbiamo cercare la memoria del regno del nord nei

primi profeti del sud che sono Isaia, Michea e Geremia:

Is 41, 8 “Ma tu Israele mio servo, tu Giacobbe, che ho scelto, discendente di

Abramo mio amico”

Is 41,14a “Non temere vermiciattolo di Giacobbe, larva di Israele io vengo in

tuo aiuto”.

Is 41,17 “I miseri e i poveri cercano acqua ma non ce n’è, la loro lingua è

riarsa e ha sete; io, il Signore, li ascolterò; io, Dio di Israele, non li

abbandonerò”.

Questi versetti del capitolo 41 del Secondo Isaia dimostrano come durante

l’esilio in Babilonia il popolo del sud ha rincontrato i discendenti del regno

del Nord figli di Abramo e di Sara.

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Is 42,13-14 “Il Signore avanza come un prode, come un guerriero

eccita il suo ardore; grida, lancia urla di guerra, si mostra forte

contro i suoi nemici. Per molto tempo, ho taciuto, ho fatto silenzio,

mi sono contenuto; ora griderò come una partoriente, mi affannerò e

sbufferò insieme”

Il Dio dell’esodo da Dio guerriero diventa un Dio madre, questi versetti

ricordano il cap.11 di Osea.

Is 49,14-16 “Sion ha detto: ‘Il Signore mi ha abbandonato, il Signore

mi ha dimenticato’. Si dimentica forse una donna del suo bambino,

così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se

queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai.

Ecco, ti ho disegnato sulle palme delle mie mani, le tue mura sono

sempre davanti a me”.

Volto di Dio materno che non ci dimentica e si prende cura di noi.

La memoria di un Dio materno al sud non c’è.

La storia viene scritta spesso dalla parte dei potenti ma se rileggiamo bene

i testi rincontriamo Israele che non ha dimenticato le sue radici, come gli

esiliati in Assiria che si sono incontrati con quelli di Babilonia e che il

secondo Isaia ci ha trasmesso.

A seconda delle vicende della vita noi potremo trovare un Dio Madre

o un Dio guerriero.

Gesù ci ha insegnato che Dio è Padre e non guerriero.

Anche nella nostra storia di cristiani, se riflettiamo bene, abbiamo

commesso azioni avvalendoci di un Dio guerriero, però è presente

soprattutto Dio che ci protegge e ci aiuta a costruire l’armonia.

Alla fine come saluto, dopo la preghiera del Padre Nostro, Tea ci ha

lasciato il fiore della speranza che ha portato da Belem.

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MEMORIA del quinto incontro: 8 novembre 2012

La vocazione di un profeta Esperienze che diventano fermento e suscitano la profezia

Accoglienza

Preghiera: Ger 20,7-18

Testi di Studio: Is 6,1-8 e Is 1,1-9

Os 1,1-9

Am 1,1-2; 3,3-8

Ger 1,1-10

Premessa

Accendiamo il cero e completiamo la spiegazione del contenitore. E’

un piattino fatto di foglie che viene usato per mangiare durante il

giorno, alla sera, riempito di fiori, con un lume acceso nel mezzo,

viene abbandonato sul fiume Gange.

Ricordiamo i nomi delle nostre amiche assenti per diversi motivi.

Perché ci incontriamo? Abbiamo ricordato lo schema del metodo di

lettura della Bibbia, rappresentato dal “triangolo”, abbinato ai “Discepoli

di Emmaus” (vedi libretto “Dio e il suo popolo in cammino” da pag. 15 a p.24).

Ci incontriamo per leggere la nostra realtà e confrontarla con la realtà del

testo biblico, non da sole ma in comunità, per scoprire insieme qual è il

progetto di Dio nella nostra vita. Tutto quello che noi facciamo,

analizzando i testi, cercando di capirli meglio, ha solo questo scopo.

Nessuna di noi si deve sentire obbligata a leggere tutto, ma procederà

secondo le sue esigenze e il suo desiderio di approfondire, nella massima

libertà. E’ importante leggere la Bibbia insieme, oppure confrontarci con il

gruppo se la leggiamo da sole. Non dobbiamo sempre trovare le risposte,

ma è importante porci continuamente delle domande.

Preghiera: Ger 20,7-18 Nella risonanza della preghiera, due versetti sono stati ripetuti più volte: “Mi hai sedotto Signore, e io mi sono lasciato sedurre; mi hai fatto forza e hai

prevalso” (v.7)

“Mi dicevo: ‘Non penserò più a lui, non parlerò più in suo nome!’ Ma nel mio cuore

c’era come un fuoco ardente, chiuso nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo ma

non potevo.”. (v.9). Anche noi ci riconosciamo in questi sentimenti di

Geremia; il desiderio di incontrarci nasce dall’amore per la Parola che

“arde” nel nostro cuore.

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Is 6,1-8

Isaia, contemporaneo del profeta Osea, era originario di

Gerusalemme, la sua attività profetica si svolge dal 740 al 701 a.C. quasi

interamente nella sua città, proprio nel periodo della guerra siro-efraimita

(Is 7,1-17). E’ uomo di corte, coltissimo e raffinato consigliere del re.

Siamo nel 740 a.C., anno in cui muore il re Ozia. Isaia nel tempio ha una

visione: il Signore seduto sul trono nella sua gloria. Il profeta si sente

indegno di parlare in nome di Dio perché le sue labbra sono impure, ma

uno dei serafini gli si avvicina con un carbone ardente e gli tocca la bocca.

Dopo questo gesto Isaia risponde immediatamente alla chiamata del

Signore: “Eccomi, manda me”. La prontezza di Isaia, nel rispondere a Dio,

richiama la fede di Abramo (cfr Gn 12,1-4) in contrasto con le esitazioni di

Mosè (cfr Es 4,10-12). Isaia ha il suo incontro con Dio nel tempio, è un

profeta del tempio, della corte del re; la forza di Isaia è proprio questa: ha

il coraggio di denunciare il re e il tempio, nonostante ne facesse parte.

Attualizzando: nella vita di tutti i giorni, quando ci sentiamo

chiamate, troviamo mille scuse, come gli invitati a nozze nel Vangelo. A

volte ci sentiamo inadeguate, non sappiamo se saremo disposte ad andare

avanti, abbiamo paura di essere troppo coinvolte, perché confidiamo nella

nostra forza e non in Dio: è vero, senza di Lui non possiamo fare nulla.

Is 1,1-9

In questi versetti Isaia inizia con una requisitoria sulla Gerusalemme

idolatra.

Si rende conto della realtà del suo popolo e di Gerusalemme e capisce che

così non si può andare avanti.

Descrive le colpe del popolo come una grave infezione che ha invaso tutto

e tutti.

Isaia insiste molto sulla necessità per il re e per il suo popolo di confidare

totalmente nel Signore e di non fare alleanze politiche.

Os 1,1-9

Osea è un profeta del regno del Nord, contemporaneo di Amos, inizia la

sua missione verso il 750 a.C. sotto il Regno di Geroboamo II. (783-743),

fino a poco prima della caduta di Samaria (721 a.C.). Dopo la morte di

Geroboamo II si sono susseguiti cinque re in pochi anni, alcuni dei quali

assassinati. Il periodo era molto turbolento: idolatria dilagante, corruzione,

21

ingiustizie, con un gran numero di poveri sempre più emarginati e

oppressi, contro una minoranza molta ricca.

La vocazione di Osea non nasce da una chiamata diretta o da una

visione, ma da un dramma personale. La moglie, Gomer, dalla quale ha

avuto tre figli, da lui molto amata, lo abbandona, lo tradisce perché pratica

la cosiddetta prostituzione sacra o religiosa, abbastanza diffusa in quei

tempi. All’interno dei riti cananei infatti, ‘nei tempietti sulle alture’,

dedicati al dio della fecondità Baal, veniva praticato questo tipo di

prostituzione, per ottenere la fertilità della terra. In questo periodo tragico

di rifiuto, di grandissima sofferenza e di delusione, Osea scopre la forza

dell’amore di Dio. I sentimenti che lui sta vivendo sono gli stessi di quelli

che Dio ha verso il suo popolo il quale si prostituisce servendo altri dei.

Osea ha avuto la forza di amare una prostituta: la prostituzione è legata

all’idolatria.

Osea è il primo profeta che paragona l’amore sponsale all’amore di Dio

per il suo popolo; in seguito questa immagine verrà ripresa da altri profeti.

Da questa storia di vita nasce la profezia di Osea che verrà chiamato

profeta dell’amore.

Attualizzando: l’esperienza di Osea ci insegna a non dubitare mai

dell’amore di Dio che è forte, e qualunque sia la nostra sofferenza o il

nostro peccato, Lui è sempre pronto a riaccoglierci, ad amarci e a

perdonarci. Questo dovrebbe stimolare in noi, come in Osea, la forza di

testimoniarlo in ogni circostanza.

I figli di Osea: la vita nuova Il nome del primo figlio, “Izrèel”, pur richiamando un luogo di sangue e

di battaglia, significa “Dio semina” e la semina dà sempre un frutto

nuovo: un nuovo popolo. I nomi degli altri due figli esprimono il rifiuto

di Dio verso il suo popolo: “Non-amata” e “Non-mio-popolo”, ma i figli

che nascono sono sempre una nuova vita, un nuovo germoglio e noi

sappiamo che Osea ci parla di Dio misericordioso!

I versetti sembrano tutti negativi ma annunciano speranza, attraverso

queste nuove vite.

Am 1,1-2; 3,3-8

Amos è originario di Tekòa in Giuda vicino a Betlemme, è un allevatore

di pecore, emigra al nord per lavoro, è lì che nasce la sua vocazione. E’ un

periodo di decadenza morale e religiosa e lui denuncia lo sfruttamento dei

deboli e degli oppressi: “Il Signore ruggisce da Sion e da Gerusalemme fa udire

la sua voce, sono desolate le steppe dei pastori, è inaridita la cima del Carmelo” (Am

22

1,2), nel tempio e dappertutto c’è aridità e desolazione. La vocazione per

Amos è qualcosa di irresistibile a cui non si può sottrarre, profetizza

perché il Signore gli ha parlato. La vocazione nasce da un pastore che

diventa il profeta della giustizia e denuncia con forza tutte le ingiustizie; i

paragoni e i termini che usa li prende dalla terra e dalla sua esperienza di

pastore.

Attualizzando: il cristiano ha il dovere di far conoscere il Vangelo e

testimoniarlo con la sua vita.

Ger 1,1-10

La vocazione di Geremia nasce già nel grembo materno. Dio

preferisce chi è debole: “Ahimè, Signore Dio, ecco io non so parlare, perché sono

giovane” (Ger 1,6). IL Signore gli tocca la bocca perché è Dio che parla con

la voce del profeta: “Ecco, ti metto le mie parole sulla bocca” (Ger 1, 9b).

Demolire per ricostruire la speranza nel popolo e riconfermare l’alleanza.

Prima della nascita Geremia è stato chiamato, questa è l’esperienza che lui

ha fatto: si è sentito chiamato da sempre. La vita di Geremia è stata molto

difficile, sempre in conflitto con se stesso. È il profeta sofferente, solo e

spesso perseguitato.

Attualizzando La vocazione di Geremia ci ricorda che nessuno nasce

per caso, tutti abbiamo un compito, una vocazione nella vita, anche se non

sempre ne siamo consapevoli. A chi risponde alla sua chiamata, Dio dona

la forza di realizzarla e di essere segno per le persone che incontrerà.

La vocazione è la scelta che orienta la nostra vita e ne determina lo

svolgimento e il cammino futuro.

23

MEMORIA del sesto incontro: 22 novembre 2012

IL PROFETA: la sua azione, il suo progetto

Amos: il profeta della giustizia

Osea: il profeta dell’Hesed

Accoglienza

Preghiera: Os 2,16-25

Testi di Studio: Am dal cap. 3 al cap. 6,13

Os 13,1-14,1; 6,1-6; 11,1-10

Iniziamo il nostro incontro con una preghiera di Benedizione per l’Avvento.

Dio ti benedica in questo tempo di Avvento:

Tempo di preparare il cuore, di rinnovare lo spirito, di ritrovare la strada!

Tempo di Dio, tempo benedetto, tempo di consolazione, di scrutare il cielo, di contemplare le

stelle!

Tempo per sognare: un’umanità rinnovata, una terra libera dalla schiavitù, una casa

capace di accogliere la vita.

Tempo di speranza: tempo di andare insieme, di fare comunione, di costruire fraternità.

È Dio che viene; mai il mondo resta lo stesso!

Vieni Signore Gesù! Amen! (Tea Frigerio)

Preghiera: Os 2,16-25

Il testo di Osea che abbiamo pregato ci ha fatto riflettere soprattutto sui

seguenti versetti:

v.21: “Ti farò mia sposa per sempre. Ti farò mia sposa nella giustizia e nel

diritto, nella benevolenza e nell’amore” questo versetto esprime benissimo

l’Hesed”: il sentimento che Dio ha per il suo popolo.

v. 23: “E avverrà in quel giorno – oracolo del Signore – io risponderò al

cielo ed esso risponderà alla terra”. Il legame tra cielo e terra ci ha richiamato

questo tempo di Avvento, tempo di attesa, aspettativa, desiderio che si

compia sulla terra il messaggio di Gesù: un regno di giustizia e di pace.

Purtroppo non sempre riusciamo a realizzarlo, per questo anche noi oggi,

come le comunità dell’Apocalisse, diciamo “Vieni, Signore Gesù.

Am dal cap. 3 al cap. 6,13

Siamo nell’VIII secolo (760 a.C.), Israele è al massimo della sua

espansione, ma c’è sempre una maggiore differenza sociale tra una classe

dirigente molto ricca e il popolo sempre più oppresso. Amos denuncia,

davanti al re, la situazione di ingiustizia provocata dalle classi più abbienti;

24

condanna la vita corrotta della città, ma soprattutto la falsa sicurezza

ostentata dalla classe dirigente e facoltosa che si sente in pace con Dio

perché compie riti cultuali superficiali, mentre disprezza i più elementari

precetti di giustizia, di diritto e di amore per il prossimo: “Guai agli spensierati di Sion e a quelli che si considerano sicuri sulla montagna di

Samaria!...Distesi su letti d’avorio e sdraiati sui loro divani mangiano gli agnelli del

gregge e i vitelli cresciuti nella stalla… voi schiacciate l’indigente e gli estorcete una

parte del grano…Io detesto, respingo le vostre feste solenni e non gradisco le vostre

riunioni sacre…Lontano da me il frastuono dei vostri canti: il suono delle vostre arpe

non posso sentirlo!...Voi cambiate il diritto in veleno e il frutto della giustizia in

assenzio.”

In questi capitoli il profeta accusa con forza gli abitanti del Regno del

Nord: Amos denuncia la colpa di Israele: la società viene descritta come priva di

giustizia, Dio minaccia di far scontare loro tutte le colpe e annuncia invasioni,

assedi e saccheggi (3,1-15).

Amos evidenzia il peccato d’Israele: la religione viene vissuta come un rito

senza spiritualità. Il Signore invia sul popolo una serie di flagelli per ricondurlo

a sé, ma nonostante i ripetuti ammonimenti il popolo non si ravvede, la frase:

“Ma voi non siete ritornati a me” è ripetuta per ben cinque volte (4,4-5).

Amos paragona Israele ad una vergine morta in piena giovinezza, senza aver

potuto realizzare la sua vocazione di donna (5,1-2).

Amos fa un ultimo appello al popolo: “Cercate il Signore e vivrete, altrimenti

egli come un fuoco, brucerà la casa di Giuseppe, la divorerà e nessuno

spegnerà Betel” (5, 6). I profeti insorgono contro l’ipocrisia religiosa, anche il

popolo si sente in pace con Dio, ma il suo culto è solo esteriorità, mentre non

cerca il diritto e la giustizia: “Io detesto, respingo le vostre feste solenni e non

gradisco le vostre riunioni sacre”(5,21-27; 6,1-7).

Infine Amos annuncia che il castigo sarà terribile, la catastrofe si abbatterà

sulla città con i morti che ingombreranno le case e che il terrore colpirà anche

“il resto” degli scampati alla morte.

Da questi capitoli emerge:

Un Dio accusatore per i disordini sociali, per la mancanza di fede, per

l’idolatria del popolo, per lo sfruttamento dei ricchi nei confronti dei più

deboli.

Un Dio paziente che dal suo popolo si aspetta sempre maggiore fedeltà e

responsabilità.

Un Dio giudice il suo giudizio sarà severo e irrevocabile e la sua pazienza ha

un limite.

25

Nel messaggio di Amos c’è anche un invito alla conversione: “Cercate me e

vivrete” (5,4)

Israele, ritenendosi il popolo eletto e prediletto da Dio, si sente protetto e

sicuro della salvezza, nonostante il suo peccato.

La forza della denuncia di Amos non è pessimista ma realista. Amos

profetizza per pochissimo tempo, le dossologie presenti nel libro di Amos,

sono state aggiunte in seguito.

Amos dice agli Israeliti di ascoltare il Signore, di ricordare che li ha fatti

uscire dall’Egitto e li ha amati come suo popolo: ritornano le tre parole:

ascolta – ricorda – ama.

La situazione descritta da Amos è molto attuale, la nostra società manca di

giustizia e di diritto, anche la religione è spesso basata su ritualità,

gestualità, preghiere senza cuore e senza amore.

Amos mostra un grande coraggio, va contro Samaria, non si ferma davanti

a niente. Il lusso dei grandi è un insulto per gli oppressi. Nonostante tutte

le punizioni di Dio, il popolo non ritorna a lui, non capisce i segni dei

tempi, non comprende che i “castighi” sono i richiami di Dio per la

conversione, l’invito di Dio è categorico: “cercate il bene e non il male”.

Os 13,1-14,1; 6,1-6; 11,1-10

I tre testi del Libro di Osea che abbiamo esaminato riportano tre diverse

realtà.

Nel capitolo 13 è descritta una situazione di benessere generale ma il

popolo è idolatra, continua a peccare, non si converte, pensa di bastare a se

stesso e si dimentica completamente del suo Dio, nonostante il profeta stia

preannunciando la caduta di Samaria: “Nel loro pascolo si sono saziati e il loro

cuore si è inorgoglito per questo mi hanno dimenticato” (v.6). Tutto questo è

molto attuale, il benessere, la sicurezza, la sazietà ci fanno dimenticare di

Dio.

