Leonardo - Antonio De Leo · improvvisa di un imponente corso d'acqua, scaturita dal sottosuolo, ha...

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Leonardo di Ludovica Pirelli e Antonio De Leo L’Annunciazione è un dipinto giovanile e con questo la critica ha giustificato gli errori di prospettiva: il braccio destro di Maria troppo allungato, il basamento del leggio mal allineato, le bugne troppo grandi, l’angelo che sembra scivolare. Il problema in realtà nasce dal non vedere l’opera nel conteso in cui era stata pensata: probabilmente veniva vista trasversalmente più che frontalmente. Infatti se la guardiamo da destra tutto torna a posto: il braccio di Maria si ridimensiona, l’angelo è compostamente inginocchiato. Osservando un quadro da solo non si comprendono alcuni dettagli: ad esempio, è vedendo La vocazione di san Matteo nella cappella Contarelli che ci rendiamo conto che Caravaggio ha dipinto la luce di sguincio come se venisse dalla lunetta (ora murata) effettivamente presente nell’ambiente di collocazione, la scena rappresentata continua la sua illuminazione e vi è ben inserita. In prospettiva:

Transcript of Leonardo - Antonio De Leo · improvvisa di un imponente corso d'acqua, scaturita dal sottosuolo, ha...

Leonardo

di Ludovica Pirelli e Antonio De Leo

L’Annunciazione è un dipinto giovanile e con questo la critica ha giustificato gli errori di

prospettiva: il braccio destro di Maria troppo allungato, il basamento del leggio mal allineato, le

bugne troppo grandi, l’angelo che sembra scivolare. Il problema in realtà nasce dal non vedere

l’opera nel conteso in cui era stata pensata: probabilmente veniva vista trasversalmente più che

frontalmente. Infatti se la guardiamo da destra tutto torna a posto: il braccio di Maria si

ridimensiona, l’angelo è compostamente inginocchiato. Osservando un quadro da solo non si

comprendono alcuni dettagli: ad esempio, è vedendo La vocazione di san Matteo nella cappella

Contarelli che ci rendiamo conto che Caravaggio ha dipinto la luce di sguincio come se venisse

dalla lunetta (ora murata) effettivamente presente nell’ambiente di collocazione, la scena

rappresentata continua la sua illuminazione e vi è ben inserita.

In prospettiva:

Allo stesso modo, un’opera può risultare ancora

più enigmatica e incomprensibile se non

inquadrata nel suo contesto storico e culturale.

L’Annunciazione è ispirata alle parole di

Bernardo di Chiaravalle, a cui il fondatore della

congregazione degli Olivetani (il dipinto era

destinato a uno dei loro monasteri) era devoto.

Bernardo scrive quattro omelie in cui analizza il

vangelo di Luca, l’unico in cui c’è

l’annunciazione, e parla di Gesù come del

Mons montium, il monte dei monti.

Spesso, ad esempio nei quadri del

Romanticismo, la roccia rappresenta la virtù,

perché è difficile conquistarla, è impervia,

scalarla è il superamento di un limite ed è

possibile solo con il coraggio e il sacrificio,

anche in Leonardo le rocce indicano la fatica

del raggiungimento della santità. La cima più

alta e faticosa da raggiungere rappresenta Gesù,

che ha superato le difficoltà del martirio e della

morte. Il mondo degli uomini invece, che non è

santo, è rappresentato dall’acqua.

Nell’Annunciazione notiamo che nel centro non

c’è Maria. Sul fondo ci sono cipressi, olmi e

abeti, quelli che nelle parole di Isaia

abbelliscono il luogo del santuario di Dio, tranne

che nella parte centrale, dove lo scenario si apre

verso un monte immerso in un paesaggio

liquido: è Cristo tra gli uomini.

Inoltre, Bernardo dice che nel giorno

dell’annunciazione piove e la terra si riempie di

rugiada: è come se Dio, fecondando il ventre di Maria, fecondasse la terra, che si apre, si

squarcia per accettarlo. Il prato ai piedi dell’angelo è il santuario dell’accoglienza del divino, il

ventre fecondato. Il mistero del concepimento di Gesù era un problema forte, che andava

accettato come veniva raccontato o altrimenti poteva essere qualcosa di inaccettabile: quel seme

per poter sviluppare il bambino divino deve essere reale. Dio stesso è materiale, non solo la sua

incarnazione tra gli uomini. Leonardo forse risolve la questione riferendosi alla grotta come

ambiente che accoglie il divino.

