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L’ERUZIONE DEL VESUVIO DEL 79 D.C E LA DISTRUZIONE DI ERCOLANO E POMPEI Roberto Santacroce Dipartimento di Scienze della Terra Università di Pisa

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La Direzione e la Redazione di www.vesuvioweb.com Ringraziano l’autore del testo per aver concesso la sua pubblicazione in rete nel nostro sito.

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Fig.1 - Il cono vesuviano con il cratere (in primo piano) e la parete interna della caldera del Monte Somma

Il 24 Agosto del 79 d.C. il Vesuvio uscì da un plurisecolare periodo di riposo con una vio-lentissima eruzione esplosiva i cui prodotti portarono in meno di 24 ore alla devastazione di tutta l’area circumvesuviana in un raggio approssimativamente di 10-15 km rispetto all’attuale cratere. Pompei, Oplontis (l’odierna Torre Annunziata), Stabia ed Ercolano furono totalmente distrutte, seppellite sotto una spessa coltre di depositi vulcanici e tolte f nanco dalla memoria per oltre quindici secoli. Più di due secoli di scavi archeologici hanno progressivamente restituito all’umanità molti dei tesori artistici, sociali e culturali che quelle città racchiudevano. Ma hanno anche schiuso agli studiosi dei fenomeni vulcanici ampie finestre attraverso le quali ricostruire la dinamica dell’eruzione. Queste sono rappresentate dai depositi vulcanici che, ai margini degli scavi, sono ancora visibili nella loro posizione originaria ed il cui studio ha permesso una ricostru-zione dettagliata degli eventi verificatisi in quelle terribili ore di Agosto del 79 d.C. In queste pagine vengono sintetizzati e illustrati con semplicità i risultati dei molti studi che, condotti sui depositi lasciati soprattutto, ma non solo, a Ercolano e a Pompei, hanno permesso di rico-struire la successione stratigrafica e la natura dei fenomeni vulcanici che tali depositi hanno generato e di collocarli nella cronologia dell’eruzione, grossolanamente ricavabile dalle lettere scritte a Tacito da Plinio il Giovane, che dell’eruzione fu, da Miseno, testimone oculare. La conoscenza che oggi abbiamo di quella che è certamente l’eruzione più famosa del vulcano più famoso del mondo è complessivamente molto soddisfacente grazie al lavoro che ricercatori e tecnici di molte Università (Pisa, Napoli, Bari, Calabria, Orleans, Phoenix, Rhode Island) e Enti di Ricerca (Osservatorio Vesuviano, CNR, CNRS, INGV, USGS, ecc.) hanno svolto negli ultimi 25-30 anni e di cui la bibliografia in coda a questo articolo è specchio forte-mente incompleto. Per facilitare la lettura del testo, in appendice ho riportato un succinto e-lenco dei termini vulcanologici meno ovvii alla comprensione del non specialista che sono stati usati.

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Il vulcano prima dell’eruzione Il complesso vulcanico Somma-Vesuvio è costituito da un edificio più vecchio, il Monte Som-ma, squarciato da una grande depressione sommitale (‘caldera”), e da un cono recente, il Vesu-vio, cresciuto all’interno della caldera (fig.1). In realtà gli antichi Romani col nome Vesuvius (o Vesbius) chiamavano l’edificio più vecchio e soltanto a partire dal quinto secolo dopo Cristo nelle cronache si comincia a fare menzione del Monte Somma, in riferimento alla vetta più alta (“summa”) che, a quei tempi, era appunto la porzione più vecchia del vulcano. Il nuovo cono crebbe in maniera discontinua, con interruzioni e sprofondamenti sommitali, durante periodi ca-ratterizzati da eruzioni piccole ma frequenti, prevalentemente caratterizzate dallo scorrimento e l’accumulo di colate laviche e da attività esplosiva moderata. Tali periodi “costruttivi”, simili nelle grandi linee a quella che è oggi l’attività dell’Etna, si sono verificati tra il primo ed il terzo secolo, tra il quinto e l’ottavo (dopo la grande eruzione del 472 d.C. detta di Pollena), tra il dec mo ed il dodicesimo e tra il 1631, anno dell’ultima grande eruzione esplosiva, ed il 1944, quando il vulca-no è entrato nello stato di riposo (“quiescenza”) nel quale si trova tuttora. Fino a tempi relativamente recenti la formazione della caldera era attribuita all’eruzione di Pompei e in molte (fantasiose) ricostruzioni il vulcano prima del 79 era raffigurato come un gran-de cono assai più alto dell’edificio attuale, anche se alcuni dipinti romani rinvenuti a Pompei e a Ercolano avrebbero dovuto mostrare da sempre l’erroneità di una tale immagine (fig.2). Ai con-temporanei, prima del 79 d.C., il Vesuvio si presentava infatti in modo molto diverso dall’attuale: esso appariva come un tronco di cono a bordi asimmetrici, assai più alti quelli settentrionali, con una vasta depressione centrale (figure 3). Una tale forma era il risultato di una serie di eruzioni esplosive, tre delle quali simili a quella che si sarebbe verificata nel 79 d.C., che avevano ripetu-tamente portato allo sprofondamento di porzioni più o meno vaste di un originario grande cono vulcanico prodotto dal lento accumularsi di colate laviche tra qualcosa come 30.000 e 20.000 an-ni or sono.

Fig.2 – Il Vesuvio nei dipinti precedenti il 79 d.C.. A: Affresco di Pompei ora al Museo Archeologico Na-zionale che gli amori di Venere e Marte sullo sfondo del Vesuvio, visto da Pompei; e ripreso in B (si noti la forma tronco conica, l’assenza di un cono centrale e la profonda incisione nella parete calderico; da Nazzaro, 1997); C: profilo del Vesuvio da Sudest; D: Affresco al Museo Archeologico Nazionale di Na-poli con Bacco e il Vesuvio, visto da Ercolano; della caldera si vede solo il bordo settentrionale più alto, sostanzialmente identico a quello (E) ritratto da Antonio Bulifon (Napoli, 1697, dal sito http:/ www.dst.unina.it/vesuvio) nel 1684 quando all’nterno della caldera era cresciuto da tempo il cono che sarebbe col tempo divenuto il Vesuvio attuale; F: profilo del Vesuvio da Ovest

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Già da diversi secoli, forse sette, forse meno, prima dell'eruzione del 79 d.C., nel substrato vesuviano, ad una profondità di almeno 4-6 km, all’interno di rocce carbonatiche simili a quelle che costituiscono molti dei rilievi appenninici intorno al vulcano, era presente un cospi-cuo volume di magma, forse 2.0-2.5 km3 (miliardi di m3) con una temperatura di 900-950°C. Il magma era contenuto all’interno di un grande serbatoio, la “camera magmatica”, le cui pareti si erano for-

Fig.3 - Il vulcano come si presentava prima dell’eruzione del 79 d.C.: a sinistra una ricostruzione schematica sul Modello digitale del Terreno che mostra la caldera sommitale formatasi in seguito di tre differenti collassi avvenuti tra 18.000 e 3500 anni fa; a destra la vista da Ercolano (modificato da S.Bisel, http://www.torreomnia.com/storia/), mostrava la forte asimme-tria del

La presenza per tempi prolungati di una massa magmatica ad alta temperatura e la circolazione di fluidi caldi avevano portato alla formazione di un sistema geotermico e idrotermale nelle rocce solide più o meno permeabili circostanti la camera. Questa era sostanzialmente sigillata verso l’esterno (il “condotto eruttivo” si era ostruito dopo l’ultima eruzione) ma continuava ad essere alimentata e a cre-scere a seguito del ripetuto arrivo di masse magmatiche di origine profonda, più calde (circa 1200°C) del magma presente nella camera (ciascuna con un volume forse di 5-10 milioni di m3). Si era così formato un sistema stratificato per densità, temperatura e composizione, essenzialmente riconducibile a due porzioni principali sovrapposte. Il magma che occupava la parte superiore perdeva lentamente calore e si era progressivamente differenziato formando un sistema apicale stratificato. Il magma del-la porzione inferiore della camera veniva invece periodicamente perturbato termicamente dal ripetuto arrivo di masse profonde, con le quali si era mescolato e grazie alle quali era mantenuto ad alta tem-peratura e in agitazione convettiva. La transizione tra magma superiore e magma inferiore si realizza-va attraverso un sottile livello di interfaccia caratterizzato da forti gradienti di temperatura, di densità e di viscosità. Questo livello può essere immaginato essersi sviluppato attraverso una prima fase di dif-fusione essenzialmente termica, con cristallizzazione del magma inferiore, più caldo e più denso, e riscaldamento ed eventuale rifusione di fasi cristalline, del magma superiore. I processi si realizzava-no all'interno di volumi limitati, immediatamente al di sotto ed al di sopra dell'interfaccia. Quando le densità dei due liquidi si uguagliavano, l'interfaccia cessava di esistere e si aveva mescolamento. Il processo di formazione e rottura dell'interfaccia diffusivo era responsabile della continua alimentazio-ne della porzione superiore durante tutto il tempo di esistenza e di crescita della camera magmatica, con i due magmi a contatto in continua evoluzione composizionale (quello inferiore per mescolamento con le masse profonde calde che continuano ad arrivare,quello superiore per mescolamento con pic-cole porzioni delmagma inferiore ad ogni rottura dell'interfaccia diffusivo).

