Le tribù mediorientali e il caso delle FATA Pachistane

50
ALMA MATER STUDIORUM - UNIVERSITÀ DI BOLOGNA SCUOLA DI LINGUE E LETTERATURE, TRADUZIONE E INTERPRETAZIONE Corso di studio in lingue, mercati e culture dell’Asia LE TRIBÙ MEDIORIENTALI E IL CASO DELLE FATA PACHISTANE PROVA FINALE IN CULTURA E LETTERATURA ARABA Relatore: Presentata da: Prof. GIOVANNI DOMENICO BENENATI DANIELA BACCARANI Correlatore: Prof. GIULIO SORAVIA Sessione: III Anno accademico: 2012-2013

Transcript of Le tribù mediorientali e il caso delle FATA Pachistane

Page 1: Le tribù mediorientali e il caso delle FATA Pachistane

ALMA MATER STUDIORUM - UNIVERSITÀ DI BOLOGNA

SCUOLA DI LINGUE E LETTERATURE, TRADUZIONE E INTERPRETAZIONE

Corso di studio in lingue, mercati e culture dell’Asia

LE TRIBÙ MEDIORIENTALI

E IL CASO DELLE FATA PACH ISTANE

PROVA FINALE IN CULTURA E LETTERATURA ARABA

Relatore: Presentata da:

Prof. GIOVANNI DOMENICO BENENATI DANIELA BACCARANI

Correlatore:

Prof. GIULIO SORAVIA

Sessione: III

Anno accademico: 2012-2013

Page 2: Le tribù mediorientali e il caso delle FATA Pachistane

2

Alla mia famiglia,

al nonno Vincenzo.

Page 3: Le tribù mediorientali e il caso delle FATA Pachistane

3

Page 4: Le tribù mediorientali e il caso delle FATA Pachistane

4

Sommario

Introduzione ................................................................................................................................ 6

Quale Medioriente? .................................................................................................................... 9

Le influenze islamiche e arabofone nel Medioriente ............................................................ 12

Antropologia e orientalismo ..................................................................................................... 16

Nascita e sviluppo dell’antropologia nel Medioriente .......................................................... 17

L’antropologia mediorientale oggi .................................................................................... 19

L’Orientalismo ...................................................................................................................... 19

Nomadismo, pastorizia e tribù tra realtà e stereotipi ................................................................ 22

Il nomadismo pastorale ......................................................................................................... 22

Il nomadismo pastorale oggi: ............................................................................................ 25

La tribù .................................................................................................................................. 27

La tribù come organizzazione socio-politica e il modello segmentario ............................ 27

Famiglia, matrimonio e rapporti sociali nelle tribù nomadi .............................................. 31

I Pashtun ................................................................................................................................... 36

Il caso delle FATA pakistane ................................................................................................... 40

Amministrazione delle FATA .............................................................................................. 42

FCR, the black law ................................................................................................................ 43

La giustizia nelle FATA oggi ............................................................................................... 45

Bibliografia ............................................................................................................................... 48

Sitografia .................................................................................................................................. 48

Ringraziamenti ......................................................................................................................... 50

Page 5: Le tribù mediorientali e il caso delle FATA Pachistane

5

Page 6: Le tribù mediorientali e il caso delle FATA Pachistane

6

Introduzione Nello scegliere l’argomento da trattare in queste pagine ho tentennato più volte.

Se lasciarmi andare e imprimere i miei pensieri tra carta e penna mi è sempre risultato facile

e gratificante, altrettanto non posso dire dello “scrivere per gli altri”. Un tipo di scrittura-

questa- che non può dare interamente sfogo al Mio pensiero, al Mio modo di riempire un

foglio nella maniera e con gli argomenti che desidero.

Ho cercato quindi di giungere ad un compromesso tra le necessità accademiche e la scrittrice

viziata che abita dentro di me: ho pensato ai miei amici, a tutte le battute che mi hanno fatto in

questi anni di studio di lingua araba, cultura mediorientale e islamica. Ho pensato a tutti gli

stereotipi che io già conoscevo sul Medioriente, e a quanti nuovi ne ho incontrati grazie alle

battute che mi venivano –e tutt’ora mi vengono- fatte davanti ad una birra.

Ho pensato agli amici ed ho deciso di schiarirgli un po’ le idee mettendo a frutto quanto ho

imparato in questi tre anni, quanto ho visto viaggiando qua e là con il corpo ma soprattutto

con la mente grazie alla curiosità che mi ha spinto a cercare sempre di più tra siti internet e

libri.

Inizialmente avevo intenzione di sfatare qualche stereotipo classico sul Medioriente, poi mi

son accorta che probabilmente sarebbe stato per me un lavoro noioso in cui avrei solo ripetuto

cose già dette e ridette mille volte.

Quindi ho cambiato rotta, ho pensato di concentrarmi sul fare chiarezza nel mondo degli

stereotipi religiosi. Anche qui mi sono dovuta fermare: un po’ perché anche questa strada era

già stata percorsa in tante conversazioni, un po’ perché parlando dell’islam avrei dovuto

coinvolgere nel discorso paesi che nulla hanno a che fare con la lingua araba o la cultura

mediorientale.

Con cosa riempire allora queste pagine bianche? La terza idea è stata quella giusta… Scriverò

delle tribù del Medioriente!

Anzi! Scriverò prima di cos’è il Medioriente poi parlerò delle sue tribù. Accennerò

brevemente a come lo studio di questa parte di mondo è nato, prima di lasciare spazio alle

Page 7: Le tribù mediorientali e il caso delle FATA Pachistane

7

protagoniste. Di loro descriverò la forma, l’economia, le famiglie, la loro grandiosità nel

passato… e quello ne resta oggi.

Attenzione però! Il Medioriente è un territorio molto vasto, ovviamente le tribù che ospita

avranno particolarità diverse da zona a zona… perciò quello che scriverò non potrà essere

troppo dettagliato ma sarà solo una descrizione generale.

Per quanto che riguarda “il particolare” scelgo invece di concentrarmi su una zona situata al

limite asiatico del Medioriente: scelgo di parlare delle Aree Tribali pachistane. Scelgo loro

poiché sono aree in cui le tribù hanno ancora un’importanza fondamentale

nell’amministrazione della zona in cui sono stanziate. Scelgo loro per curiosità personale,

perché se dei beduini dell’Egitto ne sento parlare tutti gli anni in vacanza, delle tribù Pashtun

in Pakistan non so quasi niente.

Infine scelgo loro anche per comodità: queste zone sono spesso le protagoniste delle pagine di

politica internazionale o delle denunce di Amnesty International, il materiale su cui fare

ricerca perciò non manca!

Buona lettura amici miei!

Page 8: Le tribù mediorientali e il caso delle FATA Pachistane

8

Page 9: Le tribù mediorientali e il caso delle FATA Pachistane

9

Quale Medioriente?

Il primo impiego del termine Medioriente risale ai primi anni del XX secolo, quando gli

strateghi militari inglesi lo utilizzarono per indicare le zone di loro competenza nelle colonie.

E’ quindi un termine carico di connotazioni etnocentriche, eurocentriche e colonialistiche.

Oggi tale espressione è conosciuta ed utilizzata nell’area mediorientale ed

affianca termini indigeni che si rifanno alla religione e alla posizione

geografica: dal al harb e dar al islam ب و دار ا������م���� دار ا�rispettivamente la terra della guerra e la terra in cui regna l’islam (e quindi

la pace) hanno una connotazione islamico-religiosa mentre i sostantivi

Maghreb e Marshreq ا��������قا��������ب و indicano le direzioni in cui

il sole sorge e tramonta e sono perciò di carattere più geografico.

Il Medioriente, che nel tempo ha subito

tagli e aggiunte alle terre considerate

parte di esso, al giorno d’oggi occupa

territori appartenenti a ben tre continenti

diversi (Africa, Asia ed Europa) e si

estende lungo la fascia Rabat - Teheran

per più di cinquemila chilometri.

In aggiunta a questo vastissimo

territorio, molti studiosi considerano

parte del Medioriente anche

l’Afghanistan, il Pakistan e porzioni

dell’Asia centrale ex sovietica e

dell’India grazie alla loro vicinanza

storica, linguistica e culturale.

Figura 1

Medio Oriente nella sua accezione tradizionale

“Grande Medio Oriente” come definite dal G8

Aree a volte associate al Medio Oriente per questioni socio

Page 10: Le tribù mediorientali e il caso delle FATA Pachistane

10

La scelta di questi confini, che come già detto è variata nel tempo, è dovuta comunque a

ragioni che spaziano dalla storia, all’economia, alla cultura, e più in particolare possiamo

identificare due principali motivazioni.

• La prima di carattere storico-territoriale: l’area medio orientale si sovrappone

approssimativamente con estensione territoriale raggiunta dai tre grandi imperi della

storia musulmana, prima l’Umayyade, poi l’Abbaside ed infine l’Ottomano.

• La seconda di carattere culturale: in questi territori usi, costumi e organizzazione

sociale hanno un’estesa base comune.

