le vie di Roma...

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Le divinità. L'abbigliamento. Una passeggiata tra. le vie di Roma. Gladiators. Un peu de français. Divinità locali - PowerPoint PPT Presentation

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Divinità locali

Al primo posto tra gli dei locali (dii indigeter) troviamo la somma triade divina, composta da Giove, Marte e da Quirino, il cui culto risale all'epoca dei re di Roma. Giove (luppiter, da Diupiter, Deus pater: Dio padre), grande dio della luce celeste, è al vertice del pantheon romano; è per i Romani un padre buono e premuroso in cielo. Numerosi sono gli appellativi di Giove a conferma della sua importanza: Lucetius, che porta la luce celeste, Fulgor, che lancia fulmini, Pluvius, che manda la pioggia, Tonans, i tuoni. Giove è, inoltre, dio dell'ordine morale, del diritto e della fedeltà. E detto anche Terminus, custode e garante dei confini; dio dei trattati, Juppiter Latiaris o Latialis era a capo della Lega Latina, nella quale Roma deteneva il predominio. Vigile contro ogni violazione dell'ordine, è anche chiamato Feretrius, (che colpisce). Il suo titolo più prestigioso è però quello di Optimus Maximus, e come tale Giove era la somma divinità del culto di stato romano. All'epoca della repubblica egli era a capo della triade capitolina Giove, Giunone Regina e Minerva il cui tempio sorge sul Campidoglio. Il Tempio di Giove Capitolino, con le tre cappelle per le divinità allineate l'una di fianco all'altra, fu consacrato il primo anno della Repubblica (509 aC.) dal console M. Orazio ed è uno dei templi più antichi di Roma. All'interno del tempio erano custoditi il tesoro dello stato e, in una camera sotterranea, i Libri della Sibilla; in un primo tempo vi era ospitata anche la statua della lupa. Marte (Mars), che era con Giove e Quirino al vertice del culto di stato dell'antica Roma, un dio forte e protettore, signore della vita e della morte.

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Avendo generato con la vestale Rea Silvia i due gemelli Romolo e Remo, egli è considerato il capostipite dei popolo romano; conduce e guida le battaglie e per questo godeva di grande considerazione presso i Romani. Martius (Marzo) che gli è consacrato era il primo mese del calendario romano, a testimonianza della sua posizione dominante. Marte riceve il sacrificio dei suovetaurilia e il suo culto è officiato dai sacerdoti salii, con danze in armi. Il suo emblema, conservato nel tempio di Vesta, è il giavellotto sacro. Il tempio promesso da Augusto in voto durante la lotta contro gli assassini di Cesare ed eretto nel Foro di Augusto fu dedicato proprio al dio della guerra vendicatore, Marte Ultore; qui furono conservate la spada di Cesare, le insegne restituite dai Parti e le cariatidi della tenda di Alessandro Magno. Quirino (Quirinus), originaria divinità dei Sabini che risiedevano sul colle del Quirinale, è il protettore degli agricoltori. In seguito, adorato come dio della guerra, veniva equiparato a Marte e, anche, identificato con Romolo. Con Giove e Marte fa parte della triade arcaica della religione romana. Giunone (Juno), dea di origine greco-etrusca, rappresenta l'aspetto femminile dei principio divino ed era venerata soprattutto come Giunone Sospita (redentrice). Con l'attributo di Lucina è dea della nascita, che aiuta a "venire alla luce", con quello di Moneta ammonisce e consiglia e come Giunone Curitis èarmata di lancia e scudo; con l'appellativo di Regina divenne, negli ultimi secoli dell'Impero, la massima divinità dei pantheon romano, insieme con Giove e Minerva, e fu venerata come madre e regina del cielo e protettrice delle donne, del matrimonio e della famiglia. Ogni primo del mese venivano offerti sacrifici in suo onore e il mese di giugno fu a lei consacrato. Giano (Janus, da ianua, "porta"), una delle più antiche divinità di origine preromana, è una potenza tutelare che prende nome dalla porta di casa, attraverso la quale i mali raggiungono gli uomini.

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Giano entra a far parte del culto di stato in qualità di dio protettore di tutti gli inizi. Da lui deriva quindi il nome di gennaio così come quello dei Gianicolo, uno dei sette colli di Roma. Giano è raffigurato con un aspetto bifronte a indicare forse, in qualità di dio del corso del sole e del tempo, il sorgere e il calare dell'astro. A lui è dedicato nel Foro un arco con un doppio portale che era aperto in tempo di guerra e chiuso in tempo di pace (index pacis bellique). La testa di Giano è raffigurata anche sul recto delle monete di rame in corso a partire dal 300 a.C. (aes grave), mentre sui verso campeggia l'immagine della prua di una nave. Vesta, cui si indirizzavano sacrifici e offerte prima di ogni pasto, è la dea dei focolare domestico, luogo di culto e cuore della casa romana. Vesta era preposta anche alla tutela del fuoco sacro che ardeva all'interno di un tempio circolare, le cui fondamenta sono visibili tutt'oggi. Nel primo giorno dell'anno, una fiaccola portata dal tempio di Ve-sta provvedeva a ravvivare il fuoco di ogni casa. L'accesso al tempio era vietato agli uomini, con l'eccezione dei pontfex maximus, al quale tuttavia era interdetto l'accesso alla parte più recondita, dove si conservava il santissimo "Palla-dio troiano", il tesoro protettore della città; questo era costituito da una statua opera di Pallade caduta dal cielo a Troia, narra il mito, e quindi condotta a Roma da Enea. Nel 394 d.C., in seguito alla proibizione della religione romana, il Palladio venne distrutto dall'ultima delle vestali, le sacerdotesse di Vesta, la dea vergine. Vulcano (Volcanus) è il dio del fuoco, che protegge dal pericolo degli incendi. Numerosi sono i templi a lui consacrati e lo stesso imperatore Domiziano dedicò a Vulcano un altare in ricordo dell'incendio di Roma avvenuto sotto Nerone. Le principali feste in onore di Vulcano, i Volcanalia, venivano celebrati il 23 agosto di ogni anno. Saturno (Saturnus, da serere, "seminare") è dio dell'agricoltura e protettore della semina.

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A Saturno, leggendario re dei Lazio, è connesso il mito dell'età aurea, durante la quale egli insegnò agli uomini l'agricoltura. Il tempio di Saturno, uno degli edifici romani più antichi (v secolo a.C.), fu sede di un culto particolarmente sentito. Al suo interno si custodiva il tesoro di stato, da cui l'edificio traeva il nome di aerarium. Intorno al tempio si svolgevano i Saturnalia, un'antica festa del solstizio d'inverno, le cui celebrazioni iniziavano il 17 dicembre e continuavano per parecchi giorni. Accanto alle divinità di stato erano venerate anche divinità comuni, connesse alla sfera privata, come i Lan, i Penati e i Mani. I Lan furono originariamente divinità rurali protettrici dei campi (lares compitales), poi divennero i numi della casa e del focolare (lares familiares). Nella fe- sta dei lares compitales, i Compitalia, i proprietari di terreni tra loro confinanti. deponevano libagioni ai crocevia (compila). Ai laresfamiliares, ai Penati e alle altre divinità protettrici del focolare domestico venivano quotidianamente offerti cibi e bevande. Nei giorni di rito (le calende, le none, le idi) e nelle feste di famiglia, si apriva il lararium (il luogo in cui erano conservate le statue dei Lan) e si adornavano di fiori le loro immagini. I Penati (da penus, "dispensa) sono le divinità tutelari della dispensa e dell'economia. I penates familiares erano venerati nel focolare domestico e i penates publici nel Tempio di Vesta.A partire dall'età imperiale prese forma il culto dei Mani (dii manes o dei mani), le anime dei defunti, volto a guadagnarne la benevolenza.