Roberto Santacroce

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Fig.4 - La camera magmatica del Vesuvio quale poteva essere prima dell’eruzione del 79 d.C.. In bas-so a destra è riportata la temperatura delle diverse composizioni di magma presentinella camera; l’alo-ne termometamorfico e idrotermalizzato ospita un sistema geotermico (fluidi ad alta temperatura in pressione) (modificato da Cioni et al., 1998).

Immediatamente prima dell'eruzione del 79 d.C. la camera magmatica (fig.4) poteva ave-re raggiunto un volume di circa 5 km3, ed era riempita per circa la metà da magma più freddo, stratificato (a composizione variabile ma comunque fonolitica), per circa 1.8 km3 da magma più caldo, in continuo moto convettivo (a composizione omogenea fonotefriti-ca) e per il rimanente da una "pappa" di cristalli e liquido magmatico, essenzialmente ac-cumulata sul fondo e sulle pareti della camera, e formatasi a seguito della parziale cristal-lizzazione sia delle masse profonde prima del mescolamento con il magma residente che del magma residente nel corso del suo lento e progressivo raffreddamento.

Roberto Santacroce

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L'eruzione dell'Agosto del 79 d.C. Le eruzioni esplosive come quella che si verificò nel 79 d.C. al Vesuvio sono dette, nella lettera-tura vulcanologica, “pliniane”. Il nome si rifà a Plinio il Giovane che, in due lettere scritte a Tacito diversi anni dopo l’eruzione, narra l’eruzione e la morte, nella medesima, dello zio, Plinio il Vec-chio, insigne studioso, autore della monumentale “Historia Naturalis” e, all’epoca, comandante del-la flotta romana di stanza a Miseno, sull’estremità settentrionale del Golfo di Pozzuoli (vedi Appen-dice 1). Queste lettere hanno enorme importanza per i vulcanologi: esse sono i primi documenti storici nei quali molti dei diversi fenomeni che si verificano nel corso di una grande eruzione esplo-siva vengono descritti, così come osservati da Miseno e da Stabia (l’odierna Castellammare) da Plinio il Giovane o da testimoni che erano con suo zio, nella sequenza e nei tempi di accadimento. La conoscenza del “timing” della fase principale dell’eruzione associata allo studio dei depositi la-sciati dai diversi fenomeni ha permesso di effettuare stime quantitative di alcuni importanti parame-tri (portate eruttive, profondità di estrazione del magma, altezze della colonna eruttiva) in genere poco definiti e, per eruzioni non osservate e descritte, poco controllabili. Sebbene esistano non trascurabili differenze in relazione a dettagli concernenti la localizzazione stratigrafica ed il significato di particolari prodotti in particolari affioramenti, un sostanziale accordo esiste oggi tra i diversi studiosi nel riconoscimento di quattro fasi principali dell’eruzione: • una fase di apertura esplosiva con marcate caratteristiche di interazione tra gli acquiferi sovra-stanti la camera magmatica ed il magma in risalita; • una fase principale, magmatica, pliniana in senso stretto, con formazione e mantenimento prolun-gato nel tempo di un'alta colonna eruttiva costituita da gas, particelle di magma e frammenti di roc-cia solida, dalla quale imponenti quantità di pomici, prima bianche fonolitiche, e poi grigie tefrifono-litiche, ricadevano sottovento; • una fase connessa allo sprofondamento calderico, molto energetica, prevalentemente caratteriz-zata dallo scorrimento di flussi piroclastici; • una fase finale, ancora fortemente marcata dall'interazione tra acqua e magma, caratterizzata dallo scorrimento di colate e surges piroclastici. I depositi dell’eruzione sono riconducibili a otto di-verse “Unità Eruttive” (UE) rappresentative della variabilità degli eventi che si sono succeduti nel corso dell'eruzione che cominciò intorno a mezzogiorno del 24 Agosto e terminò, secondo il reso-conto di Plinio il Giovane, nella mattina del 25 Agosto. In realtà è probabile che le fasi terminali dell'eruzione siano state assai più lunghe, ma, a questo proposito, mancano totalmente dati e noti-zie. Il quadro schematico delle UE e dei fenomeni eruttivi è riportato in figura 5.

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Fig.5 – Schema della cronologia, della stratigrafica dei depositi e dei principali fenomeni dell’eruzione di Pompei: le quattro fasi dell’eruzione (iniziale, pliniana s.s., caldera, finale) sono riferibili alla messa in posto delle Unità Eruttive UE1, UE2-3, UE4-6 e UE7-8 rispettivamente. Nella colonna stratigrafica i campi bianchi indicano depositi di caduta (f), quelli grigi generici depositi di flusso (pf). Si tenga presente che lo schema non è indicativo del volume di prodotti emesso, oltre il 90% del quale è relativo alle Unità Eruttive UE2 e UE3.

Roberto Santacroce

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I precursori dell’eruzione Il passaggio di un vulcano dallo stato di quiescenza all’eruzione implica ovviamente lo sposta-mento di magma verso la superficie. Nel salire il magma esercita una spinta sulle rocce che lo cir-condano, le solleva inarcandole e le frattura, liberando gas attraverso tali fratture. Ogni eruzione vulcanica, in linea di principio, dovrebbe essere quindi preceduta e preannunziata da una serie più o meno complessa di fenomeni precursori, i più frequenti e noti dei quali sono terremoti, deforma-zioni del suolo e variazioni nella composizione dei gas e delle acque. Anche l’eruzione del 79 d.C. fu probabilmente annunciata con molto anticipo da precursori che oggi sarebbero evidenti. Ma i lunghi secoli di completo riposo avevano dato al vulcano un aspetto pacifico e rigoglioso, ricoperto com’era da boschi, fitta vegetazione, vigneti e frutteti. Gli abitanti della campagna e delle cittadine alle sue falde certamente non sospettavano nemmeno di vivere su un vulcano attivo e, probabil-mente, ignoravano addirittura la natura vulcanica del territorio (non dimentichiamo che la sua for-ma era molto diversa dall’attuale e da quella dell’Etna e di Stromboli, vulcani attivi che i Romani ben conoscevano).

Fig.6 – Particolare di un bassorilievo che mostra gli edifici del foro di Pompei scossi dal terremoto

Diversi studiosi ipotizzano che il risveglio del Vesuvio fosse stato annunciato con grande anti-cipo da un forte terremoto che scosse l’area circumvesuviana nel 62 o nel 63 d.C. (Fig.6). Le scosse durarono alcuni giorni facendo danni gravi a Pompei e Ercolano, modesti a Napoli, Nola, Nocera. La limitata estensione dell’area significativamente danneggiata suggerisce che si trattas-se di terremoti di relativamente basse magnitudo e profondità, quali avrebbero potuto essere se dovuti a movimenti di magma dalle parti della camera magmatica. Da allora e fino al 79 la terra deve essere stata scossa con una certa frequenza. Riferisce in-fatti Plinio il Giovane: “Si erano già avuti per molti giorni dei leggeri terremoti, ma non avevano prodotto molto spavento, essendo un fenomeno ordinario in Campania,….". Di frequenti terremoti non molto tempo prima dell’eruzione scrive anche Dione Cassio (150-235 d.C.) e fanno testimo-nianza le riparazioni provvisorie e i lavori di ripristino in corso in diverse case di Pompei.

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La fase iniziale Prima (qualche ora?) delle 13 del 24 Agosto il magma si aprì la strada verso la superficie attraver-so un'esplosione (od una serie di esplosioni) nella quale l'interazione tra magma e acqua contenuta negli strati di roccia attraversati ebbe un ruolo fondamentale.