Nonostante ciò, è possibile -ed è quello che fa l’antropologo Fabietti- individuare quattro

sotto-zone che meglio definiscono i territori mediorientali:

• l’area afghano-pakistana → in essa predominano le popolazioni di origine turcomanna

nella parte afghana, mentre in quella pakistana predominano popolazioni di lingua

baluch e brahui;

• l’area turco-iraniana → vi è una massiccia presenza di popolazioni di origine

turcomanna parlanti dialetti di origine turca o persiana;

• l’area della Penisola Arabica (con annessa la ragione ad occidente della Mesopotamia,

confinante con la Penisola del Sinai ad ovest e con i monti Tauro a nord) dove la

popolazione è prevalentemente semitica, parlante lingua araba. Questa è l’area in cui,

a partire dal VII sec d.C., nacquero quei modelli culturali, politici ed sociali destinati a

dare un’impronta caratteristica e decisiva al Medioriente considerato come un’unica

grande area culturale;

• l’area nordafricana compresa tra Egitto e Mauritania → islamizzata progressivamente

fin dai primi tempi dell’espansione araba e nella quale le popolazioni provenienti dalla

Penisola Araba si sono mescolate con le popolazioni indigene. Quest’area - il

Maghreb- sfuma a sud verso il Sudan e il Corno d’Africa, dove la cultura dei popoli

nomadi entra in contatto con quella delle popolazioni nere, talvolta anch’esse

islamizzate, ma in possesso di forme di organizzazioni sociale nettamente differenti.

Page 11: Le tribù mediorientali e il caso delle FATA Pachistane

11

Se fin qui ho illustrato in breve cosa il Medioriente è, per completezza ora dirò cosa il medio

oriente non è:

• non è la terra dell’Islam. Sebbene la religione islamica sia notoriamente la più diffusa,

non possiamo ignorare la presenza di numerose comunità ebraiche e cristiane diffuse

su gran parte del territorio;

• non è il mondo arabo. La lingua araba (con numerosi dialetti regionali) è la più parlata

ma non è l’unica. In queste zone si incontrano diverse lingue come ad esempio il

curdo, l’ebraico, il berbero, il pashtu, il persiano, il turco, il baluchi e altre lingue

africane…

Se è formalmente errato definire il Medioriente

come terra araba e islamica, è comunque

innegabile l’importanza di queste due caratteristiche che sono state il filo conduttore e

unificatore di una base culturale e politica comune.

Figura 2

Lingue parlate nella zona mediorientale.

Dati in colonna:

-totale della popolazione parlante la lingua (espressa in

migliaia di unità).

-percentuale di diffusione di tale lingua sul totale dei fedeli

musulmani.

Page 12: Le tribù mediorientali e il caso delle FATA Pachistane

12

Le influenze islamiche e arabofone nel Medioriente

La fede islamica è sicuramente quella che ha plasmato maggiormente la zona mediorientale

in base ai suoi canoni.

L’Islam formalmente nasce nel 622 d.C. (corrispondente all’anno 0 del calendario

musulmano) nel cuore della Penisola Araba.

L’ambiente in cui il Profeta Mohamed (nome completo م �����د����ا ��و ا

predica i suoi ( ا ����ن � ����د � ا ����ن � ����د ا�ط�����ب ا ����ن ھ������م

insegnamenti è lo stesso in cui il Primo Islam si sviluppa: le caratteristiche politiche

e linguistiche assieme alle tradizioni religioso-culturali sono inevitabilmente entrate

a far parte dell’impianto islamico.

Con l’espandersi del Credo fuori dai confini arabi, alcune di queste caratteristiche, ormai

intrinseche della fede musulmana, sono state conservate e accettate dalle nuove popolazioni

convertite. Giunta fino al sud est asiatico, la fede islamica subisce solo occasionalmente delle

variazioni (adorazione o meno di alcuni santi, riti pagani che si trasformano in riti islamici,

etc…) ma la dottrina religiosa rimane invariata poiché scritta nel Testo Sacro

.e quindi immutabile ا���آن ا�����

Parlare di espansione della fede islamica non significa solamente discutere di preghiere, fede

e riti, ma significa anche parlare un impianto legislativo che, basandosi sul Corano e sulla

Sunna ا���� (consuetudini e modi di comportarsi del Profeta e delle prime generazioni

islamiche), va a coesistere -se non addirittura a sostituirsi- con le leggi nazionali.

È per questo motivo che ancora oggi, a distanza di secoli, in stati molto distanti l’uno

dall’altro, con etnie, e climi completamente differenti, possiamo riscoprire una base

legislativa islamica comune.

Page 13: Le tribù mediorientali e il caso delle FATA Pachistane

13

Se il contenuto del messaggio islamico ha influenzato il metodo di approccio a Dio con la

religione e il metodo di approccio agli altri uomini tramite la legge islamica Shari’a

���������, anche il messaggio in sé –ovvero il metodo di comunicare

utilizzato- ha in qualche modo influenzato la comunità.

Secondo la religione islamica Dio scelse la lingua araba per manifestarsi perché “la più chiara

e la più eloquente”. Tramite la religione l’arabo la conoscenza dell’arabo si è espansa fino ai

confini asiatici poiché ogni musulmano è tutt’oggi tenuto a conoscere, recitare e comprendere

il Testo Sacro nella sua lingua originale.

Ibn Taymiyya (1263 –1328) giurista e teologo siriano musulmano così scriveva:

<< Quando prendiamo l'abitudine di parlare in altre lingue a parte l'arabo , il quale è

simbolo dell'Islam e la lingua del Corano, al punto che diventa uso comune con i membri

della famiglia, con gli amici del mercato, nel parlare con funzionari governativi o altre

autorità, o con persone di scienza, e senza dubbio ciò, diventa una cosa detestabile Makruh

Figura 3 Applicazione della Shari’a

Stati a maggioranza musulmana e membri dell’Organizzazione per la Cooperazione Islamica in cui

la Shari’a non condiziona il sistema giuridico.

Stati in cui la Shari’a è coinvolta nel diritto di famiglia (matrimonio, divorzio, figli) e diritto

successorio. Le latre materie osno trattate con leggi secolari.

stati in cui la Shari’a è applicata ad ogni material giuridica.

Paesi che hanno approvato variazioni locali alla Legge.

Page 14: Le tribù mediorientali e il caso delle FATA Pachistane

14

poiché adottiamo le abitudini dei non-arabi che sono detestabili Makruh,…

Quando i pii predecessori andarono a vivere in Siria e in Egitto, dove la gente parlava greco

bizantino, o in Iraq e Khorasan (n.d.r. attualmente una regione dell'Iran), dove la gente

parlava persiano, o nel Nord Africa (al-Maghreb) dove la gente parlava Berbero, essi

insegnarono ai popoli di questi paesi a parlare l'arabo, in modo che l'arabo diventasse la

lingua più comune del paese. Cosicchè tutte le persone, musulmane o no, parlavano

fluentemente l'arabo, senza distinzione.>>

e più avanti replicava:

<< Inoltre, la lingua araba è di per sé parte dell'Islam ed è un obbligo religioso. In effetti, è

un dovere capire il Corano e la Sunna che non possono essere compresi senza conoscere

l'arabo, quindi i mezzi necessari per adempiere a questo dovere religioso diventano anch' essi

obbligatori.>>

Oggi l’arabo è la lingua nativa di più di 250 milioni di persone residenti negli stati compresi

tra il Marocco, ad Occidente, e l'Iraq, ad Oriente. È la sesta lingua parlata al mondo ed è una

delle lingue ufficiali delle Nazioni Unite. In passato molte lingue non semitiche hanno usato

la scrittura araba, è il caso del persiano, del turco, del maltese e del wolof in Africa. Alcune

utilizzano questo alfabeto ancora oggi (persiano e altre lingue indoeuropee minori).

Page 15: Le tribù mediorientali e il caso delle FATA Pachistane

15

Page 16: Le tribù mediorientali e il caso delle FATA Pachistane

16

Antropologia e orientalismo

Se del Medio Oriente conosciamo bene la tradizione colta, fatta di grande storia, scienza,

politica, filosofia, ben poco sappiamo della piccola tradizione, quella che pone le sue basi

sulla vita più pragmatica delle comunità locali, sulla loro organizzazione sociale e sul loro

quotidiano fatto di usi, costumi e prassi religiose ben distanti da quelli rappresentati nella

grande letteratura.

L’antropologia, che si occupa proprio di scoprire e studiare la piccola tradizione, ha fatto la

sua comparsa tra questi popoli con un discreto ritardo causato dallo scarso interesse dell’uomo

europeo verso usi e costumi appartenenti a queste zone così “barbare ed arretrate”.

Fino a metà del sec. XVIII gli unici europei che si inoltravano per queste terre lontane erano

mossi solo dal desiderio di conoscere i luoghi in cui il Cristo aveva vissuto e di cui la Bibbia

narrava.

A partire dalla metà del XVIII sec. l’Europa comincia finalmente ad interessarsi e scoprire

queste aree sotto il profilo della moda, dell’antiquariato, dell’archeologia… aree che erano,

poiché sviluppatesi in contesti storico-culturali differenti da quelli europei, ovviamente

anch’esse differenti dalle mode e dagli usi europei.