Questo ci riporta a un altro dipinto di Leonardo, la Vergine delle Rocce (parleremo della prima

versione, quella che ora si trova a Parigi), ermetico, difficile da interpretare, tanto per cominciare

perché mettere Maria in una grotta?

Seneca, autore che Leonardo conosceva, ha scritto in una delle lettere a Lucilio un brano che ci

richiama il tema dell’opera: “Se ti imbatterai in un bosco sacro, denso di alberi vetusti e

cresciuti oltre l’altezza ordinaria e tale da sottrarti la vista del cielo con il fitto intrico dei suoi

rami che si coprono a vicenda, l’altezza degli alberi, l’appartata solitudine e lo spettacolo

suggestivo dell’ombra così compatta e continua pur nel bel mezzo di una campagna aperta, ti

comproveranno la presenza di un nume. Se un antro formato da rocce profondamente erose

tiene come sospeso un monte, un antro non fatto dalla mano dell’uomo, ma scavato da cause

naturali per una larghezza cosi enorme, ebbene questo fenomeno colpirà il tuo animo con

l’indefinita sensazione di una presenza divina. Veneriamo le sorgenti dei grandi fiumi; la polla

improvvisa di un imponente corso d'acqua, scaturita dal sottosuolo, ha i suoi altari; si onorano

le sorgenti di acque termali. Alcuni stagni hanno acquisito sacralità per la cupezza o la

profondità insondabile delle loro acque.”. Si parla di una grotta scavata all’interno di un monte e

da qui possiamo ricordare i significati che abbiamo attribuito alle rocce nell’Annunciazione , cioè

virtù, mentre la cima più alta e faticosa da raggiungere era rappresentata dal Mons montium,

Gesù. Mettendo insieme queste immagini potremmo dire che la grotta è il santuario della

fecondazione divina.

Non finisce qui quello che possiamo trovare nella Vergine delle Rocce.

Un’interpretazione che dà Argan parte dai personaggi. Gesù poggia la mano sinistra sull’orlo di

un baratro, raccontando la condizione di destinato al martirio. Chi espanderà la Chiesa sarà

Giovanni, prosecutore del messaggio cristiano, indicato dall’angelo, infatti Maria protegge lui e

non Cristo coprendolo con il suo mantello, e Maria nella sua ampia veste che avvolge e che

suggerisce la forma di una cupola rappresenta proprio la Chiesa di Roma. Inoltre, Gesù benedice

Giovanni. I quattro sono disposti a croce.

Argan fa anche altre ipotesi. Guardiamo l’ambiente in cui si

svolge la scena, una grotta umida. L’atmosfera è densa e questo

è usuale in Leonardo. Confrontiamo i suoi dipinti con quelli di

Botticelli, le figure di quest’ultimo hanno un contorno netto e

ben definito che le staglia dal fondo, l’atmosfera praticamente è

assente e le immagini tendono ad essere più piatte che in

Leonardo, in cui invece l’atmosfera è fondamentale: costruisce

le distanze nell’opera

interponendosi tra la realtà

rappresentata e l’osservatore,

sfuma i contorni rendendo

indistinguibile il passaggio tra

la figura e lo sfondo. Nella

Vergine delle Rocce rende

sfumato e non leggibile il

fondo, lo perde nell’indefinito,

le rocce che si vedono in

lontananza dallo squarcio

nella grotta si dissolvono nel

cielo. I fiori sul davanti invece

sono nitidi, dipinti con

minuzia fiamminga.

Questo ci permette di fare un discorso sul tempo. Il fondale

indeterminato è il passato geologico e remoto, la storia lontana; il bordo più esterno, rivolto

verso l’osservatore, rappresentato con una grande precisione di dettagli è il presente, che

possiamo leggere con esattezza.

