IL Vesuvio

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1 IL VESUVIO IL VULCANO E LA SUA STORIA. Il Somma-Vesuvio è un vulcano a condotto centrale formato da un apparato più antico, il Monte Somma, e da un cono più recente, il Gran Cono Vesuviano. L'attuale forma deriva dalla sovrapposizione di colate di lava e prodotti di attività esplosiva quali pomici, ceneri e lapilli; per tale motivi esso appartiene alla categoria degli strato-vulcani. Si formò prima un cono di circa 1600 m di altezza, successivamente la forte attività esplosiva determinò il collasso della parte sommitale; infine nella depressione calderica così formata si è sviluppata l'attività più recente. L' eruzione del 79 d.C., che distrusse le cittadine di Pompei, Ercolano e Oplonti, è la più nota anche per il contributo fornito da Plinio nel descrivere a Tacito la scomparsa dello zio. Dalle osservazioni geologiche, dai dati archeologici e dalla descrizione di Plinio è possibile ricostruire il meccanismo di questa eruzione. Innanzitutto questa è stata preceduta per molti anni da una serie di fenomeni precursori quali una serie di terremoti, iniziati dopo il forte terremoto del 62 d.C. che produsse significativi danni nell'area pompeiana; nessuno mise in relazione questa attività sismica con la ripresa dell'attività del vulcano (che allora non era considerato tale) in quanto mancava la memoria storica di eruzioni. L'eruzione ha inizio verso le ore 13.00 del 24 agosto con una forte esplosione seguita dalla formazione di una colonna di pomici, lapilli, ceneri e gas che si innalzò fino ad oltre 15 km di altezza nell'atmosfera. A tratti il materiale, non più sorretto dalla colonna, collassò lungo i fianchi del vulcano producendo nubi piroclastiche, mentre le ceneri e le pomici eiettate caddero sulle zone limitrofe e in mare. I prodotti di caduta sommersero le città sul versante meridionale del vulcano. A Pompei le pomici si depositarono per lo spessore di 3-4 metri, determinando i crolli delle coperture degli edifici. In questa fase probabilmente le popolazioni erano riuscite a porsi in salvo o al riparo. L'evento si protrasse per tutta la notte fino al mattino successivo quando, verso le 6.00, ci fu una drastica diminuzione dell'attività che consigliò gli abitanti di Pompei, che si erano rifu-

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IL VESUVIO

IL VULCANO E LA SUA STORIA.

Il Somma-Vesuvio è un vulcano a condotto centrale formato da un apparato più antico, il Monte Somma, e da un cono più recente, il Gran Cono Vesuviano. L'attuale forma deriva dalla sovrapposizione di colate di lava e prodotti di attività esplosiva quali pomici, ceneri e lapilli; per tale motivi esso appartiene alla categoria degli strato-vulcani.

Si formò prima un cono di circa 1600 m di altezza, successivamente la forte attività esplosiva deter-minò il collasso della parte sommitale; infine nella depressione calderica così formata si è sviluppata l'attività più recente.

L' eruzione del 79 d.C., che distrusse le cittadine di Pompei, Ercolano e Oplonti, è la più nota anche per il contributo fornito da Plinio nel descrivere a Tacito la scomparsa dello zio. Dalle osservazioni geologiche, dai dati archeologici e dalla descrizione di Plinio è possibile ricostruire il meccanismo di questa eruzione.

Innanzitutto questa è stata preceduta per molti anni da una serie di fenomeni precursori quali una serie di terremoti, iniziati dopo il forte terremoto del 62 d.C. che produsse significativi danni nell'area pompeiana; nessuno mise in relazione questa attività sismica con la ripresa dell'attività del vulcano (che allora non era considerato tale) in quanto mancava la memoria storica di eruzioni.

L'eruzione ha inizio verso le ore 13.00 del 24 agosto con una forte esplosione seguita dalla formazione di una colonna di pomici, lapilli, ceneri e gas che si innalzò fino ad oltre 15 km di altezza nell'atmosfera. A tratti il materiale, non più sorretto dalla colonna, collassò lungo i fianchi del vulcano producendo nubi piroclastiche, mentre le ceneri e le pomici eiettate caddero sulle zone limitrofe e in mare.

I prodotti di caduta sommersero le città sul versante meridionale del vulcano.A Pompei le pomici si depositarono per lo spessore di 3-4 metri, determinando i crolli delle

coperture degli edifici. In questa fase probabilmente le popolazioni erano riuscite a porsi in salvo o al riparo. L'evento si protrasse per tutta la notte fino al mattino successivo quando, verso le 6.00, ci fu una drastica diminuzione dell'attività che consigliò gli abitanti di Pompei, che si erano rifugiati nottetempo sulle imbarcazioni e lungo la costa, di far ritorno nelle proprie case per recuperare i propri averi.

