L'eccidio del pane a Sesto Fiorentino. Il 5 maggio del 1898

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Fabio Bertini L’eccidio del pane a Sesto Fiorentino. Il 5 maggio del 1898 Un evento né casuale né senza conseguenze

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Fabio Bertini

L’eccidio del panea Sesto Fiorentino.Il 5 maggio del 1898Un evento né casuale né senza conseguenze

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MPubblicazione realizzata

dal Comune di Sesto Fiorentinoin occasione dell’inaugurazione

della nuova Sala consiliare “5 maggio”

In memoria di Anilina Banchelli,Delio Contini, Raffaello Mannini e

Odoardo Parigi, uccisi a Sesto Fiorentino durante i moti del 5 maggio 1898

Fabio BertiniL’eccidio del pane a Sesto Fiorentino.

Il 5 maggio del 1898Un evento né casuale né senza conseguenze

Comune di Sesto Fiorentinopiazza Vittorio Veneto 150019 Sesto Fiorentino

tel. 055 055www.comune.sesto-fiorentino.fi.it

Progetto grafico e impaginazione:Alfio Tondelli

Finito di stampare nel mese di novembre 2013da Tipografia Francesconi s.n.c. (Lucca)

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MIndice

Il Palazzo Comunale, da poco inaugurato, alla fine dell’Ottocento

1898: un 5 maggio di sangue per chi chiedeva pane e lavorodi Gianni Gianassi, Sindaco di Sesto Fiorentino

L’eccidio del pane a Sesto Fiorentino. Il 5 maggio del 1898di Fabio Bertini, Università degli Studi di Firenze

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1898Sesto Fiorentino, Largo 5 Maggio, lapide del monumento in ricordo dei«sestesi che domandavano pane e lavoro», vittime della repressione umbertina

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1898S criveva un cronista del tempo: «Ad un tratto si odono dei colpi,

delle detonazioni: i soldati, che si sono un po’ sparpagliati, fanno fuoco, qualcuno in aria, ma qualche altro, purtroppo, sulla folla, che fugge spaventata, atterrita. Il fuoco di fucileria dura qualche

secondo; ai colpi dei wetterly si frammischiano quelli delle rivoltelle. Il rumore delle esplosioni è rotto dai gridi strazianti, dagli urli, dai pianti delle donne, dal mormorio della folla, che, allibita, fugge per la via Tonietta, per via delle Fornaci, per via del Municipio».

Queste parole, scarne e drammatiche, riportate nel bell’intervento di Fabio Bertini che segue questa breve introduzione, dicono con chiarezza cosa trova-rono ad attenderli, in quel lontano 5 maggio 1898, coloro che manifestavano chiedendo pane e lavoro: il piombo del regio esercito del neonato stato unitario.

L’antefatto nazionale è noto. Nel maggio 1898, in occasione dei gravi tumulti milanesi, che Napoleone Colajanni definì pochi anni dopo come la «protesta dello stomaco», il Governo guidato da Antonio di Rudinì proclamò lo stato d'assedio e il generale Bava Beccaris, in qualità di regio commissario straordinario, ordinò di cannoneggiare la folla provocando una strage, in cui furono uccisi 80 cittadini e altri 450 rimasero feriti.

A quella giornata tragica, che tinse di sangue le piazze di un’Italia da poco unita, Sesto Fiorentino pagò il proprio tributo di vite e di vittime innocenti. Odoardo Parigi, operario della manifattura Ginori, fu colpito alla testa da un proiettile. La trecciaiola Anilina Banchelli fu presa all’addome. Il mugnaio Raffaello Mannini, colpito in piazza, moriva la mattina seguente. Il piccolo

1898:un 5 maggio di sangueper chi chiedevapane e lavoro

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Delio Contini, di 9 anni, colpito di fronte al municipio da un proiettile moriva pochi minuti dopo. Quattro furono le vittime e quattro sono le “ferite” che, all’interno della nuova sala consiliare, ricordano simbolicamente quel sacrificio.

I moti del 5 maggio 1898, nella loro tragicità e durezza, mettono a nudo uno Stato incapace di misurarsi, per vocazione autoritaria e deficit di partecipazione civile e democratica, con l’urgenza del conflitto sociale e il crescente protagonismo delle masse lavoratrici. Lo Stato umbertino sa dare una sola risposta: la repressione.

Il 1º dicembre 1897 il ministro dell'economia Luigi Luzzatti aveva annunciato la chiusura dei conti di fine anno con un avanzo di 17 milioni di lire. Il risultato veniva raggiunto grazie ai pesanti tagli della spesa pubblica, ma invece di impiegare tali fondi per l’urgenza sociale di un Paese in cui era enorme la disparità delle condizioni di vita, l’attenzione del Governo si concentrò sul sostegno agli apparati burocratici e di credito. I tempi sono profondamente mutati da allora, ma le assonanze fra quei giorni lontani ed il nostro presente non possono sfuggire.

Quel tragico 1898 segnò nel profondo la comunità sestese. Pilade Biondi, che soltanto un anno dopo diverrà il primo sindaco socialista di Sesto Fiorentino, da consigliere comunale affrontò la vicenda dei moti con decisione e pacatezza, chiedendo, atto quasi inaudito per l’epoca, l’avvio di un’inchiesta che consentisse di approfondire le responsabilità dello Stato.

A quell’inchiesta furono frapposti continui ostacoli ma essa segnò, in quell’alba tragica lungo la via della democratizzazione delle istituzioni, un momento alto, che fa ben comprendere come i tempi fossero cambiati e come la cultura elitaria della destra liberale fosse insufficiente a gestire una nuova stagione, che vedeva l’irruzione delle masse operaie sul palcoscenico della storia e il costituirsi di un nuovo e più articolato tessuto sociale, con la nascita di Società di Mutuo Soccorso, di Fratellanze Artigiane, di Leghe Cooperative e di Case del Popolo. Esse segnarono di fatto il tramonto di un ancien régime e la nascita, faticosa e contrastata, di un nuovo e più moderno ordine della vita civile.

A quel lontano 5 maggio 1898 fecero seguito altri momenti tragici e fondativi della identità collettiva e locale, che attendevano l’Italia e con essa la nostra comunità. La Grande Guerra, con la sua partecipazione di popolo, piena e intensa anche a Sesto Fiorentino, prima vera prova di unità di un Paese e di un Popolo fatto di molti paesi e popoli lontanissimi fra loro. Di lì a pochi anni l’avvento del regime fascista e la stagione dell’antifascismo prima e

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della Resistenza poi, che videro un contributo altissimo e diffuso nella nostra comunità, contributo che di recente, grazie alla collaborazione con l’Istituto Storico della Resistenza in Toscana, è stato possibile precisare nel dettaglio e ricostruire nel volume Sesto Fiorentino nella lotta contro il fascismo ed il nazismo con chiarezza inequivocabile.

Quei tempi ci appaiono oggi molto lontani, ma ancora adesso le istanze profonde di un popolo e di una nazione continuano ad essere le medesime: dignità sociale, partecipazione e presenza nella vita delle istituzioni,

Pilade Biondi

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conseguimento di una equità e di un benessere diffusi che presuppongano, come prevede l’art. 3 della nostra Costituzione, la rimozione degli «ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese».

Rivendicare queste istanze, nel lontano 5 maggio 1898, costò a quattro nostri concittadini la vita. In nome loro e in loro memoria abbiamo ritenuto in passato, e con forza continuiamo a ritenere ancora oggi, che la sala consiliare cittadina, in cui si esercitano le funzioni democratiche della nostra collettività, portasse iscritto sui propri muri il ricordo di quel giorno sanguinoso, perché non si perda la memoria e sia sempre sotto gli occhi di tutti quanto costò, e quanto può costare, chiedere pane e lavoro e con essi emancipazione e giustizia.

Gianni GianassiSindaco di Sesto Fiorentino

Sesto Fiorentino, novembre 2013

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di Fabio Bertini1

La Sesto della consorteria e la cultura politica dei democratici

I ntorno ai moti per il pane a Sesto Fiorentino, del 5 maggio 1898, ci sono due domande a cui dare risposta. La prima è perché Sesto Fio-rentino fosse oggetto di una repressione tanto feroce e decisa, in pro-porzione degna del giudizio che ha bollato per sempre il generale Bava

Beccaris. La seconda è perché, a circa un anno da quei fatti, Sesto cambiasse completamente il suo volto politico dandosi - secondo municipio toscano dopo Collevaldelsa - un’amministrazione popolare con un sindaco socialista. Se ri-spondiamo a quelle domande, riusciamo a collocare la giornata del 5 maggio in un quadro logico, sfuggendo alla tentazione di vedervi una storia di ordinaria follia. E si potrà capire come la gente pagasse le conseguenze di qualcosa che, apparentemente, non aveva niente di locale. La crisi, infatti, aveva dimensio-ne europea e colpiva un intero paese come l’Italia, avviato, nonostante i limiti strutturali di uno stato formato soltanto da una trentina d’anni, ad inseguire le grandi potenze coloniali. Perché, allora, Sesto?

Non vi è dubbio che l’unità italiana avesse trovato Sesto inserita in un pro-cesso di trasformazione imperniato sulla grande Manifattura di Doccia dei Ginori. Avviata in forma sperimentale nel 1735 e man mano sviluppata2, aveva

1. Fabio Bertini è docente di Storia contemporanea alla Facoltà di Scienze Politiche “Cesare Alfieri” dell’Università degli Studi di Firenze.

2. Roberto Melchionda, Firenze industriale nei suoi incerti albori. Le origini dell’asso-

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assunto, dalla seconda metà degli anni cinquanta, una configurazione indu-striale, con una crescente quantità di manodopera impiegata e “professionaliz-zata”3, così da indurre quote rilevanti di innovazione nel tessuto sociale, anche se rimaneva forte l’identità agricola del territorio4.

Della qualità della nuova generazione di lavoratori e tecnici fu spia la pre-senza di due scuole tecniche quotatissime a livello nazionale e internazionale, come la Scuola di disegno tecnico e la Scuola di arti e mestieri dedicata alla ceramica5, mentre l’impatto del sistema ferroviario, dopo la ferrovia Firenze - Prato - Pistoia, realizzata nel 1848, poi con lo sviluppo della Lucchese nel 1859, quindi con l’innesto della Maria Antonia nella linea Porrettana realizzata nel 18646, modificava l’insediamento urbano radicalmente rispetto al vecchio mo-dello conformato sulle pievi e garantiva un rapporto strategico con Firenze e con Bologna7. Il sistema si sarebbe via via raccordato con le nuove reti tranviarie in un territorio avviato a grandi trasformazioni8. Il mirabile lavoro di Ernesto Ragionieri sul «comune socialista»9 resta l’insuperabile riferimento di una ri-costruzione analitica di ogni aspetto economico, sociale e politico, dell’identità cittadina cui occorre fare ampio riferimento.

Il fatto che la Manifattura costituisse un fiore all’occhiello della produzione italiana, riconosciuto dalle massime esposizioni internazionali10, non poteva non contribuire all’identità dei lavoratori ed al senso di appartenenza all’im-

ciazionismo imprenditoriale cento anni fa: esplorazioni e materiali, Firenze, Le Monnier, 1988, p. 362; Marcello Mannini, La Manifattura ceramica di Doccia: i Ginori e Sesto Fiorentino. Un esempio di collaborazione europea (1737-1896). Nuovi contributi, Firenze, Polistampa, 1998.

3. Sandra Buti, La Manifattura Ginori. Trasformazioni produttive e condizione operaia (1860-1915), Firenze, Olschki, 1980, pp. 50 segg.

4. Vincenzo Ginanneschi, Intorno allo stato dell’agricoltura nel Comune di Sesto Fiorenti-no, Firenze, Cellini, 1875.

5. L’Italia economica nel 1873. Pubblicazione ufficiale, Firenze, Barbèra, 1873; Scuola di disegno industriale in Sesto Fiorentino. Anno scolastico 1876-1877, Firenze, Mariani, 1877.