Fig.7 – L’inizio dell’eruzione: da una colonna eruttiva alta pochi km cadono sottovento ceneri bianche che am-mantano il vulcano e le sue pendici orientali fino a toccare i primi contrafforti appenninici. Le curve colorate so-no linee isopache (cioè di uguale spessore, indicato in cm) del deposito di cenere. L’area rossa trasparente fu coperta da flussi piroclastici a bassa concentrazione di particelle, relativamente poco energetici ma comunque capaci di arrecare forti danni alle ville isolate incontrate sul loro percorso. I cerchietti bianchi mostrano l’ubica-zione dei siti di campionamento e misura.

Per immaginarsi questo fenomeno si pensi a quanto succede quando qualche goccia di acqua cade in una padella nella quale dell’olio è stato portato a temperatura vicina all’ebollizione: le goc-ce d’acqua, a contatto con l’olio che si trova a temperatura molto più alta di quella alla quale l’ac-qua bolle, vaporizza e si espande istantaneamente e, nel far questo, “frammenta” la superficie dell’olio e ne proietta violentemente all’esterno minute particelle. Se qualcuno ha avuto la disav-ventura di essere colpito dagli schizzi, si è ben reso conto che le bruciature non sono provocate dal vapor d’acqua, ma da goccioline, molto più calde ed ustionanti, di olio. È possibile che l'inne-sco dell'eruzione sia stato anche un'esplosione puramente freatica, legata cioè alla decompres-sione di un acquifero superficiale riscaldato dal magma avvicinatosi all’acquifero nel corso della sua ascesa, senza tuttavia entrare in contatto con esso. L'abbassamento della pressione di carico indotto da tale esplosione può avere indotto le condizioni perché il magma abbia potuto aprirsi velocemente la strada verso la superficie, interagendo con l'acquifero attraversato, e frammentan-dosi minutamente.

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tale situazione si mantenne fino a che la pressione della miscela costituita da gas e gocce di mag-ma in risalita nel condotto restò inferiore alla pressione operante sulla falda freatica, con l'acqua che aveva accesso al condotto. Si formò una nube eruttiva relativamente bassa ed instabile dalla quale ricaddero sottovento (verso Est), e su estensioni relativamente modeste, ceneri biancastre che la-sciarono un deposito (UE1 in fig.5) di pochi centimetri (Fig.7). A volte, a causa della temperatura relativamente bassa della nube, satura in vapor d'acqua, la cenere si era agglutinata in sferette umi-de dette pisoliti. L’instabilità della basse nube eruttiva era tale che da essa si staccavano a più ripre-se piccoli flussi a bassa concentrazione di particelle che, scorrendo veloci lungo le pendici occiden-tali del vulcano, acquistavano energia sufficiente a distruggere case e ville isolate. Già questi primi fenomeni furono tali da spaventare (e giustamente!) gli abitanti della zona: si pensa infatti che la richiesta di aiuto a Plinio il Vecchio, da parte di Rectina, una nobile donna che viveva nella campagna di Ercolano, sia proprio legata a questi eventi: "….. gli venne consegnata una lettera da parte di Rectina, moglie di Tasco, la quale, terrorizzata dal pericolo incombente …….. lo pregava che la strappasse da quel frangente così spaventoso….". Una curiosità riguarda il nome Rectina (o Retina) che, secondo qualcuno sarebbe una variante di Resina (altro nome di Ercolano), con una traduzione che vedrebbe la richiesta di soccorso non di un singolo ma della cittadina. La fase principale pliniana Tra le 13 e le 20 del 24 Agosto: la pioggia di pomici bianche (UE2f in fig.5) – Nel substrato del vulcano il condotto vulcanico viene progressivamente allargato per erosione da parte della miscela gas-particelle, la portata eruttiva aumenta così come la pressione di gas della miscela in veloce a-scesa. Si creano le condizioni per la stabilizzazione di una colonna eruttiva la cui altezza cresce progressivamente, acquistando una forma simile a un immane pino. "Il 24 agosto, verso l'una del pomeriggio……. spuntava una nube fuori dell'ordinario sia per la grandezza sia per l'aspetto., …….nessun'altra pianta meglio del pino ne potrebbe riprodurre la forma. Infatti slanciatosi in su in modo da suggerire l'idea di un altissimo tronco, si allargava poi in quelli che si potrebbero chiamare dei rami, credo che il motivo risiedesse nel fatto che, innalzata dal turbine subito dopo l'esplosione e poi privata del suo appoggio quando quello andò esaurendosi, o anche vinta dal suo stesso peso, si dissolveva allargandosi; talora era bianchissima, talora sporca e macchiata, a seconda che aveva trascinato con sè terra o cenere…..”.

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Fig.8 - 24 Agosto tra le 13 e le 20: seconda fase dell’eruzione: schematica e semplificata rap-presentazione dei rapporti tra fenomeni esterni e dinamica della camera magmatica.

Plinio il Vecchio, uomo si scienza e comandante della flotta, non poteva rimanere inerte di fronte a quanto stava avvenendo: “ Fa uscire in mare delle quadriremi e vi sale …. per venire in soccorso …. a molta gente, poichè quel litorale …era fittamente abitato. Si affret-ta colà donde gli altri fuggono e punta … nel cuore del pericolo, .. .. .. Detta e annota ..le evoluzioni e… le configurazioni di quel cataclisma, …. ”. Siamo ormai nel tardo pomeriggio del 24; fin da poco dopo le 13, l'acqua freatica non ha più pressione sufficiente per accede-re al condotto e l’eruzione è ora totalmente magmatica. Il magma viene spillato dalle por-zioni superiori della camera, da profondità via via crescente man mano che aumenta la portata (cioè la quantità di magma che viene estratta nell’unità di tempo). Per compensare la perdita di massa legata allo svuotamento, il magma che rimane nella camera vescicola (si formano cioè delle bolle che lo “gonfiano”) e mantiene costante il suo volume. Intorno alle ore 20 la colonna eruttiva ha raggiunto l’altezza di circa 26 km, il tasso erut-tivo è di 70 milioni di kg/s e la profondità di estrazione nella camera è di circa 60 metri, ben lontana

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dall'interfaccia tra magma superiore ed inferiore (Fig.8). A questo momento sono stati eruttati cir-ca 4 km3 di pomici bianche a composizione fonolitica con densità media di 500-600 kg/m3 (all’incirca equivalenti ad 1 km3 di magma liquido), che si sono disperse verso Sud-Est coprendo vastissime aree. A Pompei la copertura di pomici ha uno spessore di oltre 130 cm (fig.9). Nella camera sono ancora presenti almeno 3-3.5 km3 di magma; la stratificazione della camera è anco-ra integra, e circa il 20-25% del volume è occupato da bolle di gas. Dove lo spessore del deposito supera i 50-60 cm, che corrispondono ad un carico di 2-300 kg/m2, diversi tetti delle abitazioni crollano.

Fig.9 - 24 Agosto tra le 13 e le 20: seconda fase dell’eruzione. Dalla colonna eruttiva in progressivo in-nalzamento piovono pomici bianche fonolitiche (UE2 in fig.5). A sinistra: la distribuzione a terra dei de-positi di caduta è mostrata dalle curve isopache (di uguale spessore di deposito, espresso in cm); a de-stra: l’intero deposito di caduta come appare oggi a Bottaro, appena fuori Pompei verso il Vesuvio.

Le citta` sopravento, come Miseno e Ercolano, rimangono al di fuori di questa pioggia. A Miseno la situazione doveva essere rimasta tutto sommato vivibile: Plinio il Giovane passa la serata in modo pressochè normale: "…..poi il bagno, la cena ed un sonno agitato e bre-ve". Ma a Ercolano gli abitanti sono terrorizzati per i boati che arrivano dal Vesuvio e per il continuo scuotimento del suolo. La popolazione cerca scampo nella fuga dalla cittadina che ormai deve apparire condan-nata: nel mare molti vedono la possibilità di salvezza. A migliaia si riversano sulla stretta spiaggia e ogni imbarcazione viene presa d’assalto e, stracarica, prende faticosamente il mare. In molti, probabilmente, riuscirono a salvarsi, ma molti perirono.

