L'Eco Di Bergamo: "Non inculcano violenza, spingono a socializzare" intervista a Davide Bennato

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48 L’ECO DI BERGAMO MARTEDÌ 25 AGOSTO 2015 IL SOCIOLOGO DAVIDE BENNATO «Non inculcano violenza Spingono a socializzare» I n «Counter-Strike: Glo- bal Offensive» uno sce- glie se arruolarsi in un gruppo di terroristi o nelle forze speciali incaricate di liquidarli; in «World of Warcraft», ambientato in un universo fantasy, si può inter- pretare – tra gli altri – il ruolo di un orco, di un troll o di un «non-morto»; nel più pacifi- co «FarmVille», invece, si col- tivano ortaggi e si allevano animali virtuali. Tramite Internet, ai Mmog (sigla che sta per «Massively multiplayer online games») giocano ogni giorno milioni di persone in tutto il mondo. Secondo Davide Bennato, do- cente di Sociologia dei pro- cessi culturali e comunicativi all’Università di Catania e grande conoscitore dei media digitali, «si può stimare che, an- che in Italia, un buon 40 per cen- to degli appassionati di videogio- chi si dedichi a questo settore. A rendere particolarmente attra- enti i giochi con più giocatori online è che, in questo caso, non ci si limita a sfidare un software ma si interagisce con altri, alleati o rivali. In effetti, la stessa dina- mica di gioco dei Mmog induce a “socializzare”, perché è molto difficile che un singolo giocatore, da solo, raggiunga gli obiettivi ». Non vi è però il rischio che queste alleanze virtuali, alla lun- ga, vadano a scapito delle rela- zioni umane reali, vis-à-vis? «Nel recente passato la questione è stata molto dibattuta a livello scientifico – risponde Bennato -, non solo in riferimento ai gio- chi on line, ma anche ai social network come Facebook. Dalle indagini sociologiche più recen- ti, tuttavia, sembra di poter ar- guire che non vi è un conflitto, un’alternativa netta tra le comu- nità online e quelle offline. Chi si iscrive alle prime lo fa sostan- zialmente per due diversi motivi: in chiave “aggiuntiva”, perché trova utile restare in contatto anche virtualmente con gli amici e i conoscenti che normalmente frequenta, o in chiave “compen- sativa”, perché – per motivi di ordine pratico – non può incon- trarsi spesso con persone che condividono le sue passioni e interessi». «Come tutti i comportamenti umani – riconosce Bennato -, queste due tendenze sono espo- ste al rischio di estremizzarsi: superate certe soglie, il ricorso “aggiuntivo” o “compensativo” al digitale può sfociare in forme di socializzazione anomala, fitti- zia. Situazioni del genere, però, non costituiscono la regola: nella grande maggioranza dei casi il virtuale non sostituisce il reale. I giocatori di Mmog, per esem- pio, organizzano dei tournament, delle grandi gare collettive che costituiscono poi un pretesto per incontrare effettivamente ap- passionati dello stesso gioco che abitano in altre città o in altri Paesi». E per quanto concerne il ri- schio di emulazione/plagio lega- to ai videogiochi più sinistri e violenti? Si cita spesso il massa- cro di Columbine del 1999: i due ragazzi responsabili della strage erano cultori di «Doom» e di altri «giochi sparatutto». «Non vi so- no prove – afferma Davide Ben- nato - che esista una causalità diretta tra la violenza dei video- game e l’adozione di comporta- menti devianti nella vita reale. Semmai questi videogiochi pos- sono costituire una “variabile interveniente”, andando a inci- dere su aspetti di disagio psicolo- gico ed emarginazione sociale già presenti. Una persona nor- malmente equilibrata, che non abbia una visione del mondo im- prontata alla violenza non divie- ne un criminale perché ne ha interpretato il ruolo in “Grand Theft Auto”». Peraltro molti videogiochi – online e no – costituiscono secondo Bennato potenziali strumenti di apprendimento: «L’aspetto dell’incremento cognitivo – dice - non verte tanto sugli obiettivi espliciti del videogame, ma sulle com- petenze che implicitamente occorre applicare o acquisire per raggiungerli. In un gioco apparentemente banale co- me “Angry Birds” , per esem- pio, si tratta di eliminare dei maialini verdi, ma per riu- scirvi bisogna impiegare delle sofisticate strategie di pro- blem solving». «Rimane comunque vero – conclude lo studioso – che un adolescente necessita di una dieta variata, anche dal punto di vista mediatico: non dovrebbe vivere solo di video- giochi o di Facebook, e nem- meno solo di libri. Tutti que- sti elementi dovrebbero esse- re le parti di un intero, insie- me alla frequentazione