Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.
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Le tipologie del fenomeno
rave in un’ottica
antropologica
Isabella C. 1.9.9.8
No copyright
Indice
Introduzione
Parte prima: Elementi per un’analisi antropologica del rituale
CAP1. Communitas, rituale e simbolismo 1.1 Il rito 1.2 L’antistruttura 1.3 Communitas e liminalità 1.4 La communitas oggi 1.5 Tensione sociale e rito
1.6 I simboli rituali 1.7 Rituali di crisi vitale, periodici e di passaggio
CAP2.Un apporto performativo al rituale 2.1 L’analisi formale del rituale 2.2 Integrazione fra descrizione culturale e analisi formale 2.3 Il rituale come azione convenzionale
Parte seconda: Il fenomeno rave fra transe, festa e danza rituale
CAP1.La transe
1
1.1 Transe e Stati Modificati di Coscienza 1.2 Alcuni tentativi di sintesi1.3 Breve storia della transe La possessione Lo sciamano La transe dispotica Dalla transe profetica alla funzione terapeutica Transe satanica Transe isterica Transe planetarie Il tarantismo Una nuova cultura visionaria Alcune transe dal mondo arabo
1.4 Il recupero della transe nella società occidentale contemporanea 1.5 Techno transe 1.6 Techno-sciamani
CAP 2. Il rave 2.1 La festa 2.2 La danza Danza primitiva e danza rituale Il recupero della danza rituale La danza rave 2.3 I padri psichedelici 2.4 Tribe e travellers 2.5 Il rave non è spettacolo 2.6 Zone temporaneamente autonome 2.7 Rave e tecnologia 2.8 Trance e techno : ritmi dal passato per la musica del futuro 2.9 Le droghe rave L’Escstasy e le nuove droghe La nuova psichedelia Alcol ed altro Droghe elettroniche Droghe virtuali Transe informatiche 2.10 L’utopia comunicativa 2.11 Il corpo raver
CAP3.La notte e il rito
3.1 Il rituale rave 3.2 Il rave come antistruttura3.3 I simboli del rituale rave3.4 Il rave come rito di passaggio3.5 Il totem tecnologico
Parte terza: Il rave sul territorio bolognese
CAP1. Alcuni tentativi di categorizzazione del fenomeno CAP2. Il rave sul territorio bolognese: 2.1 Il rave metropolitano:gli illegal e i rave nei centri sociali2.2 Goa party2.3 Il rave commerciale
Conclusioni
2
Profilo storico
Testimonianze in rete
Parte Prima:
Elementi per un’analisi antropologica del rito
CAP.1
Communitas, rituale e simbolismo
1.1 Il rito
Ai fini del nostro lavoro, che si propone di analizzare il fenomeno rave in quanto
comportamento rituale e simbolico, appaiono fondamentali alcuni concetti-
chiave utilizzati dall’antropologia: concetti come rito, simbolo, totemismo,
comunità.
Tali termini sono utilizzati a volte in maniera superficiale, per liquidare
velocemente i fenomeni in questione, ma spesso il vero aspetto antropologico
non sale alla superficie come dovrebbe.
Per questo, prima di analizzare il fenomeno nei suoi vari aspetti, credo sia
fondamentale comprendere cosa sia un rito, cosa siano i simboli, cosa si
intenda per comunità, utilizzando le linee teoriche che sottostanno a importanti
studi etnologici sul campo.1
Nei prossimi capitoli ho illustrato brevemente quali sono le funzioni e le
caratteristiche del rito, ne ho preso in considerazione il carattere preformativo,
con Tambiah, e ho insistito sulla teoria di Victor Turner, in quanto ai fini del
nostro lavoro la sua opera ci può fornire un valido aiuto: il concetto di
communitas, il rapporto dialettico fra struttura e antistruttura, oltre alle sue
osservazioni sulle dinamiche rituali e simboliche, possono infatti in parte essere
applicate anche in un contesto “difficile” come quello dei rave-parties.
1 In particolare mi riferisco all’opera di C. Lévi-Struss e di V. Turner; 1964, Il pensiero selvaggio,Milano, il Saggiatore; 1966, Il crudo e il cotto, Milano, il Saggiatore; Lévi-Strauss C.: 1966,Antropologia strutturale, Milano, il Saggiatore; Turner V.: 1972, Il processo rituale, Brescia, Morcelliana; 1976, La foresta dei simboli, Brescia, Morcelliana.
3
Tra i vari tipi di condotta umana ve ne sono alcuni la cui logica sfugge agli
occhi dell’osservatore, il quale tende a non comprendere quello che può
sembrare solo un comportamento irrazionale, un insieme di azioni inutili, che
non tendono ad un fine razionale ed evidente: è questo il caso del
comportamento rituale.
Il rito sembrerebbe non seguire alcuna logica razionale, ma a ben guardare
tutti i comportamenti implicano un loro senso logico più o meno
profondamente nascosto.
A partire dagli studi di Lévi-Strauss si comprese che il rito è un’azione che
viene seguita da conseguenze del tutto reali e tangibili per chi lo compie, il rito
implica cioè una logica e rinvia a finalità, strutture e cause cui si aggiungono
conseguenze reali dell’atto compiuto.
Non esiste alcuna società che si limiti a provocare, attraverso una efficacia
meccanica e osservabile, risultati meramente utilitari: gli etnografi sanno bene
che ovunque e in qualsiasi epoca storica gli uomini compiono determinate
azioni non solo apparenterete inutili, ma a volte addirittura fastidiose, dolorose
e crudeli: si suppone quindi che esista un senso, o più sensi, che ci possano
aiutare ad illuminare il “mistero” di tali condotte.
Queste pratiche, che possono apparire agli occhi dell’osservatore moderno
come vere e proprie aberrazioni, hanno un carattere di necessità presso tutte
le culture del mondo; il rito è insomma un fatto generale, e una società del
tutto priva di un qualsiasi rituale sarebbe da considerarsi anomala.
Ma, prima di tutto, cos’è un rito?
“E un atto che può essere individuale o collettivo ma che, sempre,
anche quando è sufficientemente elastico da comportare un margine
di improvvisazione, resta fedele a determinate regole che,
precisamente, costituiscono ciò che vi è di rituale.”2
In latino col termine ritus si indicavano tanto le cerimonie legate a credenza
sovrannaturali, quanto le semplici abitudini sociali, gli usi e i costumi (ritus
moresque) cioè quelle maniere di agire che si riproducono con una certa
invarianza.
Il rito si distingue però dal costume, per la sua pretesa efficacia e per
l’importanza centrale che vi viene ad assumere la ripetizione, che è in realtà la
principale virtù del rito stesso.
Nell’uso comune, che spesso è dotato di una sfumatura negativa, il rito è
un’azione che si distingue per la sua modalità stereotipata, come nel caso di
una cerimonia che si ripete nel tempo sempre uguale a se stessa,
2 J. Cazeneuve, 1966, Sociologia del rito, Milano, Est, p.13.
4
sottolineandone il carattere non utilitaristico ma tradizionalistico: si agisce in
un determinato modo perché così si è sempre fatto.
La caratteristica rigidità del rito, e la sua invarianza nel tempo, fanno sì che
questo assuma un’importanza particolare negli studi etnografici e sociologici: le
condotte collettive rituali sono infatti sottese ai modelli sociali che sono
chiamate a realizzare, così che, data la sostanziale inerzia e invariabilità del
rito, questo diviene il fondamento più stabile su cui l’osservatore si può basare
per descrivere un fenomeno sociale totale nella sua dimensione più statica.
I riti sono simili ai miti:
“Nell’insieme degli elementi colti da una sociologia in profondità i miti
hanno una particolare solidità, simile a quella di uno scheletro
all’interno del corpo, che sopravvive per molto tempo dopo che la
morte ha consumato tutto di ciò che lo ricopriva.”3
Le condizioni sociali e culturali possono subire trasformazioni ed evolversi,
possono entrare in crisi senza che la stabilità dei riti ne venga scossa; certo il
rito può perdere la sua ragione d’essere se intervengono , ad esempio,
rivoluzioni religiose in grado di fare cadere un sistema per crearne un altro,
tuttavia nella norma il rito evolve in modo lento e impercettibile.
Il rito non può essere identificato ne’ in una istituzione sociale ne’ nel costume,
e tanto meno nei rituali delle nevrosi ossessive, in quanto fatti individuali; si
sarebbe quindi tentati di identificare il rito in un costume di carattere religioso,
ma è evidente che il termine viene applicato anche a cerimonie che di religioso
non hanno nulla, come le sedute parlamentari e l’apertura dell’anno
accademico.
In queste cerimonie laiche il carattere rituale sottolinea l’importanza
dell’avvenimento e l’adeguamento alla tradizione: non si tratta di cerimonie
indispensabili, dotate di un’utilità positiva osservabile.
Dicevamo infatti che il rito si distingue dal costume per la sua pretesa efficacia,
non riconducibile di fatto ad un’efficacia empirica, razionale e osservabile.
Ma così come è evidente che i gesti apparentemente inutili di un rituale
individuale, se vogliamo nevrotico, hanno una loro utilità sul piano inconscio,
sciogliendo in qualche modo i conflitti interiori, così si può dire che un rituale
collettivo sia concepito come efficace in quanto esorcizza le paure e le ansie
collettive.
3 Ibidem, p.15/16
5
“...i riti religiosi o magici sono sempre concepiti come efficaci: si
suppone ad esempio che provochino la pioggia che fa crescere il
raccolto o che guariscano un malato. Si dovrebbe perciò dire che il
rito è un atto la cui efficacia (reale o presunta) non si risolve nella
concatenazione empirica di causa e effetto. Se è utile, non lo è per vie
puramente naturali, e è per questo che si differenzia dalla pratica
tecnica.”4
Il rito può quindi essere definito come un atto che si ripete e la cui efficacia è,
almeno parzialmente, di ordine extra-empirico.
Abbiamo così delineato a grandi linee il dominio coperto dal rito, ma con quale
metodo si può tentare di trovare i principi e significati essenziali insiti nei vari
tipi di riti?
Il primo problema che si pone, ancor prima di chiedersi come organizzare le
riflessioni sul rito, è l’individuazione dei dati da prendere in considerazione, ci si
chiede cioè a quali realtà sociali fare riferimento, essendo la realtà sociale
indispensabile anche per la costruzione di un modello astratto o di tipo ideale.
In altri termini: quali culture e quali popolazioni sono le più indicate a fornirci
un quadro rituale sul quale costruire un modello teorico? Ed è più consigliabile
riferirsi a culture primitive, per ottenere dati più vicini alle origini, o piuttosto
studiare i riti attuali?
La tendenza molto diffusa in sociologia e assunta da Durkheim di prendere in
considerazione, durante le ricerche etnografiche, i dati relativi alle popolazioni
primitive, per ottenere delle spiegazioni di tipo genetico del rito non
significherebbe conferire maggiore razionalità ai riti primitivi e forse ne
toglierebbe ai riti religiosi attuali che da tali riti derivano.
E’ forse più consigliabile studiare i riti così come si presentano osservando i
fatti attuali, ma ciò non toglie che ci si debba riferire agli stessi popoli arcaici,
non per la costruzione di un modello genetico, ma per trovare i rituali più
remoti rispetto a qualsiasi tentativo di razionalizzazione integrato nelle religioni
moderne.
“Non serve dunque andare a cercare lontano[...]: quando un’usanza
esotica ci attira a dispetto (o a cagione)della sua apparente
singolarità, il motivo generalmente sta nel fatto che ci suggerisce,
come se fosse uno specchio deformante, un’immagine famigliare che
riconosciamo confusamente come tale senza riuscire a identificarla.”5
4 Ibidem, p.18/245 C. Lévi-Strauss, 1964, Il pensiero selvaggio, Milano,il Saggiatore, p.260.
6
Chiarito questo, ci si domanda se sia meglio prendere in considerazione una
sola popolazione o procedere piuttosto ad una comparazione fra più
popolazioni; attorno alla cosiddetta “etnografia comparativa” nacque un forte
dibattito: alcuni studiosi preferivano trarre esempi da varie aree etnografiche e
si spinsero ad esaminare esempi offerti dalla storia antica, mentre altri
preferivano incentrare l’indagine su di una sola popolazione, e non staccare gli
esempi dal loro contesto.
Lévi-Strauss, nel suo studio sulle mitologie, da un prezioso suggerimento: un
elemento mitico, un “mitema”, staccato dal suo contesto perde gran parte del
suo significato, come evidenziato dal principio stesso dello strutturalismo
secondo il quale è impossibile cercare di comprendere una parte senza riferirla
alla totalità.
Si può dire che il rito è, come il mito, un linguaggio, nel senso traslato del
termine, è cioè un insieme di atti che significano qualcos’altro da ciò che
manifestano direttamente.
“...se il rito e il mito sono sistemi simbolici, linguaggi che rinviano a
strutture, resta da sapere perché gli uomini e i popoli ricorrano a tali
linguaggi piuttosto che a altri.[...]perché questo popolo, in questo
momento, è riscorso a questo mezzo di espressione piuttosto che a
un altro?”6
Occorre insomma esaminare le caratteristiche del rito, e cercare di capire
perché si ricorre a questo tipo di comportamento collettivo piuttosto che a un
altro, si tratta cioè di individuare ciò che di insostituibile c’è in ciò che si
osserva.
In questo senso la comparazione è utile, o meglio indispensabile, per
comprendere il significato globale dell’azione rituale.
Alcune usanze rituali, come ad esempio la circoncisione, sono diffuse in gran
parte del mondo arcaico, e fanno così supporre spiegazioni che possano
trascendere tutti i quadri culturali particolari.
L’uomo, come essere dotato di un corpo e di un cervello sviluppato con tutte le
loro esigenze biologiche, deve a sottostare oltre che ai condizionamenti fisici
dell’ambiente che lo circonda, ai condizionamenti sociali, ai costumi, alle
leggi, insomma agli imperativi che gli si impongono in quanto essere sociale.
Si può dire che tutte le società abbiano dei riti, almeno che il progresso della
conoscenza scientifica e l’elaborazione di filosofie astratte non abbiano messo
in dubbio l’efficacia dei costumi tradizionali; si può quindi supporre che il rito, in
6 J. Cazeneuve, op.cit., p.26.
7
quanto tale, abbia una funzione, funzione che è sostanzialmente la stessa
presso tutti i popoli e tutte le epoche.
Per comprendere quale sia la natura del rito e quali le sue funzioni, occorre
quindi innanzitutto comprendere di quali problemi fondamentali della vita il rito
possa proporsi come soluzione.
“...l’uomo -a prima vista- appare come un essere libero, che inventa
la sua esistenza e la fonda da sé, e, d’altra parte, come un essere
sottomesso a restrizioni, a limitazioni. E’ questo insieme che gli si
impone da quando è nato, da quando esiste sulla terra. E’ questo che
chiamiamo condizione umana. La sua libertà o il sentimento,
l’illusione o l’angoscia che egli ha di essere libero, ne fanno
ugualmente parte, poiché è anche a questa condizione che egli è
veramente un uomo. E noi ci proponiamo di ricercare quali rapporti
può avere il rito con la necessità per l’uomo di assumere la condizione
umana, che può consistere nel tentativo di liberarsi il più possibile da
ciò che lo condiziona, o al contrario nell’imprigionarvisi.”7
Cazeneuve distingue i riti che si presentano come comportamenti legati alla
vita quotidiana dai riti che istituiscono un legame tra il mondo della vita
quotidiana e il mondo mitico, degli antenati e degli dei.
“Al primo di questi due tipi appartengono in particolare i tabù e le
pratiche magiche...si tratta di azioni legate al corso stesso della vita
quotidiana, inserite nell’esistenza e a questo titolo diacroniche in
quanto comportamenti. All’inverso i rituali del secondo tipo, che sono
commemorativi, ...inseriscono nel tempo storico (nella diacronia) i
modelli mitologici che si situano al di fuori del tempo (nella sincronia)
in una sorta d’eternità che è quella del mondo consacrato degli
antenati, o -se si preferisce, nell’eterno ricominciamento.”9
I riti religiosi stabiliscono una coincidenza fra l’ordine sincronico e quello
diacronico, rivelando così la loro caratteristica fondamentale, che è proprio
questa funzione sintetica.
Lo stesso Lévi-Strauss, nella sua analisi del mito spiega il carattere sintetico dei
riti:
“Grazie al rituale, il passato “disgiunto” del mito si articola, da un lato
con la periodicità biologica e stagionale, dall’altro con il passato 7 Ibidem, p.33.9 Ibidem, p.35.
8
“congiunto” che unisce, attraverso tutte le generazioni, i morti e i
vivi”9
L’autore , prosegue poi dividendo i riti in tre categorie:
“I riti di controllo sono positivi o negativi, tendono ad accrescere o a
restringere le specie e i fenomeni totemici, sia a beneficio sia a
detrimento della collettività...[...]I riti storici o commemorativi
ricreano l’atmosfera sacra e benefica dei tempi mitici -epoca del
“sogno” dicono gli australiani- di cui riflettono, come in uno specchio,
i protagonisti e le loro gesta insigni. I riti di lutto corrispondono a un
procedimento diverso: invece di affidare a uomini vivi l’incarico di
personificare lontani antenati, questi riti assicurano la riconversione in
antenati di uomini che hanno cessato di far parte dei vivi.”10
Per Lévi-Strauss i rituali hanno insomma la funzione di superare e integrare tre
opposizioni: quella fra sincronia e diacronia, quella fra il carattere periodico o
aperiodico, che sicronia e diacronia possono presentare e, infine ,
l’opposizione, in seno alla diacronia, fra tempo irreversibile e tempo
reversibile: anche se presente e passato sono distinti i riti storici trasferiscono il
passato nel presente, mentre i riti di lutto trasferiscono il presente nel passato.
Cazaneuve, nel proporre una la sua interpretazione delle funzioni del rito,
introduce il concetto di angoscia, inteso come quel sentimento di
incondizionamento che nasce nell’uomo in quanto essere dotato di coscienza,
le cui scelte non possono dipendere solo dall’istinto.
L’uomo sa bene, e lo sapeva bene l’uomo primitivo, che vi è una certa
regolarità nell’universo, ma sa anche che spesso basta un evento che si
oppone alla regola a fra perdere questa sicurezza, procurandogli angoscia.
Non gli resta quindi che mettere in rapporto le regole con una potenza
incondizionata, una sorta di archetipo extraumano della condizione umana
senza angoscia, e cercherà inoltre accattivarsi simbolicamente i favori di
questa potenza, per respingere l’incondizionato.
“E’ così che certi riti sono potuti nascere dal desiderio di preservare
da ogni attacco l’ideale di una vita interamente diretta da regole, di
una vita senza imprevisti e senza angoscia, in breve di una condizione
umana stabilizzata, definita, che non porrebbe più problemi. Il
sentimento di ciò che minacciava l’ordine, di ciò che rimetteva in
9 Lévi-Strauss, op.cit., p.256.10 Ibidem, p.257.
9
questione l’umanità tranquillizzata dalla regola, era appunto
l’angoscia, ma nello stesso tempo la percezione di un ignoto, di un
irriducibile che era “altro”. Si può dire che si trattava del senso del
soprannaturale, del numinoso. L’angoscia non è certamente sempre
questo; ma nella misura in cui conduce al rito, la si caratterizzerebbe
senz’altro bene dicendo che appare come il segno del contatto col
numinoso”11
“Numinoso” è qui inteso nel senso proposto da R. Otto12 , per il quale il
numinoso corrisponde a un “sentimento originario e specifico” , di cui il
concetto di sacro è il risultato finale.
In numinoso non è solo il mondo soprannaturale, definibile solo in antitesi al
mondo naturale, ma evoca piuttosto un’impressione diretta, una reazione
spontanea davanti ad una potenza giudicabile come soprannaturale.
Per Otto il primo carattere del numinoso è quello di rivelarsi come mysterium, e
i simboli da questo evocati sono quindi sentiti come misteriosi, numinosi.
Ma Otto definisce questo mysterium al tempo stesso tremendum e fascinans,
così che se il primo elemento, di carattere inquietante, fa si che si cerchi di
evitare il contatto col mysterium, il fascino del secondo elemento attira verso di
sé, e fa anche si che vi si cerchi un’identificazione.
I simboli inquietanti sono infatti allo stesso tempo quelli che evocano possibilità
illimitate, e certi riti hanno proprio la funzione simbolica d captare e manipolare
la forza numinosa, tali riti presuppongono però una messa in questione la
condizione umana definita, o meglio implicano una rinuncia a tale condizione.
“In definitiva, o si vuol fissare la condizione umana in un sistema
stabile circondandola di regole, e allora si ricorre ai riti per allontanare
da questo sistema tutto ciò che ne simbolizza l’imperfezione; oppure
ci si pone simbolicamente nel mondo della potenza assoluta,
irriducibile alla regola, e allora non si può più parlare di condizione
umana. Così quando ci si chiede cosa abbia potuto creare nelle
società il bisogno di ricorrere a riti, si è portati a pensare che l’uomo,
angosciato dal fatto di avvertirsi come mistero per se stesso, si sia
sentito diviso tra il desiderio di definire tramite regole una condizione
umana immutabile e, d’altra parte la tentazione di restare più potente
di queste regole, di superare ogni limite.”13
11 J. Cazaneuve, op.cit., p.40.12 W.F.Otto, 1965, Dyonisus Myth and Cult, Bloomimgton, Indiana University Press.13 J. Cazeneuve, op.cit., p.42.
10
Il rituale può portare insomma tre tipi di soluzioni: il numinoso può essere
allontanato come impurità, può altrimenti essere manipolato come un principio
di potenza magica, e, infine, si può presentare con il carattere sovraumano di
ciò che è sacro, divenendo nucleo delle religioni.
E evidente che non sono tali speculazioni metafisiche che hanno guidato gli
uomini primitivi verso il rito, e nemmeno una qualche forma di determinismo
scientifico: essi cercavano piuttosto di marginare quel sentimento di angoscia
di cui non conoscevano le cause.
Lèvi Strauss, analizzando però la differenza fra scienza e magia si domanda se:
“...il rigore e la precisione di cui danno prova il pensiero magico e le
pratiche rituali, non siano da ritenersi manifestazioni di
un’apprensione inconscia della verità del determinismo, inteso come
condizione d’esistenza dei fenomeni scientifici, crisi che il
determinismo verrebbe ad essere globalmente presentito e vissuto,
prima di essere conosciuto e rispettato. I riti e le credenze magiche
apparirebbero allora quali espressioni di un atto di fede in una scienza
che deve ancora nascere.” 14
Quest’ipotesi viene a rafforzare l’utilità stessa del rito, utilità riconducibile alla
funzione di esorcizzazione delle tensioni individuali o collettive, delle angosce
esistenziali che solo rivolgendosi al numinoso possono farsi più sopportabili.
Victor Turner nella sua opera “Il processo rituale”, riprende i risultati delle
ricerche strutturaliste, oltrepassandole e offrendoci una visione più
integralmente umana del comportamento rituale e simbolico.
Turner incentra la sua ricerca sui rituali femminili degli Ndembu dell’Africa
centrale, proponendo un legame fra il simbolismo e il comportamento rituale e
i bisogni e le strutture sociali in cui questi elementi sono inalveati.
Turner giunge quindi a considerare i processi rituali come tali, dando
particolare risalto ai concetti di liminalità e communitas, concetti che
applicherà, oltre che alle sue ricerche sul campo in Africa, a fenomeni sociali
quali la formazione dell’Ordine francescano nel medioevo, il misticismo indù e
alcuni fenomeni recenti e prettamente giovanili quali il movimento hippies e gli
Hell’s Angels degli anni’60.
Credo sia molto interessante e utile, sempre ai fini dell’analisi di un fenomeno
come il rave, considerare tali apporti.
1.2 L’antistruttura
14 C.Lévi-Strauss, op.cit., p.24.
11
L’ossatura alla base del lavoro di Turner sta nei concetti di analisi dei sistemi
simbolici e analisi della dinamica processuale; l’autore difatti riprende la
definizione di struttura derivata dalla scuola antropologica inglese, ma si rende
conto che un’immagine organicistica, per quanto strutturata, rimane statica,
riduttiva.
Egli, infatti, dopo avere fissato le strutture familiari, economiche e politiche per
arrivare a definire la loro funzionalità organica, comprese che un simile
procedimento non riusciva a cogliere le percezione della processualità della
vita umana, vale a dire le trasformazioni, il significato dinamico strutturale sia
individuale che collettivo.
Benché le strutture siano l’aspetto più stabile del l’azione e dell’interazione, e
gli eventi regolari e ritmici possano essere misurati in forma statistica,
rivelando una struttura sincronica, è il modello processuale, il profilo
diacronico, a permetterci la comprensione della vita umana.
Secondo Turner non esiste quindi distinzione fra “statica sociale” e “dinamica
sociale”, in quanto un’azione non può mai dirsi statica, e per questo è
importante insistere sulla qualità dinamica delle relazioni sociali.
Occorre a questo punto un’ermeneutica adeguata, uno strumento
metodologico in grado di analizzare i fatti sociali nel loro significato simbolico,
significato che si muove all’interno della società, delle istituzioni, dei fenomeni
culturali.
La ricerca di Turner si inserisce in quella problematica antropologica e
culturale che si propone di definire un metodo scientifico di analisi del
significato umano (meaning) delle forme simboliche culturali, individuali e
sociali, e dei processi che operano nella struttura e nella società.
In questo modo l’analisi dei processi rituali, cui Turner dedicò gran parte della
sua ricerca, divenne veicolo per comprendere la profondità della vita sociale.
Egli condusse un’analisi esegetica dei processi simbolici e dei loro significati,
distinse i vari elementi simbolici, riuscendo così a spiegare quella parte
dell’attività e della vita collettiva che era stata fino a quel momento
incomprensibile: il rito non più visto, quindi, come espressione di un mondo
fantastico e definito in termini prerazionali e irrazionali.
Attraverso gli studi di Turner, e il concetto di l’analisi processuale, l’immagine
della società perde quella rigidità organica che l’aveva finora distinta, la
struttura diviene legame esterno o circonferenza, piuttosto che il centro di un
sistema di relazioni sociali e idee, le strutture sono sistemi di azione, fasi di un
processo sociale costantemente impegnate da un rapporto dinamico con
l’antistruttura.
E qui si inserisce il concetto di antistruttura, fondamentale nel pensiero di
Turner, e fecondo di idee per chi dopo di lui.
12
L’antistruttura è l’unità dinamica sociale, è una situazione di sospensione
strutturale, dove i membri della società possono ritrovare il significato sociale
globale.
Attraverso l’antistruttura il senso umano collettivo può emergere in tutta la
sua completezza, senza alcun supporto istituzionale e spazio-temporale.
L’antistruttura è un sistema dinamico, strutturato simbolicamente, immediato,
portatore dei significati dei rapporti umani e dotato di una propria autonomia
dinamica. L’antistruttura è communitas e liminalità.
1.3 Communitas e liminalità
“E’ come se vi fossero due ‘modelli’ principali per i rapporti fra gli
esseri umani, modelli che si affiancano ed alternano. Il primo è quello
della società come sistema strutturato, differenziato e spesso
gerarchico di posizioni politico-giuridico-economiche[...]. Il secondo,
che emerge in modo riconoscibile nel periodo liminale, è quello della
società come comitatus, comunità o anche comunione non strutturata
o rudimentalmente strutturata e relativamente indifferenziata di
individui uguali che si sottomettono insieme all’autorità generale dei
majores rituali.”15
Con il termine communitas Turner indica insomma una situazione nella quale le
relazioni assumono un carattere sociologicamente indifferenziato, in cui si
hanno relazioni dirette, immediate, spontanee, ugualitarie.
Una tale situazione permette l’espressione totale di valori individuali e
collettivi, attraverso un complesso di simboli e di azioni simboliche comuni.
Turner riprende poi la definizione che Van Gennep propone in “Les Rites de
Passage”: liminalità come fase intermedia del rito di passaggio, passaggio che
avviene far una struttura minore e una struttura maggiore.
“Van Gennep ha dimostrato che tutti i riti di passaggio o di
‘transizione’ sono contrassegnati da tre fasi: separazione, margine(o
limen che in latino significa ‘soglia’) e aggregazione. La prima fase (di
separazione) co9mprende un comportamento simbolico che significa
il distacco dell’individuo o del gruppo da un punto precedentemente
fissato della struttura sociale, da un insieme di condizioni culturali
(uno ‘stato’) o da entrambi. Durante il periodo ‘liminale’ che segue, le
caratteristiche del soggetto del rito (il ‘passeggero’) sono ambigue;
egli passa attraverso una situazione culturale che ha pochi attributi (o
15 V. Turner, 1972, Il processo rituale, Brescia, Morcelliana, p.113.
13
nessuno) dello stato passato o di quello a venire. Nella terza fase
(riaggregazione o reincorporazione) si compie il passaggio. Il soggetto
rituale, individuale o collettivo, è di nuovo in uno stato relativamente
stabile, in virtù del quale ha diritti e doveri di fronte agli altri di tipo
chiaramente definito e ‘strutturale’; ci si aspetta che si comporti
secondo norme tradizionali e criteri etici che vincolano il titolare di
una posizione sociale in un sistema di tali posizioni.”16
Secondo Turner questo passaggio non avviene attraverso un continuum, ma
attraverso un cambio radicale, che prevede un abbandono delle strutture
simboliche precedenti e l’introduzione di nuovi valori e di nuove strutture,
valevoli sia sul piano collettivo-unitario della società che su quello individuale-
unitario dell’individuo strutturato.
Liminalità quindi come depositaria dei significati concreti di un sistema
culturale e sociale, come situazione socialmente astrutturata che si riapre alla
struttura, trovandosi tra due situazioni strutturate.
Il rito elabora i passaggi fra queste due situazioni, cioè il passaggio
infrastrutturale, ma elabora anche il passaggio antistrutturale.
L’antistruttura è così sospensione delle varie strutture sociali, ma anche
riaffermazione di quelle strutture simboliche entro le quali viene costruito il
significato dell’esistenza individuale e collettiva.
Emerge qui chiaramente un’ambivalenza strutturale, una tensione fra il tutto
dinamico e la parte strutturale: la struttura sociale è per sua natura
ambivalente, perché è umana, individuale e collettiva al tempo stesso. In
questa interazione fra società e individuo, l’individuo diventa parte strutturale
e dinamica di un collettivo che, a sua volta, diventa parte costitutiva
dell’individuo, arricchendolo di una propria struttura simbolica e di una propria
economia processuale.
La società è differenziazione umana ,è la divisione del lavoro di Durkheim, e se
senza struttura non si può definire una forma vitale sovraindividuale,
l’individuo strutturato difficilmente si potrà sottrarre al significato globale, e la
struttura tenderà a definirsi come potere e come valore.
L’antistruttura rende possibile, attraverso una situazione simbolica liminare
improntata su relazioni di Io-Tu-Noi, una riappropriazione e ridefinizione
collettiva e individuale del collettivo stesso.
A questo punto occorre precisare cosa sia per Turner la liminalità, in quanto
un’estensione di questa può divenire utile strumento di analisi per fenomeni
contemporanei, ben lontani dal contesto delle popolazioni tradizionali da cui è
stato enucleato il concetto.
16 Ibidem, p.111/112.
14
“Gli attributi della liminalità o delle persone liminali (persona-limite),
sono necessariamente ambigui, poiché questa condizione e queste
persone sfuggono o scivolano tra le maglie della rete classificatoria
che normalmente colloca stati e posizioni nello spazio culturale. Gli
esseri liminali non sono ne’ da una parte ne’ dall’altra; stanno in uno
spazio intermedio (betwixt e between) tra posizioni assegnate e
stabilite dalla legge, dal costume, dalle convenzioni e dal
cerimoniale.”17
Gli esseri liminali non possiedono niente, come i neofiti dei rituali d’iniziazione,
non hanno status ne’ proprietà, nessuna insegna o veste indica il loro rango o il
loro ruolo.
“Gli esseri liminali, come i neofiti nei riti di iniziazione o della pubertà,
possono essere rappresentati come chi non possiede niente.[...]Il loro
comportamento è normalmente passivo o umile; è implicito che
debbano obbedire ai loro maestri ed accettare senza lamentarsi
punizioni arbitrarie. [...]Al proprio interno i neofiti tendono a
sviluppare intensa solidarietà ed egualitarismo.”18
Solo così essi si possono preparare ad affrontare una nuova fase della vita.
Il concetto di liminalità, così delineato, è difficilmente applicabile o
rintracciabile in situazioni diverse dai rituali di iniziazione e dai riti di passaggio
preso le culture tradizionali, ma il termine liminale può essere applicato, per
estensione, ad individui non (ancora) integrati nella società, individui non
marginali e problematici, ma che non trovano un loro spazio ed un loro ruolo.
La condizione liminale può essere, ai nostri giorni, quella di un individuo che
non ha trovato una strada da percorrere, che si trova in una fase in cui non è
più un adolescente ma nemmeno è ancora adulto, e sappiamo bene quanto sia
difficile un tale passaggio nella nostra società, in cui ogni sacralizzazione e
collettivizzazione dei passaggi fondamentali della vita è andata perduta.
Inoltre gli esseri liminali sono, sempre presso le culture tradizionali, dotati di
poteri mistici e morali, dovuti alla loro temporanea condizione di inferiorità:
“Nella maggior parte dei tipi di liminalità viene attribuito un carattere
mistico al sentimento di appartenenza al genere umano e in
moltissime culture questa fase di transizione è posta strettamente in
17 Ibidem, p.112.18 Ibidem, p.112.
15
rapporto a credenza relative a poteri protettivi e punitivi di esseri o
poteri divini o preter-umani.”19
Turner si chiede perché le situazioni e i ruolo liminari siano dunque quasi
sempre accompagnati da attribuzioni di tipo magico-religiose, e perché queste
situazioni siano considerate pericolose.
La risposta sta nel fatto che per chi è interessato al mantenimento della
struttura ogni situazione in cui emerge la communitas appare pericolosa e
anarchica, e deve pertanto essere controllata tramite sanzioni e norme precise.
Inoltre, come nel caso del buffone di corte medievale, detentore di una sorta di
potere di arbitraggio morale, questi tipi mitici, liminali, strutturalmente inferiori
e marginali, sono:
“...strutturalmente inferiori o ‘marginali’, e tuttavia rappresentano
quella che Bergson avrebbe chiamato ‘morale aperta’ in
contrapposizione alla ‘morale chiusa’, identificabile essenzialmente
nel sistema normativo di gruppi limitati, strutturati, particolaristici.”20
Riporto qui la differenza fra le proprietà della liminalità e quelle del sistema di
status, come proposte da Turner in “Il processo rituale”21 , ritenendo che tale
strumento si rivelerà molto prezioso per analizzare alcuni aspetti del rave in
quanto fenomeno liminare, inteso in senso traslato, come vedremo in seguito.
Turner, alla maniera di Lévi-Strauss, si serve di una serie di opposizioni e
discriminazioni binarie, che possono essere così ordinate:
Liminalità Stato
Transizione Stato
Totalità Parzialità
Omogeneità Eterogeneità
Communitas Struttura
Uguaglianza Disuguaglianza
Anonimia Sistemi di nomenclatura
Assenza di proprietà Proprietà
Assenza di status Status
Nudità o vestiario uniforme Distinzione nel vestiario
Continenza sessuale Sessualità
19 Ibidem, p.125.20Ibidem, p.127.21Ibidem, p. 123.
16
Minimizzazione delle
distinzioni sessuali
Accentuazione delle
distinzioni sessuali
Assenza di rango Distinzioni di rango
Umiltà Giusto orgoglio della posizione
Noncuranza per l’aspetto personale Cura dell’aspetto personale
Assenza delle distinzioni della
ricchezza
Distinzioni della ricchezza
Mancanza di egoismo Egoismo
Obbedienza totale Obbedienza soltanto al rango
superiore
Sacralità Secolarità
Istruzione sacra Sapere tecnico
Silenzio Parola
Sospensione dei diritti e dei doveri di
parentela
Diritti e doveri di parentela
Riferimento continuo ai poteri mistici Riferimento intermittente ai poteri
mistici
Stoltezza Sagacia
Semplicità Complessità
Accettazione del dolore e delle
sofferenze
Fuga dal dolore e dalle sofferenze
Eteronomia Gradi di autonomia
1.4 La communitas oggi
Turner compie un’analisi molto interessante sulle varie istituzioni in cui la
communitas si è incarnata durante i secoli, dalla confraternita fondata da S.
Francesco d’Assisi alle moderne comunità hippie.
“Tra le manifestazioni più notevoli di communitas, bisogna includere i
movimenti religiosi cosiddetti millenaristici, che si formano tra quelle
che Norman Cohn ha denominato “masse sradicate e disperate della
città e della campagna...che vivono ai margini della società”, o
laddove delle società già tribali cadono sotto la sovranità straniera di
società industriali complesse.”22
Nei movimenti millenaristici, come ci ricorda Turner, sono rintracciabili alcune
delle proprietà della communitas: omogeneità, uguaglianza, anonimia, assenza
di proprietà, stesso livello di status per tutti i membri, continenza sessuale (che
22 Ibidem, p.127/128.
17
in alcuni casi diventa ’comunità sessuale’), obbedienza al capo carismatico o al
profeta, accettazione del dolore e delle sofferenze, follia sacra, sospensione dei
diritti di parentela, semplicità dei modi e della parola, e così via.
“E’ degno di nota il fatto che molti di questi movimenti, nella fase
iniziale, superano le divisioni tribali e nazionali. La communitas, o
società ‘aperta’ differisce dalla struttura, o società ‘chiusa’, proprio
per il fatto di essere potenzialmente o idealmente estensibile fino ai
limiti dell’umanità stessa.”23
Tali movimenti nascono in momenti storici simili, quando vi è un passaggio di
gruppi o categorie sociali da uno stato all’altro, sono cioè fenomeni di
transizione, ed è per questo che molta parte del loro simbolismo riflette quello
dei riti di passaggio classicamente intesi.
La cronaca racconta di quanto sia facile che tali movimenti divengano culla per
lo sviluppo di fanatismi religiosi, quanto sia insomma breve il passo fra
accettazione delle sofferenze e martirio, fra ubbidienza e sottomissione, fra
religione e follia collettiva.
Nella società industriale altri esempi di ritorno alla communitas sono stati quelli
legati al movimento della beat generation prima e degli hippies poi, fino agli
odierni travellers’.
Questo ritorno alla communitas rispecchia la mancanza totale di riti di
passaggio, che spinge alcune categorie di adolescenti, che rifiutano l’ordine
sociale imposto dallo status, a dare importanza più ai rapporti personali che
agli obblighi sociali.
E’ interessante notare che fino agli anni ’60 e ’70 questi giovani vestivano
spesso i panni degli umili, e amavano vagabondare per il mondo, arrangiandosi
con lavori occasionali.
Oggi i tempi della beat generation e degli hippie sono passati, le mode si sono
evolute e le scelte radicali dei giovani hanno cambiato aspetto.
Ma, come vedremo proprio nel caso del rave:
“La communitas è del presente; la struttura è radicata nel passato e
si protende verso il futuro mediante il linguaggio, la legge e il
costume. Anche se noi ci occupiamo delle società tradizionali
preindustriali, diventa evidente che le dimensioni collettive,
communitas e struttura, si ritrovano in tutte le fasi e in tutti i livelli
della cultura e della società.”24
23 Ibidem ,p.128.24 Ibidem, p.129.
18
1.5 Tensione sociale e rito
Fra struttura e antistruttura esiste una tensione che è dinamica ancor prima
che strutturale, tensione che si crea fra la totalità dell’individuo e l’individuo
nella totalità.
La società costruisce e ricostruisce costantemente strutture di azioni
dinamicamente adeguate, cioè quelle strutture collettive simboliche e quei
processi semantici in grado di definire e ridefinire in continuazione le strutture
mentali e i processi di adattamento individuali, riducendo così le situazioni
conflittuali interne.
Questa tensione sociale sta all’origine sia riti di passaggio infrastrutturali sia
dei passaggi dal particolare al totale in cui, come nelle feste, nei riti e nelle
rivoluzioni, si attua un recupero del contatto con la totalità.
In entrambi i casi si ha una sospensione della struttura, che si riflette nelle
liminalità collettiva o individuale, zona in cui la funzione universale della
struttura viene ridefinita, attraverso il contatto con il mito e i simboli comuni:
alla destrutturazione segue la strutturazione simbolica delle forme vitali e dei
significati simbolici collettivi.
La liminalità è in questo senso sacra, è protetta da tabù, contro il potere di una
secolarità distruttiva. Liminalità è energia, movimento e rinascita.
Il rito ha in questa situazione il compito di guida, conduce da una situazione
all’altra, è il passaggio fra struttura e liminalità, fra liminalità e struttura.
Il riti variano a seconda della mediazione strutturale di cui si fanno portatori,
alla loro funzione individuale o collettiva, alla posizione centrale o meno, alla
cadenza ciclica e ripetitiva del rapporto fra struttura e antistruttura.
La tensione intrastrutturale rivela il contrasto, il dramma umano, la tensione
fra dipendenza dinamica e strutturale dell’individuo dal sistema collettivo di cui
è parte e la diversificazione dell’individuo e del gruppo dal sistema di valori
collettivi, questa diversificazione sociale è per Turner alla base di una vasta
attività simbolica.
La società primitiva era dramma come lo è la nostra tutt’oggi, dramma che è
correlativo alla coesione sociale, e la sua risoluzione è parte integrante della
processualità e della dinamica della società.
Inoltre, attraverso il dramma, viene disvelata la profondità dell’unità sociale.
Il dramma sociale è sempre conseguenza di tensioni intrastrutturali e può
avere origine da una deliberata trasgressione dalle norme, ma può anche
avere origine da fenomeni naturali o fisici che, introducendo un’anomalia nella
struttura, obbligano ad una sua ridefinizione collettiva.
19
Turner analizza i riti di passaggio seguendo questa logica, per Turner infatti il
rito di passaggio corrisponde ad un processo di trasformazione profonda
dell’individuo, entro il significato collettivo e la responsabilità dello status
sociale cui l’individuo è introdotto.
Il rito di passaggio presuppone una “regressione strutturale” che permetta
all’individuo una più complessa conoscenza ed esperienza della vita collettiva,
rivissuta attraverso un sistema simbolico e mitico ed un contatto diretto con
l’origine , con le strutture fondamentali di valore, contenute nei simboli e nel
mito.
Il dramma sociale può avere invece soluzione difficile se le variazioni introdotte
non sono di carattere individuale o non ne siano definite le modalità di
soluzione.
Un caso del genere si verifica quando una struttura o un gruppo di interesse si
contrappongono al sistema, facendo sì che la tensione strutturale e la liminalità
si espandano a tutta la società, provocando una ricostituzione della struttura
precedente oppure un cambio strutturale, a seconda delle forze in campo e
della loro capacità creativa simbolica.
Un dramma sociale molto interessante si verifica nel caso in cui un sistema
esterno si contrappone alla società, minando non solo i rapporti strutturali, ma
lo stesso equilibrio fra struttura e antistruttura.
Nella maggioranza dei casi all’interno della società sottomessa sopravvivono
quelle che erano le funzioni autonome strutturali, ma sotto forma di
antistruttura, entro la nuova società.
1.6 I simboli rituali
I più importanti risultati dell’analisi di Turner sono il perfezionamento del
metodo di analisi dell’azione rituale, con l’emergere di quella continuità e
omologia di significato fra struttura istituzionale e simboli e azioni rituali, e la
definizione di liminalità e communitas, concetti preziosi per spiegare quei
fenomeni simbolici e istituzionali antistrutturali non riconducibili a situazioni
intrastrutturali.
Turner, inoltre, mise in evidenza la speciale portata ermeneutica della
liminalità, vale a dire la sua somiglianza strutturale e simbolica con l’inferiorità
e l’esclusione strutturale, in modo da definire in termini più generali
l’antistruttura e la relazione dialettica che la communitas ha con questa,
considerare la società come un processo, piuttosto che come un organismo o
un sistema atemporale, permette di cogliere meglio le relazioni esistenti
appunto, ad ogni punto e ad ogni livello, fra struttura e communitas.
20
Il modello processuale influisce sul modo di studiare i simboli, qui guidato dal
modello dinamico, e permette di mostrare come operi un simbolo rituale.
Il simbolo, agendo all’interno della processualità, va quindi osservato entro lo
sviluppo storico concreto, tenendo in considerazione il rito completo; occorre
analizzarlo nei suoi vari aspetti semantici e definirne tute le connessioni
strutturali e antistrutturali.
Dalle ricerche di Turner risulta che simboli e metafore non sono affatto
costruzioni atemporali entro rigide strutture logiche: il simbolo partecipa infatti
alla processualità sociale stessa, essendo la tensione strutturale e
antistrutturale profondamente presente entro le strutture cognitive e
ideologiche stesse.
I simboli devono quindi essere considerati come entità che operano entro
processi temporali e che sostengono quei processi che comportano
trasformazioni nelle relazioni sociali; il simbolo è insomma un condensatore di
referenti, un entità che reca in se un complesso valore affettivo, oltre che
cognitivo, che concentra referenze biologiche e fisiche e referenze strutturali o
ideologiche.
La struttura del simbolo opera attraverso un meccanismo metaforico,
ricollegando il valore catetico di un referente al valore dinamico di un atro
referente, da cui deriva la multivocalità del simbolo, il fatto che questo sia cioè
suscettibile di più significati.
Nel dramma dell’azione rituale, in una situazione liminale di communitas, si
stabilisce la simbiosi fra individuo e società, attraverso la fusione dei vari poli
semantici.
Turner distingue i simboli rituali da quelli individuali:
“...mentre i simboli rituali sono mezzi generali e poco differenziati per
affrontare la realtà naturale e sociale, i simboli psichici si modellano
prevalentemente sotto l’influenza di spinte interne.”25
Quella di Turner è una vera e propria ontologia dei simboli e delle azioni rituali,
più che una descrizione di strutture formali, in Turner i simboli non sono
epifenomeni della struttura sociale, e la vita sociale stessa si costituisce nella
complessa dinamica simbolica, dinamica che ha in sé una struttura dinamica
originaria che resiste all’interno delle varie formazioni normative e razionali che
si sviluppano nell’esperienza storica.
Il simbolo rituale ha una propria struttura e funzione dinamica, inserita in
formazioni metaforiche non lineari; accanto ai sistemi comunicativi e alle 25 V. Turner, 1976, La foresta dei simboli, Brescia, Morcelliana, p. 64.
21
formazioni simboliche con particolare struttura logico-cognitiva, i simboli rituali
e mitici liminari, hanno in sé una componente affettiva non riducibile a
formazioni logiche.
1.7 Rituali di crisi vitale, periodici e di passaggio
Ritornando alle tre fasi che secondo Van Gennep contraddistinguono il
passaggio da uno status culturalmente definito ad un altro (separazione,
margine e riaggregazione) e tenendo inoltre conto dell’ulteriore distinzione fra
preliminare, liminare e postliminale che l’autore utilizza per indicare le fasi di
transizione spaziale all’interno del rituale, risulta evidente il legame inscindibile
fra questi termini e il concetto di liminalità.