6. Stefano Maggi-Annalisa Giovani, Muoversi in Toscana. Ferrovie e trasporti dal Gran-ducato alla Regione, Bologna, Il Mulino, 2005, pp. 50 segg.

7. Verbale dell’ assemblea dei rappresentanti della Provincia di Novara e dei Comuni interessati per la costruzione della progettata ferrovia Valsesiana, Novara, Colleoni, 1870, p. 25; La forma-zione storica della città e le vicende urbanistiche, in Piano regolatore. Relazione, Sesto Fiorentino, Consiglio Comunale, 2003.

8. Sergio G. Cerreti, Il tramway di Sesto. Trasporto collettivo fra Firenze e Sesto Fiorentino dalla metà dell’Ottocento al primo Novecento, Camucia, Calosci, 2003; Lando Bortolotti, Storia di un territorio. Sesto Fiorentino, Firenze, Alinea, 2006.

9. Ernesto Ragionieri, Storia di un comune socialista. Sesto Fiorentino, Roma, Editori Ri-uniti, 1976.

10. Doccia, Manufacture Ginori. Exposition de Paris, 1878, Sesto Fiorentino, Richard Ginori, 1878.

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presa per molti di essi. Non stupisce che i Ginori, proprietari della Manifat-tura di Doccia, fossero il fulcro anche del potere politico amministrativo11 e che grande fosse il loro ruolo nella costruzione di una sociabilità operaia, ricca anche di aspetti previdenziali, prima tra tutte la Società di Mutuo Soccorso tra i dipendenti. A quel modello, ispirato alla filantropia paternalistica, si af-fiancò però, dopo l’unità, un altro tipo di associazionismo, di orientamento repubblicano, democratico e massone, che si riflesse nella costituzione anche a Sesto di quattro sezioni (Sesto, Quinto, Colonnata e Castello) della Fratellanza Artigiana, organismo di ascendenza mazziniana fondato a Firenze con valenza nazionale12.

Fu in quel contesto che si sviluppò l’opera del maestro elementare, poi di-rettore didattico, Ferruccio Orsi, repubblicano di ferro e grande intellettuale militante, autore di libri educativo-risorgimentali per i ragazzi e di altri dedicati alla didattica, giornalista politico, sostenitore delle scuole serali13. Era un tipico rappresentante della cultura mazziniana che aveva a fondamento l’istruzione delle classi popolari e che trovò piena corrispondenza in altri soggetti, come un altro “forestiero”, il pretore Ulisse Tanganelli e il chimico della Manifattura Giuseppe Soldaini14. Si sviluppò così una fondamentale scuola di formazione di «quadri», come Emilio Checcherini artigiano pasticcere, Alfredo Conti-ni, dipendente della Manifattura, Carlo Catanzaro, titolare di una azienda di tintoria, Pilade Biondi, che pure veniva da una famiglia borghese ed aveva fre-quentato l’Accademia militare di Modena15.

Il mondo sestese della Fratellanza Artigiana cominciò a rappresentare un pericolo per l’equilibrio costruito intorno ai Ginori tra élite manifatturiera, proprietà fondiaria e borghesia delle professioni. Ma poiché l’obbiettivo dell’i-struzione per gli operai era ormai un fatto politico, dopo la nuova legge elet-

11. Ernesto Ragionieri, Storia di un comune socialista, cit. , p. 41, p. 113, p. 172.12. Luigi Minuti, Il comune artigiano di Firenze della Fratellanza artigiana d’Italia, Firenze,

Tipografia Cooperativa, 1911, pp. 193 segg.; Luigi Tomassini, L’associazionismo operaio: il mu-tualismo nell’Italia liberale, in Stefano Musso (a cura), Tra fabbrica e società. Mondi operai del Novecento, Milano, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, 1999, p. 33.

13. «Giornale della Libreria», n. 20, 1907, p. 498.14. Ernesto Ragionieri, Storia di un comune socialista, cit., p. 43 e p. 119; Sandra Buti,

La Manifattura Ginori, cit, p. 186.15. Ernesto Ragionieri, Storia di un comune socialista, cit., p. 43; Giulio Cerreti, I

ragazzi della fila rossa, Milano, Vangelista, 1978, p. 133; Donatella Cherubini, Alle origini dei partiti: la Federazione socialista toscana (1893-1900), Manduria-Lecce-Roma, Lacaita, 1997, p. 55; Gianna Bandini-Mario Nesti, Associazionismo, cultura e politica. L’Unione operaia di Colonnata, 1864-1980, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2000, p. 27.

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torale del 1882 che allargava il diritto di voto a chi, avendo passato l’esame di seconda elementare, sapeva leggere e scrivere16, occorse tentare di ribaltare il quadro politico. La questione fu affrontata con la costituzione di un «Nucleo Democratico Operaio» creato da Ferruccio Orsi e dagli altri esponenti della Fratellanza Artigiana17, per tentare il confronto con i tanto più forti avversari. Il tentativo dette qualche frutto alle elezioni del 1891, quando Ferruccio Orsi, Emilio Checcherini, Carlo Catanzaro e altri vennero eletti. Annullata con un pretesto l’elezione di Ferruccio Orsi, allontanato anche dalla direzione della Scuola elementare, cominciò allora una vera e propria strategia dell’intimida-zione contro quella minoranza, con licenziamenti e trasferimenti di dipendenti della Manifattura impegnati socialmente18.

Molti segni mostravano la crescita politica dei lavoratori, a cominciare dal-la celebrazione del 1° maggio, nel 1892, tenuta presso la sede della Fratellan-za Artigiana da Catanzaro e da Orsi, in nome di tutte le forze progressiste. Stavano tuttavia maturando, nel mondo repubblicano, orientamenti socialisti, dapprima in forma “repubblicano-collettivista”, mentre Ferruccio Orsi ed al-tri restavano strettamente legati all’ortodossia “repubblicano-mazziniana” che non prevedeva la lotta di classe. Soprattutto influì sui primi l’avvocato Giusep-pe Pescetti, leader del socialismo fiorentino, anch’egli proveniente dal mondo repubblicano19.

Quando, tra il 1892 e il 1894, la repressione governativa, a partire dalle agi-tazioni dei Fasci siciliani, colpì duramente i lavoratori organizzati20, quel com-plesso insieme si ritrovò nella sezione sestese della «Lega Italiana per la Difesa

16. Ernesto Ragionieri, Storia di un comune socialista, cit., p. 43; Pier Luigi Ballini, Le Elezioni nella storia d’Italia, dall’Unità al fascismo. Profilo storico-statistico, Bologna, Il Mulino, 1988, pp. 91 segg.; Raffaele Romanelli, Alla ricerca di un corpo elettorale. La riforma del 1882 e il problema dell’allargamento del suffragio, in Paolo Pombeni (a cura), La trasformazione politica dell’Europa liberale, Bologna, Il Mulino, 1986, pp. 171-211; Maria Serena Piretti, Le elezioni politiche in Italia dal 1848 a oggi, Roma-Bari, Laterza, 1996.

17. Ernesto Ragionieri, Storia di un comune socialista, cit., pp. 43-49.18. Luigi Minuti, Il comune artigiano di Firenze, cit., pp. 372 segg.19. Donatella Cherubini, Alle origini dei partiti: la Federazione socialista toscana (1893-

1900), Manduria-Bari-Roma, Lacaita, 1997; Gabriele Brogelli, Giuseppe Pescetti e il suo im-pegno politico per un paese moderno 1859-1924, Firenze, Medicea, 2010.

20. Francesco Renda, I fasci siciliani 1892-1894, Torino, Einaudi, 1977, pp. 8 segg.; Gio-vanni Sabbatucci-Vittorio Vidotto (a cura), Storia d’Italia, III, Liberalismo e democra-zia 1887-1914, Roma-Bari, Laterza, 1995, pp. 35 segg.; Renato Zangheri, Storia del sociali-smo italiano, II, Dalle prime lotte nella Valle Padana ai fasci siciliani, Torino, Einaudi, 1997, pp. 568 segg.

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della Libertà», promossa dal radicale Felice Cavallotti21. Il «Nucleo Opera-io», guidato da Pilade Biondi, Ettore Bossoli, Alfredo Contini, Carlo Catan-zaro, Emilio Checcherini e altri ne trasse anzi ulteriore forza, con numerose adesioni del ceto medio e degli operai22. Il socialismo vi attecchiva, nella visione riformista, municipalista e cooperativista, senza perdere i legami culturali con il libero pensiero e con una parte del mondo repubblicano, mentre la compo-nente repubblicana “ortodossa” agiva separatamente e sorgeva intanto l’attività politico-sociale del «Comitato Parrocchiale» di orientamento cattolico mo-dernista. Si trattava di fenomeni presenti anche altrove, in una fine del secolo che vide diverse amministrazioni municipali conquistate dalle forze popolari, specialmente al nord. Il programma socialista sestese si configurava ulterior-mente secondo le linee del cosiddetto programma minimo, per l’autonomia dei comuni, l’istruzione laica, la perequazione delle imposte, il miglioramento ma-teriale e culturale della classe lavoratrice, l’apertura all’alleanza con altre forze democratiche23.

Ciò avveniva in una fase dinamica, in cui la stessa Manifattura di Doccia, con l’ingresso nella proprietà dell’industriale Richard, nel 1896, innovava for-temente il modello produttivo24. Ciò era parte dello slancio economico toscano e particolarmente dell’area fiorentina. Nell’ultima parte dell’Ottocento, Firen-ze deteneva 3921 imprese industriali, occupando il 42% della manodopera to-scana del settore, seguita da Pisa, Lucca, Pisa, Livorno, e contava 21 stabilimenti con oltre 100 dipendenti25. Accadeva così, a Sesto Fiorentino, che l’industria si sviluppasse in maniera moderna, mentre continuavano a esistere i radicati siste-mi produttivi dell’industria tradizionale, prima tra tutte quella della paglia che impegnava una forte quota di manodopera femminile, in larga parte a domici-

21. Ernesto Ragionieri, Storia di un comune socialista, cit., p. 60; Maurizio Degl’In-nocenti, Filippo Turati e la nobiltà della politica, Manduria-Bari-Roma, Lacaita, 1995, p. 101; Francesco Leoni, Storia dei partiti politici italiani, Napoli, Guida, 2001, p. 252.

22. Ernesto Ragionieri, Le origini del movimento operaio in un piccolo comune di provin-cia: Sesto Fiorentino, in Alberto Pozzolini (a cura), Le origini del movimento operaio e conta-dino in Italia, Bologna, Zanichelli, 1971, p. 127; Gianfranco Perra-Gianni Conti, Sesto Fiorentino dall’antifascismo alla Resistenza, Milano, Vangelista, 1980, p. 116; Gianna Bandi-ni-Mario Nesti, Associazionismo, cultura e politica. L’Unione operaia di Colonnata, 1864-1980, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2000, p. 18.

23. Maurizio Degl’Innocenti, Geografia e istituzioni del socialismo italiano: 1892-1914, Napoli, Guida, 1983, pp. 115 segg.

24. Sandra Buti, La Manifattura Ginori, cit., pp. 233 segg.25. Giorgio Mori, Il consolidamento del patrimonio industriale, in Toscana addio? (1861-

1900), Storia d’Italia, Le regioni dall’Unità ad oggi, La Toscana, Torino, Einaudi, 1974, p. 237.

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lio, in tutta l’area fiorentina. In quei settori, particolarmente sensibili alla crisi dell’agricoltura, dove lo sfruttamento e le misere retribuzioni erano la regola, il socialismo trovò terreno fertile. Ne fu la prova il primo grande sciopero delle campagne, nel 189626, che vide protagoniste le trecciaiole in lotta per le tariffe e che vide, intorno al 1897, la nascita a Sesto, ad opera della giovane trecciaiola Rita Sensi, del Nucleo Socialista femminile «Emilia Marabini», intitolato ad una propagandista socialista morta assai precocemente27.