Una seconda e più violenta esplosione si verificò circa 24 ore dopo la prima; la prima eruzione aveva vuotato parzialmente il serbatoio magmatico e ciò consentì l'afflusso di acqua che vaporizzò in tempi molto brevi aumentando enormemente la pressione: il risultato fu l'innalzamento e il rigonfia-mento del vulcano con successiva eruzione freato-magmatica accompagnata da un terremoto e da fenomeni di ondata basale, flusso piroclastico e lahar. In questa fase, pertanto, si generarono lungo i fianchi del vulcano delle vere e proprie colate di materiale già solidificato unito a gas (prodotti di flusso che per l'elevata velocità, fino a circa 100 km all'ora, sono caratterizzate da una notevole capacità distruttiva), che travolsero lungo il percorso qualsiasi ostacolo e trascinarono tra l'altro anche le persone, così come si osserva negli scavi di Pompei ed Ercolano. Qualche giorno dopo Ercolano, che fu risparmiata dalla pioggia di ceneri poiché si trovava sottovento, fu sepolta da una colata di fango, spessa 20 m, provocata dalle piogge intense che rimobilizzarono le ceneri depositate in condizioni di equilibrio precario sui fianchi del vulcano (lahar).

L'eruzione cambiò la morfologia del vulcano, diventato una vasta caldera con la parete Nord più elevata. Successivamente sì formò all'interno della caldera un nuovo edificio vulcanico, che corrisponde all'attuale Vesuvio.

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Schema dell'eruzione pliniana del Vesuvio (79 d.C.): il 24 agosto il vulcano espulse pomici a causa di afflusso di magma dal basso. La colonna di pomici nelle ore successive collasso generando nubi piroclastiche. II mattino del 25 agosto l'acqua di falda invase la camera magmatica provocando eruzioni freato-magmatiche con fenomeni di flusso piroclastico, ondata basale, lahar.

Dopo quest'eruzione le informazioni sull'attività del Vesuvio sono scarse e spesso poco attendibili fino alla grande eruzione del 1631. Prima di questo evento l'eruzione di maggiore intensità probabilmente si verificò nel 472 con attività esplosiva di tipo pliniano

anche se di intensità molto inferiore alle tipiche eruzioni pliniane sopra ricordate. Con il 1631 inizia la “storia recente” del Vesuvio ed il vulcano è praticamente in attività persistente fino al 1944, quando si chiude il ciclo eruttivo ed inizia l'attuale periodo di riposo. In questo intervallo di tempo l'attività è effusiva ed è praticamente persistente. Le lave sono emesse sia attraverso il condotto centrale, dalla sommità del vulcano, e sia da bocche laterali. In quest'ultimo caso le città più esposte sono Torre del Greco e Torre Annunziata. In particolare ricordiamo le eruzioni laterali del 1760, del 1794 e del 1861 che si generano da fratture sul fianco meridionale del Vulcano nei pressi di Torre del Greco. L'eruzione di maggiore intensità del secolo appena trascorso avviene nel 1906: una colata di lava raggiunge la periferia di Torre Annunziata; ceneri e lapilli cadono abbondantemente sul versante settentrionale ed a Ottaviano periscono 206 persone per il crollo dei solai. Dal 1631 al 1944 si registrano almeno 19 eventi eruttivi significativi; mediamente uno ogni 16 anni.

DINAMICA ERUTTIVA. Schematicamente le eruzioni del Vesuvio possono essere raggruppate in tre categorie.

1) Eruzioni relativamente modeste nelle quali sono eruttate solo alcune decine di milioni di tonnellate di magma. Molteplici fenomeni eruttivi si verificano durante tali eruzioni. Si osservano infatti colate di lava, caduta di blocchi e bombe su aree abbastanza vicine al centro eruttivo. Ceneri e lapilli ricadono su aree più ampie. Inoltre tali eruzioni sono accompagnate, talvolta, dallo scorrimento di piccoli flussi piroclastici e, spesso, di imponenti colate di fango (lahar) indotte dalle piogge torrenziali che sempre accompagnano queste eruzioni. Un esempio storico di questo tipo di eruzioni è quella del 1906.

2) Eruzioni esplosive nelle quali sono eruttate centinaia di milioni di tonnellate di magma (eruzioni subpliniane). I fenomeni eruttivi più ricorrenti durante tali eruzioni consistono nell'abbondante caduta di blocchi, cenere e lapilli, e nello scorrimento devastante di flussi

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piroclastici e di colate di fango. Esempi storici di questo tipo di eruzioni è quella verificatasi nel 1631.

3) Eruzioni catastrofiche nelle quali sono eruttate miliardi di tonnellate di magma (eruzioni pli-niane). Queste eruzioni di solito iniziano con la emissione violenta di grandi volumi di pomici e ceneri, comunemente accompagnate da flussi piroclastici di pomici e di ceneri, con associati surges e colate di fango. Un esempio storico di questo tipo di eruzioni è quella del 79 d.C.