Turner distingue due principali tipi di liminalità , pur ammettendo che molti altri
se ne possono scoprire:
“...in primo luogo la liminalità che caratterizza i rituali di elevazione di
status, nei quali il soggetto rituale o novizio viene trasferito in modo
irreversibile da una posizione inferiore ad una superiore in un sistema
istituzionalizzato di posizioni di tal genere. In secondo luogo, la
liminalità che si riscontra frequentemente nel rituale ciclico e legato a
un calendario,[...]nel quale in certi momenti culturalmente definiti del
ciclo stagionale, gruppi o categorie di persone che di solito occupano
nella struttura sociale posizioni di basso status, ricevono l’istruzione
precisa di esercitare un’autorità rituale sui loro superiori...”26
Tale tipologia corrisponde alla tradizionale distinzione antropologica fra riti di
crisi vitale e riti periodici: i riti di crisi vitale sono quelli nei quali i soggetti
passano da una fase della vita all’altra, eventi come la nascita, la pubertà, il
matrimonio, la morte, inoltre questi riti si riferiscono all’ingresso in uno status
superiore raggiunto all’interno, ad esempio, di un sistema politico, di un club, di
una società segreta, tali rituali hanno generalmente carattere individuale; i riti
stagionali, invece, coinvolgono generalmente la collettività e la società intera, e
sono eseguiti in momenti precisi del ciclo produttivo annuale, testimoniando il
passaggio dalla penuria all’abbondanza (le feste legate alla raccolta del grano,
della frutta, o allo stesso equinozio di Primavera), nonché il passaggio
dall’estate all’Inverno, dall’abbondanza alla penuria, dalla quale si cerca una
protezione “magica” o sacra. A tali riti occorre aggiungere:
26 Ibidem, p.182.
22
“...Tutti i rites de passage, che accompagnano ogni modificazione di
tipo collettivo da uno stato a un altro, come quando un’intera tribù va
in guerra o quando una vasta comunità locale esegue riti per invertire
gli effetti della carestia, della siccità o delle pestilenze. I riti di crisi
vitale e i rituali di insediamento in una carica sono quasi sempre riti di
elevazione di status; i riti stagionali e quelli delle crisi di gruppo
possono essere talvolta riti di inversione di status.”27
Nella società occidentale contemporanea persiste l’eco dei riti di inversione di
status, inversione in questo caso dei ruoli sessuali e dei ruoli legati all’età:
tradizioni come Halloween conferiscono infatti un vero e proprio potere liminale
e temporaneo ai preadolescenti; i bambini di Halloween esemplificano più di un
motivo liminale: essi sono infatti mascherati, e ciò garantisce loro l’anonimato,
anonimato che ha però qui una funzione di aggressione e non di umiliazione,
come avviene nella maggior parte dei riti di inversione.
“Le maschere mostruose sotto le quali spesso si nascondono
rappresentano principalmente potenze di demoni terrestri -streghe
che compromettono la fertilità; cadaveri o scheletri da sottoterra.
[...]Queste piccole potenze terrestri, se non vengono propiziate con
buona accoglienza e leccornie, faranno scherzi fantasiosi e capricciosi
alla generazione detentrice degli adulti di casa...”28
In questi aspetti Turner rintraccia qualcosa di simile ai riti primitivi, come la
funzione del mascherarsi che, secondo molti psicologi, ha sia per il bambino
che per l’uomo primitivo lo scopo di indebolire il nemico, identificandosi con
esso traendone potere.
Nei rituali di inversione di status, in realtà, la categoria che si permette di agire
come se fosse strutturalmente inferiore, rimane in uno status inferiore, e il
temporaneo scambio di ruoli e status è sempre permesso e controllato dai
detentori dello status superiore, essendo prevedibili le modificazioni strutturali
da questi permesse.
I rituali di inversione di status sono inoltre da vedere anche sotto l’ottica del
rapporto fra communitas e struttura: i rituali di inversione di status, infatti, in
una società strutturata in posizioni, status e cariche politiche, giuridiche ed
economiche, sono in grado di riportare communitas e struttura nel giusto
rapporto reciproco.
27 Ibidem ,p.184/185.28 Ibidem, p.187/188.
23
I rituali di inversione di status sono generalmente collocati in momenti
strategici del ciclo annuale, o provocate da disastri concepiti come
conseguenza di gravi colpe sociali, cui si può rimediare solo facendo diminuire
il grado di spostamento della struttura dalla communitas.
Turner individua anche degli esempi di inversione di status legati a pseudo-
gerarchie nate in contesti occidentali moderni: ne sono un esempio i Massoni,
alcune sette scismatiche mormoniche, e le bande motociclistiche come gli
Hell’s Angels.
In entrambi i casi si deve notare un gran numero di cariche, ma un numero
limitato di membri; una gerarchia complessa, che si basa su anzianità e
appartenenza territoriale e una organizzazione formale con complicate
cerimonie d’iniziazione e gradi di appartenenza simbolizzati da distintivi.
Prendiamo ad esempio le cerimonie d’iniziazione degli Hell’s Angel californiani:
i novizi non si sentono cittadini come gli altri, non accettano le regole e hanno
deciso di stare fuori dal sistema strutturale, ma non sono ancora Hell’s Angel, e
si trovano pertanto in una situazione liminare.
Durante la cerimonia d’iniziazione le reclute, i novizi, si devono presentare con
giubbotti e blue-jeans nuovi, affinché questi vengano imbrattati, così che la loro
condizione lacera e sporca sia il segno di un nuovo status raggiunto, e
dell’abbandono dello status di normali cittadini.
E’ interessante notare come nel caso degli Hell’s Angel la struttura gerarchica
assuma prevalentemente una funzione espressiva, e come vengano in realtà
seguiti i valori della communitas.
CAP.2
Un apporto performativo al rituale
2.1 L’analisi formale del rituale
Stanley Tambiah1 , professore di Antropologia presso la Harvard University, è
autore di importanti studi sul rapporto fra religione, ordine sociale e politico
nelle società e culture dell’Asia meridionale.
Tramite il suo originale approccio in cui si combinano antropologia, linguistica e
sociolinguistica, egli analizza i rituali, le cosmologie e gli schemi di
classificazione, sempre considerati come fenomeni in cui vi è unione di
pensiero e azione.
1?S.Tambiah è autore di Buddhism and Spirit Cults in Northest Thailand (1970), World Conquerer and World Renouncer (1976),” (1984), Sri Lanka: Ethnic Fraticide and Dismantling of Democracy (1986).
24
L’atto rituale è per questo autore un’amalgama inscindibile di parole e di gesti,
fondato sull’uso simultaneo di molteplici mezzi di comunicazione (uditivo,
tattile, visivo e olfattivo), e su di una particolare presentazione della realtà
attraverso la danza, il canto, la musica e la recitazione.
Tambiah sottolinea come ogni cosmologia sia il frutto non di fatti mentali, ma
di veri e propri progetti di vita che si traducono nella pratica: le descrizioni e le
classificazioni del mondo da parte dell’individuo e della comunità riflettono le
valutazioni, i principi morali, i divieti e le preferenze derivanti dai diversi
contesti culturali e sociali.
I rituali, come rappresentazione, devono dunque venire studiati sotto un
duplice aspetto: da un lato occorre approfondire il fondamento della
dimensione formalizzata del rituale, e dall’altro occorre successivamente
affrontare la questione del significato contestuale.
Si può in generale affermare che un rituale riproduca nella ripetizione delle sue
celebrazioni certe sequenza stereotipate, che sono all’apparenza invarianti,
ma in realtà, e ogni antropologo che abbia compito ricerche sul campo lo sa
molto bene, non si può avere alcuna celebrazione di un rito che sia
esattamente identica ad un’altra: come abbiamo detto vi sono certi fattori
variabili, come le circostanze in cui si trovano gli attori e le loro caratteristiche
sociali, che influenzano ogni volta in maniera differente lo svolgersi del rito.
Le componenti contestuali rendono flessibile il nucleo fondamentale del rituale,
che , per quanto possa essere rigidamente stabilito, è sempre legato alle
pretese di status e agli interessi dei partecipanti, e nemmeno vanno
dimenticati gli avvenimenti accidentali e imprevisti.
“I rituali, comunque e dovunque si presentino nelle società umane,
tendono ad assumere una certa forma. Nel fare questa affermazione
sono abbastanza consapevole di quanto siano variabili nelle società le
concezioni ideologiche e simboliche e di quante trappole comporti
l’affrontare la variabilità delle concezioni culturali con un pretenzioso
complesso di concetti analitici tratti da un’esperienza strettamente
occidentale”2
All’interno della medesima società, così come tra più società, i rituali variano
per grado di formalizzazione, per le esigenze e i significati contingenti, per l’uso
di diversi e molteplici media che vanno dalla danza alle parole, alla musica,
all’uso di oggetti simbolici e così via.
2 S.J: Tambiah, 1995, Rituali e cultura, Bologna, Il Mulino, p.126.
25
Tambiah è comunque convinto che gli uomini strutturino dappertutto, in modo
comune, determinati eventi considerati importanti, che possiamo riconoscere
come rituali.
“Pur non essendo possibile, in nessuna società, né linguisticamente
né dimostrativamente, definire i confini di un ambito rituale (separato
da altri ambiti), ogni società ha però nominato e segnato cerimonie,
rappresentazioni e feste che si possono identificare come esempi
tipici o focali di eventuali “rituali”.”3
Ma come riconoscere il rituale partendo dalla sua forma?
Pur non potendo separare all’interno di una società ciò che è rituale e ciò che
non lo è, si possono compiere distinzioni relative (più che assolute) per
distinguere tra alcuni tipi di attività sociale.
Ogni società ha infatti nominato e segnato cerimonie, rappresentazioni e feste
identificabili come esempi tipici di eventuali rituali.
Questi eventi mostrano alcune caratteristiche comuni: un ordinamento o
procedura che li struttura, un senso di recita collettiva e comunitaria che tende
a raggiungere un particolare obiettivo e la consapevolezza che si tratta di un
evento fuori dall’ordinario, fuori dal quotidiano.
L’uso di certi mezzi di comunicazione, e di determinati strumenti sono
caratteristici del rituale, in quanto permettono di sperimentare e attivare lo
straordinario, l’extramondano.
“Il rituale è un sistema di comunicazione simbolica costruito
culturalmente. E’ costituito da sequenze di parole e di atti, strutturati
e ordinati e spesso espressi con molteplici mezzi, il cui contenuto e la
cui disposizione sono caratterizzati in vario grado da formalismo
(convenzionalità), stereotipia (rigidità), condensazione (fusione) e
ridondanza (ripetizione).”4
L’azione rituale è preformativa in tre sensi: nel senso per cui dire qualcosa è
anche fare qualcosa in quanto atto convenzionale; nel senso di una
rappresentazione scenica che usa molteplici mezzi, grazie ai quali i partecipanti
sperimentano l’intensità dell’evento; ed infine preformativo nel senso dei valori
indicati dagli attori durante la performance.
2.2 Integrazione fra descrizione culturale e analisi formale
3 Ibidem, p.127.4 Ibidem, p.130.
26
Il pensiero di Tambiah si basa sull’assunto che:
“...il rituale sia un sistema di comunicazione simbolica costruito
culturalmente: il che equivale a dire che il suo contenuto culturale è
radicato in costrutti cosmologici o ideologici particolari. La definizione
si basa anche sull’assunto che il rituale rappresenti determinate
caratteristiche di forme e strutture e si avvalga di determinati mezzi
di comunicazione e semiotici.”5
Detto questo, è possibile integrare una spiegazione culturale con un’analisi
formale?
Tambiah ritiene che le considerazioni di ordine culturale siano integralmente
implicate nella forma che il rituale assume, è che la conciliazione fra forma e
contenuto sia essenziale sia per il carattere preformativo che per l’efficacia
dell’azione rituale.
In un certo senso si tratta di integrare le prospettive neotyloriane, per le quali
la caratteristica distintiva della religione e del rituale sta nel credere e nel
comunicare con il mondo sovrannaturale, con le prospettive della scuola
semiotica, che vede invece il rituale come categoria che unisce il sacro col
secolare, il naturale col soprannaturale.
“E’ mia idea che ci si possa liberare delle limitazioni della dicotomia
neotayloriana tra naturale e soprannaturale riconoscendo innanzitutto
che tutte le società posseggono delle cosmologie le quali, avvalendosi
dei loro numerosi e diversi strumenti di classificazione, mettono in
relazione l’uomo con l’uomo, l’uomo con la natura e gli animali, e
l’uomo con gli dei e i demoni e con altre entità non umane.”6
Tali cosmologie non sono da intendersi puramente nei termini delle credenze
affermate dai soggetti, ma sono inserite nei miti, nei rituali, nei codici, e in
tutte le rappresentazioni collettive.
Con cosmologia si deve intendere quel corpo di concezioni che elenca e
classifica tutti i fenomeni che compongono l’universo, visto come un tutto
ordinato, e le norme e i processi che lo regolano; le principali nozioni
cosmologiche di una società sono tutte quelle che orientano le concezioni e i
principi considerati sacrosanti, e degni quindi di essere perpetuati.
5 Ibidem, p.131.6 Ibidem, p.132.
27
Se si ritiene che le credenze precedano le azioni, inoltre, si finisce per ritenere
l’azione rituale come secondaria, ignorando o sottovalutando il fatto che il
rituale è un mezzo per trasmettere significati, per costruire la realtà sociale e
portare alla luce lo schema cosmologico stesso.
“...i costrutti cosmologici sono inseriti (ovviamente non in modo
esclusivo) nei riti e i riti a loro volta inscenano e incarnano le
concezioni cosmologiche.[...]...se i rituali più importanti di una società
sono strettamente associati alla sua cosmologia, possiamo allora
legittimamente domandarci cosa una società cerchi di trasmettere ai
suoi membri nelle cerimonie più importanti...”7
Tambiah illustra una teoria molto interessante, secondo la quale qualsiasi cosa
verso la quale si adotti un atteggiamento di “indiscutibilità” o
“tradizionaleggiante” possa essere considerata sacra, i rituali costruiti attorno
a tale carattere sacro possono in tal senso avere caratteristiche comuni e
simili ai tradizionali rituali dedicati agli dei o agli antenati.
Egli osserva inoltre che i rituali di recente invenzione sono costruiti in modo
che le ripetizioni interne di forma e contenuto lo rendano come se fosse
davvero tradizionale, e si suppone che questo trasmetta la stessa convinzione
irriflessiva di ogni rituale ripetitivo tradizionale.
2.3 Il rituale come azione convenzionale
La formalizzazione del rituale è legata la fatto che questo è un’azione
convenzionale, convenzionalità che tiene i partecipanti ad una certa distanza
psichica dall’azione sacra del rituale.
“In quanto comportamenti convenzionali, i rituali non sono né
designati né intesi a esprimere intenzioni, emozioni e stati mentali
individuali in modo diretto, spontaneo, “naturale”.”8
L’elaborazione culturale dei codici consiste proprio nel prendere le distanze da
queste espressioni spontanee e naturali, caratteristiche di un comportamento
comunicativo “normale”.
Durante la comunicazione rituale non si codificano cioè intenzioni, ma
“simulazioni” di intenzioni; il “prendere le distanze” separa le emozioni private
dalla morale pubblica, la messa in scena rituale è garanzia della comunicazione
sociale.
7 Ibidem, p.133.8 Ibidem, p.137.
28
Il rituale non è in quest’ottica una “libera espressione di emozioni”, ma una
ripetizione disciplinata di “atteggiamenti corretti”.
“...qualsiasi teoria del rituale, come evento che modifica direttamente
i sentimenti, che consente alle persone di esprimere le proprie
aggressioni o frustrazioni, e quindi raggiungere uno stato di placidità
e serenità, è troppo semplicistica e ingenua.”9
Ma torniamo alla forma del rituale: riprendendo, seppur criticamente le teorie
dell’informazione10 , Tambiah applica, come abbiamo visto, il concetto di
ridondanza all’analisi del rituale.
Ridondanza, in questo senso non solo come ripetizione di un messaggio tramite
canali diversi e molteplici, ma come ricorsione di eventi all’interno del rito.
In tutti i riti complessi si possono cioè discernere delle regole di sequenzialità,
ed essendo il discorso rituale di fatto un evento convenzionale, non c’è da
stupirsene, inoltre è chiaro che la logica delle sequenze obbligate non può
essere appieno compresa se non la si mette in relazione alle azioni sociali di cui
è la veste: forma e contenuto del rituale sono necessariamente fusi.
“...il secondo senso in cui io vedo il rituale come un atto performativo
è che esso è un’attuazione drammatica la cui struttura distintiva, che
comprende la stereotipia e la ridondanza, ha qualcosa a che fare con
la produzione di un senso di comunicazione elevata, intensificata,
fusa. Gli obiettivi di tale intensificazione sono stati variamente
espressi come la sottomissione delle persone a “restrizioni
vincolanti”[...], oppure come un passaggio a uno stato di coscienza
sopranormale, trascendentale, “antistrutturale”, “numinoso” o
“alterato”; oppure come un’euforica comunione coi propri simili,
oppure come una subordinazione a una performance collettiva.”11
I mezzi di comunicazione possono infatti, nel loro uso ripetitivo e “ridondante”,
permettere di abbandonare il quotidiano per entrare nel tempo sacro e nel
soprannaturale, ne sono un esempio le formule verbali degli esercizi di
meditazione buddisti, o le litanie mantriche degli induisti, veri e propri supporti
alla meditazione, strumenti per la concentrazione.
Parte seconda:
9 Ibidem, p.13810 G.A. Miller, 1951, Language and Communication, New York, McGraw-Hill; C. Cherry,1961, New York, On Human Communication, Scienze Editions.11 S. Tambiah, op.cit., p.159.
29
Il fenomeno rave fra transe, festa e danza rituale
CAP.1
La transe
1.1 Transe e stati modificati di coscienza
La parola “transe” viene ad assumere significati assai diversi a seconda del
contesto e dell’epoca storica in cui viene usata, e per questo è molto difficile
darle una definizione preliminare.
Nel XI sec. la parola transe significa la morte, ma già nel XV sec. assume il
senso moderno che deriva dal verbo “transire”, andare oltre.
Nel XIX sec., la parola “trances” appare nel vocabolario inglese prima e in
quello francese poi, designando lo stato del medium, spersonalizzato,
posseduto.
Fino a quel tempo il termine veniva collegato a due diversi movimenti, allo
spiritismo, appunto, e a quel vasto movimento che va da Mesmer2 fino a
Freud; la nostra idea di transe è più simile all’accezione dello spiritismo,
mentre la corrente basata sull’ipnosi, il mesmerismo appunto, ha interesse
maggiore per l’aspetto sperimentale del fenomeno, per le condizioni cioè che
permettono di raggiungere un tale stato.
Negli anni successivi la parola entrò finalmente nel vocabolario dell’etnologia.
Sul vocabolario italiano ho trovato la seguente definizione: ”stato ipnotico
caratterizzato da perdita più o meno cosciente della coscienza; in esso cadono i
medium durante le sedute spiritiche”3
Si tratta di definizioni assai deboli e limitative, che non sono affatto sufficienti a
connotare l’aspetto “innovativo” sostenuto da un nuovo approccio al
2 F.A.Mesmer, capostipite della scuola del “magnetismo animale”, darà il via agli studi sull’ipnosi, ionosi che nel caso della scuola mesmeriana veniva indotta musicalmente, portando ad una transe benefica, una crisi salutare che il medico può padroneggiare. Tra le opere di Mesmer: F.A. Mesmer, Le magnetisme animal, Payot, Paris, 1971.3Dizionario Garzanti della lingua italiana, 1968. In italiano si usa l’eccezione “ trance”, cioè il termine in lingua inglese, mentre in lingua francese si usa “transe”; nel corso del mio lavoro preferirò il termine francese, visto l’importante apporto dato all’argomento da autori francesi, specie G. Lapassade, e ai quali mi riferirò spesso. Alcuni autori usano invece l’accezione inglese, la quale potrà così comparire nelle citazioni. “Trance” indica inoltre, per estensione, il genere musicale legato al fenomeno della techno-transe.
30
fenomeno, di cui il maggiore esponente è G. Lapassade4, definizione alla
quale mi riferirò nel mio lavoro.
La parola transe indica sempre, come abbiamo detto, un passaggio, una
transizione da uno stato all’altro, una rottura dell’equilibrio cui ne segue uno
nuovo: la nascita, la morte, le diverse fasi dell’esistenza sono passaggi
fondamentali della vita, e proprio per questo, nell’antichità e tutt’oggi presso le
popolazioni “primitive”, questi momenti sono accompagnati da rituali di transe.
“ La transe è questo passaggio dal caos a un nuovo ordine, mai
stabile, Mai definitivo. Ma anzi espressione di quel lavoro sia del
linguaggio sia della cultura che da forma e orizzonte simbolico alla
ricerca, spesso tempestosa, di un significato -sia pure di
compromesso- integralmente umano.”5
Ma la transe è anche passaggio fra questo e altri mondi, fra la Coscienza
Ordinaria e gli Stati Alterati di Coscienza, è quel meccanismo che permette agli
sciamani e ai mistici di comunicare con lo Spirito.
La transe è l’antitesi della stasi, della stabilità, e già in questa sua definizione si
coglie l’enorme portata rigeneratrice del fenomeno, in qualunque epoca e
sotto qualsiasi forma essa si presenti: la transe come rottura dell’ordine
quotidiano, sospensione che permette di fuggire momentaneamente alla
pesantezza della vita, per sopravvivere.
Prima di analizzare brevemente attraverso quale percorso la transe sia giunta
fino a noi, vediamo cosa è la transe, un po’ più nello specifico.
Transe e Stati Modificati di Coscienza
La questione della transe si pone ancora oggi sulla scia degli studi di Ferguson6
sugli alterated states of consciousness, per cui risente di un’impronta
psichiatrica che non le rende affatto giustizia.
4 G. Lapassade, docente di Etnografia e Scienze dell’Educazione presso l’Università di Parigi, ha svolto numerose ricerche sulla transe in Africa, Brasile e nell’Italia del sud. Fra le sue opere: 1971, Il mito dell’adulto. Saggio sull’incompiutezza dell’uomo, Firenze, Guaraldi;1983, Saggio sulla transe,Milano, Feltrinelli; 1993, Stati modificati e transe, Roma, Sensibili alle foglie; 1994, Etnosociologia ed etnografia scolastica, Lecce, Madona Oriente; 1994, Intervista sul tarantismo, Lecce, Madona Oriente; 1996, Transe e dissociazione,Roma, Sensibili alle foglie; 1997, Dallo sciamano al raver, Milano, Urra. 5G.De Martino, 1997, Post-scrictum, Dallo sciamano al raver, Milano,Urra.
6 M.Ferguson, 1974, La révolution du cerveau, Parigi, Calman-Lévi.
31
Lapassade, antropologo francese che negli ultimi anni si è dedicato allo studio
delle istituzioni della transe, preferisce indicare quest’ultima come:
“...l’idea o l’immagine di una coscienza esplosa, aperta, altra da sé.
La transe, dunque, è l’”altra” coscienza.” 7
Usare il termine alterata significherebbe per quest’autore presumere
l’esistenza di una coscienza primaria , che verrebbe poi modificata, ma le
alterazioni che definiscono gli “stati secondi”, non sono affatto modificazioni
“secondarie”:
“Al contrario è la coscienza lucida ad essere seconda e ad essere una
coscienza mutilata, e nello stesso tempo asservita sia alle necessità
della produzione che alle esigenze dell’ordine. Al coscienza cosidetta
alterata è al contrario originaria, è la coscienza dello stato primario, e
non “secondo”, di fusione e indistinzione.”8
E la transe è proprio quel meccanismo che permette alla coscienza di rivelarsi
in tutta la sua interezza, senza il controllo delle regole “razionali” indispensabili
al normale svolgersi delle azioni umane legate alla sopravvivenza.
Ma mentre nell’antichità, e ancora oggi presso le culture tradizionali, esistono
momenti in cui questa coscienza può e deve disvelarsi, le culture occidentali
tendono a dimenticarsene, prese come sono dall’asservimento ai ritmi del
tempo produttivo.
Il fenomeno della transe è stato fino a poco tempo fa di fatto studiato solo in
campo psichiatrico, con tutte le limitazioni e aberrazioni che ne sono seguite; il
fatto che lo stato di transe dia luogo ad un comportamento bizzarro del corpo
ha fatto sì che venisse associata, nel recente passato del nostro mondo
occidentale, alla follia, alla malattia mentale, comunque a comportamenti
patologici.
“La transe è, innanzitutto, un comportamento motorio diverso dal
solito. Per l’osservatore occidentale, essa è un sintomo psicopatico.
Ma latrove, tradizionalmente, nella cultura religiosa e popolare, essa è
o l’estasi del corpo , oppure l’intervento di un dio, di uno spirito, di un
“demone” che cavalca il corpo dei posseduti.”9
7 G. Lapassade,1997, Dallo sciamano al raver, Roma, Sensibili alle foglie, 1997,p.197.8 Ibidem, p.197.9 Ibidem, p.198.
32
Anche nel mondo occidentale, che ha oggi perduto la sua memoria, era un
tempo un fenomeno normale, legato alla vita dell’uomo e alla sua spiritualità.
Ciò che è importante comprendere è che la transe non è un fenomeno
patologico, ma un normale fenomeno la cui base è neurofisiologica, corporale;
su questa base neurofisiologica ogni cultura ha poi costruito la sua transe, nelle
varie istituzioni che vedremo fra poco.
La transe sono, secondo il modello della stimolazione transmarginale elaborato
da Sargant10 nel 1957:
“...delle risposte del sistema nervoso centrale a diversi gradi di
stimolazione o inibizione che debordano da ciò che il corpo e
preparato ad affrontare. Questo “debordare” dissesta l’organismo fino
all’isteria e alla sincope. La fatica, le droghe, i cambiamenti
ghiandolari, possono abbassare la resistenza del soggetto fino a tali
esiti estremi”11
La transe è, insomma, tutto quell’insieme di Stati Modificati di Coscienza (SMC)
che comprende l’estasi, il sogno e il sonno, l’ipnosi, gli stati isterici di
dissociazione, le aberrazioni provocate dagli psicofarmaci, il delirio,
l’isolamento sensoriale.
1.2 Alcuni tentativi di sintesi
La maggior parte degli studi relativi agli SMC tendono generalmente a
prendere in esame fenomeni specifici, come l’ipnosi, la meditazione, la
possessione, mentre rimangono rare le ricerche che tentano di integrare i vari
aspetti del fenomeno.
Anche quando ciò accade si ha una netta divisione fra le varie discipline,
cosicché gli unici tentativi di sintesi sugli SMC, seppure molto interessanti,
vengono compiuti separatamente da psicologi , sociologi o antropologi: una
teoria generale sugli SMC resta da fare.
Fra questi tentativi di sintesi i più interessanti sono quelli di Shutz12 con la sua
fenomenologia delle realtà multiple, le sintesi psicologiche di Charles Tart13 e di
Arnold Ludwig14, e infine i saggi di stampo antropologico di Erika Bourguignon e
di J. P. Valla. Vediamoli brevemente.
10 W. Sargant, 1957, Battle for the Mind, Maryland, Penguin Books.11G. Lapassade, op.cit., p.199.12 A.Shutz, 1987,Le chercheur et le quotidien, Paris, Méridiens.13 C. Tart, 1969, Alterated States of Consciouness,New York, John Wiley; 1977, Stati di Coscienza, Roma, Astrolabio.14 A.Ludwig, 1968, Alterated States of Consciouness, in Trance and Possesion States, Montreal, ed.Raymond Price.
33
Shutz parte, nella sua analisi, descrivendo quello che è l’atteggiamento
naturale” dell’uomo nel mondo, quella “coscienza ordinaria di veglia”, quella
norma dalla quale ci si possa poi staccare.
Garfinkel suggerisce l’immagine del viaggio oltre una terra ferma dalla quale si
può partire e poi ritornare:
“Le scene familiari delle attività quotidiane...forniscono il “punto
fisso”, il “c’est ça” al quale torniamo negli stati di veglia, e sono i
punti di partenza e di arrivo per ogni modificazione del mondo
quotidiano che si compie nel gioco, nel sogno, nella transe, nel teatro,
nella ricerca scientifica e nelle grandi cerimonie.”14
Shutz individua gli aspetti fondamentali di questo “atteggiamento Naturale”
dell’uomo nel mondo:
1. Una tensione specifica della coscienza, legata all’idea di “attenzione alla
vita”(attenzione attiva).
2. Una epochè specifica, cioè la sospensione del dubbio .
3. Una prevalente forma di spontaneità, in modo specifico il movimento
corporeo.
4. Una specifica forma di percezione del proprio Io come “Io totale”.
5. Una forma specifica di socialità, il mondo comune dell’intersoggettività,
dell’azione sociale e della comunicazione.
6. Una prospettiva temporale specifica di tempo comune.
Partendo da questo atteggiamento naturale, caratteristico degli SOC (Stati
Ordinari di Coscienza), si possono descrivere altrettanti aspetti degli SMC, vale
a dire:
1. Una tensione decrescente e una diminuzione dell’”attenzione alla
vita”(attenzione passiva ).
2. Un’epochè di transe, una messa fra parentesi del mondo del lavoro.
3. Una spontaneità di transe, il corpo della transe.
4. Un Io diviso, dissociazione, identità di transe.
5. Esperienze tanto di solitudine che di relazione all’altro.
6. Durata pura, contratta o dilatata.
14A.Garfinkel citato in G. Lapassade, 1997, Stati modificati e transe, Roma, Sensibili alle foglie, p.74.
34
Ora, come è possibile il passaggio fra SOC e SMC? Shutz usa il termine “salto”,
“trauma”, ma non spiega come questo possa prodursi o svilupparsi, non
affronta il problema dell’induzione, non parla di droghe, di ipnosi, o delle varie
tecniche della transe, limitandosi a descrivere le situazioni in cui questo
passaggi avviene. E questo è un grande limite della pur interessante teoria di
Shutz.
Le sintesi proposte dalla psicologia americana risentono fortemente
dell’influenza dell’esperienza psichedelica, ma non per questo non sono valida
dal punto di vista scientifico.
A.Ludwig sottolinea il fatto che i caratteri fondamentali degli SMC variano da
cultura a cultura, ma individua i dieci tratti fondamentali di tali stati15:
1. Modificazione del pensiero, con maggiore attenzione verso l’interno, disturbi
alla memoria e alla capacità di concentrazione.
2. Disturbi nella percezione del tempo.
3. Perdita del controllo, possibilità di perdita del controllo cosciente per il
raggiungimento della verità.
4. Mutamenti nelle emozioni, minor controllo, minore inibizione. Possibilità di
distacco ed emozioni più “primitive”.
5. modificazione nella percezione del corpo, spersonalizzazione, sensazioni di
integrità, di trascendenza, scissione corpo-spirito.
6. Distorsioni percettive, allucinazioni, anche determinate dalla cultura, dal
gruppo, da fattori neurofisiologici.
7. Modificazione del senso e della significazione. Maggiore importanza
all’esperienza soggettiva, alle idee e alle percezioni. Illuminazione,
intuizione, crescita del significato.
8. Ineffabilità dell’esperienza. Difficoltà a ricordarsene o a comunicarla.
9. Impressione di ringiovanimento e di nuova speranza.
10. Ipersuggestionabilità, maggiore propensione ad ubbidire agli ordini di un
capo o delle aspettative culturali.
Ludwig, a differenza di Shutz, distingue anche cinque tipi di situazioni in grado
di produrre SMC:
1. Diminuzione dell’attività motoria, delle stimolazioni eterocettive,
deprivazione sensoriale, esposizione a stimoli ripetitivi e monotoni ( ipnosi,
stati mistici e ascetici, letargia).
2. Aumento dell’attività motoria ,degli stimoli eterocettivi, dell’emozione
( danza, stati mentali di eccitazione, transe ipercinetica, raduni di folle...).
15 Ibidem, p.78.
35
3. Ipervigilanza, asseto mentale convergente e selettivo (preghiera,
coinvolgimento totale nell’ascolto di un’orazione...).
4. Diminuzione della vigilanza, stato mentale passivo e diminuzione della
capacità critica.
5. Modificazione nella neurofisiologia e nello stato chimico del corpo
(assunzione di droghe ma anche assopimento, disidratazione, anoressia,
mancanza di sonno...).
Il raggiungimento dello stato di transe è determinato, secondo Ludwig, dal
concorso di diversi fattori, il cui grado di presenza e la cui specificità determina
il carattere della transe.
Così diversi fattori concorrono al raggiungimento della transe in società
diverse, ma anche nella stessa società in diversi tipi di transe, e nello stesso
soggetto in diverse occasioni.
Ludwig, inoltre, individua negli SMC due diverse funzioni: si hanno infatti
funzioni di disadattamento e funzioni adattive. La transe può infatti svolgere
una funzione di difesa in situazioni minacciose per la coscienza, e risolvere
conflitti emozionali non affrontabili dal soggetto, con fughe ed amnesie.
E’ questa la funzione adattiva della transe, spesso non riconosciuta in
Occidente, ma che, come ci insegna l’etnopsichiatria, in culture differenti dalla
nostra, viene considerata benefica per l’individuo e per la società.
Sempre di stampo psicologico è il modello sistemico proposto da C. Tart nel
1975, che prende in esame i lineamenti fenomenologici degli SMC, descrivendo
di volta in volta le modificazioni provocate dalla transe:
“Si constatano, anzitutto, dei disturbi nella concentrazione, nella
memoria, nell’attenzione, nelle valutazioni- con regresso a modi di
pensare più arcaici[...]Il senso del tempo può venir perturbato da
impressioni di arresto del tempo, da accellerazione o rallentamenti, il
trascorrere del tempo può apparire d’una durata infinita oppure, al
contrario, infinitesimale.”16
Altri punti focali dell’indagine di Tart ci insegnano che si hanno cambiamenti
rilevanti nell’espressione delle emozioni, che l’immagine del corpo può subire
distorsioni eche anche il senso dell’identità personale può essere
compromesso dalla transe, della quale l’inconscio è la dimensione essenziale;
in realtà egli preferisce parlare di subconscio, intendendo con questo termine
non solo il subconscio freudiano, ma anche un subconscio creativo, più olistico
16 G. Lapassade, op.cit., p.78.
36
che analitico, legato al funzionamento della parte destra del cervello, quello
preposto all transe.
Infine diamo uno sguardo ai tentativi di sintesi antropologica di E. Bourguignon
e di J.P. Valla.
La Bourguignon affronta il problema della transe seguendo una via assai
diversa da psicologi come Tart e Ludwig, e propone un saggio di sintesi nel suo
“Trattato di antropologia psicologica” del 1979, organizzando la sua sintesi su
rituali che implicano la presenza di due grandi categorie della transe: la transe
con visioni dello sciamano e le transe rituali di possessione.
“Le transe con visioni si incontrano generalmente nei gruppi etnici
meno complessi che vivono di caccia, pesca e raccolta. Esse possono
essere provocate con mortificazioni del corpo di vario tipo,
l’isolamento e la deprivazione sensoriale ad esempio, nella ricerca di
visioni degli Amerindi, o con allucinogeni.[...]Le transe di possesione
rituale s’incontrano in quei gruppi etnici più complessi la cui vita
dipende sopratutto dall’agricoltura o da una combinazione di
agricoltura e pastorizia.”17
Questi diversi tipi di transe sono, secondo l’autrice, risposte a stress che
differiscono secondo le forme sociali la posizione dei gruppi nelle varie società,
e se la transe visionaria dello sciamano è principalmente un’esperienza
personale, la transe di possessione diviene una pubblica performance, che
abbisogna di un pubblico.
La particolarità degli studi della Bourguignon sta nel fatto che ella si è
preoccupata di studiare gli SMC nei loro contesti e nelle loro consuetudini
culturali, andando oltre le analisi “di laboratorio” degli psicologi.
Infine J. P. Valla18 nota presenta una tipologia dei differenti atteggiamenti
addottati dalle varie società nei confronti delle esperienze indotte
dall’assunzione di sostanze allucinogene, e quindi, per esteso i differenti
atteggiamenti verso gli SMC.
Se in alcune società la transe è un fatto comune cui tutti possono accedere,
come nel caso delle società che ammettono i culti di possessione, in altre gli
SMC vengono ritenuti patrimonio di pochi “specialisti”, ed è questo il caso degli
sciamani e dei medium.
In altri casi lo SMC non è utilizzato solo su scala individuale, ma, attraverso la
mediazione del profeta, diviene fattore scatenante di movimenti sociali, come
nel caso delle culture della crisi e nelle varie forme di messianesimo.17 E.Bourguignon, 1979, Psychological Anthropology, cit. in G. Lapassade, 1996, Stati modificati e transe, Roma, Sensibili alle foglie, p.86/87.18 Valla J.PP.,1983, L’expérience hallucinogéne, Paris, Masson.
37
E se in molte società gli SMC sono associati ai riti di passaggio e divengono
esperienza di tutti almeno una volta nella vita, alcune società vedono con
sospetto gli SMC, come nel caso della caccia alle streghe, che in Europa tra il
XIV e il XVI sec. , portò all’eliminazione di quasi ogni forma di transe rituale.
E nel mondo occidentale? Secondo Valla per la società occidentale gli SMC
sono la follia, pur se a partire dal movimento psichedelico qualcosa è cambiato.
Certo è che la razionalità occidentale ha emarginato nell’irrazionale qualcosa
che in tempi diversi godeva di ben altro statuto.
1.3 Breve storia della transe
Per meglio comprendere il valore e il peso del recupero della transe ai giorni
nostri, e la sua presenza durante i rave, occorre fare un passo indietro, e
vedere come la transe si sia presentata nelle varie epoche, come sia stata
interpretata.
“La transe è un comportamento del corpo. Nello stesso tempo, come
tutti i comportamenti, essa è, fin dall’origine, modellata dalla cultura.
Ma non basta enunciare questo principio generalmente ammesso: la
determinazione culturale della transe è diversa, non solo a seconda
delle culture, ma anche dei momenti storici. La transe, quale oggi si
può osservare in certe cerimonie descritte dagli etnologi, è un
comportamento rituale estremamente complesso, surdeterminato,
surcodificato: essa racchiude nei gesti, nelle forme espressive, negli
atteggiamenti, una stratificazione di modelli che sono stati elaborati
in diversi momenti.” 19
La possessione
Tra le varie istituzioni della transe il culto di possessione è stato in particolare
studiato, fin dall’inizio di questo secolo, a partire dagli studi sul condomblè di
Bahia e sul vodu di Haiti; in seguito le ricerche si sono moltiplicate, e
disponiamo oggi di numerose descrizioni di questi riti.
H. Jeanmarie presenta un riassunto sintetico dei punti acquisiti della materia:
“E’ una caratteristica costante che il posseduto, qualunque sia
l’ambiente della setta e il gruppo linguistici cui appartengono gli
19 Clèment-Cixous, 1975,,citato in G. Lapassade,1997, Dallo sciamano al raver, Milano, Urra, p.LIV.
38
adepti, fa da “cavallo” allo spirito possedente. Si dice che un tale è il
“cavallo” di questo spirito.”20
Ma la nozione di possessione diabolica appare fin dal 1694 in seguito all’affare
delle “ossesse di Loudun”, scoppiato nel 1632, quando alcune suore Orsoline
manifestarono segni di crisi individuale poi esplosa in numerosi casi di
possessione da parte del Demonio; allora con possessione diabolica si
indicavano infatti quei casi in cui un essere umano è abitato e diretto da un
essere soprannaturale e malefico:
“Il detto padre avendo preso la detta sorella degli Angeli e comandato
a Leviathan di apparire, il viso le è diventato ridente e grazioso in
modo straordinario...Ed essendo incitato ad obbedire , il viso grazioso
qual era nella su detta sorella si è tramutato in maniera assai furiosa,
ed è stato agitato da violentissime convulsioni. E l’esorcista, sempre
continuando, a invitato pressamente Leviathan a riferire il suo patto.
E’ stato detto alla sorella : a chi pensi tu di parlare?
Interrogato: “chi sei?”
Ha detto “Behemôt”
Al che l’esorcista ha fatto comando a Behemôt di ritirarsi ed a
Leviathan di salire nella testa della sorella...” 21
Ma basta togliere l’aggettivo “malefico ”attribuito alla divinità soprannaturale e
avremo il significato etnologico della possessione, in cui la divinità in
questione non ha affatto attributi malefici, come nel caso di culti di possessione
africani nei quali, non esistendo una netta distinzione fra Bene e Male,
caratteristica dei culti cristiani, la possessione non può essere opera del
diavolo. Lo stesso discorso vale per il concetto di possessione legato alla civiltà
greca antica.
Non esiste una netta equivalenza fra possessione e transe, e ciò è evidente in
alcuni culti africani, in cui la possessione non è necessariamente
accompagnata da forme di transe collettive.
Una equivalenza fra possessione e transe sarebbe riduttiva quanto
l’interpretazione medianica della stessa: possessione e transe diabolica non
sono che categorie della transe, e le definizioni in base al comportamento
convulsivo del corpo sono assai limitative.
20 H. Jeanmarie, 1972, Dionisio. Religione e cultura in Grecia, Torino, Einaudi, p. 119.21 Lettera di Killygrew, citata in G. Lapassade, 1997, Dallo sciamano al raver, Roma, Sensibili alle foglie, p. 79.
39
Occorre superare e integrare le interpretazioni del fenomeno della transe
caratteristiche del momento “magnetico” e momento “etnologico”, facendo
così “esplodere” il concetto: il materialismo isterico, sostenuto fortemente da
G. Lapassade , cerca di spiegare cosa oggi la transe significhi, seguendo un
approccio genealogico.
Lo sciamano
Il termine sciamanesimo è in primo luogo collegato alla religione di certe zone
della Siberia e della Mongolia (il termine deriva dalla parola tungusa shaman),
caratterizzate dal culto della natura e degli spiriti e ha quindi un’origine
geografica ben precisa, ma il termine è stato poi utilizzato per designare la
figura centrale di molte altre religioni, specie quelle africane e sudamericane.
“Lo sciamanesimo è la pratica della tradizione, che risale al Paleolitico
superiore, di guarigione, di divinazione, di recitazione teatrale basate
sulla magia naturale, nate e cresciute in un periodo che va da
diecimila a cinquantamila anni fa.[...]che lo sciamano sia un Inuit
abitante dell’Artico, o un Witoto dell’Amazzonia superiore, certe
tecniche e certe aspettative sono le stesse. Tra questi fattori
invariabili il più importante è l’estasi...[...]Eliade ha dimostrato come,
mentre i temi specifici possono variare tra le diverse culture, e perfino
tra individui, risulta chiara la struttura generale dello sciamano: come
neofita lo sciamano subisce una morte simbolica seguita da una
resurrezione, intesa come trasformazione radicale in una condizione
sovraumana. ”22
La transe e l’estasi dello sciamano non vengono spiegate con l’intervento di
entità superiori, lo sciamano non è un posseduto, come ci illustra M. Eliade:
“Una prima definizione di questo fenomeno complesso, quella, forse,
che ancora è al meno azzardata, potrebbe essere:
sciamanismo=tecnica dell’estasi.[...]Benchè lo sciamano sia, fra
l’altro, un mago, non ogni mago può essre qualificato come sciamano.
La stessa precisazione si impone nel riguardo delle guarigioni
sciamaniche: ogni medicine-man è un guaritore, ma lo sciamano
utilizza una tecnica propria solo a lui. Quanto alle tecniche
sciamaniche dell’estasi, esse non esauriscono tutte le varietà
dell’esperienza estatica attestate dalla storia delle religioni e
22 T. Mc Kenna, 1995, Il nutrimento degli dei, Milano, Urra, p.5.
40
dall’etnologia religiosa: non si può dunque considerare un qualsiasi
estatico come uno sciamano; questi è lo specialista di una transe
durante la quale si ritiene che la sua anima può lasciare il corpo per
intraprendere ascensioni celesti o discese infernali.”23
Lo sciamano insomma compie, attraverso la transe, un viaggio spirituale, che
gli permette di mettersi in contatto con gli dei, gli spiriti o i demoni:
“Occorrerebbero diversi volumi per studiare adeguatamente tutti i
problemi che si pongono in relazione all’idea stessa di spirito e dei
suoi possibili rapporti con gli essreri umani...Ma lo studio dello
sciamanesimo non esige tutto questo: basterà fissare la posizione
dello sciamano nei confronti dei suoi spiriti ausiliari. Ad esempio si
vedrà facilmente che uno sciamano si distingue da un ossesso: egli
domina i suoi “spiriti” nel senso che lui, essre umano, riesce a
comunicare con i morti, coi “demoni”, con gli “spiriti della natura”,
senza per questo trasformarsi in loro strumento.[...]Gli sciamani sono
degli eletti, e come tali hanno accesso ad una zona del sacro
impenetrabile per gli altri membri della comunità.” 24
Anche Lapassade sottolinea la differenza fra l’estasi sciamanica e la
possessione, interpretando i fenomeni psicosomatici osservati:
“...nello sciamanismo, la transe ha per finalità l’uscita da se (ék-
stasis) e l’ingresso nella sfera della divinità, il viaggio dell’anima.
Nella possessione, al contrario, sono gli dei che entrano nei loro
“cavalli”.”25
La figura dello sciamano si trova presso tutte le popolazione primitive, e ,se
non è l’unica figura della transe presso tali popolazioni, è tuttavia la più
elaborata.
La transe dispotica
La transe è, in epoca preistorica, un fenomeno individuale, così come l’estasi
mistica dello sciamano. Solo quando lo Stato, nella sua forma primaria,
comincia ad esistere, si assiste alla collettivizzazione della transe: il potere
23 M. Eliade,1953, Lo sciamansimo e le tecniche arcaiche dell’estasi, Roma,-Milano,Fr. Bocca Editori, pp.18/19.24 Ibidem pp.19/2025 G. Lapassade, op.cit.,pp.9
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organizzatore si è dovuto impadronire della transe, per servirsene allo scopo di
mantenere l’ordine costituito.
La transe collettiva assume la forma di una transe di possessione, non vi è più
il rapporto duale caratteristico dei riti iniziatici, ma si assiste alla nascita di riti
ipnotici e sonnanbolici, come i grandi rituali dell’Africa occidentale (Fon,
Yoruba) e in maniera minore i rituali afroamericani quali il condomblè.
Il legame fra transe collettiva e dispotismo è molto evidente nei grandi imperi
di tipo non feudale, ma asiatico, caratterizzati da un potere totale, capace di
manipolare l’uso della transe.
“In questo momento del dispotismo l’ipnosi, accompagnata o no
dall’uso delle droghe, è diventata un elemento essenziale della messa
in transe, del condizionamento e dell’iniziazione. Per riuscire a
spiegare il capovolgimento che si è verificato nella storia della transe,
e che rimane leggibile nelle grandi transe rituali di oggi, nelle
istituzioni della possessione di tipo africano, non è sufficiente
descrivere queste analogie far il comportamento estatico e il
comportamento ipnotico[...].E’ necessario anche mettere questo uso
manipolato della transe in rapporto con una forma determinata di
potere politico che può essere definita[...]come un potere totale.” 26
Nei rituali originati dalla diaspora dei neri d’Africa, come il suddetto condomblè,
la macumba e la derdeba, all’eredità specifica del dispotismo ( in cui si ha una
transe rigida, controllata e senza alcuna funzione terapeutica), si mescolano
altre sedimentazioni storico-culturali, come la teatralizzazione della transe e il
concetto di possessione diabolica caratteristico dell’epoca feudale.
Dalla transe profetica alla funzione terapeutica
Attorno al VI sec. a.C., si assiste al declino del dispotismo orientale, e con
questo, all’attenuarsi della transe dispotica.