In quello spirito nacquero, nel giugno del 1896, a Sesto e a Castello, due sezioni della «Associazione Elettorale Socialista», con l’appoggio di una parte del «Nucleo Operaio», impegnata, l’anno seguente, a sostenere la candidatura di Pescetti per il collegio Firenze III, comprendente Sesto. Tra i fondatori risul-tavano Enrico Bucherelli, pittore ceramista alla Manifattura, Enrico Bossoli, il falegname Giustino Contini, l’operaio della Manifattura Guido Zoppi28. La linea dell’Associazione era ancora ispirata all’alleanza tra repubblicani e socia-listi ed esprimeva un taglio abbastanza moderato, senza forte riferimento alla lotta del proletariato né alla socializzazione dei mezzi di produzione. E, tutta-via, anche nel gruppo che un tempo si ritrovava nel «Nucleo operaio», vi erano differenze. Checcherini guidava i repubblicani che, tra il 1896 e il 1898, ebbero anche atteggiamenti polemici verso i socialisti.

Il marchese Carlo Ginori, che pagava anche da imprenditore con l’uscita dalla proprietà della Manifattura, non contava più politicamente. Il nuovo quadro politico sestese non era un fatto isolato. I socialisti, in Toscana, stavano affermandosi, tanto che, per la prima volta, conquistarono, nel 1897, a Colleval-delsa, il Comune. Il successo di Pescetti, primo deputato socialista in Toscana con 1086 voti29, con largo apporto del voto sestese, confermava la tendenza ma, nello stesso tempo, faceva di Sesto un luogo «sorvegliato speciale». Fu assai probabilmente quel contesto a fare di Sesto il teatro della più grande tragedia

26. Nicla Capitini Maccabruni, La Camera del lavoro nella vita politica e amministra-tiva fiorentina dalle origini al 1900, Firenze, Olschki, 1965, pp. 277 segg.; Alessandra Pesca-rolo, Il lavoro delle donne e l’ industria domestica, in Stefano Musso (a cura), Tra fabbrica e società, cit, pp.173-195; Marco Conti, La Baldissera e lo sciopero delle trecciaiole del 1896 attra-verso la cronaca de «La Nazione», Firenze, Polistampa, 2007.

27. «La Civiltà cattolica», 1898, p. 612. Cfr. anche Mario Casella, Democrazia, sociali-smo, movimento operaio a Roma (1892-1894), Roma, Elia, 1979, p. 246; Stefano Miccolis, voce Marabini Ezio, in Dizionario biografico degli Italiani, LXIX, Mangiabotti-Marconi, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 2007, pp. 365-367; Massimo Carrai, Territorio e rappresen-tanza sindacale in Toscana dall’Ottocento allo Spi, Roma, Ediesse, 2008, p. 47.

28. Ernesto Ragionieri, Storia di un comune socialista, cit., p. 65 e p. 160.29. Antonio Casali-Giorgio Spini, Firenze, Roma-Bari, Laterza, 1986, p. 94.

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avvenuta in Toscana all’epoca dei cosiddetti moti per il pane del 1898, un fatto che deve ritenersi non del tutto occasionale nel suo bilancio di morti e di feriti, ma esemplare di una grande sfida in atto intorno alla natura del regime liberale.

La natura politica dei fatti del 5 maggio 1898

Tornando al governo dopo l’allontanamento di Crispi, nel marzo del 1896, Antonio di Rudinì aveva inteso ricondurre il Paese alla “normalità statutaria”, neutralizzando per quanto possibile le estreme con un riformismo moderato e gradualistico. Rudinì aveva scelto dunque un riformismo moderato che com-prendeva sia una più ampia eleggibilità dei sindaci, per soddisfare i “federalisti” (radicali cattaneiani, cattolici, meridionalisti), sia qualche passo avanti sulle as-sicurazioni sociali, per attirare il consenso delle Società operaie, mentre cercava di coltivare il mondo cattolico30. Il Governo aveva una debole base parlamen-tare, imperniata sulla “non opposizione” della sinistra liberale di Zanardelli e Giolitti e su quella dei radicali. In realtà, il mondo liberale appariva profonda-mente diviso anche nel territorio. A Firenze, la campagna elettorale, tra fine 1896 e gennaio 1897, aveva diviso il fronte dei costituzionali fiorentini, tra i seguaci di Francesco Guicciardini e quelli di Odoardo Luchini e della «Na-zione», ostile al Governo31. A costoro, il Governo Rudinì era parso debole, succube della corrente Zanardelli-Giolitti, tanto che si era giunti ad accusare il Ministero di qualche contiguità con l’estrema.

La destra liberale era preoccupata. Si trattava di affrontare il crescente successo dei socialisti, giunti a 12 deputati con le elezioni del 1895 e a 17 con quelle del 1897 cosi che con radicali e repubblicani la sinistra giungeva a circa 80 seggi. Egualmente turbava la crescente capacità organizzativa dei cattolici, anche se legati al non expedit. Occorreva, insomma, difendere le istituzioni dal pericolo rosso, i socialisti, gli anarchici e i democratici loro vicini, e dal pericolo nero, i cattolici. Sidney Sonnino, esponente della destra agraria, nel gennaio del 1897, aveva descritto sulla «Nuova Antologia» quei fenomeni come un rischio. Invocava un superamento dell’eccessivo parlamentarismo, a favore di un’affermazione del modello istituzionale “tedesco” che prevedeva la fiducia al

30. Sandro Rogari, Alle origini del trasformismo. Partiti e sistema politico nell’Italia liberale 1861-1914, Roma-Bari, Laterza, 1998, pp. 110-111.

31. Roberto Boldrini, Introduzione a Inventario dell’archivio di Francesco Guicciardini: (1851 - 1915), Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2003, p. LII.

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Governo fondata sulla Corona e non sulla Camera. Quelle tendenze si svilup-pavano ulteriormente a fronte delle difficili condizioni economiche del Paese. Dal 1897, era evidente la grave situazione dei raccolti e la crisi era tornata a pro-filarsi minacciosa, facendo temere un ampio consenso agli oppositori. II grano rincarava per la crisi agraria e per gli alti costi raggiunti dai noli mercantili in presenza della tensione ispano-americana. Il prezzo del pane era salito, grazie al costo della farina, in pochi mesi, da 30 a 39 centesimi e da 1 lira a 1,30 per quello da 10 libbre32.

Era a tutti chiaro che sarebbe occorso abbassare il dazio di entrata. Ma il provvedimento non era stato preso. Contrastava con la tipica politica della de-stra liberale, tutta intesa a salvaguardare ad ogni costo il pareggio del bilancio, e contrastava soprattutto con gli interessi dei grandi agrari, di cui Rudinì era qualificato esponente. Dall’autunno del 1897 erano cresciuti gli scioperi e le agitazioni in varie parti d’Italia. A Firenze, dove era recentissima l’impressio-ne del grande sciopero delle trecciaiole dell’anno precedente, era stato inviato come prefetto un generale, Giacomo Sani. La situazione non era migliorata all’inizio del 1898, tanto che Giolitti era tornato a insistere per una riduzione del dazio sul grano che era stata concessa per breve tempo, in modo parziale e sostanzialmente inefficace, perché non riguardava le farine e dunque non cal-mierava il prezzo del pane per il popolo. La miseria spingeva ovunque a lottare per il pane e contro la disoccupazione. A Sesto, il 25 gennaio 1898, una riunio-ne di varie organizzazioni, presieduta da Emilio Checcherini, aveva approvato un ordine del giorno per l’abolizione del dazio di consumo e per la costruzione della stazione ferroviaria, affidandolo a Giuseppe Pescetti, deputato del colle-gio33. Si trattava di procurare lavoro ai disoccupati, questione che non incon-trava il favore della maggioranza monarchica che reggeva l’amministrazione comunale, incline piuttosto ad interventi assistenziali, come buoni d’acquisto del pane per i meno abbienti, o al calmiere dei prezzi.

All’inizio di maggio del 1898, il malessere sociale riguardava tante parti d’Europa (la Spagna, la Germania, ecc.) e il quadro delle manifestazioni era veramente ampio anche in Italia. La parola d’ordine del pane a 30 centesimi il chilo si sparse in molti luoghi, ma trovò ancora la posizione negativa del Gover-no che, anzi, intese affrontare una prova di forza e il 3 maggio ordinò lo stato

32. Ernesto Ragionieri, Storia di un comune socialista, cit., p. 84.33. Ivi, pp. 84-85.

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d’assedio in molte aree del Paese34. Vi furono manifestazioni a Urbino, a Pavia, dove il prezzo scese da 48 a 42 centesimi, dopo sassaiole e cariche di cavalleria, a Bari, dove il generale Pelloux, comandante della piazza, minacciò la linea dura, a Ravenna, dove vi furono numerosi arresti, specialmente a Bagnacavallo. A Bologna, il generale Mirri assunse il Commissariato militare della regione. A Soresina, presso Cremona, i calzolai guidarono una manifestazione che sfociò in spari e morti. Carichi i treni di soldati e di carabinieri, piantonate le stazio-ni anche da finanzieri, lunghe file di arrestati venivano portate via. In diversi centri, le agitazioni dettero l’occasione alle autorità per interventi sui capi del movimento operaio, come accadde a Piacenza, dove furono arrestati esponen-ti socialisti, tra cui Giuseppe Emanuele Modigliani35, perseguite le case degli arrestati, la Camera del lavoro, e sequestrata la bandiera del Circolo socialista, perquisito anch’esso.

I moti riguardarono anche la Toscana. Il 5 maggio a Livorno una mani-festazione per il ribasso del prezzo del pane si indirizzò anche verso qualche assalto ai forni e, a Borgo San Lorenzo, un corteo di cittadini e operai sfilò nel paese al grido di «pane e lavoro». Si inserì in quel contesto la vicenda di Sesto Fiorentino. Come altrove la comprensione del terribile momento economico animava la popolazione. Il 1° maggio un comizio di Giuseppe Pescetti ottenne grande successo36. A Palastreto lo ascoltò una folla di 600 contadini. Si con-fermava che Pescetti aveva con Sesto Fiorentino quel particolare legame che gli aveva consentito di essere eletto deputato di quel collegio. Ma la questione non era ideologica, era soprattutto concreta. La questione del prezzo del pane incombeva sulle famiglie di tutti i tipi di lavoratori.

Il 4 maggio le donne si trovarono davanti un nuovo aumento del prezzo del pane di 3 centesimi e organizzarono una manifestazione spontanea dirigendosi verso il Comune e verso i forni, al grido di «ribasso dei prezzi e lavoro per i disoccupati». La mattina del 5 maggio, per chiedere «pane e lavoro», si mosse un corteo di circa 300 donne, con i bambini in braccio, che ingrossò via via che si dirigeva in piazza del Municipio37. Contro di esso agì il delegato Avallone imponendo lo scioglimento. A gruppi, le manifestanti si diressero verso i for-ni per chiedere il pane a 30 centesimi. Mentre un solo fornaio, Enrico Giolli,

34. «La Stampa», 2-5 maggio 1898 (vari numeri).35. Donatella Cherubini, Giuseppe Emanuele Modigliani. Un riformista nell’Italia libe-

rale, Milano, Franco Angeli, 1990, pp. 127 segg.36. «Il Fieramosca», 7 agosto 1898.37. Ernesto Ragionieri, Storia di un comune socialista, cit., p. 86.

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distribuì gratuitamente pane, pasta e formaggi, altri risposero negativamente e specialmente la serrata del forno di via Vittorio Emanuele esasperò la folla. Un disperato tentativo del sindaco, Arnaldo Corsi, di persuadere i fornai non andò oltre il compromesso di 1 lira e 20 centesimi a carico degli abbienti, per il pane da 10 libbre, e di 1 lira per il popolo, cui però il Municipio avrebbe fornito una tessera per lo sconto a 80 centesimi. La soluzione non convinse la popolazione che manifestava anche per il lavoro.