Roberto Santacroce

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24 Agosto intorno alle 20 Le prime colate piroclastiche - Lo svuotamento parziale della camera magmatica e l’ebollizione che ormai interessa anche il magma inferiore, fanno diventare instabile fino alla rottura l'interfaccia che separa i due corpi magmatici (fig.10). Data la densità molto simile dei due magmi (il magma ba-sico è privo di cristalli), ora a contatto diretto, la stratificazione originaria viene completamente di-strutta e i magmi si mescolano in maniera turbolenta. Nel breve intervallo di tempo che passa tra il passaggio da uno stato di sostanziale staticità ad uno di agitazione turbolenta che interessa tutto il volume di magma presente nella camera, il tasso eruttivo subisce una momentanea diminuzione e la colonna eruttiva collassa originando una o più colate piroclastiche di ceneri e pomici (UE2pf in fig.5). Il magma estratto è ora una una specie di emulsione tra liquidi a composizione diversa che, quando frammenta dà luogo a gocce che possono essere non omogenee. Nei depositi lasciati in questi momenti si rinvengono sia pomici bianche provenienti dal magma superiore “puro” che pomi-ci grigie "miste", nelle quali, al microscopio elettronico, si riconoscono porzioni di entrambi i magmi. Più raramente l’eterogeneità è visibile anche macroscopicamente (pomici a bande chiare e scure). Le colate hanno dimensioni ed energia relativamente modeste e si espandono per 6-7 km nei qua-dranti meridionali dell'area vesuviana, non impedite dalle pareti della caldera che qui sono più bas-se, danneggiano gravemente alcune ville sulle pendici meridionali del Vesuvio e investono Oplonti e Ercolano.

Fig.10 – A destra: 24 Agosto intorno alle 20: si rompe l’interfaccia diffusivo e i magmi si mescolano. La colonna erutti-va collassa e si formano flussi piroclastici che raggiungono e devastano Ercolano e Oplonti (alto a sinistra). In basso a sinistra la pianta degli scavi di Ercolano con indicazione (1 e 2) di sezioni stratigrafiche che verranno richiamate nel testo. In grigio chiaro le zone archeologiche ancora sepolte.

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Fig.11 – A: I depositi di flusso piroclastico sulla parete meridionale degli scavi di Ercolano (n.1 nella pianta di fig.10,; le sigle si riferisconmo alla colonna stratigrafica di fig.5); B: gli scavi di Ercolano fotografati dalla sommità della parete A. In primo piano, a destra, le Terme Suburba-ne con accanto le rimesse per barche nelle quali (C) sono stati rinvenuti 300 scheletri di vittime del primo flusso piroclastico (UE2pf). Da notare che la linea di riva del 79 d.C si trova circa 4 metri sotto l’attuale livello del mare, coperta dal sottil deposito del flusso UE2pf.

Esse non sono invece capaci di oltrepassare significativamente la barriera settentrionale, l’at-tuale Monte Somma. Molti degli abitanti delle zone colpite trovano la morte già in questo momen-to. A Ercolano, in 12 rimesse per barche allineate lungo la spiaggia, sono circa 300 gli scheletri degli sfortunati che non fecero in tempo a salvarsi (fig.11). Recenti studi indicano che per essi la morte fu istantanea e dovuta a shock termico fulminante e non a soffocamento (che si pensa sia invece la causa della morte di molti individui a Pompei). Il primo flusso che colpì Ercolano (UE2pf) aveva una bassa concentrazione di particelle, una temperatura molto alta (500° suggeriti su con-siderazioni “mediche” per le vittime della spiaggia, valori molto più elevati dei 220-280° ottenuti dai dati di Magnetizzazione Termica Rimanente (TMR) comunque riferiti al deposito e non alla nube al momento dell’impatto) e si muoveva in modo turbolento con velocità non nota né stimata: si trattava quindi di un tipico “surge piroclastico” nella definizione che di questo fenomeno è stata data al momento del riconoscimento della sua esistenza. Esso non aveva comunque capacità di-struttiva e di trasporto elevate: sono pochi, infatti, i danni indotti sulle costruzioni dal suo passag-gio come testimoniato dall’assenza di manufatti nei sottili depositi lasciati. A conferma che al mo-mento del suo passaggio Ercolano era già stata quasi totalmente evacuata è l’assenza di resti umani all’interno della cittadina. Il surge continuò ad avanzare fino a quando raggiunse il bordo della falesia dove il salto di una decina di metri indusse il brusco scarico sulla spiaggia della sua porzione basale, più densa che uccise le centinaia di individui che non erano riusciti a scappare.

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Fig.12 – Tra la sera del 24 e la prima mattina del 25 Agosto: continua la pioggia di pomici (ora sono grigie, UE3f in fig.5) accompagnata da ripetuti collassi parziali di colonna con formazione di colate piroclastiche (UE3pf). A: Le curve isopache delle pomici grigie (spessori in cm) mostrano la distribuzione a terra dei depositi di caduta; l’area sfumata racchiusa nella sottile linea bianca dà un’idea della superficie coperta dai diversi flus-si piroclastici che scesero lungo le pendici del vulcano nella notte. B: la situazione della camera magmatica nella tarda nottata tra il 24 e il 25.

Da poco dopo le 20 del 24 Agosto alla prima mattina del 25: pioggia di pomici grigie e cola-te piroclastiche (UE3f e UE3pf in fig.5) - La colonna eruttiva si rialza rapidamente al di sopra del vulcano raggiungendo, intorno all'una di mattina del 25 Agosto, la sua massima estensione verticale (32 km). È questo il momento nel quale anche la portata eruttiva e la profondità di estrazione all'inter-no della camera raggiungono i loro massimi valori (150 milioni di kg/s e 80-100 m rispettivamente). Sotto la spinta dai venti in quota, che non hanno cambiato sostanzialmente la loro direzione rispetto alla fase di deposizione delle pomici bianche, grandi quantità di pomici grigie "miste" fonotefritiche si depositano su enormi aree a sudest del vulcano (fig.12A). Sotto il peso delle pomici i tetti collassano fin oltre Stabia. Nella camera il processo di mescolamento procede vorticosamente e la massa mag-matica, raggiunto l'equlibrio termico (~970-1000°C), si avvia alla completa ibridizzazione. Circa il 50% della massa di magma originariamente presente è stata drenata, e la collosità del magma rimasto nella camera è ormai molto spinta (fig.12B). Tra l'una e le sei del mattino, il tasso eruttivo comincia a ridursi e la colonna subisce una serie di pulsazioni, in coincidenza delle quali dalle parti esterne della colonna si staccano colate piroclastiche che raggiungono di nuovo Oplontis ed Ercolano, ormai de-serte, e le seppelliscono. La parete settentrionale della caldera viene scavalcata dalle porzioni più diluite delle colate che raggiungono anche Pompei. L’instabilità della colonna e i ripetuti collassi sono associati a violente scosse di terremoto, “….quella notte ... Le scosse assunsero una tale veemenza che tutto sembrava non muoversi, ma capovolgersi”, e l'ingresso in mare delle colate piroclastiche ha alterato profondamente la batimetria di quella parte del golfo di Napoli prospiciente il Vesuvio verso la quale si era diretto Plinio il Vecchio, costretto a cam-biare rotta e a dirigersi su Stabia (fig.13): "…..ormai si era creato un bassofondo improvviso e una frana della montagna impediva di accostarsi al litorale…."

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Fig.13 – La rotta seguita dalle quadriremi di Plinio il Vecchio dal pomeriggio del 24 Agosto alla primissi-ma mattina del 25

Quanto un’eruzione come quella del 79 d.C. sia capace di cambiare la configurazione del ter-reno nelle poche ore della sua durata può essere valutato dallo spostamento della linea di riva approssimativamente mostrato in fig.14 rispetto alla situazione attuale, ma certamente più marca-to se consideriamo i circa cinque metri di abbassamento che il suolo ha fatto registrare in quest’a-rea dal 79 d.C. a oggi.

Grafica di Aniello Langella. Il “viaggio” di Plinio da Miseno a Villa Pomponiano.

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fig.14 – A sinistra: veduta aerea di Ercolano e del Vesuvio sulla quale vengono indicate con la traparenza biancastra le principali differenze morfologiche tra la morfologia attuale e quella del 79 d.C.. In particolare il cono del Vesuvio (le cui lave hanno tracimato e coperto l’orlo calderico a sud) cresciuto dopo il 79 e la linea di costa molto più arretrata rispetto all’attuale nonostante l’abbassamento (5 metri) del livello del mare. La freccia nera indica la via lungo la quale, con ogni probabilità, uscendo dal Fosso della Vetrana come le lave del 1944, le colate piroclasti-che del 79 scesero su Ercolano. A destra: le colate piroclastiche della notte tra il 24 e il 25 Agosto (UE3pf in figg. 5 e 11) distrussero Ercolano, abbattendo colonne, muri e solai, i cui resti si rinvengono nei depositi che hanno lasciato.