Ci siamo soffermate anche sul v. 13 “Dolori di partoriente lo sorprenderanno,

ma egli è figlio privo di senno poiché non si presenta a suo tempo ad uscire dal seno

materno”. Il dolore del parto, paragonato ad una calamità che il Signore

permette per far riflettere il suo popolo, può produrre nuova vita, una

26

rinascita, una conversione, ma noi dobbiamo avere il coraggio di “uscire dal

seno materno”.

Il secondo testo (6,1-6) ci parla di un popolo che si pente e vuole

tornare al Signore, ma non è un vero pentimento, manca il cuore, è un

ritorno superficiale, fatto di gesti esteriori. “Il vostro amore è come la

rugiada che all’alba svanisce (v.4). Come Osea ha riaccolto la moglie

infedele, anche il Signore rivuole il suo popolo ma a certe condizioni:

“Voglio l’amore e non il sacrificio, la conoscenza di Dio più degli olocausti” (v.6).

Il capitolo 11 è molto bello, è da contemplare. Nonostante il popolo

non si converta, il Signore perdona, il suo giudizio non è mai definitivo.

Da questi testi emerge un volto di Dio che protegge e difende il suo

popolo, ma chiede fedeltà, non riti e preghiere superficiali ma la

conversione del cuore.

Osea ci mostra anche l’amore di Dio come quello di un padre e di una

madre che chiama il figlio, gli insegna a camminare, gli dà da mangiare, si

commuove per lui “Io lo traevo con legami di bontà e vincoli d’amore” (11,4) e si

presenta nella sua misericordia: “Perché sono Dio e non uomo; sono Santo in

mezzo a te e non verrò nella mia ira.” (11,9).

Significato della parola ebraica “HESED” nel Libro di Osea

Osea canta l’amore per la sua donna come simbolo dell’amore di Dio per

Israele. Si può dire che Osea è il portavoce dell’amore di Dio.

Per indicare l’amore Osea usa una parola speciale: Hesed. In italiano non

esiste un vocabolo che ha lo stesso significato, viene tradotto con

benevolenza, benignità, misericordia; queste traduzioni della parola

ebraica Hesed appaiono tutte molto deboli, non rendono tutta la forza

dell’amore che è nel significato del vocabolo ebraico.

Hesed è l’amore incondizionato, di chi ama comunque e sempre.

Hesed ha come radice un termine che indica le viscere femminili,

“l’utero”. Hesed è sempre riferito a Dio nella scrittura. Dio è “madre”,

genera la vita, la custodisce nel tempo e si contorce, si preoccupa,

partecipa. In questo senso è tradotto con “misericordia”, l'accoglienza del

cuore.

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MEMORIA del settimo incontro 6 dicembre 2012

Gli ultimi re di Giuda

Il profeta Isaia alla corte dei re

Manasse: la profezia tace

La profetessa Culda e il re Giosia

Accoglienza

Preghiera: Is 38,9-20

Testi di studio: Is 29,1-24; Is 30,8-26; Is 30,27-31,9; Is 37,31-38,-8

Una statuetta africana di ebano, raffigurante una maternità, ci ha fatto ricordare che

la festa dell’Immacolata è prossima. Accendendo il cero, che ci ricorda la presenza

di Dio, ci siamo soffermate a pensare alla giovane e umile ragazza di Nazareth,

incinta, non sposata, che insieme a Giuseppe ha avuto il coraggio di andare contro

la legge di quel tempo. Lei è stata forte nella fede e coraggiosa, ha saputo dire di sì

al progetto di Dio anche se per lei era oscuro: si è fidata di Lui. È stata accogliente:

ha saputo accogliere una nuova vita in mezzo a tantissime difficoltà. È stata

generosa perché si è messa subito in viaggio per andare da chi era nel bisogno: sua

cugina Elisabetta anche lei incinta e anziana.

Il pensiero di Maria ci ha avvicinato a tutte le ragazze che si trovano in difficoltà per

tanti motivi dovuti a: persecuzioni, violenze, abusi, maltrattamenti e schiavitù.

Abbiamo pregato anche per le nostre amiche assenti.

Preghiera: Is 38,9-20

Questo cantico, messo sulla bocca di Ezechia, dopo la guarigione da una

malattia mortale, è in realtà un salmo post-esilico. E’ una bellissima preghiera di

richiesta di aiuto, di ringraziamento e di lode a Dio; pregando questo salmo tutte ci

siamo ritrovate in un versetto o in un altro. Anche noi potremo rivolgerci al Signore

con questa bella preghiera.

Introduzione Il Regno del Nord, con la distruzione di Samaria, è finito. In Giuda regna

Ezechia (716-687), discepolo di Isaia, considerato il migliore re del Regno del Sud;

gli succederà il figlio Manasse (687-642) che invece è stato il peggiore di tutti i re di

Giuda, ha reintrodotto tutti i culti pagani e, durante il suo lungo regno, nessuno

poteva profetizzare. Dopo di lui c’è stato Amon e Giosia; quest’ultimo, incoraggiato

dalla profetessa Culda, ha continuato la riforma iniziata da Ezechia; ha distrutto tutti i

templi pagani, ma anche gli antichi santuari e ha concentrato il culto a Gerusalemme.

Sappiamo che questo periodo storico è molto complesso, per noi però non è

importante conoscerne bene la storia, ma capire come i profeti, con i loro interventi di

denuncia, di annuncio, oltre che di formazione e di difesa, abbiano guidato il

popolo.

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Il profeta Isaia ha consigliato e incoraggiato il re Ezechia durante il suo regno,

sostenendolo in tutte le buone imprese. Il profeta infatti, è uno degli ispiratori della

grande riforma avviata da Ezechia quando mette al bando le usanze idolatriche che

gli ebrei avevano adottato imitando i popoli vicini. Altro obiettivo della riforma

ispirata da Isaia è la critica alle forme cultuali puramente esteriori, ridotte quasi a

pratiche magiche. Condanna il digiuno e le ricche offerte fatte dal popolo abbiente

quando queste pratiche non sono seguite da una condotta di vita moralmente corretta.

Is 30,27-31,9

Gli oracoli di questi capitoli sono contro l’Assiria che sta minacciando

Gerusalemme: “Poiché alla voce del Signore tremerà l’Assiria, quando sarà

percossa con la verga (30,31) e contro l’alleanza con l’Egitto: “Guai a quanti

scendono in Egitto per cercare aiuto, senza guardare al Santo di Israele e senza

cercare il Signore” (31,1). Isaia parla agli Israeliti, denuncia l’infedeltà del popolo e

fa un richiamo forte al ritorno all’alleanza. “Ritornate, Israeliti, a colui al quale vi

siete profondamente ribellati. In quel giorno ognuno rigetterà i suoi idoli d’argento e

i suoi idoli d’oro, lavoro delle vostre mani peccatrici”(31,6). Ritornare al Signore

significa cambiare il cuore, confidare in Lui e non nell’uomo, agire con giustizia nelle

relazioni sociali, essere fedeli all’alleanza; il culto e i riti non devono essere sterili ma

fatti con amore e sincerità di cuore.

Is 29,1-24 Per voi ogni visione sarà come le parole di un libro sigillato: si dà a uno che

sappia leggere dicendogli: "Per favore, leggilo", ma quegli risponde: "Non posso,

perché è sigillato". Oppure si dà il libro a chi non sa leggere dicendogli: "Per favore,

leggilo", ma quegli risponde: "Non so leggere" (29,11-12). Questi due versetti ci

hanno molto colpito: gli israeliti non hanno gli strumenti per capire, il libro è

sigillato, gli occhi sono chiusi, c’è chi non sa leggere. Perché? Il popolo di Giuda è

cieco, non vuole vedere la sua realtà, non vuole ascoltare la voce di Isaia; oppure non

sa leggere perché i falsi profeti portano il popolo lontano da Dio.

Sennàcherib, re assiro, tenta di invadere Gerusalemme (Arièl è il nome

simbolico che indica Gerusalemme) ma non riesce nel suo intento; fattori esterni ed

interni glielo hanno impedito. Isaia ha visto nella sconfitta dell’Assiria un segno di

Dio: Gerusalemme non sarà abbandonata, il Signore la difenderà.

Is 30,8-26

Isaia rimprovera il popolo perché chiede aiuto all’Egitto li chiama “figli

bugiardi che non vogliono ascoltare la legge del Signore” (30,9). Isaia scrive un

testamento spirituale, si rivolge ai politici e denuncia il rifiuto di Israele ad ascoltare

la vera profezia. Il popolo non vuole sentire parlare di Dio: “Questo è un popolo

ribelle. Essi dicono ai veggenti: "Non abbiate visioni" e ai profeti: "Non fateci

profezie sincere, diteci cose piacevoli, profetateci illusioni! Scostatevi dalla retta via,

uscite dal sentiero, toglieteci dalla vista il Santo d'Israele" (30,9-11); vuole ascoltare

i falsi profeti, coloro che dicono che tutto andrà bene, non sa leggere i segni veri o

29

non li vuole cogliere, i politici si rivolgono ai veggenti perché non desiderano

conoscere la verità. Hanno scelto la perversione e le nazioni straniere: confidano

negli uomini e non in Dio “Ebbene questa colpa diventerà per voi come una breccia

che minaccia di crollare, che sporge su un alto muro, il cui crollo avviene in un

attimo, improvviso, e si infrange come un vaso di creta (30,13-14).

Nei versetti 18-26 Isaia invita il popolo a rivolgersi a Dio, dà un messaggio di

speranza e dice: “Se voi Israeliti tornerete ad avere fiducia nel Signore, lui vi

perdonerà, ascolterà il vostro grido, vi indicherà la strada da percorrere nella

giustizia”. Solo il Signore può guarire dalle ferite provocate dal peccato; il popolo

invece cerca benessere e fecondità lontano. E’ il relativismo moderno: ciò che ci

piace o ci è comodo lo facciamo diventare anche “buono” o lo chiamiamo “bene”: il

bene e il male sono condizionati dal nostro “pensare” o “sentire”, a volte non

vogliamo ascoltare e vedere la verità.

Al versetto 20, il Signore per la prima volta viene chiamato “maestro”.

Is 37,31-38,-8

Sennàcherib, ha conquistato tutte le città di Giuda. Solo Gerusalemme è stata

risparmiata ma è assediata. Ezechia viene insidiato da tutte le parti, è dubbioso, si

sente incapace di affrontare il re assiro, gli viene detto di non ascoltare il Signore ma

di accettare la protezione dell’Assiria. A differenza di Acaz invece, chiede aiuto e

consiglio a Isaia, poi sale al tempio e innalza una preghiera a YHWH. Il Signore

ascolta la sua preghiera, Gerusalemme è libera dall’assedio del re assiro. Durante il

regno di Ezechia è avvenuta una delle liberazioni più incredibili della storia di

Israele, cioè la distruzione miracolosa in una notte di 185.000 uomini di Sennàcherib

nel loro accampamento (Is 37,36). Dopo questa sconfitta Sennàcherib ritorna a

Ninive e mentre è nel suo tempio viene ucciso dai suoi 2 figli.

Ezechia ci fa capire che occorre trovare sicurezza soltanto nel Signore, infatti

quando l’Assiria minaccia Gerusalemme Ezechia non si rivolge a qualche potenza

straniera per avere aiuto, come hanno fatto i suoi predecessori, ma chiede consiglio al

profeta per avere invece l’aiuto di Dio (vv.36-39).

Nonostante Ezechia si renda conto che nessuna divinità in passato abbia

salvato un popolo dalla potenza assira, mostra totale fiducia in Dio, come Isaia

l’aveva ben consigliato di fare: “senza che il popolo muova un dito, il devastatore

ritornerà nella sua terra e là morirà” (37, 7).

È un appello a credere e a capire cosa significhi affidarsi totalmente in Dio e

confidare in Lui.

Credere significa anche fidarsi della parola profetica.

A volte noi seguiamo la moda, cerchiamo il male facendolo passare per bene, non

ascoltiamo i profeti moderni, neanche il Papa che ci richiama al progetto di Dio e alle

nostre radici.

Meditare la Parola e metterla in pratica, ci aiuta a sentire Dio vicino nella nostra

vita.

30

Attualizzando scopriamo oggi i segni di speranza, ecco alcuni esempi: Il 29 novembre 2012 lo Stato della Palestina è stato riconosciuto ufficialmente

come Paese Osservatore alle Nazioni Unite da 138 Stati, tra cui anche l’Italia.

Una mamma palestinese con la sua bimba ferita, arriva al Muro di Separazione

e con forza chiede ai soldati israeliani il lasciapassare per poter portare la sua

bimba in ospedale. I soldati accettano e la bimba viene salvata.

Il futuro per i giovani è un po’ scoraggiante, ho trovato conforto nelle parole

del cardinal Martini "Il bene zampilla da una sorgente più profonda di quella

del male ed è tale da sanare la radice stessa del male. Per cui possiamo

ancora guardarci intorno con gli occhi della speranza" (Carlo Maria Martini).

Il cammino di Avvento è proprio un crescere in questa fede come apertura del

cuore alla Parola del Signore e come decisa volontà di tradurla nella

concretezza di uno stile di vita.

Noi dobbiamo essere segno di speranza e di cambiamento! Magari partendo da

piccoli gesti, non dobbiamo aspettarci che tutto venga sempre dall’alto, oppure

che siano sempre gli altri ad iniziare.

E’ importante celebrare insieme nella comunità dei credenti, ma se la nostra

vita non cambia, il culto è sterile, non dà frutti, come abbiamo letto più volte

nei brani che abbiamo analizzato.

I principi di onestà, solidarietà, giustizia sociale ci devono sempre

accompagnare: prendere per mano qualcuno quando è in difficoltà vuol dire

trasmettere l’amore di Dio.

Missionarietà è testimoniare con le azioni. Il vangelo ci dice: “Gratuitamente

avete ricevuto, gratuitamente date”.

La corruzione della classe politica ci preoccupa, invece di essere al servizio

della gente, spesso pensa solo ai propri interessi. Ma nella fede, noi dobbiamo

sperare contro ogni speranza, da soli facciamo fatica ma insieme possiamo

essere testimoni di speranza, sapendo che il bene è più forte del male e noi

possiamo diffonderlo con le nostre povere forze e la nostra fede.

I profeti difendono, denunciano, formano, annunciano:

ci sono oggi i profeti? Abbiamo ricordato la bellissima lettera del sindaco di Lampedusa, Giusi

Nicolini, che denuncia l’Europa che tace di fronte a tante persone che muoiono in

mare durante un viaggio che avrebbe dovuto essere per loro l’inizio di una nuova

vita. Ci sono tanti profeti anche ai nostri giorni, purtroppo spesso rimangono

inascoltati.

Anche il nostro gruppo può essere profetico. Stiamo facendo un percorso di

formazione per poi essere pronte ad annunciare e testimoniare, lo consideriamo un

dono di Dio, un aiuto e uno sprone a cambiare mentalità, un modo di ragionare

diverso dal sentire comune, cercando di osservare la realtà con gli occhi di Dio.

31

Il versetto: “Dice il Signore Dio, il Santo d’Israele: Nella conversione e nella

calma sta la vostra salvezza, nell’abbandono confidente sta la vostra forza” (30,15),

può essere uno stile di vita per noi.

Conversione: cambiare rotta, guardare dalla parte giusta che è quella di Dio, da Dio

avremo calma e sicurezza: Lui non ci abbandona.

Gianna ci regala un Padre Nostro che è già azione

PADRE NOSTRO

CHE SEI IN OGNI LUOGO

IL TUO NOME E' SANTO

IL TUO REGNO VIENE

LA TUA VOLONTA' SI COMPIE

IN CIELO E IN TERRA

TU CI DONI IL PANE QUOTIDIANO

TU PERDONI I NOSTRI DEBITI

NEL MOMENTO CHE LI PERDONIAMO

AI NOSTRI DEBITORI

TU NON CI ABBANDONI NELLA

PROVA, NELLA TENTAZIONE

MA CI LIBERI DA OGNI MALE

P. Giovanni Vannucci Servo di Maria, amico di Davide Maria

Turoldo

Concludiamo con due pensieri che si assomigliano e ci spronano a non arrenderci:

Cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile, e all'improvviso vi sorprenderete a fare l'impossibile.

S. Francesco d'Assisi

E' cercando l'impossibile che l'uomo ha sempre realizzato il possibile. Coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che appariva loro come possibile, non hanno mai avanzato di un passo.

Michail Aleksandrovic Bakunin filosofo russo 1814/1876

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MEMORIA dell’ ottavo incontro 20 dicembre 2012

Gesù il messia atteso

Accoglienza

Preghiera: Is 61,1-9; Lc 4,16-21; Lc 7,18-23

Testi di studio:

gruppo Rut e Noemi: Gesù l’Emmanuele Mt 1,18-23 → Is 7,13-15

gruppo La Samaritana: Gesù il re Pastore Mt 2,1-12 → Mic 5,1-4

gruppo Maria di Magdala: Gesù il nuovo virgulto Mt 3,13-16 → Is 11,1-9

gruppo Agar: Gesù luce delle nazioni Mt 4,12-17 → Is 8,23-9,6

Dopo esserci salutate e ricordato le nostre amiche assenti, abbiamo iniziato citando

alcuni fatti di cronaca negativi accaduti nei giorni precedenti per cogliere le tenebre

che ci circondano; c’è solo l’imbarazzo della scelta, ne riportiamo due: la strage di

venti bambini e sette adulti in una scuola americana, ammazzati dalla mano di un

folle; una proposta di legge che consente l’apertura di mille sale da gioco in Italia.

Preghiera: Is 61,1-9 → Lc 4,16-21 → Lc 7,18-23

In questo incontro abbiamo voluto fare l’esperienza dell’ascolto della Parola, perché

nella comunità, la Parola proclamata con fede produce fede in chi l’ascolta e,

ciascuna di noi, può venire toccata in modo speciale da questo annuncio.

Dopo una una bella preghiera sul Natale abbiamo ascoltato in silenzio i brani

proposti. Nel testo di Isaia c’è forte il desiderio di rompere con il passato, la voglia di

cercare qualcosa di nuovo e soprattutto di qualcuno che porti giustizia e libertà.

L’evangelista Luca (4,18-19) riporta la lettura del libro di Isaia fatta da Gesù nella

sinagoga di Nazareth: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha

consacrato con l’unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto

messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per

mettere in libertà gli oppressi, e predicare una anno di grazia del Signore.” (Is 61,1).

Gesù dicendo: “Oggi si è adempiuta questa scrittura che voi avete udita con i vostri

orecchi”, annuncia che il Messia atteso è lui!