Tale differenza non venne vista come la naturale conseguenza di un ambiente diverso da

quello europeo, venne piuttosto interpretata come il risultato e il sunto di una generale

arretratezza dell’uomo mediorientale. I viaggi nel medio oriente iniziarono così ad essere una

lente attraverso cui poter vedere “noi europei” in epoche passate: viaggiare nello spazio

diventò sinonimo di viaggiare nel tempo. L’uomo europeo poteva vedere sé stesso agli albori

della sua civiltà.

<<Il viaggiatore filosofo che naviga verso le estremità della terra ripercorre in effetti il

cammino dei tempi: viaggia nel passato; ogni passo che compie è un secolo che

oltrepassa.>>1

1 De Gèrando, 1970, p.367

Page 17: Le tribù mediorientali e il caso delle FATA Pachistane

17

Oltre a conquiste e viaggi “nel tempo”, nel XVIII secolo si assiste ad un crescente interesse

per l’esotismo. Campagne militari, resoconti di viaggiatori, reperti archeologici giunti da terre

lontane, accendono nell’uomo europeo la sete di conoscenza dell’altro. Il mondo

mediorientale inizia quindi a palesarsi agli europei rimasti in patria anche tramite la

traduzione di romanzi, opere teatrali, opere musicali e, più tardi, cinematografiche.

Tutto ciò contribuirà in maniera massiccia a definire molti di quelli stereotipi che tutt’oggi

sono radicati nelle nostre menti.

Curiosità: L’esempio più conosciuto di viaggio che unisce interessi economici, militari e

scientifico-antropologici è sicuramente la spedizione che nel 1798 vide come protagonista un

Napoleone deciso a conquistare l’Egitto sia dal punto di vista militare sia dal punto di vista

intellettuale: al seguito del suo esercito viaggiavano infatti geografi, ingegneri, matematici,

naturalisti, pittori, linguisti, orientalisti.

Nascita e sviluppo dell’antropologia nel Medioriente

Come già accennato prima, l’antropologia ha fatto la sua comparsa sulla scena mediorientale

piuttosto tardi rispetto al continente africano e sud americano. Questo ritardo è dovuto in

primis alla presenza degli studi orientalistici che, basandosi sulla grande tradizione (scienza,

storia, filosofia, poesia…) hanno tralasciato le materie prettamente antropologiche della

“piccola tradizione”. Inoltre, era prassi in quei tempi che gli antropologi si occupassero dello

studio di società semplici, piccole, con una bassa differenziazione della popolazione in

termini di economia, lavoro, religione, status etc. per questo motivo la società mediorientale,

vasta e complessa, non era in grado di suscitare particolare interesse.

Il Medioriente, mosaico di culture, lingue, economie, politiche etc etc. mal si adattava allo

studio antropologico classico che mirava alla descrizione di una società tramite il suo

posizionamento entro schemi ben definiti. Fu solo a partire dagli anni 40 che gli antropologi

cercarono di compiere in quest’area gli stessi studi che anni prima furono condotti nell’Africa

nera: se le ricerche sul continente sub-sahariano furono complete e dettagliate, altrettanto non

Page 18: Le tribù mediorientali e il caso delle FATA Pachistane

18

avvenne nel più complesso e articolato Medioriente dove gli studi furono sì dettagliati, ma

circostanziali. La complessità dell’ambiente mediorientale fu celata dietro a descrizioni che

riguardavano solo le piccole comunità, mentre le grandi culture, le grandi società furono

ignorate: al mosaico mediorientale mancavano molti tasselli.

La maggior parte degli studi che prendevano in esame le società semplici, divideva il campo

d’indagine in tre blocchi entro cui operare: le ricerche erano divise tra comunità agricole,

comunità nomadi e comunità urbane. Così ripartite, queste indagini non potevano di certo

mettere in luce tutte le caratteristiche della zona poiché la comprensione di un tipo di

comunità è spesso, se non addirittura sempre, subordinata alla presa in considerazione di tutto

ciò che la circonda. Va da sé che, nel momento in cui l’ambiente circostante viene tralasciato,

lo studio e la comprensione delle caratteristiche di una determinata zona vengono

enormemente impoveriti.

Solo quando i limiti di questa strategia furono evidenti, gli antropologi riorganizzarono le loro

indagini basandosi, questa volta, su tre modelli di ricerca.

• Il primo si interessava della sfera socio-economica: prendendo in esame un gruppo

specifico, si cercava di analizzare l’interagire del gruppo stesso con l’esterno in

termini di economia e di politica.

• Il secondo modello mirava invece ad una prospettiva più regionale: si studiavano

gruppi, comunità ed istituzioni presenti in un delimitato ambiente geografico,

cercando di capire in che modo e in che misura questi fattori fossero correlati e

dipendenti uno dall’altro.

• Il terzo modello infine consisteva nello studio delle cosiddette “interfacce culturali”

<<ovvero i punti in cui le varie componenti di una società e di una cultura entrano in

contatto, si sovrappongono e si intrecciano con le componenti di altre.>>2 Questi

punti potevano essere identificati in diversi contesti: ad esempio potevano riguardare

sia il piano spaziale (mercati e santuari) sia il piano religioso (presenza di un leader-

maestro condiviso da più comunità).

2 U. Fabietti. Culture in bilico. Antropologia del Medioriente. pag 39

Page 19: Le tribù mediorientali e il caso delle FATA Pachistane

19

L’antropologia mediorientale oggi

<<Oggi prevale la tendenza che consiste nell’accostarsi allo studio di società dell’area

mediorientale attraverso il tentativo di individuare dei “campi d’azione” e delle “aree di

significato”, come le relazioni interpersonali, il genere, la trasmissione o la riproduzione del

sapere, i media, tutti campi al cui interno si realizza il processo di scambio sociale e

simbolico, piuttosto che mediante lo studio di determinati “sotto-settori” socioculturali

(economia, religione, politica ETC ).>>3

Non dobbiamo tralasciare inoltre l’aiuto che la tecnologia ha dato negli ultimi decenni: grazie

a televisione, internet, telefoni cellulari ecc il numero di comunicazioni è cresciuto in maniera

esponenziale, favorendo indirettamente lo studio delle culture locali.

L’Orientalismo

• Atteggiamento caratterizzato da uno spiccato interesse e da una forte ammirazione

per ciò che è orientale, per la civiltà e la cultura dell’Oriente. L’interesse formale e

contenutistico rivolto, dalla letteratura e dalle arti figurative europee, alla cultura e

agli usi orientali, rientra in senso generico nell’ambito dell’esotismo. In senso stretto

una forte corrente di gusto iniziò nei primi anni del 18° sec. in Francia con la

pubblicazione delle Mille e una notte e delle Cent estampes (1715) .

Enciclopedia Treccani

• La tendenza artistico - letteraria e la corrente di studi e ricerche nati, nei secc. 18° e

19°, dal contatto della cultura europea con le culture e le tradizioni dei Paesi orientali,

ossia con il mondo musulmano e asiatico. Tale contatto, frutto delle conquiste

coloniali e imperiali e delle esplorazioni geografiche, permise un progresso

significativo della conoscenza di storia e cultura delle società orientali, nutrendo al

3 U. Fabietti. Culture in bilico. Antropologia del Medioriente. pag 39

Page 20: Le tribù mediorientali e il caso delle FATA Pachistane

20

tempo stesso miti esotici e romantici tesi a costruire l’immagine di un Oriente oscuro

e selvaggio. L’orientalismo rivelò in campo letterario e accademico un atteggiamento

di superiorità intellettuale e antropologica giustificante un presunto intervento

civilizzatore europeo, come ha denunziato in un saggio famoso il critico palestinese E.

Said.

Dizionario di storia - Treccani

Con la sua opera, Said volle appunto denunciare l’ideologia di questo movimento che fondava

i suoi saperi e i suoi assunti su di un confronto tra l’Oriente e il colonialismo occidentale che

era pilotato a dovere dai vertici coloniali europei.

L’intento di Said fu quello di dimostrare come il sapere accumulato sotto il termine

Orientalismo altro non era che una ricostruzione del mondo e delle conoscenze orientali viste

con gli occhi del colonizzatore occidentale, colonizzatore che in quanto tale aveva scopi e

interessi ben distanti da quelli della mera e sincera conoscenza dell’altro. Colonizzatore che

invece intendeva il sapere come fonte di potere e che probabilmente è stato causa di molti di

quegli stereotipi negativi (anche se non mancarono quelli positivi!) che tutto’ora rimangono

vivi.

Curiosità: Il governo francese intraprese una massiccia attività di ricerca in vari stati-colonie

per raccogliere quante più informazioni possibili sui territori posti sotto il suo dominio. Per

quanto riguarda il dominio anglosassone –assieme a quello francese il più presente nel mondo

arabofono- le ricerche furono molto meno intense: i loro studi si rivolsero principalmente al

subcontinente indiano.