Non è facilmente ricostruibile il momento in cui le quadriremi di Plinio il Vecchio, col vento in poppa, arrivano a Stabia. Forse intorno alle dieci di sera (e allora la “frana della montagna” è riferibile alle primissime colate che giungono a Ercolano - UE2pf, cosa che il basso spessore dei depositi non sembra indicare) oppure nella notte mentre cadono le po-mici grigie (e in questo caso a Ercolano sono già arrivati diversi flussi (UE3pf). Al loro arrivo le navi trovano calca sui moli e grande confusione: molti vorrebbero salire sulle navi e fuggire immediatamente. Il vento, però, non è favorevole e Plinio sbarca, fa un bagno, si rifocilla e, forse approfittando di una pausa nell’eruzione, “si abbandonò al riposo e riposò di un sonno certamente genuino”.

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Man mano che continuano l’estrazione di magma e la pioggia di pomici grigie, il livello di fram-mentazione si abbassa ulteriormente e scende dentro la camera, il cui svuotamento non può più essere compensato dall'aumento di vescicolazione del magma, senza che questo frammenti. A questo punto è ipotizzabile qualche cedimento delle pareti della camera. La portata eruttiva au-menta bruscamente e non è più compatibile con il mantenimento di una colonna sostenuta (Fig.15): si ha il collasso totale della colonna medesima, con formazione di grandi colate piroclasti-che che si espandono tutto intorno al vulcano lasciando potenti depositi di cenere e pomici. La bar-riera del Monte.Somma viene scavalcata e le distruzioni si estendono fino alla zona di Ottaviano. Le nubi di cenere associate alle colate piroclastiche raggiungono anche Pompei, dove lasciano sottili livelli al tetto del deposito di caduta di pomici grigie: esse non hanno in carico massa suffi-ciente per abbattere le strutture, ma la loro temperatura e il loro contenuto in cenere fine sono pro-babilmente letali per molti esseri viventi.

Fig.15 – Prima mattina del 25 Agosto: fine della fase pliniana. A: La colonna pliniana collassa totalmen-te; colate di cenere e pomici scendono dal vulcano espandendosi in tutte le direzioni (l’area sfumata racchiusa nella sottile linea bianca dà un’idea della superficie coperta); B: il livello di frammentazione del magma è sceso nella camera magmatica le cui pareti cominciano a cedere.

La fase di caduta delle pomici grigie, dal momento in cui la colonna ha cominciato ad assumere carattere pulsante e a generare ripetute colate di cenere e pomici (intorno all’una di notte), è ac-compagnata da forte scuotimento del suolo in tutta l’area circumvesuviana. A Miseno “quella notte le scosse assunsero una tale veemenza che tutto sembrava non muo-versi, ma capovolgersi”. Plinio il Giovane si sveglia ed è costretto a uscire di casa.

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Il collasso del vulcano e la fine dell’eruzione Mattina del 25 Agosto: cedimento della camera magmatica ed esplosione del serbatoio geoter-mico (fig.16) – Più o meno mentre Plinio il Vecchio viene svegliato a Stabia prima che lo spessore delle pomici al suolo gli impedisca di uscire dalla stanza, la pressione dei gas magmatici nel condot-to e nella camera è fortemente ridotta; si accentuano i cedimenti delle pareti della camera e il ser-batoio geotermico, come una enorme pentola a pressione cui si sia rotto il coperchio, subisce una violenta ed esplosiva decompressione (probabilmente rivelata dai forti terremoti avvertiti all'’alba) e i fluidi ad alta temperatura in esso contenuti hanno accesso alla camera. La miscela costituita da gas magmatici e fluidi geotermici, frammenti di magma liquido e di rocce solide delle pareti della camera e delle rocce incassanti l’acquifero geotermico risale a gran velocità verso la superficie, craterizzan-do la bocca di fuoriuscita. L’eruzione, che forse aveva avuto una breve pausa, riacquista nuovo for-tissimo vigore, marcato prima dal riinnalzarsi per breve tempo di una colonna eruttiva che raggiun-ge i 20-25 km e poi, collassata la colonna, da un flusso piroclastico, turbolento, a bassa concentra-zione di particelle che, simile ad una altissima onda, si espande radialmente a grande velocità la-sciando un deposito sottile, ricco in frammenti litici provenienti dalle pareti dell’acquifero geotermico. Il deposito lasciato dalla ricaduta sottovento delle particelle contenute nella nube (UE4 in fig.5) è più sottile dei precedenti per la breve durata di questa fase eruttiva (non più di mezz’ora) ed è caratte-rizzato da pomici meno bollose, e quindi più dense, rispetto a quelle eruttate durante la fase mag-matica e da una grande quantità di frammenti di roccia solida.

Fig.16 – L’Unità Eruttiva UE4, otto di mattina del 25 Agosto. A: distribuzione dei prodotti di caduta (sono indicati gli spessori in cm delle curve isopache, in nero) e di flusso (l’area sfumata racchiusa nella sottile linea bianca dà un’idea della superficie coperta). B: il collasso della camera magmatica provoca la de-compressione esplosiva del sistema geotermico e, dopo il breve episodio di colonna sostenuta (non illu-strato), la formazione di devastanti surges piroclastici. E’ questo il momento del completamento della di-struzione di Pompei, finora solo sfiorato dai flussi piroclastici.

Roberto Santacroce

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A Miseno, poco dopo l’alba, Plinio il Giovane messosi in cammino per uscire dal paese “…siccome le costruzioni che ci stavano all'intorno erano ormai malconce .... c'era da temere che, ….crollassero…” , assiste a molti fatti sbalorditivi: “…i carri ….sbandavano … e non rimanevano fermi al loro posto neppure se venivano bloccati con pietre; …. il mare si riassorbiva in se stesso … quasi fatto arretrare dalle vibrazioni telluriche; dall'altra parte (del golfo di Napoli) una nube ne-ra e terrificante si squarciava emettendo delle fiamme dalla forma allungata……..calò sulla terra e ricoperse il mare: aveva già avvolto e nascosto Capri…” A Stabia “i caseggiati traballavano e…. lasciavano l'impressione di sbandare ora da una parte ora dall'altra e poi di ritornare in sesto”, e mentre "…altrove era già giorno, là invece era una notte più nera e più fitta di qualsiasi notte…". E' probabilmente questo il momento della morte di Plinio il Vecchio: "….sdraiato su di un panno steso a terra, chiese a due riprese dell'acqua fresca e ne bevve. Poi delle fiamme e un odore di zolfo … spingono gli altri in fuga e lo ridestano. Sorreggen-dosi su due semplici schiavi riuscì a rimettersi in piedi, ma subito stramazzò…..l'atmosfera troppo pregna di cenere gli soffocò la respirazione e gli otturò la gola…". La morte di Plinio il Vecchio viene narrata dal nipote come dovuta ad asfissia indotta dalla cenere, senza che venga riferita ingiuria alcuna subita dai compagni che lo accompagnavano e dagli schiavi che lo reggevano, che pure respiravano la stessa aria. Si tratta di dimenticanza (o di scarsa imporatanza data alle vicende di altri che non fossero lo zio) di Plinio il Giovane o di chi a lui ha riferito? oppure delle conseguenze dell’essersi Plinio il Vecchio sdraiato e aver dormito in un ambiente probabilmente pieno di gas tossici, più pesanti dell’aria (l’anidride carbonica primo fra tutti) e per questo concen-trati verso il basso? oppure ancora la morte fu indotta da infarto o altra causa “non vulcani-ca” (Plinio il Vecchio peraltro veniva riportato in splendida forma)? I depositi lasciati da questi fenomeni sono quelli contrassegnati dalla sigla UE4 in fig.4. Dopo la violentissima serie di esplosioni l'eruzione, pur perdendo energia, prosegue con la formazione di colate di cenere più dense, meno veloci che si incanalano nelle depressioni e depositano a quote non inferiori ai 3-400 metri (UE5 in fig.5). Quello che restava di Pompei viene raso al suolo. Le ceneri cadono anche a Miseno, dove:“….si fece notte, non però come quando non c'è luna o il cielo è ricoperto da nubi, ma come a luce spenta in ambienti chiusi.