In Luca 7,18-23 è Giovanni il Battista che vuole sapere da Gesù se è lui il Messia e

Gesù risponde: “Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi

riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i

morti risuscitano, ai poveri è annunciata la buona notizia. E beato è colui che non

trova in me motivo di scandalo!”.

La testimonianza di Gesù non è solo parola ma anche opere!

33

Premessa: contesto che ci avvicina alla comunità di Matteo

Il vangelo di Matteo è stato scritto tra il 70 e l’80 dopo Cristo. Matteo scrive

per una comunità di cristiani venuti dal giudaismo che sta attraversando una grave

crisi.

I cristiani di Roma erano perseguitati dai romani proprio mentre gli ebrei zeloti della

Giudea si ribellavano ai romani e riuscivano a scacciarli. In seguito però Tito, figlio

di Vespasiano, riesce a riconquistare Gerusalemme (70 d.C.), gli ebrei zeloti si

rifugiano nella fortezza di Masada, dopo tre anni di assedio, per non cadere nelle

mani dei romani, si suicidano tutti. In questa guerra però i giudei cristiani

preferiscono non immischiarsi ritirandosi oltre il Giordano, per questo motivo

vengono tacciati di vigliaccheria e tradimento da parte degli ebrei fuggitivi. Ciò

genera una crisi profonda nella comunità di Matteo, formata in prevalenza da

cristiani provenienti dal giudaismo, il suo vangelo è stato scritto proprio per

risolvere tutti questi dubbi e incomprensioni.

La sua comunità è composta da gente del popolo, senza pretese e senza particolari

competenze.

È nel vangelo di Matteo che appare per la prima volta la parola “Ecclesia” che

identifica la comunità dei cristiani. Per Matteo è l’universalismo, perché il popolo di

Dio abbraccia nella stessa maniera i credenti di Israele, i credenti del mondo pagano

e i peccatori. Nell’ideale di Matteo la Chiesa deve essere anzitutto una comunità di

umili e di “piccoli”.

Mt 1,18-23 → Is 7,13-15: Gesù l’Emmanuele

“Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato

Emmanuele, che significa Dio con noi” (Mt 1,23→ Is 7,14). La comunità di Matteo

riconosce l’adempimento di questa profezia: il Messia che tutti stavano aspettando è

arrivato. L’attesa è finita, la speranza rinasce. Maria e Giuseppe ci insegnano ad

avere sempre fiducia, a dire il nostro sì come hanno fatto loro, ad accogliere Gesù nei

nostri cuori; peccato che non sempre riusciamo a riconoscerlo e a sentirlo vicino! Le

nostre comunità dovrebbero riscoprire Gesù, l’Emmanuele, il Dio con noi, anche con

piccoli gesti di aiuto, di correzione fraterna, di amore reciproco, di perdono, per

testimoniare la Sua presenza in mezzo a noi.

Mt 2,1-12 → Mic 5,1-4: Gesù il re Pastore

Matteo ci narra la visita dei Magi e riporta la profezia del profeta Michea: “E

tu Betlemme di Efrata così piccola per essere fra i capoluoghi di Giuda, da te mi

uscirà colui che deve essere il dominatore di Israele” (Mic 5,1). I Magi, seguendo la

stella, arrivano a Gerusalemme, e chiedono: “Dov’è il re dei Giudei che è nato?”

Erode, i sommi sacerdoti, gli scribi, conoscendo le scritture, mandano i Magi a

Betlemme, ma loro rimangono turbati, non si muovono, non vogliono riconoscere la

nascita del re dei Giudei, non vanno a cercarlo. I Magi invece che sono pagani,

seguono la stella, provano una grandissima gioia, e si prostrano ad adorare il

34

Bambino. La stella che guida i Magi, può essere per noi un simbolo per alzare gli

occhi verso il cielo e guardare a Dio.

La nostra stella è il Vangelo, attraverso il quale arriviamo a Gesù, il re Pastore, il

re umile che pasce il suo gregge. “Egli starà là e pascerà con la forza del Signore, con la maestà del nome del Signore

suo Dio” (Mic 5,3).

Gesù non nasce in una grande città, in un bel palazzo, ma in un piccolo villaggio

sconosciuto, in una capanna, nasce da Maria, una ragazza umile ed è stato subito

accolto dai pastori, dai ‘piccoli’ mentre ‘i grandi’, il re e i sommi sacerdoti hanno

timore di un bambino, forse per paura di perdere il potere non lo vogliono accogliere

come il Messia atteso. I sentimenti contrastanti che emergono sono: la grande gioia

dei Magi e dei pastori, e il timore dei potenti. Il regno di Dio è universale, abbraccia

tutti, nessuno escluso ed è rivolto soprattutto ai poveri. I Magi tornano al loro paese

‘per un'altra strada’; questo può significare anche per noi il cambio di rotta, per

seguire Gesù bisogna intraprendere un nuovo cammino, una strada diversa.

Per rispondere a qualche domanda:

Vedere più giustizia nel mondo: questa deve essere la nostra speranza e il

nostro desiderio più grande! Ciò può accadere se partiamo da noi stesse,

mettendoci tutto il nostro impegno, la nostra volontà, i nostri sforzi, contando

però sempre nella fede in Gesù: da sole non potremmo fare nulla e ci

lasceremmo prendere dallo sfiducia e dallo smarrimento, ma insieme nella

comunità e con Lui tutto diventa possibile.

La fede nella nostra vita è fondamentale, per dare un giudizio di verità a tutto

quello che succede nel mondo. E’ guardando a Gesù che, nonostante tutto,

ritroviamo la speranza. I cristiani dovrebbero essere uomini di speranza e

avere sempre la certezza che il bene vincerà sul male.

Gesù e il suo vangelo sono il nostro sostegno. Abbiamo bisogno di lui in ogni

momento, è lui che ci consola, ci difende, ci aiuta. Le situazioni difficili o

dolorose non sempre possono essere modificate ma con Gesù, le viviamo in

modo diverso perché abbiamo la certezza di non essere sole ad affrontare le

difficoltà, è lui che ci dona forza e coraggio.

Dubbi, domande e speranze hanno sempre fatto parte della nostra umanità e ci

sono sempre stati, l’importante è non arrenderci e continuare nel cammino che

Gesù ci indica.

La comunità, lo stare insieme ci rende più forti e la testimonianza che ci viene

da chi condivide con noi la fede in Gesù, ci sprona e ci aiuta a fare sempre

meglio.

35

Mt 3,13-16 → Is 11,1-9: Gesù il nuovo virgulto

Gesù, dopo il Battesimo, è colmato di Spirito Santo che si manifesta sotto

forma di colomba, ed è rivelato come figlio di Dio dalla luce e dalla voce del Padre

che lo indica.

Per Matteo è il Messia tanto atteso da generazioni, è il compimento delle scritture

dell’Antico Testamento che parlavano e speravano in un “re” ideale che avrebbe

portato la salvezza: una nuova giustizia, una nuova legge che completava l’antica e

una nuova vita.

Anche Isaia parla di un germoglio che sarebbe spuntato dal tronco inaridito

dal peccato e dall’infedeltà della dinastia davidica. Un nuovo re, colmo di spirito

profetico, che avrebbe portato una nuova realtà, dove regna la giustizia sul male, sulla

violenza, sulla sopraffazione e la pace anche tra gli animali che in natura sono nemici

tra loro, per arrivare fino al serpente, simbolo della prima colpa. Una nuova realtà “la

pace messianica” che è armonia tra uomo e natura, tra uomo e uomo perché con il

perdono del peccato, la riconciliazione con Dio e la giustizia tra gli uomini, c’è pace.

Risposte

La comunità di Matteo riconosce in Gesù il Messia, ora le profezie

dell’Antico Testamento diventavano chiare, in Gesù si sono realizzate! Gli

insegnamenti di Gesù, venivano ricordati nelle occasioni concrete della vita della

comunità rendendoli attuali ed efficaci.

Nel battesimo di Gesù, lo scambio delle frasi tra Gesù e Giovanni che non troviamo

negli altri Vangeli e non si sa se veramente siano state dette, sono però servite alla

comunità di Matteo per capire la totale sottomissione di Gesù, alla volontà del

Padre, questo segno di penitenza l’ha reso vicino a tutti gli altri ebrei. È stato anche

necessario riconoscere l’importanza del battesimo di Giovanni e della sua profezia.

Mt 4,12-17 → Is 8,23-9,6: Gesù luce delle nazioni In questo brano del Vangelo si evidenziano tre fattori importanti:

1. Giovanni Battista viene arrestato e Gesù inizia la sua predicazione. E’ già una

prefigurazione della sorte che attende lo stesso Gesù: come tutti i profeti e

come Giovanni anche Gesù subirà il martirio.

2. Gesù si ritira in Galilea e va ad abitare a Cafarnao. Questo agire costituisce un

fatto strano per la comunità religiosa di quel tempo, se non addirittura uno

scandalo. Matteo lo giustifica e lo spiega citando un passo di Isaia per esteso

(Is 8, 23-9,1): “Terra di Zabulon e terra di Neftali, sulla via del mare, al di là

del Giordano, in Galilea delle genti!” La comunità religiosa di quel tempo si

aspettava che l’annuncio partisse da Gerusalemme, invece parte da una regione

periferica generalmente disprezzata e ritenuta contaminata dal paganesimo. Ma

ciò che costituisce una sorpresa per tutti, per Matteo invece è il compimento di

un’antica profezia, il segno rivelatore del messianismo di Gesù: un

messianismo universale che rompe con decisione ogni forma di

particolarismo.

36

L’annuncio di Gesù è riassunto da Matteo con l’arrivo del Regno: “il regno dei cieli è

vicino, convertitevi e credete al Vangelo!”

3. L’episodio di questo passo è collocato sulle rive del lago dove Gesù stava

camminando e dove gli uomini erano intenti al loro lavoro. L’appello di Dio

raggiunge gli uomini nel loro ambiente ordinario, cioè sul loro posto di lavoro.

Non c’è nessuna cornice “sacra” per la chiamata dei discepoli, ma lo scenario

del lago e lo sfondo della dura vita quotidiana.

È Gesù che chiama e sceglie i suoi discepoli. L’iniziativa è di Gesù e non dell’uomo

che si proclama discepolo, è Gesù che invita l’uomo a seguirlo “seguitemi”) e il

distacco dalla loro famiglia e comunità è drastico e immediato “e subito lasciarono

tutto e lo seguirono”.

Alla fine, per sintetizzare, abbiamo sottolineato alcuni punti importanti:

E’ Gesù la luce delle nazioni e non Gerusalemme.

La nostra risposta a Gesù deve essere immediata.

L’amore di Dio è per tutti gli uomini, anche per i peccatori.

Dio si trova negli umili.

Abbiamo sempre bisogno della comunità, da sole è molto più difficile.

Tutto il Vangelo di Matteo è costruito su diverse profezie: ha un genere letterario che

permette di leggere la venuta di Gesù, interpretandolo con il passato di salvezza del

popolo d'Israele.

I pastori sono persone semplici, disposte ad accogliere la novità, capaci di stupirsi

anche per la nascita di un bambino. Anche per noi come per i pastori, se accogliamo

l'annuncio degli angeli, cambia il senso di ogni singolo avvenimento e la forza

interiore con cui lo si vive.

Uomini e donne, della comunità di Matteo, che non si sono accontentati del già noto,

che sono stati invece capaci di mettersi in discussione, di lasciare le proprie sicurezze

e mettersi in cammino alla ricerca di quella verità che desse pieno senso alla loro

esistenza

Abbiamo concluso l’incontro ricordando dei fatti positivi, per riconoscere la luce che

rischiara le nostre tenebre. Ne sono stati raccontati molti riguardanti la solidarietà e

l’amore per il prossimo nella nostra comunità: molte belle iniziative della Caritas e

della San Vincenzo, il Centro di Ascolto, il progetto Gemma, l’aiuto concreto ai

nostri missionari.

Altri fatti: un imprenditore umbro che ha suddiviso gli utili della sua azienda con i

suoi operai. Progetti di recupero tra i carcerati. Altri progetti e microcrediti portati

avanti dalle donne nei paesi poveri dell’Africa, Asia e America Latina.

Il bene c’è ma si vede poco perché non viene pubblicizzato o non siamo capaci di

coglierlo: i nostri occhi sono ‘ciechi’ le nostre orecchie ‘sorde’.

Un vecchio detto afferma che “Fa più rumore un albero che cade che una foresta che

cresce”.

37

MEMORIA del nono incontro: 10 gennaio 2013

Il profeta Geremia solo contro tutti Il profeta interpreta i fatti della politica

Accoglienza

Preghiera: Ger 18,1-17

Testi di studio: Ger27,1-22

E’ stato bello ritrovarci e iniziare un nuovo anno insieme sempre più numerose:

abbiamo infatti nuove amiche! In questo incontro cercheremo di far conoscere anche

a loro il nostro metodo di lettura della Bibbia.

Ger 18,1-17

Geremia, e come lui tutti gli altri profeti, parla di Dio attraverso l’esperienza che lui

stesso vive.

In questo brano il Signore invita Geremia a scendere nella bottega del vasaio e questi

stava lavorando al tornio. “Ora, se si guastava il vaso che egli stava modellando

come capita con la creta in mano al vasaio, egli rifaceva con essa un altro vaso come

ai suoi occhi pareva giusto” (v.4). Geremia ha fatto per primo l’esperienza di essere

“creta” modellata dal Signore.

Nella nostra vita quale esperienza ci ha rimodellato?

A volte non accettiamo certe espressioni che troviamo nella Bibbia, ci

sembrano troppo forti come: “Mostrerò loro le spalle e non il volto nel giorno

della loro rovina” (v.17b), sappiamo però che è l’esperienza del popolo che fa

parlare il Signore così. Anche noi quando viviamo un’esperienza dolorosa

diciamo: “Il Signore si è dimenticato di me, mi ha voltato le spalle”, non

sentiamo il Signore vicino, è come se ci mostrasse le spalle. Sappiamo che

nella realtà, è la vita stessa che ci modella, nella fede però riconosciamo che

Dio cammina con noi, per questo possiamo sentirci creta nelle sue mani come

si è sentito il profeta.

Nella Bibbia troviamo anche parole che ci dicono esattamente il contrario, per

esempio il primo giorno dell’anno riceviamo una bella benedizione: “Ti benedica il

Signore e ti protegga, il Signore faccia brillare il suo volto su di te e ti sia propizio

(Nm 6,24-25), in questo caso è come se il Signore ci mostrasse il suo volto luminoso

e ci benedicesse.

Nella prima parte del brano, Geremia vive l’esperienza dell’argilla che viene

modellata e vede tutto quello che succede intorno in un contesto molto difficile. La

seconda parte è la fotografia di un popolo idolatra: è Dio che ci punisce e ci volta le

spalle o noi che voltiamo le spalle a Dio?

“Ora annuncia, dunque, agli uomini di Giuda e agli abitanti di Gerusalemme: Dice il

Signore: Ecco, sto preparando contro di voi una calamità, sto pensando un progetto

contro di voi. Su, abbandonate la vostra condotta perversa, migliorate le vostre

abitudini e le vostre azioni. Ma essi diranno: "È inutile, noi vogliamo seguire i nostri

38

progetti, ognuno di noi caparbiamente secondo il suo cuore malvagio" (Ger 18,11-

12).

Il triangolo

Nel nostro libretto di due anni fa “Dio e il suo popolo in cammino” (da pag. 15 a

pag. 18) è spiegato dettagliatamente il triangolo che oggi abbiamo esposto sul

cartellone.

In sintesi: perché il TESTO viene scritto?

1. Per raccontare la REALTA’ = PRE-TESTO, per questo ci chiediamo: qual è la

situazione?

2. Chi lo scrive? E’ la COMUNITA’ che si interroga = CON-TESTO

3. Quale risposta viene data? Quale progetto? Quale proposta? = TESTO

Al centro del triangolo c’è la Teologia del testo:

Ascoltare Dio oggi e riconoscerlo = Chi è Dio/Dove sta/Che cosa vuole da noi?

Il nostro stare insieme, approfondendo la Parola, ci aiuta a riconoscere Dio nella

nostra vita e a scoprire il suo progetto, per noi, per la nostra comunità, per la storia

dei nostri giorni.

La Parola diventa luce per il nostro cammino!

Riconoscere Dio ci obbliga a rispondere alla domanda: “Chi è Dio?”.

E’ un vasaio…un pastore…un maestro…un uomo crocifisso…un padre buono che ci

accoglie…il Signore degli eserciti? Noi possiamo aver fatto tutte queste esperienze e

altre ancora: Dio ha perciò tutti i nostri volti perché ognuno di noi ha una propria

conoscenza di Dio.

E’ nell’esperienza che facciamo che “vediamo” Dio:

lo riconosciamo presente o assente nella nostra vita!

Leggere e approfondire la Parola insieme ci aiuta a scoprire dov’è Dio e che cosa

vuole da noi. Possiamo dire che siamo la comunità che si interroga, come il popolo e

le comunità che incontriamo nei vari brani biblici, si interrogavano sulle esperienze

che stavano vivendo e si domandavano: “dov’è Dio in questa situazione?”

Si parte sempre dalla realtà che si sta vivendo: la nostra o la realtà che emerge e che

viene raccontata nel testo.

Che situazione c’era al tempo di Geremia?

Che situazione politica abbiamo oggi?

Al tempo di Geremia, come ai nostri giorni, quali sono i veri profeti e quali i

falsi?

È molto difficile distinguere gli uni dagli altri, soprattutto in politica; situazione

attualissima in questo periodo di elezioni imminenti: scegliere la persona giusta e

capire chi veramente vuole il bene della nazione è sicuramente complicato!

Ascoltare Dio oggi e riconoscerlo nella Parola che è luce sul nostro cammino!

Il Card. Martini è un grande esempio per noi! Ha dedicato tutta la sua vita allo studio

della Parola, non solo sotto il profilo storico, teologico e pastorale, ma con uno studio

39

minuzioso dei testi antichi, scavando fino alle radici per portare a noi la Parola, ce

l’ha spezzata, per farci trovare in essa forza, fiducia e coraggio.

Nonostante questo, abbiamo ricordato come il C. M. Martini in diverse occasioni

abbia manifestato la sua debolezza e confessato la sua paura di morire o forse la

paura della sofferenza che porta alla morte.

A questo punto ci siamo dette che anche Gesù prima di morire si è rivolto al Padre

dicendo: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 15,34).

Anche Geremia si lamenta contro il Signore del suo stato di sofferenza che lo porta

vicino alla morte.