Page 21: Le tribù mediorientali e il caso delle FATA Pachistane

21

Page 22: Le tribù mediorientali e il caso delle FATA Pachistane

22

Nomadismo, pastorizia e tribù tra realtà e stereotipi Spesso, nell’immaginario occidentale comune, il beduino è un nomade che vive in una tribù

nel deserto allevando capre o cammelli. Nomadismo, pastorizia, tribù e beduini sono quindi

associati alle stesse scene di popoli abitanti zone aride e praticanti un’economia di

sussistenza.

Seppur quasi sovrapponibili nel nostro immaginario occidentale, i termini nomadismo,

pastorizia, tribù e beduini abbracciano sfere di significato totalmente diverse l’uno dall’altro.

Nomadismo si riferisce ad una condizione spazio-geografica dell’uomo, la pastorizia riguarda

il metodo di sussistenza (e non comporta necessariamente il nomadismo!), la tribù riguarda un

tipo di organizzazione sociale ed infine l’essere beduino descrive una particolare identità

culturale. Contrariamente a quanto molti possano pensare, non necessariamente queste quattro

condizioni devono coesistere: osservando con occhi più attenti la realtà mediorientale, ci

accorgiamo, infatti, che esistono gruppi pastorali che non sono classificati nè come tribù né

come beduini (il caso dell’Oman.); nel Marocco occidentale, in Iran e Iraq troviamo invece

tribù che durante l’anno alternano periodi di nomadismo (per far pascolare pecore a capre) a

periodi d’insediamento nei villaggi.

Cercherò in questo capitolo di fare un po’ di chiarezza sulla pastorizia nomade e sulla tribù

con le sue regolo e i suoi costumi.

Il nomadismo pastorale

Se il nomadismo indica un gruppo di persone che si muove da un posto all’altro con scopi e

mete precise, possiamo descrivere il nomadismo pastorale mediorientale come una pratica che

permette agli allevatori di cammelli, pecore e capre di sfruttare al meglio le risorse in luoghi

spesso troppo aridi per praticare un allevamento più sedentario.

Lo sviluppo della pastorizia nomade, e la sua diffusione in tutta l’area mediorientale, ebbe

origine con l’addomesticamento del cammello avvenuto verso la fine del terzo millennio a.C.

Page 23: Le tribù mediorientali e il caso delle FATA Pachistane

23

nella Penisola Araba (svilluppo molto più tardivo rispetto all’allevamento dei primi animali).

Fu proprio allevamento del cammello, così resistente da poter sopportare i climi desertici e

così rapido da poter attraversare con facilità lunghe distanze su terreni spesso sabbiosi, che

permise ai popoli della Penisola di emergere come unità sociali e politiche definite e coese.

L’allevamento del cammello si espanse successivamente dalla Penisola a tutta la zona

mediorientale percorrendo la “Via dell’incenso” che metteva in comunicazione l’attuale

Yemen (L’Arabia Felix) con i centri urbani della regione siriaca: i grandi animali, qui

impiegati per il trasporto delle merci, arrivarono presto ad essere allevati anche nel Nord -

Arabia e nell’area della Mezzaluna fertile.

I gruppi nomadi che nel corso del tempo si sono formati vengono classificati secondo la

differente tipologia di modello migratorio: da una parte troviamo i nomadi del Nord Africa e

della Penisola Araba, dall’altra troviamo invece le popolazioni più orientali della Penisola

Anatolica, la Mesopotamia e i territori fino al Baluchistan. La sostanziale differenza tra questi

due modelli è dovuta alla morfologia dei territori e di conseguenza ai climi presenti:

• Il modello verticale, caratteristico dell’area turco-iraniana, descrive spostamenti su

aree con differenti rilievi. Questo alternarsi di diverse altitudini, assieme

all’alternanza dei climi e delle piogge, permette ai nomadi di riuscire ad ottenere

risorse sufficienti al sostentamento dei loro animali durante tutto l’anno.

• Il modello orizzontale non implica spostamenti entro aree poste ad altezza differente.

Le risorse disponibili alla pastorizia non sono influenzate da variazioni altimetriche

ma dipendono piuttosto dall’abbondanza delle piogge.

La scelta del tipo di nomadismo è determinata in primo luogo dal tipo di conformazione

geologica presente nella zona abitata, ma anche dal tipo di animali allevati: il cammello per

esempio, è un animale molto robusto, riesce a sopportare le grandi escursioni termiche

caratteristiche del deserto, è molto veloce negli spostamenti sul suolo sabbioso e può

sopravvivere diversi giorni senza mangiare e bere ma, a differenza delle capre e delle pecore,

è però un animale poco prolifico. Gli ovini invece sono animali meno mobili del cammello ed

esigono una presenza quasi costante dell’uomo poiché tendono a disperdersi facilmente; la

pecora è quella meno resistente e ha bisogno di essere abbeverata più frequentemente della

capra. Capra e cammello, infine, hanno un pascolo meno selettivo e possono quindi accedere

a più tipi di foraggio senza problemi.

Page 24: Le tribù mediorientali e il caso delle FATA Pachistane

24

Se queste caratteristiche hanno condizionato le scelte dei pastori per diversi secoli, la recente

modernizzazione ha permesso una pastorizia meno condizionata: l perforazione di pozzi in

tutto il Medioriente ha risolto il problema delle risorse idriche mentre la motorizzazione ha

permesso l’attraversamento del deserto a greggi inadatti a terreni sabbiosi.

Generalmente le unità di nomadizzazione sono costituite da gruppi di famiglie (spesso

imparentate tra loro) che volontariamente scelgono di unirsi per gestire al meglio le risorse

idriche, i pascoli e gli animali che, essendo spesso di specie diverse ed avendo perciò

necessità diverse, richiedono una manodopera superiore a quella che una sola famiglia

potrebbe avere a disposizione.

Le dimensioni di questi gruppi variano a seconda delle stagioni e del tipo di nomadismo

effettuato: i pastori che seguono il modello orizzontale generalmente si disperdono durante la

stagione più fresca in cui è più facile accedere alle risorse idriche, per poi concentrarsi attorno

ai pozzi durante la stagione secca; i pastori che si dedicano ad un modello di nomadismo

verticale invece tendono a formare gruppi più numerosi durante la stagione fresca e a

disperdersi sui pascoli d’altura durante l’estate.

Se la motorizzazione ha garantito una più semplice capacità di spostarsi, la generale

modernizzazione ha anche ridimensionato l’importanza della tribù in quanto unità sia politica

ma soprattutto di difesa per cui oggi, indipendentemente dall’ambiente e dalla stagione in cui i

nomadi operano, oggi è difficile vedere assemblamenti composti da numerose tende.

Quindi, se il nostro immaginario collettivo occidentale vede ancora un Medioriente popolato

ovunque da pastori nomadi... dobbiamo ricrederci poiché a partire dal VIIIXX secolo si è

innescato un processo che -con tempistiche e metodi diversi nella varie zone- ha portato il

nomadismo pastorale a subire un drastico calo. Tra le cause più importanti possiamo citare:

• l’estensione delle terre coltivate è andata aumentando, facendo diminuire lo spazio

riservato al pascolo.

• nel corso del tempo il bestiame è diventato un investimento sempre meno redditizio e

ha costretto molti pastori ad impiegarsi in attività alternative.

• incentivi statali che “invitarono” molte tribù nomadi a sedentalizzarsi allo scopo di

modernizzare l’economia e il paese.

• trasformazioni politiche ed economiche a seguito della decolonizzazione

• ricchezza derivante dalla vendita del petrolio

Page 25: Le tribù mediorientali e il caso delle FATA Pachistane

25

• forte periodo di siccità e carestia tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni

Sessanta.

Il nomadismo pastorale oggi:

... aspetti del nomadismo tipici del passato sono ormai scomparsi, come ad esempio la

funzione svolta dai nomadi nel commercio trans-sahariano, per non parlare poi di quello che

collegava regioni lontane come la Cina e il sud dell'Arabia con le coste del Mediterraneo

orientale (la via della seta, la via dell'incenso, ecc.). Anche la loro funzione di rifornitori di

animali sui mercati è largamente in declino. L'allevamento nomade condotto con metodi

tradizionali si è rivelato non concorrenziale rispetto a quello stanziale condotto con tecniche

moderne. I gruppi che sono rimasti radicati a questa forma di esistenza hanno però, almeno

in alcuni casi, saputo sfruttare le nuove opportunità offerte dai governi dei loro paesi (v.

Fabietti, 1984, 1990 e 1994), o sono riusciti a integrare le attività tradizionali con altre fonti

di reddito, praticando lavori stagionali nelle città o presso gruppi di agricoltori (v. Salzman,

1971).

Il nomadismo pastorale è complessivamente in declino ma non è morto. Non ci si dimentichi

infatti delle sue origini, che furono non solo di tipo produttivo ma anche politico. Il

nomadismo pastorale, così come si presenta oggi nelle regioni aride dell'Africa e del Medio

Oriente, continua a costituire una scelta adattiva sempre praticabile di fronte a determinate

circostanze di tipo politico.

Enciclopedia delle scienze sociali 1996: -Nomadismo

Page 26: Le tribù mediorientali e il caso delle FATA Pachistane

26

Nelle due immagini seguenti è espresso il tasso di urbanizzazione presente nella zona

mediorientale: è evidente come in pochi anni molte popolazioni nomadi o rurali si siano

mosse verso i centri urbani.