La variabilità del comportamento eruttivo del Vesuvio è riconducibile, in prima approssimazione, alle condizioni in cui si trova il condotto che mette in comunicazione il serbatoio magmatico con la bocca eruttiva:

- CONDOTTO APERTO, cioè con il condotto riempito di magma che si trova generalmente al fondo del cratere (attività vesuviana compresa tra il 1631 ed il 1944):

attività esplosiva brevi periodi di riposo violente eruzioni miste (effusive ed esplosive)

- CONDOTTO OSTRUITO da materiale franato dai bordi del cratere e forse anche da residui di magma solidificato (dal 1944 a tutt’oggi):

inizialmente assenza di attività eruttiva (il magma si accumula progressivamente nella camera magmatica)

alla fine grandi eruzioni pliniane o subpliniane

È possibile che la durata del periodo di riposo sia condizionata dalla profondità alla quale si trova la camera magmatica:

- CAMERA MAGMATICA UBICATA A PROFONDITÀ DI PARECCHI CHILOMETRI: periodo di quiescenza è molto lungo (dell'ordine delle migliaia di anni) ripresa dell'attività segnata da una eruzione pliniana

- CAMERA MAGMATICA PIÙ SUPERFICIALE: riposo è più breve (al massimo alcuni secoli) l'attività ricomincia con un'eruzione subpliniana.

I risultati di indagini geochimiche hanno permesso di ipotizzare che la ricarica del sistema magmatico, sia in condizioni di condotto ostruito che di condotto aperto, si realizza attraverso l’arrivo frequente di masse magmatiche, relativamente piccole, che si originano a grande profondità.

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RISCHIO SISMICO E VULCANICO.

Gli studi effettuati nell'area vesuviana nell'ultimo decennio hanno consentito di ottenere un quadro conoscitivo soddisfacente sul pericolo sismico e vulcanico.

Le eruzioni "attese" nell'area vesuviana sono sia di tipo effusivo (colate di lave) sia esplosive (caso estremo eruzione tipo 79 d.C.)

Le eruzioni effusive possono avere il centro di emissione sia nella parte sommitale del vulcano (eru-zione tipo 1944) che lungo i fianchi anche a quote basse (eruzione tipo 1794 e 1861 con bocche tra Ercolano e Torre del Greco e distruzione di quest'ultima). Per la distribuzione dei centri abitati le eruzioni sommitali possono produrre minori danni di quelle laterali. Tuttavia l'espansione, spesso abusiva, dei centri abitati verso la parte sommitale del vulcano ha creato condizioni tali che qualsiasi futuro evento eruttivo, anche di bassa energia, produrrà danni significativi. In caso di eruzione effusiva l'evacuazione è limitata alle sole aree esposte e non a tutta l'area vulcanica. Questa operazione può essere realizzata con gradualità in funzione dell'evoluzione del fenomeno. E’ da segnalare tuttavia che non è possibile prevedere quale eruzione possa verificarsi al Vesuvio, stante l'attuale condizione di condotto chiuso.

In caso di eruzione esplosiva o meglio pliniana tutta l'area vesuviana è da considerarsi ad alto rischio. In tali tipi di eruzioni il vulcano, dopo un periodo di intensa attività sismica, deformazioni del suolo, incremento di attività fumarolica inizia l'attività esterna con l'emissione di grossi quantitativi di materiale piroclastico (ceneri, sabbia, pomici, lapilli, etc.) a notevole altezza (10-15 km); successivamente la colonna, non più sostenuta dalla spinta, crolla ed il materiale vulcanico cade lungo le pareti del vulcano, raggiungendo distanze di 8-10 km dalla bocca eruttiva. La velocità di queste colate raggiunge valori di alcune decine di km all'ora. L'area esposta può subire una distruzione totale. Le zone più distanti saranno raggiunte da materiale più leggero (sabbia, ceneri, pomici) per caduta.

In tali condizioni, all'approssimarsi dell'eruzione, è necessario evacuare una vasta area con raggio almeno di 8-10 km dal condotto vulcanico e tenere in allerta una fascia molto ampia attorno al vulcano.

In questa fascia rientra anche parte della città di Napoli.

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IL PREAVVISO.

La ripresa di attività in profondità viene segnalata da uno o più fenomeni indicati come premonitori; al trascorrere del tempo questi segnali divengono più frequenti e più intensi. In particolare piccoli terremoti sempre più frequenti accompagnati da un rigonfiamento anche lieve del vulcano, sono sicuri segni di una ripresa di attività. Questi elementi sono da classificare come inizio di un processo significativo dell'evoluzione dell'attività del vulcano verso un eruzione nei mesi o negli anni successivi. In questa condizione la Protezione Civile deve predisporre i primi strumenti di lungo termine e la popolazione esposta deve essere correttamente informata per tenersi pronta ad una fase successiva di maggiore rilevanza per la sicurezza. Si tratta di un vero e proprio preavviso a lungo termine. La fase successiva può indicare l'aumento della probabilità di accadimento dell'eruzione oppure il ritorno a condizioni di maggiore sicurezza.

L'educazione della popolazione al rischio e sulle caratteristiche dei fenomeni premonitori e della loro evoluzione è fondamentale per una corretta gestione dell'emergenza. Vi è il concreto pericolo che la popolazione consideri imminente un'eruzione per i segnali avvertiti, mentre non esistono le condizioni perché ciò possa accadere. Una popolazione preparata, invece, si mobilita per l'evacuazione al momento dell'allarme, perché ci si possa allontanare per tempo, senza panico, dalla aree esposte verso luoghi sicuri. Deve essere chiaro che è possibile realizzare un'evacuazione ordinata perché un'eruzione non si verifica improvvisamente e l'allarme è predisposto con un anticipo proporzionale ai tempi necessari all'evacuazione.