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Riti dei ciclo annuale

Il calendario festivo dei Romani comprendeva, oltre alle feste private della famiglia e dei gruppi sociali, le feste di stato, stabilite di anno in anno. Verso la fine dell'età augustea erano previste 132 feste statali, di cui 45 con data fissa e 87 variabili. Il calendario festivo e feriale veniva stilato dai ponlifices e, a partire dal 304 a.C., gli elenchi furono regolarmente pubblicati. 1 dies fasli (da fas, "diritto") erano i giorni stabiliti dai pontifices, nei quali il diritto divino permetteva attività profane, intrattenimenti pubblici, e soprattutto assemblee popolari (dies cornitiales). Al contrario, i dies nefasti erano giorni nei quali non potevano aver luogo né sedute di tribunali, né assemblee popolari. La vita politica occupava 49 dei 233 giorni lavorativi. Il saeculum (da serere, seminare, da cui il concetto dei succedersi delle stagioni e quindi del tempo) era alla base della cronologia romana. Paragonabile al greco aion ("era dei mondo"), l'età dei mondo veniva suddivisa in 10 saecula, ciascuna della durata di 100 anni. Ogni 100 anni si celebravano i centenari, collegati ai Ludi saeculares (giochi dei centenario); questi venivano indetti con lo scopo di espiare le colpe degli anni precedenti e di salutare l'inizio della nuova era. Celebrati per la prima volta nell'anno 249 a.C., durante la Prima Guerra Punica (264-241 a.C.). vennero di nuovo celebrati nel 146 a.C., dopo la terza (149-146 aC.). Il poeta romano Quinto Orazio FIacco (65-8 a,C.) compose il Carmen Saeculare, poema celebrativo del centenario nell'anno 17 a.C.. sotto l'imperatore Augusto. Questo carme, cantato l'ultimo giorno delle feste da un coro di ventisette giovani e ventisette fanciulle, si vere nell'animo dell'ascoltatore il significato religioso della festa dei centenario.

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Gli Ambarvalia, che ricorrevano in maggio, erano un'antica festa della terra in onore di Marte, caratterizzata da tre processioni cuiminanti nel sacrificio di un maiale, una pecora e un toro (suovetaurilia). I Vestalia, le feste della dea Vesta, cadevano il 9 giugno ed erano celebrati soprattutto da fornai e mugnai. la cui attività dipendeva dai focolare. Anch'essi erano tra Le più antiche feste del calendario romano. I Consualia onoravano Consus, il protettore delle messi: la festa, durante la quale si usava inghirlandare le bestie da soma, avveniva il 21 agosto, dopo il raccolto dei grano, e il 15 dicembre, al termine della semina. In queste occasioni si svolgevano nel Circo Massimo corse di cavalli, asini e muli, affinché gli animali si liberassero dalle maledizioni. In onore di Vulcano, il dio del fuoco, si celebravano il 23 agosto i Volcanalia, proponeva di far rivinel corso dei quali venivano gettati pesci nel fuoco, con l'intento di offrire al dio una vittima sacrificale inconsueta per il suo elemento. In onore di Saturno, il dio protettore della nuova semina, erano celebrati i Saturnalia, dapprima nella sola giornata dei 17 dicembre, poi anche nei due giorni successivi e infine nel corso di una intera settimana. La festa della semina e dei solstizio invernale rappresenta una delle più antiche e popolari feste nell'anno romano. Ci si scambiavano candele e piccoli doni ed erano sospese le distinzioni di classe: l'ordine sociale era rovesciato e i signori si trovavano a servire i loro schiavi. In concomitanza si teneva a spese dello stato un banchetto pubblico presso il tempio di Saturno e l'atmosfera di gioia veniva mantenuta nei giorni successivi con vari festeggiamenti. La maggior parte delle feste e delle processioni erano però celebrate in onore di Zeus, il dio sommo e padre degli dei.

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Il culmine della vita religiosa era rappresentato dalle Feriae lovis, che avevano luogo il 13 o il 15 di ogni mese ed eccezionalmente il 23 dicembre I Parentalia, feste di fine anno in ricordo dei genitori morti e dei parenti, duravano nove giorni (13-21 febbraio). L'ultimo giorno, detto Feralia, precedeva la festa della Cara C'ognatio ("cara parentela") o Caristia: tale festività rappresentava l'occasione per riunire intorno a un banchetto i membri della famiglia e riconciliare chi aveva rotto i legami di parentela. La più antica festa dei Romani è probabilmente quella dei Lupercalia, celebrata il 15 febbraio, in onore di Fauno. Questo dio era chiamato Lupercus (da lupus, "lupo" e arcëre, "proteggere"), facendo riferimento alla sua funzione di allontanare i lupi dal gregge e favorire così l'attività dei pastori. Luogo di culto era la grotta del Fauno, situata sulle pendici occidentali del Palatino (lupercal, "cavità del lupo"), nella quale i gemelli Romolo e Remo vennero allattati dalla lupa. Dopo l'esposizione del capro espiatorio, aveva luogo una processione intorno al Palatino, promossa dai luperci, i sacerdoti dei dio Fauno. Il poeta Ovidio espone, nella sua opera dei Fasti, una trattazione poetica del calendario romano.

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Riti quotidiani

La religione romana prescriveva la più severa osservanza per i precetti religiosi: importantissimo atto sacro era il sacrificium, l'offerta di una cosa o di una persona alla divinità. Nei sacrifici di sangue venivano offerti animali bianchi agli dei dei cielo e neri agli dei degli inferi. Le vittime erano condotte all'altare e immolate dal sacerdote preposto. A Giove, nella sua qualità di dio della fedeltà, veniva offerto, nella confarreatio ("matrimonio"), un agnello.Sui campi di battaglia avveniva invece il sacrificio, in onore di Marte, dei suovetaurilia (sus, "maiale"; ovis, "pecora"; taurus, "toro"). I sacrifici incruenti consistevano in dolci, frutti, grano, latte e vino. Tra i riti augurali sono da citare il lectisternium e, in tempi di carestia, il ver sacrum ("sacra primavera"), durante il quale si offrivano primizie primaverili. Nei corso di questi banchetti cerimoniali venivano disposte su dei cuscini le immagini degli dei allo scopo di rappresentare la loro presenza fisica. L'origine di questi riti può essere rintracciata nei Libri Sibillini e cronologicamente fissa- ta al iv sec. a.C. Libation (da lihare, "offrire libagioni") era detta l'offerta cuItuale di liquidi (miele, latte, olio, acqua, vino) per le divinità e per i morti: nel caso dei defunti i liquidi venivano introdotti nelle tombe attraverso aperture speciali. Le preghiere venivano pronunciate secondo un formulano preciso l'esattezza sola conferiva efficacia la mattina, la sera, a tavola e in tutte le occasioni importanti. Il comandante di un esercito pregava gli dei prima e dopo la battaglia. L'invocazione alle divinità nella preghiera era ritenuta sancta, venerabilis, aeterna, bona, optima, magna, potens. omnipotens e pulchra. Le suppliche, pubblici riti di preghiera, venivano rivolte alle divinità da tutti gli adulti, uomini e donne, i primi a capo scoperto e le seconde con corone sulle teste e rami di alloro nelle mani.