Figura 5

Popolazione urbana nel 2014

Figura 4

Popolazione urbana nel 2009

Page 27: Le tribù mediorientali e il caso delle FATA Pachistane

27

La tribù

Con il sostantivo tribù la lingua italiana indica un raggruppamento sociale autonomo, con

proprio ordinamento e proprio capo, formato da più famiglie aventi lingua, etnia e costumi

uguali.

Questa definizione, che sembra piuttosto semplicistica, può essere ampliata e modificata

semplicemente contestualizzandola. Sarà infatti noto a tutti che tribù di vario genere sono

presenti su tutto il globo, ciò che invece può sfuggire ai meno attenti è il fatto che non vi siano

limiti precisi per descrivere una tribù in quanto tale: non esistono vincoli riguardo a

dimensioni, estensione, tipo di ordine sociale, etc. Per fare un semplice esempio basta

accennare alle diversità presenti tra tribù mediorientali e tribù sub sahariane in merito alla

percezione dell’autorità regnante: se nell’Africa Nera la maggior parte delle tribù é governata

da monarchie che man mano assorbono o sottomettono altre monarchie, nel Medioriente

invece le tribù coesistono o si oppongono all’autorità regale ma -il più delle volte- non fanno

parte di quest’ultima.

Nel panorama mediorientale le tribù hanno da sempre avuto una grande importanza sia in

termini politici sia in termini sociologici, è per questo motivo che molti studi sono stati

compiuti a riguardo.

La tribù come organizzazione socio-politica e il modello segmentario

Nonostante in Medioriente vi siano diverse ideologie socio-politiche, la maggior parte di

queste si fonda sulla consapevolezza di un’identità basata sulla discendenza parentale (quasi

sempre patrilineare) comune. È proprio da questa consapevolezza di appartenenza al gruppo-

tribù che arrivano una serie di diritti comuni a tutti i membri che riguardano l’utilizzo delle

risorse, la gestione e la difesa del territorio tribale.

Figura 4

Diramazione del lignaggi di una famiglia

Page 28: Le tribù mediorientali e il caso delle FATA Pachistane

28

Da un punto di vista formale la tribù, con le discendenze parentali sulle quali è basata, può

essere descritta come un albero rovesciato dove i rami -i gruppi di discendenza o lignaggi-

confluiscono nel tronco centrale.

In questa descrizione, l'antenato apicale A indica il punto di partenza per la formazione della

tribù; nel tempo i figli B, i nipoti C e i pronipoti hanno “allargato” tale tribù formando dei

sottogruppi di famigliari: i lignaggi. Ogni lignaggio è descritto come il gruppo formato a

partire dai discendenti di un individuo figlio dell'antenato: questa catena ripercorre tutto

l'albero genealogico formando -ad ogni generazione- ipotetici nuovi lignaggi fino ad arrivare

alla generazione oggi in vita (quella alla base dell'albero).

Come sostiene Sahlins, i lignaggi possono essere descritti come:

-strutturalmente equivalenti in quanto all'interno di una struttura considerata nel suo

complesso e a ciascun livello di segmentazione, essi potrebbero essere scambiati di posto

senza che per questo l'immagine formale della struttura totale venga alterata.

-funzionalmente equivalenti poiché essi svolgono le stesse funzioni a livello politico,

economico, rituale, etc...

-politicamente uguali perché a ciascun livello di segmentazioni essi non sono gerarchizzati

ma agiscono come entità autonome e indipendenti.

Tutto ciò ovviamene non vuol significare che i lignaggi siano morfologicamente uguali tra di

loro: il numero dei loro componenti può variare sensibilmente nel corso del tempo, così come

può cambiare il loro peso politico in funzione della loro ricchezza o della quantità di risorse

da essi gestita.

Il processo di formazione dei lignaggi è detto processo di segmentazione o modello

segmentario. Con il modello segmentario, descritto per la prima volta dall’antropologo

Evans-Pritchard durante gli studi compiuti sui Nuer del Sudan, è possibile descrivere dalla

piccola tribù alla società più complessa in quanto il principio alla base del processo è lo stesso

in ogni gruppo-società.

Tale modello ha permesso inoltre di sfatare il mito occidentale che vedeva le società nomadi

come società “meccaniche” e statiche: se ciascun gruppo si presenta come un'unità autonoma

ad un certo livello di segmentazione, al livello superiore si presenta come parte integrante di

un gruppo di esteso.

Page 29: Le tribù mediorientali e il caso delle FATA Pachistane

29

<<nella figura quando Z1

combatte Z2 nessun altro segmento

resta coinvolto. Quando Z1

combatte Y1, Z1 e Z2 si uniscono e

la loro unità è indicata come Y2.

Quando Y1 combatte X1, Y1 e Y2 si uniscono e così fa X1 con X2. Quando X1 combatte A, X1

X2 Y1 e Y2 si uniscono nell’unità B. quando A fa una razzia contro i Dinka (vicini dei Nuer)

A e B si uniscono.>> 4

Un antico proverbio in lingua araba recita

� ا#����" �&����% أ(����)ي وأ#����" وأ(����)ي �&����% ا!���� ������� وأ#����" وا!���� ������

�&�����% ا���������*

<< io contro mio fratello; io e mio fratello contro nostro cugino; io, mio fratello e nostro

cugino contro tutti.>>

Il proverbio sintetizza bene la dinamica interna della struttura sociale dove gli individui

appartenenti ai diversi lignaggi devono essere pronti a far fronte a casi mutevoli per cui un

alleato di oggi può benissimo diventare un nemico di domani e viceversa.

Va però detto che il funzionamento tribale descritto in questa figura vale esclusivamente a

livello astratto: a livello empirico capita spesso, infatti, che ogni gruppo si opponga ad altri

gruppi al fine di mantenere la propria identità, indipendentemente dal “livello” di vicinanza e

parentela.

4 Evans-Pritchard, 1995, p.199

Figura 5

Rappresentazione del modello

di Evans-Pritchard

Page 30: Le tribù mediorientali e il caso delle FATA Pachistane

30

Se il modello segmentario rappresenta la teoria di quanto avviene all’interno dell’albero

genealogico, ben differente è quanto accade nella realtà: le genealogie sono quasi sempre

storicamente inesatte poiché manipolate per poter legittimare determinate scelte politiche,

alleanze o conflitti.

Vi sono casi in cui la genealogia è modificata senza un’esplicita intenzione. È il caso

dell’accorciamento delle linee di successione: sappiamo che in Medioriente è d’uso comune la

prassi di attribuire al primogenito il nome di un parente (spesso padre o nonno) deceduto così

che la linea di discendenza conservi gli stessi nomi. In una situazione come questa, è facile

che con il passare del tempo più persone vengano riunite sotto lo stesso nome. Se per esempio

la linea di discendenza porta i nomi A, B, A, B, A, B… con il trascorrere delle generazioni

tutti gli A sono riuniti sotto un solo A, così come tutti i B diventino un solo B e la

rappresentazione dell’albero genealogico verrà accorciata.

<< Egli è mio figlio ma anche mio padre, dal momento che porta il suo nome. Non potrei mai

colpirlo perché sarebbe come colpire mo padre. Quando egli crescerà e io diventerò vecchio

si prenderà cura di me come se fossi suo figlio.>>5

Vi sono invece situazioni in cui la manipolazione della genealogia avviene coscientemente:

solitamente è il capo tribù (che ha conoscenze può vaste rispetto ai suoi compagni per su

quanto riguarda le genealogie e le parentele della zona in cui vive) che si occupa della politica

e delle relazioni con le altre tribù. È lui che può scegliere di “dimenticare” la relazione di

parentela che lega la sua famiglia ad un lignaggio vicino o che può inventare nuove parentele

per affermare e “regolarizzare” rapporti con lignaggi o intere tribù non consanguinee.

Per quanto riguarda la situazione odierna sul mondo tribale, scelgo di citare ancora una volta

Fabietti che con chiarezza ci spiega che: il tribalismo, spesso considerato come una

sopravvivenza di strutture di relazioni e di concezioni della società ti tipo arcaico (atavico)

nel contesto della modernità, altro non è, almeno nella maggioranza dei casi, che una

risposta al venir meno di istituzioni e ideologie unificanti che solo apparentemente si

configura come “ritorno alla tradizione”. Tale tradizione, a cui i tribalismi fanno riferimento

5 Peters, The proliferation pagg 33-34

Page 31: Le tribù mediorientali e il caso delle FATA Pachistane

31

nel tentativo di legittimare le differenze, la competizione e il conflitto tra gruppi, è in realtà il

più delle volte frutto di un’invenzione che, riprendendo simboli culturali avulsi dal loro

contesto, costruisce attorno ad essi un’identità nuova e tuttavia rappresentata e presentata

come autentica. Invece di costituire delle insorgenze di tratti arcaici, i tribalismi

contemporanei sono di fatto manifestazioni della concorrenza tra gruppi che tentano di

accedere a nuove risorse messe in circolazione dagli stati post-coloniali (Pakistan), dagli

interventi umanitari (Somalia) e dagli investimenti internazionali; oppure della lotta fra

gruppi emergenti al fine di occupare posizioni vantaggiose all’interno di un quadro politico

disgregato (Afghanistan).6

Famiglia, matrimonio e rapporti sociali nelle tribù nomadi

Di norma i popoli nomadi dell’area mediorientale descrivono qualunque tipo di

raggruppamento concreto in termini di tende e ad ogni tenda corrisponde una famiglia.