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Quanto tempo prima si puo' sapere se un vulcano sta per iniziare la sua attivita', in particolare per il Vesuvio?

Gli studi condotti nel campo della vulcanologia e le conoscenze acquisite finora non permettono, allo stato attuale, di stabilire una precisa data di inizio dell'attività vulcanica. Tuttavia, lo studio dell'attività di numerosi vulcani, protratto per lunghi periodi di tempo, consente di effettuare delle previsioni probabilistiche piuttosto attendibili e realistiche. Tali previsioni sono basate sullo studio e l'osservazione di una serie di fenomeni che si manifestano prima dell'eruzione vulcanica, i cosiddetti "segni premonitori": terremoti di medio-bassa intensità, deformazioni del terreno, aumento dell'attività e della temperatura delle fumarole (aperture da cui fuoriescono i gas vulcanici); variazioni delle concentrazioni di alcuni elementi chimici nelle acque sotterranee, ecc.; tali fenomeni precursori permettono di ipotizzare diverse settimane prima la ripresa dell'attività vulcanica.

Per quanto riguarda il Vesuvio, la (ex) Direttrice dell'Osservatorio Vesuviano, Lucia Civetta, ha af-fermato:

"Grazie alla capillare rete di sorveglianza dell’Osservatorio Vesuviano, che sorveglia costantemente 24 ore su 24 tutta l’area vulcanica napoletana, l’Osservatorio Vesuviano è in grado di poter prevedere, con ampio anticipo, qualsiasi evoluzione dell’attività del vulcano. È completamente da escludere la possibilità di un improvviso, disastroso risveglio che non sia "annunciato" e rilevato dalle strumentazioni scientifiche".

Nell'area napoletana la Protezione Civile ha realizzato una mappa (vedi immagine) delle aree a maggior rischio, divisa in tre zone principali:

Area Rossa di ~200 chilometri quadrati che potrebbero essere totalmente distrutta da colate di fango costituite di cenere e altri materiali eruttivi (flussi pirocla-stici e "lahar").

Area Gialla di ~1125 chilometri quadrati sui quali potrebbero de-positarsi ceneri e lapilli in quantità superiori al limite di sopportazione dei tetti degli edifici (il limite di rottura è compreso tra i 300 e i 500 chili per metro quadro).

Area Blu di ~98 chilometri quadrati compresa all’interno dell’Area

Gialla, la cui morfologia rende possibili fenomeni di inondazioni e colate di fango.

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Nell’ambito del Piano di Emergenza per l’area vesuviana sono stati definiti 8 livelli di allerta, dal Livello 0 (background) al Livello 7.

A partire dal livello 4 scatta l’evacuazione della Zona Rossa.

Al livello 6 (eruzione in corso) viene evacuata la Zona Gialla, infine, al livello 7 l’eruzione viene considerata terminata ed inizia la fase del rientro della popolazione.

L’area soggetta ad alto rischio (Area Rossa) è abitata da 600.000 persone, corrispondenti a 172.000 nuclei familiari, e comprende 18 comuni: S. Giorgio a Cremano, Boscotrecase, Portici, S. Sebastiano al Vesuvio, Pollena Trocchia, Trecase, Terzigno, S. Anastasia, Boscoreale, Cercola, S. Giuseppe Vesuviano, Torre del Greco, Torre Annunziata, Ercolano, Ottaviano, Pompei, Massa di Somma, Somma Vesuviana.

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17.11.2001 Un serbatoio di magma sotto il VesuvioÈ talmente vasto che non potrà essere svuotato dalla prossima eruzione

Nuovi dati sismici riguardanti il Vesuvio suggeriscono la presenza di un serbatoio di magma largo 400 chilometri quadrati a circa otto chilometri di profondità sotto il vulcano. A questa conclusione è giunto un gruppo di ricercatori italiani e francesi, che hanno descritto i loro risultati sulla rivista "Science". Secondo il dottor Paolo Gasparini, dell'Università Federico II di Napoli, l'aver localizzato questo serbatoio non servirà però a prevedere quando il vulcano erutterà ancora. Ciò nondimeno, la scoperta indica una zona sotto al vulcano che sicuramente deve essere tenuta sotto osservazione, perché potrebbe fornire indizi interessanti. Il serbatoio è talmente vasto che sicuramente non verrà svuotato dalla prossima eruzione che, secondo gli esperti, a seguito di un lungo periodo di tranquillità sarà probabilmente esplosiva. Al momento il Vesuvio è però molto tranquillo, ha un'attività sismica modesta ed emette gas vulcanici a bassa temperatura. Per individuare il serbatoio è stata utilizzata una tecnica chiamata tomografia sismica, che fa uso di onde sismiche generate mediante esplosioni. I dati sulla direzione e sulla velocità di queste onde permettono di stabilire la struttura della crosta terrestre. Nel corso dello studio i ricercatori hanno usato ben 1800 esplosioni e varie stazioni di misura poste sugli Appennini, fino a 90 chilometri di distanza dal vulcano.