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Questi riti, associati alla visita di tutti i templi di Roma, avevano lo scopo di ottenere l'indulgenza degli dei per l'intera comunità. Più tardi si trasformarono in feste di ringraziamento (con il tributo di onori ai comandanti vittoriosi), e vennero celebrate per ordine dei consoli o dei senato. In età repubblicana i consoli formula-vano regolarmente, all'inizio di ogni anno, voti per il bene dello stato e nello stesso tempo ottemperavano a quelli dell'anno passato. Nel periodo imperiale i voti, che erano indirizzati principalmente al bene dell'imperatore, venivano pronunciati anche prima delle battaglie: le prede di guerra, frutto della benevolenza degli dei, rappresentavano l'elemento più importante durante il trionfo del comandante vittorioso. Il pragmatismo religioso dei Romani li induceva a riconoscere l'efficacia dei voti e a offrire i doni scdo dopo che la preghiera era stata esaudita. Il giuramento era sacro e valeva come pegno di fedeltà e sincerità in tutti gli ambiti della vita cittadina, ed era considerato come una sorta di riconoscimento dell'onniscienza e della giustizia divina; lo spergiuro veniva originariamente punito con la pena di morte. Il giuramento più sacro e più antico dei Romani era quello pronunciato dai sacerdoti di Giove e convalidato dal lancio della pietra dei tuono, simbolo del padre degli dei. La formula del giuramento così recitava: Con l'aiuto degli àuguri, i sacerdoti che traevano gli auspici (da auspicium, "osservazione degli uccelli"), i Romani interrogavano le divinità sulle loro intenzioni circa le imprese progettate.A questi sacerdoti competeva lo studio del volo degli uccelli, attraverso l'osservazione delle direzioni e delle velocità, o ancora l'analisi del comportamento dei polli nel beccare il cibo: era ritenuto un auspicio positivo, ad esempio, il fatto che i polli si precipitassero avidi sul loro becchime. Il prodigium (previsto, "presagio") era per i Romani l'espressione dell'indignazione divina e l'indizio di un pericolo per io stato, che si tentava di allontanare con l'ausilio dei remedia desunti dai Libri Sibillini per propiziarsi gli dei.

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Luoghi di culto e templi

I culti domestici avevano luogo in un tempietto ricavato nella casa, il lararium, dedicato ai Lan e ai Penati. Qui si custodiva il sacro fuoco perenne e veniva inoltre celebrato il culto funebre dei Mani. La venerazione pubblica degli dei nell'epoca più antica avveniva nei boschetti sacri e i riti si compivano sul muschio; più tardi invece furono erette apposite arae (tavole per libagione, altari) in pietra; raramente venivano costruiti tempietti circolari. L'architettura italico-romana, contrariamente a quella greca, che privilegiava la costruzione di edifici sacri, era volta a esigenze essenzialmente pratiche. A pari diritto trovavano posto, l'una accanto all'altra, costruzioni di carattere sacro e profano; un esempio di architettura di segno prettamente funzionale è costituito dai fori ("mercati"). Ogni città aveva il suo Foro, situato nel punto d'incrocio tra le due strade principali, il cardo (asse sud-nord) e il decumanus (asse est-ovest). La piazza del mercato, un ampio spazio aperto circondato da colonnati, era il cuore della vita pubblica. Nei Foro romano si trovava il comitium, dove si svolgevano le assemblee popolari, con i rostra (rostri delle navi), tribune per gli oratori, decorate con i rostri delle navi catturate durante la battaglia di Anzio (338 a.C.) contro i Latini. Vi era anche la curia, nella quale il senato teneva le assemblee consiliari, le basiliche, adibite al commercio e alle attività giuridiche, e la prigione di stato. Qui sorgevano anche la regia, residenza dei pontifex maximus, con l'archivio degli Annali e l'Atrium Vestae. Nel Foro erano inoltre edificati gli archi di trionfo per gli imperatori vittoriosi, in onore dei quali lungo la via sacra avevano luogo i cortei trionfali. Una pietra miliare d'oro (miliarium aureum) indicava la distanza di Roma dalle più grandi città dell'impero. I templi erano situati spesso al centro di un recinto sacro, cui si accedeva attraverso un portale.

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I templi erano situati spesso al centro di un recinto sacro, cui si accedeva attraverso un portale. All'interno dei recinto potevano trovarsi inoltre camere o atrii a colonne adibiti a particolari usi cultuali (l'esempio più significativo a questo riguardo è costituito dal tempio di Giove Eliopolitano a Baalbek, nell'attuale Libano). Il recinto dei templi delle città veniva chiamato, dal nome dei recinto dei principale tempio di Roma, Campidoglio. Il tempio romano, secondo lo schema etrusco, è generalmente costruito su di un alto basamento (podium). Esso viene eretto in funzione di un punto di vista centrale: vi si può infatti accedere solo da un lato, tramite una scalinata: l'atrio d'ingresso al tempio, per lo più quadrangolare, è evidenziato dalla presenza di un vestibolo a colonne. Il tempio romano racchiude, accanto a un vestibolo aperto, il sacrario chiuso (cella), che si trova al centro dei tempio ed è dotato di una porta in prevalenza volta a oriente.All'interno della cella, in parte o completamente circondata da un colonnato (peristilio), di fronte alla porta, è posta l'immagine della divinità. I templi romani sono per la maggior parte costruiti sulla base dei periptero greco (religione greca ). Un esempio classico è offerto dal tempio di Castore e Polluce nel Foro Romano. Una versione particolare dei tempio quadrangolare è il tempio doppio, che comprendeva i templi dedicati a due divinità: ad esempio, a Roma, nel tempio di Venere e Roma le absidi delle due cellae sono disposte testata contro testata. Vi sono pure esempi di templi a forma circolare.Il Pantheon (greco: pantes theoi, tutti gli dei), originariamente dedicato ai sette dei planetari, è la prima grande costruzione a pianta circolare eretta sul suolo romano ed è l'unico edificio dell'antica Roma conservatosi interamente.

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Il sistema delle dodici divinità Originariamente al vertice dei pantheon romano si trovava la triade formata da Giove, Marte e Quirino. poi sostituita da quella composta da Giove, Giunone e Minerva. Nell'anno 217 aC., sulle basi di un oracolo, venne concepito un sistema di dodici divinità articolato in sei coppie di divinità maggiori: Giove e Giunone. Nettuno e Minerva. Marte e Venere, Apollo e Diana, Vulcano e Vesta. Mercurio e Cerere. Un portico dei Campidoglio ricorda queste dodici divinità.Accanto alle divinità maggiori, dii maiores, figurava anche un consistente gruppo di divinità minori, dii minores. Tra le divinità minori vi è Pax, la dea della pace, alla quale venne dedicata da Augusto la celebre Ara Pacis, nel 9 a.C. nel Campo di Marte, e da Vespasiano un tempio, nel 75 d.C. nel Forum Pacis da lui edificato. In questo tempio erano custodite le famose opere d'arte della residenza di Nerone e i tesori che Tito portò con sé da Gerusalemme. Alla dea Concordia venne dedicato un tempio nel Foro come segno della riconciliazione tra patri7i e plebei.Questo tempio conteneva una raccolta dite-son d'arte e ospitava spesso le riunioni dei senatori. Altre divinità minori, in particolare divinità femminili, sono: Victoria, dea della vittoria. Hymen o Hymenaeus, il dio de! matrimonio, e Naenia, la dea del lamento funebre. 