Il corpo non è più sottomesso a condizionamenti e comandi programmati, e si
assiste così alla nascita della transe profetica : il profetismo ebraico e il
menadismo greco, prima, e la transe araba poi, la quale è sopravvissuta fino ai
giorni nostri attraverso le confraternite arabo-islamiche.
Parallelamente nasce anche la transe catartica e drammatica dei culti di
Dionisio, che rappresenta una nuova fase nello sviluppo della transe: nel rito
cominciano a infiltrarsi i bisogni individuali.26 Ibidem, p. LVII.
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Il sistema greco della schiavitù rende più complessa , più conflittuale la società,
la stratificazione in schiavi e uomini liberi fa sì che i riti di possessione
assumano una funzione di ribellione.
A Roma, nel II sec. a.C. quei culti verranno repressi: la danza di possessione
era stata fino a quel momento alleata dei poteri tradizionali, diventa ora
strumenti di ribellione.
“Pressochè in ogni fase della sua storia, la transe è legata alla lotta di
classe.[...]Presso i Greci la contrapposizione Dionisio e Apollo è la
contrapposizione fra dominati e dominanti: Ciò diventa
particolarmente visibile a Roma, con la repressione della transe
dionisiaca.[...]Secondo Tito Livio, più di settemila persone, uomini e
donne, sarebbero state implicate nella congiura. [...]Vi fu un gran
numero di esecuzioni capitali. Venne ordinata la distruzione, ovunque,
dei luoghi di culto (i Bacchanalia) pubblici o privati, col divieto di
costruirne altri. Va detto, tuttavia, che Bacco non è il diavolo, e che
non siamo ancora esattamente all’epoca dell’Inquisizione...” 27
E’ la transe catartica, liberatoria, nella quale si introduce il gioco, l’arte
drammatica; l’infiltrazione dei desideri individuali nella celebrazione degli dei
indica che la transe ha ora una funzione terapeutica.
Transe satanica
Nel medioevo Dionisio diventa il Diavolo. Attraverso un lungo processo che
raggiunge il suo culmine nei sec. XVI e XVII, si assiste in Europa alla
demonizzazione della transe, ad opera della religione Cristiana imperante: la
religione decaduta diventa stregoneria per quella imperante.
La transe popolare diventa così una pratica demoniaca, condannata e
perseguitata dall’infernale macchina dell’Inquisizione.
La strega cade in transe, sotto l’effetto di erbe allucinogene quali lo stramonio,
la belladonna e l’aconito: per il potere ecclesiastico ella non è che la schiava
del Demonio, del nemico di Dio.
J. Michelet, nella sua opera “La strega”, propone una ricostruzione storica e allo
stesso tempo romanzata della stragoneria e della nascita del sabba:
“Le vecchie danze pagane probabilmente infuriarono allora più che
mai.I nostri negri delle antille, dopo un giorno orribile di calura, di
fatica, andavano pure a ballare sei miglia lontano. Così faceva il
27 Ibidem, pp.35/36
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servo. Ma alle danze si mescolavano probabilmente certe allegorie di
vendetta, farse satiriche, beffe e caricature del signore e del prete.
Tutta una letteratura notturna, che non ebbe punto a che fare con
quella del giorno...Ecco quel che significavano i sabba prima del 1300.
Perché assumesse la stupefacente forma di una guerra dichiarata al
Dio di quel tempo, ci vuole ancora di più, ci vogliono due cose: non
solo che si scenda al fondo della disperazione, ma anche che non si
rispetti più nulla. Questo avviene soltanto nel secolo XIV.”28
La demonizzazione della transe in Europa, e le sue ripercussioni su tutto il
mondo occidentale, spiegano la quasi totale scomparsa della stessa, e la sua
trasformazione in isteria.
Transe isterica
“L’isteria, nel modo di produzione capitalistico, ha sostituito la transe
diabolica. Non deve dunque meravigliare il fatto che il corpo in transe
metta in opera delle tecniche che si assomigliano nelle diverse fasi
della sua produzione, e che evocano per noi il corpo isterico: si
comprende ciò nel momento in cui si ammette quel processo di
produzione al termine del quale la transe, privata di ogni forma
specifica culturale e sociale di espressione nel contesto dl
cristianesimo e del capitalismo, trova il suo estremo rifugio in questo
estremo avatara.” 29
L’isteria è, insomma, una forma della transe, che si manifesta per la prima
volta nel XVI sec., nella transe isterico-diabolica degli ossessi di Loudun.
Isteria come ultima fase della transe, insomma, e da qui al divano di Freud il
passo è breve.
“Quando Freud e Brauer raccontano le tecniche terapeutiche che
usano per curare l’isteria, essi parlano di una lotta che è la stessa che
gli inquisitori organizzano su scala europea contro i demoni.”30
Transe planetarie
Cosa rimane oggi di tutte queste forme della transe?
28 J. Michelet, 1971, La strega, Torino, Einaudi, p.86.29 G.Lapassade, op.cit., p. LIX.30 Clément-Cixous, citato in G. Lapassade, 1997, Dallo sciamano al raver, Milano,Urra, , p.LIX
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Presso le culture tradizionali dell’ Indionesia, dell’Africa, dell’Australia e del Sud
America, i riti si ripetono uguali da migliaia di anni, ma la vita tribale e le
tradizioni rischiano di essere schiacciate dal peso del progresso occidentale, e
mentre in Europa rimane ben poco, oltre ad alcune forme di transe isterica,
come il tarantolismo pugliese, nel mondo musulmano e in America latina le
istituzioni della transe hanno invece conosciuto un’altra storia, pervenendo fino
ai giorni nostri e trovando ancora un vasto seguito popolare.
Ai fini del nostro lavoro ritengo più utile dare un’occhiata a quelle istituzioni
della transe che ci sono, diciamo così, più vicine: il fenomeno del tarantismo, i
rituali musulmani che attraverso l’immigrazione sono giunti nel vecchio mondo,
e il fenomeno dei nuovi visionari.
Il tarantismo
La danza dei tarantolati è stata studiata e documentata fin dal lontano XIV°
sec., perché proprio a partire da quell’epoca il fenomeno si sviluppò, non solo
nel Salento, ma in molte altre zone dell’Europa, dove prendeva il nome di
“ballo di S.Vito” o “ballo di S. Giovanni”.
Le zone colpite da fenomeni simili erano molte povere, e colpite ripetutamente
dalla peste e da altre epidemie. La danza dei tarantolati era l’unico mezzo a
disposizione della popolazione per liberarsi momentaneamente delle proprie
miserie e dei propri dolori.
Tutto nasce quando il Cristianesimo arriva in Puglia, e per conquistare la
popolazione deve adattarsi alle antiche credenze pagane: sulle rovine dei
luoghi di culto sorgono le chiese, i santi cristiani prendono le funzioni e gli
attributi delle divinità pagane, e le antiche usanze pagane, come la
processione, vengono adottate dal Cristianesimo.
C’è però qualcosa che la religione costituita non può accettare : i riti orgiastici
legati al culto del dio Dionisio, profondamente radicati nella cultura salentina,
che nonostante tutti gli sforzi della Chiesa, resistettero, sotto falsa maschera.
Probabilmente ci si riuniva di nascosto, , per ballare e praticare ancora quanto
legato agli antichi culti, ma tutto questo era peccato, da cui l’esigenza di una
maschera.
“Se il Tarantismo, che è un culto di possessione europeo, ha potuto
sopravvivere a questa repressione, ciò è dovuto al fatto[...]che esso
ha saputo mascherare se stesso: in questo culto la possessione è
diventata infezione dovuta al “veleno” della tarantola ed il rito di
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possessione una tecnica di terapia musicale apparentemente distinta
da ogni rappresentazione di ordine sovranaturale” 31
Secondo la credenza la “pizzica” era infatti l’unico rimedio contro il morso della
tarantola, ragno molto diffuso nell’antichità nella zona di Taranto, e da cui
prende nome la danza. E così chi danzava al ritmo del tamburello non era più
un peccatore, ma una vittima del ragno, che solo così poteva aver salva la vita.
Così, attraverso i secoli, l’eco del culto di Dionisio e la danza profana giungono
fino ai giorni nostri: ancora oggi infatti, il fenomeno resiste :certo sono in pochi,
pure in Salento, a ballare al ritmo della pizzica, ma ancora danzano.
Nel corso di una inchiesta sul tarantismo, nel 1959, E. De Martino e la sua
équipe scoprirono per caso, a Nardò, nel Salento, una tarantata, cioè una
donna che manifestava tutti i “sintomi” della “danza del ragno”; da questa
esperienza nacque un’opera molto interessante, perché frutto di
un’osservazione diretta di un fenomeno di transe in un contesto occidentale e
moderno, sopravvissuto fino ai giorni nostri grazie ad una “maschera”, come
abbiamo visto, ma grazie anche alle condizioni di arretratezza culturale e
sociale della Puglia del dopoguerra.
Il tarantismo è un fenomeno di transe tipicamente femminile, spesso associato
alla transe di possessione, ma nel quale non è difficile individuare il dispositivo
ipnotizzatore, rintracciabile nel rituale terapeutico:
“E davvero le cose si svolgevano sotto i nostri occhi come se si
trattasse di far sì che il corpo-taranta della tarantata si tramutasse in
corpo-strumento e quindi in corpo ritmico e melodico, per ristabilire
così il rapporto con qualche cifrato patire psichico.”32
Nella “danza del ragno” si rintracciano, in realtà, più le caratteristiche della
transe isterica, o meglio si ha una conferma dell’analogia fra isteria e transe
terapeutica:
“...ai primi accordi dei suonatori, la tarantata restò immobile sul letto,
ma al prorompere della tarantella un grido altissimo accompagnato
dall’inarcarsi del corpo a ponte sottolineò l’apertura della giornata
rituale. Era un arco isterico classico, di quelli che oramai si leggono
31 G. Lapassade,1997,Stati modificati e transe, Roma, Sensibili alle foglie, p.89.32 E. De Martino, 1976,, La terra del rimorso. Contributo a una storia religiosa Sud, Milano, il Saggiatore, p.68.
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solo nei libri: puntamento sui talloni e nuca ipertesa, braccia
semiflesse, corpo iperflesso.”33
Una nuova cultura visionaria
Nel 1858 a Lourdes, nel Nord della Spagna, ad una giovane ragazza apparve la
Vergine Maria e, benché altre apparizioni si fossero prodotte in precedenza
(famose sono quella di Fatima in Portogallo e quella di Medjugorje in Bosnia) fu
da quell’evento che si sviluppò una nuova cultura visionaria (NCV), studiata, fra
gli altri, da G. Lapassade.
Secondo Lapassade queste NCV prolungano tradizioni già stabilite, ma si
arricchiscono di nuovi e specifici caratteri, ancora poco studiati.
I visionari sono generalmente bambini, o adolescenti, che cadono, al momento
dell’apparizione in uno stato di transe presentate come estasi. Le apparizioni
della vergine sono spesso accompagnate da una visione di Satana, e dal
prodursi di stigmate.
G. Lapassade ha dicumentato alcune di queste apparizioni:
“La Domenica 31 maggio, la Madonna invita i presenti a guardare il
cielo. Si può allora osservare il sole girare vorticosamente su se
stesso, alternativamente nei due sensi, assumendo colori sempre
diversi.[...]Ma ecco che Satana farà la sua entrata in scena.[...]Si
scatena allora il finimondo. I ragazzi paiono indeminiati. Afferrano
ogni oggetto a portata di mano e lo scaraventano per terra. Spogliano
violentemente l’altare di ogni addobbo.”34
Questi tratti non si ritrovano sistematicamente in tutte le visioni, ma
definiscono l’ orizzonte culturale in cui tali apparizioni si verificano, a Lourdes
come a Oliveto Citra, nei pressi di Salerno, e come a Crosia, cittadina in
provincia di Cosenza.
I tratti essenziali di tali apparizioni fanno ritenere che si tratti piuttosto di un
fenomeno di transe, in quanto l’estasi si produce non nella solitudine, nel
silenzio e nell’immobilità, ma in mezzo ad una folla di pellegrini, con
l’accompagnamento di musica, a volte prodotta dagli stessi visionari.
33 Ibidem, pag. 70.
34 Lapassade, op.cit.,pp.118/119
47
Inoltre in questa NCV ritroviamo le grandi forme della transe religiosa: estatica,
sciamanica e diabolica, e ciò dimostra le diverse influenze e stratificazioni di
una transe moderna.
Alcune transe dal mondo arabo
Attraverso l’immigrazione sono giunti anche in Europa e nel mondo occidentale
riti e credenze islamiche, legati alla transe. I più diffusi fra questi rituali sono la
lila, e la danza dei dervisci roteanti.
La Lila è una cerimonia di origine sudanese, introdotta in Marocco dagli
Gnawa, confraternita di schiavi neri utilizzati come corpo militare elitario dopo
la disfatta dell’impero del Mali e del Songhai., fin dalla fine del XVI sec..
La diaspora verso i paesi del Maghreb ne accelerò l’islamizzazione, ma le
antiche pratiche sopravvissero in seno al sufismo nord africano.
Ancora oggi in Marocco queste pratiche sono tollerate, ma considerate con
disprezzo dalla “intellighenzia” locale.
“La Lila è una festa, E’ anche uno spazio di incontro, dove austeri veli
trasformati nei teli luminosi dei sette colori dell’ordine cosmico
“impressionano” il loro doppio celeste. La musica chiama gli dei: uno
ad uno questi geni si impadroniscono dei loro adepti, e li vestono dei
loro colori. La danza-transe comincia. Ogni incanto, ritmo, colore,
gusto e profumo corrisponde a un carattere, a un dio. La musica qui è
il filo sottile che collega il dicibile all’indicibile, il conosciuto allo
sconosciuto, il razionale all’irrazionale...” 35
La derdeba è il rituale completo della festa lila che dura da tre a sette notti, e
permette di rimettere la propria persona nell’ordine cosmico, grazie ad un
complesso gioco di corrispondenze. La Transe di possessione è in questo caso
un ritorno ai propri principi costitutivi, psichici, mentali e spirituali.
La lila è una cerimonia di musica e danza, basata sulla credenza negli jnoun (i
geni, gli spiriti) che diviene catarsi, liberazione e terapia, attraverso
l’espressione ritmica del corpo e il senso dell’umorismo, considerato dagli
Gnawa in grado di “aprire lo spirito”.
35 A. Baldassarre,1996, I neri dell’Islam, in G. Gallina (a cura di) , Transe - Il passato remoto della musica del futuro, Mialno, Virus-Musica 90, p.9.; la “lila” ha fatto il suo ingresso nel mondo occidentale, come altre cerimonie appartenenti al mondo islamico; in Italia il rituale completo è stato per la prima volta realizzato nella Cascina del parco delle Vallere, a Torino, durante la settima edizione di Musica 90- Dalle nuove musiche al suono mondiale.
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Si tratta di una cerimonia pubblica e segreta allo stesso tempo, durante la
quale si assiste talvolta a guarigioni miracolose e a fenomeni di
chiaroveggenza, considerati come “stati di grazia”, doni divini.
La danza dei Dervisci roteanti si distingue per la sua carica fortemente
spettacolare, e proprio per questo è forse la cerimonia islamica più conosciuta
nel mondo occidentale.
Anch’essa ha tuttora una valenza strettamente religiosa, essendo una vera e
propria preghiera, pur se celata sotto ad una vera e propria opera artistica di
musica, poesia e danza.
Con il termine dervisci si indica gli appartenenti a una confraternita mistica
sufi, la cui tradizione, diffusa soprattutto in Turchia, ma anche in Siria, Egitto e
Irak, risale fino al XVI sec.; i dervisci seguono le regole del Corano, che esorta a
seguire la pratica del “dikr”, cioè alla ripetizione del nome di Dio attraverso
cantilene e recitazioni ripetitive, ma aggiungono a questa pratica comune un
nuovo elemento: il movimento.
Come la ripetizione e la cantilena aiutano la concentrazione , così certi
movimenti del corpo, ripetitivi e circolari, favoriscono il raggiungimento
dell’ascesi mistica e della transe.
Accompagnato dal suono di flauti, cimbali, chitarre e diverse percussioni, il
rituale Sama inizia col canto dello scheik, maestro rituale, seguito dai tre
munschiddin, che elogiano il profeta Maometto. A questo punto, accompagnati
da un assolo di flauto i tre danzatori lasciano cadere il mantello nero e
scoprendo gli abiti bianchi stretti in vita da un’alta cintura, e cominciano la loro
originalissima danza roteando sul proprio asse in senso antiorario. Le vesti si
alzano formando ampi cerchi nell’aria, dando vita ad una rappresentazione
dell’unione fra cielo e terra, e a una simulazione dell’ordine cosmico.
La perfezione estetica preannuncia il prossimo raggiungimento dello stato di
transe.
1.4 Recupero della transe nel mondo occidentale
Qualche centinaio di giovani in maglietta Adidas e felpa col cappuccio ballano
fino a mattino in un capannone alla periferia di una grande città dell’Occidente;
danzatori balinesi ripetono gli stessi gesti dei loro avi, sulle alte scogliere
battute dal vento; a Bhaia, in Brasile, dove si intrecciano le religioni africane
delle origini e il Cristianesimo, le sacerdotesse del condomblè cadono in transe
ripetendo gesti in cui le pratiche cristiane si mescolano alle religioni africane
esplose.
Cosa accomuna tutti questi rituali, quale il filo che unisce il raver al sacro
danzatore congolese?
49
Sebbene, come abbiamo visto, la transe collettiva e terapeutica tenda a
scomparire, negli ultimi anni si assiste, anche nel mondo occidentale, ad un
rinnovato interesse nei confronti della transe, evidente in movimenti come
quello per il potenziale umano e nel recupero della transe da parte di quella
parte della controcultura che la pone in una prospettiva nuova e innovativa: la
transe come scarica, tecnica liberatrice per un inconscio serbatoio di desideri,
oltre che di demoni.
Si sta assistendo insomma alla forte diffusione di uno spiritualismo, che oltre la
sensibilità New Age, assume forme originali e nuove, sganciate dal peso delle
grandi religioni monoteiste che per secoli hanno schiacciato l’Occidente (e non
solo...) con le loro dottrine ferree.
Si assiste alla nascita di una spiritualità diversa, necessaria a coprire i vuoti
lasciati dalla crisi della razionalità e dell’industrialismo (e delle grandi religioni),
una spiritualità dotata di connotazioni tribali e primitivistiche, che ha nella
transe il suo fondamento.
Recupero della transe in Occidente, come nuova forma di avvicinamento al
divino, quando le regole e la cultura ufficiale non sanno, non possono, più dare
risposte.
Transe liberatoria, che avvicina al divino e allo stesso tempo libera l’uomo da
quelle sovrastrutture che non gli permetterebbero di guardare oltre i pregiudizi
e la diversità di pensiero della propria cultura.
Questo accomuna il raver che saluta il Sole con l’Ecstasy nelle vene e la
fratellanza nel cuore a tutti gli Uomini e alle culture che ancor oggi, e prima di
oggi, si sono abbandonati ai piaceri (e agli Inferni) della transe: la ricerca di uno
stato di consapevolezza dell’importanza dell’”esserci qui e ora”, quel senso di
totale armonia con la Natura, quel sentirsi parte del Cosmo. Ed è tutto questo
che rende così interessante il fenomeno della techno-transe.
1.5 Techno transe
Cosa è esattamente la “techno transe”? E’ questa la questione di fondo che
negli ultimi tempi ha animato numerosi dibattiti, in seguito all’esplodere del
fenomeno rave, al quale la “techno-transe” è indissolubilmente legata.
Fra le ricerche sulla questione vorrei ricordare le preziosissime opere di tre
studiosi francesi, già ricordati più volte nella mia opera: C. Fontana, A. Fontaine
e il sempre presente, quando si tratta delle istituzioni della transe, G.
Lapassade.
Cos’è insomma lo stato di rave? Si tratta di un tipo di transe, se di transe si
tratta, già conosciuto?
50
“Diversi dispositivi messi in opera nell’organizzazione della festa
mirano a creare una rottura con il quotidiano. Il rave in questo senso
è un rituale che permette e organizza il passaggio da uno stato di
coscienza a un altro. ”36
“L’uso della parola transe ha[...]il pregio di situare la ritualità rave in
una prospettiva di pratiche che sono vecchie come l’umanità: lo
sciamanesimo, le possessioni ritualizzate, le estasi dei mistici. Questo
non significa ricercare in questi fenomeni la chiave per
l’interpretazione della transe nei rave, ma solamente ricordare che
un grande numero di società sono ricorse all’alterazione volontaria
della coscienza ordinaria in contesti ritualizzati. La transe è stata vista
dunque da molte società come una risorsa, uno strumento in più. Ed è
esattamente ciò che succede durante i raves. Il punto centrale della
discussone è esattamente questo: come si può spiegare oggi questa
ricerca massiccia e deliberata di stati di transe? ”37
In questi passaggi Fontana e Fontaine notano una deliberata ricerca di stati
alterati nel dispositivo rave, mentre Lapassade si spinge oltre, introducendo un
legame fra il rave e altre ritualità transferiali, ricordando la funzione della
transe come risorsa e chiedendosi perché proprio ora riaffiori l’esigenza di
ricercare stati altri.
Gli autori qui non mettono affatto in dubbio l’esistenza di una techno-transe, e
si preoccupano piuttosto di indagarla, sempre tenendo conto che:
“...non voglio sostenere che tutti i ravers sono alla ricerca esplicita di
stati di transe, ma è indubitabile che per molti sia importante proprio
l’uscita dalla coscienza ordinaria”38
Come ci ricorda Lapassade, gli SMC divengono delle transes effettive quando
una società sceglie di coltivare questo o quell’altro stato, da cui si deduce che,
essendo i raves organizzati proprio in modo da sfuggire a ogni logica di
condizionamento culturale e sociale ordinario, per fare esperienza di stati non
ordinari, li si possa accomunare ai rituali di transe tradizionali.
Il rave allora come rituale di transe, transe che non può essere indotta in modo
automatico: asserire che tutti i ravers che si recano ad un raduno cadranno in
transe è assolutamente folle.
36 A. Fontana e C. Fontaine, 1997, Raver, Roma, Sensibili alle foglie, p. 22.37 G. Lapassade, Dallo stato di dikr allo stato di rave -La questione della transe nel movimento techno , in G. Gallina (a cura di), Trance-Il passato remoto della musica del futuro, Milano, Virus Production-Musica 90, p.40.38 Ibidem, p. 40.
51
Lapassade ci ricorda che la transe risponde ad una disposizione neuro-
psicologica che l’individuo ha in sé: un soggetto, pur anche sottomesso ad un
condizionamento estremo, è più o meno disposto culturalmente e
intellettualmente a entrare in transe. E grande gioco hanno i condizionamenti
psicologici e fisiologici: non tutti sono in grado di raggiungere lo stato di transe,
e certo non tutti allo stesso modo.
“L’induzione di uno SMC presuppone il ricorso a delle azioni
psicologiche e/o fisiologiche che destabilizzano la struttura dello stato
di coscienza ordinario. Questa struttura, a seconda degli individui, è
più o meno solida. Lasciarsi andare alla transe significa in primo luogo
accettare di mettere temporaneamente in discussione la propria
coscienza ordinaria. ”39
Come dire che non tutti i ravers accetteranno di guardarsi dentro, specie se in
quel determinato momento non si sentono in forma, hanno problemi personali,
sono stanchi o nervosi.
Il rischio di un brutto viaggio non piace a nessuno, se la situazione è critica
meglio non lasciarsi troppo andare. L’esperienza insegna. Inoltre:
“Il contesto culturale ha anch’esso un ruolo essenziale nella transe: il
quadro in cui essa ha luogo, come si manifesta esteriormente e come
la manifestano gli individui, nel loro stesso sistema di pensiero,
caratterizzano queste manifestazioni. Dunque la transe, integrata e
socializzata altrove, qui è essenzialmente oggetto di ricerca per tutte
le discipline.[…] La transe, a lungo messa da parte, nella sua forma
collettiva, dalle nostre pratiche sociali, affascina e spaventa allo
stesso tempo.”40
Il fenomeno della transe non è famigliare al giorno d’oggi, come abbiamo visto
spesso viene associato alla follia, e nemmeno al raver, che pure ne ha fatto
esperienza più o meno diretta, esso pare un’esperienza “normale”, come
potrebbe esserlo presso alcune popolazioni tradizionali, ancora oggi.
E infatti, durante i rave, coloro che sembrano lasciarsi andare “troppo” alla
transe fanno paura, mettono a disagio.
La maggior parte dei ravers andrà presumibilmente in uno stato confusionale
simile alla transe, ma :
39 Fontana e Fontaine, op.cit., p.23.40 Ibidem, p.24.
52
“Qualunque siano i mezzi tecnici utilizzati nel rave, questo vissuto
profondo della festa non può concernere che un nucleo di ravers: a
nostro parere sono coloro per cui lo “spirito” della festa è
effettivamente legato all’esperienza della transe, anche se essi non
utilizzano spontaneamente questo termine.”41
Questa osservazione è di fondamentale importanza ai fini del mio lavoro, come
vedremo in seguito quando tenterò di costruire una tipologia minima del raver,
è infatti la presenza e l’accettazione di una techno transe che fa la differenza
fra il “vero” rave e ciò che rave non può essere definito, ma anche di questo
parleremo in seguito.
Tornando alla disponibilità da parte del raver di farsi rapire dalla transe,
possiamo utilizzare le nozioni di set e setting (dispositivo e disposizione)
forniteci da Thimoty Leary e Ralph Metzner42, che furono, negli anni sessanta,
pionieri nelle ricerche legate alle droghe psichedeliche e a tutto il movimento
che nacque attorno a queste.
“La teoria prendeva in esame i fattori dell’atteggiamento individuale
(set), che comprendono attitudini interiori, personalità, motivazioni,
aspettative e via dicendo, e i fattori esterni ambientali (setting), quelli
cioè del contesto, dell’ambiente, sia fisico che sociale, compresa la
presenza di altre persone come il terapeuta, o medico, o guida.”43
Nel trattare la techno transe Lapassade ci ricorda che non basta la presenza di
dispositivi essenziali, quali la scenografia, i giochi di luce, l’assunzione di
sostanze psicoattive, perché si produca una transe: occorre infatti che
l’individuo sia mentalmente disponibile, che vi sia insomma un “desiderio
personale” di lasciarsi andare alla transe.
Questo vale sia per il raver che per altri rituali di transe, come la macumba
brasiliana:
“La macumba...è un rito di possessione in cui gli adepti in transe
incarnano delle entità sovrannaturali. Se gli adepti di un centro vicino
vi si recano in visita, in principio quella notte non debbono entrare in
41 Ibidem, p.26.42 Tra le opere di Leary e Metzer ricordo:R. Metzner,1987,Transformation Processes in Shamanism, Alchemy, and Yoga, in S. Nicholson, Shamanism , Theosophical Books; R. Metzner, 1997, Applicazioni terapeutiche degli stati modificati di coscienza, in “Altrove” n.4, ; Metzer R.e Adamson S.,1992, Ecstasy, Roma, Stampa Alternativa ed. Millelire; Leary T., 1974, L’esperienza psichedelica, Milano, SugarCo; Leary T, 1990, I germi degli anni Sessanta, in Cyberpunk Antologia, Milano, Shake Edizioni.43R.Metzner,1977, Applicazioni terapeutiche degli stati modificati di coscienza, in “Altrove” , p 115-124
53
transe; ed effettivamente non saranno posseduti, benché il
“dispositivo” (musica, scenografia, regole generali) sia lo stesso nei
due entri vicini. Esiste certamente il dispositivo della transe, ma nei
visitatori non c’è la disposizione (set) a lasciarsi andare alla transe”44
Nei prossimi capitoli tratteremo meglio dei “dispositivi” che possono indurre la
techno transe: l’effetto di gruppo, la musica techno, gli induttori chimici, cioè le
droghe e cercheremo di descrivere l’ambiente rave, o, meglio, gli ambienti
rave.
Torniamo alla questione della presenza e dell’esperienza della transe ai rave.
Lappassade sottolinea che sarebbe assurdo tentare di comparare l’esperienza
dei raver con quella dei posseduti, legata all’esperienza della dissociazione e
allo sdoppiamento della personalità.
Lapassade ci ricorda che “...non si osservano nei raver consumatori di ecstasy
ne’ convulsioni ne’ allucinazioni (al di fuori di qualche caso patologico)...”45, e
qui occorre chiarire un minimo la questione.
Se si tiene conto che, come vedremo brevemente anche in seguito, l’Ecstasy
dell’ultima generazione è raramente MDMA puro, e non è raro che nella
composizione delle “pasticche” compaiano sostanze allucinogene, quali per
esempio la mescalina, o psicofarmaci che in associazione con altre sostanze
provocano vere e proprie allucinazioni, il discorso si complica.
L’ecstasy rimane la sostanza da rave per eccezione, ma non è assolutamente
l’unica.
Anche Metzner, pioniere della ricerca psichedelica, si pone la questione di che
tipo di transe si tratti la techno transe e nella sua piccola ma preziosa opera
sull’Ecstasy46 ritiene l’MDMA in grado di produrre un vero e proprio SMC,
nonostante non dia generalmente luogo a modificazioni nella percezione, come
nel caso degli allucinogeni tanto cari alla generazione psichedelica.
Metzner prosegue la sua analisi sostenendo che un livello intermedio fra la
techno transe e la transe di possessione potrebbe essere simile agli SMC
prodotti dagli allucinogeni, la cui presenza sulla scena techno è tutt’altro che
marginale, considearata la diffusione dell’LSD.
In definitiva la techno transe sembra essere una transe a tutti gli effetti, ma
valutarla rimane un problema aperto come sottolinea Lapassade:
“La valutazione dello stato di rave secondo le categorie degli SMC e
della transe presenta dunque almeno due difficoltà d’interpretazione :
44 G. Lapassade, op.cit., p.96.45 G. Lapassade, op.cit., p.10446 R. Metzner-Adamson S., Ecstasy,1992, Roma, Stampa Alternativa Millelire. MDMA: Metilene-Diossi-Metanfetamine, sostanza base dell’Ecstasy.
54
un primo ostacolo avrebbe origine nell’idea riduttiva che in genere in
occidente si fa della transe, legandola essenzialmente a quella della
possessione con le sue manifestazioni di tipo isterico; un secondo
ostacolo deriverebbe dal fatto che la nozione di SMC, come abbiamo
ricordato, si è sviluppata soprattutto nel contesto della ricerca e del
movimento psichedelico, e che pertanto si trova associata alla
fenomenologia degli stati provocati dall’utilizzo degli allucinogeni.”47
A questo punto ci si domanda quale sia il legame fra la techno transe, e quindi
l’esperienza che della transe ci si può fare al rave, e il misticismo tanto in voga
negli anni della psichedelia, legato al misticismo orientale, e all’uso di potenti
droghe psichedeliche, come l’LSD, appunto.
Fin dall’inizio del secolo i lavori dedicati alla descrizione degli stati mistici, in
particolare dell’estasi, si sono basati sugli scritti dei mistici stessi, che avevano
avuto esperienza di tali stati nella solitudine della meditazione.
Le cose cambiano durante gli anni della psichedelia, per opera di quei giovani
ricercatori di psicologia riuniti attorno alla figura di Timothy Leary.
Ai fini della nostra indagine può essere invece molto utile il modello di transe
estatica elaborato da uno di questi ricercatori, W. Pankhe48, nel 1962, in
collaborazione con W.A. Richards.
Seguendo un’ottica del tutto nuova, Pankhe analizza le caratteristiche principali
degli SMC “sperimentali”, indotti cioè dall’assunzione volontaria sostanze
psichedeliche, e costruisce un modello basato su nove categorie:
1. L’unità
2. La trascendenza dello spazio e del tempo
3. La certezza della realtà della conoscenza intuitiva ottenuta
4. Il senso del sacro, ovvero quel sentimento di timore referenziale e di rispetto
descritti da R. Otto come mysterium tremendum)
5. La percezione del paradossale
6. L’ineffabilità dell’esperienza
7. La transitorietà dello SMC ottenuto
8. Un sentimento profondo e di responsabilità più universale
9. Un cambiamento in positivo nei comportamenti e nelle attitudine a
riconoscere l’intero universo come base della propria sicurezza.
47 G. Lapassade, op.cit., p.104.48 Pankhe W.-Richards W.A.,1966, Implications of LSD and Exerimental Mysticism, in Tart C., 1977, Stati di
Coscienza, Roma, Astrolabio.
55
Rispetto ai modelli proposti da studiosi come Ludwig, si nota una certa enfasi
“mistica”, e forse un minore rigore scientifica, ma questo non toglie affatto che
per analizzare la techno transe questo sia un preziosissimo contributo.
Pochettino, nel presentare le nove categorie proposte da Pankhe
commenta:“ho trovato il loro legame con le sensazioni descritte dai ravers così
preciso che considero utile elencarle.”49
Fontana e Fontaine sono della medesima opinione, quando notano che alcuni
raver nelle loro testimonianze:
“...sottolineano il fatto che una conoscenza nascosta e ineffabile si
riveli parzialmente loro in questi secondi. Hanno l’intuizione intima di
una verità essenziale, straordinaria ed evidente, una sensazione di
immensità, una visione dell’”armonia dell’universo”, un “ritorno alle
origini”. La modificazione dello stato di coscienza ordinario è per loro
un’apertura verso “qualcos’altro”, vissuta come una rivelazione” più o
meno sconvolgente. ”50
Lapassade, di fronte a questi argomenti ammette che la difficoltà di metterli in
dubbio, ma ritiene che il problema teorico di fondo, e quindi il riferimento dei
raver all’esperienza mistica tradizionale, vada riformulato.
Egli sottolinea il fatto che l’estasi di tipo mistico prevede un dispositivo che è
all’opposto di quello rintracciabile nella techno transe, i tratti essenziali del
misticismi si rintracciano infatti nella ricerca di solitudine, nel silenzio,
nell’immobilità, nella preghiera e nella meditazione.
E’ quello che Ludwig definisce come dispositivo di ipostimolazione,
contrapposto all’iperstimolazione su cui è invece fondato il rave.
“...non più la solitudine, ma il gruppo, la folla, le migliaia di
partecipanti; non più il silenzio , ma la musica techno ad alta intensità
sonora; non più l’immobilità della preghiera o della meditazione, di
tipo orientale, ma il movimento e la danza” 51
Seguendo Ludwig si deve parlare di estasi per quelli stati vissuti
nell’ipostimolazione, e di transe per quegli stati vissuti invece
nell’ipostimolazione, come il rave appunto.
Insomma è la nozione di transe che si deve usare per l’esperienza della techno
transe, a dispetto dell’Ecstasy e della sua popolarità.
49 B. Pochettino, 1996, Rave , sostanze e rit(m)o , in “Altrove” n.3. p.121.50 Fontana e Fontaine, op.cit., p.55.51 G.Lapassade, op.cit., p.109.
56
Tornando all’ipostimolazione, la si può collegare all’effetto di gruppo, tratto
generale dei rituali di transe, assai evidente nelle cerimonie, religiose, sportive
o politiche che siano.
Gli studiosi che si occupano di questi rituali sono in genere restii ad occuparsi
di tale aspetto, nonostante esista una letteratura di tipo psicosociologico e
psicoanalitico legata alla questione.52
Da tali studi emerge il fatto che i grandi raduni possono avere un effetto
“ipnotico” sui partecipanti, facendoli entrare in uno stato di coscienza diverso
da quello ordinario, e che la folla, in soggetti predisposti, può scatenare delle
vere e proprie crisi di panico e d’isteria.
Tutto ciò è assai evidente al giorno d’oggi, epoca delle grandi folle, durante i
grandi raduni sportivi, o i grandi concerti: la calca, il caldo, la stanchezza,
provocano si SMC, ma anche, è innegabile, fenomeni di violenza, aspetto
quest’ultimo assai raro durante i rave.
G. De Giuli, in un suo saggio inedito nota, a proposito dell’effetto di gruppo:
“I rave riuniscono un gran numero d’individui giunti con la stessa
intenzione, “fare festa”[…]. L’ampiezza della dimensione collettiva, la
sua strutturazione e le relazioni che si instaurano assumono un ruolo
particolare nella regolazione di questo rito particolare di fine
settimana.” 53
E l’ampiezza dei raduni rave, nonostante esistano anche raduni meno affollati e
più “intimi” può raggiungere cifre incredibili: a Castlemorton, nel 1992, si
stimarono ben 10.000 partecipanti, e alla Love Parade di Berlino, nell’estate del
1997 si dice siano accorsi ben 400.000 raver da tutt’Europa , qui parlare di
folla risulta riduttivo!
1.6 Techno-sciamani
Non esiste alcun tipo di studio che si chieda se, e in che misura, siano possibili
altri tipi di transe durante il rave.
Fontana e Fontaine rifersicono che durante i rave alcuni partecipanti hanno una
funzione dinamizzante, fanno “salire” gli altri, e aggiungono:
“Si assiste a volte a danze figurative, a specie di mimi molto personali
che potrebbero facilmente essere accomunati, in un’altra cultura, alla
possesssione. Nel corso di una festa siamo rimasti alungo affascinati
da un tipo che ballava, il cui comportamento ci sembrava
incomprensibile. Riproduceva senza sosta un insieme di movimenti, 52 Sigehele S., 1983, La folla delinquente, Padova, Marsilio.53 G. De Giuli, La transe nella folla citato in Fontana e Fontaine, op.cit., p.26.
57
come un mimo. Cominciava col tendere le mani al cielo come per
ricevere dell’aqcua da una fontana immaginaria e con cui si
cospargeva il volto. Si teneva la testa e gesticolava con smorfie
spaventose, poi ricominciava, instancabile, lo stesso gioco.”54
Come abbiamo accennato e come vedremo meglio in seguito l’effetto della
techno, delle droghe, del gico di luci, non è lo stesso in tutti i soggetti. Vi sono
individui predisposti per cui è molto più facile, rispetto agli altri raver, cadere in
transe, viaggiare.
Parlare qui di sciamanesimo sarebbe azzardato, ma ciò che appare evidente è
l’esistenza di individui conosciuti per la loro capacità di “mandare fuori”, di
attirare pur involontariamente l’attenzione su di se.
Si tratta probabilmente di individui in cui i confini della coscienza sono più
deboli, mistici forse, o “santi”.
Non è questo il luogo in cui analizzare ciò che in comune hanno sciamani, santi
e profeti, cioè poi la capacità, il dono, di comunicare con mondi altri , ma vorrei
solo sottolineare che se in tutte le culture tradizionali c’è sempre stata una
figura legata alla transe e alle sue istituzioni, perché non potremmo, oggi,
avere degli “techno-sciamani”?
Non esiste nessuno studio, ma solo qualche testimonianza su questi “techno-
sciamani”, che spesso, non correttamente dal mio punto di vista, vengono
associati alla figura del DJ.
Occorre innanzitutto precisare che l’appellativo di techno-sciamano viene
utilizzato, in ambienti underground più spesso per indicare individui dotati di
grande genio nel campo della computeristica e della tecnologia in genere o
individui “cyber”, più che per indicare raver dotati di grande carisma. Molto
interessante è questa testimonianza, in cui passato e futuro si mescolano in un
‘originale visione del mondo:
“La visione sciamanica del mondo significa normalmente il credere in
forze soprannaturali, alle quali si può accedere per ottenere
cambiamneti nella realtà esterna. Normalmente si può avere accesso
a queste forze soprannaturali appellandosi a vari spiriti, che vivono in
un “mondo degli spiriti” nel quale si può giungere in sogno o
attraverso altri metodi di alterazione dello stato di coscienza
( stanchezza, sostanze psicoattive, canto, danza estatica, ecc...).
Questi spiriti sono disposti a interagire con gli uomini nello stesso
modo in cui gli uomini interagiscono con loro: trattati, appelli,
compensi...
54 Fontana e Fontaine, op.cit., p.42.
58
Lo sciamano usa un modo di operare noto come “bricolage” (dal
francese “bricoleur, “fai da te”). Come un ingegnere, che ha qualche
idea sui principi teorici ai quali dare un’implementazione pratica, il
“bricoleur” possiede un set di tecniche dal quale egli preferisce e
sceglie lo strumento appropriato per la situazione che ha sotto mano.
[…] Il set di strumenti dello sciamano include un insieme di
associazioni simboliche che lo aiutano a capire come contatare un
certo spirito. […]
Molto importante: lo sciamano è tradizionalmente associato a una
comunità, e la serve come guaritore, come psicologo, come colui che
può fare i miracoli. Quando una comunità si trova di fronte ad un
problema che non può risolvere con i metodi di tutti i giorni, si rivolge
allo sciamano per aver una assistenza soprannaturale.
Inoltre lo sciamano orchestra i rituali che tengono insieme la
comunità.
La visione techno-sciamanica è un’estensione di tutto questo.
Significa crdere che le infrastrutture tecnologiche dell’umanità siano
divenute così complesse da non poter essere comprese interamente
tramite un modello teorico ingegneristico. In ogni modo queste
sovrastrutture hanno un impatto diretto sul modo in cui viviamo la
nostra vita. Così il techno-sciamano serve la comunità avendo
accesso alle infrastrutture tecnologiche , non come qualcuno che usa
degli strumenti per ordinare a una macchina di fare qualcosa, ma
come qualcuno che sente di dover negoziare con qualcun altro per
portare a termine un compito.
L’uso di droghe, la danza estatica, la musica transe, sono oggi ben
stabilite nella sub-cultura techno-sciamanica, come lo è il loro uso
negli eventi ritualistici che tengono insieme la comunità. Si può
vedere facilmente un legame fra la rete dei computers e lo spirito del
mondo, e fra i computer e quelle potenti entità con le quali è in
contatto lo sciamano tradizionale.”55
Il concetto di bricolage, qui utilizzato riferendosi all’attività dello sciamano, è
derivato dalla teoria di Lèvi-Strauss, il quale utilizzò il concetto di bricolage
tecnico paragonandolo a quello intellettuale, per analizzare il pensiero mitico.
“Il pensiero mitico appare così come una sorta di bricolage
intellettuale, il che spiega le relazioni che si riscontrano tra i due.
55Technoshamanism,<http://www.yperreal.org/raves/technoshamanism/technoshaman_Definition.html>, from
59
Come il bricolage sul piano tecnico, la riflessione mitica può ottenere
sul piano intellettuale risultati veramente pregevoli e
imprevedibili...”56
CAP.2 Il rave
2.1 La festa
Il rave è una festa, ma non nell’accezione che il termine ha comunemente
assunto.
E’ innegabile che la “festa” sia oramai scomparsa dalla nostra vita, sostituita
dai “divertimentifici” del sabato sera, dal fanatismo sportivo, o , nel migliore
dei casi, da tristi imitazioni di quelle che erano le “vere feste” dei nostri padri.
Le varie sagre e fiere, nella maggior parte dei casi, del vero spirito liberatorio e
anti-identitario che caratterizzava la festa in passato, hanno conservato ben
poco, asservendosi così alle tristi leggi del mercato e trasformandosi spesso
proprio in quei divertimentifici dai quali pretenderebbero forse di distinguersi :
zucchero filato e banda non fanno una festa.
“La “vera festa” è una festa totale, senza limiti, sottintende l’idea di
una transe. E’ generalmente celebrata attraverso danze collettive che
si concludono con transes e crisi di possessione delirante”57
La “vera festa” è composta da tre elementi essenziali che sono : il gioco, la
rottura col quotidiano, la trasgressione.
Il rave, quindi, potrebbe essere una vera festa: attraverso l’ingestione di
sostanze psicotrope, o lo stordimento causato dalla stanchezza e
dall’affollamento, il raver gioca con se stesso e col proprio corpo, il proprio
ruolo, i propri limiti.
Esso prova una vertigine ludica, che lo stordisce e gli permette di staccarsi da
una quotidianità opprimente e monotona, che il gioco, fonte di vita e di crescita
(il diritto al gioco non è patrimonio dei bambini!) spezza con la sua capacità
quasi magica di dare spazio ai sensi e allo spirito.
56 C. Lévi-Strauss, 1964, Il pensiero selvaggio, Milano,il Saggiatore, pp.30.
57 Fontana e Fontaine,1997, Raver, Roma, Sensibili alle foglie, p.65.
60
Ludico è il senso di estraniamento, il cambiamento nella percezione di se stessi
e del mondo che spezza le regole e ne crea delle nuove, slegate dalle necessità
materiali e quotidiane che , se non esorcizzate, possono rendere la vita
insopportabile.
Il gioco rompe le costrizioni sociali legate al ruolo, allo stato sociale, ai
doveri :durante la festa ognuno può essere chiunque, e fino in fondo sé stesso.
Questa sovversione e trasgressione dell’ordine sociale e dei divieti è, nel caso
del rave particolarmente evidente nel caso degli illegal, in quanto in un
contesto fuori dalle regole è più facile sorpassare l’ordinario.
“Sin dalle origini della civiltà l' abolizione rituale-festiva delle
differenze è servita al rinsaldamento dell' ordine gerarchico , a
rendere accettabili le differenze stesse. Nelle complesse società
occidentali di oggi l'edonismo è la forma rituale attenuata , "laica". Il
techno-party gestito orizzontalmente agisce precisamente e
conflittualmente su questo terreno tentando di sfondare la nozione di
festa, immettendole elementi di rottura , di critica , di
sperimentazione...”58
Ma per rompere le regole al raver basta il fatto stesso di partecipare ad un
evento comunque non accettato fino in fondo dalla società in cui vive e
probabilmente incomprensibile agli occhi dei genitori, della famiglia, dei
colleghi di lavoro, ma sacro agli occhi degli altri raver, del gruppo, dei simili, di
chi “può capire”.
Il rave, come ogni festa, ha un carattere trans-sociale e trans-culturale:
“(I danzatori) tentano di sfuggire alla ritmica abituale del corpo, di
svuotarlo da tutto ciò che contiene, dai gesti imposti da uno status
sociale o da un mestiere.”59
Ed è proprio questo desiderio del raver di esprimere le proprie pulsioni più
profonde che il quotidiano soffoca a fare del rave una vera festa, nel senso più
profondo.
Come i contadini delle nostre campagne aspettavano trepidanti il dì della festa
per mettere il vestito buono e dimenticare per un poco le sofferenze, così il
raver aspetta la sua festa, per lasciare per un poco a casa le ansie per lo
studio, i problemi di lavoro, le turbe amorose, le litigate con i genitori.
58 Testimonianza di un raver illegale, in “Potenziale trasgressivo del rave”, Hyperreal, http://www.hyperreal.com/illegal .59Fontana e Fontaine, op.cit., p.41.
61
“Il rave è terreno fecondo di disobbedienza identitaria-estetica
rispetto alle linee esistenziali imposte.”60
Certo non è la stessa cosa, la cadenza dei festeggiamenti non è legata, non
solo almeno, al ritmo delle stagioni, la fatica è meno grave, la povertà molto
meno pesante, ma lo spirito è il medesimo, lo spirito della festa: quella
trascendentalità che rende effimero ed improduttivo il tempo, che crea “solo”
illusioni, desideri, vertigine.
Nessuna società è o è mai stata estranea alla festa, pur se questa si manifesta
in forme assai differenti.
Così anche la nostra società, occidentale e disincantata, necessiterebbe di
momenti di vara festa, ma le poche feste a cui assistiamo sono spesso
organizzate, incanalate, addomesticate, ed hanno perduto le loro funzioni più
benefiche.