Quindi c’è una visione contemporanea del tempo antico e del tempo

attuale, di elementi indeterminati e definiti,

di cose grandi come le montagne e quelle

piccole come i fiori. C’è un passaggio di

scala ampio senza intermediazioni, non

servono; l’uomo percepisce entrambi gli

estremi ed è lui stesso il mediatore tra i due

mondi. Come nel Partenone, l’uomo si sente

al centro dell’universo, la misura di tutte le

cose, può conoscere sia l’universo che il

granello di sabbia. Il suo pensiero, i suoi sensi, la sua condizione fisica, psichica, filosofica lo

pongono nel mezzo tra l’estremamente grande e l’infinitamente piccolo. Ci si riappropria

dell’idea della centralità dell’essere umano, l’uomo è colui che indaga e comprende la natura,

tant’è vero che rinasce la scienza e Leonardo ne è una forza trainante, analizza il mondo e si

appropria di quelle conoscenze tanto che può riprodurle nelle sue opere, ha studiato i fiori e

quindi li può rappresentare con esattezza nella Vergine delle Rocce.

E’ però un’indagine in cui Dio non è mai dimenticato. E’ un approccio diverso dalla scienza di

oggi: non è una ricerca laica della verità, un’analisi fatta dall’esterno, si cercano la perfezione del

creato e le regole divine con cui è stato fatto il mondo. Dio è sempre presente nell’Umanesimo-

Rinascimento, la sua opera non viene mai messa in discussione.

E’ l’avvicinamento di Dio agli uomini avvenuto con Cristo che dà la possibilità di indagare la

natura con esattezza.

Lo sfondo, il tempo prima di Cristo, è indefinito, non riusciamo a conoscerlo esattamente; con la

rivelazione cristiana comincia la conoscenza. Gesù apre uno squarcio sulla realtà permettendo di

vederla con chiarezza: la grotta crolla, aprendo la possibilità dell’illuminazione all’interno, da lì

in poi tutto è nitido. Si capisce che la volta della caverna è caduta perché altrimenti l’apertura sul

fondo, da sola, creerebbe una situazione di controluce, mentre invece i volti dei personaggi sono

illuminati.

La venuta di Cristo è uno sconvolgimento che cambia la consapevolezza dell’uomo e la sua

visione del mondo.

opera non ancora restaurata

C’è un’altra opera di Leonardo che si collega a questo discorso, l’Adorazione dei Magi, che

l’artista non finì mai, tanto che alla fine i suoi committenti dovettero richiedere un altro dipinto a

Filippino Lippi al suo posto.

E’ un’adorazione dei Magi inconsueta. E’ povera, non spiccano ricchi doni ed è incompiuta, per

cui i personaggi sono appena accennati e se ne ricava solo il senso di una massa indistinta, che in

un dipinto compiuto e definito non si sarebbe potuto avere. Tutto questo è funzionale a ciò che

Leonardo vuole raccontare.

Si concentra sull’evento: l’Epifania, la presentazione di

Cristo agli uomini, il manifestarsi del divino. Gesù è su un

poggio, in braccio a Maria, circondati dalla folla. Si generano

due forze: la presenza della divinità richiama il popolo che

accorre per vedere ma allo stesso tempo la riverenza verso la

santità che l’uomo non può raggiungere e

l’incommensurabilità dei due mondi creano un vuoto, una

distanza incolmabile. E’ come se la presenza di Gesù fosse il

motore immobile di una forza centripeta e di una forza centrifuga, una che richiama e una che

impedisce di condividere il suo stesso spazio, le due forze si equilibrano e la risultante è una

massa rotante intorno al fenomeno centrale, come un vortice, che non arriva mai a toccare Cristo.

Le due realtà non possono interagire, sono incompatibili. Uno è l’universo dell’eternità, della

perfezione, della trascendenza; l’altro quello terreno e corruttibile della morte, della malattia e di

tutti gli affanni umani. Lo vediamo nella Creazione di Adamo di Michelangelo, c’è la scintilla

divina che viene trasmessa da Dio all’uomo, ma le loro dita nemmeno si sfiorano.

A richiamare gli uomini verso Gesù è il Furor,

un’intuizione del divino, una comprensione

immediata che non ha bisogno di istruzione o

preparazione. La presentazione di Cristo è un

evento tanto determinante che coinvolge tutti

senza dover essere spiegato, pur non potendosi

avvicinare completamente a Dio l’uomo ne

rimane sconvolto.