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Fig.17 – Il collasso calderico e le fasi finali dell’eruzione. A: l’area sfumata racchiusa nella linea bian-ca tratteggiata dà un’idea della superficie coperta dai depositi di flusso riferibili al collasso calderico e alle fasi finali dell’eruzione (UE5-6-7-8 di fig.5). B: la maggior parte del magma è stato estratto; il si-stema collassa e induce lo sprofondamento della caldera accompagnato dalla messa in posto di cola-te piroclastiche dense, molto eterogenee, povere di materiale juvenile (UE6) probabilmente emesse attraverso le fratture anulari che hanno guidato lo sprofondamento.

Lo sprofondamento calderico e la fase calante dell’eruzione Ormai quasi completamente svuotata dal magma e strutturalmente devastata dalle esplosioni in essa avvenute, la camera magmatica collassa e provoca lo sprofondamento della massa di rocce sovrastanti. In superficie si forma una vasta depressione (caldera) che modifica profondamente la geometria del vulcano (Figure 17-18). L'evento è accompagnato dalla messa in posto di colate piroclastiche molto dense con modesta estensione, i cui depositi, con spessore fino a 15 metri, sono costituiti da frammenti di dimensioni molto diverse, provenienti da tutta la serie di rocce compresa tra la camera magmatica e la superfi-cie, e da cenere magmatica non abbondante (UE6 in fig.5). È probabile che i flussi che hanno origi-nato questi depositi siano stati emessi dalle fratture anulari lungo le quali sarebbe avvenuto lo spro-fondamento (si pensi a qualcosa di simile ad un pistone che si abbassa all’interno di un cilindro con-tenente un fluido, con il diametro interno del cilindro leggermente maggiore di quello del pistone). Subito dopo la formazione della caldera, l'eruzione ha l’ultimo vigoroso sussulto, con una violen-ta esplosione che genera una seconda nube turbolenta ad alta energia che fuoriesce ancora dalle fratture anulari e si espande radialmente su una superficie ormai devastata dai flussi precedenti, raggiungendo anche Pompei e Stabia. Questa nube lascia dei depositi (UE7) del tutto simili ai de-positi dell’UE4, tipici per la presenza di scorie dense e ricche di cristalli.

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Le fasi finali, calanti, dell'eruzione marcano il progressivo esaurimento di magma che interagi-sce con fluidi, sempre più freddi e, relativamente al magma, sempre più abbondanti, riversatisi in quel che resta della camera dal sistema di acquiferi superficiali squinternato dal collasso calderi-co. L'attività è pulsante, con numerosi eventi esplosivi succedutisi, forse rapidamente, nel tempo. In superficie si formano basse nubi eruttive ricche in vapore acqueo da cui si originano sia per ca-duta diretta dalla nube che per scorrimento sul terreno dei depositi di cenere ricchi in pisoliti che si trovano in tutta l'area intorno al cratere. La durata complessiva di questa fase di esaurimento dell'eruzione non è nota. I depositi (UE8 in fig.4) sono ricchi in frammenti di rocce solide. È inte-ressante rimarcare la presenza di pomici bianche fonolitiche identiche a quelle deposte da UE2; è ipotizzabile che tali pomici siano testimoni del "recupero" nell'eruzione di piccole sacche di mag-ma al tetto della camera non coinvolte nell'estrazione iniziale e nel mescolamento. A Stabia la lu-ce del sole riapparve solo tre giorni dopo la morte di Plinio il Vecchio, il cui cadavere “….fu ritrovato intatto, illeso e rivestito degli stessi abiti che aveva indossati: la maniera con cui si pre-sentava il corpo faceva più pensare ad uno che dormisse che non ad un morto”. La circostanza indica, forse, la durata (minima) della fase finale dell’eruzione e, certamente, l’assenza di significativi sconvolgimenti subiti dalla cittadina ad opera dei fenomeni successivi alla nube di cenere legata alla colata piroclastica dell’UE4. A Miseno il buio e la caduta di cenere du-rano solo alcune ore: Plinio il Giovane, la madre e gli sfollati con loro le passano fuori dell’abitato, seduti o accasciati a terra, quasi in rassegnata attesa degli eventi: “….di nuovo il buio e di nuovo cenere densa e pesante. Tratto tratto ci alzavamo in piedi e ce la scuotevamo di dosso…” . Quan-do, “...finalmente quella oscurità si attenuò ……. sottentrò il giorno genuino e risplendette anche il sole, ma livido, come suole apparire durante le eclissi. ……. tutte le cose si presentavano …..coperte di una spessa coltre di cenere come se fosse stata neve”, Plinio rientra a Miseno “….e preso quel po' di ristoro che ci fu possibile, passammo … una notte ansiosa ed incerta”.

Fig.18 – Sopra: variazioni morfologiche del Vesuvio dal 79 d.C. a oggi (da sinistra = prima dell’eruzione, dopo l’eruzione, oggi. – Modello Digitale del Terreno di Pareschi et al.). Sotto: elaborazione prospettica di una ortofoto digitale mostrante l’urbanizzazione pressochè totale dell’area vesuviana. E’ indicata la posizione di Torre Annunziata (Oplonti), mentre Ercolano e Pompei sono appena fuori dall’immagine. (Laboratorio Geomatica e Cartografia OV-INGV, Napoli)

Roberto Santacroce

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I danni e le vittime Il numero delle vittime dell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. non è noto, come peraltro non è noto il numero degli abitanti che all’epoca vivevano nell’area devastata. Abbiamo già parlato dei circa 300 scheletri rinvenuti sulla spiaggia di Ercolano e di come essi fossero gli ultimi rimasti in una città che alle otto di sera del 24 Agosto era stata completamente evacuata. Nella città di Pompei, fino al 200-3, erano stati rinvenuti i resti è di 1150 vittime, 1044 delle quali come corpi ben riconoscibili, e si sti-ma che le parti ancora non scavate della città, nell’assunzione di una analoga densità di ritrovamento, possano contenerne altri 450-500. Dalla loro posizione nella successione piroclastica è possibile sapere che il 38% delle vittime è stato ucciso durante la pioggia di pomici, soprattutto in conseguenza del crollo di solai o di pareti sotto il peso crescente del deposito. Il re-stante 62% ha trovato la morte all’arrivo del surge piroclastico UE4 nella prima mattina del 25 Ago-sto. Anche se in alcuni siti l’energia dei flussi piroclastici, probabilmente canalizzati nelle abitazioni o in strette viuzze, fu sufficiente a mutilare i corpi delle vittime, in genere tali corpi sono non scompagi-nati e spesso intatti. Questo suggerisce che a Pompei la più frequente causa di morte fu l’asfissia. provocata dalla cenere. La morte fu probabilmente molto rapida, anche se la posizione di alcuni calchi suggerisce che alcuni individui sopravvissero all’impatto iniziale e cercarono di solleva-re la testa e il busto durante l’accumulo, livello dopo livello, del materiale deposito dalla base del flusso piroclastico (fig.19). Nella recente letteratura scientifica non c’è molta chiarezza sulle tempe-rature dei flussi piroclastici di Pompei. Diversi dati (stato di conservazione dei dipinti e degli oggetti di legno, presenza di pisoliti nei depositi, postura dei calchi, osservazioni antropologiche sulle ossa) sembrano indicare che tali temperature fossero relativamente basse, intorno ai 100° per i flussi con-tenenti pisoliti. In apparente contrasto con queste indicazioni, le stime effettuate attraverso misure di magnetizzazione termica rimanente (TRM) suggeriscono possibili temperature dei depositi di flusso relativi a UE4 di 250-300°C. La soluzione di questa apparente discordanza di dati potrebbe concer-nere l’attribuzione del livello stratigrafico di rinvenimento delle vittime dei flussi, che forse non è rife-ribile alla UE4, ma a una Unità Eruttiva successiva, più fredda. In ogni caso sembra certo che a Pompei non vi siano state vittime per fenomeni di shock termico fluminante quali quelli ipotizzati per Ercolano. Di conseguenza, ove la alta temperatura del deposito di flusso UE4 sia corretta (implicando possibilità di sopravvivenza nulla nella città), i flussi piroclastici successivi avrebbero fatto centinaia di vittime tra coloro che, prima fuggiti e scampati alla fase più dura dell’eruzione, sa-rebbero poi troppo rapidamente rientrati in città.