IL LAGO PIU’ GRANDE D’ITALIA E’ DI LAVA E STA SOTTO NAPOLI

Il più grande lago d’Italia si trova sotto il Vesuvio. E non è composto da chiare, fresche e dolci acque, ma da un volume impressionante (400 chilometri quadrati, contro i 370 del lago di Garda) di magma infuocato, allo stato liquido, profondo più di un chilometro. Si estende dal centro del Golfo di Napoli fino ai primi contrafforti dell’Appennino.“Si è sempre pensato che il serbatoio magmatico del Vesuvio fosse di dimensioni abbastanza contenute”, ci dicono i professori Paolo Gasparini e Aldo Zollo, rispettivamente vulcanologo e sismologo, del Dipartimento di Fisica dell’Università Federico II di Napoli, autori della clamorosa scoperta. “Immaginavamo una specie di palla, simile al serbatoio di carburante di un’auto, del diametro di 3 o 4 chilometri, situata ,grosso modo, sotto il cratere principale”.Invece ci si accorge ora che una vasta area della Campania, dove vivono milioni di persone, “galleggia” sulla cosa più simile a un immenso inferno dantesco che si possa immaginare. “Ma non c’è da aver paura”, spiega il professor Gasparini. “È vero che il serbatoio di magma ha dimensioni impressionanti, ma fortunatamente si trova a notevole profondità: circa 8 chilometri, contro i 3 che pensavamo in

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precedenza. E questo è un elemento di confortante sicurezza: quando lava risalirà verso la superficie, per dar luogo a un’eruzione, il suo percorso nelle viscere della montagna sarà molto lungo e ricco di segnali premonitori, tanto da darci tutto il tempo per lanciare l’allarme e assumere le opportune con-tromisure. I moderni sistemi di rilevazione dal satellite hanno inoltre dimostrato che, negli ultimi anni, il massiccio del Vesuvio si è abbassato. Ciò significa che la pressione dei gas che si sprigionano dal magma è diminuita e quindi che il temuto salto del tappo di ava solidificata, che ha sigillato il cratere, non è da prevedersi in un futuro prossimo”.

Anche se il Vesuvio appare alla vista di occhi inesperti come una montagna identica a tutte le altre (l’ultima eruzione avvenne nel gennaio del 1944), è risaputo che il sistema vulcanico che cova nelle sue viscere è attivo e molto minaccioso. “Un altro elemento che si evince dalla nostra scoperta”, dice Gasparini “è che la vita del Vesuvio, alimentato da quella immensa riserva di lava, sarà lunghissima, nell’ordine di parecchie migliaia di anni”. Insomma, la patata bollente, rappresentata dalla necessità di gestire zona a più alta densità i popolazione d’Europa, edificata su una delle aree a più alta pericolosità del mondo, passerà tra le mani di infinite generazioni future di italiani. “La storia”, conferma il professor Zollo, “insegna che possono esserci periodi di stasi molto lunghi, anche vari secoli. Ma, prima o poi, il vulcano si risveglierà. E quanto più tempo sarà passato in relativo riposo, tanto più violenta sarà la prossima eruzione”.La rivoluzionaria ricerca condotta dai due scienziati italiani (coadiuvati dai massimi esperti mondiali come il francese Jean Vireaux, genio della termodinamica) è fondamentale per la riduzione dei fattori di rischio. “Non c’è dubbio”, dice il professor Gasparini, “che più accurata è la conoscenza del sottosuolo e più efficaci sono la comprensione del funzionamento del sistema vulcanico e l’interpretazione delle sue dinamiche”.

Il cratere non sta per “stapparsi” – Qui a lato una veduta aerea del cratere del Vesuvio. “Le nostre rilevazioni dal satellite”, dicono i vulcanologi, “ hanno dimostrato che la pressione del magma è diminuita, e quindi che il temuto “salto” del tappo di lava solida che sigilla il cratere non è da prevedersi nel prossimo futuro”

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Per raccogliere i dati, ed elaborarli in un modello di grandissima accuratezza scientifica, che sarà probabilmente esteso allo studio degli altri vulcani terrestri, ci sono voluti quasi otto anni. In pratica, l’équipe di Zollo e Gasparini ha effettuato una specie di Tac (la tomografia assiale computerizzata che serve per scrutare in tridimensionalità il corpo umano) del sottosuolo. “Abbiamo condotto circa 1.800 rilevamenti in mare con una nave dotata di speciali cannoni ad aria compressa. Le bolle d’aria, sparate verso il fondo marino, infrangendosi inviavano fasci di onde in profondità. Speciali strumenti rile-vavano poi la differenza di densità del sottosuolo, in particolare nelle zone di confine tra gli strati solidi e quelli liquidi del magma. Sui fianchi del Vesuvio e nelle zone vicine abbiamo invece piazzato un certo numero di cariche esplosive che, nello stesso modo, hanno consentito una mappatura della terraferma”.Così si è scoperto il “lago” più grande d’Italia. Ma, alla luce dei risultati di questa ricerca, come cambia il nostro rapporto col Vesuvio? “Per la prima volta”, dice Gasparini, “abbiamo acquisito la certezza che la massa magmatica di un vulcano si estende per un’area molto più ampia del suo cono. Ora dobbiamo capire qual è il meccanismo preciso delle eruzioni. Quali sono, cioè, i fattori che, a un certo punto, spingono un flusso di lava verso la superficie. Se nel sottosuolo si accumula questa enorme quantità di energia termica, è presumibile, per esempio, che da qualche parte, anche a molti chilometri, ci siano dei punti di sfogo. Identificando questi punti si può ridisegnare un modello più accurato del sistema vulcanico e interpretare meglio determinati segnali”.Quello che si sa con certezza è che il Vesuvio è uno dei vulcani più pericolosi del mondo. Le eruzioni

Un inferno largo oltre 20 chilometri. - Nel disegno, la cartina della zona che sovrasta il lago di magma scoperto dai vulcanologi. Ha un diametro di oltre 20 km e una superficie di 400 kmq, contro i 370 del lago di Garda: si estende dal centro del golfo fino ai contrafforti dell’Appennino, includendo anche parte della penisola sorrentina.