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Equivalenze tra i personaggi mitologici greci e romani

Ade Plutone Dio degli Inferi

Afrodite Venere Dea della Bellezza

Ares Marte Dio della Guerra

Artemide Diana Dea della Caccia

Asclepio Esculapio Dio della Medicina

Atena Minerva Dea della Guerra e della Sapienza

Borea Aquilone

Crono Saturno Dio dell’agricoltura

Demetra Cerere Dea della terra e della fertilità

Dioniso Bacco Dio del vino e dei vizzi

Efesto Vulcano Dio del fuoco e della metallurgia

Elio Apollo Dio del Sole

Eos Aurora Dea dell’Aurora

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Era Giunone Dea degli Dèi

Eracle Ercole Eroe delle 12 fatiche

Erinni Furie Dea dell’ordine morale e della vendetta

Eris Discordia Dea della discordia

Ermes Mercurio Dio dei mercanti, messaggero degli Dèi

Eros Cupido Dio dell’amore

Estia Vesta Dea del focolare domestico

Ilizia Lucina Dea delle partorienti

Ipno Sonno Dio del sonno

Leto Latona

Moire Parche Dee del destino

Nike Vittoria La vittoria

Persefone Proserpina Dea della fecondità

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Poseidone Nettuno Dio del mare

Rea Ops La Dea madre

Tanato Orco La morte

Tiche Fortuna Dea della fortuna e del caso

Zefiro Favonio Vento di ponente

Zeus Giove Re di tutti gli Dèi

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il Caos - Kronos   In principio era il Verbo, dice la

religione cristiana. Per la mitologia greca, invece, in principio era il Caos,

una massa informe di tutti gli elementi della natura, aria, terra, roccia, fuoco, vapore. Da questo

ammasso, appunto “caotico”, emersero due entità di straordinaria potenza ed energia: Gea, la terra, ricca di fecondità, ed Eros, l’amore

inseminatore di vita. E dall’unione di questi due portentosi princìpi vitali, il

Caos (vale a dire la confusione) si trasformò in armonia. Gea dette vita

a nuovi elementi, come l’Etere luminoso, la Notte, Urano che è il

firmamento, Oceano, i Monti, i Ciclopi dispensatori di lampi e tuoni, i mostruosi Giganti divinità delle

tenebre, i feroci Titani. Il più giovane di questi era Kronos , il Tempo (per i Latini, Saturno), che spodestò dal regno dell’universo il padre Urano e ne prese lo scettro. Dalla sua unione con Rea, la latina

Cibele, nacquero poi le divinità maggiori dell’Olimpo da noi più

conosciute, fra cui Giove e Giunone.

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Ma anche Kronos non ebbe sorte migliore del proprio

detronizzato padre: temendo che i figli da lui generati

potessero tramare contro di lui, cominciò a divorarli per eliminarne il pericolo.

Da questa fine fu salvato Giove, trafugato e nascosto

dalla madre Rea sul monte Ida, da dove, a solo un anno di vita, ma già dio potente e… adulto, partì a sua volta per l’ultima e

definitiva vendetta: cacciò Kronos dal regno del mondo e

prese il governo dell’universo e degli uomini.

Una curiosità. Cacciato dall’Olimpo, Saturno (Kronos) si rifugiò in Italia e precisamente si nascose nel Lazio (Latium), il

cui nome deriva dal verbo latino latère, nascondersi: sarà

per questo che in Italia abbondano... i latitanti?  

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G i o v e (Zeus) Fu l’onnipotente re dell’Olimpo, sovrano incontrastato di dèi e mortali. Come in tutte le religioni, è la personificazione divinizzata delle paure e delle angosce dell’uomo: l’incomprensibile tuono assordante, la pioggia violenta che flagella, sono la sua presenza vendicatrice e punitiva; ma degli uomini rappresenta anche le debolezze e le passioni. Non il dio cosmico degli ebrei, lo Spirito universale, ma una divinità molto intrisa dei difetti degli uomini: l’orgoglio, l’intrigo, l’infedeltà, l’irruenza, l’ingiustizia. A volte anche la misericordia. E’ la peculiare caratteristica della mitologia greca, l’antropomorfismo: ideare, cioè, divinità con sembianze fisiche e caratteriali prettamente terrene, a immagine e somiglianza dell’uomo. Giove ne è un considerevole esempio. Note sono le sue infedeltà coniugali, che irritano e fanno ingelosire un’altra divinità antropomorfa, la sorella e moglie Giunone: alla quale non mancherà la fantasia per punire in mille modi poco divini le varie Ninfe, in altrettanti mille modi corteggiate e amate dall’esuberante infedele marito.

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Note sono le sue infedeltà coniugali, che irritano e fanno ingelosire un’altra divinità antropomorfa, la sorella e moglie Giunone: alla quale non mancherà la fantasia per punire in mille modi poco divini le varie Ninfe, in altrettanti mille modi corteggiate e amate dall’esuberante

infedele marito.

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G i u n o n e (Era) Era una potenza, l’unica dea capace di

tener testa all’onnipotente marito-sovrano. Per proporle di diventare sua moglie e

regina dell’universo, quel bricconcello di Giove si presentò alla giovane dea sotto

forma di volatile, un piccolo cuculo che le si posò tremante sulla spalla per

trasformarsi poi in uno splendido dio, il principe azzurro delle favole moderne. Il

loro fu veramente un matrimonio d’amore, anche se contrastato in seguito da infedeltà, gelosie, ripicche: tutte

caratteristiche della natura umana nelle quali gli antichi vedevano gli eterni

sconvolgimenti di cielo e terra. Al contrario del marito (specializzato in camuffamenti vari, sotto forma di cigno, torello, pioggia d’oro), Giunone è il simbolo della fedeltà coniugale e il modello di moglie: greci e latini ponevano sotto la sua protezione

matrimoni e nascite. Poiché separazioni e divorzi non li abbiamo inventati noi

moderni, anche l’augusta coppia non ne fu indenne: stanca delle continue

performances erotico-sentimentali del marito, l’infuriata Giunone si risolse a una separazione, sia pure non consensuale, e

abbandonò il… tetto (anzi l’Olimpo) coniugale.

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E siccome noi moderni non abbiamo inventato neanche il “tarallucci e vino” *, il tutto finì in una riappacificazione, grazie a uno scaltro

stratagemma di Giove, che, come tutti i mariti infedeli, ricorrono a tutti i mezzi per riportare a casa la moglie brontolona ma

insostituibile (e intendiamoci: vale anche per… le mogli infedeli). Nemmeno la politica (degli umani) fu estranea alle continue baruffe

degli olimpici consorti. Giunone parteggiava per i Greci e ce l’aveva a morte con i Troiani, perché un loro principe, Paride, aveva offerto il

“pomo della discordia” a Venere e non a lei, designando la dea dell’Amore come la più bella (l’altra contendente era Minerva).

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M i n e r v a (Atèna)  

Era la dea della sapienza, e non poteva che essere figlia del dio

sommo e della Saggezza infusa in lui. Natali più che aristocratici… E quale altra dea se non lei, che i

greci chiamavano Athéna, poteva essere scelta dagli dèi per dare il

nome alla città che fu culla e nutrice della più prolifica e speculativa sapienza del mondo, Atene?

Uno dei simboli di Minerva fu l’ulivo, emblema della pace: perché la dea

fu certamente anche dea della guerra (nacque già equipaggiata con elmo e giavellotto), ma lo fu

soprattutto della pace. Essa infatti non ama la guerra per il gusto della strage – differenziandosi in ciò dal fratello Marte – ma per il trionfo

della giustizia e delle giuste rivendicazioni.

Un altro aspetto della divinità di Minerva è la creatività dell’ingegno, nell’arte e nel pensiero; ed è a lei,

nella mitologia, che si deve il progredire dell’uomo nella sua

ingegnosità:

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Athena lo aiutò (anzi, fu lei che materialmente lo fece) a costruire le prime fornaci, la prima nave, la casa e il tempio; gli insegnò ad essere agricoltore e ad allevare il bestiame, ad essere tessitore e filatore.

E anche lei, manco a dirlo, si occupò… di politica, ma in uno stile più alto, quasi da politologa, da opinion-maker: inculcò nell’uomo il concetto di buon governo .