La morte è l’estremo atto di fiducia e di abbandono dell’uomo a Dio.

Prima di passare al secondo testo, leggiamo una bellissima preghiera ‘Messaggio di

Tenerezza’ scritta da un anonimo, che ci ha molto consolato perché dice che nei

momenti più dolorosi della nostra vita Dio ci porta in braccio.

Ger 27,1-22

Questa volta cerchiamo insieme di entrare nel testo per imparare ad analizzarlo.

Cosa possiamo cogliere da un brano?

E’ importante esaminarlo con calma dall’inizio, vedere bene la situazione, i vari

personaggi, porsi le domande: “chi sono i personaggi, che cosa dicono, che cosa

fanno, quali sentimenti esprimono, quali verbi, quali parole ricorrono con maggior

frequenza.”

È necessario fare tutti i passaggi, senza cercare di arrivare subito ad una conclusione.

Ricordiamo che la figura di Geremia è unica, il suo compito è quello di

denunciare gli errori del popolo, chiedere la sottomissione all’invasore, affrontare i

falsi profeti, annunciare al popolo l’esilio, le sofferenze, la morte. È in questa

situazione che Geremia viene chiamato da Dio e rispondendo alla chiamata vive

esperienze dolorose, tanto che viene definito l’uomo della sofferenza e della

solitudine.

Il Signore parla tramite Geremia e ordina: “Piegate il collo al giogo del re di

Babilonia, siate soggetti a lui e al suo popolo e conserverete la vita” (v. 12). È questo

il messaggio che arriva a Sedecìa, ultimo re di Giuda, e ai vari ambasciatori dei re

venuti a Gerusalemme per unirsi contro Nabucodónosor.

Sedecìa è un re vassallo nominato dal re di Babilonia, ma lui e i re delle nazioni

vicine, vogliono affrontare Nabucodónosor. Geremia ha un atteggiamento contrario,

non perché sia a favore di Nabucodónosor, che comunque nel testo viene chiamato

‘mio servo’, ma perché vuole salvare la vita al popolo.

La scelta è molto difficile, sottomettersi al re per salvare la vita e la terra oppure

affrontarlo e cercare di sconfiggerlo?

Il ricordo e le esperienze passate dicono che non riusciranno a vincere contro la

potenza di questo re!

Qual è il bene del popolo?

Per Geremia in quel momento era salvargli la vita: è questo il progetto di Dio per il

popolo!

40

Anche nel nostro attuale momento politico è difficile capire chi vuole veramente il

bene della gente!

Come al tempo di Geremia, anche oggi, non tutti la pensano allo stesso modo: invece

di dialogare i partiti politici si contrappongono. A questo punto una scelta diventa

difficile perché tutti difendono la propria idea, la espongono come fosse l’unica

soluzione giusta per poter risolvere i problemi legati alla nostra grave situazione

politica e sociale…

I capitoli 29 e 24 di Geremia danno un’altra visione del suo pensiero e invitano alla

speranza: Geremia pensa ad una nuova alleanza più piccola, fatta da un resto, da

coloro che credono nel Dio d’Israele.

Metodo di giudizio:

Qual è il progetto di Dio? Il popolo non deve morire, deve vivere!

La scelta è per la vita e non per la morte!

Non si devono fare scelte di comodo, ma di giustizia.

La libertà di Dio non ci porta a fare quello che vogliamo, magari seguire il suo

progetto ci porta sulla croce.

Suggerimenti per i gruppetti:

Preghiera iniziale e memoria dell’incontro precedente

Analisi del contesto e del testo aiutandosi anche con eventuali

sussidi e altri testi

Analizzare bene tutti i passaggi senza arrivare subito alla

conclusione

Porsi le domande: Chi? Dove? Perché? Quando? Quale comunità?

Per ultimo: dov’è Dio? Quale il suo volto? Quale progetto?

Attualizzazione e preghiera finale

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MEMORIA del decimo incontro: 24 gennaio 2013

Per riprendere il cammino

Confronto e revisione del cammino fatto pensando al futuro

Accoglienza: cerchiamo di raccontarci qualche bella

notizia!

Preghiera proposta: Is 55

All’inizio del nostro incontro abbiamo letto “Stare insieme” una bella pagina di S.

Agostino che rispecchia il nostro modo di stare insieme nel gruppo.

STARE INSIEME

Pregare insieme, ma anche chiacchierare, e ridere insieme;

scambiarsi piccoli servizi, leggere insieme libri interessanti,

trovarsi insieme cordialmente e seriamente allo stesso tempo,

essere talvolta in disaccordo ma senza animosità,

come capita spesso in sé stessi,

utilizzare questo disaccordo per meglio apprezzare l’accordo abituale.

Condividere e imparare gli uni dagli altri,

rattristarsi per gli assenti e rallegrarsi per chi arriva.

Di queste manifestazioni e di altre simili,

sbocciate dal cuore di quelli che si amano e si sollecitano a vicenda,

manifestazioni espresse con il volto,

la lingua, gli occhi, con gesti affettuosi,

farne la forza d’attrazione dove le anime si fondono

e di tante ne formano una sola.

Il nostro è un periodo in cui sentiamo o leggiamo solo cose negative e tutto sembra

crollare intorno a noi, abbiamo voluto andare controcorrente, ci siamo proposte di

cercare e raccontare fatti di cronaca positivi e belli, per rincuorarci e darci speranza.

Eccone alcuni:

un industriale ha suddiviso gli utili con i suoi operai;

alcune maestre di una scuola materna di Adro (BS) si sono autotassate per

garantire il pranzo e il bus a quindici bambini che non potevano pagare;

Rosi Canali, la giovane imprenditrice di Reggio Calabria, costretta a lasciare la

sua terra per un’aggressione della ‘ndrangheta, per la quale ha dovuto subire

diverse operazioni al volto e ad una gamba, è tornata dopo tre anni in Calabria,

ha fondato “Il Movimento Donne di San Luca e della Locride” che promuove

progetti sociali e laboratori artigianali in favore delle donne.

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Giuseppe Laras, per lungo tempo rabbino capo di Milano, il 23 gennaio

incontrandosi con il nostro Arcivescovo Angelo Scola, per una Lectio a due

voci sul tema: “Il ruolo della scrittura tra ebrei e cristiani” ha sottolineato che

‘il dialogo può partire solo dalla Bibbia patrimonio comune’. Questo ci ha

molto rallegrato, anche noi ci sentiamo parte di questa esperienza e ribadiamo

che la Bibbia ha creato dialogo e amicizia tra di noi.

Introduzione alla preghiera Is 55

La Parola di Dio è sempre nuova e parla a ciascuna di noi in modi diversi,

dipende da quello che stiamo vivendo. Il v. 9 ci dice che non sempre i nostri progetti

sono uguali a quelli di Dio; a volte non riusciamo a capire i fatti che ci accadono,

però sappiamo che Dio ci è vicino e ci ama, anche se il suo progetto è diverso da

quello che noi umanamente desideriamo in quel momento.

La salvezza è gratuita: “O voi tutti assetati venite all’acqua, chi non ha denaro venga

ugualmente” (v.1). Dobbiamo essere attente e ascoltare la Parola perché è un seme

sempre fecondo che germoglia e dà frutti: “Così sarà della parola uscita dalla mia

bocca non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza

aver compiuto ciò per cui l’ho mandata” (v.14).

Condivisione: Is 55

In questo testo ci sono molte parole di speranza che abbiamo bisogno di

sentirci dire per continuare con più forza il nostro cammino

Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza

aver irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, così sarà

della mia Parola” (v.10-11). La Parola nel corso degli anni ha mantenuto in

noi la sua promessa ‘è germogliata’, la sentiamo più nostra, ha cambiato il

nostro modo di progettare e di vivere la vita. “Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie

vie – oracolo del Signore. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie

sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri”(v.8-9).

Questi versetti ci aiutano a vedere sotto una luce nuova tante situazioni che

nella nostra vita e nel mondo sono immerse nel buio e non sempre

comprendiamo; non riusciamo a capire certe sofferenze, le guerre, le

persecuzioni e altro ancora. Isaia in questi due versetti ci consola dicendoci che

le vie del Signore non sono le nostre, ma dobbiamo sempre sperare e avere

fede perché Lui sa quello di cui noi abbiamo bisogno. A Lui niente è

impossibile. “Porgete l’orecchio e venite a me, ascoltate e voi vivrete” (v. 3): ascoltare e

seguire la Parola per vivere. Spesso non riusciamo a capire gli avvenimenti, ma

la Parola di Dio che è parola di vita e mai di morte, ci indica la via da

percorrere, anzi possiamo dire che tutto quello che ci conduce alla vita è Parola

di Dio.

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Ci siamo poi soffermate e ripercorso insieme il programma svolto, facendo una breve

panoramica del cammino fatto fin’ora:

o Abbiamo ricordato il primo incontro con don Antonio Niada, di come il suo

intervento ci ha aperto una grande finestra sull’esilio a Babilonia

o Con Tea Frigerio abbiamo riflettuto che, nella Storia di Israele, ci sono stati

diversi esili, quello di Babilonia è diventato il simbolo di tutti gli altri.

o Gli incontri successivi ci hanno portato a conoscere più da vicino alcune figure

di profeta: Amos, Osea, Isaia, Geremia.

La loro vocazione era legata all’esperienza della loro vita.

o Possiamo dire che i profeti, ciascuno secondo la propria personalità,

l’esperienza e il ruolo che occupavano all’interno della società in cui vivevano,

hanno cercato con le parole, la testimonianza e anche attraverso simboli di

convincere, consolare il popolo e denunciare chi si allontanava dal progetto di

Dio, per seguire progetti di morte e idolatri.

Abbiamo riletto alcuni punti del testo guida, scambiandoci poi le nostre impressioni

ed eventuali difficoltà incontrate. Ecco alcuni interventi:

In questo gruppo mi sono trovata molto bene, è positivo e importante

scambiarci e condividere le nostre esperienze. I nostri incontri rappresentano

oggi un bel modo di testimoniare e quello che viene approfondito nel gruppo ci

può aiutare nella vita (Emilia).

E’ da molto tempo che desideravo entrare in un gruppo biblico, perché la

Bibbia l’ho sempre letta; ho sempre amato stare in compagnia e qui mi trovo

molto bene. (Lina)

Quando vengo al gruppo esco che sono molto più sollevata. (Mariuccia)

Ho attraversato un momento terribile e devo ringraziare Maria Giulia che mi ha

invitata ad unirmi a voi, questo mi ha aiutato molto. (Carla)

Questo è il terzo anno che vengo al gruppo, anche se l’anno scorso per

problemi di salute non sono riuscita a frequentare sempre, il fatto di stare con

voi, condividere e ascoltare, per me è un grande piacere. (Anna B.)

Io, a Cormano, sono animatrice di due gruppi, seguiamo il metodo del card.

Martini legato alla lettura della Parola e alla vita. Sono gruppi che vanno avanti

da dodici o tredici anni ma le persone che partecipano ancora non hanno la

Bibbia, non si preparano, di solito usiamo delle fotocopie con il brano da

analizzare; qui invece è tutto molto diverso, tutte hanno la Bibbia, partecipano

e si preparano con molto interesse. (Virginia)

Abbiamo imparato ad usare e a leggere direttamente il testo dalla Bibbia, in

altri gruppi, con altre esperienze ci vengono dati regolarmente dei fogli

fotocopiati, già predisposti, da seguire. (Rosarita)

Leggendo insieme la Bibbia riusciamo ad approfondire e a capire meglio i

testi, a coglierne il significato che da sole avremmo difficoltà a comprendere.

E’ importante confrontarci anche nei gruppetti, riflettere insieme ci stimola a

continuare. (Anna G).

Sono due anni che frequento il Gruppo, quando mi è stata fatta la proposta ero

molto perplessa anche perché la Bibbia non l’avevo mai usata, invece leggendo

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insieme, preparandoci e confrontandoci anche nei gruppetti, riusciamo a

cogliere e dare un senso al testo, individualmente questo non sarebbe stato

possibile. Ho qualche difficoltà a trovare il filo storico. Questa esperienza è per

me molto positiva. (Rosanna G.)

Il nostro sussidio “Piccola guida alla Bibbia” di Gallazzi è semplice e chiaro,

se ne apprezza di più il suo valore rileggendo le parti interessate dopo che si è

fatto il percorso insieme, in questo modo si capisce molto di più il contesto

storico. Gallazzi ci aiuta a focalizzare il periodo che ci interessa e a trovare il

“filo” che lega tutta la storia del Popolo d’Israele. (Nadia)

Teniamo presente che la Bibbia non dà certezze storiche, la maggior parte dei

testi sono stati scritti moltissimi anni dopo l’avvenimento dei fatti, perciò sono

delle riletture e vogliono trasmettere prima di tutto l’esperienza di un popolo.

Anche noi riusciamo a vedere la presenza di Dio nei fatti che ci sono accaduti,

solo dopo, a volte dopo diversi anni, quando rivedendo o pensando a certi fatti

diciamo: come il salmista: “ se il Signore non fosse stato con noi…ci

avrebbero inghiottiti vivi” (Sal 124).

Il sesto sussidio “I popoli semitici” ci aiuta, sotto il profilo storico, a conoscere

la nascita e l’evoluzione di questi popoli. Il nostro testo “Piccola guida alla

Bibbia” da pag. 81 a pag 100, riassume in poche pagine, i più importanti

avvenimenti storici di tutto il nostro programma di quest’anno. (Mgiulia)

Ho sempre avuto un grande desiderio di frequentare un corso biblico e

incontrando sacerdoti ho sempre cercato di farlo presente, venendo qui ho

trovato quello che desideravo. Ora devo trovare il modo di arrivare agli altri,

anche a persone di famiglia che sono lontane dalla fede. Sappiamo che ‘il Suo

tempo non è il nostro tempo’, e che Dio interverrà: oggi abbiamo letto nella sua

Parola che ‘il seme gettato germoglia e l’acqua che scende disseta’, questo ci

consola. (Gina)

“Questo popolo si avvicina a me solo a parole mentre il suo cuore è lontano

da me” (Is 29,13), nonostante questo, il testo di Isaia continua dicendoci che,

con la sua sapienza, Dio continuerà a operare meraviglie e prodigi con questo

popolo. La Sua Parola in qualche modo porta sempre frutto. (Gianna)

Sono stata molto contenta di aver incontrato questo gruppo in un momento

molto tragico della mia vita. (Fiorella)

Il nostro gruppo ci ha “liberato” e unito. Abbiamo tutte il coraggio di

esprimere il nostro pensiero e di non sentirci giudicate, ci ascoltiamo e ci

confidiamo. (Mgiulia)

Questo modo di stare insieme lo apprezziamo molto di più perché siamo in una

fase della vita in cui abbiamo un’esperienza alle spalle, siamo più serene e

disponibili ad ascoltare con una predisposizione d’animo migliore perché

abbiamo raggiunto una certa maturità e questo ci aiuta a gustare e ad

apprezzare di più il percorso che stiamo facendo. (Luciana P.)

Alla fine le nostre voci si sono sovrapposte, alcune frasi colte qua e là vale la

pena di sottolinearle:

o I tempi del Signore non sono i nostri: quello che non si raccoglie adesso

può dare frutti in futuro.

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o Tutte siamo un po’ Marta e un po’ Maria…

o Sono stata indirizzata a questo gruppo da una persona che non crede.

o Ognuna testimonia la propria fede agli altri come è capace.

Per concludere mentre recitavamo il Padre nostro abbiamo voluto esprimere la

trasmissione della fede attraverso il gesto di bagnare le mani della compagna vicina.

L’acqua, simbolo evidente e molto forte nel brano di Isaia che abbiamo pregato,

passata così, di mano in mano tra di noi sottolinea che ‘quello che riceviamo

gratuitamente, gratuitamente dobbiamo dare agli altri’.

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MEMORIA del undicesimo incontro: 7 febbraio 2013

La distruzione di Gerusalemme: il dolore del popolo

Accoglienza: cerchiamo di raccontarci qualche bella

notizia!

Preghiera proposta: Ger 20,7-18

Testi di studio: Ger 52,1-34; Lam 5,1-22

Ci siamo accolte con il canto di Taizé “Magnificat anima mea Dominum” e con un

nastro multicolore che è stato donato a ciascuna di noi da Nara di Modena. I nastri

provengono dall’incontro che i gruppi di Lettura Popolare hanno avuto nell’Eremo

di Ronzano (BO) della Comunità dei Servi di Maria. Ogni nastro colorato

rappresenta simbolicamente ciascuna di noi ma anche ogni gruppo che si ritrova

sulla Parola: diventare trama e ordito per tessere insieme un tessuto variopinto e

testimoniare gioia, creatività e speranza.

Gioia ma anche dolore per chi in mezzo a noi soffre o per le amiche assenti. Nella

preghiera abbiamo voluto ricordare tutte le persone che subiscono ingiustizie, in

modo particolare la donna pakistana Asia Bibi in carcere da 1300 giorni solo perché

cristiana e la situazione tragica delle carceri italiane, come ha affermato anche il

nostro Presidente Napolitano in un suo recente intervento dopo la visita al carcere di

San Vittore.

Introduzione alla preghiera: Ger 20,7-18

Questo testo rispecchia veramente la sofferenza e il dramma interiore di Geremia. E’

una preghiera, un grido di dolore, c’è tutta la disperazione del profeta che ha deciso di

abbandonare il Signore perché si sente tradito da lui: non vuole più profetizzare per la

situazione che sta vivendo. E' un pianto struggente, drammatico perché il popolo si fa

beffe di lui: non crede alle sue parole e alle sue profezie; tutti gli sono ostili, anche i

suoi più cari amici vogliono vederlo cadere in disgrazia. Geremia non solo perde la

speranza nel futuro ma si sente abbandonato da Dio stesso, dubita, è provato nella sua

fede perché il Signore non gli dà risposta ed è talmente struggente il suo dolore da

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desiderare di non essere mai nato: “Maledetto il giorno in cui nacqui. Il giorno in cui

mia madre mi diede alla luce perché non mi fece morire nel grembo? Mia madre

sarebbe stata la mia tomba e il suo grembo gravido per sempre”.

In questo brano Geremia rivela il suo forte dramma interiore: da una parte non vuole

più pensare al Signore ma dall'altra non può rinunciare all'amore che sente per lui.

Condivisione dopo la lettura del testo: Geremia è la figura di Gesù. Anche Lui nell’orto degli ulivi dice al Padre:

“Perché mi hai abbandonato?”