La trattativa dette tempo all’afflusso da Firenze di guardie e carabinieri a ca-vallo, con un secondo delegato, Celanti. Alle 19, la manifestazione riprese lena con un migliaio di dimostranti, cui si aggiunsero gli operai della manifattu-ra di Doccia, finito il turno. L’arresto del diciannovenne Pilade Barducci e del ventunenne Cesare Biagiotti esasperò ulteriormente gli animi e la folla tumul-tuò chiedendone il rilascio dalla stanza delle scuole nel Municipio dov’erano rinchiusi. Tre squilli di tromba, davanti al Municipio, e poi gli spari. Guardie che impugnavano le rivoltelle, carabinieri che davano piattonate con le daghe, gente che scagliava sassi. Una compagnia di soldati, guidati dal tenente Solaro, operava in assetto di guerra. Così scriveva un cronista:

«Ad un tratto si odono dei colpi, delle detonazioni: i soldati, che si sono un po’ sparpagliati, fanno fuoco, qualcuno in aria, ma qualche altro, purtrop-po, sulla folla, che fugge spaventata, atterrita. Il fuoco di fucileria dura qualche secondo; ai colpi dei wetterly si frammischiano quelli delle rivoltelle. Il rumore delle esplosioni è rotto dai gridi strazianti, dagli urli, dai pianti delle donne, dal mormorio della folla, che, allibita, fugge per la via Tonietta, per via delle Fornaci, per via del Municipio»38.

Il ventenne Odoardo Parigi, detto Cisto, operaio nella Manifattura Ginori, aveva raggiunto la piazza appena uscito dal lavoro. Un proiettile lo colpì alla testa, uccidendolo sul colpo e fu inutile, per il fratello Pilade, la cognata Albina e per la madre, trasportarlo nell’atrio di una casa in via del Municipio. La trec-ciaiola Anilina Banchelli, vedova con una figlia ventenne, fu colpita all’addome mentre si addossava al muro del camposanto e morì all’istante. Anche per lei fu inutile che il cognato Adolfo la portasse in casa. Il mugnaio Raffaello Mannini, di Colonnata, colpito da un proiettile di fucile wetterly in piazza del Municipio, portato nella casa dei negozianti Giachetti e Metti, venne curato dai dottori Andreini e Ragionieri, poi dal professor Colzi, ma spirava la mattina seguente, lasciando quattro orfani. Il piccolo Delio Contini, di 9 anni, figlio di un mac-

38. «La Stampa», 7 maggio 1898.

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chinista delle ferrovie, colpito da un proiettile in piazza del Municipio, morì dopo pochi minuti nella casa di Piero Giorgetti che l’aveva soccorso.

Molti feriti furono colpiti alla schiena, segno che si era sparato deliberata-mente e con ferocia, e questo confermava con tutta probabilità che Sesto, sorve-gliata speciale, doveva servire da esempio per tutte le località che si orientavano verso il sostegno ai partiti popolari. Sulle case all’angolo tra piazza del Muni-cipio e via Mazzini, restarono i segni dei colpi a raffica di fucile e dei colpi di pistola. Altri ne rimasero incisi sul muro esterno del vecchio cimitero, in piazza del Municipio. Dopo la strage, il soldati si ritirarono nel cortile del Municipio, mentre la gente imprecava: «morte al delegato». Intanto le barelle correvano per la piazza raccogliendo i feriti, Sesto ribolliva e qualcuno invitava a prendere i fucili da caccia.

In quelle ore la morsa repressiva si rafforzava, con l’arrivo della cavalleria da Firenze, i lancieri di Montebello, reparto che aveva un passato di guerra al bri-gantaggio meridionale. Occupata la piazza, pattuglie perlustravano le strade. La folla cercava i feriti, alla sede dell’Assistenza e alla farmacia, in un clima di disperata eccitazione, mentre il dottor Cassioli gestiva l’emergenza sanitaria.

Vennero poi la comunicazione al sindaco che l’ordine era affidato all’Auto-rità militare e l’invio da Firenze di un ispettore di polizia, Cammarota, di sedi-ci carabinieri e di altri soldati della compagnia di fanteria che aveva compiuto la fucilazione. Il viaggio di questi soldati, partiti alle 20 con una tranvia speciale incontrò una folla tumultuante al Ponte di Rifredi. Ne ebbe fischi ed urla e il grido: «Non andate ad ammazzare i sestesi; giù, giù!». Ci furono sassate e colpi d’ombrello e bastone che cercarono anche il giudice istruttore ed il procu-ratore del re che si apprestavano a salire sulla tranvia. Che cosa era accaduto a Sesto, e non solo a Sesto? Così un giornale democratico, «L’Eco del Popolo», scriveva in quei giorni, titolando Le rivolte della fame:

«La miseria che di solito si acuisce durante l’inverno, quando l’inclemen-za della stagione rende impossibile il lavoro, quest’anno erasi aumentata per il rincaro eccessivo del pane. Perfino la stessa classe conservatrice aveva dovuto riconoscere la necessità di intervenire a rimediare uno stato di cose doloroso e pericoloso, tanto che nel febbraio passato diminuiva di due franchi il dazio di importazione sui grani. Dopo un ventennio di follie commesse; dopo lo sper-pero di milioni e di miliardi, dopo le pazze imprese coloniali che resero perfino ridicolo il nome italiano; dopo il carnevale di immoralità che inquinò tutti gli organismi della nostra vita sociale, doveva pure un momento o l’altro, o per una o per altra causa, scatenarsi terribile la massa di nulla abbienti a far sentire

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La prima pagina de «La Stampa» del 7 maggio 1898in cui si richiamo i «disordini di Sesto Fiorentino»

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La terza pagina de «La Stampa» del 7 maggio 1898che riporta un lungo articolo su «l’orribile strage di Sesto Fiorentino»

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la poderosa sua voce di protesta contro un sistema di governo che depaupera e immiserisce la nazione. Il governo, sorpreso dal movimento, non seppe finora che reprimere nel modo il più brutale l’impeto della folla. Le vittime non si contano più. Il terrore è sparso in quasi tutta l’Italia»39.

A mezzanotte, i cadaveri del Parigi e della Banchelli furono fatti scivolare via nel buio verso la stanza mortuaria del cimitero. La cittadina restò pattuglia-ta. Ma intanto si accendeva il clima a Firenze. Lo stesso 6 maggio, mentre il sin-daco Corsi rivolgeva ai sestesi, con un manifesto, parole paterne di prudenza, denunciando una sorta di fatalità, e invitando alla calma, i fatti sestesi agirono come un catalizzatore della rabbia popolare in altri luoghi, man mano che le notizie si spargevano.

La Toscana e l’Italia dopo la scintilla di Sesto

Pescetti, reduce da Sesto dove aveva svolto una sua inchiesta, cercando bos-soli e interrogando testimoni, parlò alla Camera del lavoro di Firenze, chia-mando allo sciopero di protesta. Alle 15 del 6 maggio, un corteo di muratori disoccupati si raccolse in piazza Savonarola, poi mosse verso il centro racco-gliendo via via operai che uscivano dalle fabbriche. In piazza Vittorio Emanue-le, un battaglione del 67° fanteria con un centinaio di carabinieri li affrontò e vi furono colpi di fucile e arresti. Alle sassate risposero ancora fucilate e rivoltel-late, di soldati e di guardie, e si aggiunsero altri tre morti, feriti, nuovi arrestati, l’occupazione militare della città.

Le spaventose notizie da Sesto Fiorentino raggiunsero anche Prato e anche lì lo sdegno si mutò in furia. Tutto questo aumentava la tensione per la questio-ne del pane, che la gente voleva abbassato da 36 centesimi a 33 centesimi. Mi-gliaia di persone raggiunsero il Fabbricone per raccogliere gli operai, poi la folla tumultuante si sparse per la città con gran furore. Ai soldati del 5° reggimento di fanteria che si apprestavano a caricare, la folla gridò: «Abbasso le daghe, buttate via le cartucce!». Poi toccò ancora ai Lancieri di Montebello garantire il controllo, bloccare le strade, pattugliare, ma poiché ciò non bastava giunsero altri rinforzi di truppa.

Sesto e tutta l’area, in larga parte coincidente con quella a suo tempo inte-ressata dallo sciopero delle trecciaiole, raggiungeva una non voluta notorietà,

39. Le rivolte della fame, «L’Eco del Popolo», 7-8 maggio 1898.

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influendo forse sulle tardive decisioni del Governo nazionale. Soltanto il 6 maggio, il Ministero Rudinì annunciò di sospendere il dazio sul grano, anche se era difficile ipotizzare che potesse trarsene un consistente beneficio sul prez-zo nel breve periodo. Infatti, all’annuncio non seguì un immediato effettivo calo, non giungendo i necessari ordini agli uffici di dogana fino al 7 maggio. A fronte della situazione che esso stesso determinava, il Governo emanava circo-lari segrete ai prefetti per sollecitare una più dura repressione. Con una prima circolare, il Governo stigmatizzava che, per timore della folla, fossero rilasciati alcuni arrestati. Con la seconda, sollecitava la consegna delle armi del tiro a segno alle forze dell’ordine.

Sesto Fiorentino, come Bagnacavallo, Soresina, altri luoghi assumeva un ruolo sacrificale. Il Governo esigeva ancora durezza e i frutti si videro a Pavia, dove la repressione sanguinosa di una delle manifestazioni spense la vita anche del giovane Muzio Mussi, figlio di un deputato radicale e vicepresidente della Camera. Così, pochi mesi dopo, descrisse l’atteggiamento del Governo il radi-cale Napoleone Colajanni:

«[All’11 maggio:] I governanti [...] per oltre quindici giorni sono stati in preda del terrore [...] hanno compiuto la repressione hanno consolidato lo stato di assedio in tre grandi regioni delle quali due tra le più agiate e le più colte della penisola, la Toscana e la Lombardia e possono trionfalmente annunziare che l’ordine regna in Italia. [...] Da Luino a Messina, unica fu la causa che sollevò la protesta ed uguale dappertutto la forma di questa protesta dello stomaco. Il primo grido che si sentì per ogni dove fu quello di pane e lavoro, cui successi-vamente e in varia misura si aggiunsero altri gridi sovversivi [...]. Una prima e necessaria constatazione : la ferocia della repressione non sta menomamente in rapporto colle gravità ed un poco anche coll’indole dei tumulti»40.

Scrisse lo scrittore Paolo Valera, descrivendo la mattina del 6 maggio a Mi-lano:

«Era venerdì. S’andava via per l’atmosfera tepida come tanti punti interro-gativi. Gli uni guardavano in faccia agli altri e tutti sentivano dell’inquietudine dell’Italia agitata dalla fame. Pavia come Sesto Fiorentino e come Soresina, ave-va avuto i suoi ciottoli innaffiati dalla strage militare»41.

Si andava determinando, nello stesso campo dei liberali una più netta presa

40. Napoleone Colajanni, L’ Italia nel 1898. Tumulti e reazione, Milano, Società Editrice Lombarda, 1898, pp. 26-27.

41. Paolo Valera, serie di saggi dell’epoca raccolti in I cannoni di Bava Beccaris, Milano, Giordano, 1966.

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di distanza delle correnti definibili liberal-democratiche, comprendenti Zanar-delli, Fortis, Giolitti. La questione di Pavia focalizzava ora l’attenzione, ma in Toscana i fermenti proseguirono. A Montelupo, migliaia di disoccupati ma-nifestarono al grido di «pane e lavoro», affrontati con durezza e arresti. A Li-vorno, una barricata fu travolta dalla cavalleria e un morto rimase sul terreno, mentre molti manifestanti vennero arrestati. A Prato i manifestanti incendia-rono il casotto del dazio e attaccarono la stazione. A Sesto, la popolazione non era doma e continuava ad essere strettamente vigilata. A Pisa, fanteria e artiglie-ria intervennero energicamente e vi furono arresti, ma fu promesso il ribasso del pane. A Firenze e Livorno, fu imposto lo stato d’assedio dal 9 maggio con un commissario militare. In particolare a Firenze, un ordine del prefetto Sani, tenuto conto di quanto era accaduto a Sesto, Prato, Rifredi, decretava l’affida-mento all’Autorità militare dell’ordine pubblico in quei luoghi e a Calenzano, Campi Bisenzio, Carmignano, oltre naturalmente al capoluogo stesso.