Fu una dea… nubile: troppo presa fra armi, giustizia, studi e creatività. A lei “Parthènos” (vergine) il grande Fidia dedicò una statua d’oro e d’avorio che era custodita nel Partenone (ecco il perché di questo nome) ad Atene.  

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Venere (Afrodite)I greci la chiamavano Afrodite, perché era nata dalla spuma

(aphròs) del mare. Era figlia del Cielo e del Mare: divinità più

mediterranea di così…! Ed era bella, bellissima, anzi la

raffigurazione divina della bellezza assoluta: e fu sùbito annoverata fra

i vip dell’Olimpo, perché una bellezza così folgorante non poteva

essere mortale. Venere vive, si può dire, ancora

oggi, perché è la dea dell’amore e della seduzione: persino dèi rozzi

come il brutto Vulcano, che ne fu il marito, o “rambo” nerboruti come Marte, che ne fu uno degli amanti, ne subirono il fascino ( godendone

ovviamente anche delle… generose prestazioni ). Mentre altre dèe nutrivano verso di lei un forse

giustificabile risentimento. Fu una dea capricciosa e volubile, e

molti guai combinò ai mortali suscitando o sciogliendo vincoli e

passioni amorose.

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Page 26: le vie di Roma...

Capricci di cui essa stessa fu poi a sua volta vittima, quando il suo malizioso figlio, Amore (Eros), le scagliò una delle sue frecce e la fece

invaghire di Adone: un giovane e bellissimo cacciatore, la cui prematura morte gettò l’innamorata dea nella disperazione. Il

burbero-benefico Giove, che di amori e amorazzi se ne intendeva, se ne impietosì e consentì che ogni anno il bell’Adone tornasse fra i vivi

e trascorresse quattro mesi con l’amata dea. Ed è in questa resurrezione che gli antichi videro l’eterno rifiorire della natura e il

risorgere di ogni tenace amore.

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Page 27: le vie di Roma...

M e r c u r i o (Hermes)   Abbiamo già incontrato questo scaltro e poliedrico Dio quando si esibì alla grande rubando i cavalli al fratello Apollo. Mercurio aveva infatti fra le sue tante attività quella di essere ladro e di proteggere i ladri ( molte delle buoniste leggi moderne si ispirano a lui…). Era un dio con le ali ai piedi perché era il messaggero degli dèi, rapido come il vento; e per la velocità del suo “pie’ alato”, ben gli si addiceva la prerogativa di protettore dei lestofanti che, dopo il furto, fuggono appunto come il vento; e il suo patrocinio degli avvocati, le cui roboanti parole hanno spesso, del vento, l’inconsistenza. Forse lo si dovrebbe decretare anche protettore degli uomini politici. Il suo nome deriva dal verbo latino mercàri (negoziare), e quindi la sua ala protettrice si stendeva anche su bottegai e commercianti, forse perché con l’astuto dio condividevano, e condividono, scaltrezza e inclinazione a… fregare il cliente (La "bella penzata" delle 10.000 lire = 10 euro, probabilmente è sua...).

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Page 28: le vie di Roma...

Era un ladro incallito, e mirava a derubare le sue vittime proprio delle cose che avevano più care. Che cosa poteva rubare al fabbro Vulcano se non l’incudine e il martello? e a Venere? il cinto che le copriva le intimità; a Nettuno il tridente, e a Marte, manco a dirlo, la spada. Gli arnesi del mestiere, insomma. Ma più che ladro, forse, era solo un burlone, e se la faceva soltanto fra… amici Un dio intelligente, comunque: non per niente il pianeta che porta il suo nome influisce beneficamente sui Gemelli, che (modestamente) sono il segno più intelligente dello Zodiaco. E poi è un dio che ha il dono dell’eloquenza, capacità di convincere, forte memoria, fascino personale: come i Gemelli, insomma…  

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Page 29: le vie di Roma...

M a r t e (Ares) Dio bellicoso, che si

distingueva dalla sorella Minerva perché a lui la guerra piaceva davvero. Provava un

piacere tutto suo nel suscitare motivi di conflittualità fra i

popoli, e non si sentiva appagato se non li vedeva venire alle armi con cruenti combattimenti e reciproche

stragi. E’ la ricorrente caratteristica

dell’antropomorfismo mitologico greco: attribuire a

un dio,  e farne quindi l’ispiratore,  tutta la

malvagità e la bellicosità dell’animale u o m o . Qui a fianco lo vediamo "in riposo", uno dei suoi pochi momenti di relax da che mondo è mondo.

Un dio della guerra di tutto rispetto, Marte, nato

certamente dalla continua litigiosità esistente fra suo

padre e sua madre, Giove e Giunone.

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Page 30: le vie di Roma...

Era piuttosto malvisto dagli altri dèi, ma aveva dalla sua parte due potenti sostenitori, la Discordia e il Terrore. Essendo un rambo di quelli doc, fece

innamorare di sé la sempre disponibile Venere, che in fatto di erotismo non badava a spese e non sottilizzava

troppo fra militaristi e pacifisti. Potenza della divisa… Militarista a tal punto, Marte, che i Romani, nati per conquistare il mondo, lo elessero a

protettore di Roma e del suo impero.

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Page 31: le vie di Roma...

A p o l l o (Helios)   Era il figlio di Latona e di Giove, la notte e il cielo; e dal buio della notte sorgeva

lui, il dio del Sole, per rischiarare il cielo e la terra, e quindi rituffarsi, con il suo carro trainato da bianchi cavalli alati, nelle onde del mare all’orizzonte d’occidente. I greci lo chiamavano Helios, Sole. Era bellissimo

e forte, e sin da bambino se la seppe cavare bene anche nelle tecniche di

difesa personale: aveva quattro giorni quando fu assalito dal serpente Pitone, mandatogli contro dalla gelosa Giunone

che, alle solite, vedeva in lui il frutto illegittimo di un amorazzo di

quell’impenitente di Giove (quando si trattava di fare figli, Giove era sempre

disponibile: non per niente era chiamato il “Padre degli dèi”…). Apollo era stato

allevato col nèttare, il cibo delle olimpiche divinità, e non gli fu difficile avere il

sopravvento sul serpente Pitone, la cui pelle andò poi a ricoprire lo scanno della

Sibilla nel tempio di Delfo, dedicato, appunto, ad Apollo; e dette alla veggente l’appellativo di Pitonessa. Per l’uccisione di Pitone, però, Apollo dovette affrontare un lungo periodo di esilio sulla terra, fra i

mortali, e per nove anni si rassegnò a fare il mozzo di stalla in una scuderia di reali

cavalli.

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Page 32: le vie di Roma...

Mercurio, il suo alato e dispettoso fratello, un giorno gli rubò per celia un bel numero di scalpitanti equini; scoperto, per rabbonire il divino congiunto, gli fece un regalo: un guscio vuoto di testuggine accessoriato di corde tese all’interno, la prima cetra.

Da allora, questo strumento da cui Apollo non si separò mai, divenne il costante attributo di questo Dio, il simbolo dell’armonia sonora che vibra nell’universo, della proporzione e del ritmo che pervadono di sé la poesia, la musica, il canto, le arti figurative; le Arti, insomma, care alle Muse.

Per questo Apollo è definito anche “Musagete”, e ad “Apollon Musagète” il genio di Stravinskij ha dedicato un poema musicale: da “Muse”, appunto.

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Page 33: le vie di Roma...

D i a n a (Artémide)  

Gli Amici degli animali non l’avrebbero avuta in simpatia. Era una bella ragazza, ma aveva una passione

sfrenata per la caccia, la sua attività preferita. Evidentemente, aveva preso dal padre Giove, che era cacciatore di donne; lei si limitava a fare strage di

cervi e di cinghiali. I greci la chiamavano Artèmide, e la

raffiguravano mascolinamente munita di arco frecce e faretra.