La crisi di Geremia può riguardare ciascuno di noi, ma soprattutto coloro che

accettano la parola del Signore e poi si ritrovano delusi e si sentono

abbandonati da Lui.

Questo testo si potrebbe attribuire anche a tutti coloro che nella cristianità, ma

anche in ogni altra religione, si fanno portavoce o attuano progetti di giustizia,

di solidarietà e di pace: l’indifferenza, la solitudine, gli ostacoli che incontrano

li possono portare a sentirsi isolati, delusi, frustrati, proprio come Geremia.

Spesso, pregando i Salmi, troviamo questi sentimenti: un Dio amorevole che

opera la giustizia e ci conquista con la sua Parola, quando però il male avanza e

ci si sente schiacciati dal dolore e dalla morte, la preghiera diventa supplica ma

anche lamento perché ci si sente abbandonati da Dio.

Ger 52,1-34

Questo testo ci parla della caduta di Gerusalemme e della deportazione in Babilonia.

Ci sono stati molti esìli e deportazioni nella storia del popolo d’Israele, ricordiamo

la distruzione di Samaria che ha provocato la caduta del regno del Nord e la relativa

deportazione in Assiria; Tea ci aveva parlato delle diverse cause che possono

portare il popolo a lasciare la propria terra (vedi anche sussidio 8).

Perché la distruzione di Gerusalemme è così importante?

Giuda si sente ‘il popolo eletto’: possiede la terra, il tempio, l’alleanza, quindi

protetto da Dio e privilegiato rispetto a tutti gli altri popoli. Come però abbiamo già

constatato, lungo la sua storia non è stato sempre fedele al progetto di Dio, non ha

ascoltato e non ha creduto alla parola dei profeti.

Nel regno di Sedecìa, con Nabucodonosor, inizia l’assedio di Gerusalemme: viene

scavato un fossato intorno alla città che impedisce alla gente di entrare e di uscire.

Per non morire di fame, gli abitanti riescono ad aprire una breccia nelle mura ed

escono per procurarsi il cibo: i soldati e il re fuggono, il re viene preso, i suoi figli

uccisi davanti a lui, poi Sedecìa accecato è deportato in Babilonia. Nel 597 insieme

al re, viene deportata la corte e i notabili; questi pensavano che il loro Dio li avrebbe

fatti ritornare in breve tempo, ma non avvenne così.

Dieci anni dopo, nel 587, con la distruzione totale di Gerusalemme e l’incendio del

tempio, avvenne la seconda deportazione, la quale pur essendo massiccia,

riguardava solo la gente della città.

Gli abitanti delle campagne e coloro che abitavano fuori dalla città, rimasero in

Giuda.

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Il popolo non capisce che cosa gli sta succedendo e si pone molte domande, si chiede

il perché, le risposte sono diverse: il primo gruppo pensa di poter tornare e

riconquistare la città, il secondo gruppo invece, che ha assistito a tutti quegli orrori e

alla devastazione di Gerusalemme, si interroga e incomincia a pensare che nulla

potrà essere più come prima, ritornerà ma sarà un popolo nuovo, con una terra

nuova.

Le ‘Lamentazioni’ raccolgono il dolore di chi è rimasto in mezzo alle rovine, ha visto

l’assedio, è desolato, disperato e si rivolge a Dio con queste preghiere di lamento e

di lutto.

Lam 5,1-22 Già abbiamo considerato come le Lamentazioni sono preghiere frutto di una forte

esperienza di dolore e di morte.

Le lamentazioni 1,2 e 4 sono lamenti funebri, la 3 è un lamento individuale e la 5 è

un lamento collettivo chiamato anche “Orazione di Geremia”.

Dopo aver letto il testo abbiamo analizzato e condiviso insieme le varie parti:

E’ una preghiera collettiva, un grido di dolore, un’implorazione, una supplica.

Negli ultimi versetti (v.19-22) si intravvede la speranza, ma anche all’inizio il

popolo spera: “Ricordati, Signore, di quanto ci è accaduto, guarda e considera il

nostro obbrobrio” (v.1). La preghiera continua con il ricordo di tutti gli orrori

vissuti e termina con queste parole: “Facci ritornare a te, Signore, e noi

ritorneremo; rinnova i nostri giorni come in antico, poiché non ci hai rigettati per

sempre, né senza limite sei sdegnato con noi” (v.21-22). Il popolo con speranza

chiede al Signore di riaccoglierlo perché solo con il suo aiuto ha la certezza di

rinascere come popolo nuovo.

“Con un giogo sul collo siamo perseguitati, siamo sfiniti, non c’è per noi riposo

(v.5)” Questo versetto ci ha fatto pensare alla persecuzione che vive sempre il

popolo ebreo. Ci ha ricordato immediatamente la Shoah che gli ebrei hanno subìto

ed è la stessa che, nel corso della storia, sono costretti a sopportare. Anche oggi ci

sono nuove, ricorrenti e tremende Shoah che coinvolgono popolazioni in tutte le

parti del pianeta a volte nell’indifferenza della comunità internazionale.

La grandezza del popolo d’Israele è la capacità di autocritica, quella di non

addossare la colpa alle nazioni vicine, ma di ricercarla nelle proprie azioni: “I

nostri padri peccarono e non sono più, noi portiamo la pena delle loro

iniquità”(v.7) anche nel v.16 si dice: “E’ caduta la corona dalla nostra testa; guai

a noi perché abbiamo peccato”. E’ partendo da questa autocritica che il popolo

trova la forza di rinascere e di ricostruire l’antica alleanza: invocando Dio,

chiedendo perdono, facendo memoria ma anche ascoltando la voce dei profeti.

La speranza parte sempre dal “resto” del popolo.

In Giuda sono rimaste le persone più umili e semplici: contadini e vignaioli.

Il popolo ha bisogno di Dio ma anche Dio non vuole rompere l’alleanza con il suo

popolo.

Nel v. 7 “I nostri padri peccarono e non sono più, noi portiamo la pena delle loro

iniquità” c’è la ‘tesi della retribuzione’, le colpe dei padri ricadono sui figli, ma

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anche i figli riconoscono le loro colpe. La tesi della retribuzione c’è sia nel bene

sia nel male: ‘Se noi ritorniamo, tu o Signore ci aiuterai ancora’.

Analizziamo poi il testo versetto per versetto, per capire meglio quali sono le persone,

le circostanze, i luoghi in cui avviene questo dramma. E’ bene ‘scavare’ per arrivare a

far emergere tutte le situazioni, altrimenti possiamo cogliere solo l’aspetto generale e

non quello particolare. Sono emersi i drammi che le guerre portano: tanti orfani,

madri vedove senza sostegno, i padri vengono uccisi, gli è stato portato via tutto, non

hanno più niente, devono pagare persino la loro acqua, sono sfiniti, non hanno riposo,

si sentono oppressi anche dalle colpe dei loro padri.

“Schiavi comandano su di noi, non c’è chi ci liberi dalle loro mani” (v.8): ci siamo

soffermate su questo versetto molto attuale, per sottolineare, come a volte, chi è

schiavo avendone l’opportunità, opprime ancora di più chi è schiavo come lui.

Quando si ha un po’ di potere ci si sente in diritto di esercitarlo sui più deboli, questo

accade anche ai nostri giorni: usare del proprio ruolo per fare violenza sugli altri, lo

sentiamo nei fatti di cronaca.

Continuando l’analisi del testo, notiamo altri obbrobri: per procurarsi il pane si

rischia di essere uccisi, le donne stuprate, tutti sono coinvolti, i giovani, i ragazzi, gli

anziani, nessuno può più vivere come prima, è la fine della comunità, la città si è

spenta, il monte Sion è desolato, in tutta la città e dove c’era il tempio, scorrazzano

animali selvatici. Sembra tutto finito, c’è solo disperazione; ma il popolo vuole

riprendersi e ritorna a supplicare il Signore per rigenerarsi e ricominciare.

Il ver. 9 “A rischio della nostra vita ci procuriamo il pane, minacciati dalla spada del

deserto” rende attuale la notizia di questi giorni che racconta come un centinaio di

siriani in fuga con donne e bambini, sono costretti a vivere nelle grotte del Darkus:

non hanno acqua, luce, medicine, solo i cristiani del vicino villaggio Yakubieh danno

loro il cibo.

Ci siamo poi raccontate alcuni fatti positivi: in America il bambino rimasto sette

giorni nelle mani di uno squilibrato è stato salvato. Un politico ha messo a

disposizione la sua auto blu. In Spagna un maratoneta ha rallentato la sua corsa per

far passare davanti il secondo perché, avendo sostenuto il primo posto per tutto il

percorso meritava la vittoria… e altri fatti ancora ci hanno rallegrato e consolato.

Abbiamo terminato con un ringraziamento al Signore, recitando insieme il Padre

Nostro.

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MEMORIA del dodicesimo incontro: 21 febbraio 2013

Geremia e il popolo: sofferenza e speranza

Preghiera: Salmo 126 proposto dal gruppo “Maria di Magdala”.

Testi di studio: Ger 36,1-32; Ger 30,1-22; Ger 31,23-34

Accoglienza:

La luce è il segno principale che sempre ci accompagna: è la Parola che diventa

piano piano luce ai nostri passi. Questa volta abbiamo aggiunto anche un cappio:

l’idea ci è stata data da un manifestante greco che ha girato per le vie di Atene con

un cappio al collo segno della grande sofferenza e oppressione che il popolo greco

sta vivendo. Ci è sembrato un moderno Geremia…lui girava per le strade di

Gerusalemme con un giogo sulle spalle.

Belle notizie: Latifa è la madre di Imad uno dei tre paracadudisti magrebini uccisi a

Tolosa, nello scorso maggio, dal terrorista Mohamed Merah, che si è poi

accanito contro bambini di una scuola ebraica: bilancio sette morti. Latifa,

scoprendo che il terrorista era diventato un eroe tra i ragazzi, va nelle scuole

raccontando la sua testimonianza e gridando con forza che “l’odio crea solo

odio”. Il suo scopo è che, tra i ragazzi islamici residenti in Francia, non

nascano altri terroristi come Mohamed Merah.

Nella Baraccopoli “Kibera”, uno dei quartieri più poveri e violenti di

Nairobi, da 5 anni si stampa un giornale mensile, in lingua inglese e in lingua

swahili, che racconta le buone notizie che succedono in particolare nella

baraccopoli. Se ne stampano 3000 copie, il fondatore e direttore Douglas

Namale e tutti i redattori sono volontari.

Preghiera: salmo 126 (125)

In questo salmo si può cogliere l’esperienza che il popolo d’Israele ha percorso lungo

tutta la sua storia: vengono rappresentati simbolicamente i momenti di aridità, dolore

e pianto, la nostalgia della patria lontana, l’attesa nel desiderio di tempi migliori. Il

salmo diventa allora un grido di esultanza: Dio si manifesta asciuga le lacrime e

concede la libertà.

È considerato il canto dei rimpatriati dall’esilio di Babilonia, esprime la gioia del

ritorno. Gli esuli ricordano ciò che il Signore ha fatto ai loro padri e riconoscono

quello che sta facendo per loro.

La gioia del ritorno, il salmista la esprime con due immagini legate al paesaggio della

Palestina: il torrente del Negheb solitamente è secco e arido, in primavera però le

piogge abbondanti portano acqua rendendo fertile la regione. L’altra immagine è

legata al lavoro dei campi, il seminare e il raccogliere: il lavoro della semina è

faticoso a volte fino alle lacrime, come viene descritto nel salmo, ma al momento del

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raccolto la gioia è così grande che ci si dimentica anche dei disagi e delle lacrime

versate.

Ger 36,1-32

Premessa: Nel 605 Nabucodonosor impone il suo dominio su tutta la Palestina, nel

597 assedia Gerusalemme e deporta una parte dei suoi abitanti; nel 587 la città è

definitivamente conquistata, il tempio incendiato e avviene la seconda deportazione.

E’ in questo periodo che Geremia vive la sua storia drammatica di profeta,

annunciando oracoli, predicando minacce e sciagure e predicendo la rovina ai re che

si sono succeduti. Le autorità non accettano il suo messaggio, preferiscono ascoltare i

falsi profeti che annunciano cose diverse. Geremia vive una vita di vera e propria

persecuzione, è attaccato dalla sua stessa famiglia e dall’intera popolazione di Anatot

(cfr Ger 11,21-23). Sotto il regno di Ioiakim, Geremia condanna il falso culto che si

svolge nel tempio e ne predice la distruzione, per questo viene condannato a morte.

Analisi del testo:

Geremia è imprigionato, non può predicare e andare al tempio, incarica il suo

segretario e amico devoto Baruc, di divulgare il suo messaggio. Baruc, benché

appartenesse ad una nobile famiglia, sceglie la compagnia del profeta prigioniero,

odiato e disprezzato, piuttosto di quella dei principi a cui era abituato. Scrive sotto

dettatura di Geremia, la Parola che Dio suggerisce, per poi leggerla, nonostante il

rischio che ciò comporta, nel giorno del grande digiuno davanti al popolo di Giuda

(vv 4-7). Michea, uno del popolo, si affretta ad informare i principi i quali a loro volta

convocano Baruc perché legga davanti a loro il contenuto del rotolo (vv 11-15).

Sentendo quelle parole tutti si spaventano e, data la serietà di ciò che sta scritto,

vanno a riferire tutto al re Ioiakim. Anche lui vuole conoscere il contenuto del rotolo

ma, man mano che è letto, per niente turbato, il re lo prende, lo tagliuzza e lo getta

nel fuoco, ordinando poi che Baruc e Geremia siano presi per essere incarcerati, “ma

il Signore li aveva nascosti” (vv 21-26).

E’ il modo insensato del re di sbarazzarsi del giudizio di Dio.

Il gesto di Ioiakim è stato però inutile perché il rotolo distrutto, per ordine di Dio,

viene sostituito da un altro rotolo, con l’aggiunta di parole simili a quelle scritte in

precedenza (v 32).

Quante persone disprezzano la Parola di Dio, anche se non imitano

necessariamente il gesto temerario di Ioiakim.

La Parola di Dio non può essere né incatenata né distrutta (cfr Mt 5,18; 24,34-35;

Mc 13,11; Lc 21, 33).

Ger 30,1-22

Con il capitolo 30 ha inizio il “Libro della consolazione”.

Il popolo è ancora in esilio ma ha un forte desiderio di ritornare: “Ecco, verranno giorni

- dice il Signore – nei quali cambierò la sorte del mio popolo, di Israele e di Giuda; li ricondurrò

nel paese che ho concesso ai loro padri e ne prenderanno possesso” (v.3). In questo versetto è

racchiusa tutta la speranza del popolo e la promessa di Dio di realizzarla ed è anche

espresso il desiderio di riunire Israele e Giuda, in un solo popolo.

51

Il brano continua con molte parole di speranza e consolazione per tutti: il giogo della

schiavitù verrà rotto e tolto dal collo, le catene saranno spezzate, il popolo vivrà

tranquillo e godrà la pace. La nostra analisi termina al v.22 che riconferma la grande

promessa di Dio: “Voi sarete il mio popolo e io sarò il vostro Dio”. Il testo non ha un ordine cronologico si riferisce infatti sia al periodo in cui il re

Giosia cerca di riconquistare Samaria e nel popolo rinasce la speranza che possano

ritornare i deportati in Assiria, sia al periodo dell’esilio in Babilonia.

Ger 31,23-34 - Analisi del testo

Vv 23-26 - Geremia in sogno sente queste parole del Signore: “Il Signore ti

benedica, o dimora di giustizia, monte santo. Vi abiteranno insieme Giuda e tutte le

sue città, agricoltori e allevatori di greggi”, al risveglio dice che il suo sonno gli è

parso ‘soave’. È l’annuncio della pace messianica (cfr Is 11): la dimora di giustizia e

il monte santo rappresentano Gerusalemme, simbolo di una città che accoglie tutti,

dove la pace dovrebbe essere vissuta e condivisa. Gli agricoltori e i pastori, in eterno

conflitto come ci ricorda l’episodio di Caino e Abele (cfr Gen 4), qui vivono in

armonia. Il sogno è dolce e ci riconduce al salmo che abbiamo pregato: “Quando il

Signore ricondusse i prigionieri di Sion ci sembrava di sognare (Sal 126,1). Il sogno

si potrà avverare perché dopo la caduta di Nabusodonosor, il re persiano Ciro,

permetterà alla gente in esilio di ritornare alle proprie terre.

Ci siamo chieste come mai spesso nella Bibbia si nomina il ‘Signore degli

eserciti’(cfr Ger 31,35). Ecco alcune delle nostre risposte: non è inteso come Signore

delle armi, ma come Signore del cielo e della terra, oppure Signore delle schiere

celesti. “El Shadday” è il Dio della montagna, delle altezze, è un antico nome

patriarcale (cfr Gen 17,1). Sappiamo che il popolo dà il nome a Dio secondo

l’esperienza che sta vivendo, se è in battaglia e vince è il Dio degli eserciti che lo

difende; il Dio dell’Esodo è YHWH, il Dio liberatore; il nome di Dio che Gesù ci ha

trasmesso è il più bello di tutti, ci dice che Dio è nostro Padre con sentimenti anche

materni, dunque Dio è anche madre.

Vv 27-28 - Il Signore veglia sempre sul suo Popolo: nei momenti in cui si

demolisce e si distrugge ma anche quando è il tempo di edificare e piantare, queste

parole non sono solo legate alla semina, al bestiame o alla terra, ma soprattutto

all’esperienza umana. La presenza di Dio rimane sempre sia nei momenti di buio sia

in quelli di rinascita.

Vv 29-30 - Il tema della retribuzione personale è stato già trattato nell’incontro

precedente. Geremia, come Ezechiele, si oppone al vecchio principio della

responsabilità collettiva, dà inizio ad un principio nuovo, quello di una responsabilità

‘personale’: ciascuno riceverà secondo le sue opere.

Vv. 31-34 – Il profeta ha il compito di annunciare una nuova alleanza. La

disgregazione è già avvenuta, soprattutto per coloro che sono andati in esilio e

prendono coscienza che l’alleanza è stata distrutta a causa dei loro peccati. La forza

del popolo è quella di riconoscere le proprie colpe e di ricominciare a sperare in

un’alleanza eterna e universale, come quella stabilita con Noè (cfr Gen 8,15-9,1-17).

La nuova alleanza va oltre quella della legge, è un’alleanza del cuore: “Porrò la mia

legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi il

52

mio popolo” (v. 33). San Paolo non vuole più circoncidere la carne ma il cuore (Rm

2,29).