L’unità domestica, base di produzione e consumo, è rappresentata dal capofamiglia che

solitamente corrisponde al membro più anziano: è il suo nome ad indicare la tenda-famiglia e

a distinguerla dalle altre.

La famiglia è proprietaria di tutti i beni mobili di cui dispone inclusi gli animali, la gestione

dei quali è prerogativa esclusiva del capofamiglia. Contrariamente a quanto la visione

occidentale può far supporre, anche la donna nomade può possedere capi di bestiame (che

verranno gestiti assieme agli altri della famiglia).

Nelle società patrilineari come quelle mediorientali, è fortemente radicata l’usanza di

anteporre la figura maschile a quella femminile: agli uomini spettano i ruoli ritenuti più

importanti -come l’esercizio dell’autorità- e tutti i compiti che richiedono maggiori capacità

intellettuali. In linea di massima quindi sono indirizzati a mansioni che li inseriscono nella

sfera pubblica (attività connesse in modo diretto con la pastorizia e l’agricoltura laddove

questa sia praticata, commercializzazione di animali e dei prodotti da essi ricavati) mentre alle

donne è riservato un ruolo domestico, circoscritto alla sfera privata della tenda (preparazione

6 U. Fabietti. Culture in bilico. Antropologia del Medioriente. pag 92

Page 32: Le tribù mediorientali e il caso delle FATA Pachistane

32

degli alimenti, tessitura, confezione di abiti, tosatura degli animali, trasformazione dei

prodotti della pastorizia).

La possibilità che ha un individuo di creare un’unità famigliare indipendente è legata

essenzialmente alla capacità di disporre dei beni necessari al versamento della

“compensazione matrimoniale”. Quest’ultima solitamente varia in base alla distanza

genealogica tra i due coniugi: più elevata è la distanza di parentela, più sostanziosa sarà la

“dote” che generalmente è composta da animali, oggetti di uso corrente, gioielli e –al giorno

d’oggi- soprattutto denaro. Tale denaro, assieme agli altri beni, viene utilizzato nel quadro

dell’economia famigliare della futura sposa per acquistare beni di uso corrente e animali

oppure può essere tenuto in serbo per costituire un fondo di prelievo in vista del futuro

matrimonio di figli maschi i quali, a loro volta, dovranno pagare una dote alla famiglia delle

loro spose.

Nelle famiglie nomadi mediorientali, è radicato l'ideale culturale che auspica l'unione tra

individui facenti parte dello stesso gruppo di discendenza. I matrimoni endogamici

consentono infatti di evitare problemi riguardo alla gestione delle proprietà e soprattutto dei

figli (la cui potestà è riservata esclusivamente al padre) e della moglie (che a seconda dei casi

è tenuta ad obbedire o al marito, o al padre o ad entrambi).

La cultura nomade designa il matrimonio tra cugini paralleli (figli di due fratelli) come

miglior caso ma, sebbene il matrimonio endogamico sia il più auspicato a livello teorico, in

realtà questo tipo di unione rappresenta ormai una piccola percentuale tra tutti i matrimoni: la

diffusione generale della modernità e delle sue implicazioni hanno innescato un lento ma

costante processo di trasformazione nella concezione dei rapporti tra sessi diversi per cui oggi

si assiste sempre più facilmente a matrimoni tra individui non consanguinei.

Page 33: Le tribù mediorientali e il caso delle FATA Pachistane

33

Page 34: Le tribù mediorientali e il caso delle FATA Pachistane

34

La situazione di sostanziale indipendenza politica e amministrativa che caratterizzava le tribù

mediorientali è andata affievolendosi negli ultimi decenni. Le sedentarizzazione delle genti

tribali ha permesso agli stati nazionali di esercitare un maggiore controllo su queste

popolazioni che, se sul piano sociale si identificano ancora come appartenenti a determinati

lignaggi, su un piano più pragmatico sono membri di una comunità cittadina sottoposta a

leggi statali.

Ma cosa accade quando il processo di sedenzarizzazione –e quindi di nazionalizzazione- non

avviene su base volontaria? Cosa accade quando lo stato nazionale non è riconosciuto come

sovrano? E di conseguenza, chi o cosa è ad essere riconosciuto come autorità legittima? Ed

in che modo viene esercitato il Potere e mantenuto l’ordine?

Nelle pagine successive tratterò il caso specifico delle tribù Pashtun residenti al confine tra

Pakistan e Afghanistan, di come le loro leggi tribali sono state incluse nella Legge della zona

e dei problemi che questa “convivenza legislativa” suscita nell’intera area.

Page 35: Le tribù mediorientali e il caso delle FATA Pachistane

35

Page 36: Le tribù mediorientali e il caso delle FATA Pachistane

36

I Pashtun

I Pashtun sono il gruppo etnico di lignaggio patriarcale più numeroso del mondo: esistono in

tutto 60 tribù principali, le quali contano complessivamente oltre 400 clan e sotto-clan;

sono circa 42 milioni di persone che abitano i territori di Afghanistan e Pakistan. Nello stato

pachistano arrivano a coprire addirittura il 15% della popolazione e sono stanziati soprattutto

intorno ai centri di Mingora, Peshawar, Quetta e Karachi.

Tra tutte le etnie afghane solamente i Pashtun e i Baluchi (2%) hanno un’organizzazione

tribale, fattore che determina una minore urbanizzazione e una forte tendenza al

conservatorismo.

Tabella 1 i nomi delle principali tribù divise per zona

Come tutti i sistemi tribali,

anche le tribù Pashtun sono fondate sul concetto di solidarietà che si estende dal legame

familiare diretto alla famiglia allargata, alla tribù e infine all’intera comunità.

I matrimoni possono avvenire tra diverse tribù ma, come consueto nelle tribù a discendenza

patrilineare, sono diffuse anche unioni tra cugini.

REGIONE TRIBU’

BAJAUR

SALARZAI MAMUND

MASHWANI CHARMANG

KHYBER SHINWAR

TURI

KURRAM PAKTIA

MOHMAND MOHMAND

WAZIRISTAN DEL NORD WAZIRI

WAZIRISTAN DEL SUD WAZIRI

ORAKZAI ORAKZAI

Page 37: Le tribù mediorientali e il caso delle FATA Pachistane

37

La distribuzione dei Pashtun sul territorio non è omogenea ma comprende numerose enclavi

nel nord e nel nordovest pachistano che atro non sono se non il risultato di politiche di

“pashtunizzazione” praticate nel XVIII e XIX secolo dai sovrani Durrani, fondatori dello stato

unitario afghano.

Le dinastie Pashtun hanno dominato la scena politica afghana sin dalla caduta dell’impero

Mogol in India (1707) e della Casata Safavide in Persia(1722), sono stati loro a dar vita

all’identità nazionale afghana e soprattutto sono stati loro a contaminarla con tratti della

propria tradizione culturale.

Se i Pashtun non furono mai politicamente uniti fino al sorgere dell’impero Durrani nel 1747,

a partire da quella data e per ben due secoli e mezzo, riuscirono a dominare incontrastati la

scena politica afghana, (lo stato pachistano non è menzionato perché ancora non esisteva!)

svolgendo un ruolo determinante nel “Grande Gioco” tra Russia zarista e Impero britannico.

L’etnia Pashtun è stata sfruttata per secoli, in primis dall’Impero Britannico che con le sue

mire coloniali ha tentato invano l’invasione per due volte nel 1839 e nel 1878 per poi

“accontentarsi” nel 1893 di considerare queste zone come un cuscinetto tra i loro

possedimenti indiani e la Russia. Per conto di Londra, Mortimer Durand cercò di tracciare i

confini di quest’area e così facendo divise i Pashtun nella speranza di assorbire almeno parte

della popolazione nell'Impero Coloniale. Anche questo tentativo di mascherata conquista fu

vano: non rimase altra scelta se non quella di consentire una sorta di auto-governo Pashtun su

una larga fetta di territorio. Qui le leggi coloniali sono state integrate e modificate con il

Pashtunwali, il codice tradizionale dei Pashtun: si è quindi formata una grande area tribale

autogovernata.

La Legge (Frontier Crimes Regulation) inizialmente prevedeva che l’organizzazione

amministrativa della zona fosse affidata a rappresentanti del governo coloniale mentre le tribù

fossero libere di autoregolarsi nelle dispute interne secondo i loro codici.