Aveva comunque altri lati positivi: era apportatrice della fresca rugiada e della

pioggia ristoratrice, proteggeva i viandanti nelle ore notturne, si

prendeva cura di monti e di foreste: un’ambientalista ante litteram.

Una dea solare, mediterranea, diurna, ben diversa dalla tetra raffigurazione che fecero di lei i barbari del Nord,

introducendo nella luminosa mitologia greca la figura di Ecate, una Diana

notturna, tenebrosa, che regnava sui cimiteri. Doveva anche essere una femminista convinta, o almeno una

“single” per vocazione: voleva vivere casta, senza marito e libera di

scorrazzare per i boschi in compagnia delle Ninfe silvane.

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Page 34: le vie di Roma...

Scontrosa e rigida nel conservare la propria castità, fu crudele con il povero malcapitato Atteòne: questo giovane cacciatore aveva osato guardarla con

un’ammirazione un po’ troppo eloquente mentre nuda faceva il bagno. Ma gli andò

male, perché si ritrovò con la bella sorpresa di vedersi tramutare in un

cervo. Da cacciatore a preda, su cui si avventarono i cani della dea,

dilaniandolo. Povero Atteone: se tutti gli ammiratori

delle intimità femminili dovessero subire la stessa sorte, l’umanità diminuirebbe di

molto… Più fortunato di lui il bel pastore

Endimione: fu il solo amore della casta Diana, un amore interiore, fatto solo di

silenziosa contemplazione. Il giovane era stato condannato da Giove (ma che

prepotenti, questi dèi!) a un sonno eterno nelle profondità di una caverna, senza conoscere nulla delle gioie della vita e senza morire mai. Diana, impietosita e sotto le sembianze di Seléne (la Luna) penetrava ogni notte nel suo antro e lo baciava con i suoi raggi, in un amore

fatto di tenera estasi. In questo mito i greci racchiusero la delicata favola del Sole morente che

s’incontra con i primi riflessi della Luna.

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Page 35: le vie di Roma...

B a c c o (Diòniso)  

Nacque lui e morì sua madre, involontariamente incenerita da

Giove che, dopo averla resa incinta, le era vanitosamente apparso in

tutto il suo ardente splendore; anche un po’ rimbambito, diciamolo,

questo tombeur de femmes: non aveva capito che dietro c’era un vendicativo tranello della solita

Giunone. Noi uomini – a somiglianza degli dèi – siamo più vanitosi delle

donne: e questo rende noi più stupidi, e loro più intelligenti.

Ma torniamo all’orfanello Bacco. Crebbe in montagna, aria buona, attorniato da Ninfe e satirelli, fra

vigneti e canti. E crescendo ebbe la meritoria idea di fare agli uomini il dono del vino. Gran benefattore.

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Page 36: le vie di Roma...

Fu uno degli amanti di Venere, tanto per gradire; e non si tirò indietro quando si trattò di consolare la piangente e gemente Arianna,

abbandonata su un'isola sperduta da quell'imbranato di Teseo.

Anche lui beveva per dimenticare, ma non si dimenticava mai di bere. Fra un

baccanale e l’altro, tra feste canti e ninfe, si faceva cogliere dai benèfici

inganni della divina bevanda. Era sempre ubriaco, insomma. Ma intanto aveva contribuito a una delle prime

scoperte dell’uomo e al sorgere della cultura enologica.

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Page 37: le vie di Roma...

E r c o l e (Eracle)  

Era il “fusto del pretorio”, anzi dell’Olimpo: forte e nerborutamente nerboruto… Sin da bambino. Ancora

nella culla, riceve la sgradita visita dei soliti due serpenti mandati dalla solita Giunone per far fuori il rampollo, altro figlio spurio di quello sporcaccione di

Giove. Ma niente paura. Ercole afferra i due rettili con la morsa fatale delle sue

mani, e li strozza. Proprio niente male! Millenni dopo diventerà un divo del

cinema… C’è una delicata favola su lui bambino,

ancora lattante. Il padre Giove ci teneva alla sua figliolanza, anche se

con sangue umano nelle vene; e decise che il latte della mortale madre

non era abbastanza nutriente per il figlio di un dio. Di soppiatto, fece in

modo che il pargolo potesse succhiare il latte di Giunone, mentre l’ignara dea

dormiva.

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Page 38: le vie di Roma...

Quando Ercole fu satollo di questo divino nutrimento, qualche goccia di quel latte gli scivolò dalla bocca e si perse

nell’infinito: fu così che, nel firmamento, nacque la Via Lattea. Ercole divenne col tempo un forzuto omaccione da prendere

con le molle; spesso l’enormità della sua energia muscolare gli dava al cervello. Da ragazzo aveva spaccato sulla testa di un suo maestro una pesante cetra, e lo aveva ammazzato; più

tardi s'infuriò a tal punto col suo fedele compagno Lica che lo prese per i piedi e lo scaraventò nel mare; infine giunse a

uccidere persino i propri figli e la loro madre. Roba da sedia elettrica.

E gli cominciarono i guai. Per autopunirsi si mise per lungo tempo al servizio di un re sulla terra, e qui compì quelle

leggendarie “ercùlee” imprese che sono note come le Dodici fatiche di Ercole.

Ma per non annoiarvi, ne parleremo forse un’altra volta.

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Page 39: le vie di Roma...

Asclepio, Esculapio

Dio greco della medicina, figlio di Apollo e della ninfa Coronide; Venerato dai

Romani col nome di Esculapio. Il centauro Chirone gli insegnò l'arte del

guarire. Zeus, temendo che egli potesse rendere immortali gli uomini, lo uccise con un fulmine. Sua insegna, il bastone

con un serpente attorcigliato.

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Page 40: le vie di Roma...

Eros – Cupido

Nella mitologia greca il dio dell'amore, detto cupido dai

Latini. Varie sono le leggende sulla sua: secondo alcuni era figlio di Afrodite e Ares, secondo altre

della Notte e del Giorno; i miti più antichi ne parlano come di un dio

della terra o come forza generatrice nata dal caos. Veniva rappresentato come un giovinetto alato, armato di arco e di frecce

con le quali accendeva la passione amorosa nel cuore degli

uomini e degli dei. Nel periodo ellenistico è rappresentato invece

come un bimbetto paffuto che adoperava le sue armi d'amore

come maliziosi balocchi, creando guai e fraintendimenti. Il

personaggio di Eros scomparve praticamente durante il medioevo

per riapparire con tutto il suo corredo di metafore amorose nella lirica dell' Umanesimo

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Page 41: le vie di Roma...

Demetra – Cerere

Divinità della mitologia greca, la dea della terra coltivata, del grano, delle messi. Madre di Persefone, figlia di Crono e di

Rea, dunque sorella di Zeus; il centro del suo culto fu Eleusi, dove in suo onore si

tenevano due volte all'anno le feste eleusine. Gli attributi di Demetra (in

comune con Persefone) sono la spiga di grano e i fiori del narciso e del papavero. I

Romani la identificarono con Cerere.

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Page 42: le vie di Roma...

Vulcano (Efesto)Nel mito greco, dio del fuoco, figlio di Zeus e di Era, sposo di Afrodite.

Artefice divino, gli era attribuita la fabbricazione di opere meravigliose, quali le armi di Achille e il tridente di Posidone. Centri

del suo culto furono in Grecia l'isola di lemno e l'Attica e nella Magna Grecia la Campagna e la Sicilia. I Romani lo identificarono con

Vulcano.

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Page 43: le vie di Roma...