Ricordiamo anche il profeta Osea che paragona l’amore di Dio per il suo popolo,

all’amore di un uomo per la sua donna: è l’amore misericordioso, viscerale di Dio, è

l’“Hesed” di cui ci parla per primo il profeta Osea.

Il popolo cresce e trova sempre dei nomi nuovi per il suo Dio: creatore, liberatore,

amorevole, misericordioso, cambia il volto dell’alleanza e Dio assume volti nuovi.

Prima della preghiera del Padre Nostro ci raccontiamo ancora altre belle notizie:

una grande azienda alimentare ha costruito un ospedale pediatrico per 36 bambini:

ci siamo dette che questa è sicuramente una bella notizia, ma sappiamo che è oramai

consuetudine per molte multinazionali usare, come immagine pubblicitaria, la

promozione di progetti educativi o assistenziali nei paesi in via di sviluppo.

L’azienda Morellato Termotecnica di Ghezzano (PI) nonostante fosse in crisi ha

rinunciato, per motivi etici ad un’importante commessa da parte della WAAS, che

tratta materiale bellico, perdendo quindi un proficuo guadagno.

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MEMORIA del tredicesimo incontro: 7 marzo 2013

Il profeta Ezechiele:

speranza per coloro che se ne sono andati

Preghiera: Salmo 45(46) proposta dal gruppo Rut e Noemi

Testi di studio: Ger 29,1-14 lettera di Geremia agli esiliati

Ez 37,1-14; Ez 36,22-28

Accoglienza

Luce e acqua: ecco i segni di questo nostro incontro.

Mentre accendiamo la luce che rappresenta la presenza di Dio tra noi,

ricordiamo le nostre amiche assenti.

L’acqua è l’elemento che troviamo nel brano di Ezechiele: “Vi aspergerò

con acqua pura e sarete purificati” (Ez 36,25), insieme richiamiamo alla

mente i brani che nella Bibbia ci parlano dell’acqua: la creazione, il

Battesimo di Gesù nel Giordano, l’acqua scaturita dalla roccia nel

deserto, il pozzo della Samaritana, il testo di Isaia 55 che abbiamo

pregato qualche tempo fa: “O voi tutti assetati venite all’acqua; chi non

ha denaro venga ugualmente” (v.1). L’acqua simbolicamente può

significare essere ‘assetati’ della Parola di Dio, ma principalmente è un

53

elemento concreto e indispensabile per la vita di tutti. In particolare le

popolazioni che vivono nel deserto o in terre aride sanno come l’acqua sia

un elemento vitale, senza di essa la vita sarebbe impossibile.

Preghiera: Salmo 45(46)

E’ un salmo bellissimo perché ci rassicura, ci dà speranza e ci dice che Dio

è sempre con noi.

In chiave storica il salmo si riferisce alla vittoria della città di

Gerusalemme contro l’esercito assiro nel 701, al tempo di Ezechia.

Dopo aver fatto risuonare nella preghiera alcuni versetti che ci consolano e

ci incoraggiano, notiamo che nel v.5 “Un fiume e i suoi ruscelli rallegrano

la città di Dio” si parla dell’acqua: qui l’acqua purifica e feconda la città

di Dio, portando abbondanza e gioia.

Ci soffermiamo poi sul v. 10 che rassicura come il “Dio con noi farà

cessare le guerre sino ai confini della terra, romperà gli archi e spezzerà

le lance, brucerà con il fuoco gli scudi”…

“Ma quando avverrà tutto questo?” - ci siamo dette - pensando a tutte le

guerre e ai conflitti che ci circondano!

Ecco alcune nostre considerazioni: alla fine dei tempi; qui si preannuncia

la pace messianica, quando ‘il lupo dimorerà con l’agnello…le lance

saranno trasformate in vomeri…’. Questo è il desiderio di sempre, di tutti,

è il desiderio della Gerusalemme celeste, quando tutte le guerre

cesseranno, i conflitti che esistono fin dalle origini del mondo finiranno e

dappertutto regnerà la pace. Anche se ciò non è ancora avvenuto,

dobbiamo continuare ad avere speranza e creare occasioni perché questo

accada; anche noi possiamo spezzare le catene, portare pace e giustizia.

A questo proposito, ricordiamo chi cerca in diversi modi di spezzare le

catene dell’odio.

Il 6 marzo 2013 si è celebrata la prima Giornata europea dei Giusti.

L’Europa ha stabilito una ricorrenza annuale per la memoria del

bene, cioè per ricordare quanti si sono impegnati a soccorrere i

perseguitati durante i genocidi, a difendere la dignità umana

calpestata nei sistemi totalitari. Grazie all’istituzione di questa

giornata da Milano a Praga, da Varsavia a Bruxelles, da San

Pietroburgo a Sarajevo si sono ricordati gli uomini che hanno

assunto una responsabilità personale di fronte ai genocidi e ai

54

totalitarismi. Anche a Lentate, nel parco delle Groane c’è il ‘Bosco

dei giusti’.

Nei ‘giusti’ c’è il desiderio di salvare anche una sola persona: è la

bontà dell’uomo per un altro uomo.

Le guerre finiscono se prima di tutto le facciamo cessare dentro di

noi.

Ricordiamo inoltre che il 3 marzo si è tenuta la Giornata mondiale

di preghiera ecumenica di sole donne: una sfida ecumenica che va

avanti da oltre 100 anni. Donne che si incontrano per pregare.

Il loro motto è «informarsi per pregare - pregare per agire», con la

scelta decisa di pregare insieme ed agire insieme, per rafforzare i

legami di comunione e di fraternità. In più di 180 nazioni del mondo

si è così riflettuto sul tema di quest’anno che è di scottante attualità:

“Ero forestiero e mi avete accolto”; anche in Italia, dal Nord al

Sud, si è registrata un’adesione maggiore all’iniziativa.

Un’altra buona notizia che riguarda una nostra amica: il fratello ha

subito un intervento chirurgico e tutto è andato bene.

Notizie storiche sul profeta Ezechiele

Ezechiele è un sacerdote del tempio di Gerusalemme, è stato

deportato a Babilonia nel 597 con la prima deportazione, quella delle

persone più importanti: il re con tutta la corte, gli anziani, i sacerdoti, i

notabili (come ci ricorda Geremia 29,1-13 nella “Lettera agli esiliati”,

testo che abbiamo analizzato nei gruppetti).

Ezechiele è stato inviato dal Signore per dare speranza e aiutare i

deportati. Era sposato, dopo nove anni di permanenza a Babilonia muore la

moglie, il Signore lo invita a non disperarsi per essere di esempio al

popolo che in guerra o in esilio ha subito molte morti, figli, mogli, mariti.

Ezechiele è una persona estremamente sensibile e creativa ed è stato un

aiuto immenso per gli esiliati che avevano perso tutto, è riuscito a

mantenere viva la tradizione in mezzo a loro, a ridare la speranza e in

particolare a far capire che il Signore non è rimasto a Gerusalemme nel

tempio, come loro credevano, ma è in esilio con loro, perché Dio non

abbandona mai il suo popolo.

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Ez 37,1-14 – Analisi del testo: Le ossa aride

Vv 1-2 “Il Signore mi portò fuori in spirito e mi depose nella

pianura che era piena di ossa” (v.1). Una valle piena di ossa inaridite

rappresenta Israele in esilio, è un ritratto del momento di scoraggiamento e

di desolazione in cui il popolo si trova, è senza speranza, non ha più

niente.

Vv 3-6 Solo il Signore può intervenire e per mezzo del profeta dice:

“Ossa inaridite udite la parola del Signore. Ecco io faccio entrare in voi

il mio spirito e rivivrete” (v 3-4). Ascoltate, udite abbiate fede nella mia

Parola, dice il Signore, e lo Spirito vi ridonerà speranza se voi crederete

che io sono l’unico vero Dio che può ridonare la vita in ogni momento e in

qualsiasi situazione.

Vv 7-8 Ezechiele ubbidisce al Signore e profetizza come gli è stato

ordinato. Il popolo comincia a prendere coscienza, il profeta per primo

vede che la Parola porta frutto perché quello che dice si realizza

Vv 9-10 Con il soffio dello Spirito il ‘resto’ del popolo riprende vita

e ha speranza di ritornare: è una ri-nascita a nuova vita. Il soffio dello

Spirito ci ricorda la creazione (Gn 2,7).

Vv 11-14 “Perciò profetizza e annunzia loro: Ecco, io apro i vostri

sepolcri, vi risuscito dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi riconduco nel

paese d’Israele (v 12). L’azione del profeta è proprio questa: fare

memoria che Dio salva. Ezechiele ripete l’annuncio per ricordare che

questa parola di speranza si è già realizzata prima con i loro padri ed è per

questo che si realizzerà ancora.

Dio è fedele perché, come in passato ha fatto uscire il suo popolo

dall’Egitto liberandolo dalla schiavitù, così anche ora può ridare vita alle

ossa inaridite. Ezechiele ci mostra come lo Spirito di Dio suscita vita là

dove tutto sembra solo morte.

Questo vale anche per noi oggi, non solo pensando alla risurrezione che

avverrà dopo la morte, ma se crediamo nella forza dello Spirito ‘che apre i

nostri sepolcri’, potremo ritrovare ogni giorno la forza di rinascere a nuova

vita.

Quando Gesù è morto, le donne hanno trovato il sepolcro vuoto e l’Angelo

disse loro: “Non è qui. E’ risorto, come aveva detto” (Mt 28,5).

“Il mattino di Pasqua, il segno che farà credere le donne, che

hanno visto il sepolcro vuoto ma ne hanno ricavato solo timore e

paura, è evocato da un verbo sulla bocca dell’angelo:

“ricordatevi delle sue parole!” (cfrLc24,6). Il ricordo delle sue

56

parole riapre il passato, lo risveglia, lo ricrea, lo fa vivo. Ed esse

si ricordarono delle sue parole assicura il vangelo (cfr Lc24,8).

La fede sgorga dal ricordo.

Le donne credono perché ricordano. Non solo la parola ma il

ricordo della parola le fa credere. (da “Sulla soglia della vita”

di E. Ronchi)

Ez 36,22-28

“Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati; vi darò un cuore nuovo,

metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e

vi darò un cuore di carne” (v 25-26).

La pietra è dura, invece un cuore di carne palpita, si lascia plasmare, per

questo può cambiare il nostro pensiero, il nostro modo di agire, perché è

qualcosa che nasce dal di dentro e non dall’esterno, è il cuore che opera e

non la legge scritta sulla pietra. Un popolo che accoglie lo Spirito ha

voglia di agire e di reagire, si lascia alle spalle il proprio peccato e vuole

rinnovarsi.

Sia in Geremia (31,31-34) che nel testo di Ezechiele si ricorda che la

nuova legge o la nuova alleanza è direttamente scritta nel cuore.

Forse c’è una differenza tra Ezechiele e il testo di Geremia che abbiamo

confrontato:

Ezechiele dice: “Abiterete nella terra che io diedi ai vostri padri; voi

sarete il mio popolo e io sarò il vostro Dio” (Ez 36,8) riferendosi

soprattutto al popolo di’Israele.

Geremia invece dice:“Porrò la mia legge nel loro animo e la scriverò sul

loro cuore. Non dovranno più istruirsi l’un l’altro, dicendo: “Conoscete il

Signore”, perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande

(Ger 31,34). Geremia dà una speranza a tutti, l’alleanza di Dio qui è

universale.

Per concludere, il Padre Nostro recitato insieme ci invita a rinnovare la

nostra fiducia in Dio Padre che ci ama.

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MEMORIA del quattordicesimo incontro: 21 marzo 2013

Il Servo di YHWH: profezia e servizio

● Preghiera: Salmo 22(21) Sofferenze e speranze di un giusto

● Testi di studio: Is 52,13-53,12 – “Quarto canto del servo”

Accoglienza Il nostro saluto oggi è stato molto più festoso del solito: il 19 marzo è stato eletto

Papa Francesco.

Le sue parole ci hanno toccato il cuore: ha parlato di tenerezza, di bontà, di essere

custodi gli uni degli altri e soprattutto di noi stessi. La sua semplicità, il suo modo di

salutare e di avvicinare le persone, la sua attenzione speciale per i poveri, ci hanno

commosso ed entusiasmato. Abbiamo ringraziato insieme il Signore.

Un altro motivo di gioia per tutte noi è stato il ritorno di una nostra amica che

mancava da molto tempo per motivi di salute. La sua commozione ci ha coinvolto ed

emozionato.

Preghiera: Salmo 22(21) Sofferenze e speranze di un giusto Abbiamo scelto questo salmo perché è legato al “Quarto canto del servo” di Isaia.

Ci aiuta anche a riflettere sui riti che si svolgeranno la prossima settimana: la

Settimana Santa.

Il salmo inizia con le stesse parole che Gesù rivolge al Padre quando è sulla Croce:

“Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Anche altri versetti ricordano la

passione di Gesù. E’ una preghiera, un lamento di un giusto che soffre e si sente

abbandonato da tutti anche da Dio, ma non perde mai la speranza. Viene schernito,

umiliato, deriso, maltrattato, ma lui non si ribella, continua a confidare nell’aiuto del

Signore. La sua sofferenza produrrà nuova vita. Infatti il salmo termina così: “E io

vivrò per lui, lo servirà la mia discendenza. Si parlerà del Signore alla generazione che viene;

annunzieranno la sua giustizia, al popolo che nascerà diranno: Ecco l’opera del Signore”. (vv

30b-32).

Rispondiamo alle domande per identificare oggi il servo sofferente

Quali sono le cause che producono sofferenze di massa? Le persecuzioni religiose in varie parti del mondo, la povertà, la mancanza di

lavoro e di certezze, la paura per il futuro, si decide di non avere figli perché

manca la speranza, anche da noi molte persone non riescono più a sostenere le

loro famiglie.

Ascesa di poteri forti che diventano forme “dittatoriali” con conseguenze gravi

per i più deboli; chi non si sottomette al regime viene perseguitato fino alla

morte. Tutte le dittature producono sempre grandi sofferenze. Ricordiamo la

shoah degli ebrei e le varie persecuzioni razziali e etniche nel mondo, anche

quelle dei nostri giorni. Il male viene da diverse parti, un esempio: Israele ha

subito lo sterminio ora lui stesso diventa oppressore del popolo palestinese.

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Ricordiamo alcune situazioni drammatiche:

o la guerra fratricida che si sta combattendo in Siria; tutte le dittature che

ancora esistono nel mondo, in Africa in modo particolare.

o in Sud-Africa i coloni ‘bianchi’ hanno rovinato tutto. Pur avendo un

sottosuolo molto ricco d’oro e pietre preziose, la gente è poverissima e

sfruttata, molti dormono per terra, non sanno come sopravvivere per lo

strapotere dei bianchi che si arricchiscono esportando queste materie prime

e lasciando nella miseria la gente del posto. Il popolo incomincia a

ribellarsi, la criminalità continua ad aumentare soprattutto nelle grandi

città, come Johannesburg sempre pattugliata da militari.

o nei Paesi dove la povertà è molto elevata, le persone per sopravvivere

vanno a cercare il cibo nei rifiuti e prendono tutto quello che possono

utilizzare dalla spazzatura. In questo periodo di crisi succede anche al

mercato di Milano e nelle altre città italiane.

o nei manicomi giudiziari persone inermi e indifese, vivono come larve

umane proprio come il servo sofferente.

o c’è la sofferenza del cuore che non si vede ma è terribile. Spesso le

famiglie che vivono lunghe esperienze di dolore, non trovano nessuna

solidarietà, si sentono sole e abbandonate a loro stesse, senza alcun aiuto

concreto da parte delle autorità preposte. Quello che fa più soffrire è

l’indifferenza della gente e di chi è al potere.

o Una di noi, Silvia, ha contatto con tante mamme straniere e l’addolora

vedere come molte persone provino disprezzo verso queste donne; ci sono

tanti pregiudizi negativi, non viene riconosciuta loro un’identità, non sono

accettate, c’è un giudizio ostile generalizzato, questo succede anche nei

confronti delle mamme italiane più povere. Nelle nostre comunità cristiane,

facciamo fatica ad unirci per diventare più solidali con chi vive difficoltà di

inserimento e di povertà.

o Rosanna, quando insegnava, ha avuto un’esperienza analoga: allora la

discriminazione avveniva tra i genitori lombardi e quelli meridionali.

Questi comportamenti però riguardavano solo gli adulti perché i bambini,

in classe, non avevano alcun pregiudizio, erano molto amici tra di loro;

sempre da parte dei genitori avveniva anche l’emarginazione dei bambini

meno dotati.

La sofferenza di massa: è il terzo mondo che grida la sua disperazione, la sua

sofferenza, che chiede giustizia e pare che Dio non ascolti, che non agisca. In realtà

Dio opera attraverso chi fa la sua volontà, chi segue e rispetta la sua alleanza. Noi

cristiani possiamo, individualmente o a piccoli gruppi, agire portando qualche

goccia (preziosissima!), aiutando i missionari, le ONG e le ONLUS. Il cambiamento

radicale però lo può attuare solo chi ha il potere economico, politico e finanziario,

cioè i governi, soprattutto quelli che si richiamano ad una matrice cristiana.

Leggendo la Bibbia vediamo che chi ha il potere è spesso corrotto e dimentica la

giustizia, il bene comune e l’attenzione ai più poveri. Dio agisce attraverso di noi e,

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se vogliamo essere il cambiamento radicale, il “go'el” per i più poveri, dobbiamo

gridare insieme a loro, chiedendo giustizia e dignità.

Gli ‘osservatori’ come reagiscono? Ci sono denunce o prese di

posizione? Spesso anche gli Organismi Internazionali di controllo si piegano e sottostanno

alle esigenze dei singoli paesi e quindi “voltano lo sguardo” per non vedere o si

limitano a blandi richiami; non intervengono con forza soprattutto nei Paesi

con grandi interessi economici. Ad esempio: la Cina non viene pubblicamente

condannata per le numerose esecuzioni capitali e per le violazioni sistematiche

dei diritti internazionali perché è considerata un “partner” strategico dai

maggiori Paesi occidentali, pertanto l’interesse economico ha il sopravvento

sulla vita e la dignità della persona. La rassegnazione è un sentimento prevalente: ‘Io non ci posso fare niente’. Di

fronte alle ingiustizie però non possiamo tacere e non dobbiamo avere paura di

parlare, anche se il cambiamento vero potrà avvenire solo quando i governi e i

potenti della terra modificheranno il loro modo di agire.