reale di un gruppo di pari, la tradi- zionale “compagnia del mu- retto”». Giulio Brotti ©RIPRODUZIONE RISERVATA MARINA MARZULLI «È come, per un appas- sionato di calcio, andare a vede- re giocare Cristiano Ronaldo» sintetizza Francesco Zaretti, ap- passionato giocatore ventunen- ne di Lurano, venuto all’Uci Ci- nema di Curno domenica per as- sistere alla proiezione della gara di videogiochi dell’anno: la fina- le in diretta da Colonia di «Counter Strike: Global Offen- sive», trasmessa in 30 sale di tut- ta Italia, oltre che in streaming su Internet, dove è stata seguita da milioni di persone. Un fenomeno, quello dei vi- deogiochi e dei tornei ad essi de- dicati, ancora molto sottovalu- tato dai non esperti del settore. Basti pensare che il primo pre- mio per i vincitori della finale del torneo di Colonia era di 200 mi- la dollari; 100 mila per i secondi e 55 mila per il terzo e il quarto classificato. Gli sponsor sono co- lossi dell’informatica e del digi- tale come Asus, Intel, Nvidia, Benq. Ma i numeri possono es- sere ancora più alti in Usa: per le finalissime di Dota 2, alla Ke- yArena di Seattle a inizio agosto, il montepremi ammontava a 18 milioni di dollari, con 16 mila spettatori dal vivo. La crescita degli «eSports», gli sport elettronici, cioè le gare di videogiochi a livello competi- tivo, è globale. SuperData, azienda fondata da veterani del- l’industria dei videogiochi e Un’inquadratura di «Counter Stroke: Global Offensive», uno dei videogiochi più praticati in tutto il mondo Videogiocatori, tra milioni e doping Il fenomeno. Ai vincitori della finale di Colonia, vista all’Uci, 200 mila dollari. Negli Usa montepremi da nababbi «Ci sono professionisti che si allenano più di 10 ore al giorno. Ma in Italia i tornei per ora sono solo privati» punto di riferimento del settore, stima che nel mondo siano 134 milioni gli spettatori di eSport. Un mercato che, sempre secon- do SuperData, vale oltre 600 mi- lioni di dollari, di cui 72 solo in Europa. «In Italia le gare di videogio- chi non hanno ancora preso pie- de, ci sono solo tornei privati» racconta Matteo Morosini, gio- catore diciottenne di Albino, che all’Uci di Curno è venuto con il fratellino più piccolo, Marco. È lui che ci spiega come si svolge la gara: in finale sono rimaste due squadre, gli svedesi «Fnatic» (i vincitori) e il team francese «EnVyUs». Counter-Strike è una simulazione di tattiche di terrorismo e antiterrorismo, dove tattica e riflessi sono l’ele- mento fondamentale. Ogni squadra ha cinque giocatori, ognuno dei quali ha un ruolo ben preciso nella strategia di gioco. Esistono migliaia di clan (squa- dre) in tutto il mondo, ed è possi- bile giocare insieme anche a di- stanza. Ognuno sul proprio pc. «Con il mio clan mi alleno per 4/5 ore un paio di volte a setti- mana – racconta Matteo Moro- sini, che nella vita “non digitale” studia alla scuola alberghiera – ma da solo faccio 10 ore al gior- no; i gamer professionisti ne fanno anche 18». «A volte si cre- ano anche dei rapporti di amici- zia» racconta un altro ragazzo in sala, George Vierbo, 13 anni. «I giocatori del mio clan sono ve- nuti a trovarmi per il mio com- pleanno». Il sogno, per chi non vive i videogiochi come un pas- satempo ma come qualcosa di più serio, è di avvicinarsi alla «global élite», e diventare un giocatore professionista: «Se ci si mette d’impegno si può arri- vare a questi risultati e girare tutto il mondo per partecipare ai tornei», dice Morosini. Per dare un’idea delle cifre che girano, il clan nordamerica- no Evil Geniuses si è aggiudicato 6,6 milioni di dollari vincendo il torneo alla KeyArena. Tra loro anche il sedicenne pachistano Syed Sumail Hassan, che ha vin- to oltre un milione di dollari. E, come accade nello sport «vero», anche nel gaming com- petitivo esistono le scommesse, legali, e il doping: farmaci psico- attivi, droghe, cannabis, stimo- lanti. Tanto che l’organizzazio- ne professionale Electronic Sports League si riserva di effet- tuare test a campione prima dei grandi tornei. ©RIPRODUZIONE RISERVATA Nel mondo si creano migliaia di clan, che poi si sfidano in rete «E si diventa amici» Spettacoli [email protected] www.ecodibergamo.it Studioso vestirà per un anno i panni di David Bowie Un docente universitario, Will Brooker, 40 anni, vivrà per un anno come David Bowie (dal taglio di capelli al vestiario, alla dieta) per studiarlo. Il sociologo Davide Bennato La cosa importante è avere una dieta variata tra giochi, social network, libri» rRZSEerdH/PcMRMYcefi+pnQye7GNW5eNaKQgplgj0Q=