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dell’Etna, per esempio, sono di tipo effusivo e possono durare parecchie settimane, con fuoriuscita dal cratere, o dalle bocche che si aprono sul versante della montagna, di colate di lava che, lentamente, muovono verso valle. In casi come questi, cioè di “vulcani rossi” si può tentare di deviare il flusso del materiale infuocato con apposite barriere, o disporre per tempo lo sgombero delle zone abitate. Le eruzioni del Vesuvio, “vulcano grigio”, sono invece di tipo esplosivo e si consumano spesso nel giro di poco.“Secondo lo scenario di riferimento, preparato dai ricercatori dell’Osservatorio vesuviano, fondato nel 1841 da re Ferdinando II di Borbone, quando la montagna si risveglierà, una potentissima esplosione farà saltare il tappo di lava solidificata che ostruisce il cratere. Immediatamente si formerà una colonna eruttiva di gas, frammenti di magma e sassi, che potrà raggiungere l’altezza di 20 km. Dispersa dai venti, la nube farà cadere (soprattutto a est del cratere) un fitto e alto strato di pomici e ceneri che copriranno strade e tetti, rendendo impossibile la circolazione dei mezzi e persino la respirazione.“In una seconda fase dell’eruzione, che potrà avvenire anche poche ore dopo il suo inizio, la colonna eruttiva, non più sostenuta dalla pressione dei gas che hanno fatto saltare il tappo, collasserà su se stessa e dal cratere si sprigionerà una densa nube di gas ad altissima temperatura che scivolerà lungo i versanti del vulcano a 100 chilometri all’ora, distruggendo tutto ciò che incontrerà sul suo cammino. Un effetto radiazione simile a quello che rase al suolo la città giapponese di Hiroshima dopo lo scoppio della prima bomba atomica. Così morirono, nel 79 d.C., i duemila abitanti di Pompei e Ercolano, per l’eruzione più famosa della storia. “Gli antichi Romani non sapevano che il Vesuvio fosse un vulcano perché 1° montagna era “addormentata da parecchi anni”, spiega il professor Gasparini. “Ma leggendo le lettere di Plinio il Giovane, si scopre che molti mesi prima di quella tragica eruzione ci furono molti segni premonitori di quanto stava per succedere, come ripetuti sciami d scosse sismiche, che gli antichi non seppero interpretare”.Oggi il Vesuvio è vigilato dai più sofisticati sistemi di controllo. E malgrado i piani di emergenza, circa un milione di persone continuano vivere sulle pendici della più spaventosa bomba atomica naturale che conosca. Possono la tecnologia e la ricerca assicurarci che, quando il tappo salterà, il peggio sarà scongiurato? “La cosa più saggia da fare”, dicono Zollo e Gasparini “sarebbe convincere, con una politica di incentivi gli abitanti dei paesi circumvesuviani a trasferirsi in zone più sicure”.

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Brevi note di vulcanologia con i termini maggiormente in uso

Classificazione delle eruzioni.

Una semplice classificazione delle eruzione può essere fatta in base alla violenza del fenomeno:

Eruzioni effusive: caratterizzate da una bassa esplosività e dall’emissione di colate di lava che scorrono lungo i fianchi del vulcano.

Eruzioni esplosive: caratterizzate da estrema esplosività, formano un’alta colonna eruttiva che si espande verso l’alto con una tipica nube di cenere a forma di pino. Vengono dette anche “pliniane” prendendo il nome da Plinio il Vecchio che morì durante l’eruzione del Vesuvio de 79 d.C. e da Plinio il Giovane che la descrisse.

Eruzioni freato-magmatiche: eruzioni, generalmente esplosive, in cui vi è un contatto diretto fra magma e acqua.

In base al volume del materiale emesso e alla violenza dell’esplosione le eruzioni possono essere classificate, in crescendo di violenza, come:

hawaiana, stromboliana, vulcaniana, peleana, pliniana.

I prodotti delle eruzioni

Le eruzioni effusive emettono prevalentemente colate di lava.

Se la lava si raffredda senza riuscire a scorrere, può dare origine ad accumuli di forma circolare chiamati duomi lavici.

Nelle eruzioni esplosive il magma viene invece frammentato prima di giungere in superficie e viene scagliato verso l’alto sotto forma di pomici, scorie, bombe vulcaniche e ceneri detti prodotti piroclastici.

I prodotti piroclastici possono essere suddivisi in base ai differenti meccanismi con cui si depositano al suolo dopo l’eruzione.