Un grande incendio animava anche altre parti d’Italia. A Milano, in par-ticolare, dove l’agitazione degli operai era sfociata in scioperi, l’imposizione dello stato d’assedio portò, il 9 maggio, ad un’azione particolarmente dura del-le truppe comandate dal generale Bava Beccaris che non esitò a fare eseguire cannoneggiamenti, provocando un’ottantina di vittime, mentre altre decine si contavano in altre parti dello Stato. Il maggior numero di morti a Milano si ebbe nel bombardamento di un convento dove si erano rifugiati alcuni mani-festanti. Gran parte dei caduti erano poverelli in fila per la minestra. Ventitre frati furono arrestati:

«I trenta cappuccini arrestati ieri venivano oggi trasportati in vettura nel convento di San Barnaba, ospiti del convento dei Barnabiti, ma a disposizione dell’autorità militare. È da notarsi che, poco prima che si impegnasse la mischia in quella località, era entrata nel convento una cinquantina di poverelli per la solita distribuzione della minestra. Essendo partite delle fucilate dalla parte del convento, i militari lo presero di mira; allora il frate si affrettò a chiudere il cancello. Quest’atto e le fucilate partite dal convento determinarono il bom-bardamento»42.

Milano calamitò l’attenzione generale. Il Bava Beccaris telegrafava con grande soddisfazione al presidente del Consiglio, di Rudinì, che la città e i sob-borghi erano perfettamente tranquilli, che si riprendeva la vita normale, che i binari del tram venivano ripristinati e la circolazione veniva riattivata. Più tardi

42. «La Stampa», 12 maggio 1898.

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annunciava la ripresa del lavoro nelle officine. Quella tranquillità aveva avuto un prezzo e non tutto era così serenamente pacificato perché, a lungo, la città dovette vivere sotto controllo militare:

«Ecco che vedo arrivare un carro a mano con quel povero uomo ucciso pochi istanti prima, e lo portarono qui dallo speziale vicino alla mia por-ta. Tutto era chiuso, ognuno era rinchiuso nella propria abitazione, mentre replicati colpi di cannoni e di fucili non cessavano di bombardare e di di-struggere la città di Milano. I cannoni in vari punti della città detonarono per ben otto ore, e le fucilate fino alla domenica dopo pranzo. Poi tutto si ristabilì. Ebbimo pure uno stato d’assedio della durata di cinque mesi e a poco a poco si ristabiliva la quiete e l’ordine, notando la perdita di quasi un migliaio tra morti e feriti, ed un’infinità di processi dai 2, ai 10, ai 15 anni a tutti coloro arrestati in questi giorni di rivoluzione mandati a Portolungo o Finalburgo nelle reclusioni»43.

I numeri erano diversi, ma la logica era identica a Milano come a Sesto Fio-rentino. Del resto, la stampa internazionale univa tutti i luoghi italiani in un solo quadro, quello dello stato d’assedio che colpiva Napoli, Firenze, Livorno, Pisa, Spezia, Messina, Milano44. Era chiaramente in gioco, in tutta l’Italia, tea-tro dei fatti, l’identità stessa dello stato liberale, come ben denunciava un gior-nale repubblicano in quei giorni:

«Non è questo il momento di pronunciare giudizi; la calma non può essere in chi scrive, non può essere in chi legge. D’altra parte la verità vera a nessuno è nota. Le origini, l’estensione, la gravità delle violenze che hanno insanguina-to qua e là città e borgate cospicue di tutta l’Italia e seminato di cadaveri e di feriti la sua capitale morale [Milano] non sono ancora abbastanza conosciute. Lo faremo in appresso, se il terrore bianco non verrà a toglierci anche questa piccola libertà di parola, che dalla benignità di chi sovrasta, e per una specie di reminiscenza delle istituzioni statutarie, ancora ci è consentita»45.

In realtà la repressione continuò ad agire in tutte le direzioni anche a Sesto Fiorentino. Furono sciolte già il 12 maggio l’«Associazione Elettorale Socia-lista» e il «Nucleo Socialista Femminile Emilia Marabini» e, di lì a poco, la «Società Operaia Musicale dei Solerti», che da molto tempo aveva assun-

43. La rivolta di Milano 7-8-9 maggio 1898 (opuscolo), Milano, s.d. 44. Martial Law prevails, «The New York Times», 11 maggio 1898.45. «L’Idea giornale del partito repubblicano della città e provincia di Cremona», 11 mag-

gio 1898.

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to un orientamento socialista46. Fu poi la volta del «Comitato Parrocchiale», dell’«Unione Mazziniana» e di un’altra società musicale, «L’Avvenire»47. Pescetti, intanto, seppe di essere colpito da mandato di cattura per tentativo di sovvertire le istituzioni dello Stato, nonostante la sua qualifica di deputato. Raggiunse allora Montecitorio sollevando un serio conflitto istituzionale:

«I questori di Montecitorio disposero un rigorismo eccezionale per l’in-gresso anche dei giornalisti, i quali, noti o non, devono presentare la tessera della stampa ogni volta per entrare nel corridoio verde. Ciò, evidentemente, per evitare che entri qualche agente di questura e dichiari in arresto l’on. Pe-scetti. Ora si afferma che l’Ufficio di Presidenza avrebbe già deliberato che il Presidente abbia facoltà di procedere all’arresto, qualora gliene venga domanda dall’Autorità giudiziaria»48.

Sulla questione Pescetti si agitò la polemica. Il giornale socialista «Avan-ti!» sottolineò come il problema politico in gioco non fosse l’intenzione di Pescetti di sottrarre la sua persona all’arresto, quanto quella di mettere la Pre-sidenza della Camera e il Ministero dell’Interno di fronte al grosso tema delle prerogative parlamentari49. Il giornale monarchico «La Tribuna» definì una commedia il comportamento di Pescetti, ma dovette riferire di come l’Ufficio di Presidenza si fosse aspramente diviso su una delle questioni più importanti dei sistemi costituzionali50. Era già in atto il tentativo dell’opinione monarchica e conservatrice di ricondurre gli avvenimenti a un fenomeno delinquenziale e politico artatamente alimentato dalla sovversione:

«È questo l’urlo delle plebi affamate? È la miseria gemente e dolorosa che prorompe in uno schianto irrefrenabile, in un nodo impulsivo e gagliardo come lo scrosciar del nembo ed il terribile fluttuar del mare? Il bisogno momentoso, la mancanza attuale di pane e lavoro sono così grandi e assoluti da spingere un popolo alla rivolta, da obbligarlo a scender giù nella piazza, inferocito e pre-potente? Purtroppo il responso è negativo, sotto qualsiasi punto il quesito si consideri, sotto qualunque aspetto la questione si esamini. Il partito sovversivo: questa setta - setta formidabile e sapientemente organizzata - è l’unica genesi,

46. Ernesto Ragionieri, Storia di un comune socialista, cit., p. 87; Gianni Batistoni, Le storie: appunti su Sesto Fiorentino, Sesto Fiorentino, Agemina, 1991, p. 170; Donatella Che-rubini, Alle origini dei partiti, cit., 1997, p. 147.

47. Ernesto Ragionieri, Storia di un comune socialista, cit., p. 88. 48. «La Stampa», 16 maggio 1898.49. «Avanti!», 15 maggio 1898.50. «La Tribuna», 15 maggio 1898.

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la sola forza generatrice dei disordini attuali. Oggi è la questione del pane; do-mani un’altra qualsiasi causale produrrà lo scoppio della rivoluzione, e l’agitarsi delle masse, scaltramente sobillate dai falsi demagoghi»51.

Quanto ai popolani arrestati, molti erano chiusi in Fortezza, in carceri provvisori, e già subivano processi. Il 28 giugno, Pescetti fu processato in con-tumacia perché rifugiatosi in Francia. Gli fu imputato, tra l’altro, di aver tenuto il comizio di Palastreto, il 1° maggio52. A suo carico veniva messa insomma la sua attività di parlamentare e dirigente socialista. I suoi accusatori ricordavano che Pescetti aveva affermato nel Circolo socialista di Campiglia Marittima che la proprietà era un furto; riferivano come fatto scandaloso che a Siena un suo comizio aveva emozionato la folla, che a Molinella aveva incitato le mondine all’azione sindacale; che all’Antella aveva parlato contro il Governo53. In real-tà, all’Antella, Pescetti aveva invitato i lavoratori a unirsi sotto la bandiera del socialismo54.

Soprattutto l’accusa riguardava i fatti di Sesto nei termini già illustrati di una criminalizzazione dei socialisti. Una sorta di teorema «a posteriori» as-sumeva come fondamentale il fatto che Pescetti si fosse recato a Sesto dopo l’eccidio a ricercare elementi di prova. Con lui venivano coinvolti altri dirigen-ti, Alfredo Frilli, Mario Aglietti, Umberto Zanni, Pompeo Ciotti, Sebastia-no Del Buono, Alfredo Tempesti. In larga parte la loro colpa era aver tenuto comizi. Alfredo Frilli (maestro elementare e dirigente della Camera del lavo-ro fiorentina rivelatosi poi politicamente abbastanza altalenante55) e Pompeo Ciotti, anch’essi «tra i più famosi oratori socialisti» ed esponenti di levatura più che locale56, avevano partecipato al comizio dell’Antella di cui si faceva cari-co a Pescetti57. Sebastiano Del Buono era uno dei più prestigiosi dirigenti della Camera del lavoro di Firenze58, ed aveva operato attivamente, con Pescetti, in occasione dello sciopero delle trecciaiole59.

51. «L’Opinione liberale», maggio 1898.52. Carlo Pinzani, La crisi politica di fine secolo in Toscana, Firenze, Barbèra, 1963, p. 157.53. «Il Fieramosca», 7 agosto 1898.54. Massimo Casprini, Il teatro dell’Antella. Oltre un secolo di storia, Firenze, Pagnini e

Martinelli, 2003, p. 28.55. Mimmo Franzinelli, Squadristi: protagonisti e tecniche della violenza fascista, 1919-

1922, Milano, Mondadori, 2003, p. 98.56. Donatella Cherubini, Alle origini dei partiti, cit., p. 201.57. Massimo Casprini, Il teatro dell’Antella, cit., p. 28.58. Nicla Capitini Maccabruni, La Camera del lavoro nella vita politica e amministrati-

va fiorentina, cit., ad nomen.59. Stefania Bartoloni, L’Audacia insolente. La cooperazione femminile, 1886-1986, Ve-

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Il manifesto a firma di Arnaldo Corsi, Sindaco di Sesto Fiorentino,fatto stampare il 6 maggio 1898, all’ indomani della strage

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Un gruppo di indiziati comprendeva Balena, Braschi, Lapi, Nerozzi, Nerbi-ni, Torretti, Bicchi. Il 28 luglio furono compiuti a sorpresa a Sesto Fiorentino altri arresti, nove donne e nove uomini, sempre in relazione ai fatti. Si trattava del possidente Edgardo Bussei, del fornaio Torquato Noferini, del tipografo Enrico Bossoli, del sarto Giulio Puliti, del pittore Alfredo Contini, del nego-ziante Armenio Biagiotti, del commesso viaggiatore Luigi Morosini, del no-leggiatore di velocipedi Oreste Giachetti, del venturiere Armido Berti, delle trecciaiole Severina Conti, Caterina Boncinelli, Ernesta Rindi, Carmela Masi, Filomena Sarri, Eufrasia Chiari, delle casalinghe Isabella Petrolini, Erminda Sarri, Emma Sarri. Diverse, delle donne inquisite, erano trecciaiole60.