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Intervista apparsa su L'Eco di Bergamo del 25 agosto 2015 sul tema dell'impatto sociale e relazionale dei videogiochi in particolare MMOG

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48 L’ECO DI BERGAMO

MARTEDÌ 25 AGOSTO 2015

IL SOCIOLOGO DAVIDE BENNATO

«Non inculcano violenzaSpingono a socializzare»

In «Counter-Strike: Glo-bal Offensive» uno sce-glie se arruolarsi in ungruppo di terroristi o

nelle forze speciali incaricatedi liquidarli; in «World ofWarcraft», ambientato in ununiverso fantasy, si può inter-pretare – tra gli altri – il ruolodi un orco, di un troll o di un«non-morto»; nel più pacifi-co «FarmVille», invece, si col-tivano ortaggi e si allevanoanimali virtuali.

Tramite Internet, ai Mmog(sigla che sta per «Massivelymultiplayer online games»)giocano ogni giorno milionidi persone in tutto il mondo.Secondo Davide Bennato, do-cente di Sociologia dei pro-cessi culturali e comunicativiall’Università di Catania e

grande conoscitore dei mediadigitali, «si può stimare che, an-che in Italia, un buon 40 per cen-to degli appassionati di videogio-chi si dedichi a questo settore. Arendere particolarmente attra-enti i giochi con più giocatorionline è che, in questo caso, nonci si limita a sfidare un softwarema si interagisce con altri, alleatio rivali. In effetti, la stessa dina-

mica di gioco dei Mmog inducea “socializzare”, perché è moltodifficile che un singolo giocatore,da solo, raggiunga gli obiettivi ».