Nonostante le successive conquiste da parte dei sovietici e le pressioni da parte del neonato

stato pachistano, le regioni autogovernate esistono tutt’oggi ma continuano a vivere in un

generale malcontento generato dalla divisione imposta dalla linea Durand (linea che tutt’oggi

Page 38: Le tribù mediorientali e il caso delle FATA Pachistane

38

per la comunità internazionale rappresenta il confine ufficiale tra Afghanistan e Pakistan, ma

per i Pashtun è il simbolo concreto di secoli di ingiustizie e ha la stessa legittimità del confine

che una volta separava tedeschi occidentali e orientali) e dalle tensioni di politica interna ed

estera sempre più forti.

Page 39: Le tribù mediorientali e il caso delle FATA Pachistane

39

Page 40: Le tribù mediorientali e il caso delle FATA Pachistane

40

Il caso delle FATA pakistane Ricoprendo una striscia di terreno di 27mila chilometri quadrati situati in territorio pachistano

tra il confine con l’Afghanistan e la Provincia di Khyber Pakhtunkhwa (KPK), le Aree Tribali

di Amministrazione Federale (Federally Administered Tribal Areas da cui l’acronimo FATA)

sono un esempio di coesistenza (non necessariamente pacifica!) tra uno stato sovrano (il

Pakistan) e le tribù locali Pashtun in regime di semi-autonomia.

Le FATA comprendo sette distretti tribali :

• Bajaur • Mohmand • Khyber

• Orakzai • Kurram

• North Waziristan • South Waziristan

e sei territori di frontiera

• Peshawar

• Kohat • Bannu • Lakki Marwat

• Tank • Dera Ismail Khan

I territori di frontiera sono delle piccole aree di transizione che separano i distretti tribali e il

KPK. La sostanziale differenza tra distretti tribali e territori di frontiera sta, oltre nelle

dimensioni delle aree, nella diversa amministrazione di questi ultimi. Se l’amministrazione

dei distretti tribali avviene, come vedremo di seguito, tramite Agenti Politici per procura del

presidente dello stato, i territori di frontiera sono amministrati direttamente dal FATA

Secretariat.

Figura 6

L’area FATA sul confine Pakistan - Afghanistan

Page 41: Le tribù mediorientali e il caso delle FATA Pachistane

41

Figura 7

Costituzione del Pakistan art.1

Secondo l’articolo 1 della costituzione pakistana, le FATA sono a tutti gli affetti parte dello stato

pachistano.

Pur essendo rappresentate con 12 membri nell’Assemblea Nazionale e con 8 membri nel Senato, le

leggi in vigore su tutto il territorio nazionale non sono applicate nelle Aree Tribali di

Amministrazione Federale senza una specifica approvazione del Presidente dello Stato, che ha il

compito di regolare tutte le direttive per mantenere la pace ed il buon governo nelle zone tribali.

L’intera area FATA è controllata a livello amministrativo dal Governatore di KPK, che esercita

il suo potere per conto del Presedente dello Stato.

Se fino al 2002 gli affari riguardanti le Aree ad Amministrazione Tribale venivano condotti dagli

uffici del Dipartimento dello Sviluppo di KPK, a partire da quell’anno tali funzioni vennero

integrate nel FATA Secretariat e furono divise nei seguenti dipartimenti:

• Dip. della Legge e dell’Ordine: (in collaborazione con gli Agenti Politici, esercito,forze

paramilitari e rappresentanti delle tribù) emana decreti legge, provvedere alla sicurezza degli

abitanti delle tribù, prende in carico le lamentele dei cittadini, amministra la giustizia tramite

i tribunali, si occupa di emergenze e calamità naturali.

• Dip. di Amministrazione e Coordinazione: si occupa della generale amministrazione delle

FATA, della sicurezza dell’apparato decentralizzato e di tutto il suo staff.

1 The Republic and its territories

1. Pakistan shall be a Federal Republic to be known as the Islamic Republic of Pakistan, hereinafter referred to as Pakistan.

2. The territories of Pakistan shall comprise: • the Provinces of Balochistan, the Khyber Pakthunkhwa, the Punjab

and Sindh ; • the Islamabad Capital Territory, hereinafter referred to as the Federal

Capital; • Federally Administered Tribal Areas; and • such States and territories as are or may be included in Pakistan,

whether by accession or otherwise.

Page 42: Le tribù mediorientali e il caso delle FATA Pachistane

42

• Dip. della Finanza, delle Pianificazione e dello Sviluppo: questo dipartimento fu unito al

FATA Secretariat solo nel 2006.

Amministrazione delle FATA

Di fatto, a seguito di accordi firmati tra i rappresentati delle tribù

(Malik) e l’appena nato Pakistan tra il 47 e il 51, alle regioni tribali

fu confermato lo speciale status di cui già godevano sotto il

dominio coloniale inglese.

Oggi l’amministrazione delle FATA è ancora retta su tre

pilastri fondamentali (gli stessi su cui si basava l’amministrazione di quest’area sotto dominio

coloniale): l’agente politico, i capi tribù e il Frontir Crimes Regulation (FCR).

Ogni area è amministrata da un agente politico, ovvero un ufficiale federale scelto dal governatore

del KPK, alle dipendenze di quest’ultimo e del presidente dello stato.

In base alla grandezza della zona da amministrare, l’agente politico può essere coadiuvato da più

assistenti facenti parte delle tribù e delle forze dell’ordine locali.

Giudice supremo nella sua zona di competenza, ha il compito di mantenere i contatti tra l’area

tribale, il FATA Secretariat e il Ministero degli Affari Tribali; sovraintendere il lavoro svolto nei

vari dipartimenti amministrativi locali; risolvere le dispute che si creano tra le varie tribù in merito

alla distribuzione e all’impiego delle risorse naturali disponibili; sorvegliare gli scambi tra le varie

tribù e con le altre regioni. È inoltre il supervisione di tutti i progetti di sviluppo attuati in zona. In

sostanza nelle sue mani sono racchiusi poteri esecutivi, legislativi e giudiziari.

L’intermediario tra l’agente politico e le tribù è il malik. In ogni tribù o sotto tribù è presente un

malik che si occupa di avvisare l’agente politico quando la sua figura si rende necessaria. Il malik è

responsabile in prima persona del rispetto delle leggi e dell’ordine nella zona a cui appartiene, è lui

che si occupa della nomina dei khasaadar: uomini presenti in ogni tribù che, sebbene non

necessariamente organizzati, addestrati o pagati (ma spesso armati di kalashnikov), fungono da

polizia nell’area.

Figura 8

Emblema delle FATA

Page 43: Le tribù mediorientali e il caso delle FATA Pachistane

43

Rispettati e stimati in quanto uomini di valore ma soprattutto in quanto dotati di molte armi e

“amici” disposti ad utilizzarle al bisogno, i malik sono oggi come un tempo remunerati dagli agenti

politici: questa pratica comune spesso è causa di corruzione all’interno della pubblica

amministrazione.

Il Frontier Crime Regulation (FCR) è un insieme di leggi che furono emanate dal regime coloniale

inglese a fine ‘800 nelle terre dell’India del NordOvest abitate dai Pashtun. Come già accennato, il

FCR è tutt’ora è in vigore nelle aree FATA e si basa sui costumi tradizionali locali e tribali7 e su

procedure atte a risolvere i conflitti in corso ed assicurare la legge e l’ordine.

La prima stesura del FCR risale al 1848, seguirono importanti modifiche nel 1873 e ancora nel 1876

fino ad arrivare alla forma del 1901, stesura attualmente valida e applicata (negli ultimi anni sono

state approvate varie modifiche, le ultime risalgono al 2011).

FCR, the black law

Il Frontier Crimes Regulation è oggi definita “black law” a causa del disinteresse che dimostra

verso la protezione e la sicurezza dei cittadini a cui è indirizzato. Il rispetto dei diritti umani

internazionali –anche i più basilari- è spesso tralasciato da questo codice di leggi che prescrive pene

severe a uomini condannati senza giusto processo e senza diritto di appello.

Il FCR rispecchia ancora l’intento coloniale britannico di mantenere le zone intorno alla Linea

Dourand sicure: sebbene la costituzione pachistana dichiari nulle tutte le leggi che non assicurano il

rispetto dei diritti umani, nella black law sono ancora prescritte e attuate pratiche che violano la

sicurezza personale, la sicurezza dei detenuti durante il periodo di detenzione, le proprietà private

dei cittadini e il rispetto della loro dignità. Di seguito sono elencati alcuni dei punti più critici del

FCR. 7 . Un importante codice da cui attinge il FCR è il Pukhtoonwali, insieme di norme basate su onore, ospitalità e

vendetta che regolano e determinano l’ordine sociale e le responsabilità degli appartenenti alle tribù Pashtun. Spesso i

comportamenti previsti da questo codice sono in contrasto con le norme sharaitiche ma, essendo di più antica

applicazione, difficilmente vengono messi in discussione.

Page 44: Le tribù mediorientali e il caso delle FATA Pachistane

44

• Ai cittadini non è concesso il diritto di appello alle sentenze, è negata la possibilità di avere

un rappresentante legale e di fornire prove a loro favore.

• la clausola della punizione collettiva (n.21), che consiste nell’estensione della pena ai parenti

(consanguinei e non) e a qualsiasi altra persona appartenente alla tribù del condannato.