Ai primi di agosto, la responsabilità dei moti veniva attribuita ad un nucleo di dirigenti, Pescetti, il maestro Frilli, il segretario della Camera del lavoro di Firenze, Ciacchi, l’avvocato Zanni, tutti considerati in quel momento latitanti, insieme a Ciotti, Del Buono e Tempesti, tutti detenuti. Si aggiunse poi il giova-ne letterato Mario Aglietti, dopo un periodo di latitanza61. L’accusa per Pescetti era di «agente principale» nell’incitamento alla devastazione e saccheggio, al fine di mutare violentemente la costituzione dello Stato, con l’aggravante della partecipazione. Gli altri erano complici. Condannato il 21 agosto a dieci anni, Pescetti rimase contumace, mentre proseguiva il processo per gli altri, poi con-dannati a varie pene detentive62.

Era in atto, in tutta Italia, la più grave battaglia politica nel regime liberale da quando si era fatta l’unità del Paese. Gli arresti di socialisti, di repubblicani, di cattolici si susseguirono dividendo lo stesso Governo e inducendo alle dimis-sioni l’uomo della destra Visconti Venosta, e l’uomo della sinistra, Zanardelli, scontento tanto degli stati d’assedio che dello scarso controllo sulle gerarchie ecclesiastiche.

Ripresentandosi alle Camere con un esecutivo più tecnico Rudinì chiese la fiducia per l’esercizio provvisorio del bilancio su un programma di forte repres-sione, comprendente il divieto di sciopero nei servizi pubblici, l’eventuale mi-litarizzazione di postini e ferrovieri, un ampio uso del domicilio coatto, limiti consistenti alla libertà di stampa e di associazione. Mostrandosi ostile la Camera, Rudinì ne chiese lo scioglimento puntando sull’approvazione per decreto di quei

nezia, Marsilio, 1986, pp. 46 segg.; Donatella Cherubini, Alle origini dei partiti, cit., p. 138.60. Ernesto Ragionieri, Storia di un comune socialista, cit., p. 88.61. Alfredo Angiolini, Cinquant’anni di socialismo in Italia, Firenze, Nerbini, 1903, p.

400.62. Donatella Cherubini, Alle origini dei partiti, cit., p. 263.

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provvedimenti. Era sostanzialmente un tentativo di colpo di stato legalitario, fondato sull’interpretazione a suo tempo richiamata da Sonnino dello Statuto.

Rifiutando con qualche esitazione la sua autorizzazione, il Re Umberto I provocò le dimissioni di Rudinì. Dette poi l’incarico del Governo a un tecnico, il generale Pelloux che, sostenuto in Parlamento dalla sinistra liberale e forte della fiducia sovrana, sembrò avviare un piano di pacificazione comprenden-te la revoca degli stati d’assedio e dei vincoli all’associazione ed alla liberta di stampa.

Prendeva solo tempo. Nel febbraio del 1899 presentò un pacchetto di prov-vedimenti in larga parte simile a quello di Rudinì, e il suo progetto politico, so-stanzialmente il progetto di re Umberto I, fu chiaro. Immediata l’opposizione dell’estrema sinistra, cominciò più cauta a profilarsi quella della sinistra liberale di Giolitti, attenta a non favorire il passaggio di Pelloux all’alleanza con Sonni-no. La questione andò intrecciandosi con il generale scetticismo della Camera sui costi della partecipazione italiana alla spedizione delle potenze occidentali in Cina ipotizzata dal Governo, determinandone la caduta, cui segui un nuovo incarico a Pelloux, ormai appoggiato a una maggioranza di centro-destra. In tali condizioni insorse contro i provvedimenti autoritari l’ostruzionismo dei deputati socialisti e democratici, mentre la sinistra liberale conduceva una nor-male opposizione, articolata e non sempre negativa. La concessione del Re a che si prolungasse oltre il dovuto la sessione parlamentare per consentire un nuovo regolamento e il superamento dell’ostruzionismo, mostrò che Pelloux gestiva un progetto condiviso dalla Corona.

La battaglia era ormai completamente sul terreno istituzionale e statutario, e in essa la sinistra costituzionale e l’estrema si avvicinarono senza però poter impedire l’approvazione dei decreti. Fu però la Corte di Cassazione a dichia-rare giuridicamente inesistenti i decreti in quanto non discussi nel corso della sessione parlamentare. Volendo ripresentare i decreti, non soltanto Pelloux in-contrò di nuovo 1’ostruzione, ma questa si estese anche alla sinistra costitu-zionale, per l’improvvida richiesta della destra di limitare anche i diritti dei parlamentari nella discussione in aula.

Lo scioglimento della Camera ed il voto con sistema uninominale dimo-strarono, con la crescita dell’estrema e della sinistra costituzionale, nonostante il permanere della maggioranza dei gruppi governativi, che Pelloux non aveva il necessario consenso. Fu scelto allora, dal Re, di lasciar cadere il sogno di una monarchia autoritaria, incaricando il presidente del Senato, Saracco, di un go-verno di transizione, appoggiato da tutto l’arco dei liberali. II quadro mutò an-

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che con l’uccisione del re Umberto I per mano dell’anarchico Gaetano Bresci, nel luglio del 1900, e con l’avvento al trono di Vittorio Emanuele III.

Scomposizioni e contrasti intorno alla modernizzazione

Intanto, Sesto Fiorentino aveva cominciato a ricostruire la sua identità poli-tica dopo i fatti di maggio che avevano messo definitivamente in crisi il model-lo paternalista dei Ginori, dentro la Manifattura e nel Comune. La minoranza socialista in Comune affrontò la vicenda di maggio con pacatezza, senza però nascondere il bisogno di verità che il consigliere Pilade Biondi affermò solen-nemente nel consesso municipale. Non accusò il sindaco Corsi di particolari responsabilità, ma respinse ogni accusa verso il Partito socialista e chiese un’in-chiesta63. La popolazione aveva già un suo preciso giudizio.

La memoria dei morti costituì un elemento fondativo della coscienza popo-lare che sempre più si riconobbe nel socialismo riformista sestese e, più in gene-rale, nell’alleanza delle forze democratiche. Così, in vista delle amministrative del 1899, nonostante alcune incertezze dei socialisti, fu possibile costituire un Comitato dei Partiti popolari che vide alleati i repubblicani di Checcherini e i socialisti di Biondi, sotto la bandiera della libertà e della giustizia, ma soprat-tutto nel nome dei morti di maggio64.

Al centro del programma c’erano l’allargamento dell’istruzione laica e gra-tuita, il miglioramento igienico e sanitario del Paese, il miglioramento delle strutture viarie, sanitarie, igieniche, criteri di merito per l’assunzione di mae-stri e impiegati, riduzione delle spese superflue. Particolarmente significativo era l’impegno per l’istruzione di massa, in larga parte disatteso dall’Ammini-strazione monarchica. Lo scarso numero di aule contribuiva a tenere lontani dall’elementare dell’obbligo una metà circa della potenziale popolazione scola-stica65. C’erano, insomma, gli elementi fondamentali del programma minimo socialista.

Anche se i monarchici si riorganizzarono, alle elezioni Pilade Biondi rice-vette il maggior numero di voti della sua lista, 817; il moderato Ginori, per la prima volta battuto, arrivava soltanto a 465 voti. Ma era battuto anche da un

63. Cfr. documento in Il 5 maggio 1898 a Sesto Fiorentino, Comune di Sesto Fiorentino, mag-gio 1985.

64. Ernesto Ragionieri, Storia di un comune socialista, cit., p. 95 e p. 160.65. Ivi, p. 96 e p. 126.

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altro esponente democratico, il repubblicano Guido Parigi Bini che ebbe 759 suffragi. Sesto diveniva così l’unico comune a guida popolare di tutta la pro-vincia di Firenze. La vittoria dimostrava che la gente di Sesto Fiorentino aveva compreso la lezione del 5 maggio, quando i morti erano stati prodotti dalla grande paura delle classi dirigenti per l’atteggiamento popolare in una fase di grande trasformazione.

Quella paura esisteva sempre. Si sarebbe manifestata ora in altre forme assai meno rozze di una cieca ferocia, ma non poco agguerrite. A maggior ragione, Sesto rimaneva «sorvegliata speciale», e l’Amministrazione comunale popo-lare sarebbe stata continuamente esposta ai rilievi della Giunta provinciale am-ministrativa guidata dal prefetto. Al suo insediamento da sindaco, il 27 agosto del 1899, Pilade Biondi affermò: «Accettammo il difficile incarico senza na-sconderci la grave responsabilità che assumevano. La certezza che l’interesse e il decoro del paese siano nell’animo di amici e avversari, ci ha incoraggiati». Colpisce come Biondi cogliesse il segno dei tempi e della trasformazione in corso per la cittadina che definiva «alle porte della bella e gentile Firenze», attribuendo a questo non un valore - per così dire - estetico o sentimentale o di maniera, ma una prospettiva strutturale. Del resto, egli fu tra i primi a cogliere l’importanza del cinematografo, e più in generale dello spettacolo, per le masse, gestendo il primo locale del genere nel suo territorio66.

Sesto Fiorentino, che aveva pagato duramente il suo approdo alla cultura democratica, conosceva una grande trasformazione, immersa com’era in una rete di trasporti che l’avvicinava sempre di più alla Firenze ormai avviata ad essere un grande centro industriale. Il tram e la rete ferroviaria, in via di svi-luppo, mutavano la stessa concezione del tempo e proponevano un nuovo pro-filo economico e sociale. A Sesto occorreva un carattere moderno, nell’igiene, nell’illuminazione, nella tenuta delle strade, nei collegamenti con la stazione. E le occorrevano soprattutto cittadini istruiti e preparati a contribuire alla vita politica cittadina67. In questo senso, i fatti di maggio avevano costituito una sorta di spartiacque verso un’epoca che imponeva sentimento del bene pubbli-co e non un’idea di sviluppo subordinato ai grandi interessi privati.

Ma i fatti di maggio pesavano ancora sugli equilibri politici di Sesto. L’inchie-sta rivendicata da Pilade Biondi incontrò numerosi ostacoli e finì per perdersi,

66. Gianna Bandini-Mario Nesti, Associazionismo, cultura e politica, cit., p. 93.67. Testo del discorso di Pilade Biondi, in Ilario Rosati, Pane e lavoro. I moti a Sesto Fioren-

tino 5 maggio 1898, Firenze, Pagnini, 1998, p. 155.

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con grave danno per l’approfondimento della verità. La vicenda aperta dalla tra-gedia del 1898, che aveva prodotto la conquista popolare del Comune, fu ardua e contrastata dai poteri forti, anche se il tessuto democratico ne trasse forza. Via via si confermò, per Sesto, il ruolo di principale centro del socialismo fiorentino, intorno al consenso popolare al Municipio, al sorgere della Camera del lavoro, nel 1900, mentre man mano, nella Manifattura, si sostituiva all’antico paternalismo aziendale, che pure resisteva, un’identità maggiormente contrattuale.

Biondi avrebbe dovuto governare il Municipio tra mille difficoltà. La vici-nanza di Giuseppe Pescetti all’Amministrazione di Sesto servì almeno ad at-tenuare qualcuno degli ostacoli posti dagli apparati di controllo dello Stato68. Ma il problema principale consisteva nei limiti del bilancio. Il ricorso a misure di perequazione fiscale, con tasse sui domestici, sul suolo pubblico e con l’au-mento della sovrimposta fondiaria, tutte misure tendenti a colpire la ricchezza, fu naturalmente osteggiato dalla consorteria moderata. Le schermaglie con l’opposizione e con la Giunta provinciale amministrativa che l’appoggiava non furono poche, ma il Comune riuscì a mantenersi in linea almeno con il cosid-detto «programma minimo socialista». Lanciò, anzi, nel 1900, anche segnali politici, come il riconoscimento del primo maggio per gli impiegati comunali e la solidarietà all’iniziativa di Milano e Parma per l’autonomia amministrativa. Il nuovo clima politico garantito dal governo Zanardelli-Giolitti consentì la ricostruzione dell’organizzazione popolare e di darle anzi un più nitido profilo, con la fondazione di due sezioni del partito socialista a Sesto e a Castello. Sesto assumeva così il ruolo di principale luogo del socialismo fiorentino, anche in virtù del ruolo di Pescetti. Lo stesso Pescetti fu determinante per la fondazione a Sesto di una sezione della Camera del lavoro fiorentina, nel 1900. Si trattava di un organismo in cui la componente socialista era forte, ma in cui confluiva-no anche forze della tradizione repubblicana.