La rivelazione cristiana cambia la condizione

umana.

Questo sconvolgimento che porta a una nuova

consapevolezza è rappresentato nell’albero sul

poggio: nello stesso tumulto in cui perde le

foglie (il passato) nascono nuove gemme,

raccontando la rinascita dell’uomo grazie alla

venuta di Cristo, il nuovo mondo con una nuova

coscienza. Inoltre, notiamo che le radici, che

sporgono, sono antiche: alludono a ciò che ha

preceduto Gesù.

Dettaglio dell’opera (non ancora restaurata)

Nel passato l’uomo si era sempre teso verso la ricerca della

verità, ma è solo adesso che riesce a raggiungerla

pienamente. Michelangelo lo racconta nei profeti e nelle

sibille della volta della Sistina: sono le figure che hanno

avuto il presentimento del futuro, l’intuizione di un mondo

oltre l’umano, potevano stare in entrambi i mondi: la sibilla

cumana accompagna Enea nell’oltretomba. La storia antica

con la sua tensione verso la conoscenza, pur non

raggiungendo quella perfetta, è fondamento del tempo

cristiano, il nuovo nasce dalla storia, dal passato che l’ha

preceduto. Nel fondo dell’Adorazione notiamo scene di

battaglia e rovine antiche: rappresentano gli affanni degli

uomini nella ricerca della verità e nella costruzione del mondo della conoscenza, ma solo Cristo

può dare questo. Tornando a Michelangelo, sullo sfondo del Tondo Doni ci sono dei nudi che

rappresentano il mondo pagano, ma non guardano la sacra famiglia, sono due realtà diverse ma

Giovanni, che si sporge dalla balaustra, è il legame tra loro. Gesù, che incarna il nuovo

Testamento, è sollevato da Giuseppe e Maria, che sono il vecchio Testamento: Gesù è sostenuto

da tutto il passato che l’ha preceduto.

Dal vecchio al nuovo testamento il corso della religione cambia: da un Dio distante e terribile a

una divinità misericordiosa, infatti nell’Adorazione Gesù porge la mano verso gli uomini,

consentendo loro di avvicinarsi.

Le rovine antiche ci raccontano anche altro. Non ci deve sorprendere se un dipinto può essere

raccontato contemporaneamente in più modi.

L’opera d’arte deve aprire spazio all’interpretazione in modo da coinvolgerci: cercando le chiavi

per leggerla finiamo poi per andare più in là di una spiegazione determinata, che non basta per

esaurire la comprensione dell’opera; passiamo poi al godimento, la guardiamo ancora per

scoprire continuamente la visione e le emozioni che ci può dare.

Se guardiamo quei resti ai raggi x, o se aspettiamo che il restauro finisca, ci rendiamo conto che

ci sono degli operai che lavorano: non è distruzione ma la ricostruzione di un tempio. Questo ci

porta ai libri di Isaia, che ci offrono delle chiavi di lettura.

Isaia (a dire il vero, ci sono tre Isaia, ma le tre voci si raccolgono in un unico profeta, Isaia è una

figura simbolica) è sempre stato importante nella tradizione cristiana, in particolare: il Libro

dell’Emmanuele, in cui si parla della nascita di un bambino, futura salvezza del popolo ebraico e

luce delle nazioni, da una giovane donna (poi tradotto con “vergine”) che instaurerà un regno di

giustizia e armonia tra uomo e resto del creato; il Libro della Consolazione, in cui si parla del

Servo di Jahvè, considerato prefigurazione di Cristo che soffre e muore salvando l’umanità.