Vesta (Estia)Nell'antica mitologia greca, dea del focolare domestico. Appare nella

religione post-omerica come una delle 12 divinità dell'Olimpo. Figlia di Crono e di Rea, ebbe da Zeus l'eterna verginità e l'onore di presiedere a tutti i sacrifici. In alcune città la dea del focolare civico,

il cui fuoco, simbolo vitale della città, veniva custodito nel pritaneo.

Identificata dai Romani con la dea Vesta.

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Page 44: le vie di Roma...

Hipnos – Sonno

Somnus, dio del sonno, era figlio della Notte insieme a suo fratello gemello Tanatos, dio della morte. Viveva in un luogo sconosciuto e deserto mai raggiunto dai raggi solari. Egli possedeva una verga

magica in grado di addormentare. Era considerato benevolo ed ero attorniato dai Sogni. Addormentò Giove in modo che Giunone potesse vendicarsi e far morire Eracle, ma al suo risveglio il Signore degli Dei infuriato lo fece precipitare in mare. Si salvo grazie all'intervento di

sua madre. Suo figlio Morfeo era invece il dio dei sogni, che si mostrava ai dormienti assumendo varie forme;il suo nome deriva

infatti dal termine greco morphe, che significa "figura".

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Page 45: le vie di Roma...

Poseidone - Nettuno: Dio del mare.

Nella mitologia anche dio dei terremoti e dei cavalli.Nella mitologia greca, divinità degli oceani e dell'acqua in genere.

Figlio di Crono e abitatore delle profondità marine, si spostava su di un carro trainato da cavalli e con il tridente provocava sconvolgimenti tellurici e tempeste marine. Accompagnato da un corteggio di Nereidi e di Tritoni, gli erano sacri, oltre al cavallo, il toro e i delfini. A Roma

fu identificato con Nettuno.

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Page 46: le vie di Roma...

Plutone - Ade

Nella mitologia greca, è il severo dio dell'oltretomba, fratello di Zeus e Posidone. Con la moglie Persefone governa sulle forze degli inferi e sui

morti. Noto anche col nome di Plutone come dio benefico,

dispensatore delle ricchezze del sottosuolo. Il termine Ade indica anche il regno stesso dei morti.

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Page 47: le vie di Roma...

Rea – Opi

Nella mitologia greca, è la figlia di Urano e di Gea (Cielo e Terra) sposa di

suo fratello Crono. Partorito Zeus, lo

nascose al padre finché non fu divenuto

abbastanza potente da sconfiggerlo. Associata alla fertilità, fu venerata come benevola madre

divina.

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Page 48: le vie di Roma...

Urano

Nella mitologia greca è il dio che rappresenta il Cielo. Secondo la teogonia di Esiodo, dal Caos primigenio emersero Urano e Gea, la

Terra; dalla loro unione ebbe origine il mondo, ma la continua attività generatrice di Urano rendeva impossibile lo stabilirsi di un ordine fra

le cose; pertanto Gea convinse il figlio Crono (latino Saturno) a evitare il padre per succedergli nel dominio del mondo.

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Page 49: le vie di Roma...

When the lands were occupied by Romans, some men living there were brought in Roman Empire as slaves or gladiators. Slaves were bought in Rome

while gladiators had to fight against other gladiators or animals in the Coliseum. The word gladiator comes from the Latin for swordsman, from gladius, sword. That definition does not do justice to the life of that professional combatant. The first gladiators were part of a sacrificial rite adopted from the Etruscans. First introduced to

Rome in 264 BC, the sons of Julius Brutus honoured their father at his funeral by matching three pairs of gladiators. Gladiatorial combat was originally

part of a religious ceremony that was intended to insure that the dead would be accompanied to the

"next world" by armed attendants and that the spirits of the dead would be appeased with this offering of blood. Traditionally, this ritual was

performed to honour important men.  However, as the years passed, the ritual lost much of its

religious significance. As this "sport" became more popular, Tertullian (born in Carthage, one of the

greatest Western theologians) observed "this class of public entertainment has passed from being a compliment to the dead to being a compliment to

the living."

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Page 50: le vie di Roma...

Aristocratic funerals became increasingly political acts where the living demonstrated their wealth,

celebrated their victories and enhanced their reputations. Emperors presented the games to

represent their power.

Gladiators were generally condemned criminals, prisoners of war or slaves bought for this

purpose. Some free men entered this profession in hopes of popularity and patronage by wealthy citizens. The free men were often social outcasts,

freed slaves or discharged soldiers. They volunteered to be gladiators and by the end of

the Republic made up half the number of combatants. Gladiators were traine in combat at

special, imperial schools. The gladiators fought in various styles, depending on their background and training. Originally, as captured soldiers,

they were made to fight with their own weapons and in their own style of combat. Because these soldiers were from other lands, their appearance

was exotic and weapons distinct from those of the Romans. In the first century AD, three of every

five people did not survive to see their twentieth birthday and the odds of a professional gladiator

surviving any one match was one in 10.

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Page 51: le vie di Roma...

Conversely, criminals who were to be publicly executed or Christian martyrs who refused to

renounce their faith and worship the gods had no hope of survival in the arena. For it was the

spectators who could spare the life of the loser with the wave of their handkerchiefs or the turn of their thumbs. This public spectacle would not be

the place for the audience to show mercy to these gladiators.

Gladiatorial games were presented for ten to twelve days each year and often coincided with

Saturnalia, a festival celebrating the god Saturn. (held around the time of the winter solstice with general feasting and revelry) Professional sign

painters advertised with red lettered signs; heralds also proclaimed these spectacles. Programs were

available to aid in the inevitable betting. In the morning, battles between wild beasts would

be presented. You might see bears fighting buffaloes, buffaloes against elephants, elephants against rhinoceros. Even the ostriches that were

brought in to amuse the spectators were not spared. After dashing around the arena, they were killed by arrows from archers who were located in the stands. Fights between men and tame beasts were called , and were held to demonstrate man's

power over even the strongest of beasts.

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Page 52: le vie di Roma...

It is sad to note that the popularity of these spectacles led to the deaths of tens of thousands of animals. Entire species were no longer found in

their native habitat, having been captured or driven away. Hippopotamuses were no longer seen

in Egypt, elephants were not found in northern Africa and the population of lions disappeared from

Assyria.In the afternoon you would see gladiators

appropriately paired; evenly matched, but not identical so there would be no competitive

advantage. You might see retiarii, who were lightly armed, but mobile fight against the secutores or myrmillones , who were protected, but weighted

down by their armour. This asymmetry was intriguing and demonstrates a sense of fairness that the spectators desired. Depending on the

emperor of the day, you might see dwarfs fighting women, Amazons, or even senators and emperors. (note: Severus forbade female combatants in 200

AD- how civil!)

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Page 53: le vie di Roma...

There were different kinds of gladiators:

A Thracian - wore ocrea on both legs, carried a small square shield, wore either a full visored

helmet or an open faced helmet with a wide brim, and carried a curved Thracian sword with an angled

bend in the blade; A Secutor - took his name from the term for

"pursuer" and fought virtually naked and bald, carrying a large oval or rectangular shield and a

sword or dagger, wearing an ocrea on the left leg, leather bands at the elbow and wrists (manicae),

and a round or high-visored helmet; A Retiarius - symbolized the fisherman and wore

only a loin cloth (subligaculum) and a metal shoulder-piece (galerus) on the left arm, and

carried a net (iaculum), a dagger, and a trident or tunny-fish harpoon (fascina). One variation on the

Retiarius was the Laquearii who carried a lasso instead of a net.

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Page 54: le vie di Roma...