Fig.19 – A sinistra: Calchi in gesso di corpi trovati nella “Casa di Stabiano” (Regio I, Insula 22) a Pompei. I corpi giacciono sopra una successione che arriva fino al livello di flusso piroclastico E1+E2 (=UE4) e sono coperti da un deposito di cenere a pisoliti (F), ancora riferibile a UE4, nel quale sono contenute tegole (la freccia ne indica una) e travi di legno (asterischi). I corpi sono integri e senza marcati segni di traumi. A destra: calco nel “Giardino dei Fuggitivi” che ha “congelato” l’estremo tentativo della vittima di tenere sollevata la testa al di sopra del deposito piroclastico in progressiva crescita . (Modif. da Luongo et al., 2003 b)

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Il numero degli abitanti di Pompei al tempo dell’eruzione è ancora oggetto di dibattito e le sti-me variano tra 6.000 e 20.000, con una percentuale di popolazione fuggita dalla città variabile tra il 75 e il 90%. Ma quanti di coloro che riuscirono a fuggire (e non rientrarono troppo precocemen-te!) si salvarono effettivamente? Difficile, forse impossibile dirlo. Gli oltre 230 corpi trovati negli scavi effettuati nei dintorni di Pompei sono molti se confrontati con le modeste aree scavate e fan-no sospettare che la percentuale di Pompeiani sopravvissuti sia stata molto inferiore a quella dei fuggitivi. Oltre che tantissime vittime, l’eruzione del 79 d.C. provocò danni gravissimi all’economia: tra le notizie quasi curiose citiamo la scomparsa quasi totale delle anfore campane da vino, ora che Roma è costretta a imporatre vino dalla Gallia, e la fine del lucroso commercio del”garum”** per il quale Pompei era famoso. I tempi del reinsediamento non furono rapidissimi: se intorno al 90 d.C. Stabia era già in forte ripresa e nel 121 viene ripistinata l’importante strada che la collega-va a Nocera, le zone di Portici e di Torre del Greco vengono rioccupate tra il II e il IV secolo e quelle di Pompei ed Ercolano solo a partire dal III secolo. E nel 472 il Vesuvio si svegliò di nuovo…….Ma questa è un’altra storia.

** Prendere la bianca carne dello sgombro, aggiungerla a sardine e acciughe. Sminuzzare e mescolare il tutto su di un tagliere. Aggiungere del sale in grande quantità e fare riposare per tutta la notte. Versare quin-di in un contenitore, da lasciare poi aperto per alcuni mesi in un angolo soleggiato. Si otterrà un liquido fer-mentato da versare come salsa sullepietanze.

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APPENDICE Breve glossario Accumulo livello dopo livello (= aggradazione): sviluppo in verticale della stratificazione su superfici orizzontali. Acquifero: un insieme di strati rocciosi permeabili attraverso i quali l’acqua può muoversi. Acquifero geotermico: un acquifero nel quale circolano fluidi ad alta temperatura. Anidride carbonica: sostanza, gassosa in condizioni standard, di formula CO2. Basico: aggettivo usato per descrivere il chimismo di magmi e rocce magmatiche a contenuto relativamente basso in silice (tra il 44 e il 52% in peso). Blocco: frammento di roccia solida, a spigoli generalmente vivi e con diametro superiore ai 64 mm, espulso nel corso di eruzioni esplosive. Bocca eruttiva: apertura sulla superficie terrestre, di qualsiasi forma e dimensione, attraverso la quale il materiale vulcanico fuoriesce. Bomba vulcanica: frammento di roccia fusa o semifusa con diametro superiore ai 64 mm espulso nel corso di eruzioni esplosive. A causa del suo stato plastico, una bomba vulcanica può assumere forme diverse in funzione dell’attrito con l’aria durante il volo o dell’impatto al suolo. Caldera: grande depressione vulcanica a contorno in genere subcircolare (per definizione con diametro > 1 miglio) e pareti a forte pendenza, formatasi a seguito dello sprofondamento della copertura di camere magmatiche svuotate a seguito di eruzioni. Calderico: aggettivo di caldera. Camera magmatica: zona al di sotto della superficie terrestre dove si ha un accumulo di magma per tempi anche relativamente lunghi. Carbonatico: relativo a qualsiasi sostanza – liquida, cristallina o vetrosa – il cui costituente fondamentale è l’unità strutturale CO3 2 –. Cenere vulcanica: particelle fini (diametro inferiore ai 2 mm) emesse da una bocca eruttiva. Al momento dell’eruzione le particelle possono essere sia solide che fuse. Colata (o effusione) di lava: una fuoriuscita di magma come liquido continuo sulla superficie terrestre attraverso una bocca eruttiva. Colata di detrito: flussi laminari di sedimento e di acqua con proprietà plastiche nei quali la deposizione avviene in massa. Colata piroclastica: flusso di una miscela costituita da gas caldo, brandelli e gocce di magma, frammenti di rocce solide, cenere, cristalli, che può muoversi ad alta velocità (anche oltre i 100-150 km/ora) lungo i fianchi di un vulcano. Può generarsi quando la miscela eruttiva è troppo densa per formare una colonna eruttiva oppure per frana di duomi. Collasso: fenomeno rapido di crollo.

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Collasso di settore: scivolamento gravitativo di porzioni consistenti di un apparato vulcanico interessanti la sua parte sommatale. Colonna eruttiva: la colonna costituita da gas magmatici, particelle solide e fuse, aria che risale al di sopra di una bocca vulcanica nel corso di un’eruzione. In condizioni determinate di massa, densità e spinta essa può raggiungere altezze molto rilevanti (decine di km). Condotto vulcanico: il percorso idealmente tubulare seguito ripetutamente dal magma nella sua risalita verso la superficie. In genere il termine si riferisce alla parte apicale dei sistemi vulcanici. Conduzione termica: trasporto di calore per trasferimento diretto di energia da una particella all’altra, senza spostamento delle particelle. Convettivo: relativo alla convezione. Convezione termica: trasporto di calore attraverso lo spostamento di particelle e dell’energia termica che esse possiedono. Cratere: depressione imbutiforme formatasi per esplosione e eventualmente modificata nella forma da collassi del condotto di alimentazione. Densità: la misura di quanto sono compattati gli atomi costituenti una sostanza misurabile attraverso il rapporto peso/volume. Depositi piroclastici: depositi costituiti dal materiale frammentato (“clasti”) emesso nel corso di un’eruzione esplosiva e deposto al suolo: 1. per caduta da una colonna eruttiva (di caduta); 2. dal flusso nel quale era trasportato (di flusso). Differenziazione del magma: tutti i processi che conducono a cambiamenti di composizione del magma, una volta che esso si è formato, e non coinvolgono interventi esterni (come reazioni con le rocce solide incassanti o mescolamento tra magmi diversi. Diffusione (Diffusività): il movimento di materia attraverso la materia; capacità di una molecola a diffondersi in un “mare” di molecole di specie diversa: se per esempio una zolletta di zucchero è messa in una tazzina piena di caffè, le molecole di zucchero si spostano dalla superficie della zolletta nel caffè con una velocità che dipende dalla temperatura e da una proprietà chiamata diffusività. Duomo di lava: massa di lava viscosa accumulata sulla bocca eruttiva a formare una struttura a forma di duomo. Ebollizione: passaggio rapido dallo stato liquido allo stato aeriforme che consiste sostanzialmente nella formazione, nell’interno del liquido, di bolle gassose. Emulsione: miscela finissima di due liquidi che tendono comunque a mantenere la propria identità fisica (per esempio olio ed acqua), in virtù di una forte differenza di viscosità. Eruzione: il processo per il quale materiali liquidi, gassosi e solidi sono emessi sulla superficie e nell’atmosfera della Terra dall’attività vulcanica. Eruzione pliniana: eruzione esplosiva caratterizzata da tassi eruttivi molto elevati cui si associano alte colonne eruttive da cui ricadono, su centinaia o migliaia di km2, grandi quantità di materiale piroclastico.