Dettaglio dell’opera (in corso di restauro)

Il profeta chiama il messia virgulto, cioè giovane

pianta, notiamo che nell’Adorazione l’albero è

giovane, che dietro c’è un angelo che ne indica la

chioma e un vecchio lì vicino che guarda solo quella e

non Gesù; in questo punto di vista, la storia antica

simboleggiata dalle radici è quella della stirpe di

Davide. Dettaglio dell’opera (in restauro)

Inoltre, Isaia nelle sue profezie alterna la distruzione e la ricostruzione, prevede la morte e il

giubilo. Sul fondo dell’Adorazione ci sono battaglie, la guerra con le sue emozioni, c’è un cane

che ringhia e il terrore del cavallo, ma c’è anche la ricostruzione del tempio. Isaia dice che il

messia è colui che ricostruirà il tempio di Gerusalemme, è il riparatore del mondo e perciò anche

popoli lontani accorrono a omaggiarlo. Nella riparazione del tempio ci sono la ricostruzione dei

resti del passato, l’edificazione di un futuro, la costruzione di un mondo senza distruzione, c’è la

speranza di un riscatto degli uomini.

C’è una figura che contempla tutta la scena come se guardasse la sua opera: è Isaia che guarda

ciò che ha profetizzato. Gesù è il motore immobile dei moti dei personaggi, ma la scena è

costruita da Isaia. La sua presenza dà anche il senso di un evento in atto adesso, come se fosse

un’attualizzazione più che un racconto storico.

Adorazione in corso di restauro

L’Adorazione non è statica, ci sono dei moti in atto. Non è inusuale in Leonardo. Vasari di lui

dice che inventa un’arte moderna, diversa da quella che lo ha preceduto e che influirà su quella

successiva.

Parla di moto e fiato: il moto è il movimento, il fiato è la forza vitale, il respiro. Le figure non

sono mai rappresentate in uno stato di sospensione vitale, ma nel loro movimento in atto, nel

respiro, sono persone vive.

Guardiamo il San Gerolamo, scarno, digiuno, possente, colto nell’attimo in cui apre il braccio

per poi flagellarsi, diverso dal san Girolamo di Lippi a braccia chiuse.

Nei ritratti di Leonardo c’è altro rispetto alla

maggior parte dei ritratti dell’epoca, intanto

sono di tre quarti invece che di profilo, questo

contribuisce a non farne solo dipinti di

rappresentanza della persona, ma con il moto,

con lo sguardo, con le posizioni del corpo cerca

di rappresentare anche il fiato vitale, l’anima

della persona, guardiamo ad esempio il ritratto

di Ginevra Benci.

C’è un dipinto in cui il moto e il fiato sono

particolarmente importanti, il Cenacolo, che si trova a

Milano nel refettorio del convento di Santa Maria delle

Grazie.

Leonardo sceglie un momento inusuale da raccontare,

quello in cui Cristo annuncia: “In verità, in verità vi dico: uno di voi mi tradirà”. Una mano è

rivolta verso terra, a ricongiungersi alla sua condizione umana, agli effetti terreni, con il suo

destino di martirio; l’altra guarda il cielo, ricordando il futuro in cui si ricongiungerà al padre,

riunendosi nella trinità, notiamo inoltre che Gesù assume una forma triangolare proprio a

simboleggiare l’unione della trinità in lui in quell’attimo. Guarda verso il basso, si estranea

dall’ambiente che lo circonda, è come se fosse in uno stato di sospensione temporale, di assenza

dalla realtà, non fa più parte del tempo degli uomini e le passioni le lascia a loro. E gli apostoli

reagiscono con passione.

Spesso nei dipinti che descrivono l’ultima cena non tutti i personaggi rappresentati sono

coinvolti, qui sì e ognuno interagisce con tutti gli altri in una reazione a catena. Un altro artista

del passato aveva fatto opere in cui azioni e reazioni erano concatenate: Fidia. Generalmente, le

statue che componevano i gruppi marmorei dell’arte greca potevano essere considerate

isolatamente, in quelli di Fidia invece i soggetti sono in relazione emotiva tra loro, al gesto di

uno risponde l’altro e se manca un pezzo c’è un vuoto nella comprensione.

Ricostruzione del frontone ovest del Partenone

E’ come se l’annuncio di Cristo scatenasse un vento che scuote i discepoli come delle spighe di

grano. Gesù è il motore immobile, che trasmette il moto ma non si muove. Possiamo fare un

piccolo paragone con Giovanni nel Compianto sul Cristo morto: entrambi sono geometricamente

al centro delle rispettive opere, indicano con le mani cielo e

terra e sono il fulcro dei moti dei personaggi, anche se

chiaramente i loro ruoli sono diversi: Giovanni fa da raccordo

tra cielo e terra, trasmette i moti di disperazione e di speranza

ed è il fulcro della spirale che va dall’abisso alla futura

rinascita, ma non è certo un motore.