La “vera festa” è utile all’individuo così come al gruppo, ed è proprio per
questo che riappare sotto la forma del rave : essa ha una funzione
rigeneratrice che permette al partecipante di guardare la propria vita con
maggior distacco, e può indurre importanti cambiamenti, ed una diversa
valutazione della propria situazione.
“I ravers dimostrano in effetti una rigenerazione, una purificazione, un
conforto dato da questi momenti di festa. Questo “viaggio” al di fuori
delle strutture e delle regole imposte dalla società libera il corpo dalle
sue contrazioni.” 61
Il rendersi comunque conto della transitorietà della festa può indurre ad uno
sguardo più critico verso il proprio modo di vita e verso la società; inoltre si può
parlare di una funzione unificatrice della festa: questa infatti contribuisce a
rendere compatto il gruppo sociale, e risponde ad una:
“Volontà di riunione, di unificazione, di eliminazione di tutti i fattori
individuali o collettivi di diversità, di non conformità”62
Durante il rave non importa chi sei, di che colore è la tua pelle, non importano
le tue preferenze sessuali, ciò che conta è “l’esser-ci con gli altri”, il
confondersi, l’essere una cosa sola.
60Damian, Scintille di pubblico disordine, in A. Natella e S. tinari (a cura di), Rave Off, Roma, Castelvecchi, p.50.61Fontana e Fontaine, op.cit., p. 42.62S. Mandon citato in Fontana e Fontaine, 1997, Raver, Roma,Sensibili alle foglie, p.69.
62
Questo aspetto della festa è assai evidente nel caso del rave anche per via
dell’effetto di sostanze psicotrope quali l’Ecstasy, che rispondono proprio ad
una necessità di “unione” fra tutti i partecipanti, è il fenomeno del
“karmacoma” di cui parlano con enfasi i ravers, quell’essere una sola cosa, che
respira e si muove all’unisono, quando la festa raggiunge il parossismo.
Durante la festa ha davvero poca importanza il concetto di tempo: non ha
importanza ciò che accadrà domani, non conta il passato, l’unica dimensione
riconosciuta è il presente:
“Gli “estasiati” hanno un altro rapporto con il tempo. Non si
preoccupano in genere delle ore che passano, hanno perduto la
nozione comune di tempo. Dei momenti molto brevi possono
sembrare loro infinitamente lunghi; inversamente passano ore senza
che se ne rendano conto. Vivono essenzialmente nel presente.” 63
I raver rivendicano insomma un diritto alla “vera festa”, che sfugga ad ogni
organizzazione sociale o politica, e proprio per questo divengono bersaglio di
forte repressione.
La “vera festa” può essere pericolosa, ed è per questo che la nostra società
non la ammette e non la tollera. Il discorso è assai diverso se si parla delle
serate in discoteca, fortemente commercializzate , istituzionalizzate,
controllate.
Certo è discutibile il fatto che per lasciarsi veramente andare sia necessaria
l’ingestione di sostanze stupefacenti:
“La festa autentica non può mai essere prodotta per mezzo di
catalizzatori farmacologici. E la loro assenza non impedisce la sua
venuta. Lo spirito della festa, come una musa, contiene in sé la sua
volontà” 64
Certo le droghe possono aiutare a rompere con la quotidianità, rendono meno
faticosa e più magica questa rottura.
Il legame fra la festa e il consumo di droghe e vino è innegabile, proprio perché
queto tipo di “rituale” non è ammesso durante la vita quotidiana, e non è con
questa conciliabile; bisogna inoltre ricordare che le occasioni di festa per il
raver possono essere assai numerose nell’arco di un mese, e pertanto l’apporto
di sostanze che permettano di dimenticare la fatica diviene quasi
indispensabile.
63Ibidem, p.47.64Cox, citato in Fontana e Fontaine,1997, Raver, Roma, Sensibili alle foglie, p.68.
63
Ci si può a questo punto domandare perché proprio ora, e proprio in Occidente,
si assiste alla ricomparsa della vera festa.
“Le feste nascono quando si passa da un sistema all’altro, da un
insieme ad un altro e quando la caduta dei valori di un mondo non
permette ancora di prevedere le norme del mondo che si sta
preparando”65
Il ritorno alla necessità di una vera festa indica quindi un’insofferenza nelle
giovani generazioni nei confronti del vivere quotidiano, delle regole di vita
imposte, e un’incapacità del sistema di rispondere all’esigenza di cambiamento
e crescita nei giovani.
E se la maggior parte di questi si accontentano di ciò che la società offre loro
pronto e impacchettato, i ravers non accettano forse le regole imposte, e
hanno necessità di una festa vera, non preconfezionata, non banale.
La nascita della festa rave segna la rottura con il divertimento
istituzionalizzato, e riporta in vita la festa dei nostri avi, la festa in quanto tale,
totale, esorcizzante, a volte mistica.
La festa che porta a confrontarsi con i propri limiti, e con i limiti del giorno e
della notte, della vita.
2.2 La danza
Danza primitiva e danza rituale
65 Duvignaud, citato in Fontana- Fontaine, 1997,Raver, Roma, Sensibili alle foglie, p.78.
64
La danza è stata fin dall’alba dell’Uomo uno dei più potenti mezzi di
socializzazione, di esorcizzazione, di comunicazione con il divino.
La danza non è solo musica, ritmo, arte: molto prima di divenire tutto questo -
involgarendosi in un certo senso- la danza esprimeva l’essenza stessa della
vita, il movimento. Si potrebbe dire che la vita stessa fosse una danza, o -
come antichi miti narrano- la vita fu creata dalla danza .
“...Siva (“fausto”) è la personificazione dell’assoluto (brahman), il
principio distruttore e al tempo stesso rigeneratore del mondo,
dispensatore di morte e rinascita[...]. Nei templi Siva è spesso
rappresentato nelle vesti di un danzatore con l’epiteto di Nataraja,
“signore della danza”. La danza cosmica simboleggia il continuo
rinnovarsi del mondo, in un ritmo infinito di dissoluzioni e rinascite.
Per gli induisti la danza è più antica del mondo stesso, perchè è
proprio danzando sul monte Kailasa che Siva creò il cosmo è l’attuale
epoca. [...]Danzando e battendo il tamburo , il Danzatore cosmico fa
risvegliare la vita; ma dalla stessa danza scaturisce la scintilla che
distruggerà la terra e per questo il dio porta nella mano sinistra più
alta la lingua di fuoco. Tamburo e fiamma sono i due elementi del
gioco. Creazione-distruzione e le due mani che questi oggetti
stringono rappresentano l’equilibrio fra la vita e la morte.”66
La danza e la musica sono ,presso le cosidette culture tradizionali ed erano,
presso le popolazioni primitive, parte integrante della vita della società,
sottolineandone i momenti più importanti, sia individuali che colletivi.
Le occasioni per danzare sono molteplici, e fanno parte della vita quotidiana: si
danza per invocare la pioggia, per celebrare il raggiungimento della pubertà,
per festeggiare le nozze, per salutare un nuovo nato e si danza anche in
occasione della morte di un membro della comunità, per propiziargli un buon
viaggio verso un altro mondo.
Presso le popolazioni primitive e le culture tradizionali, la danza ricopre infatti
una sfera d’azione molto più ampia che nella nostra società, e non ha , come in
quella occidentale contemporanea, una funzione estetica o di intrattenimento.
La danza primitiva, non è spettacolo: ciò che conta maggiormente è l’aspetto
sociale e rituale, presso tali popolazioni non esiste infatti una netta separazione
fra la sfera privata e quella collettiva, quindi ogni fenomeno naturale,
esistenziale o sociale viene affrontato dall’intera comunità.
66 Enciclopedia delle religioni, Garzanti, Milano, 1989, pp. 425/427.
65
Chiaramente anche presso le popolazioni primitive, in determinate occasioni,
l’aspetto estetico viene ad assumere una certa importanza, come nel caso
delle danze per la fertilità, durante le quali non solo si rende omaggio a
Madre Terra ma si assiste alla nascita e al consolidamento dei legami sessuali
all’interno della comunità, del gruppo.
Le occasioni nelle quali si danza sono comunque sempre sostenute e collegate
a rituali vivi e complessi, che hanno funzione di risposta e sostegno nei
momenti critici.
Si tratta di una tecnica mediante la quale le popolazioni affermano e esprimono
sé stesse davanti alle proprie ansie e paure e alle condizioni ostili
dell’ambiente.
La musica, nell’antichità, era considerata la risonanza di un ordine cosmico
superiore, si riteneva potesse influire così sulla vita degli uomini e sui suoi
sentimenti, la sua salute.
Corpo e psiche erano inseparabili, e gli antichi sapevano molto bene quanto la
psiche, le emozioni, potessero influire sulla salute dell’uomo, consapevolezza
che le medicine orientali mai hanno perso, e che solo da pochissimo tempo sta
riaffiorando in quell’ Occidente, che, annegato nel razionalismo, è riuscito a
perdere (e non si sa se mai ritroverà) il senso del Tutto.
“In questo ambito anche le malattie assumono una connotazione
sociale, non sono, come accade nella cultura occidentale, oggettivate
e autonomizzate, bensì vengono contestualizzate, espresse, condivise
e rielaborate in chiave mitica.”67
Nelle società primitive, come abbiamo già detto, la musica e la danza
ricoprivano numerose funzioni, fra le quali la funzione di guarire: lo sciamano,
lo stregone, danzava e invocava lo spirito degli antenati per far uscire le
malattie dal corpo del paziente.
Il potere taumaturgico della musica e della danza era già riconosciuto in Cina
2600 anni prima di cristo, quando si cominciarono a costruire i primi
rudimentali strumenti in grado di emettere quattro note: il Fa, il Do, il Sol, il La.
In Egitto si intonavano canti magici per curare la sterlità e i dolori reumatici, in
Tibet la medicina occidentale non è mai entrata, e ancora oggi si intonano gli
antichi mantra, suoni sacri in quanto rivelati ai mistici e agli sciamani dagli dei.
Lo strumento privilegiato nelle danze riuali è il tamburo, il cui ritmo osssessivo
è , secondo studiosi come M.Eliade, capace di produrre , o facilitare, la transe:
il tamburo quindi come strumento per comunicare con il mondo degli spiriti.
67 B. Braggio, 1995, Danza rituale e stati modificati di coscienza, in “Altrove” n. 2, p. 86.
66
“Il tamburo si distingue da tutti gli altri strumenti usati per la magia
del rumore proprio perché rende possibile una esperienza estatica.”12
Le danze rituali, come le danze dionisiache dell’antica Grecia, o quelle dedicate
a Siva in India, hanno in comune la celebrazione collettiva di eventi che
possono provocare nel singolo sentimenti di angoscia o paura, si tratti di eventi
legati al ciclo della vita umana, come la nascita, la morte, la malattia, o di
eventi esterni, come gli eventi atmosferici o la guerra.
Attraverso la danza rituale, come abbiamo accennato, lo sciamano, membro
della comunità investito di un ruolo sacro, comunica con forze non materiali, la
danza rituale quindi come medium fra naturale e sovranaturale.
Ora, abbiamo detto che tutti i passaggi fondamentali della vita dell’uomo erano
contrasegnati da riti di propiziazione. Prendiamo in considerazione i riti di
iniziazione: durante questi riti l’adolescente viene sottoposto a prove molto
difficili e dolorose, si assiste ad una morte simbolica, alla quale segue la nascita
di un nuovo uomo, di un adulto.
La danza rituale come rappresentazione, in questo caso.
La danza rave
Esiste una differenza fra danza rituale e danza tribale, e se sucessivamente
anlizzeremo il rave come rito e la danza collegata al fenomeno sarà pertanto
definibile come “rituale”, si può fin da ora definire la danza rave come danza
tribale.
Come vedremo, all’interno del fenomeno esistono vere e proprie tribù, la cui
esistenza è totalmente interrelata con il mondo rave: si tratta di gruppi la cui
occupazione principale è organizzare raduni e feste, e che possono in qualche
modo essere considerate delle tribù, come nel caso dei travellers e delle tribe ,
ma si tratta però di un fenomeno nel fenomeno.
Inoltre si hanno situazioni in cui il rave raggiunge livelli tali di partecipazione e
Unione per cui si può asserire di trovarsi di fronte ad una vera e propria tribù,
seppur effimera: è la techno-tribù della Zona Temporaneamente Autonoma,
destinata a sciogliersi alla fine della festa, per poi ricrearsi in un altro luogo e in
un altro tempo.
In questo senso, alora la danza rave sarà danza tribale.
Vediamo ora quali sono le occasioni della danza rave.
12M. Eliade, citato in A. Marchisio, Tecnosciamani ed etnodeviazioni, in G. Dal Soler e A. Amrchisio (a cura di), Trance & Drones,Roma, Castelvecchi, p.76.
67
Le occasioni della danza per le popolazioni primitive erano, come abbiamo
accennato ,legate profondamente ai cicli della vita individuale e delle stagioni,
caratteristica questa che si può individuare anche nella periodicità dei raves.
E’ innegabile che, ai giorni nostri, basti l’occasione di un Sabato per
festeggiare, ma questo non esclude che determinate ricorrenze abbiano tuttora
importanza, o -meglio- l’abbiano riconquistata dopo anni di oblio.
Vi sono occasioni più “importanti” di altre, come il Capodanno e il Carnevale, e
accanto a queste festività “comandate” riaffiorano ricorrenze che sembravano
dimenticate: il Capodanno Celtico, trasformato dalla tradizione anglosassone
nella festività di Halloween (in Italia “Tuttisanti”) viene frequentemente
salutato con un rave “speciale”, preparato con maggior cura dei particolari, e
così è per l’Equinozio di Primavera e per il Solstizio d’Estate.
In occasione di queste due ricorrenze, riaffiorano nella festa rave usanze
tradizionali, come quella dell’accensione dei fuochi, attraverso la quale
nell’antichità si propiziava l’arrivo della bella stagione e della prosperità
dell’agricultura; il fuoco è uno degli elementi di maggior fascino
dell’immaginario rave, sempre presente in occasione delle feste più importanti,
nelle quali giocolieri e mangiafuoco non mancano mai.
Occasioni importanti sono date poi dalle notti di Luna piena (Full Moon Parties)
, se non altro per la carica energetica ed estetica che il plenilunio diffonde; non
bisogna dimenticare che presso le culture tradizionali, e ancora oggi in Oriente,
i cicli lunari sono considerati molto importanti e i loro riflessi sull’umore, sulla
produttività, sulle maree, sulla natura tutta, vengono segnati da precise
ritualità; importante è inoltre il ruolo della luna nelle leggende nordiche e in
tutto l’immaginario fantastico della nostra cultura.
Attraverso il rave tali ritualità riemergono.
Ma torniamo al Capodanno. Per il raver il capodanno è più che altro una “festa
comandata” in occasione della quale il “doversi divertire per forza” può anche
risultare molto antipatico. Non si tratta di un momento di passaggio molto
sentito, come era per i nostri antenati:
“La festa di Capodanno è un grande complesso religioso proprio di
società ai più svariati livelli culturali. Esso muta forma, significato,
funzione da un ambiente culturale all’altro. Anche mutano
rispettivamente forma, significato, funzione, i temi religiosi onde il
significato stesso è costituito.[…]Il carattere dell’uno (il complesso) e
degli altri (i temi) stanno in funzione del regime economico-sociale di
esistenza, in funzione altresì dell’ambiente e delle congiunte
esperienze di vita.”68
68 Lanternari V., 1976, La grande festa, Bari, Dedalo libri, p.523.
68
Le festività popolari e contadine riaffiorano , facendo rivivere tradizioni che
nemmeno il Capitalismo, la Tecnocrazia e lo stress post-moderno possono
cancellare, facendo sì che all’alba del Duemila le nuove generazioni rendano
omaggio al Sole e alla Luna, esattamente come fecero prima di loro milioni di
Uomini.
Dicevamo che, ad ogni modo, ai giorni nostri può valere molto anche il
festeggiare un fine settimana, specie se si è trattato di una settimana di lavoro
e studio, e il Sabato diviene così, da giorno di riposo sacro a Dio che era,
occasione per dimenticare, o mettere da parte per una notte almeno, tutti i
problemi e lo stress della vita quotidiana.
Il Sabato è sacro, ancora, ma in un altro senso, perché permette di scaricare le
tensioni e lo stress settimanale.
Così come i contadini si godevano il meritato -e desiderato- riposo dopo il
lavoro settimanale nei campi, così ora i giovani, che di quei contadini sono il
seme, esorcizzano i problemi di tutti giorni, la noia e la routine attraverso la
danza, lo stordimento, le droghe.
Il Sabato notte tutto è permesso. Per poi tornare alla vita reale.
Questo discorso vale, chiaramente non solo per il fenomeno rave ma per tutte
le tendenze giovanili in fatto di gestione del tempo libero, dalla discoteca alla
tifoseria sportiva.
Ciò che distingue forse il fenomeno rave è forse il fatto di essere legato in
maniera più conscia ed entusiasta a certe ritualità, che in altre situazioni sono
perlopiù una scusa per festeggiare.
Come dire che il raver festeggi perché ci crede, nonostante talvolta si finga di
credere proprio per festeggiare.
Un discorso a parte meritano i riti di iniziazione, inesistenti -o meglio scomparsi
, nella nostra società.
Non esiste più nulla che segni il passaggio dalla fanciullezza all’età adulta, e
questo fa sì che il giovane contemporaneo sia spesso vittima di nevrosi e
insicurezze, dovute alla confusione dei ruoli, all’incapacità di fare delle scelte
precise ed assumersi la responsabilità della propria esistenza.
In Italia specialmente, anche in seguito alla disoccupazione giovanile e alla
carenza di alloggi e assistenza, si tende sempre più a posticipare l’abbandono
della casa dei genitori e se pure il giovane ha un lavoro o vive lontano
(emblematico è il caso degli studenti fuori sede) il processo di emancipazione
tarda sempre più, e con questo tarda la crescita interiore, si diventa “grandi”
sempre più tardi.
69
Il rave è un evento coinvolgente, ma manca di una figura indispensabile ai fini
di un rito iniziatico: l’adulto, colui che porta con sé l’iniziato, verso un nuovo
stadio della sua esistenza.
Non esiste una guida, qualcuno dotato di grande esperienza che aiuti il giovane
a non sbagliare, e a non perdere la strada.
Come vedremo meglio nel discutere del rave in quanto rito, la mancanza di tale
figura fa sì che un qualcosa di simile all’iniziazione avvenga comunque, ma che
assuma aspetti assai differenti: quest’iniziazione riguarda quasi totalmente
l’uso delle sostanze psicotropiche e iniziato e guida appartengono
generalmente alla stessa classe generazionale: la guida è in questo caso colui
che “si è fatto un sacco di viaggi” e conosce sufficientemente le varie sostanze
e i meccanismi del rave per preparare il novizio ad affrontare la situazione .
Ciò che lega fortemente il rave alle antiche danze tribali o primitive, è la
presenza della transe, spesso legata all’uso di sostanze psicotrope.
Fin dalla più tarda antichità l’uomo ha usato le droghe per raggiungere
determinati stati di coscienza, legati alle ritualità sacre, ma le droghe da sole
non bastano, non sono mai bastate.
E’ proprio la danza, il movimento, a mandare in transe: la ripetizione dei
movimenti, la perdita dei punti di riferimento e dell’equilibrio, legati all’effetto
ipnotico della musica, sono una tecnica per raggiungere la transe, oggi come
sempre:
“Il ballo, col passare del tempo, provoca dei disturbi all’equilibrio e
delle modificazioni dello stato dei partecipanti a livello psicologico e
fisiologico. Ballare significa inserire la musica nello spazio, e questo
inserimento si realizza attraverso una modificazione incessante dei
rapporti delle varie parti del corpo.”69
Nel caso del raver l’effetto è aumentato sovente dall’ingestione di Ecstasy,
trips o altre sostanze. E le luci stroboscopiche, i laser e la scenografia
rafforzano ulteriormente l’effetto della danza.
“La coscienza del corpo, come fa osservare Rouget, ne è totalmente
trasformata. Il ballo può essere considerato qui una tecnica di transe
come nel sama dei mevlevi, I dervisci danzanti di Konya, dove la
transe, di comunione, viene indotta da una tecnica di rotazione del
corpo molto particolare che simbolizza la rotazione delle sfere
dell’universo.
69 Fontana e Fontaine, opp.cit, p.41.
70
Ma nel rave la danza è anche espressione della transe in quanto è
libera e poco codificata. Il più delle volte astratta, esprime una
liberazione manifesta dei danzatori, senza alcuna ricerca estetica.”70
Durante i rave si assiste talvolta a danze figurative che in altri contesti
potrebbero essere accomunati alla possessione: alcuni raver danno luogo a
figure mimiche molto espressive, sorridono o combattono il frutto del proprio
delirio.
Alcuni raver hanno una funzione dinamizzante per gli altri: i loro movimenti
“fanno salire” l’estasi, e spesso divengono centro dell’attenzione altrui.
La transe, accomunata alla danza, è qui un modo di liberarsi, di esprimersi
totalmente, di pregare, forse, come lo era per le popolazioni primitive.
Ma per meglio analizzare il profondo legame fra il fenomeno rave e l’ancestrale
legame dell’uomo con la danza occorre precisare alcune questioni.
Si diceva che la danza si è in un certo senso involgarita, ed è necessario
illustrare questa importante affermazione.
Si possono distinguere tre dimensioni della danza: quella profana, quella
sociale e quella sacra71; a queste dimensioni si associano tre diversi tipi di
funzione.
La danza profana è personalistica, egoistica e materialistica e svolge una
funzione prettamente egoistica, di autogratificazione della personalità. E’
danza “essoterica”, che da luogo a fenomeni di divismo, dove il ruolo
dell’attore è disgiunto da quello dello spettatore.
La danza sociale è animistica, superindividuale, storica, e svolge una funzione
di socializzazione. Il ruolo dell’attore e dello spettatore si mescolano, e si
alternano, divenendo spesso la stessa cosa.
Ultima, non certo per importanza, è la dimensione sacra della danza, di cui le
altre dimensioni possono essere considerate il decadimento: la danza sacra è
impersonale, spiritualistica, metastorica. E’ la danza “esoterica”, una volta
patrimonio di stregoni e sciamani, ed ha una funzione reintegrativa, in cui il
singolo si fonde nel Tutto , in cui il danzatore è attore e spettatore di sé stesso.
E’ danza che crea, ma che può anche distruggere, è danza pura, di cui ogni
danza non può che essere la deformazione.
Vorrei tentare di analizzare la danza rave, perché nonostante le differenti
correnti musicali (techno, trance, gabber ecc...) e la trasformabilità della danza
sotto i diversi influssi culturali ed ambientali , credo si possano individuare
delle costanti che rendono la danza rave diversa da ogni altra danza
contemporanea.
70 Ibidem71A. Forte, 1977, Esoterismo e socialità della danza, Roma, Atanor, p.75.
71
Innanzitutto si tratta di una danza di gruppo, in cui ogni partecipante è
condizionato dagli altri, sia fisicamente che psicologicamente : si può ipotizzare
che le caratteristiche della danza di gruppo siano le caratteristiche stesse del
gruppo -o dei gruppi- che vi partecipano.
Non sarà difficile infatti notare l’importanza che i legami vengono ad assumere
durante la danza, mettendo in evidenza un vero e proprio schema ; anche la
danza di gruppo presuppone infatti , come ogni altra danza, uno schema
aprioristico, che coordini i movimenti anche in quella che può sembrare la più
anarchica delle situazioni.
Questo significa che il raver si muoverà e agirà in prevalenza all’interno della
sfera delle amicizie più strette ma , essendo il rave per sua natura un
fenomeno sociale, non mancherà di ballare e intrattenersi con altri, allargando
così le proprie amicizie e complicando il disegno di fondo.
Ma cosa cerca il danzatore raver?
L’intenzione può variare da profana a sociale, il raver può cioè essere
interessato ad un puro appagamento egoistico ed all’esaltazione estetica : in
tal caso probabilmente si porrà in qualche modo al centro dell’attenzione,
curando i gesti da compiere, l’espressione del viso, e dando probabilmente
molta importanza all’abbigliamento e al trucco.
Questo non significa affatto che il raver profano sarà un’edonista inguaribile:
egli potrà appagare le proprie pulsioni egocentriche anche stando in disparte,
comportandosi in maniera grossolana, ballando e gesticolando freneticamente.
Non bisogna dimenticare che i preparativi e il post-rave (vestizione e
svestizione) fanno parte della cerimonia quanto la danza stessa. Si può
supporre che il danzatore profano impieghi gran parte della cerimonia proprio a
crearsi il “personaggio”, se mi si concede il paragone teatrale. Il danzatore
essoterico baderà insomma molto all’apparenza, non gradirà essere troppo
simile agli altri danzatori, e gradirà invece autogratificarsi nell’essere ammirato
o pure detestato , sarà innanzitutto attore e non spettatore.
Il danzatore sociale invece amerà con-fondersi con gli altri danzatori,
divenendo al tempo stesso spettatore e attore, sarà simile agli altri anche nel
modo di muoversi, nei gesti, nell’abbigliamento. Il danzatore sociale è
profondamente storico, nel senso che segue la moda, non quella patinata e
adulta, chiaramente, ma quella dettata dall’appartenenza al gruppo, dei raver
in questo caso.
Ora, sappiamo bene che si tratta di idealtipi, e che nella realtà tutte queste
caratteristiche si mescolano, ma si tratta comunque di costruzioni assai
indicative: nel caso del danzatore sociale abbiamo infatti l’esempio di quello
che dovrebbe essere il raver per antonomasia, se -come vedremo più avanti- il
rave è davvero basato sull’empatia e la socializzazione, almeno idealmente.
72
Un discorso a parte merita il danzatore sacro: difficile dire se il raver possa
aspirare a tanto.
Come abbiamo visto, “alcuni danzatori hanno una funzione “dinamizzante” per
gli altri, li fanno “salire” come ci ricordano A. Fontaine e C. Fontana in Raver.72
Si tratta di raver forse più “fuori” degli altri, le cui movenze incantano,
ipnotizzano, sciolgono chi li guarda.
Non di rado, durante i rave, si formano cerchi attorno ad un danzatore che fa
da “catalizzatore” per gli altri, per poi lasciare il posto ad un altro.
Difficile dire se questi raver “particolari” stiano compiendo una vera e propria
danza sacra, ma è certo che alcune sostanze psicotrope, specie l’LSD e la
mescalina73, possano spingere molto “oltre” il danzatore, “aprendogli” le porte
verso mondi lontani, fuori o dentro che siano, e gli permettano cioè di
accedere a Stati di Coscienza Modificati legati allo sciamanesimo e alla danza
sacra.
Chiunque abbia la possibilità di assistere ad un rave si renderà facilmente
conto che nella cerimonia convivono tutte e tre le dimensioni riconosciute alla
danza, e probabilmente ne riconoscerà la spettacolarità, ammirandola o pure
avversandola.
Ad un osservatore esterno qualsiasi tipo di rave, che si tratti di un illegal in un
grande capannone in disuso o di un rave Goa immerso nelle colline, apparirà
senza dubbio uno spettacolo unico, oltre che un fenomeno sociologicamente
interessante.
Questa spettacolarità è data dall’ambiente innanzitutto, che varia a seconda
del luogo, della nazione ,del clima, della tecnologia utilizzata.
Ad ogni modo l’ambiente e la scenografia sono due elementi fondamentali
nella danza rave, e ne sono parte integrante e indispensabile, perché ciò che
realmente conta è l’atmosfera, e quest’ultima sarà determinata non solo dalle
caratteristiche e dalle movenze dei danzatori, ma anche dal gioco di luci, dai
“costumi” e dalla scenografia.
Non esiste un ambiente caratteristico del rave, si hanno rave nei prati di
collina, nei grandi capannoni in disuso alla periferia delle grandi città, nei centri
sociali, nei clubs, sulle spiagge assolate indiane, persino sulle rive del Nilo.
Paese che vai ambiente rave che trovi .
2.3 I padri psichedelici
“Il festival rock fu semplicemente la festa più folle e più influente di
tutta la storia. Per un fine settimana, un campo di una fattoria 72 Fontana e Fontaine,op.cit. p.43.73 A tale riguardo vedere il capitolo dedicato alle “Droghe da rave” del presente lavoro.
73
divenne la terza città dello stato di New York. Quasi mezzo milione di
giovani americani viziati, ricchi, istruiti, schiacciati, compressi,
compattati in un pascolo di vacche.[…]Il più grande, più pagano
evento musicale di tutta la storia, con abbondanza di gioiosa nudità e
di sacramenti psichedelici. E fate click qui: neanche un solo caso noto
di violenza! Il festival di Woodstock fu un revival altamente
spettacolare del rito religioso più antico e più fondamentale: una
celebrazione pagana della vita e della natura primitiva, una classica
“cerimonia di possessione” di gruppo in cui la congregazione va fuori
di testa”.”74
Non c’è dubbio alcuno che i free-festivals inglesi e americani siano in un certo
senso gli antenati del rave.
In Inghilterra si è avuto, dalla fine degli anni ‘80 ad ora, una vera e propria
trasformazione di quelli che erano i festivals hippie in rave; in particolare fu da
eventi quali i raduni per il solstizio d’Estate e l’equinozio di Primavera a
Stonehenge che si produsse la prima scintilla rave: la musica psichedelica delle
generazioni hippie e freak si trasformò in techno, e i free festivals divennero
rave:
“Quanto alla trasformazione, a partire dai primi anni novanta, dei
vecchi festival hippies in rave, in particolare in rave illegali, va
ricordato che questa fu dovuta sia a persone che vivevano ancora in
comunità hippies, sia dalla gente del viaggio, i traveller che si situano
nella medesima scia...” 75
Tale trasformazione si riflette anche nella musica:
“Molti puristi storceranno il naso al solo pensiero di paragonare il
fenomeno rave e la sua musica a ciò che fu l’ondata psichedelica dei
tardi anni’60, ma ciò che si consiglia è l’esame in macro di tutta la
musica, non come singolo brano o musicista. La sua funzione...è di
creare un continuum temporale, che trasporti in uno stato di
trance[...] portando il danzatore a sincronizzarsi su ritmiche
transpersonali, che lo avvicinino a quel senso di unione, di Unità, che
sta alla base di ogni rituale, di ogni ricerca profonda.”76
74 T.Leary , 1996, Woodstock e i suoi nipoti in G. Gallina (a cura di), Trance-Il passato remoto della musica del futuro, Milano, Virus Production-Musica 90, p.48.75G. Lapassade, 1997, Dallo sciamano al raver,Roma, Sensibili alle foglie, p. 10776 B. Pochettino, 1996, Rave , sostanze e rit(m)o , in “Altrove” n. 3, p.133.
74
Ci sono insomma molti elementi che fanno pensare ad una continuità fra il
movimento dei free festival hippie e il movimento rave: il desiderio di
“trasgredire” con l’uso “comunitario ”delle droghe, di fare festa nel vero senso
della parola, di liberare il corpo e fare viaggiare la mente, di vestire in maniera
particolare, di essere insomma riconosciuti come hippie o come raver.
Il sentimento identitario di gruppo, è comunque probabilmente più debole nel
raver che nell’hippie, in quanto, a meno che non si trattasse di un “falso
hippie”, egli vedeva tutta la sua vita coinvolta in un tale tipo di scelta; e la
dimensione comunitaria che nei rave nasce solo per svanire dopo poche ore,
era invece assai presente nel movimento hippie, che proprio sul concetto di
comunità fondava gran parte della sua “filosofia”: le comuni hippie che
prolificarono all’epoca ne sono un esempio.
Esistono quindi delle differenze molto forti fra i due movimenti che non
possono essere ignorate, la differenza più evidente sta nel fatto che il
movimento psichedelico, o hippie, intendeva “rompere” con il sistema:
“Era convinzione dei figli dei fiori che la libertà si potesse raggiungere
solo disertando la società ufficiale senza scendere a compromessi e
senza mantenere legami di sorta con essa. Quindi gli hippies
rompevano del tutto col sistema e si stabilivano ai suoi margini,
rifiutando a priori qualsiasi tipo di impegno. Il loro distacco dalla
società veniva progettato come distacco totale, radicale e ben
definito.”77
Questo desiderio di rottura non appare nel movimento rave, se non nel caso
delle tribe e dei traveller, che si pongono, come movimento, proprio come
congiunzione fra gli hippies (e i punks) ed i ravers, ma si tratta di poche
migliaia di persone nel mondo, mentre i ravers, che sono molto più numerosi,
non sentono la necessità di un taglio così definitivo e totale con la società, anzi,
come vedremo in seguito, la filosofia rave sta proprio nel vivere nella società,
tuttalpiù ignorandola, e scavarsi una propria “nicchia ecologica” in cui esaudire
il proprio desiderio di libertà.
Difficilmente si tratta di un distacco totale e irreversibile: il raver generalmente
non è un individuo che rifiuta la società in toto, è piuttosto un individuo che
delle contraddizioni di tale società fa un’arma di liberazione: prende ciò che gli
piace (e gli serve) e cerca di ignorare il resto.
Una tale filosofia giovanile potrebbe essere interpretata come nuova “via di
fuga”, dopo il fallimento di movimento di opposizione totale quali quello hippie
77W, Hollstein, 1971, Undergroung. Sociologia della contestazione giovanile, Firenze, Sansoni, p. 84.
75
e quello studentesco del ’68 e del ’77, che, pur avendo ottenuto vittorie in
campo sociale hanno lasciato l’individuo fondamentalmente solo e confuso.
Il movimento rave non si propone di cambiare il mondo, ma semmai di
scuoterlo dal suo torpore, mostrandogli dove sta la festa.
Questo non toglie che alcune parole d’ordine, come “love and peace” siano
state riprese (la “Love Parade” di Berlino, che riunisce ogni estate migliaia e
migliaia di giovani ne è un esempio), e che alcuni tratti in comune rimangano
evidenti, si pensi per esempio al ruolo della donna: finalmente “liberata” dal
movimento femminista degli anni’70, ella ha durante il rave il medesimo ruolo
dell’uomo, non esiste cioè una distinzione vera e propria di ruoli.
Anche nell’abbigliamento le differenze non sono profonde, se non altro per via
della ricercata comodità, necessaria per ballare ore e ore di continuo. Questo
non vuole significare che la donna raver sia profondamente androgina o non ci
tenga a mettere in evidenza la propria femminilità, ma solo che ella non userà
presumibilmente tale femminilità per differenziarsi dagli altri.
La sessualità durante il rave, e anche in questo la differenza con gli anni della
psichedelia è profonda, non è molto importante, semmai durante il rave si può
parlare di sensualità, ma non esiste più quella necessità di liberazione sessuale
che contraddistingueva gli anni della protesta giovanile, riflettendosi in
comportamenti sessuali “liberati” e presumibilmente nemmeno troppo naturali.
Per quanto riguarda i rapporti fra i sessi il rave, come abbiamo visto, riflette i
principi della liminalità proposti da Turner, non vi sono cioè distinzioni nel
vestiario, vi si pratica una certa continenza sessuale (rintraciabile nella
sensualità che sostituisce la sessualità), e vi è una minimizzazione delle
diferenze sessuali; fra gli hippies le cose stavano in maniera assai differente: la
minimizzazione delle differenze, e la proclamata libera sessualità per entrambi
i sessi, era profondamente legata alla lotta femminista per la parificazione dei
diritti.
Un altro tratto in comune fra il movimento hippie e quello rave è invece
individuabile nel processo di commercializzazione che del movimento hippie
segnò la fine, e che sta cercando sempre più di impadronirsi della filosofia
rave per farne magliette, spille, borse e così via.
Non ci sarebbe da meravigliarsi se il movimento rave cadesse proprio sotto i
colpi di tale commercializzazione.
Ma, come ci suggerisce F. Bolelli, lo spirito della psichedelia e un’idea, e come
tale non può morire, forse sarà così anche per lo spirito rave (o è forse lo stesso
spirito che si trasforma nel tempo?).
“Un tempo biologico e mitologico, un tempo di estasi, un tempo al di
là del tempo. Un tempo quintessenziale, che abbraccia insieme
76
archetipi e presagi, richiami ancestrali e spinte evolutive. E’ questa la
dimensione della psichedelia: niente anni sessanta. Perché
psichedelia non è uno stile storico, ma l’esperienza vitale vissuta in
uno stato di grazia. Psichedelia è tutto quanto trasmette al nostro
DNA un senso di espansione, ci sintonizza con la corrente del
divenire, ci porta in contatto con il grande gioco dell’energia.”22
2.4 Tribe e travellers
I travellers, la gente della strada, a differenza dei ravers , e più similiarmente
agli hippies, non accettano le regole societarie, e la loro scelta non è più
indirizzata verso una nicchia ecologica e temporanea: essi scelgono una libertà
totale, una fuga infinita.
“Questi giovani nomadi apparterrebbero a due tradizioni differenti e
talvolta antagoniste: gli hippies e i punk. Questi avrebbero effettuato
il passaggio dai festival tradizionali dei giovani al rave, cosa che è già
un’informazione interessante per chi s’interessa alle origini del rave in
quanto dispositivo: tale dispositivo troverebbe quindi la sua origine
sia negli interdetti miranti a sopprimere le manifestazioni techno
(proibizioni e leggi che hanno contribuito a costringerle all’illegalità)
sia, nello stesso tempo, nella trasformazione dei vecchi raduni hippie
tipo Woodstock, con un apporto neo-hippie che costituirebbe così una
delle origini del tratto neo-mistico nei rave”78
Accanto e dentro al fenomeno dei traveller nascono le tribe, veri e propri sound
systems che organizzano raduni rave; questi giovani, insieme ai travellers,
sono i discendenti più stretti della generazione hippie, la cui filosofia di vita
viene però arricchita di nuovi elementi, quali il rapporto con la tecnologia: se gli
hippie amavano la campagna e uno stile di vita privo delle comodità
tecnologiche moderne e si riallacciavano al passato, i nuovi nomadi guardano
al futuro, i travellers e le tribe sono coloro che hanno portato il seme del rave
per le strade del mondo:
“Si formano le prime tribe, che nel frattempo riescono a trovare i soldi
per formare sound system da portare in giro con i furgoni per free
22 F.Bolelli,1996, Estasi-Espansione-Creazione, In G. Gallina (a cura di), Trance-Il passato remoto della musica del futuro, Torino,Virus Production-Musica 90, p.45.78
77
festival, configurazioni di zone temporaneamente autonome. Nasce in
questo modo una nuova forma di vita in movimento, frutto della
contaminazione tra i “figli del post-moderno”, portatori di
un’espressione mediata da interfacce tecnologiche, e i “figli dei fiori”,
esempio lampante di scelte di vita nomadi, in perenne viaggio (inteso
da più punti di vista) sono appunto i traveller, esistenza in totale
distacco dall’appartenenza territoriale (a volte però succede che il
distacco non sia parallelo a una forma identitaria che va a costituirsi
rendendo la tribe chiusa) e invadente rispetto alla cultura che sta
attraversando.”79.
Anche all’interno del movimento delle tribe e dei travellers vanno fatte le
dovute distinzioni: alcuni traveller si procurano da vivere “spacciando” o
“accattonando” per la strada, ma altri traveller hanno invece dato vita a sound
system di grande inventiva e portata artistica, come gli Spiral Tribe o i Mutoid
Waste Company: queste tribe girano tutta l’Europa, e si spingono fino in
America, portando i loro grandiosi spettacoli e organizzando rave di grande
effetto, inoltre compongono loro stessi la musica techno che propongono, così
che ad ognuna di queste tribe è finito per corrispondere un vero e proprio
“genere”.
I Mutoid Waste Company, per esempio, nonostante ripetute suddivisioni e le
diverse scelte dei vari membri, hanno mantenuto negli anni la fama di una
delle tribe più capaci, sia dal punto di vista musicale che da quello
spettacolare: i loro macchinari cyber, le performance di techno industriale dal
vivo, suonata su bidoni e su altri materiali di scarto, gli spettacoli col fuoco e il
loro originalissimo look “post-atomico” li hanno fatti entrare di diritto nella
storia del rave.
Ma, come dicevamo, non tutti i traveller fanno le stesse scelte, e certi loro
atteggiamenti anti-sociali hanno fatto guadagnare loro, soprattutto in
Inghilterra dove il movimento ha subito una forte repressione legislativa, una
pessima fama:
“Una volta li chiamavano semplicemente “il convoglio hippie”, ora
hanno attirrato vocaboli più ricchi e peggiorativi: pustolosi, scimmie
delle siepi, Brew crew, punk abbestia. Alimentano delle voci ostili,
spesso inverosimili, per esempio che. “il motivo per cui molti di loro
79 Damien, 1997, Scintille di pubblico disordine, in A. Natella e S.Tinari (a cura di), Rave Off, Roma, Castelvecchi, p. 53.
78
hanno un cane è per avere un extra di otto sterline sul sussidio di
disoccupazione”.” 80
A ben vedere, comunque, i traveller, sound systems famosi o “punk abbestia”
che siano, sono legati al movimento rave fin dalle sue più lontane origini, e se
tale forma di nomadismo non si fosse sviluppata, il rave, quello illegal, almeno,
avrebbe sicuramente conosciuto un’altra storia; inoltre in tali fenomeni di
nomadismo post-moderno si scorgono nuovamente i lineamenti di quella
communitas che era valore per gli hippie e riaffiora nel rave.
2.5 Il rave non è spettacolo
“Il pubblico non ha storia e non ha futuro; il pubblico vive in un
momento dorato creato da un sistema creditizio che lo lega
ineluttabilmente a una ragnatela di illusioni mai sottoposta a esame
critico. E’ questa la conseguenza finale dell’aver interrotto il rapporto
simbiotico con la matrice gaiana del pianeta; è il risultato della
mancanza di condivisione, il retaggio dello squilibrio tra i sessi, è la
fase terminale di una lunga discesa verso la mancanza di significati e
verso la tossicità della confusione esistenziale.”81
In questo brano McKenna, con la sua caratteristica enfasi, sottolinea i limiti del
rapporto che si ha generalmente fra pubblico e performer, rapporto in cui
troppo spesso al pubblico è riservato solamente il compito di gradire o meno
ciò che gli viene proposto, senza potere interagire con quanto sta accadendo.
E’ il caso del teatro classico, del cinema, e anche dei concerti rock e pop che
tanto hanno appassionato, e ancora appassionano, generazioni e generazioni.
Fin dagli anni ’60 si ha però assistito alla nascita di un nuovo concetto di
performance, in cui il pubblico diviene parte integrante e attiva della
situazione; si ha così , da parte delle avanguardie artistiche, un tentativo di
superamento della concezione aristotelica-occidentale dell’arte, cioè dell’opera
d’arte intesa come imitazione, rispecchiamento e riflesso della realtà di fronte
alla quale il pubblico non può che rimanere in contemplazione.
80R. Low-W. Shaw,1996, Traveller e raver, Milano, Shake edizioni, p. 21. In Italia non esiste una tale fantasia, e si definisce “punk abbestia” solo quei traveller, che forse nemmeno traveller sono, che vivono di spaccio e di vari espedienti, e amano soggiornare per ore nelle piazze, tra l’indifferenza della gente. Per quanto riguarda il fatto che i “punk abbestia” sono spesso circondati da cani, è evidente che non si tratti di un affetto “utilitaristico”, anche perché in Italia non esiste affatto un sussidio di disoccupazione! Piuttosto pare che i cani tengano caldo, oltre che dimostrare fedeltà ai propri padroni.81 T. McKenna, 1995, Il nutrimento degli dei, Milano, Urra, p.260.
79
“La condivisione dell'eccitazione (determinata dalla prestazione dei
musicisti) tipica della situazione del concerto si trasforma nel rave in
un moltiplicarsi esponenziale di inputs, di stimoli che si riproducono;
ognuno è protagonista ricevendo e trasmettendo energia. In questo
contesto la musica finisce per costituire un sottofondo. Musica di
sottofondo che esplode, musica immaginifica, portatrice di immagini,
capace di lasciare un maggiore margine creativo alla fantasia del
corpo e della mente di chi ascolta,aiutato dal supporto di uno spazio
sonoro.”82
La scommessa di gruppi come il “Living Theatre” e il “Performance Group” era
quella di coinvolgere lo spettatore in una performance collettiva, sempre in
bilico fra il “per finta” e il “per davvero”, in cui ritrovare la dimensione ludica e
corporea , la necessità teatrale di esprimere quella radicalità fisica senza
finzione.
Un tale concetto di spettacolo non è affatto nuovo: gli antichi rituali erano
contemporaneamente spettacolo e preghiera, danza collettiva e
corteggiamento. L’officiante, lo stregone, lo sciamano, era si la figura centrale
e catalizzante, ma tuta la tribù, il clan, era in un modo o nell’altro coinvolta.
Il rave potrebbe quindi essere interpretato come un ritorno al concetto gaiano
di performance illustrato da McKenna, in cui attore e spettatore coincidono, e
ogni singolo è parte necessaria per lo svolgersi della danza, della festa, del
rituale.
“...il rave rappresenta il superamento della performance “live”, che
prevede la presenza di uno o più protagonisti sul palco e di un
pubblico che si gusta l’esecuzione. Durante il rave l’esecuzione
musicale assume valenze del tutto diverse, il DJ manipola musica
registrata, la consolle è molto più nascosta rispetto al palco, la folla
non si raduna per guardare verso un’unica direzione ma semmai per
guardarsi.”83
Quanto esposto nel brano precedente è di fondamentale importanza, perché
illustra la differenza principale fra il movimento rave e tutti gli altri movimenti
giovanili che lo hanno preceduto: nel rave non si ha netta separazione fra colui,
o coloro, che eseguono e coloro che assistono, e questo ha una portata
rivoluzionaria nel campo delle mode giovanili.
82 Testimonianza di un raver illegale, op.cit..83 Pol G.,Music a di sottofondo in A. Natella e S. Tinari (a cura di), Rave Off, Roma, Castelvecchi, p. 26.
80
Anche durante gli anni della psichedelia, contraddistinti da idee “rivoluzionarie”
e fortemente anticonformiste e innovative, non si aveva però questa fusione
totale fra i partecipanti. Persino a Woodstock il pubblico era il pubblico e la star
era la star, per quanto le idee di cui si faceva portavoce fossero le “idee di
tutti”.
Questo, nel più recente passato, si è visto solo in fenomeni neo-pagani come i
free festivals inglesi, che del rave sono infatti i predecessori.
Nel rave non si hanno idoli da imitare, il raver non è un fan.
“... un fenomeno di identificazione con i musicisti, più spesso con i
cantanti che, nel rock, ha generato degli stili, delle parvenze, delle
attitudini identificabili. E’ la differenza più evidente tra un rave ed un
concerto rock: nel rave il DJ non viene messo in evidenza, in questo
modo, il rave non è spettacolo.”84
Ed è proprio analizzando il ruolo del DJ ed il materiale da lui utilizzato che si
può sottolineare dove e in che modo la performance rave fa la differenza.
Per quanto concerne il materiale discografico è importante sottolineare che i
mix utlizzati dai DJ durante i raves non sono normalmente commercializzati, e
provengono generalmente da cicuiti underground: il rave non è infatti un
“fenomeno musicale” se lo si intende come categoria o genere musicale cui è
legato tutto un mercato ad hoc.
Il vero rave non segue la “moda”, non fa vendere dischi, e il suo successo non
dipende, e questo è importante, dal nome del DJ, dalla sua fama, quanto dal
genere di musica techno che propone.