Spesso non si denuncia per non essere emarginati, per indifferenza e per errata

concezione della privacy. A volte la Chiesa denuncia l’ingiustizia ma non

viene ascoltata.

Noi cristiani come ci poniamo davanti a situazioni di oppressione,

violenza, ingiustizia?

Come credenti dovremmo confrontarci sempre con le parole del Vangelo di

fronte a queste situazioni. Nelle nostre piccole esperienze a volte abbiamo il

coraggio di far sentire la nostra voce, in altre invece abbiamo paura, ci

sentiamo deboli e ci lasciamo sopraffare da chi riteniamo molto più forte di

noi.

La comunità cristiana in genere non è molto aperta e unita verso gli immigrati

e le situazioni di ingiustizia, fa fatica a prendere coscienza della realtà e a

denunciare. La Caritas e la San Vincenzo presenti sul nostro territorio sono

sensibili ai bisogni degli ultimi e fanno moltissimo, ma le necessità aumentano

ogni giorno sempre più.

E’ più facile pensare ai Paesi lontani, al terzo mondo che al nostro vicino di

casa: quando siamo chiamati direttamente ad entrare nelle case di persone in

grosse difficoltà, ci blocchiamo. Le richieste sono così grandi che abbiamo

paura di non farcela, da soli diventa quasi impossibile: occorre una comunità

che accoglie!

Noi cristiani non siamo forti e uniti per segnalare le grandi ingiustizie.

Possiamo fare delle piccole denunce per far sentire la nostra voce nelle

situazioni più difficili ma sono solo gocce! I cristiani impegnati in politica,

quando arrivano al potere, non si distinguono perché non hanno la forza di

cambiare le situazioni!

60

Alla fine abbiamo fatto questa considerazione: “Molte di noi sono impegnate in

parrocchia. Ma è sufficiente questo per dire che lottiamo contro le ingiustizie? Magari il nostro

impegno è solo l’occasione per avere un piccolo potere…Forse le cose da fare sono altre?

Potremmo essere più utili in un altro modo? Lasciamo queste domande alla riflessione

personale.

Possiamo dire che c’è qualcuno che paga di persona perché la situazione

cambi o migliori?

Sì! Anche solo osservando il nostro Paese ne abbiamo un lungo elenco. Ricordiamo

alcune persone che hanno avuto il coraggio di denunciare, si sono ribellate, hanno

combattuto e combattono ogni giorno contro la corruzione e le ingiustizie: Don

Puglisi, Falcone, Borsellino che hanno pagato con la vita. Ieri si è ricordato

l’omicidio di Ilaria Alpi, uccisa 19 anni fa a Mogadiscio perché indagava sui rifiuti

tossici e sul traffico d’armi in Somalia. Don Ciotti con Libera è in prima linea nella

lotta contro la mafia. A Como, il Centro Puzzle, è un luogo di prima e seconda

accoglienza per minori stranieri non accompagnati, provenienti da diverse regioni e

stati del mondo.

Come e perché Gesù è stato paragonato al Servo del II Isaia?

Perché egli stesso, per una causa giusta, ha dovuto subire i maltrattamenti, il

disprezzo e alla fine la condanna alla morte di croce, senza poter beneficiare del

diritto di difesa, come fosse stato un criminale, solo per aver difeso i poveri e gli

oppressi.

Is 52,13-53,12 – “Quarto canto del servo”

Leggiamo il testo e lo lasciamo alla contemplazione e meditazione personale durante

la Settimana Santa.

Anche oggi ci sono persone che nella sofferenza riescono a trovare la forza di

combatterla non solo per se stessi ma anche per gli altri. Il servo accetta di soffrire,

non si ribella e anche se si sente schiacciato, ha la certezza che Dio non lo

abbandonerà e, se dovrà dare la propria vita, come molti martiri dei nostri giorni,

sarà per salvare e ridare vita e fiducia agli altri.

61

MEMORIA del quindicesimo incontro: 4 aprile 2013

Speranza per coloro che ritornano

Accoglienza: siamo nel Tempo Pasquale, Cristo è Risorto! Alleluia!

Preghiera: Is 40,1-31 consolazione per il popolo

Testi di studio: Is 48,20-49,26 – “la missione del Servo”

Accoglienza

Shalom! Pace! Con queste parole e con il canto ‘Risuscitò’ ci accogliamo con gioia

dopo le feste Pasquali.

Riprendiamo due pensieri che ci possono aiutare a gioire della resurrezione di Gesù

ma anche a riconoscerla presente nella nostra vita:

Dice Gesù: Io sono la resurrezione e la vita (cfr Gv 11,25).

“Prima la resurrezione e poi la vita! Prima risorgi e poi vivrai!

Ciò che vivi è quasi una vita, ma non ancora vita. Risorgi dalla vita

addormentata, dalla vita vuota, dalla vita morta che non sa più dare e

ricevere amore” (E. Ronchi).

“Sogno una Chiesa e un Papa che ci aiutino a credere che nessuno sia tanto

povero da non arricchire gli altri con la propria esperienza. Un Papa e una

Chiesa che educhino ‘a liberare la parola che rimane prigioniera dentro le

persone’ (stralcio da una lettera di p. F. Beretta, nostro amico missionario in Brasile).

E’ molto bello poter parlare liberamente, raccontare le proprie esperienze senza

il timore di essere giudicate, sono momenti importanti di conoscenza reciproca

che liberano, aiutano e arricchiscono tutte; anche questo è un piccolo segno di

Risurrezione. Come sono segni di resurrezione i gesti d’amore e di perdono che

possono ridare vita a chi vive intorno a noi.

Preghiera: Is 40,1-31 - Annuncio della liberazione

Il Secondo Isaia (cfr. contesto storico Sussidio 11), ci racconta come il popolo

d’Israele incominci a intravvedere la possibilità di un ritorno in patria. Ciro il re

persiano, è lo strumento che Dio usa per attuare il suo progetto, per dare speranza al

popolo e per allontanarlo dagli idoli.

Ci chiediamo: “Alla fede siamo arrivate da sole o ci ha portato qualcuno?”

Lasciamo la risposta alla riflessione personale.

Preghiamo e condividiamo alcuni versetti che ci hanno colpito in modo particolare:

“Allora si rivelerà la presenza del Signore e ogni uomo la vedrà, poiché la

bocca del Signore ha parlato” (v.6).

Tutte le cose della nostra vita, oggi ci sono e domani non ci sono più, è solo la

Parola che dà un senso e un valore a tutto quello che facciamo.

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“Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna;

porta gli agnellini sul seno e conduce pian piano le pecore madri” (v.11).

Dio ci raduna e ci porta in braccio, anche quando ci disperdiamo non ci

abbandona mai. Ci sono dei momenti in cui non riusciamo a pregare ma il

Signore è sempre con noi: è Risorto. L’immagine del pastore ci mostra Dio

come Padre perché è con noi in ogni situazione, è un Padre che conforta nella

paura e che dà senso alla vita. Il Signore è vicino anche a quelli che non

credono, è vicino a tutti.

Dio è amore, Dio è Padre, Dio però non lo vediamo: per vivere questa

esperienza è necessario che la comunità dia amore a tutti, in modo particolare

deve essere vicina alle persone che soffrono. E’ questo il modo per far vedere il

volto di Dio, se non c’è una comunità che ama, non possiamo riconoscere il

suo amore: la comunione tra di noi diventa preghiera, amicizia, perdono…

“Nel deserto preparate la via del Signore". Ogni valle sia colmata, ogni monte

e colle siano abbassati; il terreno accidentato si trasformi in piano” (vv.3-4).

Anche quando siamo nel deserto, il Signore ci viene incontro e ci perdona,

però noi dobbiamo preparare ‘la via’; nella vita succede che quando stiamo

molto bene ci dimentichiamo o ci allontaniamo da Lui. Quando dobbiamo

affrontare malattie, dolori o preoccupazioni gravi sentiamo il bisogno di

chiedere aiuto a Dio, a volte però accade il contrario: il dolore che

consideriamo ingiusto, ci fa perdere la fede e possiamo anche maledire Dio.

L’immagine delle valli che devono essere colmate e dei monti abbassati può

rappresentare le divisioni che ci sono tra noi: se non abbiamo la capacità di

superare queste divisioni “colmando e abbassando gli spazi che ci dividono”

non riusciremo a mostrare l’amore di Dio.

Giovanni Battista cita questi versetti perché anche lui sta annunciando un

nuovo esodo, una nuova liberazione: la venuta di Gesù.

“Sali su un alto monte, tu che rechi liete notizie in Sion; alza la voce con forza,

tu che rechi liete notizie in Gerusalemme” (v.9). Questo versetto è descritto al

femminile, è una messaggera di buone notizie che grida con forza sul monte

alto di Gerusalemme. Senza dubbio queste parole richiamano la Risurrezione:

è una voce di donna che per prima annuncia la risurrezione di Gesù, porta la

‘lieta notizia’, cioè il Vangelo. La ‘Buona Notizia’ è questa: Cristo è

risorto! Anche Papa Francesco ha detto che le donne sono le prime a

testimoniare il Signore e a trasmettere la fede ai figli e in famiglia e sono le più

solerti a vivere un servizio all’interno della comunità.

Il capitolo 40 racchiude tutto il messaggio del Secondo Isaia.

Possiamo cogliere:

o la promessa del ritorno, con l’inizio di un nuovo esodo, la speranza è nel

popolo perché capisce che il lungo periodo di schiavitù sta finendo;

o la Buona Notizia è per tutti i popoli e non solo per il popolo eletto;

63

o anche se si riconosce che Ciro è uno strumento nelle mani di Dio per la

liberazione dalla schiavitù, è solo Dio che dirige la Storia, per questo troviamo

una forte polemica contro gli idoli: “A chi potreste paragonare Dio e quale

immagine mettergli a confronto? Il fabbro fonde l'idolo, l'orafo lo riveste d'oro

e fonde catenelle d'argento. Chi ha poco da offrire sceglie un legno che non

marcisce; si cerca un artista abile, perché gli faccia una statua che non si

muova. A chi potreste paragonarmi, quasi che io gli sia pari? dice il Santo.

Levate in alto i vostri occhi e guardate: chi ha creato tali cose? cfr 12-25.”

o Promessa di restaurazione: nuovo esodo, nuovo popolo, nuova vita: “Ecco, io

faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò

anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa

Is 43,19”.

Concludiamo la nostra riflessione con la preghiera ‘Semplice’ di San Francesco:

“Signore fa' di me uno strumento della tua pace.

Dov'è odio, ch'io porti l'amore.

Dov'è offesa, ch'io porti il perdono.

Dov'è discordia, ch'io porti l'unione.

Dov'è dubbio, ch'io porti la fede.

Dov'è errore, ch'io porti la verità.

Dov'è disperazione, ch'io porti la speranza.

Dov'è tristezza, ch'io porti la gioia.

Dove sono le tenebre, ch'io porti la luce.

Oh, Maestro, fa' che io non cerchi tanto: ad esser consolato, quanto

a consolare; ad esser compreso, quanto a comprendere; ad esser

amato quanto ad amare. Sì, è donando che si riceve, perdonando,

che si è perdonati, morendo, che si risuscita a vita eterna”.

Is 48,20-49,26 – Analisi del testo

Il testo è stato scritto poco prima del ritorno, 538 a.C.

48,20-21: è un annuncio gioioso “Il Signore ha riscattato il suo servo

Giacobbe”. Viene messa in risalto la figura del riscattatore, del ‘Go’el, di colui che

difende sempre la causa dei più deboli, di quelli che non hanno nessuno che li possa

riscattare tranne Dio. L’immagine del deserto, dell’acqua che scaturisce dalla roccia

ci richiama all’esodo.

64

Il messaggio ha dimensioni universali, deve giungere fino agli estremi confini della

terra, è rivolto a tutte le nazioni.

49.1-5 “Ascoltatemi, o isole, udite attentamente nazioni lontane; il Signore dal

seno materno mi ha chiamato”

La chiamata del Signore è universale, è rivolta a tutti, viene dal seno materno, ancora

prima della nascita. “Io ti renderò luce delle nazioni perché porti la mia salvezza

fino all’estremità della terra”. Tutti noi dobbiamo cercare di essere esempio per gli

altri. Il Signore chiede al suo servo di diventare ‘luce delle nazioni’: questa è una

chiamata ancora più forte perché rivolta al servo che è disprezzato, reietto, umiliato,

l’ultimo tra gli uomini, è proprio lui che sarà luce per tutti.

Nel Nuovo Testamento è Gesù Cristo che racchiude in sé l’immagine del servo

sofferente.

Il riscatto del popolo provoca un capovolgimento della situazione, saranno i re e i

principi che s’inchineranno e ammetteranno la grandezza e la fedeltà del Signore.

“Invano ho faticato, per nulla e invano ho consumato le mie forze".

Riconosciamo che da soli non possiamo fare nulla, mentre molto spesso pensiamo di

essere autosufficienti. Nella nostra società e nel mondo, prevale l’idea che l’uomo

possa bastare a se stesso e lasciare Dio fuori dalla propria vita. Invece non è cosi, tutti

abbiamo bisogno d’aiuto, nelle difficoltà è importante avere qualcuno vicino, se

siamo soli ci sentiamo perduti, lo vediamo tutti i giorni dai fatti di cronaca provocati

dalla disperazione e dalla solitudine. La consolazione e la speranza avvengono

attraverso l’aiuto reciproco, l’accoglienza e la partecipazione.

Il Signore è sempre stato fedele, fin dall’inizio. Gesù ci mostra il volto di Dio perché

è stato fedele al suo progetto, donando la sua vita fino alla morte di croce.

49,6-7 “Dio era stato la mia forza e ha detto: È troppo poco che tu sia mio

servo per restaurare le tribù di Giacobbe e ricondurre i superstiti d'Israele. Io ti

renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino all'estremità della terra.

Così dice il Signore, il redentore d'Israele, il suo Santo, a colui che è disprezzato,

rifiutato dalle nazioni, schiavo dei potenti” questi sono gli Anawîm, i poveri di

YHWH.

Nel Nuovo Testamento, gli Anawîm sono Giovanni Battista, Elisabetta,

Maria…coloro che legano il Primo Testamento al Secondo, ci conducono fino a

Gesù, il quale porta a noi questo forte annuncio di speranza e liberazione.

49,8-13 Questi versetti narrano la gioia del ritorno e sono molto simili a Isaia 40. La

Buona Notizia si diffonde tutt’intorno “Uscite, venite fuori”: dalle tenebre si ritorna

alla luce.

49,14-16 Non dobbiamo mai perdere la fiducia nel Signore, le parole che

seguono ci mostrano il volto materno di Dio: “Si dimentica forse una donna del suo

bambino? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò

mai. Ecco, ti ho disegnato sulle palme delle mie mani”. È soprattutto la donna che

può riconoscere Dio come madre perché è lei che vive l’esperienza della maternità.

49,17-22 Il messaggio è diventato universale e coinvolge tutte le genti: “Ecco, io farò

cenno con la mano ai popoli, per le nazioni isserò il mio vessillo. Riporteranno i tuoi

65

figli in braccio e le tue figlie saranno portate sulle spalle. Dio restituisce in

abbondanza: le donne sterili trovano figli che non hanno generato.

Gli ultimi versetti di questo capitolo ci fanno pensare a un Dio violento che distrugge

tutti i nemici del suo popolo, non è così: il male fatto è così forte e cruento che

certamente ritornerà su coloro che l’hanno commesso, così da carnefici diventeranno

vittime per effetto del loro modo di agire.

Il brano si chiude con queste parole: “Allora ogni uomo saprà che io sono il Signore,

tuo salvatore, io il tuo redentore e il Forte di Giacobbe”. Ancora si ripresenta la

figura del Go’el: Dio che non abbandona chi si fida di Lui.

La speranza è per tutti coloro che riconosceranno la Sua grandezza nel Dio creatore;

la Sua forza nel Dio liberatore; il Suo amore nel Dio madre; e la Sua misericordia nel

Dio Pastore.

“Nel Secondo Isaia il potere creatore e redentore di YHWH si manifesta in tre modi

nello stesso tempo:

nell’esistenza dell’universo che Dio controlla da sempre (Is 41,18-20);

nella capacità di ricreare il suo popolo, di restituirgli la libertà e condurlo a

un nuovo esodo (Is 43,1-21);

soprattutto nella capacità di trasformare la vergogna delle nazioni, la scoria

inutile, il popolo dei poveri nel suo servo, affidandogli un compito inaudito, la

missione di portare la salvezza fino all’estremità della terra (in Is 41,1-20 e

negli altri dieci canti del Servo di YHWH: Is 42,1-9, 42,18-25; 43,1-21;44,1-8;

44,21-28; 45,1-7; 48,12-22; 49,1-7; 50,4-11; 52,12-53,12).

Queste novità teologiche erano così sconvolgenti che nei secoli successivi solo un

gruppo minoritario riuscì ad alimentarle: fu il gruppo dei poveri di YHWH”.

(tratto da Piccola guida alla Bibbia di S. Gallazzi)

66

MEMORIA del sedicesimo incontro: 18 aprile 2013

Incontro con don Italo: il Deutero Isaia

Accoglienza

Preghiera: Is 40,1-31 consolazione per il popolo

Introduzione

Prima di iniziare, Don Italo ci consegna alcuni schemi che

riassumono in modo molto chiaro la storia del popolo d’Israele e di Giuda

dall’VIII al IV secolo a.C., i profeti dei vari periodi e una relazione

dettagliata sul Deutero Isaia.

Don Italo ci introduce al Deutero o Secondo Isaia con il capitolo 40

che leggiamo insieme. E’ uno dei testi più belli di tutta la Bibbia, inizia

con queste parole: “Consolate, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio”.

Seguendo poi gli schemi, Don Italo ci parla, partendo dall’VIII secolo, dei

re d’Israele e di Giuda e dei profeti attinenti a quel periodo. Tra questi ci

sono il Proto o Primo Isaia che opera in Giuda dal 740 al 701 a.C., Michea,

contemporaneo di Isaia mentre per il regno di Israele, Amos e Osea.

Don Italo ci ricorda i tre re più significativi di tutto Israele: Saul, Davide e

Salomone (1030-931 a.C.), si sono poi susseguiti altri re e giudici.