• la stessa clausola prevede inoltre la confisca delle proprietà e l’arresto di un individuo senza

regolare processo e ne proibisce l’ingresso e la permanenza ai distretti abitati nelle aree

tribali.

• Nelle sezioni 22 e 23 del FCR l’intero villaggio è ritenuto responsabile di omicidio nel caso

un cadavere venga ritrovato nella zona. Tutti i suoi membri sono sottoposto alle sanzioni per

i crimini commessi da un solo abitante. Nel caso di mancato pagamento di una sanzione i

beni del responsabile o della sua famiglia potranno essere venduti per compensare

l’ammontare della somma.

• le proposte di sentenza emanate dai tribunali locali (Jirga) non vincolano in alcun modo la

decisione finale dell’agente politico, eliminando di fatto qualsiasi distinzione tra potere

esecutivo e potere giuridico nelle FATA.

• l’agente politico e i suoi assistenti godono di poteri illimitati sia esecutivi che giuridici. Non

è presente nessun organo di controllo sugli abusi di potere che spesso sfociano in gravi

violazioni dei diritti umani. Sebbene la FATA dipendano formalmente dal Presidente del

Pakistan, l’agente politico ha sempre governato la regione con potere assoluto grazie al

FCR. Egli è quindi oltre la portata della legge, ne è al di sopra.

Le ultime riforme apportate al FCR sono state approvate nel 2011. Tra i più importanti fanno

sicuramente parte i seguenti:

• clausola della responsabilità collettiva: esclusione delle donne, dei ragazzi sotto i 16 anni e

degli uomini sopra i 65 anni dalle condanne. Divieto di estendere l’arresto ad un’intera tribù.

• Per quanto riguarda i processi: ammessa la possibilità di ridiscutere un processo e di

rivederne le pene assegnate, fissato un tempo limite entro cui un processo deve concludersi.

Page 45: Le tribù mediorientali e il caso delle FATA Pachistane

45

• Introduzione di ispettori per sorvegliare il rispetto delle (poche) norme carcerarie;

risarcimenti per chi è stato perseguitato ingiustamente.

In realtà queste riforme hanno portato a ben pochi cambiamenti: se effettivamente si può notare un

piccolo miglioramento nelle condizioni di giusti processi, arresti e detenzioni, va anche detto che il

potere delle autorità di trattenere gli individui in detenzione preventiva e il regime di punizione

collettiva continuano ad essere applicati a discapito del rispetto di diritti umani.

La giustizia nelle FATA oggi

Tutte le persone intervistate da Amnesty (vittime di violazioni da parte dello stato o abusi inflitti da

talebani o altri gruppi armati, avvocati e semplici membri delle comunità) hanno espresso poca

fiducia nella capacità dello stato di protegge i loro diritti. La pratica di detenzione arbitraria, molti

casi di tortura e maltrattamenti, sparizioni forzate e morti in custodia, sommati alla mancanza di

efficace giustizia stanno mandando il messaggio che lo stato continuerà ad agire con la stessa

impunità dei talebani invece che cercare di porre fine a questa escalation di violenze.

“O n the one side is the army they enter houses without any warnings and arrest people without any

reason. They are behaving very harsh with the people. On the hand everyone in terrified on the

Taliban, at any time they might kidnap you or kill you. Everyone was saying that the army will

come and improve the situation in Bajaur (tribal agency), but instead people are as frightened of

the army (as they ware of) the Taliban.”

Rostum Khan, abitante dell’Area Bajaur

Il sistema delle Jirga (tribunali locali) in cui il giudizio è affidato ai membri anziani delle tribù e al

malik, è spesso corrotto e di parte. Alcune interviste rivelano come sia semplice per i cittadini

conoscere l’esito di un processo ancora prima che questo avvenga, semplicemente conoscendo i

membri che giudicheranno l’imputato.

Page 46: Le tribù mediorientali e il caso delle FATA Pachistane

46

Come accennato prima, il forte potere discrezionale lasciato ai membri della Jirga è comunque

sottomesso alla volontà dell’agente politico. Nel caso questo ritenesse che la sentenza e la pena non

fossero appropriate, potrebbe esercitare una sorta di veto mediante il quale il consiglio della Jirga

verrebbe sciolto. Successivamente sarebbe costituito un nuovo consiglio con compito di riesaminare

il caso, proporre una nuova sentenza e una nuova pena. A causa di questa procedura l’agente

politico può condizionare l’esito del processo e allungarne notevolmente i tempi.

Negli ultimi anni la corruzione e i tempi di processo molto lunghi hanno portato sempre più

cittadini ad abbandonare le Jirga per rivolgersi ai tribunali sharaitici dei Talebani in forza nelle aree

FATA.

Il FCR non fornisce nessuna salvaguardia riguardo le condizioni dei detenuti . La Black Law

stabilisce solamente che il governatore ha il compito di decidere le procedure e le modalità di

detenzione. Per quanto noto ad Amnesty le autorità non hanno ancora prescritto nessuna procedura

di internamento, pertanto non esistono salvaguardie rispettose degli standard internazionali sui

diritti umani.

Va inoltre ricordato che le leggi internazionali sui diritti umani richiedono che i detenuti abbiano il

diritto di informare famiglia ed amici riguardo i loro stato e abbiano accesso ad un avvocato e a cure

mediche. I detenuti hanno anche il diritto di essere visitati e corrispondere con membri della propria

famiglia e di comunicare col mondo esterno in generale, anche in situazioni di conflitti armati. Il

FCR non contiene alcuna garanzia di questa natura e ci sono diverse prove che questi diritti siano

sistematicamente ignorati.

Page 47: Le tribù mediorientali e il caso delle FATA Pachistane

47

Page 48: Le tribù mediorientali e il caso delle FATA Pachistane

48

Bibliografia • A. Bausani, Islam, Milano, Garzanti, 1999

• D. F. Eickelman, Popoli e culture del medio oriente. Torino, Rosenberg & Sellier, 2003

• G. Ragazzini, Il Ragazzini 2007, Dizionario inglese-italiano italiano-inglese, Bologna, Zanichelli, 2006

• G. Vercellin, Istituzioni del mondo musulmano. Torino, Einaudi, 2002

• R. Traini, Vocabolario arabo-italiano, Roma, Istituto per l’Oriente, 2004

• U. E.M. Fabietti, Culture in bilico. Antropologia del Medio Oriente. Milano, Mondadori

Bruno, 2011

• U. E.M. Fabietti, Nomadi nel Medio Oriente. Una analisi dell'organizzazione sociale. S.l., Loescher, 1983

Sitografia • http://fata.gov.pk/

• http://gulf2000.columbia.edu/maps.shtml

• http://pakistansurvey.org/

• http://spazioinwind.libero.it/popoli_antichi/Religioni/ISLAMISMO.html

• http://www.amnesty.org/

• http://www.deagostinigeografia.it/

• http://www.fatareforms.org/

• http://www.tolearnarabic.com/

• http://www.treccani.it

• http://www.understandingfata.org

• https://www.yu.edu.jo

Page 49: Le tribù mediorientali e il caso delle FATA Pachistane

49

Page 50: Le tribù mediorientali e il caso delle FATA Pachistane

50

Ringraziamenti Un ringraziamento particolare va al Prof. Benenati che non solo mi ha seguito, ma che

soprattutto mi ha interessato ed appassionato in questi anni di università con i suoi

aneddoti e racconti in prima persona; un secondo ringraziamento va al Prof. Soravia, per

la sua disponibilità e la sua gentilezza.

Un enorme grazie va ai miei genitori. Per avermi dato l’opportunità di scegliere di

studiare, e dopo tre anni per avermi lasciato scegliere di studiare qualcos’altro. Per l’aiuto

che mi hanno dato durante tutto questo tempo, per l’avermi supportato e sopportato

durante i momenti di incertezza. Per la vacanze in Egitto da cui è nato tutto il mio

interesse.

Grazie mille!

Infine grazie a tutti quelli che in un modo o nell’altro mi sono stati vicini in questi anni… In

particolare ai tanti che, dandomi della matta per quello che ho scelto di studiare, mi ha

motivato ad andare avanti; ad Ale per tutte le volte che mi ha accompagnato a Bologna e

per il panino al prosciutto al ritorno dal Libano; a chi mi ha ospitata in Libano e a chi mi

ha detto di non andarci perché mi avrebbero rapita ☺; a Riky a Bubba e a tutti quelli che

non hanno perso occasione per farmi battute sulle stranezze del mondo arabo, a chi mi ha

promesso che prima o poi mi regalerà un burqa.

A chi con la pallavolo mi ha regalato un buon motivo per distrarmi (probabilmente anche

troppo!) dallo studio, alla Cri e alla Fede diventate soprattutto compagne di serate e bevute

oltre che di lavoro; a B. che mi ha tradotto un sacco di cose con la lente d’ingrandimento e

che mi ha sopportato in questo ultimo periodo; a tutti gli amici che per un motivo o per

l’altro ho un po’ perso di vista ma che, lo so, ci sono ancora e ovviamente alla sister vera e

a quella acquisita che mi sceglieranno un vestito adatto per il giorno della laurea che

finalmente vedo arrivare… Grazie!

!ا� ��ق � ��� ���ا