Le parole di Gesù sono sconvolgenti e impensabili, ognuno

degli apostoli crede se stesso e gli altri compagni il massimo

dell’abnegazione e della devozione, avevano abbandonato le loro vite consuete per lui, non per

interesse ma per convinzione, sono disposti a dare la vita… lo sgomento e lo sconvolgimento che

provano in quell’attimo sono forti, si scatenano tutte le reazioni possibili, Argan dice che

Leonardo mette in atto un gioco di moti, azioni, e moventi, le ragioni dei moti, il movente

comune qui è la dichiarazione di Gesù. L’artista vuole dare voce a tutti i moti dell’anima e il

pittore può raccontare i sentimenti solo con i movimenti del corpo, dai gesti esprimere l’anima

della persona. Goethe in un libro sul Cenacolo dice che solo un italiano poteva realizzarlo,

proprio per la gestualità così espressiva, le mani sono fondamentali.

Ognuno reagisce all’evento e la sua reazione influenza quelle dei compagni, ogni moto è in

relazione con tutti gli altri, ogni azione che viene aggiunta costringe a ricalibrare l’intero gruppo.

Perciò Leonardo non può scegliere la tecnica dell’affresco tradizionale, in cui si dipinge a

giornata: si stende dell’intonaco su una parte di muro e si finisce entro il giorno stesso, dopo non

si può correggere a meno di non grattare via tutta la malta e ricominciare da capo. Leonardo

aveva bisogno di aggiungere, modificare, ricalibrare continuamente le sue opere: portò con sé la

Gioconda sviluppandola per anni; Matteo Bandello, uno scrittore dell’epoca, ci racconta i ritmi

strani con cui è stata dipinta L’ultima cena: si alternavano giorni in cui il pittore ci lavorava

instancabilmente e altri in cui non ci metteva mano, la guardava soltanto. Ci ha meditato a lungo.

Senza armonizzare l’espressione di ogni personaggio in risposta a ogni aggiunta non avrebbe

costruito il gioco di azioni e reazioni; non può considerare concluso nessun frammento del

dipinto finché tutto non è completo. Cerca allora una tecnica che gli consenta di correggere

facilmente, a essiccazione rapida, ma il risultato è che l’opera si deteriora tanto facilmente che

già ai tempi di Leonardo Ludovico il Moro ne fece fare una copia. Le cause sono varie e possono

essere addebitate agli errori della tecnica, all’ambiente e alle disavventure che l’opera ha subìto

nel tempo.

Leonardo stende un sottile strato di biacca (bianco di piombo, un pigmento) sopra due strati di

intonaco, sul quale dipinge con una tempera grassa a base di olio di lino e uovo, ma la tecnica

usata era adatta più alla tavola che al muro e i colori non venivano assorbiti bene come

nell’affresco. Già in un’altra occasione Leonardo aveva sperimentato una tecnica nuova con

cattivi risultati, nella Battaglia di Anghiari. Leonardo e Michelangelo avevano ricevuto

l’incarico di affrescare il

Salone dei cinquecento di

Palazzo Vecchio a Firenze;

Leonardo ama sperimentare

tecniche nuove, più semplici

e più avanzate del

tradizionale affresco, così

rielabora quella antica

dell’encausto, che fissa i

colori grazie al calore. Forse

a causa delle grandi

dimensioni del dipinto, non

si riuscì a raggiungere

uniformemente una

temperatura elevata e la

pittura colò con grave danno

dell’opera.

Copia di Rubens della parte centrale della Battaglia

Ciò che era rimasto è andato perso, e anche i cartoni della Battaglia di Cascina di Michelangelo,

di entrambi sono rimaste solo delle copie. Nel Cenacolo il problema non nasceva solo dalla

tecnica, il refettorio era molto umido, oltretutto vi si verificò un allagamento già in quel periodo

e successivamente fu trasformato in stalla. I restauri successivi peggiorarono la situazione: non

c’era il rispetto filologico dell’opera, chi interveniva metteva la sua interpretazione, è stato solo

nell’ultimo restauro che L’ultima cena è stata ripulita dalle stratificazioni successive. Infine, i

monaci ci hanno aperto una porta, il convento è stato bombardato durante la Seconda guerra

mondiale, insomma il Cenacolo è

passato attraverso varie peripezie.