Ripercorrendo le vicende dell’VIII secolo, Don Italo illustra come in

quel periodo il popolo d’Israele stia vivendo un momento molto difficile e

doloroso. L’Assiria, una potenza in espansione, sta per invadere il suo

territorio. Israele si allea con Damasco e insieme muovono guerra ad Acaz,

re di Giuda, per costringerlo a unirsi a loro, ma questi stringe alleanza con

l’Assiria: è la guerra Siro-efraimita (734-732 a.C.). Israele perde parte del

suo territorio e Giuda diventa vassallo dell’Assiria. Nel 722 l’Assiria

conquista anche Samaria e gli abitanti vengono deportati a Ninive. E’ la

fine del regno di Israele.

Continuando a seguire lo schema incontriamo i re di Giuda: Ezechia,

Manasse e Giosia (VIII e VII secolo). Giuda riprende forza mentre l’Assiria

la perde.

Nel 597a.C. avanza la nuova potenza babilonese che sconfigge

l’Assiria; con l’assedio di Gerusalemme, il re di Giuda Ioiachim viene

deportato a Babilonia insieme alla sua corte, alla classe dirigente e alle

persone più importanti. Non avendo più i capi, il popolo si disperde.

Nel 587 a.C. avviene la seconda deportazione con grande sofferenza

per il popolo, sia per gli esiliati, sia per coloro che rimangono, sappiamo

infatti che non tutti gli abitanti di Giuda vengono deportati.

67

Nel 582 terza deportazione.

Osservando gli schemi vediamo in progressione, i profeti di questo periodo

storico: Sofonia, Geremia, Naum, Abacuc, Ezechiele, Abdia e il Deutero

Isaia (cap.40-55).

Nel 550 a.C. avanza Ciro, il re persiano, nel 539 riesce a conquistare e

a distruggere Babilonia, nel 538 emette un editto con il quale permette agli

ebrei di tornare nella loro patria ponendo fine all’esilio babilonese.

Durante il periodo persiano Zorobabele ricostruisce il tempio, Esdra

e Neemia tentano di riorganizzare il regno di Giuda. I profeti di quel

periodo sono: Aggeo, Zaccaria, il Trito o Terzo Isaia (cap. 56-66),

Malachia, Gioele e Giona.

Inizierà poi il periodo ellenistico (322 a.C.), infine l’impero romano

che ci avvicina al Nuovo Testamento.

Don Italo ci ricorda che la Bibbia nasce da papiri, frammenti raccolti

da varie parti e rimessi insieme; questa ricomposizione è durata secoli,

frutto di un lavoro immenso e inimmaginabile.

Ecco perché ci può capitare di trovare nel Proto Isaia (VIII secolo) alcuni

frammenti nei cap. 24-27 che fanno riferimento ai testi di Esdra e Neemia

(V secolo). Anche molte discordanze che scopriamo nei Vangeli sono

dovute a queste ricomposizioni. Le notizie storiche nella Bibbia non

sempre sono attendibili.

Deutero Isaia = Secondo Isaia, ci richiama al libro del Deuteronomio =

Seconda legge.

A distanza di circa 150 anni dal Proto Isaia, probabilmente un gruppo di

discepoli del profeta, scrive il Deutero Isaia.

La storia d’Israele è segnata dall’idolatria: il popolo promette di

osservare la Legge di Dio, non riesce a mantenere la promessa, diventa

infedele, si pente, chiede perdono, ritorna a Dio ma poi ricomincia a

peccare.

Dio però è più grande di tutte le nostre infedeltà, trasforma la maledizione

in benedizione.

Noi siamo fragilissimi ma la potenza di Dio è sempre superiore. Dio si

dimentica delle nostre colpe e ci salva con la sua grazia.

Durante l’esilio il profeta Geremia è rimasto in Giuda; girando tra le

rovine di Gerusalemme si chiede, con il popolo: “Ma dov’è il nostro Dio?”

Da questa esperienza scaturiscono “Le lamentazioni” che sono tra i canti

68

più tragici e dolorosi dell’Antico Testamento: sembra tutto finito, non c’è

più nessuna speranza.

Il profeta Ezechiele invece è deportato in Babilonia con il primo

gruppo.

I profeti annunciano dei fatti, parlano in nome di Dio, ricordano al

popolo la Sua Parola.

Il Deutero Isaia fa un parallelo con la creazione iniziale: il profeta infonde

la speranza nel popolo, quello che racconta è una nuova creazione. Ritorna

la forza creatrice di Dio.

“Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, faccio

una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Is 43,18-19”

Don Italo, ripercorrendo il testo del Deutero Isaia, ci invita a leggere

i “quattro canti del servo”:

il servo citato può rappresentare diverse figure.

Nel primo canto potrebbe essere Ciro, il re persiano considerato il braccio

di Dio per liberare il suo popolo; negli altri canti si pensa sia il popolo

d’Israele o lo stesso profeta.

Ci soffermiamo sul “quarto canto del servo sofferente” dove viene

descritto come attraverso la sofferenza si arrivi alla luce: il servo diventa

lui stesso luce che dona salvezza e vita.

La redenzione dell’uomo passa attraverso la sofferenza.

I nostri interventi sull’esposizione di don Italo sono stati orientati alla

persona del servo sofferente:

Il quarto canto è un forte richiamo per noi. Dio è vicino al suo servo

perché dedica la sua vita per una giusta causa, la sua esperienza non

è solo sofferenza ma sacrificio.

Il servo può essere ciascuno di noi, dobbiamo dare un senso al dolore

che viviamo.

A volte è molto difficile vedere la sofferenza in termini positivi,

quando ci sono situazioni molto pesanti spesso non si riesce.

Rassegnazioni, disfattismi, inattività non sono del servo del Signore.

Nella vita possiamo attraversare momenti molto dolorosi, ma restare

in fondo alla valle a piangere non ci aiuta ad essere testimoni della

Resurrezione.

69

Un cristianesimo triste e dolente non appassiona: quando ci sentiamo

oppressi da una croce, la fede ci invita a rivolgerci al Signore che ci

rialza e ci consola.

Nei momenti più tristi facciamo fatica a sentire la solidarietà degli

altri. Ciascuno ha un carico di sofferenze personali e pensa di averne

già abbastanza, invece è importante riuscire a condividere i nostri

dolori con gli altri, stare insieme produce vera consolazione per chi

la riceve, ma anche per chi la dà.

Chi non ha vissuto una forte esperienza di dolore non riesce a capire

la sofferenza degli altri, fino a quando non la vive personalmente.

Nelle comunità cristiane, la sofferenza diventa riscatto se la si

condivide: “portate i pesi gli uni degli altri”, però spesso si ha paura

di avvicinarsi al dolore.

Che cosa dire alle persone che sono così scoraggiate per la perdita

del lavoro fino al punto di togliersi la vita? In questi ultimi anni ci

sono tante famiglie che sono nella disperazione, non hanno più

certezze.

La sofferenza è a livello universale, riprendiamo solo gli ultimi

avvenimenti: a Boston, nel Texas, in Corea. C’è un fermento che

veramente non si sa dove ci porterà. Queste cose ci spaventano

moltissimo, forse perché lasciamo fuori Dio dalla nostra storia.

La comunicazione, TV, giornali, ci presentano tutto il negativo e solo

quello!

Iniziamo noi a desiderare e a cercare con forza un cambiamento, certi

che questo potrà avvenire, così si riaccenderà la speranza per un

futuro migliore.

Concludiamo l’incontro affidando a Dio Padre le nostre situazioni

recitando il Padre Nostro.

70

MEMORIA del 9 maggio 2013

Incontro di condivisione e verifica

Accoglienza

Preghiera: Lc 1,46-55 Il Magnificat

In un clima gioioso, con tanti bei fiori primaverili che rallegrano i

nostri tavoli, iniziamo l’incontro con il canto “Vi darò un cuore nuovo,

metterò dentro di voi uno Spirito nuovo” che ci richiama il Profeta

Ezechiele (Ez 36,26-27) e la vicina festa di Pentecoste.

Rileggiamo anche le parole di San Paolo nella prima lettera ai

Tessalonicesi; sembrano scritte per noi oggi, ci siamo riconosciute in

queste parole per il percorso che stiamo facendo con convinzione, per

l’amicizia che si è creata fra noi nella fede, per il ricordo vicendevole e per

la speranza che Gesù ci dona.

“Rendiamo sempre grazie a Dio per tutte noi, ricordandoci a

vicenda nelle nostre preghiere e tenendo continuamente

presente l'operosità della nostra fede, la fatica della nostra

carità e la fermezza della nostra speranza nel Signore nostro

Gesù Cristo, davanti a Dio e Padre nostro. Sappiamo bene che

siamo state scelte da lui. Il Vangelo, infatti, non si diffuse fra

noi soltanto per mezzo della parola, ma anche con la potenza

dello Spirito Santo e con profonda convinzione” 1Ts 1,2-4.

Preghiera: Lc 1,46-55 Il Magnificat

Pregando “Il Magnificat” affidiamo alla protezione di Maria le nostre

amiche assenti, tutte noi e con lei diciamo: “Grandi cose ha fatto in me

l’Onnipotente e Santo è il suo nome: di generazione in generazione la sua

misericordia si stende su quelli che lo temono” (vv.49-50).

Premessa

Prima di iniziare la condivisione abbiamo voluto ricordare Paulo

Freire (1921-1997) famoso pedagogista brasiliano che afferma che

l’esperienza di ciascuna persona è importante qualunque sia la sua classe

sociale e la sua cultura.

A questo proposito abbiamo letto una storiella yiddish che Moni Ovadia

cita nel suo libro “Madre Dignità”: “Tevye, un povero lattivendolo ama

riportare frasi della Torah e del Talmud sbagliandole. Un giorno dopo

71

una citazione sbagliata, mentre in una piazza vende i suoi prodotti, viene

corretto da un ebreo, Tevye gli dà ragione ma il figlio di un rabbino lo

contesta dando un’altra versione, il lattivendolo dà ragione anche a lui ed

ecco un mendicante controbatte dicendo: ‘Tevye o ha ragione lui o ha

ragione lui!’ Tevye non si scompone e dà ragione anche al saggio

mendicante”.

Ovadia commenta così la storiella: Tevye, dà ragione a tutti perché

non vuole escludere nessuno. E’ un appassionato dell’inclusione, vuole

coinvolgere tutti; per lui è più importante partecipare che vincere.

La condivisione è davvero importante! Non c’è nessuna persona che

non possa comunicare le proprie esperienze agli altri: bisogna liberare la

parola che è dentro di noi. È ormai da diversi anni che ci impegniamo per approfondire e

conoscere la Bibbia e quindi è indispensabile condividere e comunicare la

nostra esperienza agli altri; è fondamentale dare quello che uno ha, anche

se a noi sembra di non essere all’altezza e di non saperne abbastanza.

Condivisione del cammino percorso - eventuali difficoltà

Luisa: mi piace molto frequentare il gruppo, seguo con attenzione e

interesse tutto quello che facciamo, ma la difficoltà è che poi mi sembra

di non ricordare nulla.

Alcuni consigli: rileggere i testi proposti magari puntualizzando una

frase, un versetto che sentiamo importante per noi in quel momento;

non dobbiamo scoraggiarci perché il seme gettato non muore ma poi dà

frutti. Ricordiamo un vecchio detto: quando si butta un secchio d’acqua

sul muro, sembra che cada tutta ma non è vero, il muro in parte la

assorbe.

Laura: da quando mi sono avvicinata alla Bibbia, qualcosa nella mia

vita è cambiato. Vivo sola e la Bibbia ha colmato un vuoto, la tengo

sempre aperta sulla credenza in cucina, anche se non la leggo tutti i

giorni, è sempre lì a portata di mano e, in un momento di tristezza o di

malinconia, è come avere vicino un’amica, leggo un testo, prego un

salmo e ho la sensazione di non essere più sola. Per la mia preghiera ora

uso quasi sempre la Bibbia.

Ivana: questo libro prende vita, fa parte della nostra vita. E’ un libro

vivo perché abbiamo conosciuto un metodo di lettura che ce lo fa

72

comprendere, grazie allo straordinario lavoro che stiamo facendo in

questo gruppo ormai da cinque anni.

Regina e Fosca: da quando frequentiamo il gruppo, troviamo molto più

facile comprendere le letture della Messa.

Nadia: con Lidia Maggi abbiamo approfondito il profeta Ezechiele, ci

ha dato una chiave di lettura interessante: Ezechiele ha paragonato la

città di Gerusalemme alla sposa amata. Avendo già analizzato questo

profeta nel gruppo, siamo state in grado di cogliere tante sottigliezze e

sfumature importanti.

Mgiulia: il nostro metodo di lettura parte dai poveri ed è uno dei diversi

modi di leggere e interpretare la Bibbia. Ci sono altre chiavi di lettura

ed è importante non escluderne nessuna perché ciascuna ha un pezzetto

di verità, anche se ci sembra lontana dalla nostra interpretazione.

Nadia: la Bibbia, letta con costanza, si ‘svela’ e la mente si apre. Con

l’approfondimento, molte cose hanno un nuovo senso, è come imparare

una lingua nuova. La lettura della Bibbia è stata permessa dalla Chiesa

solo dopo il Concilio, prima alcuni brani dell’Antico Testamento, per

esempio il Cantico dei Cantici, non venivano letti perché potevano

creare scandalo in un contesto non preparato; mentre con l’evoluzione

che c’è stata nelle famiglie e nel pensiero umano in generale, molti si

sono avvicinati a questo libro che è il più letto nel mondo.

Gianna: voglio ricordare alcuni pensieri di Lidia Maggi che mi hanno

colpito. Il popolo in esilio, riconosce di avere peccato, grida a Dio e

chiede la liberazione, il profeta Ezechiele mette delle condizioni:

domanda al popolo di rivedere la propria storia, di prendere coscienza

delle colpe commesse, di quello che doveva fare e non ha fatto per

mantenere l’alleanza con Dio, gli chiede di assumersi le proprie

responsabilità. Il profeta si fa carico del destino del popolo, lo invita a

convertirsi per ottenere la liberazione: ‘convertiti e Dio ti libererà’. La

salvezza, è collettiva, di tutto il popolo, non solo individuale; anche nel

Nuovo Testamento la resurrezione viene raccontata come un’esperienza

comunitaria: lo Spirito Santo si manifesta quando i discepoli stanno

pregando tutti insieme, è lì che opera.

73

La Chiesa cattolica ha continuato la sua missione con il magistero, i

protestanti solo con la Bibbia.

La separazione tra cattolici e protestanti parte da Martin Lutero,

tedesco, agostiniano del XVI secolo, sacerdote e dottore in teologia.

Lutero si oppone con fermezza ad alcune iniziative della Chiesa

cattolica del tempo, invitato a ritrattare le proprie posizioni, si ribella e

viene scomunicato. In seguito i protestanti si divideranno in varie

denominazioni.

Luisa: in un momento d’immenso dolore, mio marito gravemente

malato stava per lasciarci, ho aperto la Bibbia che tenevo sempre sul

comodino ed è uscito un brano del Qoelet al capitolo tre: “Per ogni

cosa c’è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo.

C’è un tempo per nascere e uno per morire ….” Dopo aver letto questo

testo, inspiegabilmente, mi sono sentita tranquilla, rasserenata, liberata

da un peso, mio marito è mancato la notte stessa.

Mgiulia: La Parola è profetica quando diventa vita per noi, quando dà

un significato al nostro dolore, alle nostre azione o alle decisioni che

prendiamo.

Terminiamo pregando il Padre Nostro.

◍◍◍◍◍◍◍◍◍◍◍◍◍◍◍◍◍◍◍◍◍

Il 30 maggio 2013 abbiamo festeggiato la conclusione del nostro cammino, con il desiderio e la promessa di ritrovarci a settembre, pronte per continuare lo studio biblico.

Il tema del prossimo anno sarà: “La profezia dopo l’esilio”,

Confidiamo nell’aiuto e nell’amore del Signore perché:

“La sua fedeltà dura per sempre, per questo lo lodiamo e cantiamo la sua lode”.

Gruppo biblico delle donne del giovedì mattina

Parrocchia di San Vito Martire Lentate sul Seveso

24 giugno 2013 Natività di San Giovanni Battista

74

INSEGNACI SIGNORE

Insegnaci, Signore, a sostenere il tuo

silenzio,

quando l’ombra s’addensa

e il fuoco si spegne.

Insegnaci a consumare l’attesa,

per far sbocciare l’alba che ci aspetta.

Insegnaci ad ascoltarti,

tu che affiori sulle nostre labbra quando

preghiamo.

Insegnaci a parlarti:

il fuoco sia sulla nostra lingua davanti alla

notte.

Insegnaci Signore a chiamarti Padre nostro:

una preghiera che ha il sapore del pane,

una preghiera che sia la nostra casa.

Pierre Emmanuel (1916-1984)

75

Una preghiera di Papa Francesco, di una quindicina di anni fa quando

era vescovo a Buenos Aires.

Preghiera per ogni dito della mano

Il pollice è il dito a te più vicino.

Comincia quindi col pregare per coloro che ti sono più vicini. Sono

le persone di cui ci ricordiamo più facilmente. Pregare per i nostri

cari è "un dolce obbligo".

Il dito successivo è l'indice.

Prega per coloro che insegnano, educano e curano. Questa

categoria comprende maestri, professori, medici e sacerdoti.

Hanno bisogno di sostegno e saggezza per indicare agli altri la

giusta direzione. Ricordali sempre nelle tue preghiere.

Il dito successivo è il più alto.

Ci ricorda i nostri governanti. Prega per il presidente, i

parlamentari, gli imprenditori e i dirigenti. Sono le persone che

gestiscono il destino della nostra patria e guidano l'opinione

pubblica... Hanno bisogno della guida di Dio.

Il quarto dito è l'anulare.

Lascerà molti sorpresi, ma è questo il nostro dito più debole, come

può confermare qualsiasi insegnante di pianoforte. È lì per

ricordarci di pregare per i più deboli, per chi ha sfide da affrontare,

per i malati. Hanno bisogno delle tue preghiere di giorno e di

notte. Le preghiere per loro non saranno mai troppe. Ed è li per

invitarci a pregare anche per le coppie sposate.

E per ultimo arriva il nostro dito mignolo, il più piccolo di tutti,

come piccoli dobbiamo sentirci noi di fronte a Dio e al prossimo.

Come dice la Bibbia, "gli ultimi saranno i primi". Il dito mignolo ti

ricorda di pregare per te stesso... Dopo che avrai pregato per tutti

gli altri, sarà allora che potrai capire meglio quali sono le tue

necessità guardandole dalla giusta prospettiva.