I nomi che appaiono sui flayers (volantini) spesso non riportano nomi di DJ ma
solamnete quelli dei sound systems che organizzano l’evento; se si mettono in
evidenza nomi di DJ è solamente per evidenziare il genere di techno su cui si
baserà la nottata. A volteè messa in evidenza la provenienza geografica del
performer, in modo che sia chiaro se si tratta, ad esempio, di un rave Goa con
transe israeliana o di un illegal con gabber olandese a 300 b.p.m..
L’anonimato è quindi una caratteristica del DJ raver, a differenza delle serate in
discoteca, che proprio sul nome e la popolarità dei DJ fanno la loro fortuna.
2.6 Zone Temporaneamente Autonome
TAZ, Zone Temporaneamente Autonome : utopie temporanee, nella definizione
di Hakim Bey, autore di grido della controcultura americana, la cui opera è
84 Fontana e Fontaine, 1997, Raver, Roma ,Sensibili alle foglie, p. 86.
81
divenuta stimolo di dibattito negli ambienti underground italiani, all’interno dei
centri sociali prima e della scena dei rave illegal poi.
“La TAZ è come una sommossa che non si scontra direttamente con
lo Stato, un’operazione di guerriglia che libera un’area (di tempo, di
terra, di immaginazione) e poi si dissolve per formarsi in un altro
dove, prima che lo Stato la possa schiacciare.”85
TAZ quindi come effrazione del codice, sia sul piano spazio-temporale che su
quello simbolico, che viene schiacciata se si perpetua come rito sempre uguale
a se stesso.
Bey riprende il concetto di Fourier di “serie passionali”, cioè di un gruppo di
“spiriti liberi”, una organizzazione che sfugga alla dialettica assassina delle
istituzioni, il “numero di uomini psichicamente collegati necessario a esprimere
e realizzare un obiettivo passionale, condiviso e comune”.86
Bey spera nello sviluppo di tali gruppi, gli unici, secondo l’autore, in grado di
realizzare l’utopia, il non -luogo dove realizzare i propri desideri di uomini liberi.
E per libertà Bey intende sempre un agire che non provochi auto-sofferenza,
che non sia controproducente e che allo stesso tempo non arrechi danno agli
altri:
“Non voglio realizzare i miei desideri a spese della sofferenza altrui.
Non perché sarebbe immorale, ma perché sarebbe psichicamente una
sconfitta nei miei stessi confronti: la sofferenza genera sofferenza.
[...]Io lo rifiuto (il crimine) per ragioni meramente egoistiche : per
realizzare i miei desideri devo evitare la legge, o addirittura
infrangerla, ma non faccio nulla di sbagliato seguendo la mia strada e
non accetto nemmeno di essere etichettato come criminale.”87
E il rave in questo senso è proprio un “non-luogo”, la realizzazione di un’utopia
fuori dai ritmi del tempo “istituzionalizzato”, fuori dai luoghi del quotidiano, che
non si contrappone alla legalità, alle dinamiche di mercato, ma semplicemente
le ignora.
Il raver combatte la società che non gli da modo di esprimersi, ignorandola,
scavandosi una sua “nicchia ecologica” dove realizzare i desideri, almeno per
lo spazio di una notte.85 H. Bey, 1997, citato in A. Natella, Intro in4/4 - 180 bpm, in A. Natella e S. tinari, Rave Off, Roma, Castelvecchi, p. 11.86 H. Bey , 1997, L’ape criminale , in A. Natella e S. tinari, Rave Off, Roma, Castelvecchi, p. 142.87 Ibidem, p.142.
82
Un nuovo modo di opporsi all’appiattimento della coscienza e delle idee di una
società dominata dall’onnipresenza dei media. E in questo senso il discorso di
Bey è stato ripreso dal movimento controculturale italiano, e così dai ravers,
per la sua carica “sovversiva”.
La politicizzazione del rave, specie in Italia, è molto forte, e benché dal
fenomeno non sia scaturita alcuna nuova teoria, buona parte del movimento
studentesco degli anni passati si è riversata nel fenomeno, come vedremo
quando tratteremo degli illegal.
Il pensiero di Bey ha le sue debolezze che sono poi le debolezze del pensiero
situazionista, ma i concetti di “psicotopologia” e di “tela” si riflettono in una
certa filosofia di fondo del movimento illegal rave e del movimento Goa.
Riprendendo il Bey pensiero: la mappa psico-geografica del rave pone al centro
le periferie e i luoghi normalmente tagliati fuori dalle dinamiche del mercato,
una rimappatura, insomma, dell’area urbana ed extraurbana, meno controllata
dalla Polizia e pronta per essere ristrutturata per l’occasione.
La “tela” si differenzia dalla rete in quanto se quest’ultima è l’insieme della
comunicazione far isole chiuse, con collegamenti verticali e unidirezionali, la
tela è caratterizzata invece una struttura aperta, orizzontale e alternativa di
scambi di informazione.
2.7 Rave e tecnologia.
La tecnologia è parte integrante del movimento rave, che , sebbene “rituale”
che mira alla ricerca di un “altrove”, poggia la sua base all’interno della
civilizzazione. Il rave è integrato nella tecnologia, il rave è tecnologia.
“E’ comunque un fatto che il rapporto con la tecnologia sia uno degli
elementi qualificanti dell’esperienza rave: la tecnologia industriale
degli spazi riutilizzati, quella elettronica dei campionatori e delle drum
machine, quella chimica delle sostanze empatogene e
psichedeliche.”88
All’interno del movimento rave si è sviluppata l’utopia di di una tecnologia più
umana, in cui è la tecnologia ad essere asservita agli scopi dell’uomo e non il
contrario; alcune tribe, come i Mutoid Waste Company e gli Spiral Tribe fanno
del riciclaggio tecnologico (waste) una filosofia di vita.
E l’utopia cyber, un movimento indirizzato al futuro e alle nuove tecnologie nel
quale la tecnologia è in accordo non solo con l’uomo, ma con la natura e la
spiritualità; è l’attuazione del vecchio sogno “fantascientifico” che, fin 88 Fontana e Fontaine, op.cit., p 6.
83
dall’epoca del movimento psichedelico, credeva negli accresciuti sviluppi delle
possibilità di controllo sulla tecnologia,è la risposta al Grande Fratello da parte
di un uomo autonomo non più soggiogato ad una qualche volontà tecnologica
superiore.
Tale filosofia si rispecchia nel movimento letterario della fantascienza
“cyberpunk”, il cui immaginario si tesse attorno agli elementi della nostra
cultura per descrivere un futuro prossimo in cui alcuni temi tornano con
regolarità: il potere governativo è in mano alle grandi multinazionali, le città
sono popolate da moltitudini di gruppi e di etnie in lotta fra di loro, e le
frontiere da conquistare non sono più quelle fisiche , ma quelle informatiche e
virtuali del “cyberspazio”. In questo immaginario futuro la tecnologia diviene
anche una droga in grado di aumentare le capacità del corpo e della mente
umana.
Il riciclaggio, come abbiamo visto, diviene fonte di creatività, nel campo
musicale come in quello della gestione degli spazi e del proprio corpo, fino a
riflettersi negli stessi flyers, volantini nati per indicare il giorno e il luogo del
rave che divengono incisivi mezzi di comunicazione visuale, patchwork di
immagini scannerizzate e riassemblate al computer.
Ma la valenza della filosofia cyber va ben oltre le speculazioni fantascientifiche
della letteratura: il movimento rave, proprio per la sua capacità di riciclaggio e
di recupero (non solo degli spazi, ma delle idee, delle musicalità, delle culture
diverse, lontane geograficamente e temporalmente), assume una valenza
fortemente controculturale:
“...il mercato tecnologico, nella sua velocissima evoluzione, ha
permesso l’avvicinamento da parte della massa ai suoi scarti. Sempre
più persone iniziano a realizzare cosa significa usare determinati
mezzi per esprimersi e porre la propria forma di creatività contro un
determinato potere. Ecco che le porte della mente vengono aperte da
chiavi tecnologiche permettendo le esplosioni delle più profonde
potenzialità umane.[...]La macchina non serve più per “produrre”
merci impalpabili bensì per “creare” cultura antagonista.”89
E il rave si fa ancora più “controculturalemente tecnologico” quando entra in
Internet, rompendo ogni forma di copyright attraverso la comunicazione
telematica.
In questo suo unire il passato al presente, rave appare in tutto e per tutto un
fenomeno tecnologico, tecnologia che , in questo caso, rende liberi piuttosto
che schiavi: la tribù tecnologica dei ravers balla oltre i limiti del corpo, un corpo
89 Demian,op.cit, p. 57.
84
“liberato” dai limiti della fatica, grazie alla tecnologie delle droghe sintetiche,
immerso nel suono della techno-music.
2.8 Transe e techno, dal passato la musica del futuro.
È’ luogo comune che la musica di questi anni viva una profonda crisi di idee,
luogo comune determinato dal non sapere, o volere, guardare nella giusta
direzione.
Gli stessi musicisti hanno avuto difficoltà ad accettare i nuovi strumenti che
l’innovazione tecnologica offre, ma dopo anni di sperimentazione da parte di
personaggi di indubbia genialità, quali Brian Eno e i Grateful Dead, tanto per
citare i più famosi, la scena elettronica e techno ha finalmente trovato il suo
meritato spazio di espressione, con la nascita e la diffusione di un fenomeno di
grande interesse.
La musica elettronica, pur frantumata in numerosi generi, porta al
compimento il progetto di quegli artisti visionari della fine degli anni ’60, come
Terry Riley, che proponevano una musica non più eurocentrica e
autoreferenziale, ma aperta verso il mondo e la sua storia, verso le altre civiltà.
La musica minimale e ripetitiva della generazione di Ginsberg e Burroughs,
traeva ispirazione dal movimento psichedelico, legato fortemente alla
spiritualità indiana, ad un diverso approccio all’esistenza, al rapporto con gli
altri con la natura.
E oggi come allora si scopre questo bisogno di uscire dagli schemi di vita
convenzionali, per raggiungere stati altri, nuovi e antichissimi allo stesso
tempo.
L’interesse per la transe, per l’estasi e per la ritualità è ciò che accomuna la
ricerca psichedelica alla techno, la nuova musica elettronica che è a ben
guardare uno dei fenomeni musicali più interessanti degli ultimi anni.
Nel migliore dei casi la musica techno diviene ponte fra la metropoli e le civiltà
diverse da quelle occidentali, fra passato e futuro. Essa recupera la musica
etnica, la trasforma, la plasma, la rende fruibile all’ascoltatore di oggi, ma allo
stesso tempo ne rispetta le valenze più profonde e ripropone lo stesso bisogno
di armonia e di rigenerazione.
La musica transe appartiene a tutte le epoche, è legata all’Uomo in quanto
tale e al suo bisogno di sacro.
La transe non è melodia. È piuttosto musica allo stato puro, ritmica, ripetizione.
Non è un qualcosa da ascoltare, ma piuttosto un qualcosa da vivere, accettare,
fare proprio, un qualcosa capace di unire l’uomo ai suoi simili, è un dispositivo
indispensabile per il raggiungimento di stati altri.
85
La musica transe non permette un ascolto passivo, ma coinvolge l’ascoltatore
in modo totale, lo avvolge, ne plasma i pensieri e i movimenti, il pensiero: è
danza che crea.
E proprio alla danza la transe è indissolubilmente legata, oggi nel mondo
occidentale come in ogni altra parte del mondo ed in ogni epoca.
Il recupero della transe implica anche diverse modalità di fruizione, non più un
ascolto passivo in teatri e concertifici, ma partecipazione attiva e totale nei
clubs, partecipazione resa ancora più totale durante i raves.
Ed ecco che nelle periferie urbane si balla questa musica in cui passato e futuro
si incontrano: musica etnica e elettronica si fondono, con risultati a volte
grandiosi.
La funzione sociale della musica etnica sposa la tecnologia e si assiste così ad
un rito di transe metropolitana, dimostrazione che, se pure in diversi contesti
sociali e culturali, si ha oggi come in passato la stessa esigenza di benessere e
armonia nel rapporto con i propri simili, con il mondo e con l’universo dentro e
fuori di noi.
Ma vediamo meglio quali sono le caratteristiche principali della musica transe,
e della techno-music in genere.
“La musica, parte centrale, preponderante del rave deve servire come
un continuum sonoro, come un “tappeto per la preghiera” del corpo e
deve quindi rispondere a requisiti ben precisi per amalgamarsi con
altri brani. Di conseguenza la critica che viene spesso sollevata nei
confronti della musica da ballo di essere tutta uguale, priva di
interesse o di comunicatività, cade di fronte a un’intera situazione in
cui la musica viene analizzata per uno scopo ben preciso [...]. La
necessità di un tappeto sonoro omogeneo è dettata dal bisogno
dell’individuo danzante di potervisi adagiare con sicurezza.”90
La techno-music si basa su di un tappeto ritmico incessante, che crea una
tensione che non si risolve, e proprio per questo motivo procura piacere .
La techno-music si avvale delle tecnologie più innovative, computer e
sintetizzatori , per la costruzione di “pezzi” basati su ritmi ripetitivi e ossessivi,
che facilitano l’inserimento dei danzatori in uno stato ipnotico. E’ questo il
tratto essenziale che accomuna le varie correnti interne alla techno-music
(acid, garage, trance, hard-core, industriale, ecc.) e che rende possibile un
parallelo fra il ritmo rave e forme musicali tradizionali, anch’esse associate ai
riti notturni della transe, ai riti di possessione.
90 B. Pochettino, 1996, citato in F. Begozzi, Generazione in Ecstasy, Torino, Edizioni Gruppo Abele, p.118.
86
Lapassade propone un parallelo fra la ritmica rave e quella associata ad alcuni
riti africani tradizionali:
“Quelli che conosco meglio sono quelli dei gnuaua marocchini, che
animano le notti di transe essenzialmente con un liuto (guembri) e i
crotali, ma senza il tamburo- che però si ritrova nei riti della stesa
categoria, come per esempio nella macumba. Anche qui i flussi sonori
sono intensi, ripetitivi, ossessivi, con poche variazioni ritmiche. Ma, a
differenza della techno, la musica tradizionale di transe comporta
generalmente il canto di litanie.”91
In questo passo Lapassade pone in parallelo la musica techno e la musica
tradizionalmente legata ai rituali di transe, evidenziando così alcuni tratti
essenziali della techno-music: un suo legame con la musica etnica, che
abbiamo già illustrato, l’uso del tamburo come sottofondo ritmico e la
prevalente assenza del canto, presente invece nei rituali tradizionali.
Partiamo proprio dal canto, dalla sua presenza o dalla sua assenza, per
analizzare ciò che della techno riconduce alla musica etnica e tribale, e ciò che
la rende così diversa da quasi ogni altro genere musicale contemporaneo.
La musica techno, dicevamo, è basata sulla ripetizione ossessiva di una ritmica
di fondo, non ha, come la canzone tradizionale, un inizio e una fine ben
distinguibili, la base di fondo non serve da sottofondo ad una melodia di primo
piano cantata o suonata da uno strumento. La struttura della techno è
piuttosto composta di piste sonore che si sovrappongono e giustappongono, si
inseguono e svaniscono per poi riapparire.
Non esiste un dualismo melodia-accompagnamento , tipica della musica
leggera, del pop, ma anche del canto popolare. Come dicevamo più sopra, la
techno non è melodia, è musica pura, suono, ritmo.
“Mentre i compositori del passato intendevano comunicare un
determinata impressione estetica, e per farlo miravano alla chiarezza,
subordinando il dettaglio alla melodia e al ritmo di ampio movimento,
con un apporto accuratamente sfumato tra certezze e ambiguità, gli
autori d'avanguardia preferiscono la saturazione e la prolissità dei
fenomeni musicali con la finalità di cancellare le proprie tracce e
quindi di creare quello che può essere definito un effetto magico.
Questa musica va percepita istantaneamente in uno stato di shock
creato da alterazioni rapide o in stati quasi onirici creati 91G. Lapassade,1997, Dallo sciamano al raver, Milano, Urra, 1997, p. 99.
87
dall'estensione apparentemente senza fine di schemi pressochè
identici che si ripetono costantemente. La musica deve circondare
costantemente l'ascoltatore, eliminando così il divario convenzionale
tra mittente e destinatario.”92
L’assenza del canto, della parola come strumento di comunicazione, fa quindi
sì che sia il suono, il ritmo, a coinvolgere la mente e il corpo dell’ascoltatore,
che non viene, per così dire, distratto da una storia, dalle parole, dal
sentimento.
“Tradizionalmente la canzone è costruita formalmente attorno al
testo, assegnando così un ruolo predominante alla comunicazione
verbale. La parola ha però assunto sempre più valore di puro suono:
la tecnologia elettronica permette di ricreare, di campionare, di
decontestualizzare la voce umana e nella techno la parola è andata
progressivamente scomparendo, favorendo lo sviluppo di modalità
comunicative meno facilmente definibili .”93
I due elementi fondamentali della techno-music sono rintracciabili nel modo in
cui la techno viene composta e nel modo in cui si ascolta, e se le tecniche di
composizione, che come abbiamo già detto sono basate sull’uso di computer e
sintetizzatori, hanno poca rilevanza ai fini del nostro lavoro, le caratteristiche di
fruizione appaiono invece molto interessanti.
Infatti proprio l’assenza di un percorso narrativo, di una storia, di un inizio e di
una fine permette all’ascoltatore di entrare in una dimensione in cui si ha una
costante percezione del presente: la ripetizione infinita di frammenti musicali e
la circolarità fanno presa sull’ascoltatore, il quale può scegliere quale pista
sonora seguire, isolandola fra le altre.
Così c’è chi preferirà le sonorità basse e più lente e chi quelle veloci e alte,
senza che si creino dei gaps fra i danzatori. Al culmine tutti i diversi percorsi
musicali si ricongiungono e si fondono, il ritmo aumenta, fino al sincronismo
perfetto, momento in cui si assiste, durante il rave, al karmacoma, durante il
quale i corpi e le menti si fondono, e danzano all’unisono.
La musica techno, è questo il punto più interessante, non induce sentimenti,
bensì sensazioni, veicolate dall’organo dell’immersione e dell’emozione per
eccellenza: l’orecchio. A occhi chiusi ci si immerge totalmente nella magia del
suono, tutto il resto è tagliato fuori, si è come posseduti, e non è solo l’udito a
essere stimolato: le vibrazioni sonore muovono il corpo, e mentre le sonorità
92 Testimonianza di un raver illegale, op.cit. .93 Ibidem
88
basse agiscono sulla parte inferiore del corpo, le braccia, le mani e la testa
seguono i loops delle sonorità alte.
La techno permette l’espressione del corpo, che gioca con la musica, mima,
oscilla, totalmente dominato dal suono.
“Questa musica va percepita istantaneamnte in uno stato di choc
creato da alterazioni rapide o in stati quasi onirici craeati
dall’estensione apparentemente senza fine di schemi pressochè
identici che si ripetono continuamente. La musica deve circondare
costantemente l’ascoltaore, eliminando così il divario convenzionale
tra mittente e destinatario. Alcuni ritengono che il suo effetto sia
migliore nella musica registrata, con gli alti livelli sonori e gli
altoparlanti di alta qualità che estendono (e a volta trasformano) le
posizioni e la distribuzione dei suoni. L’ascoltatore è dunque
materialmente immerso nel suono.” 94
Lo studio delle musiche da transe rivela che caratteristica comune di queste
musiche sono il ritmo ripetitivo e l’accelerazione del tempo, da cui
l’importanza fondamentale del tamburo in quasi ogni rituale tradizionale di
transe.
Rosseau riteneva il tamburo dotato di un potere misterioso di scuotere nervi, di
produrre la transe, M. Eliade, grande studioso delle istituzioni della transe,
sottolinea invece il ruolo primario che il tamburo assume nel rito sciamanico,
essendo considerato un mezzo che permette il contatto diretto con il mondo
degli spiriti.95
Se si ammette che il ritmo ossessivo dei bassi della techno possa in qualche
modo sostituire il ritmo tribale dei tamburi, la techno può essere considerata
una nuova musica da transe: techno, insomma, come induttrice di transe.
Un dispositivo musicale che, affiancato dall’uso sapiente delle luci, degli strobo
e all’ingestione di sostanze psicotropiche, aiuta il raggiungimento dello stato di
transe, come vedremo a suo tempo.
Lapassade sottolinea però il fatto che le musica da transe, e quindi anche la
techno music, abbiano più la funzione di regolare la transe, piuttosto che
indurla.
Capita spesso che il solo ascolto di un brano techno possa, in persone
predisposte o “iniziate” portare allo stato di transe automaticamente, come
una specie di riflesso condizionato; un’altra caratteristica della musica techno
94 Demian, op.cit., p. 57.95 Eliade M., 1953, Lo sciamnismo e le tecniche arcaiche dell’estasi, Roma-Milano, Fr. Bocca Editori.
89
che rende possibile un parallelo con le più tradizionali musiche da transe è
infatti fenomeno dell’ “iniziazione-techno”:
“Molto spesso dopo una prima festa, i novizi associano i suoni
particolari della techno al rave quando li riascoltano in un altro
contesto. La musica costituisce un segno per la memoria; le emozioni,
le sensazioni vissute nel momento della festa rinascono con l’ascolto.
Durante le nuove uscite, per coloro che sono già iniziati alla techno, il
passaggio da uno stato di coscienza all’altro è più facile. L’importanza
della musica nella transe è qui comparabile al ruolo che essa ha in
alcuni rituali tradizionali: come mostra Bastide presso gli Yoruba per
esempio, in questo stato di transe “si insegnano agli iniziati dei riflessi
condizionati in modo che possano, ascoltando alcuni leitmotiv
musicali, entrare ancora in stati simili” ”.96
Aspetto assai interessante della scena techno è il suo rapporto con la musica
per così dire istituzionalizzata e sottomessa alle regole delle grandi
multinazionali del settore, alle leggi del mercato che sulla musica, come su
ogni altro aspetto del loisir moderno, hanno costruito un immenso giro di affari.
“Se per "fenomeno musicale" si intende appunto una categoria o un
genere musicale che vende dischi e che sia riferibile ad un contesto
preciso, la scena techno non può definirsi tale: il suo sviluppo, la sua
crescita, il suo "successo", non dipendono dalle vendite dei dischi, dal
fatto di rappresentare un buon prodotto commerciale; inoltre non è
possibile identificare in maniera precisa i suoi acquirenti, tantomeno i
suoi luoghi deputati in quanto essi vengono cercati, creati, oppure
semplicemente vissuti di volta in volta in modo diverso97
E c’è anche un altro aspetto che rende la techno meno assoggettabile alle
regole del mercato, ed è questo il secondo aspetto preso in considerazione da
Fontaine e Fontana: il modo in cui la techno viene creata.
La tecnologia alla base della creazione della musica elettronica è oramai
divenuta alla portata di tutti e, di conseguenza, lo statuto del musicista è
mutato.
Quella stessa tecnologia che permette, attraverso il mixaggio, di integrare
diversi stili e diverse culture musicali, libera il musicista della necessità di un
96 Fontana e Fontaine, op.cit., p. 34.97 Testimonianza di un raver illegale, op.cit.
90
grande apparato di musicisti e strumenti, permettendogli oltretutto di
materilizzare molto velocemente le sue idee, attraverso computer e
sintetizzatori.
Molti storceranno il naso, commentando che la techno non è vera musica, ma
questa è solo una questione di punti di vista.
Certo le moderne tecnologie aiutano il “genio” musicale, ma il creatore di
techno, come ogni altro artista, deve conoscere perfettamente gli strumenti a
sua disposizione, per creare qualcosa di “bello”, di innovativo e originale, deve
saper selezionare le traccie, cambiare il ritmo, sopprimere le note stonanti.
Non tutti possono essere bravi artisti techno, ma il fatto imprtante e
rivoluzionario sta proprio in quella possibilità data a “tutti” di poter accedere
agli strumenti dell’artista. Come dire che, in questo caso, la tecnologia si fa più
democratica.
“...La tecnologia si è rivelata completamente indipendente. Possiamo
installarla dappertutto, soundsystem, dj’s, raves, fino ai capi del
momdo. Comunicando agli iniziati grazie alle reti e ai modem. Nella
scena sulla quale ci muviamo, migliaia e miglia di persone fanno i loro
movimenti e comunicano. Niente denaro, niente controlli, noi
seguiamo il cammino della vita. […] Non vendiamo dischi, ma una
cultura totale. Posssono Sony o Philips fare una cosa del genere? Ecco
il punto chiave: a parte la festa, cosa vuoi fare della tua vita?”98
La techno non vuole proporre solo musica, essa propone invece un vero e
proprio modo di relazionarsi all’esistenza, una filosofia, più filosofie: da quella
del riciclo cyber a quella pangenica delle feste Goa, ma sempre un qualcosa
che coinvolga l’esistenza tutta, in ogni suo aspetto.
E non farà nessuna meraviglia se il “goano” misticheggiante farà uso delle più
innovative tecnologie di rete, per diffondere il suo messaggio per le vie del
mondo.
2.9 Le droghe rave
L’Ecstasy e le nuove droghe
Cercare di analizzare il fenomeno rave senza dare giusto spazio alle sostanze
psicotropiche sarebbe davvero ingenuo, oltre che ipocrita.
98 C. Ballaira, 1996, Pronoia, in G. Gallina (a cura di), Transe, il passato remoto della musica del futuro, Milano, Virus Production-Musica 90, p.67.
91
Il fenomeno rave è nato insieme al diffondersi di tutta una serie di “nuove
droghe”, che hanno permesso il sorgere di un movimento giovanile che del
consumo di sostanze stupefacenti “diverse” fa una bandiera.
I raver, come la maggior parte dei consumatori di Ecstasy, non sentono più
addosso l’eredità di quel “no future” che ha caratterizzato il movimento punk, e
nemmeno vogliono cambiare il mondo, come gridavano i giovani contestatori
negli anni ’60 e ’70, fra uno spinello e un trip di LSD.
Cambiano i tempi e cambiano le droghe, cambiano i ritmi di vita e cambiano i
modelli di assunzione, cambiano i desideri e alle droghe oggi si chiede, anche,
qualcosa di diverso.
Credo si debbano chiarire un paio di questioni, prima di dare un’occhiata al
panorama delle droghe da rave.
Innanzitutto, come vedremo, le droghe classicamente associate al mondo
giovanile sono tutt’altro che scomparse, ognuna di loro ha conosciuto un iter
del tutto particolare, ma ciò che interessa ai fini della nostra ricerca sono le
nuove modalità d’assunzione, il come, il dove e il perché delle “nuove droghe”.
Occorre innanzitutto sottolineare che le sostanze “da rave” sono generalmente
droghe assolutamente non letali, certo pericolose se non le si conosce, ma non
più legate a quel culto di morte insito nel consumo di eroina.
Con questo non voglio dire che l’eroina non sia mai entrata ad un rave, ma solo
che si tratta due mondi diversi, anche se confinanti, mondi che cercano cose
differenti, specie quando si tratta di fuggire.
Il raver, come abbiamo visto, non è un disperato, non è un individuo marginale
in cui prevale il desiderio di morte; non è il punk degli anni ’70 che odia tutto e
tutti e affonda la sua disperazione in una vena iniettandosi qualche grammo di
sostanza marroncina, ma non è nemmeno il mistico che dell’uso di droghe
psichedeliche fa una vera e propria filosofia di vita, una via interiore di ricerca.
Il raver sta forse nel mezzo, cerca una temporanea fuga dal mondo, vuole stare
bene e magari viaggiare, ma mai spingersi troppo lontano, la sua droga sarà
quindi una droga i cui effetti non durino troppo, e che non porti in luoghi da cui
sarebbe difficile “tornare”.
E qui si apre un’altra questione: il raver, in generale, non è un mistico e
nemmeno un drogato nell’accezione comune del termine, ma esistono,
all’interno del fenomeno, delle differenze assai evidenti, sia nel tipo di sostanza
usata, sia nelle modalità di assunzione, diversità non solo riscontrabili,
chiaramente, da individuo a individuo, ma assi evidenti tra movimento e
movimento.
Alcune sostanze presenti massicciamente nel mondo illegal, legato alle tribe e
ai travellers, sono quasi assenti dal mondo delle discoteche, e sono meno
92
presenti nei rave organizzati dai centri sociali e nei party Goa, come vedremo
meglio quando illustrerò le diverse situazioni presenti sul territorio bolognese.
Questo è un punto molto importante, perché solo conoscendo, senza entrare
troppo nello specifico, gli effetti delle sostanze, si può cercare di comprendere
lo spirito del rave, o, meglio, lo spirito dei raves.
Un ultima osservazione: l’Ecstasy, come altre sostanze stupefacenti, hanno da
tempo fatto il loro ingresso nelle discoteche, diventando spesso oggetto di
studio; in libreria non mancano giornali, riviste, libri, che trattano l’argomento,
senza avarizia di dati, e anche serie ricerche da parte di enti e associazioni; tali
ricerche però, se pur interessanti, non hanno grande interesse al fine del nostro
discorso, essendo appunto incentrate su un mondo vicino ma assi diverso da
quello del rave.
“La ricerca diffusissima di alterazione sensoriale non riguarda solo il
consumo di droghe più o meno pesanti ma la capacità di
sollecitazione del proprio corpo attraverso la veglia, la fatica, lo stress
psichico. Si tratta con la propria adrenalina, si scatenano i recettori
meno utilizzati del cervello. Aspetti che non possono essere liquidati
come mera disfunzione generazionale, non più, perlomeno.” 99
E’ l’Ecstasy, questa sostanza dal nome invitante, la droga da rave per
eccellenza. Ecstasy e rave nascono insieme, e insieme si evolvono, mutano,
invadono il mondo.
In termini temporali, a essere precisi, l’E (Ecstasy), nasce molto prima, e viene
sperimentata su “cavie umane” in un contesto assai diverso da quello, pur
caotico e “off limits”, del rave o della discoteca.
L’MDMA è infatti una sostanza brevettata nel 1913 dalla compagnia tedesca
Merkc, nata, secondo la diceria, come dimagrante ma mai immessa sul
mercato poi riapparsa nei laboratori della NATO alla fine degli anni’40 e
utilizzata come “euforizzante” per le truppe americane durante la Seconda
guerra mondiale.
Il rapporto fra droga e guerra e antico quanto l’uomo, antico cioè quanto il
rapporto fra uomo e droga in generale: accanto alle tecniche psicologiche e di
combattimento, fin dall’antichità durante e prima del combattimento si è fatto
largo uso di sostanze psicoattive, dall’alcol (noto è l’uso del vino come
euforizzante presso le truppe romane), al “dioniso celtico” (che si suppone
fosse una miscela di vino e altre sostanze psicoattive come l’Amanita
Muscaria), dalle anfetamine di cui si imbottivano i kamikazen giapponesi
99 Infante C., “Un corpo invaso da circuiti”, l’Unità, 21/12/1995.
93
durante la seconda guerra mondiale, al kath ampiamente utilizzato durante il
conflitto somalo.100
L’Ecstasy sarebbe insomma il materiale di scarto di sperimentazioni che
avevano tutt’altro obiettivo che scoprire una sostanza empatogena, in grado di
avvicinare la gente, di dare euforia e fiducia in se stessi.
Padre “adottivo” dell’MDMA è R. Shulgin, biochimico californiano, ricercatore
presso la Dole, una compagnia chimica Amricana, il quale ha studiato per anni
l’MDMA, descrivendone gli effetti sia sul corpo che sulla psiche umana,
giungendo ad avernene una visione assai positiva ed a proporne l’uso in
psichiatria.101
Ma prima di vedere gli effetti dell’Ecstasy occorre chiedersi perché il fenomeno
rave sia così strettamente legato al consumo di sostanze psicoattive.
Credo vi siano due ordini di motivi: l’uno legato al desiderio di abbandonare
temporaneamente le ansie, la fatica e i problemi del quotidiano, l’altro invece
più strettamente di orine fisico, in cui la droga altro non è che una sostanza che
permette di andare oltre i confini della notte senza troppa fatica, e soprattutto
senza cedere al sonno.
L’Ecstasy “risolve” entrambi i problemi, permettendo al raver di sentirsi bene
fra gli altri e dandogli l’energia necessaria a 6-8 ore ( e anche più) di ballo
ininterrotto.
Non è obbligatorio “calare” per partecipare ad un rave, ma certo le sostanze
psicoattive rendono più facile la cosa, sono una scorciatoia verso i confini della
mente e della notte.
“...una scorciatoia tanto potente quanto potenzialmente dannosa.
Sono le sostanze psicoattive a permetterci, per alcune ore, di andare
oltre la coltre dello stress per ricevere quella spinta alle spalle
necessaria per compiere il salto di coscienza, sciogliere i freni inibitori
e ritrovarci completamente immersinella danza, trapassati dal suono
e pronti a farci trascinare per un viaggio lungo una notte.”102
100 Un saggio molto interessante sull’argomento è :1996, Carlo Alfredo Clerici, Droghe da guerra, in “Altrove” n.3, p.51/59.101 Di A.T. Shulgin ricordo: Shulgin A.T., 1986,“The Background and Chemistry of MDMA”, in Journal of Psychoactive Drugs n.18; Shulgin A.T.-Shulgin A.,1991, PihKal. A Chemical Love Story, Berkeley, Transform Press. Sull’uso dell’MDMA e dell’LSD in psichiatria: Camilla G.,1996, L’MDMA e le terapie psichedeliche: una prospettiva storica, in “Altrove” n. 3. Pubblicazioni interessanti ed esurienti sull’MDMA sono: 1996, “Emaptogeni”, in Altrove n. 3 ; Pagani S., 1996, Ecstasy, neurodanze e abusi, in “Altrove” n.3; Bolelli F., 1994, Le nuove droghe,Roma, Castelvecchi; Landriscina F.,1995, MDMA e stati di coscienza,in Eleusis n.2; Metzner R.-Adamson S.,1992, Ecstasy,Roma, Stampa Alternativa Millelire; Saunders N.,1995, E come Ecstasy, Milano, Feltrinelli.102 B. Pochettino, 1996, Rave , sostanze e rit(m)o , in “Altrove” n.3, p.125.
94
Questa filosofia “off limits” del raver è insomma la spiegazione dell’uso
massiccio di Ecstasy e anfetamine durante le feste techno: l’Ecstasy è
insomma una techno droga per techno eventi.
Esiste poi un altro motivo che spinge la maggior parte dei raver a fare uso, o
almeno a sperimentare, Ecstasy: l’assumere insieme agli altri le “pasticche”, il
dividersele con gli amici o con l’amato è un gesto simbolico che unisce, gesto
in grado di rinsaldare i rapporti (o di decretarne la fine), è un modo speciale di
dividere un’esperienza speciale, fuori dall’ordinario.
“Qual è la connessione fra il culto techno e l’Ecstasy? Vanno di pari
passo: superamento del limite fisico, empatia. Alla fine dell’evento noi
sappiamo di aver partecipato a un qualcosa che ci ha arricchito
interiormente e emotivamente che ha rinsaldato dei legami. A cosa
serve il culto tribale? A rinsaldare i legami all’interno del gruppo.
Bisogna vedere l’evento -con cadenza quindicinale, mensile- come
una grande nursery in cui noi ci possiamo liberare e rigenerare.”103
L’Ecstasy può insomma essere vista come parte integrante di un vero e proprio
rito, cui occorre essere iniziati:
“L’assunzione di droghe, spesso all’arrivo del luogo del rave, è in
qualche modo un “rito di partecipazione alla festa”. In molti casi è
anzitutto un rito dell’iniziazione dei novizi: l’assunzione in una prima
esperienza può bastare a far aprire i più timidi al mondo della techno
e dai rave, affinché “entrino nel delirio”, nello “spirito della festa”,
mettendo da parte tutte le loro apprensioni”104
Ma quali sono gli effetti dell’Ecstasy di cui sono tanto entusiasti i raver? Come
abbiamo detto, ultimamente la composizione delle pasticche spacciate come
Ecstasy comprende in realtà sostanze di vario genere e provenienza, è quindi
più corretto vedere gli effetti dell’MDMA.
L’MDMA è un empatogeno, sostanza cioè in grado di amplificare la capacità di
empatia, ossia la facoltà di identificarsi con un’altra persona, e di sentire ciò
che l’altra persona sente; la comunicazione diviene più facile, cadono le
barriere, e si preferisce così la compagnia all’isolamento.
Attraverso l’assunzione di MDMA si raggiunge, durante il rave, lo stato di
karmacoma, durante il quale i partecipanti si fondono, divenendo un’unica
103 F. Bagozzi, opp. cit., p.116.104 Fontana e Fontaine, op.cit., pp 15.
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cosa: è il momento centrale del rave, quello in cui viene raggiunto quel senso
di Unione con i propri simili e con la Natura che fa di un rave il vero rave.
L’MDMA puro non è un allucinogeno, modifica la percezione del tempo, ma
generalmente lo spazio mantiene la sua dimensione ordinaria; gli effetti sul
corpo sono descrivibili come un benessere diffuso, come un senso di
leggerezza.
Si tratta insomma di una droga adatta ad una generazione che cerca rifugio dal
quotidiano in mezzo agli altri, piuttosto che dentro alla propria mente; è una
droga “comoda”, in un certo senso ipocrita, non troppo pericolosa per
l’equilibrio della psiche, che non porta insomma troppo “oltre”, fa stare bene, e
al ritorno, il giorno dopo l’assunzione, si potrà al massimo avvertire il “down”
fisico dovuto alla stanchezza.
“...l’uso di MDMA è limitato alla capacità di abbattere le barriere
relazionali, rendendola sostanza perfetta per gli anni ’90,
fondamentalmente svuotati e insicuri; ecco quindi spieagata la sua
grande e velocissima diffusione, è possibile acettarsi, essere accettati
in un batter d’occhio, tutti diventano affabili, simpatici, anche i
perfetti sconosciuti...Il tutto in ogni caso rientra nel percorso fisico-
psichico ordinario, non scende in profondità, non scalza le norme del
quieto vivere quotidiano...” 105
Certo è importante distinguere fra uso e abuso: un uso continuato e
indisciplinato può portare a serie psicosi, ma basti pensare che dopo essere
stati così bene il ritorno alla realtà può anche essere molto spiacevole!
Chiaramente l’MDMA, come qualsiasi altra sostanza, non ha i medesimi effetti
su tutti gli individui: il suo effetto dipende dalle predisposizioni, dalla
personalità, dalle motivazioni, dal contesto ambientale, fisco e culturale nel
quale si trova l’individuo, dal set e dal setting, insomma.
Così l’MDMA può avere effetti diversi da individuo a individuo, e anche nello
stesso individuo in occasioni differenti.
N.Saunders in un suo articolo su “The Guardian”, intitolato “Agonia e Estasi sul
sentiero di Dio”, mostra come l’MDMA possa essere impiegato anche per scopi
religiosi.
Alcuni monaci benedettini e alcuni monaci provenienti da differenti discipline
Zen hanno infatti assunto dosi di MDMA prima delle meditazione, notando
come questa sostanza renda meno faticoso e più naturale il contatto col divino:
105 B. Pochettino, 1996, Rave , sostanze e rit(m)o ”, in “Altrove” n.3, p.126.
96
“Il monaco Rinzai Zen si rese conto che l’Ecstasy l’aveva
genuinamente aiutato nel suo cammino per diventare abate. Egli lo
ha sperimentato durante gli anni, giungendo alla conclusione che
questa sostanza avesse molto effetto il secondo giorno di sette giorni
di meditazione, quando vi era il pericolo di essere distratti da
sensazioni meravigliose.
Anche il monaco Soto Zen sostiene che droghe come l’Ecstasy
possano aiutare la mediatazione : “Quando lo prendi l’MDMA ti aiuta a
capire come sederti, e ti fornisce conoscenza esperenziale”, e
aggiunge che la grande maggioranza dei suoi studenti ha cercato di
imparare attraverso esperienze indotte da droghe, ed egli è sicuro
che lo stesso discorso possa valere per molte scuole occidentali.
Ma è un buon modo per imparare? “E’ come una medicina, un
meraviglioso strumento per imparare...[...]Il rabbino ha una visione
positiva dell’uso delle droghe giovanile. “Le religioni tradizionali
hanno perso l’abilità di fornire esperienze mistiche ai loro seguaci.
Difatti ai giovani di oggi piace molto di più avere esperienze tali in Lsd
o Ecstasy.”[...]Molte persone usano l’Ecstasy per i rituali religiosi.” 106
L’ecstasy, insomma potrebbe essere un valido strumento di conoscenza, se
applicato in contesti differenti dal rave, che riamane pur sempre una festa
collettiva, un divertimento.
Certo c’è rave e rave, e i raver non sono tutti uguali. Alcuni raver predisposti,
“mistici” forse, potranno avere qualche iiluminazione preziosa, oltre che
sentire lo “spirito della festa”!
Se normalmente L’MDMA fa nascere un sentimento di Unità con gli altri simili,
non è però assolutamnte escluso che in individui particolari, mistici o
semplicemente predisposti, questa sostanza apra la possibilità di accedere a
livelli conoscitivi normalmente preclusi.
Di questo si parla poco, anche nei libri specializzati sull’argomento: l’MDMA può
provocare una vera e propria transe, sia legata al rave, è questo il caso della
techno-transe, ma anche transe definibili come isteriche o dissociative, per non
azzardare che possa essere indotta adirittura una transe di tipo sciamanico.
Non è questo il luogo per discutere su tali supposizioni, solo voglio sottolineare
che l’Ecstasy, sebbene normalmente utilizzata in contesti “profani”, e troppo
spesso soggetta ad abuso, potrebbe essere di per se una sostanza dalle grandi
possibilità, come lo potrebbe essere l’LSD.
La nuova psichedelia
106 N. Saunders, “The Agony and Ecstasy of god’s path”, The Guardian, 27/7/1995.
97
“Fin dagli anni Sessanta la diffusione di culti popolari di transe e di
danze disco e reggae ha rappresentato un allontanamento sano
quanto inevitabile, dalla forma generalmente letargica ormai assunta
dalla religione occidentale ad alta tecnologia.Il collegamento tra rock
and roll e psichedelici è un collegamneto sciamanico; transe, danza
ed ebrezza compongono la formula arcaica sia per una celebrazione
religiosa che per un buon divertimento garantito.” 107
Spendiamo ora qualche parola proprio sull’LSD, sugli acidi tanto cari alla
generazione psichedelica.
Il consumo di LSD durante i rave è molto interessante, in quanto questa
potente sostanza non risponde certo a quel desiderio di benessere e
fratellanza assicurato, o almeno promesso, dall’MDMA.
L’LSD è una sostanza psichedelica , in grado di destabilizzare fortemente la
psiche, e pertanto pericolosa, non tanto dal punto di vista fisico, quanto da
quello mentale, per quanto riguarda l’equilibrio psicologico.
E’ importante sottolineare che l’LSD di oggi non è lo stesso degli anni ’60 e ’70:
basti pensare che un francobollo (trip) dell’epoca conteneva 250 microgrammi
di LSD, e ora ne contiene 50, inoltre la sua composizione è molto cambiata,
adattandosi alle nuove esigenze: i nuovi trip sono spesso fortemente
anfetaminici, contengono cioè in quantità maggiore sostanze che agiscono sul
sistema nervoso periferico risultando così assai meno destabilizzanti
psichicamente e fornendo energia fisica ed eliminando la stanchezza, cosa che
il “vecchio” LSD non faceva affatto, inducendo anzi spesso uno stato di transe
così intensa da impedire qualsiasi movimento.
Il mercato ha fatto nascere, come nel caso dell’Ecstasy, tutta una serie di
laboratori clandestini che, rimodellando la molecola di partenza dell’LSD 25,
sintetizzano nuove sostanze, più adatte alle nuove esigenze e quindi meglio
commercializzabili.
Questo non toglie che l’LSD rimanga uno dei più potenti strumenti per
“viaggiare”: questa sostanza infatti agisce sul sistema nervoso centrale,
scatenando un’esperienza interiore , individuale e fortemente psicologica, così
anche i trip moderni, seppure meno potenti provocano allucinazioni, inducono
illusioni uditive e stati onirici, fino a portare allo stato di confusione e alla
spersonalizzazione.
107 T. Mc Kenna, op.cit., p.66.
98
S.Grof108, psichiatra che ha studiato per anni gli effetti dell’LSD, distingue
quattro livelli principali o tipi di esperienze indotti da questo tipo di acido, si
possono distinguere così:
1.Le esperienze astratte ed estetiche
2.Le esperienze psicodinamiche che provengono dal campo dell’inconscio
individuale e delle zone della personalità accessibili negli stati ordinari di
coscienza e che sono legate a ricordi forti, a problemi affettivi, a conflitti non
risolti o ad ogni materiale rimosso della vita di un individuo
3.Le esperienze perinatali che ruotano intorno a i problemi centrali quali la
nascita biologica, la sofferenza fisica, la malattia, l’invecchiamento, la
vecchiaia, l’agonia e la morte, e sono accompagnate da una crisi esistenziale
lacerante
4.Le esperienze transpersonali, che si producono soltanto durante le sedute
avanzate di terapia psicolitica, il cui denominatore comune è che l’individuo
sente che la sua coscienza si è estesa oltre i limiti ordinari del suo ego e di
quelli del tempo e dello spazio.
A proposito di LSD Fontaien e Fontana notano:
“I ravers che non assumono acido vivono essenzialmente di
“esperienze estetiche” come Stanislav Grof le caratterizza. Queste
corrispondono per lui al grado più superficiale dell’LSD e danno luogo
a distorsioni sensoriali che possono in gran parte essere considerate
“come il risultato di uno stimolo chimico degli organi sensoriali,
riflettendo la loro struttura interna e le loro caratteristiche
funzionali.”109
Chiaramente anche per l’LSD vale il medesimo discorso dell’MDMA: ciò che
conta non è solo la quantità e la qualità dell’acido ingerito: a fare la differenza
sono le caratteristiche culturali, la predisposizione e le aspettative individuali,
legate oltretutto alla situazione esterna e agli stimoli sensoriali.
L’LSD, come dicevamo, è una sostanza allucinogena, o psicodisleptica, che da
origine ad allucinazioni e illusioni visive e sonore, pertanto il raver sotto acido
sarà facilmente attirato da disegni geometrici che assumeranno contorni e
aspetti sempre diversi, dalle luci strobo che trasformeranno l’ambiente, e si
“fisserà” facilmente su oggetti, su suoni e colori, scoprendone particolari mai
notati, e nuovi significati.
108 S. Grof,1984, Le domaines de l’incoscient humain, in Au delà de l’Ego, Paris, La Table ronde.109 Fontana e Fontaine, op.cit., p. 52.
99
L’LSD allontana dalla realtà ordinaria sicuramente più dell’MDMA, e fa sì che
spesso l’individuo, specie se ha assunto una quantità non irrisoria di acidi, si
chiuda in se’ stesso, per esplorare il proprio mondo interiore, lontano dagli altri.
L’LSD inoltre provoca dei disturbi motori evidenti, che spaziano dalla ripetizione
costante e ossessiva di movimenti e gesti, alla totale immobilità; ogni
riferimento di spazio e di tempo è facilmente perduto.
L’esperienza dell’LSD può anche essere traumatica per chi non vi è preparato,
o si trova in un momento non facile: l’effetto dell’acido dipende in grande parte
dall’umore e dalle condizioni del viaggio, e il “bad trip” non è un’esperienza
rara.