La creazione della Camera del lavoro costituiva un’importante novità. Cor-rispondeva all’orientamento della rinata sezione socialista affinché ogni iscritto fosse socio di un’associazione di tipo economico, secondo i dettami nazionali. Così la Camera del lavoro che nasceva lavorò per promuovere organismi di re-sistenza o di mestiere ed ebbe un immediato consenso raccogliendo subito circa 600 iscrizioni69. Non rispecchiava, tuttavia, l’intero insieme dell’identità ope-raia, per il distacco di una parte del quadro operaio di Doccia e specialmente

68. Ivi, p. 60, pp. 96-99, p. 139.69. Ivi, pp. 146-147 e pp. 173-174.

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dei lavoratori ad alta qualificazione o di quelli più anziani legati all’antica cul-tura paternalistica aziendale. Quest’ultima quota finiva, assai probabilmente, per convergere, insieme a soggetti in cerca di lavoro e di sicurezza, sotto le ali dell’Associazione monarchica, orientata sulle posizioni della destra sonninia-na. Una parte minoritaria di giolittiani era invece tra le fila dell’Associazione di Castello.

Comunque, la Camera del lavoro arricchiva un insieme che si rilanciava an-che sul piano cooperativo e della sociabilità popolare70. L’apposizione di una targa dedicata alle vittime del maggio, nell’aprile del 1900, sulla facciata della Casa del Popolo, significò che nessuno intendeva dimenticare, nonostante tan-ti segni preannunciassero un tempo nuovo. C’era bisogno perché il quadro po-litico in cui l’Amministrazione popolare doveva agire era complesso. Il fronte conservatore avrebbe operato a lungo per contrastare l’investimento pubblico, boicottando con ragioni di bilancio la Giunta Biondi, addirittura sciolta con un pretesto nello stesso 1900.

L’attacco dell’autorità governativa si fece serrato nel maggio stesso del 1900, quando il Consiglio municipale fu sciolto e commissariato dietro un prete-sto di carattere amministrativo, ma il successo alle nuove elezioni confermò il consenso a Biondi e ai popolari71. Come accadeva in altri settori della vita nazionale, erano gli ultimi colpi di coda dell’Italia reazionaria che lasciavano il campo all’Italia giolittiana e dunque ad un regime più aperto ai diritti, spe-cialmente nel centro-nord. Qualcosa cambiava anche sul piano economico ge-nerale perché crescevano contemporaneamente il modello industriale, anche se in un quadro di prevalenza dell’agricoltura, e la combattività operaia, giunta al culmine con grandi scioperi nel 1901. Vi fu spazio per iniziative legislative come quella di Pescetti, perché il limite massimo per la tassa di famiglia fosse portato a 300 lire, che poi il Consiglio comunale di Sesto si affrettò ad appli-care. Il Consiglio comunale fu particolarmente attivo sui problemi del lavoro, battendosi per l’estensione dell’istituto dei probiviri alle campagne, incalzando addirittura il Parlamento sulla legislazione per il lavoro delle donne e dei fan-ciulli, sovvenzionando la Camera del lavoro così come aiutando l’Università Popolare. Si batté per l’autonomia municipale, per un certo periodo insieme all’Associazione dei Comuni Italiani,

Il socialismo di fine Ottocento - primi del Novecento a Sesto Fiorentino,

70. Ivi, p.157.71. Ivi, pp. 99-134.

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che molto si identificava con Pilade Biondi, appariva fortemente pragmatico e legato al riformismo municipalista72. Alla sua azione si prestò il complesso di nuove norme amministrative che, concedendo maggiore iniziativa ai comuni, consentivano una più ampia capacità di manovra specialmente nella politica dei trasporti e delle aziende municipalizzate73. Fu questa situazione, condotta in pieno accordo con Giuseppe Pescetti, deputato di riferimento del collegio, a consentire l’impostazione di un programma amministrativo che rimase a lun-go quadro di riferimento della politica comunale, incardinandosi sulla costru-zione di scuole, sulla creazione di aziende municipalizzate, sull’equità fiscale. In particolare era evidente la mancanza di aule, in un sistema dell’istruzione debole cui mancava anche la direzione didattica. I socialisti di Sesto svolsero il loro compito cercando di interpretare dinamicamente i vecchi presupposti del programma minimo, in concorso con altri amministratori socialisti, tanto da

72. Giulio Cerreti, I ragazzi della fila rossa, cit., p. 133.73. Ernesto Ragionieri, Storia di un comune socialista, cit., pp. 122-125.

Il telegramma del Prefetto al Sindaco di Sesto Fiorentino, dell’8 maggio 1898,che proibisce «gli assembramenti e le riunioni»

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presentare una loro relazione sui lavori pubblici al Congresso di Livorno dei consiglieri comunali socialisti dell’ottobre 1901. Divisa al suo interno per l’u-scita dei repubblicani, nel settembre-ottobre del 1901, la maggioranza proseguì con i soli socialisti, mentre il mondo cattolico approfondiva il suo rapporto con una parte del tessuto sociale, specialmente contadino. Si ruppe, infatti, l’allean-za tra i socialisti e i repubblicani.

Un dibattito ideologico tra il repubblicano Pirolini e il socialista Bertelli, tra fine settembre e primi d’ottobre del 1901, intorno al tema del rapporto tra la «sovranità popolare» e la «questione sociale», ripresa di una vecchia discus-sione intorno ai principi mazziniani74, fu occasione di un contenzioso apparen-temente ideologico che separò i due mondi sestesi scaturiti un tempo dall’unico alveo della Fratellanza Artigiana.

Più che ideologico, il confronto era pragmatico. Verteva sulla guida dell’Am-ministrazione rivendicata anche dai repubblicani che andavano ritrovando l’intransigenza particolarmente sostenuta dal vecchio leader della Fratellanza Artigiana fiorentina, Luigi Minuti. Influiva poi l’orientamento astensionista dei repubblicani che li portava a tralasciare le istituzioni per operare efficace-mente in alcuni organismi operai di base, come la Unione Operaia di Colon-nata. Tutto l’insieme politico si andava ridefinendo, tanto che anche i cattolici avviarono una riorganizzazione che li condusse alla fondazione di un circolo democratico-cristiano, nel 1901. Si trattava, in questo caso, dell’apertura di una breve stagione legata al riconsocimento del messaggio modernista, in alternati-va all’Opera dei Congressi, che doveva interrompersi a breve. Ma testimoniava di una possibilità organizzativa non priva di base di riferimento.

L’orientamento cattolico, completamente alternativo sul piano ideologico ai socialisti, trovava un terreno comune sul piano sociale, tanto da verificare oc-casioni di consonanza oggettiva sui temi del lavoro e della giustizia, tra la dot-trina riformista e la dottrina sociale della Chiesa. Un dibattito tra il principale esponente della democrazia cristiana, Romolo Murri, e il socialista Giuseppe Bertelli, in cui il primo attaccava il riformismo socialista sul piano dei principi, contestando soprattutto il collettivismo, ebbe ampia eco. Ma era singolare che uno dei libretti prodotti per l’occasione, il resoconto stenografico, fosse pubbli-cato da una Commissione cattolico-socialista75.

74. Ivi, pp. 161-166.75. Contradittorio Murri-Bertelli tenuto in Sesto Fiorentino (11 agosto 1901): Resoconto steno-

grafico pubblicato dalla Commissione cattolica e socialista, Firenze, Nerbini, 1901.

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La memoria del 5 maggio: una cartina di tornasole per la cultura politica

Nonostante la separazione dei repubblicani, l’Amministrazione comunale di una città definita allora «cittadella del socialismo marxista»76 operò efficace-mente. Fu una fase di particolare alacrità che vide la realizzazione di un rego-lamento d’igiene moderno, ispirato a quello di Milano, con precise regole per la fabbricabilità e l’abitabilità, tanto per le case che per le aziende77. Il raggiun-gimento della quota 15.000 abitanti a Sesto, consentì di elevare ancora il limite massimo della tassa di famiglia a 400 lire, riducendo in proporzione il numero delle famiglie contribuenti. Quasi contemporaneamente, nel 1903, prendeva av-vio il progetto per una nuova scuola elementare a Sesto e per un altro edificio a Quinto, una sorta di bandiera per l’amministrazione socialista che faceva dell’i-struzione il fiore all’occhiello e che doveva impegnare un grosso muto a 35 anni.

Fu l’occasione di un formidabile attacco dei monarchici, assistiti dal gior-nale fiorentino «La Nazione» che prefigurava già quale sarebbe stata la linea di fuoco: la contestazione del grosso impegno di bilancio che ciò comportava nel lungo periodo78. La scelta dei liberali di non partecipare più alle elezioni, se poteva apparire drastica, suonava accettazione di uno stato di fatto, il prevalere deciso delle forze popolari, ma poteva anche prefigurare una strategia di at-tacco giudiziario e amministrativo all’Amministrazione comunale che sarebbe stata svolta meglio senza corresponsabilità decisionale.

Di lì a poco, nel 1904, veniva presentato un altro progetto significativo, l’Azienda Comunale di Elettricità, società municipalizzata per la fornitura di energia ai privati e alle aziende, un progetto destinato ad impattare nel boi-cottaggio della Giunta provinciale amministrativa79. Quell’organismo, infatti, facendo leva sulle obbiettive difficoltà economiche del progetto, appoggiato peraltro da un referendum popolare, lo contestò, intervenendo peraltro sull’e-quilibrio generale del bilancio comunale e ridimensionando il progetto delle scuole. In realtà, il vero problema politico consisteva nei forti interessi dell’in-dustria elettrica privata che il progetto metteva a rischio. Ma vi erano anche le divisioni interne al proprio campo, nonostante che il Consiglio comunale di Sesto dietro di sé avesse una forte sezione socialista arrivata, in quel periodo, a 120 iscritti, cui bisognava aggiungere i 50 iscritti di Castello.

76. Ernesto Ragionieri, Storia di un comune socialista, cit., p.161.77. Ivi, pp. 124-126.78. Ivi, pp. 175.79. Ivi, pp. 126-140.

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Nel 1904, Giuseppe Pescetti veniva sconfitto alle elezioni politiche e ciò evi-denziava l’avvio di una crisi politica del sistema a cui faceva riferimento l’ammi-nistrazione socialista. Ormai la tendenza prevalente nel socialismo sestese era di orientamento integralista «ferriana», diversa dunque dal riformismo del nucleo su cui si fondavano sia l’Amministrazione comunale che il movimento cooperativo che la Camera del lavoro80. Di fronte alla proclamazione dello scio-pero generale politico del 1904, la Camera del lavoro, coerentemente alla sua ispirazione, si astenne.

Era, insomma, una situazione emblematica del quadro italiano in cui, alme-no temporaneamente, integralismo e sindacalismo rivoluzionario marciavano di conserva. Lo stesso Ferri, in visita a Sesto nel marzo del 1904, ottenne una grande manifestazione di entusiasmo da parte degli operai socialisti, tra i quali contava convinti sostenitori, come il sarto Giulio Puliti81. In quel contesto la componente «ferriana» che predominava nel socialismo locale approvò un ordine del giorno che intendeva sottoporre l’azione dell’Amministrazione comunale all’approva-zione della sezione socialista, sostanzialmente rimasto poi disatteso. Tutte le forze politiche vivevano una fase di revisione. I cattolici, una volta stroncata l’esperien-za della democrazia cristiana di Murri, ad opera di Pio X, si orientarono verso un diverso impegno, finendo per rifluire sulle posizioni dei moderati, mentre dedi-cavano il loro sforzo organizzativo soprattutto alle campagne.