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Esplosione: rapidissima decomposizione esotermica di una sostanza, accompagnata da un notevole sviluppo di gas, che determina un forte aumento di pressione. Esplosione freatica: esplosione causata dal surriscaldamento di acque sotterranee venute a contatto con rocce portate ad alta temperatura da una massa magmatica che non viene direttamente coinvolto nell’eruzione. Essoluzione: liberazione di componenti volatili che dalla fase liquida, in soluzione nel fuso magmatico, passano alla fase gassosa. Fase magmatica: fase eruttiva nella quale non sono coinvolti fluidi esterni al magma. Fluido idrotermale: un fluido caldo, prevalentemente acquoso. Fluido geotermico: un fluido ad alta temperatura, prevalentemente gassoso. Flusso piroclastico: i flussi piroclastici sono correnti di densità calde e gassose che viaggiano con velocità da 10 a 300 m/s. Le particelle sono costituite da frammenti juvenili (pomici, scorie, vetri), cristalli e litici. Questi flussi possono essere generati per parziale o totale collasso di una colonna eruttiva, per collasso gravitazionale o esplosivo di un duomo attivo o per semplice trabocco da cratere. Nella letteratura vulcanologica vengono distinte due tipologie di flusso, tra le quali vi è completa variabilità: colata piroclastica, flusso ad alta concentrazione di particelle i cui depositi tendono ad ispessirsi nelle depressioni topografiche; surge piroclastico, corrente turbolenta a bassa concentrazione di particelle, i cui depositi tendono a mantellare il substrato senza risentire della topografia. Fonolite: nome di magma e di roccia vulcanica a composizione evoluta, relativamente povera in silice. Fonolitico: relativo a fonolite. Frammentazione (del magma): il processo attraverso il quale il magma passa da continuo liquido (con bolle) a continuo gassoso (con gocce). Freatico: relativo a acque sotterranee. Freatomagmatico: relativo ad attività vulcanica comportante il contatto diretto tra acqua freatica e magma. Fusione: cambiamento di stato da solido a liquido. Fusione parziale: il processo magmatico nel quale una roccia fonde in parte, con percentuali che dipendono da quanto è stata superata la temperatura di inizio fusione – detta temperatura di solidus – generando un liquido con composizione chimica differente da quella della roccia iniziale. Gas magmatico: gas liberatosi dal magma nel quale era disciolto in soluzione. Geotermico: relativo al calore interno della Terra. Gradiente geotermico: l’aumento di temperatura per unità di profondità (°C/km). Ibridizzazione (tra magmi): processo fisico-chimico attraverso il quale due magmi diversi, entrati in contatto, dopo essersi equilibrati termicamente, si trasformano in un liquido omogeneo, chimicamente e fisicamente intermedio tra i due che lo hanno generato. Interfaccia diffusivo: superficie separante due liquidi a composizione, densità, viscosità o temperatura diverse attraverso la quale la materia si sposta da un liquido all’altro.

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Isopaca (linea isopaca): è la linea ideale che unisce tutti i punti in cui i depositi di un dato fenomeno – nel caso dei vulcani di una data eruzione – hanno lo stesso spessore. Juvenile: sinonimo di magmatico: si usa in genere quale attributo per indicare materiale di provenienza diretta dal magma (es. fluidi juvenili, cristalli juvenili, ecc.). Lapilli: materiale vulcanico con dimensioni medie comprese tra 2 mm e 64 mm. Lava: magma allo stato di liquido continuo che fluisce sulla superficie della Terra. Litico: frammento di rocce preesistenti strappato dalle pareti della camera magmatica e del condotto, dal magma in risalita verso la superficie. Livello di essoluzione: la profondità alla quale si realizza il fenomeno dell’essoluzione. Livello di frammentazione: la profondità alla quale si realizza il fenomeno della frammentazione. Magma: liquido, generalmente silicatico, ad alta temperatura contenente volatili in soluzione. Magmatico: relativo al magma (anche juvenile). Magnetizzazione Termica Rimanente (TMR): magnetizzazione acquisita da rocce contenenti minerali magnetici che sottoposte ad un riscaldamento si raffreddono in presenza di un campo magnetico esterno (normalmente è il campo magnetico terrestre). Questa magnetizzazione conserverà la direzione originaria del campo (in presenza del quale si è raffreddata) e non risentirà più delle sue variazioni. La TRM viene acquisita per tappe, durante il processo di raffreddamento ed è quindi suddivisibile in porzioni acquisite in distinti intervalli di temperatura. Magnitudo (di un’eruzione): è il volume – qualche volta la massa – di magma emesso. Mescolamento tra magmi: processo generico di contatto tra magmi diversi che può arrivare a dare magmi ibridi o emulsioni più o meno fini. Piroclastico: relativo a materiale frammentato (clastico) prodotto nel corso di eruzioni esplosive. Pisoliti: elementi più o meno sferici di dimensioni tra un millimetro ed un centimetro, formatisi per aggregazione di cenere o piccoli clasti attorno ad un nucleo umido. Pomice: frammento vetroso, vescicolato con densità spesso minore di 1000 kg/m3 (capaci cioè di galleggiare in acqua). Rappresentano porzioni bollose di liquido magmatico che vengono espulse violentemente e si raffreddano cosí velocemente da non avere il tempo di cristallizzare completamente. Possono essere afiriche, cioè prive di cristalli o porfiriche, con cristalli. Portata eruttiva (anche tasso eruttivo): la quantità di magma che esce nell’unità di tempo (kg/s). Precursore (fenomeno precursore): anomalie (anche di natura molto diversa) indicative dell’avvicinamento alle condizioni di accadimento di un evento (un’eruzione, un terremoto, ecc.). Quiescenza: stato di mancanza di attività del vulcano, molto probabilmente temporaneo. Scoria: frammento magmatico scuro, meno vescicolato e più denso rispetto alle pomici.

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Serbatoio geotermico: l’insieme di rocce permeabili, in genere circostante o comunque prossimo a una massa magmatica, nel quale circolano fluidi ad alta temperatura. Sezione stratigrafica: un taglio reale o ideale in una successione di terreni sovrapposti che ne mette allo scoperto i rapporti geometrici. Silicatico: relativo a qualsiasi sostanza – liquida, cristallina o vetrosa – il cui costituente fondamentale è l’unità strutturale SiO4 4 –. Silice: biossido di silicio, SiO2, il costituente chimico fondamentale dei silicati e dei magmi silicatici. Sismicità: la distribuzione geografica e storica dei terremoti sulla Terra. Stratigrafia: scienza che si occupa della descrizione di tutti i corpi rocciosi (stratificati e non) che formano la crosta terrestre e la loro organizzazione in unità distinte, cartografabili, caratterizzate da particolari proprietà. Surge piroclastico: corrente turbolenta a bassa concentrazione di particelle, i cui depositi tendono a mantellare il substrato senza risentire della paleotopografia (non presentano forti variazioni laterali di spessore come i flussi a più alta concentrazione di particelle). Tasso eruttivo: vedi portata eruttiva. Tefrifonolite: magma (o roccia magmatica) a basso contenuto di silice, mediamente evoluto. Temperatura: grandezza fisica che misura il calore di un corpo, cioè il grado di mobilità degli atomi che lo compongono. Terremoto: scuotimento della terra causata dalla rapida liberazione di energia elastica. Avviene quando le rocce sottoposte a sforzo raggiungono il limite di rottura e si fratturano. TMR = Magnetizzazione Termica Rimanente. Tufo: deposito vulcanico consolidato, formato da elementi più grandi detti clasti (pomici, litici e cristalli) e da una matrice costituita dagli stessi elementi di dimensioni inferiori (cenere). Il consolidamento è dovuto a fenomeni di alterazione prodotti dalla circolazione di fluidi all’interno del deposito che determinano la formazione di minerali secondari, di solito rappresentati da minerali argillosi e zeoliti che lo cementano. Turbolento: relativo a un fluido in movimento nel quale le linee di corrente sono molto irregolari e dominate da vortici: si realizzano in tale maniera notevoli mescolamenti tra le diverse porzioni della massa in movimento. Unità eruttiva: deposito messosi in posto a seguito di un singolo evento o all’interno di una fase dell’eruzione nella quale i meccanismi eruttivi siano ben definiti. Nella nomenclatura dell’eruzione del 79, alcune delle unità definite comprendono depositi di più eventi riconducibili ad una fase dell’eruzione ben definita in termini di composizione, energia e tipologia eruttiva. Si parlerà quindi di EU3 per indicare la fase di colonna pliniana delle pomici grigie durante la quale sono stati messi in posto depositi sia di caduta (EU3f, dove f sta per fall), sia di flusso (EU3pf, dove pf sta per pyroclastic flow).

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Vescicolato: termine tessiturale relativo a rocce magmatiche – e magmi – che contengono abbondanti vescicole formatesi per espansione del gas inizialmente dissolto nel magma. Vescicolazione: espansione del gas inizialmente dissolto nel magma con formazione di bolle, o vescicole. Viscosità: in un liquido è la misura della resistenza opposta a fluire. Viscoso: dotato di viscosità.

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