Un bad trip può procurare una sensazione di angoscia insopportabile, può
procurare vere e proprie crisi di panico e d’altronde non si sa mai cosa si può
andare a scoprire, quando si liberano i propri demoni!
Nonostante l’LSD non sia insomma una droga “facile” come lo può essere
l’Ecstasy, il suo consumo durante i rave è tutt’altro che un fenomeno
secondario:
“L’LSD come sostanza da rave, quindi, tenendo sempre presente che
in un fenomeno così ampio e multiforme, che vede coinvolte più di un
milione di persone nella sola Europa, sarebbe assurdo tentare di
generalizzare il tutto in una semplice dicotomia, ma, anche e
soprattutto per esperienza diretta, vi sono alcuni aspetti che non è
possibile non notare. Innanzitutto l’utilizzo di sostanze psichedeliche
sposta il raggio d’azione della cognizione umana: scompare l’aspetto
empatogeno e l’individuo si cala in una solitudine grandiosa, unica,
dove si muove in senso verticale su piani più alti di coscienza. Non vi
è più sentimento di unione, ma di Unità”110
Il movimento psichedelico degli anni’60 aveva fatto del’LSD la sua droga
regina, mettendo in evidenza l’aspetto mistico dell’esperienza, lo stesso T.
Leary e R. Metzner ritengono che le droghe psichedeliche possono scatenare
vere e proprie esperienze religiose, oltre che estetiche e terapeutiche.
Alcol ed altro
Ma, come dicevamo, “dentro” all’Ecstasy non c’è solo MDMA, e le sostanze in
circolazione sono centinaia e centinaia: le “pasticche” vengono tagliate con
Roipnol, con eroina, con antidepressivi, con mescalina e con numerose altre
sostanze chimiche e farmaceutiche.
110 B. Pochettino, op.cit., p.130.
100
Parlare di tutte le sostanze che “passano” per il rave sarebbe impossibile, ma
alcune di queste hanno un posto d’onore di fianco all’Ecstasy e all’LSD:
mescalina, speed, ketamina, senza tralasciare la presenza, tutt’altro che
esigua, dell’alcol.
Per quanto riguarda l’alcol è vero il discorso che questo non rientri nell’ottica
rave, se consumato da solo, ma la birra, bevanda consumata massicciamente
dai giovani, non manca quasi mai, ed è calorica e dissetante quanto basta per
il raver affaticato che, oltretutto, tende a perdere liquidi per via dello sforzo
fisico e dell’ingestione di MDMA; non è raro inoltre che l’alcol venga usato per
“far scendere la botta”, accanto all’hashish, quando si ha “calato” troppo e le
anfetamine non danno tregua.
Il discorso cambia nel caso dei superalcolici, raramente presenti sulla scena.
Lo speed è invece un’anfetamina in polvere dall’effetto prettamente
energizzante, nata nei club “Jungle”111 inglesi e poi approdato nel resto
dell’Europa; lo speed viene generalmente usato per aumentare gli effetti
dell’Ecstasy, per aiutare fisicamente un trip poco energetico e per permettere
di continuare a ballare quando, al mattino, gli effetti delle sostanze cominciano
a svanire.
La ketamina è una sostanza anestetica usata in origine in veterinaria e in
pediatria, oltre che per le anestesie locali, ha forma liquida ma sulla piazza
arriva in polvere, generalmente in capsule, e spesso viene spacciata per
Ecstasy. I suoi effetti sono invece assi diversi da quelli dell’MDMA: essa infatti
provoca allucinazioni e forme di dissociazione.
La mescalina ha invece una storia molto più lunga e dignitosa: si tratta di
un’anfetamina visionaria molto potente, che si ritrova in natura nel cactus del
Peyote Lophophora williamsii, utilizzato da secoli dagli indio messicani dello
stato di Sonora.
Aldous Huxkey, nel suo “Le porte della percezione” descrive gli effetti di tale
sostanza:
“ “Ecco come bisognerebbe vedere” continuai a dire mentre mi
guardavo i calzoni, o davo un’occhiata ai libri splendenti negli scaffali,
alle gambe della sedia infinitamente più che vangoghiana: “Ecco
come bisognerebbe vedere, ecco come le cose sono veramente””112
111 La jungle è un sottogenere della techno, ammiccante a sonorità africane, ripetitive e dal ritmo molto veloce.112 Huxley A., 1958, Le porte della percezione, Milano, I Quaderni dello Specchio, p.35.
101
La mescalina compare sul mercato sotto forma di pasticca, generalmente di
colore rosa o arancione, spesso in associazione ad altre sostanze, come
l’MDMA puro.
A questo punto è necessario spendere due parole anche sull’eroina, sostanza
che, come ho detto, non rientra nella “filosofia” rave ma non è, purtroppo,
assente dalla scena .
Dell’eroina, in questo caso, non si fa l’uso “classico”, non viene cioè sciolta e
iniettata in vena, ma sniffata per calmare gli effetti di altre sostanze.
Dall’inizio del’97 ha cominciato a diffondersi una sostanza chiamata cobret, che
per alcuni consumatori altro non sarebbe che un derivato dell’eroina, che viene
usata al termine della nottata, per diminuire gli effetti del down.
Il successo di un rave dipende in definitiva in grandissime misura dal tipo di
sostanze presenti; certo la musica, l’ambiente, le persone presenti hanno
un’importanza fondamentale, ma una “cattiva” droga, o l’assenza di sostanze
sulla piazza, può facilmente decretare il fallimento di una nottata.
Il tipo di sostanza più diffuso in quel momento decide in un certo senso il
carattere della nottata: se, per esempio, in quel momento il mercato offre
pasticche di MDMA puro, il rave sarà presumibilmente molto caldo e lo “spirito”
sarà lo stesso più o meno per tutti; se invece, ad esempio, le pasticche sul
mercato sono fortemente anfetaminiche, allora ci sarà forse meno intesa fra i
partecipanti, meno empatia, ma sicuramente si ballerà più a lungo.
Se la sostanza regina è l’LSD, allora si avranno molti raver assorti nei loro
personalissimi viaggi, ad occhi chiusi, come se il resto del mondo non fosse
nemmeno lì.
Certo non tutti i partecipanti assumeranno le medesime sostanze, e quello che
per un raver è un rave meraviglioso e coinvolgente può risultare insipido per un
altro.
Il discorso è complesso, riguarda, come abbiamo già detto, le aspettative,
l’umore, lo stesso stato di salute fisica, la predisposizione e mille altri fattori,
ma è indubbio che le sostanze psicoattive abbiano in tutto questo un ruolo
molto importante.
Droghe elettroniche
“La televisione: nessuna epidemia, nessuna tossicomania e nessun
isterismo religioso si è mai mosso così rapidamente, o convertito
tante persone, in un tempo così breve.
L’analogia più prossima per descrivere il potere di assuefazione della
televisione, insieme alla trasformazione dei valori che avviene nella
vita del videodipendente pesante, è probabilmente l’eroina. L’eroina
102
appiattisce l’immagine, con questa droga le cose non sono ne’ calde
ne’ fredde, il tossicomane osserva il mondo con la certezza che,
qualunque cosa sia questo mondo, non ha importanza. Questa
illusione di sapere e di controllare generata dall’eroina è analoga
all’inconscia supposizione, da parte del consumatore di Tv, che, da
qualche parte del mondo, ciò che vede sullo schermo sia reale. In
realtà ciò che si vede è solo la superficie, cosmeticamente rivalutata,
dei prodotti. La televisione. Anche se non è invasiva dal punto di vista
chimico, da luogo ad assuefazione e a danni psicologici non meno di
qualsiasi altra droga.”113
In questo brano Mc Kenna va ben oltre il concetto di Tv come mezzo di
propaganda, e ci presenta una situazione in cui ci si può immaginare una fuga
dalla realtà della vita non cercata attraverso l’uso di una qualche droga, della
quale si può generalmente intuire il rischio, bensì attraverso una visone passiva
del mezzo televisivo, con tutto ciò che ne consegue.
Il videodipendente vive di una realtà che non solo non gli appartiene, ma non
esiste neppure, se non nella fantasia di colui che ha creato un dato spettacolo,
un dato film, e di questo lo spettatore difficilmente vuole accorgersi.
Chi vive un’esistenza monotona e non gratificante può entusiasmarsi per le
intricate vicende amorose di un’eroina da telenovela, ed emozionarsi per ciò
che accade, come accadesse a qualcuno che si conosce, e che esiste da
qualche parte, nel mondo.
MA se si pensa ai livelli raggiunti dalla tecnologia dei mezzi di comunicazione,
alla diffusione dei computers e di Internet e allo sviluppo della realtà virtuale, la
droga televisiva sembrerà davvero innocua.
Droghe virtuali
Mazzoli e Artieri riferendosi al movimento cyberpunk e alle posibilità aperte
dalle macchine virtuali, propongono un parallelo fra l’esperienza della realtà
virtuale e quella indotta dall’assunzione di sostanze psichedeliche:
“Ritroviamo qui quel recupero delle esperienze lisergiche, mistiche,
sciamaniche, spirituali e psichiche...che potrebbero permettere di
uscire dal mondo...seppur in senso laico, e di inserire la tecnologia in
una dimensione mitopoietica.”114
113 T. Mc Kenna, op.cit., p.224.114 G. Mazzoli e G. Boccia Artieri,1995, L’ambigua frontiera del virtuale, Milano, Franco Angel, p. 61.
103
Lo stesso T. Leary115, grande pioniere della psichedelia, nell’ultimo periodo
della sua vita amò particolarmente la tecnologia virtuale e le possibilità legate
al diffondersi di uno strumento “democrartico” quale Internet. Egli, come altri
esponenti legati al movimento psichedelico , vedeva nel cyber-
spazio il punto di arrivo di tutta una serie di tensioni ideali, filosofiche, politiche
e religiose, che sfociarono negli anni ’60 e ’70 nella ricerca di una interiorità e
in una coscienza tramite l’uso delle droghe psichedeliche.
E, se la demonizzazione delle sostanze stupefacenti ha, insieme ad altri fattori,
determinato il fallimento della “filosofia” psichedelica, una democratizzazione
della tecnologia permetterebbe ,secondo Leary, questa ricerca interiore a tutti
e non solo a “eretici criminali”, come lo stesso Leary è stato definito.
Ma come sarà possibile, se lo sarà, il raggiungimneto dell’ “autocoscienza della
coscienza” alla base della coscienza del sé?
Come potrà la realtà virtuale regalare all’uomo il raggiungimento di un così
prezioso dono?
In un suo saggio dal titolo “Realtà virtuale e autogestione della coscienza”, lo
psicoterapeuta e neurofisiologo M. Margnelli ritiene che questa possibilità sarà
determinata dall’incontro di scoperte e nuove conoscenze avvenute nei più
svariati campi di studio e che hanno finito per convergere su di un elemento
comune, la coscienza appunto.
Se le discipline mistiche di origine orientale hanno orientato, con il loro know
how, gli studi nel campo della neuropsicologia, l’antropologia ha scoperto la
centralità della coscienza nei sistemi di pensiero cosiddetti primitivi studiando
le pratiche sciamaniche; la filosofia, studiando la coscienza, ha dovuto fare i
conti con la relatività dei sensi, revisionando l’epistemologia ; gli studi in
campo psicopatologico hanno rivelato l’importanza della soggettività e la
complesità dei collegamenti analogici interni e la psicologia delle religioni ha
evidenziato l’importanza del binomio soggettività-emozioni non solo
nell’ambito dell’immaginario spirituale, ma anche in quello individuale e
quotidiano.
Secondo l’autore il naturale prodotto di queste scoperte indirizzerà la realtà
virtuale verso uno sbocco laico, piuttosto che mistico, di un concetto di
esplorazione dello spazio interiore che verrà dimostrato e divulgato a livello di
coscienza di massa.
L’autore presenta poi un parallelo fra gli SMC e l’esperienza virtuale.
Egli parte dal presupposto che nel corso dei secoli l’uomo abbia
deliberatamente recintato quelle zone della sua coscienza che non erano
adattabili alla vita di tutti i giorni, ma rimane in lui il desiderio latente di non
115 T. Leary, 1990, I germi degli anni Sessanta, in Cyberpunk Antologia, Milano, Shake Edizioni.
104
subire passivamente gli stati di coscienza, e desidererà, talvolta, esplorare il
proprio “spazio interno”, la propria coscienza, manipolando lo stato di
veglia ,per gioco o per piacere, assumendo alcol o droghe.
Si ha così una autocoscienza della coscienza, coscienza di quel desiderio di
conoscere se stessi vecchio come il mondo.
Accanto alla coscienza ordinaria, come ben sappiamo, esistono numerose altre
coscienze, la cui esperienza diretta può rivelare l’ampiezza della mente, le
potenzialità della fantasia, il vero sé e molto altro ancora.
Margnelli prosegue la sua indagine ritenendo possibile una gestione, e una
autogestione della coscienza attraverso la tecnologia virtuale:
“La realtà virtuale...è potenzialmente una tecnica di autocoscienza, là
dove permetterà di provare dentro sé stessi l’esperienza di altri stati
di coscienza. Finora è stata percepita e divulgata come una
cinematografia a tre dimensioni sensoriali (vista, udito e tatto) ed è
certo che la prima commercializzazione sarà indirizzata in tal senso.
E tuttavia, come accade ai consumatori di sostanze psichedeliche, la
consapevolezza (sempre conservata durante l’esperienza) che
qualche microgrammo di un composto chimico può cambiare
completamente i propri rapporti con la sensorialità e con la propria
mente, così anche un’esperienza virtuale potrà indurre qualcuno a
interrogarsi sull’epistemologia, sulla realtà della realtà, sul valore
della soggettività rispetto all’oggettività, sulla convenzionalità del
mondo di riferimento, e così via. Verso tutti i temi cari alla
controcultura spirituale e filosofica di tutti i secoli.”116
L’autore prosegue proponendo un parallelo fra l’opera di un ipnotizzatore e
quella di un romanziere, di un regista:
“...il regista televisivo o cinematografico “suggerisce alla mente pre-
ipnotica una realtà completa ( e comunque una realtà sensoriale
bidimesionale) che va oltre l’immaginario soggettivo dello spettatore.
Autori e registi tentano di rendere il lettore e lo spettatore partecipe
delle loro allucinazioni, così come succederebbe se un ipnotista, non
tenendo conto della soggettività del suo cliente, gli suggerisse
contenuti esperenziali appartenenti al suo vissuto personale, o
addirittura da altre culture.”117
116 M. Margnelli, 1993, Realtà virtuale e autogestione della coscienza, in “Altrove” , p.95/96.117 Ibidem, p.100/101.
105
La tecnologia virtuale ha delle enormi possibilità di sviluppo, insite nella sua
capacità di coinvolgere tutti i sensi umani, di simulare, appunto un mondo che
non esiste, ma appare come vero ai sensi e :
“...promette, dunque, un avanzamento sia nel modo di porgere i
contenuti (linguaggio) che nella potenza e nella significatività del
messaggio stesso.”118
La possibilità di un futuro in cui le droghe elettroniche, virtuali, affiancheranno,
se adirittura non sostituiranno, le droghe naturali e sintetiche, non è poi così
remota.
Una simile ipotesi è al centro di film e opere letterarie di successo, basti
ricordare le opere cinematografiche “Nirvana” di G. Salvatores e “Strange
Days” di K. Bigelow, in cui viene presentato un futuro non troppo lontano in cui
tutti, in un modo o nell’altro, dal potente finanziere ,al poliziotto allo
spacciatore dimezza tacca, vengono coinvolti in una guerra per il controllo di
queste fantomatiche droghe elettroniche.
E il messaggio è tutt’altro che ottimista.
Ad ogni modo una fede particolare nelle possibilità aperte dal mondo del
virtuale, che creda possibile un’eperienza virtuale del tutto simile a quella
determinata dall’asunzione di sostanze psicotrope eguagliando la grandiosità
della creatività e fantasia umana, è quanto meno discutibile, almeno allo stato
attuale delle cose: una macchina virtuale, per quanto tecnologicamnte
avanzata, potrebbe proporre solo “simulazioni” di esperienze lisergiche, o
permettere una fruizione dell’altrui esperienza, ma non potrà mai definirsi
illimitata e profondamente umana quanto la reale esperienza dell’assunzione di
psicotropici.
E se la realtà virtuale è per la massa giovanile, solo un bel gioco, le droghe,
quelle vere, sono una realtà non trascurabile.
Transe informatiche
Ma senza stare troppo a scomodare la fantasia e fare congetture sul futuro,
esiste un fenomeno che si può già definire come una vera e propria
dipendenza, una Internet-dipendenza, in questo caso.
Il diffondersi dello strumento-computer prima e di Internet poi ha creato una
vera e propria mania, che coinvolge numerosi giovani e li reclude in una sorte
di mondo parallelo e virtuale, al cui centro sta, appunto, il computer, la rete.
118 Ibidem, p.101.
106
La vita di questi giovani può esserne totalmente sconvolta, portandoli ad un
isolamento in cui gli unici amici, oltre ad computer sempre più friendly, cioè
vicino e simile all’uomo, divengono quelli “virtuali” conosciuti tramite le chat-
line di rete, senza che traspaia, appunto la virtualità di tutto questo:
“Navigando in un ipermedia è possibile...fare un’esperienza simile a
quella di un’azione: con un mouse, o altre interfacce, spostiamo
(virtualmente) degli oggetti, apriamo degli spazi, delle “finestre”,
accogliamo delle risposte dall’ambiente informativo paragonabili a
quelle provocate da un’azione reale”119
Andando oltre queste osservazioni , si può parlare di vere e proprie techno
tribù, della quali fanno parte non solo gli hackers, i pirati del virtuale, ma anche
tutti coloro che amano perdersi nei labirinti della transe informatica.
Esiste dunque una transe informatica, accanto a quella virtuale, non più
associata allo scatenarsi dell’irrazionalità, anzi, la transe informatica è per sua
stessa natura razionale, e procura una vera e propria illuminazione della
ragione, lontana dagli inferni caotici della transe tradizionale.
Questa transe si organizzata attorno ad un rapporto simbiotico dell’uomo con
la macchina, e sfocia in un modello comunicativo e di ragionamento comune ad
entrambi.
In questo inedito faccia a faccia dell’uomo con la sua creazione, tutti i normali
rapporti di tempo e spazio mutano profondamente.
Il corpo deve sparire per lasciare posto alla mente pura, e in questo si
rintracciano le radici filosofiche della microinformatica:
“Il “sistema del mondo” al quale l’informatica e il buddismo zen fanno
riferimento non lascia assolutamente spazio al corpo. Nelle due
filosofie bisogna dimenticare, sorpassare il proprio corpo per accedere
al mondo reale, quello dove l’individualità tende a dissolversi in un
insieme più vasto.[…]L’informatica esalta questa forma di appello al
mondo che non fa riferimento al corpo ma allo spirito.”120
La ”relazione senza corpo” è uno dei valori centrali della tribù informatica, la
cui transe è un’autostrada di dati , di bit, di impulsi.
Privato del corpo, colui che vi si abbandona, vedrà sovvertite tutte le regole
del tempo, un tempo che ,senza corpo, non può più essere lo stesso:
119 C. Infante, op. cit. 120 P. Breton ,La tribù informatica , Transes-Il passato remoto della musica del futuro”, Virus Production-Musica 90, Milano 1996, p.57.
107
“Il tempo consacrato al computer è in certa maniera un “tempo
sacro” che permette un accesso originale al cosmo e alle sue leggi
fondamentali. Il tempo passato davanti alla macchina non ha in effetti
niente a che vedere con il tempo ordinario. Il tempo soggettivamente
percepito in queste situazioni sembra scorrere molto più
rapidamente. In questo senso l’informatica “sposta” coloro che la
praticano nel loro rapporto con gli altri, procurando infine una
sensazione di “accesso al cosmo” privilegiata.”121
La transe informatica quindi come punto di passaggio, accesso ad almeno una
piccola parte dell’architettura di un universo ordinato.
Ma cosa c’è dall’altra parte dello specchio?
“Il paese delle meraviglie è un mondo di ordine e disordine, e le
domande impertinenti di Alice costituiscono una sicura linea di
separazione fra ciò che appartiene all’organizzazione, ciò che ha
senso perché logicamente giusto, e ciò che, dall’altra parte, è il Male,
incarnato dal disordine, il caso, la mancanza di coerenza dovuta al
non rispetto delle regole logiche elementari.”122
Lo spazio aperto dal computer è in questo senso infinito, anche se la sua
memoria non lo è, perché permette all’uomo il contatto con l’universo del
formalmente vero, in questo senso la transe informatica rende liberi di
distaccarsi dal mondo ordinario per accedere ad un mondo “reale”.
La tribù informatica ama fondersi e confondersi all’interno di questo territorio,
in cui i giochi sono metafore del viaggio all’interno della memoria del computer
e in cui l’uomo per muoversi, in un tempo vicino al sacro, deve conoscere
perfettamente le regole del “gioco”.
Solo una perfetta conoscenza delle regole permette all’uomo della tribù
informatica di sopravvivere, per cercare di raggiungere l’altra parte del
labirinto, in cui non troverà che sé stesso, immagine nello specchio.
In questo momento non è ancora possibile dare un giudizio sulla “bontà”, o
sulla pericolosità di tali “droghe”. La ricerca è in continuo sviluppo, e non
accenna a rallentare.
Non possiamo sapere dove le possibilità donateci dal computer porteranno la
coscienza dell’uomo.
E se per tutte le cose, specie per le droghe, esiste un uso ed un abuso:
121 Ibidem122 Ibidem
108
“Le nuove musiche elettroniche, i raves, Internet, appartengono ad
una nuova generazione di sensazioni che sta a noi accettare o
rifiutare e come tutte le cose buone, per godersele non c’è nessun
bisogno di abusarne.”123
2.10 L’utopia comunicativa
“Attraverso la danza ognuno esplora il suo universo, si scopre. Questa
pratica permette di sviluppare una coscienza ed un’armonia del
corpo. […] L’esperienza del rave appare come l’occasione per
riscoprire il proprio corpo attivo, sensibile. Esso diviene un mezzo di
espressione privilegiato dell’essere perché permette un’espressione
diretta, spontanea, perché materializza ciò che i sensi provano senza
passare per intermediari quali il pensiero e il linguaggio.[…] Il corpo
giunge ad esprimere delle pulsioni, degli istinti, ciò che è più naturale
in noi, più diretto. E’ attraverso di lui che arrivano le sensazioni più
forti e l’emozione di una percezione nuova.”124
Durante il rave tutte i codici di counicazione ordinari cadono, per fare posto ad
un nuovo modello comunicativo, in cui la parte non verbale della
comunicazione assume un ruolo primario.
Non più parole, ma gesti, sguardi, sorrisi, mimica, con i quali si comunicano le
sensazioni e le emozioni, in maniera più diretta.
Il comportamento rivela il modo in cui gli individui percepiscono la situazione,
mette in evidenza i contatti cercati e quelli evitati, oltre a rivelare la più intima
personalità dell’individuo.
Quando non ci sono le parole di mezzo diventa molto più difficile mentire: lo
sguardo parla, e gli occhi non sanno mentire; se le parole possono divenire
strumento di potere, nel silenzio si è tutti molto più simili.
Insomma, sembra proprio che questa comunicazione non verbale semplifichi le
relazioni interpersonali, facendo nascere una convivialità e una solidarietà del
tutto particolare, quello spirito di comunione rivendicato dai ravers.
“Il corpo è in festa, tutti divengono parte integrante dell’ambiente
fisico centinaia di corpi danzanti, svuotati, si fondono in una
amalgama sensoriale in un unico corpo, nel quale la musica e le luci
agiscono come neurotrasmettitori, un organo sospeso in una
123 Kanaï.com,1996, Internet- Il rave planetario , in G. Gallina (a cura di), Transe, il passato remoto della musica del futuro, Milano, Virus Production-Musica 90, p.42.124 Fontana e Fontaine, op.cit.,p.42.
109
soluzione idroponica, che si muove, si contorce, immerso, nutrito e
stimolato dalle onde sonore.” 125
In tutta questa situazione viene ad assumere un ruolo fonadamentale il tipo di
droga assunto dal raver, la cui scelta dipende non solo dai desideri individuali
ma anche, siamo sinceri, da ciò che offre in quel momneto il mercato. Come
abbiamo visto, non sempre l’Ecstasy è MDMA, e può succedere che una partita
“cattiva” di stupefacenti non faccia decollare il rave.
In linea di massima, comunque, gli effetti empatogeni delle “pasticche” danno
una buona mano al raggiungimento di quello stato in cui la comunicazione
assume tutt’altro aspetto rispetto al quotidiano.
“L’X facilita la comunicazione e la comprensione dell’altro, fa preferie
la compagnia all’isolamento ed è quindi adatto all’esperienza
collettiva. Si sviluppa la voglia di scoprire nuove sensazioni attraverso
il contatto con altri corpi e se si avvicina un raver sotto l’effetto dell’X
questo sarà senza dubbio disposto a parlare, abbracciarsi, ecc. Le
emozioni verso la persona amata vengono intensificate. L’effetto
“empatia” che caratterizza questo psicotropo fa nascere nei ravers un
sentimento di unità” 126
L’esaltazione della componente non verbale acuisce il processo intuitivo e la
componente “telepatica”:
“I corpi divengono interfaccie comunicative nel dare forma alle
emozioni suscitate dalle vibrazioni sonore techno tramite la danza. La
telepatia prende il posto della comunicazione verbale. Si crea, in
contesti del genere, un rimescolamento dei confini tra centro e
periferia. Non vi
è un centro creatore di input e una periferia ricevente bensì tutti
centri che creano, esprimono il loro essere liberi nel trapassare i
confini di una legalità imposta e non condivisa. Il ruolo di
periferia/ricevente è contemporaneo al centro/emittente. Ciò provoca
un aumento della velocità dei flussi comunicativi e determina il
protagonismo di ogni singolo partecipante con un feedback sempre
più forte.” 127
125 B. Pochettino,op.cit., p.120.126 Fontana e Fontaine, op.cit.,p. 47.127 Demian, op.cit., p.44.
110
Certo ci sono delle eccezioni non trascurabili, come nel caso dell’assunzione di
acidi da parte del raver, nel qual caso, come abbiamo visto discutendo delle
“droghe da rave”, l’individuo darà luogo a delle manifestazioni narcisistiche
contrarie allo spirito di comunione rivendicato dai raver, assorto , ad occhi
chiusi nel suo personalissimo viaggio, e il suo comportamento farà sì che
difficilmente qualcuno lo disturbi.
Tornando alla comunicazione silenziosa dei raver, spesso da parte di persone
non introdotte nel fenomeno, seppur giovani, giunge la critica di un mancato
dialogo durante i rave, ma a ben vedere l’assenza della parola veicola in fondo
una nuova utopia, quella della comunicazione non verbale, fusionale ed
empatica:
“...la rivolta più sottile e profonda si esprime anche attraverso il rifiuto
del linguaggio stesso. In questo ritorno alla “festa-transe” si esprime
la contestazione di una cultura che poggia su delle ideologie alle
quale nessuno crede più. L’universo del discorso è rimpiazzato da
quello delle vibrazioni e del ballo.”128
Non bisogna inoltre credere che il raver resti in silenzio per ore; molto spesso,
anzi, l’effetto di Ecstasy e Lsd da vita al desiderio di raccontare e di raccontarsi
e ad a interminabili monologhi!
2.11 Il corpo raver
Ma torniamo al corpo, alla sua riscoperta, alla grande possibilità di espressione
che ha in sé, espressione che non si attua solo nel movimento, nella danza,
ma che nell’apparire in questo o quell’altro modo, segue o meno la moda, da
spazio all’estro e alla fantasia, mescola generi e origini, appartenenze e
desideri.
Il corpo rave è un corpo in mutazione, che riflette i cambiamenti tecnologici
della società occidentale, ma ha in se il ricordo e l’esperienza del passato, è un
corpo col quale si gioca, col quale si esprime il proprio essere e i propri gusti, le
proprie scelte attraverso il vestiario, gli accessori, il tatuaggio, il piercing, il
colore e il taglio dei capelli.
Il corpo raver si pone fra il passato dei segni tribali e il futuro della tecnologia
degli abiti e delle tinte, degli scarti industriali che divengono gioielli, monili
simbolo di una generazione che impara dal passato per guardare avanti.
128 Fontana e Fontaine, op.cit, p.98.
111
In questo melting-pot spazio temporale tutto è permesso, il corpo rave non ha
regole perché non importa chi tu sia, quale il colore della tua pelle e le tue
prefernza sessuali. Ciò che conta è, in fondo essere davvero sé stessi, tirare
fuori, anche per poche ore, desideri e illusioni. Il raver gioca col segno, lo
plasma, lo sovverte, lo trasforma.
Il bullone, la rondella industriale sfuggono alla dinamica di mercato, e
diventano gioielli da esibire, ma anche simboli, un qualcosa che doveva
essere solo la piccola parte di un immenso ingranaggio sono ora riciclati per
fare bella mostra di se e arricchire il corpo.
La filosofia cyber, il waste, il riciclo, è specchio di quella tendenza che vive già
nel futuro, in quel futuro nero da romanzo apocalittico in cui tutto deve essere
riutilizzato, per sopravvivere, mutando appunto.
A parte l’etroso vestiario di alcuni sound system, come i Mutoid Waste
Company, che della filosofia cyber fanno una scelta di vita, il raver comune
mescola i generi, tira fuori dall’armadio la maglietta di quando aveva dodici
anni, o ne compra una simile nel negozio più trend, ma è comunque facilmente
identificalbile.
I raver, o comunque coloro che gravitano attorno al fenomeno, si sanno
riconoscere.
Certo le differenze fra paese e paese sono evidenti: se si pensa al raver
canadese si noterà immediatamnte una certa aria da “bravo ragazzo cresciuto
a vitamine”, che il raver inglese, per fare un esmpio, avrà molto meno.
Il tipo di rave, e quindi di musica , fa la differenza maggiore, e, così come
vedremo in sede di tipizzazione, se gli amanti della Goa indossano vesti
colorate e monili orientali, il raver dell’illegal preferirà l’abbigliamento militare,
e un look “postatomico”.
Tatuaggi e piercing sono divenuti oramai di moda, ed è molto difficile credere
che tutti i giovani, e i meno giovani che deturnano il proprio corpo lo facciano
seguendo un preciso codice simbolico, come è usanza, legata spesso ai miti e
alle credenza locali, presso le popolazioni primitive.
Forse oggi, nella maggioranza dei casi, il tatuaggio e il piercing sono solo gesti
estetici, ma questo non toglie che in certi casi possano mantenere quel valore
di segni atti a chiudere un momento e ad aprirne un altro, a chiedere qualcosa
ai propri spiriti, offrendo dolore in cambio recuperando così quella sacralità
data presso le popolazioni tribali al segno corporale.
Questo ritorno al valore del dolore che si fa preghiera e atto di coraggio è
evidente nel raver in quanto questo molto spesso preferisce tatuaggi tribali a
fiorellini, putti e farfalline.
112
Il tatuaggio tribale ha un suo valore particolare, e riflette non solo i gusti
dell’individuo, ma anche un suo virtuale legame a popolazioni e culture
diverse dalla nostra.
Insomma: un conto è tatuarsi un cuoricino perché è tanto dolce, e un conto è
rintracciare dei propri personali simbolismi in un tribale di altri tempi, convinti,
perché no, che , ad esempio, un tribale celtico dia forza a chi sente di avere,
nel sangue, origini nordiche.
E il pierging? Cosa si cela dietro a questo atto che ai più pare masochismo
puro? Anche qui si sente chiaro l’eco di usanze tribali legate alla spiritualità, al
sacro, in un atto di coraggio, di dolore e di godimento allo stesso tempo.
Piercing e tatuaggi, insomma, come forme di neotribalismo e neoprimitivismo:
“La mutazione in atto sta determinando non solo un adeguamento
all’avanzamento tecnologici ma anche una serie di comportamenti
collettivi che sarebbe semplicistico liquidare come “mode giovanili”.
Un’analisi delle diverse pratiche della cosidetta modernità primitiva è
necessaria per comprendere i segnali di orgogliosa regressione e
insofferenza che emergono da fenomeni come i “rave”, veri e propri
ambienti techno-transe. Fenomeni ancor più radicali verso forme
estreme di sessualità sono il trans-gender e il piercing. Molte altre
pratiche sull’estremizzazione del corpo si fondano in parte su pulsioni
sado-masochiste. Sono attività che agiscono su particolari recettori
del cervello che normalmente non sono sollecitati. Esperienze che
rientrano in una diffusa fenomenologia “out of limit” fatta di azioni
che attraversano anche la dimensione dello sport estremo, atti vissuti
pericolosamente per scatenare l’adrenalina in corpo.” 129
Nell’atto del tatuarsi, inoltre, si scorge un vero e proprio rtuale minimalista:
“Tramite il rito dell’incisione delle carni un individuo si mette in
relazione con se stesso, con gli altri e con i mutamenti sociali in atto.
[...] Un individuo, quando decide di timbrare sulla carne qualcosa,
evidenzia il passaggio da una fase della vita a un’altra; si pone in
temporanea sospensione, in una zona liminale, vissuta dentro un
tatoo studio, in cui ci si allontana da ciò che si era prima ma non si è
ancora qualcun altro. [...]Il rito offre a coloro che lo consumano una
pluralità di significati, crea una condizione che situa gli individui nel
129 C. Infante, op.cit. .
113
mezzo dei processi culturali, in cui si sperimentano anche modelli di
vita alternativi.”130
Inoltre, il tatuaggio può essere visto come una forma di identificazione e di
presa di coscienza della propria identità:
“Il tatuaggio ripropone infatti l’imprescindibile e narcisistico gioco
dello specchio: “Chi sono io?”, “Chi siete voi?”, che diviene più
essenziale e radicale quando una società è in tumultuoso
cambiamento e da meno certezze su cui fondare l’identità individuale
e sociale” 131
Certo un comportamento “off limits” sembra rientrare nei desideri, pure
inconsci, del raver, che spesso porterà il proprio corpo oltre i limiti della
stanchezza fisica, oltre che della notte.
Ma viene da chiedersi: in un’epoca in cui “sesso, droga e rock and roll” non
scandalizzano più nessuno, non ci sarà nel tatuarsi e nel riempirsi di anelline
varie anche un, peraltro normalissimo, bisogno di stupire genitori, familiari vari
e coetanei troppo conformisti?
CAP.3
La notte e il rito
3.1 Il rituale rave
I ravers stessi, pur avendo difficoltà a definire lo stato di rave come uno stato
di transe, considerano questa particolare festa un vero e proprio rito moderno.
Per coloro che vi partecipano il rave è per un rito inteso in senso comune, i
ravers non fanno certo riferimento a categorie antropologiche: il rave è per
loro un rito nel senso di un evento che si ripete, sempre simile a se stesso, e
che permette di liberare lo stress della vita quotidiana, di divertirsi, lontani dal
clamore delle discoteche istituzionalizzate, lontani dalle regole imposte loro
dalla società.
Ma, in questo senso, usando cioè il termine “rituale” in senso comune, anche
per gli amanti della discoteca la serata spesa a ballare potrebbe essere una
sorta di rito, un evento che si ripete nel tempo, che permette di dimenticare lo
stress settimanale, e di divertirsi ripetendo gli stessi gesti, perchè così si è
sempre fatto.
130 A. Castellani,1995, Ribelli per la pelle, Genova, Costa & Nolan, p. 77.131 Ibidem, p. 82.
114
Quali sono dunque le caratteristiche del rave che rendono possibile un
confronto con i rituali del passato, e fanno sì che il movimento rave possa essre
definito un fenomeno di danza rituale, non accomunabile con la comune
nottata in discoteca?
In questo “messaggio”, riportato all’interno di un Cd di techno-musica, ecco
riassunto ciò che il rave è, o meglio ciò che il rave dovrebbe essere:
“Un rito è un atto sacro con un’intenzione focalizzata. La nostra
intenzione è di creare un tempio moderno, uno spazio positivo creato
con amore, in cui possiamo trovarci come un’unica tribù, per
viaggiare nel profondo della trance, come i nostri antenati molto
tempo fa. Consideriamo la danza uno spazio sacro, un luogo per
collegarci con la nostra forza. La forza è nostra, che la si usi con i
cuori aperti!”132
Si parla di transe, di atti sacri, di templi, termini questi prettamente
antropologici, in che modo si può dunque affermare che il rave è un rito
facendo riferimento a tali termini e alle categorie antropologiche in generale?
Cominciamo col distinguere il rito dalla cerimonia.
Se per cerimonia si intende un evento che ha una funzione sociale, indica un
modello cui conformarsi ed è alla base del comportamento religioso e politico,
si può affermare che il rave sia, in questo senso, prima di tutto una cerimonia,
come lo sono le funzioni religiose, le manifestazioni politiche e persino la
tifoseria sportiva.
Chi partecipa ad una cerimonia riconosce un quid di superiore, cui votare la
propria esistenza, almeno per un pomeriggio, una notte, o anche qualche anno.
Si può supporre che il raver abbia una fede, che non è in sostanza così
differente dalla passione politica, e probabilmente si riconosca e identifichi in
un gruppo preciso , quello dei ravers, appunto.
Ma il rave può diventare rito, e non solo per quella parte del movimento più
legata a certi aspetti “sacri” del fenomeno, all’ala mistica del fenomeno per la
quale il rave diviene qualcosa di più che una fede per il fine settimana ma
ricerca interiore, scelta di vita, bensì per tutti coloro che, consci o meno delle
loro scelte, preferiscono le modalità del rave a quelle di qualsiasi altra gestione
del “tempo della festa” giovanile.
“L’elemento coesivo del senso di appartenenza è per eccellenza il
rito. Il rito ha la funzione precipua di celebrare, nella ripetizione,
l’esperienza dell’appartenere. E questa forte esperienza crea
132Retourn to the Source-Deep trance & ritual beats, cd + book RTTS 1, 1995.
115
implicitamente una morale, una rettitudine non imposta, ma scelta.
Con il senso di appartenenza viene espresso anche un profondo senso
di gratitudine in quanto l’appartenenza non si limita al gruppo o al
clan ma si estende a tutte le altre forme di vita.”133
Ecco un primo elemento che fa sì che il rave possa essere considerato un rito e
non una cerimonia: il sentimento di appartenenza che si estende a tutte le
forme di vita, e che allontana la presenza di un qualche tipo di competitività,
presenti invece nelle cerimonie, specie in quelle sportive o politiche.
Non ci si reca ad un rave per sentirsi diversi, o avversi agli altri, ma per sentirsi
uniti agli altri come parti di uno stesso universo.
Il rito non è infatti un gioco, come ci ricorda Lévi-Strauss:
“Ogni gioco viene definito dall’insieme delle sue regole che rendono
possibile un numero praticamente illimitato di partite; invece il rito,
che anch’esso viene “giocato”, somiglia piuttosto a una partita
privilegiata, scelta fra tutte quelle possibili poiché è la sola a risultare
in un certo tipo di equlibrio fra i due campi”134
Il rave potrebbe quindi essere considarato una partita privilegiata, ma quali
sono le regole del gioco?
Sappiamo che il rito, che sia individuale o collettivo, comporta sempre
determinate regole, nonostante la sua elasticità, elasticità necessaria ad
ammortizzare i fattori variabili legati alle pretese dei partecipanti e agli
avvenimenti naturali e imprevisti.
L’individuazione di tali regole nella dinamica del rave, regole sempre uguali e
se stesse, in qualsiasi evento e in qualsiasi parte del mondo, avallerebbe la
possibilità di considerare il rave un vero e proprio rito moderno.
Il rave va dunque oltre la cerimonia, oltre le regole del gioco inteso
classicamente, ma quali sono dunque le sue regole, cioè le regole che rendono
simili tutti i raves, in qualsiasi parte del mondo si svolgano ?
Innanzitutto il rave è un evento notturno e giovanile : i raves cominciano
sempre di notte: fine della festa è l’andare oltre i confini della stanchezza, della
mente e della notte, per vedere l’alba di un nuovo giorno. Ecco un primo
elemento che caratterizza il rave in quanto tale, la cui importanza è alla base
della “filosofia” rave stessa: l’andare oltre, la sua tendenza “off limits”.
Un secondo elemento che caratterizza il rave in quanto tale è lo stretto legame
che la festa rave ha con la tecnologia nelle sue varie espressioni: la tecnologia
133 S. Tambiah, 1995, Rituali e cultura, Bologna, Il mulino, p.153.134 C.Lévi-Strauss, 1964, Il pensiero selvaggio, Milano, il Saggiatore, , p.43.
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chimica delle sostanze psicotropiche, che permettono appunto di andare oltre i
confini del tempo e della mente attraverso una più o meno ricercata esperienza
estatica; la tecnologia elettronica con cui viene composta la musica techno,
altro elemento caratteristico dell’evento; la tecnologia industriale degli spazi
riutilizzati (negli illegal rave in particolare).
“La tecnologia assume un ruolo fondamentale all’interno dei rave.
Essa rappresenta il medium creativo, la capacità di dare mille forme
comunicative al proprio sentire.”135
La presenza di quella che abbiamo definito come techno-transe è un altro
importantissimo fattore che accomuna i raves, raves che altro non sono che
festa e danza collettiva, nella quale la transe assume un ruolo centrale.
“Il rave è una “festa-transe”, un esperienza di “sacro-selvaggio”...La
transe del rave è ludica, ebbrezza, vertigine, eccitazione, è non-
istituita, fuori dalle regole, spontanea.” 136
Ricapitolando, gli elementi che accomunano tutti i raves sono: la filosofia “off
limits”, che porta al consumo di sostanze psicotropiche, nell’attesa dell’alba del
nuovo giorno e la presenza di techno-transe e musica techno. Il rave è quindi
un rituale tecnologico, oltre che prettamente giovanile.
Per quanto concerne una certa misura di formalismo insita in ogni rito che si
possa definire tale, Lapassade, considerando il rave come un vero e proprio
rituale, individua tre aspetti della programmazione musicale del rave, che
autorizza secondo l’autore un confronto con altri rituali, che come il rave si
svolgono nel corso di un’intera nottata:
“La programmazione e l’organizzazione del rave comporta:
a)l’apertura, l’apogeo della serata (verso le 3 o le 4), e l’”atterraggio”;
b)la qualità del DJ di “sentire la sala” e di far ballare e “delirare” i
ravers;
c)l’attesa dell’alba, con il sorgere del nuovo giorno.”137
Lapassade associa tali fasi a quele rilevabili durante i rituali gnaua marocchini,
in cui si possono rilevare perlomeno tre aspetti: il crescendo musicale, il
legame che si stabilisce tra i musicisti e l’adepta in transe e l’attesa dell’alba.
135 Demian, Scintille di pubblico disordine, in A. Natella e S. Tinari (a cura di), Rave Off, Roma, Castelvecchi, p.56.136 A. Fontana-C. Fontaine, 1997, Raver ,Roma, Sensibili alle foglie,p. 97.137 G. Lapassade, 1997, Dallo sciamano al raver, Milano, Urra, p. 100.
117
L’insieme di carattersitiche comuni al fenomeno rave illustrato in precedenza e
le regole formali proposte da Lapassade fanno pensare al rave come vero e
proprio rituale.
Il rave, inteso allora come rito, è caratterizzato da un certo formalismo, che
come abbiamo visto è stato individuato da Lapassade; da un certo grado di
stereotipia che fa sì che, nonostante le differenze, tutti i rave si assomiglino,;
da un certo grado di condensazione, cioè da una caratteristica fusione dei
significati collettivi ed individuali e infine dalla ridondanza dei contenuti.
Il rave, insomma come rito tecnologico in cui all’amalgama di parole, silenzi,
danza e musica si aggiungono molteplici mezzi di comunicazione (specie uditivi
e visivi) mediati dalla tecnologia, il cui effetto è amplificato dall’uso udi
sostanze psicotropiche.
La danza, la musica techno e la presenza di quella che Lapassade ha definito
techno-transe mettono particolarmente in evidenza il carattere di ridondanza
caratteristico del rito: vi è infatti una costante ripetizione di messaggi, tramite i
diversi mezzi costituiti dalla musica, dalla scenografia e dalle sostanze
psicotropiche: la musica techno è, come abbiamo visto, per sua natura
ripetitiva, il tappeto sonoro è reso omogeneo dall’esperienza del DJ, la ritmica è
costante, cresente fino al parossimo, ma sempre ripetitiva; le luci
stroboscopiche e i laser rompono costantemente il buio, e le sostanze assunte
fanno sì che il corpo del raver non possa sottrarsi alla ripetizione costante degli
stessi movimenti, il ballo è ininterotto o quasi.
All’interno del rituale rave ricorrono costantemente gli stessi schemi, più volte
nella stessa nottata: il raver balla, trasportato dalla musica e supportato dalle
sostanze psicotropiche, si ferma, beve, si riposa per qualche minuto. Poi
ricomincia a ballare, mentre attorno a lui lo schema musicale si ripete a grandi
cicli.
Ma qual’è il significato del rave, inteso come rituale? Perché il rituale rave è
nato proprio ora e perché ha fatto la sua comparsa nel mondo occidentale?
Sappiamo bene che non sarebbe possibile analizzare un rito senza tenere conto
del contesto storico e culturale, ed è proprio analizzando la società
contemporanea occidentale che si accorge di una quasi totale mancanza di “riti
di passaggio”, riti che conducano i giovani verso lo stato adulto, o che
permettano di accedere a stati di coscienza non ordinari, e questa è una prima
ipotesi.
Si può quindi pensare al rito rave come possibilità di ricreare
momentaneamente il senso di comunità, perso con l’avvento della vita
moderna, entro il quale siano resi possibili una sorta di riti di passaggio, e la
creazione di spazi in cui sia permessa non solo la “vera festa” ma anche un
allargamento della coscienza, spazi quasi inesistenti nel contesto della
118
moderna società occidentale, e di cui, probabilmente, i giovani sentono
fortemente la mancanza, se non altro inconsciamente.
Già il movimento hippie degli anni ’60 e ’70 aveva tentato il recupero della
communitas, dando così importanza ai rapporti sociali paritari più che agli
obblighi di ruolo imposti dalla società, ma la loro fu una scelta forse più totale,
che coinvolgeva ogni aspetto della vita, i ravers, come vedremo, vedono invece
nel rave la possibilità di un ritorno temporaneo alla communitas, senza che
questo significhi una scelta definitiva, un mutamento esistenziale.
Ciò che accomuna il raver all’hippie è dunque, pur se a diversi livelli, il non
adattamento alle strutture collettive simboliche continuamente ridefinite dalla
società, e quindi l’originarsi di una tensione sociale, che spinge alla
sospensione della struttura e si riflette nella liminalità individuale o collettiva.
Il rave sarebbe insomma un’espresione dell’antistruttura, e il rito techno
elaborerebbe questo passaggio dalla struttura all’antistruttura, situazione in cui
i raver potrebbero ritrovare un significato sociale globale, diverso da quello
istituzionalizzato e determinato spazio-temporalmente.