VÊTEMENTS ET COIFFURES

LES ROMAINS

Le costume masculin était composé de la tunique, une sorte de chemise et une espèce de manteau ,

la robe, qui venait endossée sur la tunique. La robe était le costume typique romain. La robe venait endossée, pliée horizontalement au milieu, en

formant comme ci des plis très épaisses de tissu. La tunique était une combinaison et était endossée

comme le vêtement pour la maison. Elle était composée de une chemise très large, longue jusqu’aux genoux. Avec le temps, la tunique

devenait longue jusqu’aux les pieds, en laine, en coton, en lin et en soie. Généralement les hommes

n’endossaient jamais les ornements sur la tête. Quand il faisait très froid, il se couvraient la tête avec la robe. Sortir, en endossant seulement la

tunique, était considéré un geste d’impolitesse : seulement les ouvriers se habillaient comme ci.

Enfin, sur la tunique étaient appliqués des ornements, qui indiquaient le rang et la richesse de

son propriétaire.

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Page 55: le vie di Roma...

LES ROMAINES

Les femmes romaines s’habillaient exactement comme les hommes mais l’influence étrusque et

grecque portèrent une nouvelle mode, toute féminin. Le vêtement principal était une chemise, sur laquelle était endossée une robe et, comme

pardessus, un manteau. Le tout était enfin , orné par un voile. Pour donner d’importance aux

vêtements , les romaines teindaient les tissus en rouge pourpre et le ornaient avec des perles et des épingles en or. Quand les romaines sortaient en public, endossaient un troisième vêtement : la « palla ». A’ l’origine semblable à la robe masculin et en suite elle devenait plus grande . Une femme

romaine ne pouvait pas été considéré habillée sans le voile. Souvent, les romaines ramassaient leurs cheveux en rétines en or ou en argent. Les

chaussures aussi, étaient très importantes pour les romains. Il y a avait beaucoup de modèles :

sandales, bottes et chacun montrait la richesse et le « status » sociale de son propriétaire.

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Page 56: le vie di Roma...

LES CONSEILS DE BEAUTÉ DE « OVIDIO »

Les femmes romaines employaient beaucoup de leur temps dans le soin du corps. Voilà quelques

recettes reportées par l’écrivain romain « Ovidio ».

POUR UNE PEAU DU VISAGEÉcailler et laver l’orge, si possible de « Libye »,

plonger dans dix œufs une quantité de « veccia » égale à l’orge, qui ne doit pas dépasser deux

« libbre ». Faire essuyer le mélange en plein air, le mêler ensemble à quelques cornes de cerf et le

tamiser. Ajouter douze bulbes de narcisse lavés, en poussière dans un mortier, deux « once » en

caoutchouc avec de la farine de ble et neuf en miel.

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Page 57: le vie di Roma...

POUR FAIRE DISPARAÎTRE LES TACHES DE LA PEAUMasser la peau avec une demi « oncia » en alguee

prises du nid des oiseaux de mer, avec du miel blond de l’ « Attica ».

POUR UNE PEAU DU VISAGE LISSE ET ODORIFÉRANTE

Mêler l’encens et ajouter un peu de myrrhe. Hacher le composé et le délayer avec le miel, myrrhe

odoriférante, fenouil et un poing de roses sèches. Ajouter l’encens.

POUR UNE PEAU DU VISAGE DÉLICATEDélayer dans l’eau froide des coquelicots. Après avoir réduit le composé en crème, masser sur les

joues.

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Page 58: le vie di Roma...

Abbigliamento e Abbigliamento e accessoriaccessori

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Page 59: le vie di Roma...

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Page 63: le vie di Roma...

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Page 64: le vie di Roma...

Le Colisée est sûrement le monument qui symbolise le mieux la ville de Rome. C’est un amphithéâtre très grand,

qui mesure 50 m. de hauteur et il a une plante de 188x156 mètres.

Il s’appelle de cette façon parce que dans l’antiquité, à côté du Colisée il y a avait le colosse de Nerone, une

statue haute 36 m. Il est constitué de 3 niveaux d’arcs superposés à ordre architectoniques différents. Sur le

dernier niveau il y a un autre étage, constitué du attique.Dedans, le Colisée est formé de beaucoup d’escaliers qui

offraient beaucoup de places pour s’asseoir. En outre, l’espace le plus bas était parmesé de sable. Là se

déraillaient des spectacles grandioses très longs comme des batailles navales et des combats entre gladiateurs,

des hommes et des animaux. J’aime beaucoup le Colisée parce que selon moi il est vraiment magique et il fait

respirer l’air merveilleux de la Rome antique. Je me sens très petite quand je le regarde de près!

Le ColiséeLe Colisée

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Page 65: le vie di Roma...

Le plus grand amphithéâtre jamais bâti à Rome et symbole à la fois de la romanité était érigé par les

empereur Flavi et dans appelé «Amphiteatrum Flavium» ; le prénom Colosseo lui a été donné en un deuxième temps à coure des voisinage de la colossale statu en

bronze représenté Nerone comme le dieu du Soleil. Sa construction a été entreprise par l’empereur Vespasiano en 73 d.C. et enfin était terminée par l’empereur Tito en

80 d.C. L’édifice à forme d’ellipse énorme mesure en longueur m. 188X156 aux limites extérieurs et m. 86x54 aux limites intérieurs, pendant que l’hauteur mesure m.

49. C’est une chef-d'uvre d’architecture antique qui �renferme  trois ordres (dorique, ionique, corinthien) dans les 80 arc, chacun, encandrés par piliers avec adossée

des colonnes (dorique dans le 1er, ionique dans le 2ème et corinthien dans le 3ème). La façade extérieur à été

réalisée en cutier en travertin. L’arène où combattaient les gladiateurs en origine était recouverte au mieux par des planches en bois que on pouvait enlever quand il

devait présenter les differents spectacles.Dans ce monument le peuple romain pouvait voir tous le jeux possible: des combats d’homme et d’animaux, des

duels de gladiateurs, des causes, simulations, des combat navals. Le Colosse pouvait contenir environ 50.000

personnes.

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Page 66: le vie di Roma...

TOTOGRAMMES

Paul est un pêcheur qui pèche beaucoup de poissons. Les poissons qui il pèche il les porte à ses parents ou à des personnes qui lui parlent pendent les pauses. Il pratique

la pêche partout.

Ricard est rentré à Rome. Il revoit Robert et Renée . Ricard est rentré à Rome. Il revoit Robert et Renée . Ricard a rapporté leur un rasoir rare et une raquette avec Ricard a rapporté leur un rasoir rare et une raquette avec un rat représenté. Pendant que ricard rit avec Robert, il un rat représenté. Pendant que ricard rit avec Robert, il rebane sa rabat et Renée réalise le rrebane sa rabat et Renée réalise le rêve de reciter un êve de reciter un

recit.recit.

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Page 67: le vie di Roma...

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Page 68: le vie di Roma...

La guitare est un instrument à cordes. Elle à six cordes et plus

touches. La combinaison du numéro des touches et des cordes

permet de pouvoir sonner beaucoup de notes. Il existe trois types de guitare, celle classique,

celle acoustique et celle électrique. A la guitare électrique

il faut une amplification.

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Page 69: le vie di Roma...

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La chatteLa chatteElle est noire comme la nuit, Elle est noire comme la nuit,

Une étoile blanche éclaire sa fourrune,Une étoile blanche éclaire sa fourrune,

Elle est calme comme la nuit,Elle est calme comme la nuit,

Elle avance silencieusement.Elle avance silencieusement.

Elle est tendre comme la nuit,Elle est tendre comme la nuit,

Elle a peur de la gens qu’elle ne connaElle a peur de la gens qu’elle ne connaît pas,ît pas,

Elle léve la queue vers le ciel…Elle léve la queue vers le ciel…

Elle est légère comme la nuit…Elle est légère comme la nuit…

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