Non vi è però il rischio chequeste alleanze virtuali, alla lun-ga, vadano a scapito delle rela-zioni umane reali, vis-à-vis? «Nelrecente passato la questione èstata molto dibattuta a livelloscientifico – risponde Bennato-, non solo in riferimento ai gio-chi on line, ma anche ai socialnetwork come Facebook. Dalleindagini sociologiche più recen-ti, tuttavia, sembra di poter ar-guire che non vi è un conflitto,un’alternativa netta tra le comu-nità online e quelle offline. Chisi iscrive alle prime lo fa sostan-zialmente per due diversi motivi:in chiave “aggiuntiva”, perchétrova utile restare in contatto

anche virtualmente con gli amicie i conoscenti che normalmentefrequenta, o in chiave “compen-sativa”, perché – per motivi diordine pratico – non può incon-trarsi spesso con persone checondividono le sue passioni einteressi».

«Come tutti i comportamentiumani – riconosce Bennato -,queste due tendenze sono espo-ste al rischio di estremizzarsi:superate certe soglie, il ricorso“aggiuntivo” o “compensativo”al digitale può sfociare in formedi socializzazione anomala, fitti-zia. Situazioni del genere, però,non costituiscono la regola: nellagrande maggioranza dei casi ilvirtuale non sostituisce il reale.I giocatori di Mmog, per esem-pio, organizzano dei tournament,delle grandi gare collettive checostituiscono poi un pretesto perincontrare effettivamente ap-passionati dello stesso gioco cheabitano in altre città o in altriPaesi».

E per quanto concerne il ri-schio di emulazione/plagio lega-to ai videogiochi più sinistri eviolenti? Si cita spesso il massa-cro di Columbine del 1999: i due

ragazzi responsabili della strageerano cultori di «Doom» e di altri«giochi sparatutto». «Non vi so-no prove – afferma Davide Ben-nato - che esista una causalitàdiretta tra la violenza dei video-game e l’adozione di comporta-menti devianti nella vita reale.Semmai questi videogiochi pos-sono costituire una “variabileinterveniente”, andando a inci-

dere su aspetti di disagio psicolo-gico ed emarginazione socialegià presenti. Una persona nor-malmente equilibrata, che nonabbia una visione del mondo im-prontata alla violenza non divie-ne un criminale perché ne hainterpretato il ruolo in “GrandTheft Auto”».

Peraltro molti videogiochi –

online e no – costituisconosecondo Bennato potenzialistrumenti di apprendimento:«L’aspetto dell’incrementocognitivo – dice - non vertetanto sugli obiettivi esplicitidel videogame, ma sulle com-petenze che implicitamenteoccorre applicare o acquisireper raggiungerli. In un giocoapparentemente banale co-me “Angry Birds” , per esem-pio, si tratta di eliminare deimaialini verdi, ma per riu-scirvi bisogna impiegare dellesofisticate strategie di pro-blem solving».

«Rimane comunque vero– conclude lo studioso – cheun adolescente necessita diuna dieta variata, anche dalpunto di vista mediatico: nondovrebbe vivere solo di video-giochi o di Facebook, e nem-meno solo di libri. Tutti que-sti elementi dovrebbero esse-re le parti di un intero, insie-me alla frequentazione realedi un gruppo di pari, la tradi-zionale “compagnia del mu-retto”». Giulio Brotti

©RIPRODUZIONE RISERVATA

MARINA MARZULLI

«È come, per un appas-sionato di calcio, andare a vede-re giocare Cristiano Ronaldo» sintetizza Francesco Zaretti, ap-passionato giocatore ventunen-ne di Lurano, venuto all’Uci Ci-nema di Curno domenica per as-sistere alla proiezione della garadi videogiochi dell’anno: la fina-le in diretta da Colonia di «Counter Strike: Global Offen-sive», trasmessa in 30 sale di tut-ta Italia, oltre che in streaming su Internet, dove è stata seguita da milioni di persone.