I prodotti di caduta (fall-products) derivano da lancio diretto dal cratere o ricadono per gravità da una nube pliniana. Ricoprono uniformemente la topografia di un’area e il loro spessore diminuisce regolarmente allontanandosi dalla sorgente di emissione. In genere sono stratificati e le particelle presentano spigoli “vivi”, in quanto non abrase da meccanismi di trascinamento.

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I prodotti di flusso (pyroclastic-flow) derivano da nubi troppo pesanti per innalzarsi a formare una “colonna” pliniana, in quanto più ricche in particelle solide che in gas, che scorrono lungo i fianchi del vulcano. I flussi piroclastici possono avere velocità molto elevate, anche 100 km/h, e raggiungere distanze fino a decine di chilometri dal centro eruttivo. In prossimità della bocca eruttiva il deposito dei flussi ha spesso un aspetto caotico e gli elementi che lo costituiscono hanno spigoli arrotondati per effetto dello scorrimento. I prodotti di flusso tendono generalmente ad ammucchiarsi nelle valli e nei punti dove incontrano ostacoli che non riescono a superare. Risultano così completamente assenti nelle aree ad alta pendenza e non presentano una diminuzione regolare di spessore allontanandosi dalla sorgente. A volte i depositi dei flussi piroclastici vengono chiamati tufi o ignimbriti.

I prodotti di ondata basale (base-surge) si depositano da nubi simili alle pliniane, ma con una direzione prevalentemente orizzontale. Rispetto ai flussi, le nubi dei surges sono più ricche in gas

che in particelle solide. Rispetto alla topografia, i depositi originati da questi eventi hanno

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caratteristiche intermedie tra quelli di caduta e da flusso piroclastico: tendono ad ispessirsi nelle depressioni, ma possono ammantare anche piccoli rilievi e fermarsi su pendii dove generalmente non si ritrovano prodotti di flusso.

Surges e flussi possono anche essere chiamati genericamente flussi piroclastici e rappresentano, per la loro velocità di propagazione e per l’elevata temperatura, gli eventi più pericolosi associati con il vulcanismo esplosivo.

Colate di fango (lahar - termine indonesiano) – Sono dovute al rilevante accumulo sui pendii dei vulcani di cenere e altro materiale sciolto. La pioggia, i ghiacciai sciolti dall’eruzione o il vapore emesso dal vulcano stesso, possono mobilizzare la massa di materiale. Scendendo verso valle questa può trasportare massi di diverse tonnellate, tronchi d’albero e travolgere tutto ciò che trova lungo il cammino.

Le particelle dei prodotti piroclastici prendono nomi diversi a seconda delle dimensioni:

Bombe hanno dimensioni superiori ai 64 mm. Sono pezzi di magma emessi allo stato fluido. Alcune vengono lanciate molto in alto e si raffreddano al contatto con l’aria durante il volo assumendo forme fusiformi; altre cadono al suolo ancora calde e costituiscono, saldandosi tra di loro, strutture chiamate spatter cones.

Lapilli sono particelle di dimensioni comprese tra 64 e 2 mm e possono essere ristallizzati o vetrosi. Il termine lapilli è spesso sostituito con pomici o scorie. La differenza fra pomici e scorie è data dalla composizione chimica che si rispecchia anche nel colore, bianco-grigio per le pomici e nero-rosso scuro per le scorie.

Cenere è costituita da particelle, per lo più di natura vetrosa, di dimensioni comprese tra 2 e 1/16 di mm.

Polvere è costituita da particelle di dimensioni inferiori a 1/16 di mm.

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II LETTERA DI PLINIO IL GIOVANE A TACITO

Come abbiamo già visto, la fase di esplosione di un vulcano é detta pliniana dalla descrizione dell'eruzione del 79 d.C. che Plinio il Giovane (nipote del filosofo Plinio il Vecchio) fece nelle sue lettere a Tacito.Nella prima delle due lettere Plinio racconta a Tacito della morte dello zio) che, attratto dallo straordinario fenomeno eruttivo, si avvicinò su un'imbarcazione al Vesuvio. Vicino Stabia, Plinio il Vecchio troverà la morte, probabilmente intossicato dai gas.Nella seconda lettera Plinio il Giovane descrive invece le sue personali vicende e gli intensi fenomeni eruttivi che si manifestarono nell'area flegrea in occasione dell'eruzione del 79 d.C..Riportiamo questa seconda lettera:

«Caro TacitoTu dici che, spinto dalla lettera che io ti scrissi, a tua richiesta circa la morte di mio zio, desideri sapere (ciò che avevo cominciato e poi interrotto) non solo i timori, ma anche quali avvenimenti abbia io sofferto rìmanendo a Miseno.Benché l'animo inorridisca a ricordare, comincerò.Partito lo zio, passai il restante tempo (perché ero rimasto per questo) a studiare, poi il bagno, la cena ed un sonno breve ed inquieto. Molti giorni prima si era sentita una scossa di terre moto, senza però che vi sì desse molta importanza, perché in Campania è normale; ma in quella notte fu così forte che sembrò che non sì scuotesse, ma che crollasse ogni cosa, La madre corse nella mia stanza, ed io pure mi alzavo per risvegliarla se mai dormisse. Ci sedemmo nel cortile della casa che la separava dal mare, per un breve tratto. lo non so se chiamarlo coraggio o imprudenza perché toccavo appena i 18 anni. Chiedo un volume di Tito Livio e così, per ozio, mi metto a leggere e continuavo anche a farne appunti. Quand’ecco un amico ed ospite, dello zio. Appena venuto dalla Spagna, alla vista mia e di mia madre seduti, ed io che per giunta leggevo rimprovera lei per la propria indolenza e me di poco giudizio, ma non per questo io levai l’occhio dal libro. Già faceva giorno da un’ora e pur tuttavia la sua luce era incerta e quasi languente e benché fossimo in un luogo aperto ma angusto grande e certo era il timore di un crollo.Allora, finalmente ci parve bene di uscire dalla città. Ci segue una folla sbigottita e ciò che nello spavento appare come prudenza, antepone il proprio parere all'altrui e in gran massa incalza e prime chi fugge. Usciti dall'abitato ci fermammo. Quiví assistiamo a molti fenomeni e molti pericoli. Infatti ì carri che ci facemmo venire dietro sebbene il terreno fosse pianeggiante andavano indietro e neppure con il sostegno di pietre restavano nello stesso punto. Inoltre si vedeva il mare riassorbito in sé stesso quasi respinto dal terremoto. Certamente il litorale si era allargato e moltî pesci restavano a secco. Dal lato opposto una nera ed orrenda nube squarciata dal rapido volteggiare di un vento infuocato si apriva in lunghe lingue di fuoco; esse erano come lampi e più che lampi. Allora, quel medesimo amico venuto dalla Spagna, con più forza ed insistenza.: "Se tuo fratello, disse, se tuo zio vive, vi vorrebbe salvi; se è morto vorrebbe che voi gli sopravviviate; perché dunque indugiate a scappare?” AI che rispondemmo: "Non abbiamo l'animo. incerti della sua salvezza, di provvedere alla nostra". Egli non esita oltre e se la dà a gambe e a gran corsa si sottrae al pericolo; né passò molto tempo che quella nube discese a terra e coprì il mare. Aveva avvolto e nascosto Capri e tolto dalla vista il promontorio di Misero. Allora la madre cominciò a pregarmi, a scongiurarmi, a ordinarmi, che in qualunque modo io fuggissi, lo facessi perché giovane; ella, appesantita dall'età e dalle stanche membra sarebbe morta felice di non essere stata la mia causa di morte.

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Ma io risposi di non volermi salvare che con lei; poi pigliandola per mano la costrinsi ad affrettare il passo: ella mi seguì a stento lamentandosi perché mi rallentava (il cammino).Cadeva già della cenere, non però ancora fitta, mi volto e vedo sovrastarmi alle spalle una densa ca-ligine che quale torrente spargendosi per terra ci incalzava. Deviamo, io dissi, finché ci si vede, per non essere travolti, una volta raggiunti, dalla folla che ci viene dietro.Appena fatta questa considerazione si fa notte, non di quelle nuvolose e senza luna, ma come quando ci si trova in un luogo chiuso, spente le luciAvresti udito i gemiti delle donne, le urla dei bambini, le grida dei mariti; gli uni cercavano a gran voce i padri; gli altri i figlioli; gli altri i consorti; chi commiserava la propria sorte; chi quella dei suoi. Vi erano di coloro che, per timore della morte, la invocavano. Molti supplicavano gli dei; molti ritenevano che non ve ne fossero più e che quella notte dovesse essere l’ultima notte del mondo. Né mancavano quelli che con immaginari e falsi spaventi accrescevano i veri pericoli. Vi erano di quelli che, bugiardi ma creduti, dicevano di venire da Miseno e che esso era una rovina e (completamente) incendiatoFece un po' di chiaro; né questo ci sembrava giorno, ma piuttosto la luce del fuoco che si avvicinava. Se non che il fuoco si arrestò più lontano; nuova oscurità e nuovo nembo di fitta cenere; poi ci alzavamo a tratti per toglierla di dosso altrimenti ne saremmo stati se non coperti schiacciati.Potrei gloriarmi che in tanta calamità non mi sia uscito un lamento, né una parola men che virile, se non avessi trovato gran conforto alla morte , il credere che in quel momento con me periva tutto il mondo. Finalmente si attenuò quella caligine e svanì come in fumo e nebbia; quindi fece proprio giorno ed apparve anche il sole, ma scolorito come suol essere quando é in eclisse. Agli occhi ancor tremanti tutto si mostrava cambiato e coperto da un monte di cenere, come se fosse nevicato. Ritornati a Miseno e ristorate alla meglio le membra si passò una notte affannosa ed incerta tra la speranza ed il timore. Ma il timore prevaleva.Intanto continuavano le scosse di terremoto e molti, fuori di senno, con le loro malaugurate predizioni si burlavano del proprio e del male altrui. Noi, però, benché salvi dai pericoli in attesa di nuovi, neppure allora pensammo di partire, finché non si avesse notizia dello zio. Queste cose, non degne certamente di storia, le leggerai senza servirtene per i tuoi scritti; né imputerai che a te stesso, che me le hai chieste, se non ti parranno degne neppure di una lettera.Addio”.