Le divisioni socialiste si proiettarono anche nella compagine municipale, nel contrasto tra Pilade Biondi e Fortunato Bietoletti, operaio e consigliere co-munale socialista, segno di una divergenza di strategia nella comune visione ideale82. Cominciò allora una specie di ripiegamento rispetto ai grandi pro-grammi previsti all’origine in una sorta di compromesso con la rigida politica imposta dalla Giunta provinciale amministrativa83. Ne derivò un ritardo nel piano di costruzione della scuola. E, tuttavia, Sesto rappresentava ancora una roccaforte del socialismo. Il 1° maggio del 1906, un comizio di Giuseppe Pe-scetti a Sesto, «centro maggiore del socialismo della provincia», celebrò la ri-correnza del lavoro sotto una pioggia scosciante che impedì l’inaugurazione solenne della illuminazione elettrica municipalizzata84.

80. Ivi, pp.141-146. 81. Ivi, pp. 142-144 e p. 168.82. Ivi, p. 130; Gianfranco Perra-Gianni Conti, Sesto Fiorentino dall’antifascismo alla

Resistenza, cit., p. 117. 83. Ernesto Ragionieri, Storia di un comune socialista, cit., p. 130.84. «La Stampa», 3 maggio 1906.

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Nel 1906, Biondi lasciava l’incarico di sindaco85. Alle ragioni familiari che lo costringevano dopo tanti sacrifici economici a svolgere un’attività lavorativa che non gli lasciava spazio per l’attività di sindaco, si unì il procedimento a suo carico promosso dalla Giunta provinciale amministrativa dopo un’inchiesta sull’Azienda Comunale di Elettricità. Era accusato di peculato per aver trat-tenuto presso di sé 70.000 lire ritirate dal Credito italiano e destinate, nel giro di un paio di giorni, al pagamento dell’energia elettrica municipalizzata. Molte testimonianza sulla sua moralità tesero a scagionarlo. Al processo fu assolto perché il fatto non costituiva reato.

Le dimissioni avvennero in un periodo di particolare tensione sociale. Da una parte, lo sciopero dei mezzadri di luglio 1906, su cui la Giunta comunale assunse una posizione di mediazione con i proprietari. Era il culmine di uno scomporsi dell’antico equilibrio produttivo con la proprietà che, in Toscana, in Umbria e nelle Marche provocò un’ondata di lotte contrattuali viste con sgo-mento dalla proprietà fondiaria. Dettagliate esposizioni, prima tra tutte quella di Francesco Guicciardini davanti ai Georgofili, fecero vedere che le richieste dei mezzadri, come accadeva a Sesto, attenevano alla ripartizione delle spese per le macchine e i nuovi sistemi produttivi86. Ben ventotto mezzadri furono arrestati e processati, mentre le forze dell’ordine imponevano la ripresa del la-voro a tanti altri. Intorno a questa vicenda si sviluppò la solidarietà cittadina, organizzata dai socialisti. Da parte sua, l’Associazione liberale monarchica, di-retta dall’avvocato Edmondo Pecchioli, come era nella sua natura, stigmatizza-va l’azione contadina.

Dall’altra parte, vi fu l’aspra vicenda cosiddetta dei «serrati» di Doccia che vide la stessa Giunta impegnata nell’aiuto ai lavoratori87. La questione, origina-ta dalla crisi del settore, intorno al 1906-1907, prese le mosse dall’istituzione, a Sesto, di una Cooperativa Ceramica Federale cui aderirono ventisette operai della Manifattura di Doccia, tra i quali il sindaco Fortunato Bietoletti. Licen-ziati ventisei di costoro, tranne il sindaco che fu però licenziato dopo pochi giorni, prese avvio una vertenza condotta dalla Camera del lavoro di Sesto tra-mite gli avvocati socialisti Pescetti e Maffii. Durò a lungo e si concluse, sette anni dopo, con il riconoscimento delle giuste ragioni operaie, ma nell’imme-diato rappresentò un rapido rilancio della solidarietà cittadina che appoggiò i

85. Alessandra Bruscagli, Sesto Fiorentino. Piccola storia per un grande paese, Firenze, Metropoli, 2010, vol. 1, pp. 69-71.

86. Ernesto Ragionieri, Storia di un comune socialista, cit., p. 149 e p. 174.87. Ivi, p. 136 e pp. 152-164.

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«serrati» e la costituzione della Cooperativa. La Cooperativa sorse lanciando un piano di sottoscrizioni, dichiarandosi organismo proletario orientato alla resistenza e alla collocazione di operai licenziati, con un fine produttivo in par-te realizzato, anche se per pochi anni. Nell’occasione si approfondiva la diffe-renza con l’Unione Operaia di Colonnata a direzione repubblicana, che negò ogni tipo di adesione o di sostegno alla lotta dei «serrati», approfondendo così il solco che separava i socialisti e i repubblicani, ormai orientati a confluire con la nuova alleanza tra cattolici e moderati, nonostante la piena fedeltà ai principi del libero pensiero. Si rilanciava intanto la Casa del Popolo, di cui Bietoletti divenne direttore poco dopo il suo licenziamento dalla Richard Ginori88.

A consuntivo, la fase di cui era stato protagonista Pilade Biondi, anche se l’ultimo biennio del mandato si svolse in condizioni più difficili, presentava un bilancio complessivo soddisfacente. I liberali monarchici mantenevano voluta-mente il distacco dal Consiglio comunale, dove due suoi rappresentanti entra-rono nel 1908, per uscirne dopo un anno per scelta politica89. I temi politici si moltiplicavano e il progetto di collocare nel territorio di Sesto una polveriera fu occasione di una battaglia per l’amministrazione socialista appoggiata dal-la Camera del lavoro che si inseriva nel più generale quadro del pacifismo di allora. Era un tema sentito, come lo era quello del libero pensiero tanto che, per la fucilazione di Francisco Ferrer, a Sesto apparve a caldo il manifesto della Giunta municipale90.

A Biondi subentrava l’altro socialista Bietoletti, cui toccò affrontare, tra il 1909 e il 1910, la battaglia contro la consorteria che conduceva una sorta di ribellione sociale alle misure di equità fiscale. La sollevazione dei proprietari fondiari riuscì ad aggregare le forze moderate e clericali ed anche settori del mondo repubblicano, intralciando l’approvazione provinciale del bilancio91. Fu questo però motivo di rilancio della politica socialista in vista delle ammini-strative del 1910, con una vera e propria mobilitazione popolare, cui seguì il successo dei candidati socialisti. Era andato intanto compiendosi l’allontana-mento da Enrico Ferri che, dopo aver assunto un atteggiamento polemico con Turati e l’orientamento al ministerialismo, veniva stigmatizzato da un ordine

88. Vera Zamagni-Patrizia Battilani-Antonio Casali, La cooperazione di consumo in Italia: centocinquant’anni della Coop consumatori: dal primo spaccio a leader della moderna di-stribuzione, Bologna, Il Mulino, 2004, p. 169.

89. Ernesto Ragionieri, Storia di un comune socialista, cit., pp. 175-185.90. «La Stampa», 14 ottobre 1909.91. Ernesto Ragionieri, Storia di un comune socialista, cit., p. 91 e pp. 131-142.

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del giorno dei socialisti di Sesto, promosso proprio da Giulio Puliti. Nei mede-simi giorni, i socialisti sestesi appoggiarono con un ordine del giorno la lotta per il suffragio universale rilanciata da Salvemini con un discorso tenuto il 4 dicembre del 1909.

Tuttavia rimaneva un fondamento comune per tutti i democratici. Nel 1910 veniva apposta la lapide in memoria dei fatti di maggio. Anche con quel recupero della memoria storica, l’attività del Consiglio comunale a guida so-cialista riprendeva lena, rilanciando il programma impostato a suo tempo da Pilade Biondi e dagli altri amministratori socialisti. Era passato poco più di un decennio, ma pareva un secolo. La posta in gioco era sempre quella del 5 mag-gio 1898, ma ora la lotta si esercitava in modo diverso. I moti per il pane aveva-no avuto una collocazione logica nella volontà di colpire una popolazione che, in maggioranza, aveva scelto per suo rappresentante un deputato socialista, per la prima volta in Toscana. Ora il boicottaggio conservatore cercava di punire giuridicamente e sindacalmente la volontà cittadina di conservare il Municipio all’amministrazione popolare.

La foto di classe di Delio Contini, 9 anni,la più giovane vittima della strage

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Due pagine del quaderno di scuola di Delio Contini(anno scolastico 1898)

Fortunatamente c’erano grosse differenze. Il 5 maggio del 1898 la battaglia politica si era espressa con un metodo terroristico che colpiva casualmente e il prezzo maggiore era stato pagato dalla gente comune, colpita dal piombo di soldati chiamati a combattere il principio stesso della giustizia sociale. Tra tutte le vittime, il piccolo Delio Contini rappresentava simbolicamente come si fosse tradito il principio stesso del futuro. Il suo “quaderno di bella” raccontava di un lavoro scolastico compiuto con diligenza da un primo della classe che, nell’ul-tima pagella, aveva tutti dieci. Nei temi di fantasia, necessariamente mescolati alla sua esperienza, si ritrovavano il desiderio di gioia, la disponibilità a com-prendere il bisogno degli altri, la consapevolezza della crisi, perché Delio par-lava degli emigranti in cerca di lavoro. Quel bambino non aveva un’ideologia politica, ma esprimeva nella sua cultura, tanto affine a quella degli scolari del Cuore di De Amicis, una visione del mondo intrisa di valori familiari e scolasti-ci, del senso dei diritti e dei doveri che tanto ispiravano i libri di Ferruccio Orsi. La sua prosa era la prova di un saper leggere e scrivere che forse al piccolo sarà parso fatica normale per un fanciullo del suo tempo. Ma non era così. Avere

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un quaderno e saperci gettare pensieri e idee, con una calligrafia ordinata, era per qualcuno ancora un desiderio, un passo da compiere sulla via della cittadi-nanza e dei diritti. Anche a questo era servito il sacrificio di Delio e degli adulti che il destino aveva voluto protagonisti di una storia più grande di loro. Quel popolo di donne, uomini e bambini in marcia aveva chiesto prezzi giusti per il pane, ma soprattutto voleva un avvenire per i sestesi del domani. Ciò era stato interpretato come la «rivoluzione» e, per questo, qualcuno era stato abbattuto come nei momenti peggiori delle guerre si sono sempre fatte decimazioni al fine dell’esempio.

La memoria del maggio aveva un elevatissimo significato simbolico. Non molti anni dopo l’apposizione della targa, il fascismo, che pretendeva di presen-tarsi come l’interprete del popolo, mostrò il suo vero volto distruggendo quel manufatto che ricordava i fatti del 5 maggio, commessi contro il popolo92. Oc-corse attendere il 1945 perché quel ricordo fosse ricollocato di nuovo alla vista delle generazioni successive. La memoria di un sacrificio come quello di Sesto era necessaria per testimoniare che lo sviluppo di un popolo non può basarsi sulla durezza del tiranno. E ciò fu tra i primi pensieri di Sesto Fiorentino tor-nata alla libertà.

92. Gianfranco Perra-Gianni Conti, Sesto Fiorentino dall’antifascismo alla Resistenza, cit., p. 35.

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Estratto della sentenza del Tribunale Militare di Firenze - Sezione Primacontro i manifestanti dei moti del 5 maggio 1898

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Estratto della sentenza del Tribunale Militare di Firenze - Sezione Primain cui si distinguono i nomi di alcuni accusati e i capi di imputazione

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Interpellanza rivolta al Sindaco Arnaldo Corsi da Pilade Biondi, allora ConsigliereComunale, sui ritardi nell’avvio dell’ inchiesta sui fatti del 5 maggio 1898 da lui promossa

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Verbale dell’adunanza del Consiglio Comunale di Sesto Fiorentino del 15 dicembre 1898in cui si richiede «una pronta e generale amnistia» in relazione ai fatti occorsi nel maggio 1898

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Copertina del quaderno di «Componimenti a bella» di Delio Contini(anno scolastico 1898)

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Fabio Bertini

L’eccidio del panea Sesto Fiorentino.Il 5 maggio del 1898Un evento né casuale né senza conseguenze