Un fenomeno, quello dei vi-deogiochi e dei tornei ad essi de-dicati, ancora molto sottovalu-tato dai non esperti del settore. Basti pensare che il primo pre-mio per i vincitori della finale deltorneo di Colonia era di 200 mi-la dollari; 100 mila per i secondi e55 mila per il terzo e il quarto classificato. Gli sponsor sono co-lossi dell’informatica e del digi-tale come Asus, Intel, Nvidia, Benq. Ma i numeri possono es-sere ancora più alti in Usa: per lefinalissime di Dota 2, alla Ke-yArena di Seattle a inizio agosto,il montepremi ammontava a 18 milioni di dollari, con 16 mila spettatori dal vivo.

La crescita degli «eSports»,gli sport elettronici, cioè le gare di videogiochi a livello competi-tivo, è globale. SuperData, azienda fondata da veterani del-l’industria dei videogiochi e Un’inquadratura di «Counter Stroke: Global Offensive», uno dei videogiochi più praticati in tutto il mondo

Videogiocatori, tra milioni e dopingIl fenomeno. Ai vincitori della finale di Colonia, vista all’Uci, 200 mila dollari. Negli Usa montepremi da nababbi«Ci sono professionisti che si allenano più di 10 ore al giorno. Ma in Italia i tornei per ora sono solo privati»

punto di riferimento del settore,stima che nel mondo siano 134 milioni gli spettatori di eSport. Un mercato che, sempre secon-do SuperData, vale oltre 600 mi-lioni di dollari, di cui 72 solo in Europa.

«In Italia le gare di videogio-chi non hanno ancora preso pie-de, ci sono solo tornei privati» racconta Matteo Morosini, gio-catore diciottenne di Albino, cheall’Uci di Curno è venuto con il fratellino più piccolo, Marco. È lui che ci spiega come si svolge lagara: in finale sono rimaste due squadre, gli svedesi «Fnatic» (i vincitori) e il team francese «EnVyUs». Counter-Strike è una simulazione di tattiche di terrorismo e antiterrorismo, dove tattica e riflessi sono l’ele-mento fondamentale. Ogni squadra ha cinque giocatori, ognuno dei quali ha un ruolo benpreciso nella strategia di gioco. Esistono migliaia di clan (squa-dre) in tutto il mondo, ed è possi-bile giocare insieme anche a di-stanza. Ognuno sul proprio pc.

«Con il mio clan mi alleno per

4/5 ore un paio di volte a setti-mana – racconta Matteo Moro-sini, che nella vita “non digitale”studia alla scuola alberghiera – ma da solo faccio 10 ore al gior-no; i gamer professionisti ne fanno anche 18». «A volte si cre-ano anche dei rapporti di amici-zia» racconta un altro ragazzo insala, George Vierbo, 13 anni. «I giocatori del mio clan sono ve-nuti a trovarmi per il mio com-pleanno». Il sogno, per chi non vive i videogiochi come un pas-satempo ma come qualcosa di più serio, è di avvicinarsi alla «global élite», e diventare un giocatore professionista: «Se ci si mette d’impegno si può arri-vare a questi risultati e girare tutto il mondo per partecipare aitornei», dice Morosini.

Per dare un’idea delle cifreche girano, il clan nordamerica-no Evil Geniuses si è aggiudicato6,6 milioni di dollari vincendo il torneo alla KeyArena. Tra loro anche il sedicenne pachistano Syed Sumail Hassan, che ha vin-to oltre un milione di dollari.

E, come accade nello sport«vero», anche nel gaming com-petitivo esistono le scommesse, legali, e il doping: farmaci psico-attivi, droghe, cannabis, stimo-lanti. Tanto che l’organizzazio-ne professionale Electronic Sports League si riserva di effet-tuare test a campione prima dei grandi tornei.

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� Nel mondo si creano migliaia di clan, che poi si sfidano in rete«E si diventa amici»

[email protected]

Studioso vestirà per un annoi panni di David BowieUn docente universitario, Will Brooker, 40 anni,vivrà per un anno come David Bowie (dal taglio di capelli al vestiario, alla dieta) per studiarlo.

Il sociologo Davide Bennato

��� La cosa importante è avere una dieta variata tra giochi, social network, libri»

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