Leonardo aveva un altro problema,

non strettamente tecnico. Il fatto

che ogni azione sia concatenata

con ogni reazione implica che

l’insieme delle combinazioni è

enorme. E’ un’equazione

impossibile, una situazione troppo

complessa. Il pittore usa allora un

espediente: riduce il numero di

interazioni restringendo i dodici

apostoli in quattro gruppi. Ci sono

così due livelli di relazioni: ogni

personaggio risponde a ed

influenza le reazioni degli altri

compagni del gruppo; ogni gruppo

risponde a ed influenza gli altri

gruppi. Gli elementi rimangono

concatenati, ma la complessità è

ridotta rendendo l’evento leggibile.

Il tutto non è semplicemente il racconto di tutti gli stati d’animo provati in un istante del passato

e bloccati lì. Leonardo attualizza il momento.

Il Cenacolo prosegue esattamente lo spazio del refettorio. Il tavolo è uguale a quello usato dai

monaci e si inserisce tra loro: di fronte c’è la tavola del priore, il quale era in posizione speculare

a Gesù, altri due tavoli erano ai lati. La tovaglia e le suppellettili sono le stesse, e anche

l’illuminazione. Come nella Vergine delle Rocce, c’è una fonte di luce alle spalle dei personaggi:

ci sono tre aperture (tra l’altro, la modanatura sopra quella centrale suggerisce la forma di

un’aureola di Cristo). Però i visi non sono in controluce quindi c’è un’altra luce che li illumina

dal davanti. Nel refettorio c’erano, in alto, delle lunette, che erano però state murate; Leonardo le

fa riaprire. Vuole che la luce del dipinto sia suffragata da un’illuminazione reale, effettivamente

presente nella stanza.

Vuole far corrispondere la realtà effettiva con la realtà rappresentata, vuole che corrisponda lo

stato d’animo di quell’istante eternizzato con la realtà dell’adesso.

I monaci mangiano ogni giorno insieme a Cristo nella sua ultima cena, servono alla sua tavola,

rivivono quell’episodio.

Non si tratta di un racconto storico, è un’attualizzazione, l’evento avviene a ogni pasto e i suoi

sentimenti si rinnovano continuamente nel presente.

E’ un memento, allo stesso tempo monito e indicazione della strada da seguire.

Il tradimento di Giuda prelude al martirio di Gesù e all’affermazione del cristianesimo. Ne

L’opera del tradimento Mario Brelich analizza il ruolo di Giuda e il perché Gesù lo avesse scelto

nonostante fosse consapevole delle conseguenze: arriva alla conclusione che Giuda era

necessario, perché altrimenti non ci sarebbero stati il calvario, il sacrificio per gli uomini, la

vittoria sulla morte e il trionfo del cristianesimo.

I monaci devono ripetere e guardare al percorso di Cristo. Devono scalare le stesse vette

impervie per raggiungere la virtù, ripercorrere i suoi dolori, compiere delle rinunce. Il momento

che prelude al percorso di martirio di Gesù deve essere loro ben presente. E deve essere ben

presente anche in un altro senso.

E’ vero che Giuda era necessario. Ma è vero pure che le conseguenze delle sue azioni sono

speranza, ma anche dolore, come abbiamo visto nel Compianto sul Cristo morto. Qui sta il

monito: se tradisci il tuo dio, lo uccidi. La vita del chierico deve essere quindi integerrima e non

può deviare dal percorso impervio indicato dalla guida divina per raggiungere la virtù, altrimenti

equivale al tradimento di Giuda, rappresenta il tradimento dei dettami della religione e della

figura di Cristo. E’ come se si riversassero sui monaci le colpe di quel tradimento: non sono

discolpati perché non erano presenti all’evento, perché lo rivivono ogni giorno, sono presenti.

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