3.2 Il rave come antistruttura
“Molti di voi hanno avuto una profonda esperienza di solidarietà e un
vero senso di comunità attendendo eventi come questo. Ciò che noi
vogliamo fare come gruppo è espandere questo sentimento
all’interno delle nosrte vite e della comunità globale. Noi, all’interno
del gruppo siamo incredibilmente diversi: siamo multirazziali, multi
etnici e dotati di talenti diversi. Siamo artisti ed ingegneri, ballerini e
impiegati di banca, dottori e avvocati, scienziati e mistici.[…]
Abbiamo imparato a comunicare, agire e fare festa con ogni altra
persona, al di là della linea di razza, di ceto, di classe e di preferenza
sessuale. Siamo entrati insieme in una casa (house) per dividere
qualche momento di eternità, prima di tornare alle nostre attività nel
mondo reale...” 138
Leggendo questa testimonianza si sarebbe portati a credere che il senso di
comunità sia globalmente percepito e rivendicato dai ravers ma questo nella
realtà dei fatti non succede; ciò che è certo è che, i partecipanti se ne
accorgano o meno, il rave, essendo un rituale, presuppone un ritorno alla
communitas, pur se dotato di caratteristiche tutte sue, e legate al contesto
profondamente edonista e non sacrale del rituale rave.
138CyberTribe Rising,<http://tdg.uoguelph.ca/~lilith/home/cyber.html>, from [email protected] .
119
Tale recupero del concetto di communitas deve essere visto come recupero
temporaneo, che si attua solo entro i limiti della Zona Temporaneamente
Autonoma: il ritorno alle regole societarie è inevitabile.
“Certamente il rave non farà rinascere la comunità. I ravers non
hanno un Dio comune, sono soli nel loro delirio, soli nella loro transe
anche se essa è collettiva. Ma le loro esperienza sono abbastanza
vicine da sentirsi insieme, in accordo,[...] essere presenti gli uni agli
altri, senza parlare, durante la festa.”139
Fontana e Fontaine hanno una visione quantomeno pessimista della situazione
reale dei ravers, ma quello che è, tristemente, certo è che il senso di comunità,
accanto al senso di Unione, è spesso destinato a morire alla fine della festa;
questo non toglie affatto che una tale esperienza delle modalità comunitarie
possa in qualche modo influenzare le scelte di vita e le modalità di pensiero dei
ravers.
La communitas prevede uno stato liminale per coloro che la sperimentano, e se
il rituale rave può essere considerato come il passaggio dalla struttura
all’antistruttura della communitas, il raver in che modo può essere visto come
essere liminale?
Certo non si può porre un parallelo fra i novizi di un qualche rito di passaggio
delle società tradizionali e il moderno raver, ma alcune caratteristiche della
liminalità sono rintracciabili comunque nel raver.
Occorre precisare subito che la liminalità del raver non è una condizione
temporanea che conduce ad una condizione definitiva, non vi è, nel caso del
raver un passaggio da una struttura inferiore ad una superiore, come vedremo
meglio in seguito.
Ma vediamo in che senso il rave ricrea le condizioni della liminalità.
Il rave è un evento transitorio, la cui durata coincide generalmente con la
resistenza fisica e psicologica dei partecipanti; esso coinvolge l’individuo e la
collettività in modo totale, dal punto di vista dell’impiego dei sensi e dal punto
di vista mentale; durante il rave si crea una situazione in cui vi è omogeneità
fra i raver, vi è un senso di uguaglianza e la communitas rinasce, come
antistruttura. Non si tiene conto dei normali ruoli sociali, non vi sono distinzioni
di status e di rango, i raver vestono in modo abbastanza uniforme e non si
notano distinzioni di ricchezza; le differenze sessuali sono minimizzate e, se
non si ha una vera e propria continenza sessule, ciò che è certo è che alla
sessualità viene preferita la sensualità.
139Fontana e Fontaine, op.cit., p.97.
120
Dicevamo che la liminalità del raver non coincide assolutamente con quella del
novizio, e certo la communitas rave non ha il carattere di una confraternita
religiosa, il rave è sempre un fenomeno in certa misura edonista: non si avrà
qundi una reale assenza di proprietà, ne’ una noncuranza nel vestire,
obbedienza, accettazione del dolore ed umiltà.
Sembrerebbe, da questa analisi, che lo stato di rave si situi a metà strada fra la
liminalità e il sistema di status, dalle cui regole il raver non può, e non vuole
sfuggire totalmente.
Inoltre il carattere di “sacralità” dell’evento sarà da intendere nel senso di un
evento cui si attribuiscono speciali caratteristiche che lo distinguono, per
importanza e riferimento a determinati valori indiscutibili, da ogni altro tipo di
evento: i rituali costruiti attorno a tale carattere “sacro” possono avere
caratteristiche comuni con i rituali tradizionali dedicati agli dei o agli antenati.
E se la situazione liminale richiama, presso le culture tradizionali, attribuzioni di
tipo magico-religioso e gli esseri liminali sono considerati pericolosi, il
fenomeno raver, in quanto “liminale” è consiederato pericoloso solo nella
misura in cui non sottostà alle regole istituzionali e sociali, agendo in maniera
antistrutturale, rendendo possibile, tramite una situazione simbolica
improntata su relazioni di Io-Tu-Noi, una ridefinizione del collettivo (individuale
e collettiva) diversa da quella “comune”.
Ci si potrebbe chiedere di quali problemi dell’esistenza dei giovani il rave
possa essere una, temporanea, soluzione.
Se gli uomini primitivi e quelli appartenenti alle culture tradizionali vedono il
rito capace di allontanare l’angoscia, procuratagli dall’imprevedibilità di
un’esistenza non soggetta a regole infrangibili, per il raver varrà lo stesso; ma
se le preoccupazioni dell’uomo primitivo derivano principalmente dal mondo
naturale e sociale, il raver si trova di fronte anche un altro, potentissimo
“nemico”, di ordine culturale: la tecnologia.
Ecco il motivo per cui il rave è un rito tecnologico, oltre che naturale: non solo
occorre rivolgersi alla natura e alle sue forze, occorre anche rivolgersi alla
tecnologia, nuovo grande “dio” occidentale.
Se in passato la potenza da accattivarsi o allontanare , dotata di caratteristiche
sovraumane, era la Natura (compresa la natura dell’uomo), ora occorre
relazionarsi con molte altre insicurezze che derivano dalla vita moderna,
tecnologizzata e informatizzata.
Il rave è un rito moderno, e come tale sarà costruito su di una cosmologia che
rispecchi la cultura da cui ha avuto origine; il rito rave potrà quindi essere visto
come tentativo di risoluzione dei problemi legati all’essere giovani nel mondo
occidentale contemporaneo, e rifletterà quelle crisi esistenziali dovute alla
121
difficoltà di trovare modelli cui conformarsi ed un equilibrio fra identità e
identificazione.
Il rito permette un abbandono temporaneo del ruolo sociale, ed è terreno fertile
per l’anti-identità:
“Il rave soddisfa temporaneamente un bisogno di sfuggire a tutti i
codici sociali, di oltrepassare la propria condizione, identità, di
sormontare la normalità.” 140
Dicevamo che la cultura occidentale non contempla più gli antichi riti di
passaggio, non solo fra le varie età nella vita ma anche fra gli stati della
coscienza, individuale e collettiva.
A ben guardare, dunque, la funzione del rito rave potrà rispecchiare quel
desiderio di una vita ordinata e senza angosce alla base di ogni rituale, ma il
carattere di vera e propria “fuga” temporanea da un mondo caotico e da una
vita stressante e senza sicurezze rimane evidente.
Si potrebbe dire che il raver, attraverso azioni simboliche particolari, cerchi di
allontanare come impurità quel sentimento di indeterminatezza che gli da
angoscia, rintracciabile anche in quella tendenza alla fuga caratteristica dei
giovani, i quali non avendo ancora trovato la propria strada, e non volendo, o
non riuscendo, ad assumersi delle responsabilità divenendo adulti, preferiscono
vagare lungo il confine fra questi due stadi, senza una meta precisa.
Il rito rave, come ogni altro rito, non ha un’efficacia empirica ed osservabile,
ma la sua efficacia extra-empirica fa sì che il raver percepisca come positiva e
liberatrice l’esperienza; inoltre presumibilmente il rave incarna per il raver quei
caratteri della vita che egli ritiene indiscutibili, e pertanto, come abbiamo visto,
il rito gli apparirà in certa maniera “sacro”, e il parteciparvi sarà una sorta di
atto di fede.
3.3 I simboli del rituale rave
Il rave, come fenomeno antistrutturale, implica una sospensione della struttura
, ed una sua ridefinizione attraverso simboli comuni, alla destrutturazione
segue cioè una nuova strutturazione simbolica dei significati collettivi, e se il
rituale è un sistema di comunicazione simbolica costruito culturalmente, è
evidente che i simboli rave troveranno il loro fondamento nel contesto culturale
da cui il rituale rave ha avuto origine.
140Ibidem, p.67
122
Abbiamo sottolineato più volte lo stretto rapporto fra il rave e la tecnologia,
espressione della cultura che, accanto ai simboli naturali, costituirà la
cosmologia del raver; tale cosmologia è costituita da simboli rituali, e pertanto
collettivi, aventi il medesimo significato per tutti i partecipanti.
Il rave, è un fenomeno che si è sviluppato in grande parte del mondo
occidentale, e pertanto i suoi simboli rispecchieranno di volta in volta il
contesto culturale a cui fanno riferimento, vi sono però alcuni tratti che legano i
simboli rave in quanto tali.
Abbiamo visto che una caratteristica fondamentale del rave è quella di essere
indissolubilmente legata alla tecnologia, molti dei suoi simboli saranno quindi
di ordine tecnologico. Il rave, specie l’illegal, come avremo modo di vedere,
attua un recupero della tecnologia e dei suoi simboli, sovvertendone il
significato: ed ecco che il capannone abbandonato, frutto della tecnologia
industriale, diventa nuovo “tempio della vita”, non più luogo di lavoro, ma
luogo di liberazione e libertà.
La filosofia waste di certa parte del movimento rave è emblematica di questo
recupero delle vestigia del passato, in senso ludico e ricreativo.
Tale tipo di recupero e deturnamento si riflette anche nell’abbigliamento e nel
look:
“Così l’abbigliamento sportivo off ( che ha portato l’Adidas a mettere
di nuovo in produzione articoli che aveva dimenticato), che nasce
dall’esigenza di dover ballare fino al sole, sconfina dal rave e si
impone completamente decontestualizzato, magari a richiamare una
ginnastica della psiche più che del corpo. L’occhiale da sole che serve
solo a proteggere l’occhio dalle strobo e a godersi il flash dell’alba (è)
assolutamente decontestualizzato dalla sua valorizzazione
produttiva.”141
Sempre per quanto riguarda l’aspetto dei raver, accanto ai simboli di carattere
tecnologico se ne aggiungono altri che riflettono un vero e proprio ritorno al
passato: tatuaggi, pierging, vesti orientalizzanti e look tribali danno mostra di
se rivendicando un’appartenenza al genere umano come tale, che intende
forse allontanarsi dalla pigra, monotona e grigia apparenza della modernità.
Il pierging e il tatuaggio, quindi, non solo come moda, ma come recupero di
una simbologia corporale e di una libertà di espressione non contemplati dal
mondo occidentale , ma che riallacciano il raver all’uomo primitivo e alla vita di
communitas, e indicano l’appartenenza del raver alla tribù degli Uomini.
141 Demian, op.cit., p.15.
123
Le droghe, le sostanze picotropiche si pongono, all’interno di tale quadro in una
posizione particolarmente interessante: esse sono al tempo stesso frutto della
tecnologia chimica (simbolizzando il legame col presente), ma indicano anche
un ritorno ,o meglio la continuità, col passato (simbolizzando e rievocando il
rapporto millenario fra l’uomo e le sostanze psicotropiche).
La techno-transe del danzatore rave, supportata dall’ingestione di sostanze
altamente tecnologiche è in questo senso simile alla transe iniziatica di certi riti
di passaggio presso le popolazioni tradizionali in quanto
“...mira a rompere la personlità sociale, a rompere con la realtà
ordinaria, a “viaggiare”. Il raver tenta di sfuggire al mondo delle
norme e dei valori e ad uscire da se stesso, dal suo proprio
condizionamento.La transe è un varco.”142
Ma la simbologia delle sostanze psicotropichee va anche oltre: la divisione delle
“pasticche” , fra amici e coppie, sta a simboleggiare l’importanza del rapporto,
e se pure non vi è una divisione fisica delle sostanze, il raver si sentirà
simbolicamente unito agli altri che come lui hanno assunto una qualche
sostanza, pur non conoscendoli.
Anche nel simbolismo che gli è proprio, il rave sottolinea quel carattere di
ponte fra passato e futuro, in quanto accanto ai simboli tecnologici della
modernità resuscitano, come abbiamo visto, gli antichi simbolismi espressi
attravero il deturnamento del corpo, le vesti, i simboli pagani ed orientalizzanti
ripresi dalla tradizione e riportati alla vita in nuove forme; è il caso per esempio
dei simboli solari che spesso appaiono nelle scenografie dei rave; di simboli
orientali quali il “tao”, rappresentante la perenne convivenza e lotta fra bene e
male, la cui immagine, fin dagli anni della psichedelia, appare su magliette,
ciondoli e altri accessori giovanili; della spirale , simbolo spesso utilizzato nella
iconografia rave e che rappresenta i ritmi ripetuti della vita, i carattere ciclico
dell’evoluzione.
“L’immaginario dei ravers unisce i simboli, il tempo,le religioni, esalta
un futuro utopico. Già vi si legge l’abbozzo di un nuovo linguaggio, di
un sistema comune.”143
3.4 Il rave come rito di passaggio
142 Fontana e Fontaine, op.cit., p.97.143 Ibidem, p.98.
124
Il rave, sebbene possa, come abbiamo visto, essere considerato un rito, non
può essere facilmente identificato ne’ come rito di crisi vitale, ne’ come rito
periodico: esso infatti non implica un passaggio da una fase della vita all’altra,
pur se si può ipotizzare che il raver, come essere “liminale” inconsciamente sia
ala ricerca di una posizione meno instabile.
Il motivo per cui ricorrenze quali il solstizio d’Estate o le notti di luna piena
vengono festeggiate dai raver non è inoltre legato ad una reale ricerca di
protezione sulla produzione o al tentativo di controllare il ritmo delle stagioni: si
tratta piuttosto di ricorrenze tradizionali, che riemergono anche in un contesto
tanto legato alla tecnologia , il rito rave anche in questo senso può essere
visto come un ponte fra passato e futuro.
Si potrebbe invece ipotizzare che, in certo qual modo, il rito rave possa essere
accostato a certi riti di inversione di status, come L’Hallowen dei bambini, in cui
il potere è temporaneamente in mano a coloro che nella quotidianità non lo
detengono. In questo senso il raver sarebbe libero, avvenuto il passaggio
rituale, di esprimere se stesso al riparo dalle sanzioni sociali in cui potrebbe
incappare se si comportasse liberamente in un’altra situazione.
In realtà il rito rave mostra maggiormente le caratteristiche del rito di
passaggio quando si prende in considerazione il ruolo delle sostanze
psicotrope: le fasi illustrate da Van Genepp144 (separazione, margine e
aggregazione) vengono messe in evidenza nelle modalità di assunzione delle
sostanze.
Il raver,infatti, per entrare nell’atmosfera del rave spesso fa ricorso a Ecstasy,
LSD e ad altre sostanze, tali sostanze, una volta assunte, faranno sì che
l’individuo si stacchi dal suo ruolo quotidiano, che venga cioè parzialmente
slegato dai condizionamenti strutturali e culturali; in una seconda fase, quella
della “salita” dell’effetto della sostanza, egli non si sentirà più vincolato allo
stato precedente, ma ancora non sentirà “lo spirito della festa”, che
raggiungerà infine nella fase di riaggregazione, unendosi così agli altri
partecipanti.
Chiaramente il discorso vale anche per chi non fa uso di alcune sostanza, o per
chi invece di aggregarsi agli altri compie un suo viaggio personale: il rave ,in
questo senso, permettendo o comunque facilitando il passaggio da uno Stato di
Coscienza Ordinario ad uno Stato di Coscienza Modificato, è rito di passaggio.
Il rave è dunque un rituale tecnologico, in cui è rintracciabile una forma
particolare di rito di passaggio, permesso dalla presenza dell techno-transe.
Gli stessi raver riconoscono inoltre nell’assunzione di una qualche sostanza
psicotropica un vero e proprio rito di iniziazione dei novizi, che va oltre l’ atto di
144 Van Gennep A., 1985, Riti di passaggio,Torino, Bollati Boringhieri.
125
condivisione simbolica: tale iniziazione “chimica” permetterà infatti
all’iniziando di entrare in sintonia con gli altri, e di percepire lo spirito del rave.
“Quando vi sono persone in un gruppo che escono per la prima volta
queste sono affidate agli “iniziati” che rispondono alle loro domande,
danno loro dei consigli e parlano delle loro esperienze.Coloro che
scoprono il rave ed “entrano nel movimento” provano spesso il
bisogno di condividere questa esperienza con gli amici poiché è per
loro essenziale e “perché bisogna provare almeno una volta nella
vita”. Iniziare altre persone significa per i ravers rispondere al
problema dell’incomprensione a cui essi vanno incontro.” 145
Il raver, una volta raggiunta la fase di aggregazione, si comporterà secondo
quelle che sono le norme del rave, e se si comporterà in maniera non definita
“corretta” degli altri raver verrà presumibilmente guardato con sospetto.
Lo stato di rave, ad esempio, non contempla, come abbiamo visto, una
sessualità esibita, o un look troppo dissimile dagli altri.
Il rituale rave, come rituale di transe, nonostante possa essere considerato rito
di passaggio in senso allargato, come abbiamo visto, non ripropone però quel
fondamentale gioco di ruoli caratteristico dei riti di passaggio tradizionali, esso
è piuttosto un “simulacro” di quelli che erano, anche presso la nostra società, i
riti iniziatici e di passggio, dunque come sottolineano Fontana e Fontaine:
“Questa esperienza, integrata, potrebbe divenire un rito di passaggio.
Ma screditata, clandestina, senza guida certa, prende troppo spesso il
percorso inverso e blocca quelli che si avventurano senza precauzioni
in una marginalià dolorosa, li “scotcha” su delle false piste.”146
3.5 Il totem tecnologico
Ma se il rituale rave unisce il passato al presente, attraverso la riutilizzazione di
spazi dismessi, frutto del lavoro (e luogo del lavoro) di uomini del passato, si
potrebbe azzardare l’ipotesi di un totem tecnologico, rappresentato proprio
dalle vestigia dell’industrialismo, abbandonate e riportate in vita come nuovo
tempio tecnologico.
Non occorre che il totem sia obbligatoriamente un rappresentante del mondo
naturale, il totemismo non mette infatti in relazione natura e cultura, ma
piuttosto cerca di superare la loro opposizione unificandole in un “senso”, tale 145 Fontana e Fontaine, op.cit., p.11.
146 Ibidem, p. 97.
126
senso potrebbe essere rintracciato proprio nel recupero dei luoghi di lavoro
degli “antenati”.
“...nel sistema totemico, l’individuo non esiste veramente come uomo
se non è iniziato, cioè modellato ritualmente e integrato nella società
grazie al contatto con i simboli sacri, al rapporto con gli antenati
totemici che appartengono a un mondo al di sopra delle regole” 147
In senso lato abbiamo visto esistere nel fenomeno rave una sorta d’iniziazione,
che è un’iniziazione chimica e dunque tecnologica che permette al novizio di
entrare in un sistema, o meglio in un sottosistema antistrutturale preciso; i
simboli “sacri” sono anch’essi legati alla tecnologia, e fanno riferimento ad una
tecnologia “buona” e umanamente ricuperabile, al di sopra delle regole perché
spogliata di quel carattere angosciante che ha nella vita quotidiana.
Così, come abbiamo visto, accanto alle simbologie tradizionali culturalmente
determinate, il “totem tecnologico” assume una posizione importante, e la
festa rave:
“Sfugge al razionalismo, riallaccia con il sacro selvaggio un’essenza, e
nello stesso tempo riconcilia l’uomo col suo ambiente industriale,
tecnologico, morto. La festa abolisce la rottura tra vivente e artificiale.
Nei suoi spazi re-incantati il raver sente di esistere una nuova volta.” 148
Si potrebbe obiettare che non tutti i rave avvengono in zone industriali dismesse,
ma in campagna, in collina o in riva al mare, nel bel mezzo della natura.
Qui il totem tecnologico sarà forse più nascosto e meno evidente, si nasconderà
nelle sonorità etniche recuperate dalla techno-music, nei vestiti indossati dai
ravers in cui la moda e la tecnologia tessile e degli accessori si mescolano
all’ispirazione fornita da culture altre e lontane da quella occidentale; nelle
droghe naturali, (quali l’hashish, la marijuana, i “funghetti magici”)149 che si
147 J. Cazeneuve, 1996, Sociologia del rito, Milano, Est, p. 380.148 Fontana e Fontaine, op.cit., p.98.149 Mentre l’”ashish” e la “marijuana”, sostanze derivate dalla pianta nota come canapa indiana (Cannabis sativa), sono assai diffuse fra i giovani, i “funghetti magici”, dotati di effetti alluginogeni, sono invece forse sconosciuti ai più, oggigiorno, ma fin dall’ antichità sono stati utilizzati dall’uomo, anche in ambito religioso e sacro; opere interessanti sullo psylocybe cubensis (il “fungetto magico” più diffuso alle nostre latitudini) e sui suoi partenti più prossimi sono: T. Mc Kenna, 1995, Il nutrimento degli dei,Milano, Urra; S. Pagani, 1993, Funghetti, Torino, Nautilis; Festi F.,1993, Funghi allucinogeni, una panoramica, in “Altrove” n.1, Nautilus, Torino, 1993; G. Samorini, 1995, , Maria Sabina e i funghi messicani, in Percorsi psichedelici, Bologna, Grafton 9.
127
affiancano a quelle sintetiche e che sono state utilizzate da milioni di uomini
prima dei ravers; nelle parole, nel linguaggio che negli anni è mutato ma ha
portato fino a noi il messaggio del passato.
Viene da chiedersi se il raver che si traveste di tecnologia non compia un atto
simile al danzatore delle culture tradizionali e ai bambini di Halloween che si
travestono da animale feroce, demone, forza della natura, per esorcizzarne la
paura e conquistarne il potere.
Il totem della tribù rave è al tempo stesso tecnologico, e naturale, antichissimo e
cosmopolita, racchiude in sé il passato non solo del proprio popolo ma di grande
parte del mondo, le innovazioni tecnologiche ma anche il senso di appartenenza
ad una cultura precisa, profondamente radicata nel passato.
Alcuni tentativi di categorizzazione del fenomeno
In questa terza parte dell’opera tenterò di descrivere i due fondamentali tipi di
rave, cioè il rave “metropolitano” (rave illegal e raves organizzati nei centri
sociali e dunque politicamente “schierati”), e il rave Goa (o Goa party).
A queste due tipologie rave se ne aggiunge una terza, che chiameremo “rave
commerciale”, pur se si tratta in qualche modo di una contraddizione di termini
visto che di rave in realtà non si tratta; metterò quindi in evidenza il fenomeno
della commercializzazione del rave e la perdita di significato dell’evento così
“decaduto”.
Fra il rave illegal e il rave Goa vi sono differenze peculiari, tanto evidenti da
ricondurre a veri e propri modelli ideali, e di questo occorrerà tenere conto,
perché non è escluso che i modelli si mescolino fra loro dando vita a sempre
nuove originali configurazioni, così ,ad esempio, nei centri sociali si possono
avere sia rave Goa sia rave i cui elementi riconducono all’illegal.
Il fatto che i party Goa siano legati agli “open-air” (feste all’aperto in occasioni
speciali quali il plenilunio) e gli illegal alle periferie in disuso non è assoluto: si
possono avere Goa-party all’interno di capannoni, illegal all’aperto (caso
emblematico sono i “tecknivals”, organizzati all’aperto se non altro per
questione di spazio) o serate di techno-music, che sia la trance dei Goa o la
techno industriale generalmente legate all’illegal, in piccoli club.
Nel corso di tale tipizzazione mi riferirò prevalentemente alla realtà del
fenomeno sul territorio bolognese, o comunque regionale, perché da me meglio
conosciuta.
128
Prima di analizzare i rave metropolitani e i Goa party, ritengo interessante
prendere in considerazione i tentativi di categorizzazione proposti da quegli
autori che si sono interessati maggiormente del fenomeno rave : G. Lapassade
e A. Fontaine e C. Fontana; tali tentativi di categorizzazione si riveleranno utili
ai fini del mio lavoro successivo.
Benché, come abbiamo visto trattando della techno-transe, non sia facile e
tantomeno scontato parlare di Stati Modificati di Coscienza e transe in ambito
rave, Fontana e Fontaine ritengono che:
“Si possono quindi distinguere tre categorie di ravers associate a tre
distinti approcci alla transe: i “neo-mistici”, che si è visto essere la
minoranza, gli “edonisti puri” e gli “adepti dello sballo”. Per i “neo-
mistici” la festa ha una dimensione spirituale. Come le feste di un
tempo o di un altrove, il rave crea un ponte tra sacro e profano,
permette ai partecipanti di scoprirsi in una dimensione spazio-
temporale più vasta, di accedere a stati “transpersonali”, li inizia ad
una realtà trascendentale. Per gli “edonisti puri”, al contrario la transe
favorisce l’immersione in un mondo immaginario, individuale. Apre il
campo di esplorazione della propria individualità, permette attraverso
l’espressione del corpo la realizzazione di un “sé” che è
ordinariamente inibito, pone le basi di una nuova relazione con l’altro.
[...]La festa è un tempo di fuoriuscita passeggero, limitato, ma alcuni
vi scoprono la transe come un metodo per sfuggire ad una realtà in
cui non si sentono al loro posto.[...]Per loro l’interesse principale
dell’avvenimento diventa l’assunzione di psicotropici: sono quelli che i
ravers chiamano “gli sballati”.[...]”lo spirito del rave”, alquanto
gioioso ed orientato verso una politica “edonista” del fine-settimana
dei primi tempi ha avuto una lenta deriva, per alcuni, verso una
politica sinistra dello “sballo.”150
In questo passo Fontana e Fontaine mettono in evidenza le diverse tendenze
dei ravers, mostrando brillantemente degli “idealtipi”, che nella realtà si
mescolano fra di loro, così che il raver “neo-edonista” potrà rivelarsi in in
occasione di un altro rave uno “sballato”, o ancora si potrà avere il caso di un
raver “edonista” che scopre a poco a poco la dimensione “neo-mistica”
dell’esperienza.
Anche Lapassade in un suo breve saggio, spiega che :
150 Fontana e Fontaine,1997, Raver, Roma, Sensibili alle foglie, p.59.
129
“I “neo mistici” costituirebbero il nucleo del movimento techno,
mentre, all’altro estremo, “gli amanti dello sballo” ascoltano la
musica techno e frequentano i rave per il gusto di “essere fuori” sulla
base in particolare modo dell’uso non ragionato e spesso sovrapposto
di diverse sostanze, spesso mescolate all’alcol.” 151
Lapassade, nel riprendere la categorizzazione proposta da Fontana e Fontaine
nota:
“...Fontana e Fontaine si interessano soprattutto dei neo-mistici,
benché questi costituiscano probabilmente una minorità fra i raver: la
maggioranza degli utilizzatori della techno si trovano piuttosto dalla
parte degli adepti dello sballo, ma questo “sballo” è qui visto come
una lenta deriva del movimento, cioè della sua decadenza.”152
Riprendendo l’analisi delle danza rave da me proposta, si può notare una
coincidenza fra il raver “neo-mistico” e il “danzatore sacro”, mentre “lo
sballato” pare corrispondere alla figura del danzatore profano; non esiste
invece alcuna corrispondenza fra il danzatore sociale e il raver ”edonista”.
In realtà il danzatore raver, come abbiamo visto, è fortemente sociale, e la
mancanza di tale tipologia in Lapassade e Fontana e Fontaine lascia un poco
perplessi.
Un altra importante distinzione all’interno del movimento rave è quella legata
ai due generi più diffusi di techno-music, cioè la Trance Goa e l’Hardcore:
“...se il pubblico della Trance Goa predilige un immaginario
orientalizzante, manifesta un’attitudine “peace” e “neo-babacool”,
quello Hardcore, composto soprattutto da adolescenti, preferisce un
immaginario da film horror, rivendica uno stato spirituale più violento
e ribelle.”153
Infine, e per quanto riguarda la situazione in Italia:
“Oggi coesistono tre tipi di “raves” in Italia: i rave commerciali
organizzati in discoteche, i raves autogestiti e i raves illegali
151 G. Lapassade,1996, Dallo stato di dikr allo stato di rave . La questione della transe nel movimento techno , in G. Gallina (a cura di), Trance-Il passato remoto della musica del futuro, Torino, Virus Production-Musica 90, p. 40.152 G. Lapassade, 1997, Dallo sciamano al raver, Roma, Sensibili alle foglie, p.104.
153 Fontana e Fontaine, op.cit., p. 90.
130
politicizzati, ugualmente autogestiti, emanazione dei centri sociali,
che sono apparsi in reazione alla forte commercializzazione del
movimento” 154
B.Pochettino, a proposito delle differenze fra il rave illegale e il rave
commerciale nota:
“La membrana che separa i due fenomeni, arrischiando una
terminologia forse esgerata, è quella che divide l’aspetto profano del
ballo da quello sacro, quello fisico da quello “magico”.Definizione da
considerare con le dovute precauzioni, ma indispensabile per
separare i due corpi, gemelli siamesi, le discoteche, aspetto
consumistico, edonistico, fisico-erotico del ballo ed il Rave, il lato
oscuro, profondo, “spirituale” e magico.”155
Prima di dedicarmi alla tipizzazione del fenomeno, ritengo quindi
indispensabile fare un paio di precisazioni.
Innanzitutto lo spazio dedicato al rave “commerciale” sarà forse più esiguo, e
mirerà a dimostrare che di “vero” rave non si tratta, tale concetto di “vero”
rave si verrà costituendo man mano che procederò nella descrizione del rave
nei centri sociali, dell’illegal e del Goa party, in quanto verranno messi in
evidenza elementi propri di tali ambiti, non rintracciabili nella
commercializzazione del fenomeno.
In secondo luogo, la tipizzazione da me proposta, frutto dell’osservazione
diretta del fenomeno a Bologna, verterà , per quanto riguarda il “vero rave” sul
genere musicale proposto più che sul luoghi dove il rave si svolge, perché,
come abbiamo già avuto modo di precisare, si possono avere Goa party in
capannoni industriali così come illegal all’aperto, ciò che farà la differenza sarà
quindi principalmente legato al genere musicale proposto e ai tipi di sostanze
assunte, oltre che alle dimensioni dell’avvenimento.
In realtà la suddivisione in due sole categorie (cui si aggiunge il rave
commerciale)applicabile alla realtà bolognese e italiana in genere non è
applicabile ad altre situazioni, come quella francese, in cui la trance è più
diffusa rispetto alla techno industriale, o a quella svizzera, dove agli amanti
della Goa, generalmente sui 25 anni e oltre, si accosta un vasto movimento
adolescenziale di amanti della techno-gabber.
154 Ibidem, p. 14.155 B. Pochettino,1996, “Rave , sostanze e rit(m)o , in “Altrove” n.3, p.122.
131
Transe metropolitane: gli illegal e i rave nei centri sociali
Il rave illegale nasce, in Italia, come risposta alla commercializzazione del
fenomeno, che, come si può leggere nel profilo storico, sembrava avere preso
le redini del rave quando questo apparve nella penisola, nei primi anni ’90.
Il rave illegale è da un lato l’emanazione diretta dei centri sociali autogestiti, e
dall’altro il frutto del lavoro di sound-system stranieri, che oltre ad organizzare
ed autogestire raves per conto proprio, hanno spesso collaborato con realtà
locali presenti sul territorio.
A Bologna, per esempio, si è avuta più volte una collaborazione fra i Mutoid
Waste Company e realtà “antagoniste” quali il “Livello 57” e gli occupanti
del’ex deposito dell’Atc di via del Terrapieno , nonché con il Link di via
Fioravanti.
Ma da dove nasce questa tendenza dei centri sociali ad organizzare dei rave?
Da un lato, molto semplicemente, si è assistito ad un mutamento dei gusti
musicali giovanili, per cui ,anche all’interno degli spazi autogestiti, al punk, al
reggae e all’hip-hop si è affiancata la nuova ondata elettronica della techno-
music; inoltre, come abbiamo visto, non è difficile rintracciare nelle modalità
del rave illegale, in quanto Zona Temporaneamente Autonoma, un nuovo
modello di azione politica.
“...parte degli amanti della techno e dei raves incontra gli attivisti
della controcultura italiana e da questo incontro nasce il rave “dei
centri sociali”. Questo accostamento, come la diffusione delle teorie
di Hakim Bey, agevola la politicizzazione, questa volta di sinistra, di
una parte del movimento italiano”156
Il rave illegale, lo dice la parola stessa, è per definizione politico, in quanto si
riappropria, illegalmente, di zone dismesse, tagliate fuori dal circuito dei
“divertimentifici” istituzionalizzati, ma va anche oltre la politica, superando i
vecchi modelli del “fare politica” giovanili, il rave illegal è un:
“...atto politico libero di ogni falsa coscienza ideologica. C’è chi lega
automayicamnetb il termine “politica” a quello di “ideologia”,
snaturando il significato oroginario di cambiamento pratico della
realtà circostante. Il rave è esattamente la destabilizzazione di questo
riflesso condizionato, l’indicatore palese del passaggio dalla forma
politica ideologica a quella pratica, comunicativa, di azione diretta.”157
156 Fontana e Fontaine, 1997, Raver, Roma, Sensibili alle foglie, p.103.157 Damien, 1997, Scintille di pubblico disordine, in A. Natella e S. Tinari, Rave Off, Roma, Castelvecchi, p.42.
132
Ecco quindi che i centri sociali, Zone Permanentemente Autonome per H.Bey,
cambiano rotta, e, anche per spezzare la routine politica fatta di concertini e
birre al bancone, costituiscono delle vere e proprie Taz, Zone Temporaneamnte
Autonome dove possa esplodere un rave.
Certo i centri sociali sono luoghi fisici, stabili, e molto facilmente controllabili.
Ecco perché spesso le Tribe e i sound-systems preferiscono seguire una
“strategia nomade” che li porta ai margini della città, lontano tanto dai
“divertimentifici” istituzionalizzati che dai centri sociali.
E così ai margini della notte e della città, i fantasmi del tardo industrialismo
rinascono sotto le luci stroboscopiche e pulsano di nuova vita, al ritmo di
140/200 b.p.m.(battiti per minuto).
Vecchi capannoni in disuso sacralizzati per l’occasione, i muri sfregiati dai
graffiti, lo spazio rimodellato:la creazione di un non-luogo per la festa di una
notte.
“La scelta del luogo da utilizzare è un’operazione che richiama le
esperienze psicogeografiche dei situazionisti, la deriva sullo spazio
metropolitano è l’interpretazione di una nuova metropoli, una
metropoli su cui è possibile leggere percorsi diacronici di sviluppo e
morte, o parallelamente spazi mai divenuti produttivi, aborti
spontanei da trasformare in party. Si tratta di una rimappatura dello
spazio urbano che adotta geometrie non euclidee, movimenti
inconsulti, desideri spastici estranei alle ragioni quotidiane dello
spostamento legato al lavoro o al consumo.”158
Non ci sono confini: ne’ recinzioni ne’ cartelli di divieto, conta solo il desiderio,
illegale, di costruire qualcosa al di fuori, al di sopra delle regole, di riempire di
vita lo spazio vuoto, inutilizzato e morto di quelli che erano magazzini,
fabbriche, hangar.
Qui comincia il gioco: la ristrutturazione ludica ha inizio, e accanto alle
consolle, all’amplificazione e ai piatti si plasma l’ambiente usando tutto ciò che
si trova: vecchi macchinari in disuso, scale, pezzi meccanici; è il regno della
filosofia waste, la filosofia del riciclo in aria post-atomica, dottrina di gruppi
come i Mutoids Waste Company.
Intanto la tela è attivata: coi flayers (volantini)si indica un luogo, sempre ai
margini della città, lontano dagli occhi della polizia, in periferia, da cui si parte,
talvolta in carovana, per il luogo della festa. Qualche volta nel flyer compare il
158 A. Natella, 1997, Intro in 4/4 - 180 bpm, in A. Natella e S. Tinari, Rave Off, Roma, Castelvecchi, p. 12.
133
numero di telefono di un cellulare, l’info line, oppure un altro foglietto, con le
indicazioni, non sempre dettagliate.
E’ una sorta di caccia al tesoro, ci si scambiano notizie con gli altri, si ipotizza,
si cerca. E quando l’aria vibra e la musica è nell’aria si è arrivati. Pochi soldi
all’ingresso, raramente una fila.
E dove una volta si lavorava, dove si perpetuavano le leggi di mercato, dove
l’uomo era schiavo del sistema, si balla. Dove il lavoro è morto si balla sulle sue
ceneri, e dalle ceneri rinasce la vita.
In questo riciclaggio, che spazia dal recupero delle zone industriali a quello
degli scarti tecnologici che divengono, sotto le mani degli “cyber-scultori” vere
e proprie opere d’arte, non è difficile leggere un messaggio politico, di
liberazione dai percorsi istituzionalizzati del divertimento, dell’arte e della vita.
“Il rave illegale raggiunge il valore massimo nel momento in cui ogni
singolo partecipante riesce a estrapolare, da un’esperienza del
genere, il bisogno di essere antagonista in termini pratici nella realtà
quotidiana e quindi opporsi a ogni forma represiva che grava sulla sua
esperienza menomata nella realtà d’ espressione”159
Qui il messaggio politico va anche oltre il superamento della forma politica
ideologica proposta dai rave nei centri sociali:le tribe, cui spesso fanno
riferimento i sound systems che organizzano i rave illegal, fanno politica nel
senso che rifiutano la società preferendo una vita nomade che li porta in giro
per il mondo, a diffondere il rave-messaggio.
Qui non si tratta più dei ravers dei centri sociali,cioè di giovani, spesso studenti
universitari o comunque generalmente di estrazione piccolo borghese, che
militano nei centri sociali ma al tempo stesso lavorano o studiano: i travellers e
i membri delle tribe hanno fatto una scelta più radicale, per loro il rave non è
un rito di fine settimana, ma la vita stessa.
L’esperienza nel “far rave” delle tribe è talmente alta che la loro presenza
diviene generalmente garanzia di successo per la serata; chiaramente non
tutte le tribe godono di stima, e in questo l’osservazione sul territorio
bolognese diviene utile strumento di conoscenza.
Alcuni sound-systems, come i più volte nominati Mutoids Waste Company (o
Mutoidi) sono generalmente considerati fra i migliori sound-systems sulla
piazza, insieme agli Spiral Tribe, altre tribe, quali gli OQP, i Total Resistance e i
Facom, hanno invece conosciuto un certo declino, e sono legati a realtà
marginali come quella dei “punk abbestia” che seguono la tribe pur non
facendone parte.
159 Damian, op.cit.,p. 45.
134
Mentre i Mutoidi e gli Spiral Tribe propongono, oltre ad un loro sound
particolare, scenografie post-atomiche, spettacoli con macchinari cyber e
mangiatori di fuoco, altre tribe recano un immagginario assai più povero e
marginale.
Sarebbe ingenuo e ipocrita, in questa sede, fare finta che in tutto ciò la droga
non c’entri per nulla: non è infatti un mistero che alcune di queste tribe
“minori” siano nate dall’unione di individui che facevano parte di altre tribe, ma
che hanno avuto problemi con i compagni a causa dell’eroina!
Questo non significa affatto che vi sia un legame preciso fra il rave illegal e
l’eroina, fatto che sarebbe oltremodo imbarazzante per coloro, come i
frequentatori dei centri sociali, che come abbiamo visto sono in stretto
rapporto con gli organizzatori degli illegal e che negli anni passati avevano
come parola d’ordine “ne’ eroina ne’ polizia”.
Si può comunque supporre che vi siano delle modalità di assunzione e delle
sostanze proprie dell’illegal, che non si riscontrano, ad esempio, nei rave Goa,
o comunque l’uso di sostanze meno utilizzate in altri contesti.
Chiaramente si tratta di tendenze generali e non di verità assolute, tendenze
che però possono illuminaci sul carattere altamente “off-limits” dell’illegal:
sostanze come lo speed e la ketamina, ad esempio, sono comparse sulla scena
degli illegal, prima di diffondersi in altri contesti rave. Lo speed è una sostanza
fortemente energizzante, adatta alle sonorità industriali dell’illegal; è
considerata una sostanza “cattiva”, che non lascia tregua, e che riflette in un
certo qual modo il legame con il movimento punk degli anni’70, cui anche
l’iconografia dell’illegal si ispira in parte.
Quanto alla ketamina certo non si può dire che si tratti della tipica sostanza
empatizzante ed euforizzante normalmente accostata al fenomeno rave: i suoi
effetti ricordano da lontano quelli dell’eroina, almeno ad un osservatore
esterno, e non per nulla tale sostanza è usata in misura maggiore dai cosiddetti
“punk abbestia”, o comunque da coloro che certo non si preoccupano del
sottile confine fra uso e abuso.
Lo speed, invece, è usato prevalentemente per aumentare l’effetto e la durata
di altre sostanze, come L’MDMA, per reggre fisicamente meglio il ballo
ininterrotto e le ore di veglia continuata.
Lo speed ha un effetto prettamente fisico, e il suo uso massiccio può essere
accostato a quelli che Fontana e Fontaine hanno definito “gli sballati”, coloro
cioè che trovano assolutamente necessario “strafarsi” per il gusto stesso di
farlo, mettendo ancora una volta in evidenza il carattere fortemente off-limits
dell’illegal e le sue radici nel movimento punk.
Nella realtà del territorio bolognese, i frequentatori dell’illegal sono
generalmente gli stessi che frequentano i centri sociali, e sono fortemente
135
legati alla zona universitaria della città, sia che si tratti di studenti che di
giovani legati per altri motivi, quali la politica e la frequentazione dei centri
sociali, al mondo universitario.
Questo dato è molto interessante, perché, come illustrerò più sotto, vi sono
forti differenze di target con gli esponenti del movimento Goa di Bologna,
specie per quanto riguarda la provenienza geografica: mentre agli illegal, fra
partecipanti e organizzatori, partecipano prevalentemente giovani provenienti
da tutta Italia, specie dal Sud per via dell’Università, e stranieri per via delle
tribe; i party Goa sembrerebbero invece essere maggiormente frequentati dai
bolognesi.
Goa party
Ma il rave non è solo un fenomeno metropolitano: si balla in collina, in
campagna, sulle spiagge, dove la Natura diventa protagonista, e dal suo
incontro con la tecnologia nascono le feste più belle.
Si trasportano gli impianti e il materiale in radure isolate, lontane dai centri
abitati ( ma non sempre...), la corrente è fornita al solito da un gruppo
elettrogeno, nascosto da qualche parte, che non si noti troppo, sarebbe
antiestetico.
Le modalità per raggiungere il luogo della festa sono le medesime che per il
rave illegal, ma già dal flyers si intuisce la differenza: la scritta “open-air” in
evidenza annuncia che il rave si terrà all’aperto.
Qui il gioco è ancora più bello: le luci vengono puntate verso gli alberi, verso il
cielo, e nessuna discoteca al mondo sarà mai così bella.
Centinaia di persone danzanti, unite nella festa sotto al cielo aperto, liberi
come non mai. Si aspetta il sole, e ai primi bagliori dell’alba il rave esplode,
come mai potrebbe in un capannone o in un centro sociale.
Si danza rivolti verso l’aurora, null’altro conta, ora. Tutta la notte si è danzato ,
si è andati oltre i limiti della fatica, del sonno, della mente, solo per vedere il
nuovo mattino.
Il ciclo della vita è lì, davanti agli occhi e nell’anima di tutti. Non contano più le
ansie e i dolori della vita in città, non contano il lavoro e gli studi.
Uomini insieme ad altri uomini, sotto il sole, continuano a danzare, fino a
quando la fatica, la sete, il sonno hanno la meglio. Ma è già un’altra sera.
Questa e la filosofia di fondo dei rave Goa, rave che sono “vera festa” solo
quando si svolgono all’aperto, o in luoghi particolarmente “mistici” quali
casolari in campagna , eremi abbandonati o castelli.
136
Il rave Goa è nato per essere “open-air”, per svolgersi sotto alle stelle in attesa
dell’alba, e perde molto del suo fascino se costretto entro le mura di un centro
sociale o di un capannone.
Goa è una città indiana, ex colonia portoghese, meta fin dai tardi anni ’60 di
hippies e freaks che abbandonavano i loro paesi d’origine per trovare “sé
stessi” in luoghi lontani dal caotico mondo occidentale e per immergersi nella
cultura psichedelica approdata in India insieme al movimento hippie.
“A Goa, in India, che è uno dei luoghi alti del movimento techno, si
può constatare la relazione tra questo movimento e quello della
precedente cultura hippie. Visitato dai gruppi che organizzano dei full
moon parties, rave all’aria aperta nelle notti di luna piena, Goa
sembra anche trovarsi associata all’idea di transe presso i raver: una
delle forme della musica techno, ispirata alle esperienze in India, si
chiama Trance Goa”160
La musica trance associata ai rave Goa è una techno del tutto particolare,
misticheggiante, che la rende assai diversa da ogni altro genere di techno:
“...è proprio nuovamente l’India, il “topos” per eccellenza di gran
parte dei ravers; riferimento spirituale che lascia il segno sulla
produzione musicale della techno sino a creare un proprio stile, o
sottogenere, il Goa-Style, ammiccante a sonorità indiane, intessute su
un continuo tappeto ritmico ad elevato numero di battute per minuto,
circa 140-150, senza arrivare al parossismo della hardcore-techno
dalle180-200 battute.”161
Ciò che differenzia la techno dei Goa da quella degli illegal si riflette anche nel
modo in cui si svolge la festa rave, e i fini che si pone:
“Le nostre feste saranno sacre e dionisiache, al di là di tutte le
religioni. Saranno punti di riferimento, come le stelle per i marinai. Il
luogo ed il momento saranno scelte in funzione di criteri specifici.
Queste feste si svolgeranno lentamente, dolcemente, come
l’apparizione dell’alba, come i cicli della vita. Il ritmo sarà graduale.
Gli strumenti “primitivi”, a pelle, a vento, saranno là per prefigurare
l’avvento dell’elettronica attraverso strati sonori dolci e cangianti per
raggiungere nel cuore della notte il dilagare di una techno transe,
160G.Lapassade,1997, Dallo sciamano al raver, Roma, Sensibili alle foglie, p. 106161 B. Pochettino, 1996, Rave sostanze e rit(m)o, in “Altrove” n.3, p. 123.
137
obiettivo, o meglio mezzo del rituale che deve sciogliere la mente e
liberare la confusione di pensieri per raggiungere nel cuore del ritmo
la pienezza della coscienza, la vacuità della mente. E in questi istanti
di grazia tutto è possibile”162
Come abbiamo visto vi è uno stretto legame fra il movimento hippie e quello
rave, e si può affermare che i ravers della Goa (o “goani”) siano i discendenti
più simili ai “padri psichedelici” anche proprio per questa loro ricerca di
misticismo, che si riflette anche in un uso diverso delle sostanze psicotropiche:
i rave Goa sono infatti associati in maggior misura all’uso di sostanze quali
l’LSD e la mescalina, o, meglio, tali sostanze hanno un posto d’onore in quanto
allucinogene, e portatrici di esperienze mistiche .
Fontana e Fontaine, a proposito della relazione fra droghe ed esperienza
mistica osservano:
“Gli esponenti stessi del movimento psichedelico, sebbene non
possedessero un sistema religioso strutturato, codificato, avevano
una politica dell’estasi, un discorso elaborato sugli stati di “veglia”
indotti dalla transe. Il “movimento rave” non propone nulla del
genere, con l’eccezione di alcuni organizzatori di feste Goa”163
Sembrerebbe insomma che si possa considerare il rave Goa come l’ala mistica
del movimento, e i “goani” più convinti dei “neo-mistici”.
Effettivamente tutto il movimento che fa riferimento alla trance di Goa, è
contraddistinto da un misticismo di fondo, che si riflette oltre che nell’uso di
allucinogeni, nel modo di vestire orientalizzante, nelle scenografie, nelle scelte
di vita.
Se gli amanti dell’illegal sono fortemente attratti da tutto ciò che è tecnologico,
waste e metropolitano, attrazione che si riflette fortemente anche
nell’abbigliamento e negli accessori, i “goani” amano invece la natura e le
filosofie orientali; se la “divinità” degli illegal è la tecnologia, il rave Goa è un
tributo alla Madre Terra:
“Il rito della danza che dura un’intera notte è un ricordo che scorre a
livelli profondi in tutti noi, un ricordo che ci porta indietro, al tempo in
cui l’umanità aveva rispetto per la nostra grande Madre Terra e per il
prossimo. Un tempo in cui giungevamo insieme alla danza, come una
162 Yayo, citato in Fontana e Fontaine, 1997, Raver, Roma, Sensibili alle foglie, p. 56.163 Fontana e Fontaine, op.cit., p.56.
138
tribù, unita nello spirito. Comprendevamo i cicli della natura e i poteri
degli elementi.”164
Dicevamo che a Bologna il movimento Goa fa capo principalmente ad un
associazione chiamata “Mr.Smart” attorno alla quale gravitano in realtà gruppi
e sottogruppi di DJs ed organizzatori, quasi tutti bolognesi e non legati
all’ambiente universitario.
Tali particolarità si riflettono sulle modalità di scolgimento dei raves e sul
target dei partecipanti:ai rave Goa partecipano generalmente meno persone,
sono feste, diciamo, più intime, a volte anche per una precisa scelta
dell’organizzazione; i ravers della Goa a Bologna, come gli organizzatori, non
sono necessariamente legati al movimento dei centri sociali, benchè alcune
feste si siano svolte in collaborazione con il “Livello 57” o nei capannoni
normalmente utilizzati per gli illegal, e vi sia comunque un certo scambio fra i
due ambienti.
Le festa Goa, nate come “open-air”, vengono organizzate anche al chiuso per
evidenti motivi stagionali, ma le feste più importanti, cui viene dedicata
maggior passione, sono quelle legate al ciclo delle stagioni e a quello lunare:
rispecchiando le tendenze seguite dal movimento Goa in tutto il mondo, i rave
più grandiosi vengono organizzati all’aperto o in luoghi chiusi ma
profondamente mistici e immersi nella natura, da giugno in poi, in occasione
delle notti di luna piena, dell’Equinozio di Primavera e del Solstizio d’estate.
In occasione del Natale del 1997 e stato organizzato un party, resuscitando
così l’antica festa pagana del “Sole Invicto”, festa sulla quale si impiantò solo
successivamnte l’impianto del Natale cristiano, e che corrisponde al Solstizio
d’inverno.
Il rave commerciale
“ Il sistema capitalistico ha imparato molto bene l'arte del riciclaggio
ed è il primo a decontestualizzare ed a cambiare di segno la musica. I
prodotti musicali devono fare i conti con il loro possibile ri-uso a scopo
commerciale: almeno potenzialmente, una volta uscito un disco
qualsiasi ha delle concrete possibilità di venire utilizzato come
sottofondo.Gli spots dei servizi sportivi di Tele Più 2 sono commentati
musicalmente con il meglio di quella che viene definita "scena
alternativa".”165
164 Retourn to the Source- deep trance & ritual beats, cd + book RTTS 1, 1995.165 Testimonianza di un raver illegale, in Il potenziale trasgressivo del rave, Hyperreal, http://www.hyperreal.com/.
139
Così come nel caso del movimento hippie, anche il movimento rave si è
dimostrato essere sfruttabile dal punto di vista commerciale, è diventato una
moda, un fenomeno di costume che fa notizia sui giornali.
Ora, da ciò che abbiamo visto, appare evidente che il rave, il vero rave, inteso
come rito, non possa svolgersi all’interno di una qualche megadiscoteca, o di
un qualche capannone affittato per l’occasione: non bastano due o tre bravi
DJs, una buona pubblicità e un controllo non troppo severo all’entrata, in modo
da far passare quel tanto di “pasticche” che bastano per la nottata e un buon
impianto di luci, per ricreare l’atmosfera del rave:
“Un rave in una discoteca è quasi una contraddizione di termini. Il
raver non è un fan. Il raver cioè non è (ancora) identificabile come
acquirente da strategie di mercato”166
Il raver non è, come abbiamo visto, un fan di un qualche gruppo, techno se
vogliamo: egli si reca al rave proprio per sfuggire a quelle regole di mercato
che tentano di impossessarsi del fenomneo per farne oggetto di lucro.
Ecco uno dei primi elementi che mette in risalto l’impossibilità di un rave in
discoteca: i sound systems che organizzano illegal o Goa certo non lo fanno per
ottenere un compenso, essi sono guidati dalla passione.
Un rave illegal costa generalmente sulle 5.000 £. mentre il prezzo medio di un
Goa o di un rave organizzato da un centro sociale è di 10.000 £.; difficile
pensare che dietro tali tariffe si possa nascondere una finalità di guadagno.
Inoltre dopo una certa ora l’ingresso è gratuito, cosa che succede
generalmente quando si è recuperato il denaro speso per l’organizzazione e
che non può di certo accadere nel caso di un rave commerciale.
Per quanto poi la scenografia possa essere grandiosa, essa sarà comunque
fittizia, falsa, non potrà eguagliare il fascino della filosofia waste o gli spazi
aperti della Goa.
Un altro elemento che impedisce di poter considerare come vero rave un
evento così organizzato è la presenza di buttafuori, veri tutori dell’ordine, di
“cubiste”, e di orari da rispettare:
“Alcuni locali notturni celebrano il rito della trasgressione
riproponendo la gerarchia sociale della quotidianeità: nei lussuosi
priveè vengono ospitati gratuitamente vip freschi e riposati che
sorseggiano i loro drinks e magari consumano droghe di ottima
qualità, mentre nell' arena pischelli che hanno pagato lire 50.000 di 166 Ibidem
140
entrata spesso e volentieri si scannano fra loro. Se si aggiunge un
apparato repressivo di buttafuori culturisti pronti a punire qualsiasi
eccesso si capisce bene come questi luoghi siano pieni di violenza e
conflittualità a stento controllate.La vendita indiscriminata di
superalcolici (che malissimo si accoppiano con le droghe sopra citate)
testimonia il disinteresse totale per il benessere dei partecipanti.
L'atmosfera di sensualità liberatoria propagandata consiste in una
squallida esibizione (retribuita) di stereotipi erotici degna delle veline
di "Striscia la notizia", accentuando la frustrazione.”167
Il rave non è un evento prevedibile, che può essere programmato nei minimi
particolari, è piuttosto un viaggio, che non si sa bene dove porterà; tuto ciò
viene messo in evidenza se si paragona il rave commerciale all’illegal:
“Mentre il rave commerciale può essere paragonato ad una vacanza
in un villaggio turistico o comunque pre-organizzata, un consumo del
tempo libero, il rave illegale rappresenta una sorta di vacanza fai-da-
te, nel senso che comporta un'attitudine dei viaggiatori
all'esplorazione. Da un punto di vista più strettamente economico, il
rave commerciale può avvicinarsi ad una ipotetica "società a
responsabilità limitata", quello illegale ad un altrettanto ipotetica
"società a responsabilità illimitata".”168
Il rave, insomma, non è uno spettacolo che si può guardare dal di fuori senza
partecipare, durante il rave non esistono ruoli ben definiti, non c’è un artista
che esegue e un pubblico che ammira: il fatto setsso che i raver dell’illegal e
della Goa si guardino fra di loro ,o abbiano lo sguardo perso in un “altrove”, e
che invece ,durante i rave commerciali, l’attenzione generale sia concentrata
verso il palco o la consolle del DJ è l’ennesima dimostrazione che il “vero rave”
con la discoteca non ha davvero nulla a che fare.
Tutti questi elementi non hanno però impedito il prolificare di rave
commerciali:
“La cultura techno si è abilmente inserita in un settore ben collaudato
dell'industria del divertimento: la scena "dance".Gli operatori delle
discoteche italiane hanno immediatamente capito che dovevano
appropriarsi di questa tendenza prima di altri per poterla sfruttare al
meglio. Così è stato: a parte la riviera romagnola, quella veneta e
167 Ibidem168 Ibidem
141
quella toscana,ben fornite di strutture adatte,c'era bisogno di spazi
sempre più grandi, così hanno cominciato ad affittare edifici
industriali, tendoni, megabalere, decentrandosi rispetto al contesto
urbano.”169
Anche il rapporto con le sostanze psicotropiche è diverso: gli allucinogeni quali
l’LSD e la mescalina sono raramente utilizzati nel contesto delle discoteche,
nelle quali la sostanza più diffusa è l’Ecstasy, proprio per la sua caratteristica di
droga meno “difficile” e più adatta alla vita dei giovani discotecari che, pure se
si recano ad un rave commerciale, non sono certo alla ricerca di esperienze da
“neo mistici”, il che fa ipotizzare a Lapassade:
“Occore...notare che lo “sballo” sarebbe piuttosto associato alle
discoteche “techno”, a quei divertimentifici” che i raver considerano
spesso con disprezzo come dei luoghi senza rapporto con i rave.”170.
Effettivamente, mentre vi sono dei rapporti costanti fra le varie anime del
movimento rave e non è raro che i “goani” si rechino ad un illegal e gli amanti
dell’illegal partecipino agli open-air, coloro che partecipano ai rave commerciali
non hanno in realtà nulla a che fare con gli altri tipi di rave, e si può supporre
che normalmente siano frequentatori di discoteche techno.
Nei pressi di Bologna, al Tempio di Crespellano, si sono avuti due eventi definiti
dagli organizzatori come rave, ma la mia diretta osservazione ha avvallato
quanto illustrato sopra: il prezzo del biglietto d’ingresso era di 45000£., vi era
un apparato nemmeno troppo discreto di buttafuori, l’abbigliamento dei
partecipanti faceva pensare a una mascherata e del “rito tribale” non vi era
alcuna traccia.
I partecipanti, invece che ballare in gruppi o a larghi cerchi, erano voltati verso
i vari DJs che si spartivano la serata, e il culmine della nottata (che aveva come
orario predefinito di chiusura le sette del mattino!) non è coinciso con il
“karmacoma” del rave, ma con spettacoli di famosi gruppi techno con tanto di
cantante (femmina)sexy.
Come abbiamo visto, vi sono tratti comuni fra i raver dell’illegal e dei centri
sociali e quelli della Goa, che li rendono simili fra loro e lontani dal mondo delle
discoteche e del rave commerciale.
169 Ibidem170 G. Lapassade, op.cit.,p. 105.
142
Prova dello stretto contatto fra il movimento dei raves metropolitani e il
movimento Goa, e dell’estraneità del rave commerciale dalla scena, è stata
data sul territorio dai due tecknivals, che hanno visto riuniti nel 1996 quattro e
nel 1997 ben dodici sound-systems; durante la settimane di durata del festival,
i ravers della Goa si sono uniti a quelli dell’illegal, e di commerciale nell’aria
non si respirava proprio nulla.
Conclusioni
Il rave, fenomeno legato alla tecnologia nelle sue varie forme, affonda le sue
radici nel passato, recuperando il senso della festa, festa intesa come
possibilità di sovversione delle regole, dei ruoli, e dell’identità, recuperando la
danza non come forma spettacolare-estetica, ma come rito sociale, collettivo,
che tenta di slegarsi da ogni possibile lettura consumistica, recuperando le
sonorità, i ritmi, le musiche del passato, e riproponendole in versione
tecnologizzata.
La filosofia waste del fenomeno, tanto evidente nell’illegal, è forse ciò che,
insieme alla techno-transe, costituisce il nucleo del fenomeno rave.
Il fenomeno della transe, nelle sue varie forme ed istituzioni, individuali e
collettive, costituisce da sempre il nucleo di tutti quei rituali che
presuppongono uno Stato di Coscienza Alterato; la transe legata al fenomeno
rave è una transe estatica, fondata sulla iperstimolazione sensoriale,
sull’effetto di gruppo e sugli induttori chimici rappresentati, oltre che dagli
allucinogeni di antica data, dalle “nuove droghe” (Ecstasy, speed, Ketamina) di
derivazione tecnologica.
Il rave è infatti un rito tecnologico, e si pone là dove la Natura incontra la
Cultura, specie quella tecnologica nella quale si rispecchia la storia stessa della
società, e la tradizione.
Il rituale rave è costruito in modo da assomigliare a ogni altro rituale del
passato: ha una sua forma caratteristica che si ripropone sempre uguale a se
stessa, nonostante le varie tipologie riscontrabili nella realtà, tipologie che
riflettono le diversità culturali e societarie dei vari luoghi in cui cade il seme
del rave; dal medesimo seme sono così nati frutti diversi: dall’illegal rave al
Goa, dai surf rave californiani ai rave gabber amati dagli adolescenti svizzeri e
tedeschi.
Il rave nasce in Inghilterra, figlio legittimo dei free-festival, a loro volta nati
come continuità di antichi rituali pagani, mai totalmente dimenticati;
dall’Inghilterra il rave si diffonde in grande parte del mondo occidentalizzato,
dalla Germania agli Stati Uniti, dal Giappone all’Australia, assumendo ogni
volta nuove originali caratteristiche.
143
Ciò che rimane immutato, il nucleo del rave, è il suo carattere di rito
formalizzato, il carattere off-limits che conduce oltre i limiti della notte, oltre i
limiti della fatica e della mente, per assistere all’alba di un nuovo giorno, al
rinnovarsi della vita.
Il rapporto con la tecnologia, nelle sue varie forme è in quest’ottica,
indissolubilmente legato la rituale rave: la tecnologia industriale dei
capannoni, delle fabbriche , dei luoghi di lavoro abbandonati, deturnati e
riportati in vita; la tecnologia chimica delle sostanze sintetiche e psicotropiche;
la tecnologia elettronica e informatica di computers e masterizzatori con i quali
si crea la musica techno, altro elemento indispensabile del rave.
Ma, accanto alla modernità incarnata nel progresso tecnologico, si ha un
recupero di tradizioni antichissime, definite oggi come tendenze neo-
primitivistiche e neo-tribalistiche.
Il raver è al tempo stesso un neo-primitivo e un uomo di fine millennio: egli
ama deturnare il proprio corpo, giocare con esso come mezzo di comunicazione
di messaggi che solcano la pelle con i tatuaggi, e perforano le carni col
pierging; ma il rave ama anche la modernità, e la comodità, della tecnologia ,
che gli offre finalmente prodotti innovativi a prezzi acessibili e sostanze
euforizzanti, psichedeliche, empatogene e allucinogene, efficaci tanto contro la
fatica e il sonno , e che gli permettono quindi di ballare per ore e ore di seguito,
tanto per “viaggiare”, staccarsi per un breve periodo di tempo, dalle costrizioni
di ruolo, dallo stress e dai problemi della vita quotidiana.
In questa ricerca di percorsi “off-limits”, si rispecchia la situazione di questi
giovani cresciuti in una società che non è in grado di dare loro una sicura
identità e dei modelli da seguire, una società in cui il confine tra la fanciullezza
e l’età adulta non è segnato da alcun tipo di rito di passaggio, e in cui non
sono previste aree istituzionalizzate dove sia reso possibile accedere a Stati
Modificati di Coscienza, aree in cui l’uomo, il giovane, possa esorcizzare le
proprie ansie e le proprie paure, uscendone rigenerato.
Il rituale rave nasce proprio da questa esigenza di nuovi percorsi, che
consentano di andare oltre; la techno-transe, nata insieme al rave, è la
dimostrazione più evidente che gli Stati Modificati di Coscienza, nelle sue vaie
forme ,che spaziano dalla transe di possessione, alla transe isterica, alla transe
dissociativa ,ma nache al sogno, non sono affatto un fenomeno legato al
passato della nostra società e alle società tradizionali contemporanee, ma sono
aree necessarie all’equilibrio psichico umano stesso.
La techno-transe è una transe estatica, che ricorda da lontano le transe
tradizionalmente legate ai riti di passaggio. E il rave è in questo senso rito di
passaggio fra gli stati di coscienza ordinari e gli Stati Modificati di Coscienza; è
un rito di passaggio fra la vita quotidiana e quella “incantata” (nel senso di
144
sospesa nel tempo) delle Zone Temporaneamente Autonome, “non luoghi”
dove è reso possibile sfuggire alle dinamiche societarie e culturali che rilegano
i giovani in ruoli e status precisi, senza però fornirgli una solida identità.
Nelle Zone temporaneamente Autonome del rave si respira aria di
communitas , quella communitas già resuscitata dal movimento hippie e
psichedelico degli anni’60 e ’70, e che sta tuttora alla base di fenomeni
“marginali” come i travellers’, la gente del viaggio, e delle tribe, tribù
tecnologiche la cui vita è spesso totalmente interrelata con il mondo del rave.
Durante il rave non contano le differenze di ruolo, di sesso, di ricchezza, quello
che conta è l’”esserci insieme”, il danzare oltre i limiti, per sentirsi vivi, facendo
qualcosa di “importante” che forse molti altri non possono capire.
Solo gli iniziati al rituale rave, i ravers, possono sentire fortemente lo “spirito
della festa”, uno spirito di libertà e di sogno, lontano dallo spirito
addomesticato e falso dei cosiddetti “rave commerciali”.
Il vero spirito danza nei capannoni in disuso delle periferie metropolitane, negli
spazi aperti delle colline, e in una discoteca, o in un capannone affittato per
l’occasione con tanto di premesso della SIAE, si sentirebbe in gabbia.
Il “vero rave” non può essere assoggettato alle regole del marcato proprio
perché, insieme alla libertà, perderebbe tutto il suo senso; il rave si diffonde in
circuiti underground, lontano dai “divertimentifici” istituzionalizzati: il rave è
antistruttura, azione politica diretta, controcultura.
Ma i ravers, per quanto “controculturali”, non intendono combattere la società,
essi piuttosto, quando non la ignorano, “rubano” quanto di buono la società
può offrire loro, per costruirvi sopra nuovi modelli simbolici, e rintracciarvi
nuovi (e antichissimi)valori.
Il raver non è un essere marginale, non vive ai limiti della società, egli, durante
la festa, è piuttosto un essere liminale, che non sta ne’ da una parte ne’
dall’altra, è sospeso fra due mondi senza appartenere a nessuno dei due: il
raver vive nelle società ma al tempo stesso le sfugge, ne riflette i
condizionamenti culturali, ma è anche capace di liberarsene
temporaneamente.
Ma perché il rave è nato proprio ora, e proprio in seno ad una società
occidentale tecnologizzata e informatizzata?
Le feste nascono nei momenti di crisi, quando si assiste ad un passaggio
epocale; il rave parrebbe in questo senso accomunabile ai tanti microfenomeni
che stanno sotto l’etichetta della “New Age”: la nascita di micro-comunità
pseudo-religiose e religiose, un ritorno al valore mistico dell’esistenza, la
fascinazione della cultura orientale che, meglio della nostra, ha saputo
conservare un forte legame con il passato.
145
L’originalità del fenomeno rave sta quindi in questa sua capacità di porsi fra
Cultura e Natura, fra passato e futuro, fra struttura e antistruttura, dando vita a
nuove originalissime conformazioni.
In questo quadro la tecnologia viene “sacralizzata”, i capannoni industriali
divengono veri e propri templi tecnologici; sono questi forse templi innalzati ad
una nuova “divinità”, temuta e rispettata allo stesso tempo, e i ravers, come i
bambini di Hallowen, si travestono con la tecnologia, e ballano per lei proprio
per trarne forza e allontanarne la paura.
Accanto alle divinità pagane riemerse nel rituale rave, il cui fine ultimo rimane
sempre il raggiungimento dell’alba del nuovo giorno, simbolo della continuità e
ciclicità della vita, sorgono le nuove “divinità” tecnologiche.
Il danzatore rituale moderno, il raver, ha così due diversi ordini divini cui
tributare il proprio ballo oltre i limiti: la Natura, Madre Natura, e la Cultura,
Cultura tecnologica con cui l’uomo cerca, e ha sempre cercato, di porre argini
alla potenza naturale. Il raver è neo-pagano e uomo tecnologizzato di fine
Millennio allo stesso tempo.
In Italia questa tensione dicotomica Natura/Cultura, insita nel fenomeno rave, è
resa evidente nelle due principali tipologie rave: gli illegal rave e i rave Goa.
Se, da un lato, il movimento Goa subisce prevalentemente la fascinazione
dell’oriente ( dell’India in particolar modo)e della natura, negli illegal è la
tecnologia ad avere un posto d’onore.
Tali differenze si riflettono sulla musica associata alle due ali del fenomeno: la
musica dei Goa è trance, techno-music contaminata dalle sonorità mistiche
orientali e in cui la sacralità è spiccatamente di ordine naturale; la techno degli
illegal è invece più dura e ricalca le sonorità industriali e metalliche legate alla
tecnologia.
Non si deve però credere che la techno dei Goa party non sia anch’essa di
derivazione strettamente tecnologica: la sua creazione è, per modalità, del
tutto simile a quella della techno industriale dell’illegal; e se vi sono delle
differenze evidenti anche fra il look dei raver della Goa (orientalizzante, con
richiami mistici e assai colorato) e quelli dell’illegal-industriale (look cyber, più
cupo e metropolitano), vi è fra le due facce del movimento una forte
similiarietà, che li rende lontani e differenti dagli avventori dei “rave
Commerciali”.
Il mercato, infatti, scorgendovi la possibilità di lauti guadagni, ha cercato di
impossessarsi del fenomeno, dando origine alla commercializzazione del rave.
Come abbiamo visto, il rave in una discoteca è una vera e propria
contraddizione di termini: la discoteca è un luogo istituzionalizzato, e come tale
soggetto a norme e regole che, di fatto, non sono conciliabili con la “filosofia”
del rave.
146
Se, da un lato, la tendenza “off-limits” è riscontrabile anche nei circuiti
istituzionalizzati delle discoteche, e si riflette soprattutto nell’uso delle sostanze
psicotropiche, la caratteristiche funzione antistrutturale e rituale del “vero
rave” non è rintracciabile nelle dinamiche associate alla discoteca, in quanto
questa ripropone proprio quella differenziazione di ruoli e status societaria e
culturale a cui il “vero rave”, in quanto Zona Temporaneamente Autonoma,
cerca di sfuggire.
Certo non sarebbe la prima volta che un fenomeno muore, o perde di senso,
sotto i colpi delle leggi del mercato, il caso del movimento hippie ne è un
esempio.
In Italia, allo stato attuale delle cose non vi è in realtà quasi alcun tipo di
contatto fra il fenomeno rave e gli eventi commerciali, se si escludono alcune
performance artistiche che gruppi come i Mutoids Waste Company hanno
eseguito in grandi discoteche della riviera romagnola, il che fa pensare che i
due movimenti conosceranno destini diversi, non strettamente correlati.
Il rave non è uno spettacolo, non vi sono artisti che eseguono e un pubblico
che osserva e ascolta, il rave nasce proprio dal superamento di tale divisione, e
sorge nell’armonia e nell’indifferenziazione simbolica fra esecutore e
spettatore; questa dinamica non è applicabile in un contesto istituzionalizzato,
il che conferma ancora una volta il fatto che il ”vero rave” col mondo delle
discoteche non ha nulla a che fare.
Questo non significa affatto che il raver sarà un danzatore perfettamente in
grado di percepire il perché e la dinamica delle sue scelte, ma egli apparterrà
presumibilmente a quei circuiti underground marginali rispetto alle dinamiche
giovanili istituzionalizzate.
I raver sono i figli e i nipoti degli hippies e dei punks che come loro, avevano
preferenze quantomeno controculturali rispetto ai percorsi giovanili
socialmente accettati. Il raver non è un rivoluzionario, un anarchico, non è
considerato marginale, ma il suo comportamento ispira comunque curiosità
tanto nei giovani ,che spesso non lo capiscono e non lo condividono, tanto nei
mass-media, che vi trovano un argomento interessante e “scottante” con cui
riempire gli spazi dedicati al costume.
Una certa ipocrisia di fondo fa sì che il rave venga spesso e volentieri liquidato
dando risalto al consumo massiccio di sostanze psicotropiche piuttosto che agli
aspetti sociali e rituali, senza tenere conto del fatto che il mondo delle
discoteche è legato al consumo di droghe, o meglio delle nuove droghe, in
maniera altrettanto massiccia.
In questo senso bisogna anche tenere conto della valenza rituale della
condivisione delle “pasticche”, aspetto forse più evidente nel rave che
nell’ambito delle discoteche: un conto è insomma la condivisione “sacralizzata”
147
all’interno di un rituale tecnologizzato, un conto è “calare” in una discoteca,
vincolati dagli orari di chiusura e dal rispetto di tutta una serie di norme e
vincoli societari. In una discoteca non si può essere mai abbastanza liberi da
permettere l’avvento di una techno-transe esorcizzante e rigenerante.
Non è questo il luogo di discutere su uso e abuso delle sostanze psicotropiche,
o di un loro uso “sacro” e di ricerca interiore, ma, come ha notato lo stesso
Lapassade, gli “sballati”, coloro cioè che “calano” per il gusto di farlo, senza
rintracciavi una qualche valenza “sacra” o sociale, sono forse più propensi a
frequentare le discoteche piuttosto che i raves.
Il rave sarebbe insomma la faccia mistica, spirituale, “magica” e sociale del
fenomeno, mentre le discoteche sarebbero l’ala consumistica e più
prettamente edonistica.
Se il danzatore raver è allora un danzatore “sociale”, o persino un “neo-
mistico”, è ipotizzabile un qualche legame fra questa tendenza, che
sembrerebbe legare il rave commerciale e il mondo delle discoteche in
generale allo “sballo” e il rave ad una forma di danza rituale e tribale, e il livello
di istruzione dei danzatori.
La situazione a Bologna sembrerebbe avvallare una tale ipotesi, non è infatti
difficile scorgere una stretta corrispondenza fra il mondo del rave e quello della
controcultura giovanile legata all’Università e ai Centri Sociali Autogestiti. Tale
corrispondenza presume una certa scolarizzazione dei raver sul territorio
bolognese, o comunque una loro appartenenza ai circuiti contro-culturali
precisi, che li rende lontani dai gusti e dalle scelte dei giovani lavoratori,
lontani dalle dinamiche legate al movimento politico universitario e
metropolitano.
Tale corrispondenza è molto evidente per quanto riguarda gli illegal, che dei
centri sociali sono in Iatlia in certo qual modo un’emanazione; per quanto
riguarda invece l’ala “goana” del rave a Bologna, si nota una maggior presenza
di bolognesi sulla scena, non sempre legati al mondo universitario, ma
sicuramente legati a circuiti controculturali, il che determina uno scambio
continuo e una compenetrazione fra le due ali del movimento.
La realtà bolognese riflette insomma quella caratteristica capacità di
“trasformismo” insita nel rave e dimostrata dalla sua capacità di adattamento
alle varie forme culturali e sociali cui è approdato il fenomeno.
A Bologna come in molte altre parti del mondo occidentale, si balla fino all’alba
e oltre al cospetto di Natura e Tecnologia, antica divinità pangenica la prima e
oscura divinità moderna la seconda; Natura e cultura si fondono nella techno-
transe, al ritmo della techno-music, nelle periferie di cemento come nelle
colline e nelle campagne; i danzatori raver sperimentano quei rituali collettivi,
148
fonte di rigenerazione ma anche di confusione, che migliaia di uomini prima di
loro hanno considerato come “normali” eventi dell’esistenza.
La natura dell’uomo e il progresso tecnologico come ossatura del rave,
insomma, ma viene da chiedersi fino a che punto tutto ciò sia percepito dagli
stessi ravers.
Il “vero rave” è raro, e in tali percorsi non istituzionalizzati e “alternativi” è
facile perdersi perché privi di una guida saggia che sappia indicare la strada
giusta, o almeno il senso del cammino.
Il rave è forse una moda passeggera, che morirà presto come morì a suo tempo
il movimento hippie. Ciò che è certo è che i valori che vi si nascondono sono
idee, e come tali non muoiono e torneranno in futuro, sotto altre forme, con
altri nomi.
Profilo storico.
Narra la leggenda che il termine “house-music” derivi dal nome di un club di
Chicago chiamato appunto “Warehouse”, durante le cui nottate il DJ. Frankcie
Knuckles avrebbe per primo miscelato i ritmi Disco funk e jazz con l’uso di
campionatori elettronici e quindi il sostegno della tecnologia informatica
creando così una musica binaria e ripetitiva che seppur fondamentalmente
spoglia finirà per sconvolgere il panorama della dance music.
Nel 1987 si hanno le prime serate house in quel di Ibiza, paradiso del turismo
giovanile anni ‘80, e proprio qui la house incontra una droga nuovissima,
l’Ecstasy, che ,recentemente introdotta in Europa, finirà per sconvolgere le
nottate dei giovani almeno quanto il nuovo tipo di sound a cui si accompagna.
Il fenomeno delle nuove nottate a base di Ecstasy e house si sposta
velocemente nei clubs inglesi, alla fine delle vacanze estive, e da qui al rave il
passo sarà breve.
Parallelamente, nel 1988 nasce la scena techno- Detroit, e sebbene si tratti di
un sound più minimalista e rapido, i destini dei due generi finiranno presto per
incontrarsi, e mentre già nei clubs londinesi si balla al ritmo dell’ acid house, la
techno di Detroit trova maggior fortuna in Belgio ed in Olanda.
Il passaggio dalle feste nei club al rave è rapido in quanto la chiusura obbligata
dei clubs alle 3 di notte fa si che si preferisca trasferirsi in luoghi lontani dal
controllo della Polizia e quindi dello stato.
Alla periferia di quelle grandi città che non vogliono accettare l’estremo
divertimento giovanile sorgono vecchie fabbriche abbandonate, hangar,
magazzini in disuso, e proprio queste rovine del tardo industrialeismo
divengono il teatro delle feste estreme, della liberazione delle energie negative
149
di migliaia di giovani, giovani che forse proprio in quelle fabbriche dovranno
sacrificare parte delle loro esistenza.
Le rovine industriali sono un nuovo luogo di festa, accanto ai boschi e agli
antichi luoghi di culto cari alla generazione hippie.
Ai piccoli sound systems improvvisati si sostituiscono ben presto sound
systems molto più organizzati; il fenomeno incontra i travellers’, dalle cui
schegge nasceranno poi i migliori organizzatori di rave, le tecnologie usate
sono le più avanzate del settore, e ben presto alla musica si unisce lo
spettacolo, con l’ingresso in scena di gruppi teatrali, mangiatori di fuoco, ecc.
Nelle campagne inglesi prima che in qualsiasi altro posto il rave incontra la
Tradizione, da qui in avanti i destini del rave saranno molteplici.
Immediatamente il fenomeno viene associato all’uso di stupefacenti e per
questo fortemente represso, ma nonostante questo migliaia di persone
continuano ad affollare i raves, dando vigore ad un nuovo spirito, che si oppone
a quello elitario degli esordi, all’elitarismo dei club londinesi e delle prime feste
spagnole.
Nella notte ballano insieme e armoniosamente giovani di ogni origine sociale,
uniti nella danza dal potere dell’Ecstasy.
E intanto anche l’LSD riappare, trasformato per l’occasione.
Dall’Inghilterra i raves si propagano in tutta Europa, assumendo caratteristiche
e ampiezza varie da paese a paese. E’ nel nord dell’Europa che si ha la
maggiore diffusione del fenomeno, in Germania, Belgio ed Olanda.
Dal Belgio il fenomeno passa nella Francia del nord poi nella capitale. A Parigi
si organizzano i primi raves di stampo inglese in barche, stabilimenti e cave,
ma il fenomeno resta tuttavia marginale, interessando prevalentemente,
almeno inizialmente, la comunità omosessuale.
Da questo momento in poi il diffondersi del rave sembra non avere confini: si fa
festa in Scozia come in Australia e in Spagna, e già si consumano i primi riti
moderni a Goa, nel sud-ovest dell’India, celebre “isola psichedelica” a partire
dagli anni ’60.
Siamo nel 1990, in Inghilterra e in Germania i raves continuano a riunire
migliaia di giovani, nonostante l’inasprimento della legge; nel Gennaio dello
stesso anno si ha a Londra una manifestazione di strada, con la quale si
intende reclamare il proprio diritto alla festa.
Ma di qui in avanti i provvedimenti legislativi tendenti a sopprimere il
fenomeno non faranno che inasprirsi, con la conseguenza di dar ancora più
spinta la movimento. Anche in Francia il fenomeno si allarga, e dopo un rave
organizzato al Parco delle Esposizioni del Bourget, Liberation intitola “Parigi si
mette a far raves”.
150
Siamo nel 1991 e i ravers inglesi in trasferta a S. Francisco portano un nuovo
modo di usare l’Ecstasy: la transe collettiva e un alto livello di stimolazione.
In Francia appaiono i primi rave illegali, e i conseguenti problemi con le
autorità, problemi che in Inghilterra si fanno sentire maggiormente, pur non
intaccando il movimento, che , sebbene alcune organizzazioni scompaiano, si
rafforza con grandi feste n organizzate con mezzi più poveri.
Siamo nel 1992, e il movimento ha la sua consacrazione, le feste riuniscono ora
fino a quattromila persone in Francia, in Inghilterra i travellers’ organizzano
feste gratuite e imponenti: è l’anno del rave di Castelmorton, che riunisce dalle
25.000 alle 40.000 persone.
Mentre i diversi generi musicali danno vita a correnti interne fortemente
caratterizzate (come la Goa e l’hardcore), alcuni nostalgici già sentono puzza di
commercializzazione, e sentendo svanire lo spirito dei primi tempi
abbandonano il movimento, o tornano alle serate nei clubs, forse più esclusive
ed elitarie, ma certo più “pure”.
Nel 1993 il rave arriva anche nei paesi del’ex URSS, in Germania si organizzano
feste gigantesche in locali come il “Mayday”, in Svizzera è l’anno dell’”Energy”
e in Inghilterra dell’”Universe”. In Francia la prefettura vieta lo svolgimento
della festa “Oz”, per la quale si aspettava la partecipazione di 18.000 persone,
ma il movimento non si ferma.
Il 1994 è l’anno del Criminal Justice and Public Order Act , il quale mira a
sopprimere il movimento con provvedimenti legislativi molto duri1 .
Nonostante la repressione nascono i Tecknivals, organizzati dai travellers, fra
cui Spiral Tribe, OQP, Mutoids Waste Company, molti dei quali si trasferiranno
all’estero, in cerca di migliore accoglienza.
Gli Spiral Tribe compiono numerosi soggiorni in Italia e Spagna.
Se, da un lato, una parte del fenomeno ne esce ancora più battagliera, si
assiste anche al trasferimento delle feste nelle discoteche, e all’inizio della
commercializzazione, e quindi al decadimento, del fenomeno.
Fin dal 1995 il movimento è ormai frammentato, accanto ai rave illegali si
hanno feste fortemente commerciali, in Francia, ad esempio è la trance- Goa a
divenire fenomeno commerciale, mentre in Italia rimane patrimonio di feste
molto più piccole ed elitarie.
In Svizzera si hanno grandiose feste al ritmo violento della gabber, e il
fenomeno interessa specialmente i più giovani.
In Inghilterra la scena è varia: continuano le feste nei clubs ma si hanno anche
grandi raves metropolitani, come il mega rave da 6.000 persone che invase
1 Il Cja diviene Legge il 3 Novembre 1994, con firma della Regina, e tende a sopprimere tutte quelle realtà controculturali che nell’Inghilterra post-Thatcher avevano trovato terreno fertile per la propria espansione. E’ il caso di travellers, squatters e ravers, che con questa legge si vedono di fatto messi fuori legge.
151
una tangenziale londinese il 13 Luglio 1996, o il memorabile raduno a
Castlemorton nel Maggio 1992, al quale parteciparono 50.000 persone.
A tutt’oggi, nel 1998, si hanno notizie di rave sulle assolate spiagge
californiane (surf rave), si danza in Australia e in Giappone, in Canada e nella
mediterranea Grecia.
La situazione politica non impedisce che Israele sia uno dei paesi più coinvolti
dal fenomeno, oltre che uno di più produttivi in campo musicale.
Il movimento ha raggiunto praticamente tutto il mondo occidentale e
occidentalizzato.
Si dice che il movimento a Goa sia oramai morto, ma che ora si faccia festa
molto più a nord, sulle montagne di Dheli.
Il destino del rave è ancora lontano dall’essere conosciuto, proprio perché in
ogni terra in cui il suo seme è caduto ha dato frutti assai diversi, adattandosi
alla cultura del luogo, alla sua gente, alle tradizioni, alle esigenze e
all’immaginario della sua gioventù.
La commercializzazione ha fatto si che gran parte della “magia” del fenomeno
rimanesse patrimonio di pochi. Ma forse proprio il circuito underground riuscirà
a tenerne vivo lo spirito, aspettando l’alba del 2000 a suon di tecnho. Ballando
per non morire.
In Italia il rave arriva nel Giugno del 1990, ma si ha un percorso praticamente
contrario a quello avvenuto in Inghilterra: dopo un difficile debutto dell’house e
della techno in qualche locale “all’avanguardia”, lo spirito organizzativo è
decisamente professionale, l’obiettivo è economico.
Il primo evento rilevante si ha nei pressi di Aprilia, il “Rose Rave”, seguito, nel
settembre del medesimo anno, dal “World Dance Beat Festival”, durante il
quale una rissa a sfondo calcistico provocherà un morto, dando così pessima
fama al fenomeno, che in realtà delle feste inglesi aveva conservato ben poco.
Difatti da quel momento i raves si sviluppano nella violenza, e il movimento si
tinge di nero, assumendo simolismi fasisti, facilmente riconoscibili dai dischi e
dai volantini dell’epoca.
D’altra parte si assiste allo sviluppo di rave prettamente commerciali, con tanto
di regolare biglietto SIAE e affitto del locale.
Si arriva così al 1993, i rave “neri” scompaiono, nelle discoteche si continuano
ad organizzare feste che dello spirito iniziale non hanno più nulla, ma sotto
qulcosa si muove.
A Roma il rave incontra militanti dei Centri Sociali, e dal loro incontro nascono i
primi rave illegali, gratuiti o quasi. L’ingresso del rave nel panorama della
contro-cultura italiana e la diffusione delle teorie di Hakim Bey segnano una
nuova politicizzazione del movimento, questa volta a sinistra.
152
La nascita e lo sviluppo dell’illegal danno nuova vita al movimento, che a
partire dall’estate del 1993 si diffonde in gran parte della penisola,
specialmente al nord.
Le città in cui si radicalizza maggiormente il rave sono Milano, Torino, Bologna,
Napoli, e chiaramente Roma, città cosmopolita italiana per ecccellenza.
Le periferie e le campagne divengono teatro di un nuovo rito metropolitano, i
maggiori sound systems, come gli Spiral Tribe, gli OQP, i Mutoids Waste
Company, compiono numerose visite in Italia dando vita a feste memorabili,
come i raduni tecknivals durante l’estate del 1996 e 1997 nei pressi di Bologna.
Ma accanto agli illegal e a Goa party fiorisce un ricco mercato che del
fenomeno rave sfrutta il nome, organizzando rave in discoteca, con l’atrattiva
delle performance di famosi DJs, scenografie studiate nei minimi dettagli e,
chiaramente, costi elevati, dal biglietto di ingresso alla consumazione.
In Italia come nel resto del mondo occidentale o occidentalizzato. accanto alla
commercializzazione sopravvive, attraverso canali underground, lo spirito di
sempre, lo stesso spirito che faceva ballare gli Uomini prima di noi.
Testimonianze in rete
“Rave: festa “senza limiti”. Senza limiti di tolleranza, poco importa il colore della
pelle, l’orientamento sessuale, l’odore del vostro spirito, siete in un rave e questo è
tutto. Luogo di scambio e di metissaggio, riflesso di una società in mutazione, .
Internet: pacifica perfetta anarchia. Generatrice di saggezza e di umiltà, di
comprensione e di condivisione. Sensazione di liberazione dai preconcetti, luogo di
libarazione dei sensi. Una libertà che non esiste altrove. Autogestione dei
comportamenti regolati da una sorta di net-galateo, forme di condotta conosciute
da tutti gli utilizzatori. Così per i ravers. Non prendersi troppo spazio, non essre
insolenti, rispetare le idee degli altri. Le ragole dei rave e di Internet sono il codice
civile di una nazione che potrebe chiamarsi Libertyland.” (Kanaï.com, “Internet-Il
rave planetario” in Trance, il passato remoto dela musica del futuro)
Il mondo del rave assomiglia insomma al mondo di Internet, e in questo senso Internet è un
“rave planetario”. Da questa somiglianza deriva una grande presenza di siti che si occupano di
rave in rete, siti che si sono rivelati utili per il mio lavoro.
“...l’avanzamento tecnologico sta producendo una mutazione radicale attraverso
quelle modificazioni psicologiche e percettive determinate dal nuovo rapporto tra
uomo e mondo esterno .
Si tratta a questo punto di comprendere che queste tecnologie multimediali sono
dei nuovoi linguaggi in grado di modificare, come lo ha fatto la scrittura ad sempio,
le nostre procedure mentali.
E’ attraverso questo approccio culturale e nono solo meccanicistico (in cui si tende
a considerare le tecnologie solo come “strumenti”) che sarà possibile cogliere
mutazioni che ora sono solo ad uno stato embrionale.
153
E’ necessaria infatti una consapevolezza globale che possa coniugare i “valori
d’uso” delle tecnologie con il potenziamneto delle qualità umane. Attraverso la
multimedialità, la simulazione virtuale, e la comunicazione telematica è quindi
possibile individuare una nuova qualità culturale che è opportuno definire come un
nuovo paradigìma cognitivo” (Corpo e Mutazione
<http://www.idra.it/cyberia/CorpMuta.htm>)
1) Promisedland 1997
“Possiamo ricordare le oltre 10mila persone che si sono radunate nel capannone industriale ad
otto chilometri dal confine italo-sloveno, per ballare 24 ore musica house, progressive e
techno-hard core. I giovani protagonisti di questo rave si sono ritrovati pacificamente da tutta
Europa: italiani, sloveni, croati, svizzeri, austriaci, tedeschi e persino danesi non sono voluti
mancare a questo appuntamento. Oltre due ore prima dell'apertura dell'evento la frontiera
registrava una coda di auto e pullmann di oltre 15 chilometri, con i cartelloni elettronici delle
autostrade che segnalavano questa situazione già ai caselli di Venezia. Un unico rammarico per
chi si aspettava qualche episodio da cronaca nera. Al momento in cui scriviamo questo articolo
- 24 ore dopo la chiusura di Promisedland - si registrano a malapena 4 collassi. Una percentuale
di danni dello 0.0004 per cento. Osservazioni polemiche a parte, il rave italo-sloveno dimostra
che questi raduni possono svolgersi nel migliore dei modi, senza che si creino più problemi di
ordine pubblico di quanto non si verifichino per incontri-clou di calcio e concerti delle più
mitizzate rock-star. Quando questo dato di fatto sarà recepito anche in Italia? Perchè bisogna
emigrare sempre oltrefrontiera per vivere appuntamenti del genere?”
“Promisedland 1997 ha anche un'appendice discografica. E' infatti già in vendita in tutti i
negozi di dischi la "Promisedland Compilation", mixata da...”
“Pinina Garavaglia (contessa): "Atmosfera stupenda lunare e solare. Promisedland 1997 e'
stato un evento che ci ha unito tutti quanti in un' unica grande famiglia. I presenti fanno del
proprio corpo un'arte comportamentale".
Francesco Farfa (dj): "Un ritrovo per tante persone in grado di confrontarsi ed aggiornarsi su
tutto. Una lezione per il futuro, perchè tutti capiscano che le linee individualistiche non pagano
mai".
Gabon (direttore artistico): "Volevamo stupirvi con effetti speciali, fosforescenti. Come i nostri
striscioni piazzati all'entrata".
Leo Sound (dj): "Non ho parole. Abbiamo radunato tantissima gente. Un'emozione incredibile".
Mc Merlino (vocalist): "Promisedland 1997 si e' svolto in maniera costruttiva: la gente ha
cantato, lavorato e ballato senza pregiudizi, senza problemi. Niente a che vedere con certi tipici
provincialismi italiani".
Stefano Noferini (dj): "Bellissimo. Mi sono divertito da pazzi. Si e' respirato quello che si respira
abitualmente nei grandi rave europei. Speriamo si sia trattato del primo capitolo di una lunga
serie".
Ralf (dj): "Ho visto grandi cose, molto hard, non nel senso musicale di hard core, ma nemmeno
come Teresa Orlowsky, anche se un po' di belle pupattole non sono mancate. Mi e' sembrata
una puntata di guerre stellari".
154
Randy (dj): "Nei rave colpisce sempre l'entusiasmo dei ragazzi, capaci di ballare per ore ed ore.
Quando questi eventi in Italia? La strada da fare e' ancora lunga. Non e' soltanto un problema
di permessi, quanto di mentalità".
Alan Thompson (dj): "Tutto ok, gente estrosa e divertente. Questi rave sono situazioni davvero
europee. Punti d'incontro per i giovani che giocano con la musica. Quando un Promisedland In
Italia? Gli italiani sono abituati troppo bene, vogliono i bagni curati, i drink di classe".
Joe T. Vannelli (dj): "E' andata bene. Davvero allucinante l'impianto musicale, sottoposto per
ore ed ore a sforzi incredibili, in una struttura open space".
Francesco Zappalà (dj): "Gente sparsa per i prati, gente in pista a ballare. Un'atmosfera magica. Ci abbiamo preso anche questa volta".” (Raves report<tp://planet.conecta.it/itahi/cose/magita/0/ravesrep.htm>)
2)Flames:
Ya know im pretty sure there has only been one other heavy flame session on sfraves and it
was over something pretty stupid just like this one does anyone else have a concept of raves
being not just about music but about everyone else getting along and being friendly and
accepting everyone's ideas as their ideas and whether or not you agree with them dont insult
them, just tell them you disagree really flames suck they dont belong on sfraves nor should be
associated with raves at all whether or not you need to swallow little wafers to do this, lets all
just try to be friendly in person and on the net'kay?
It gives me enormous amounts of pleasure to see a post like this. I admire Dana's idealism in
his attempt to transcend differences as part of a quest for community. I feel, however, that
conflict is actually part of the process of building unity.
I'm reading M. Scott Peck's "The Different Drum: Community Making and Peace"; I managed to
find a copy of it in the clearance bin of a bookstore here in Rochester for $2. If you don't
already know, Peck is the author of a number of self-help books, including "The Road Less
Traveled". I haven't finished the book yet, but I strongly recommend it for anyone who desires
to be part of a community building process.
Peck suggests that there are four stages in the construction of a true community:
pseudocommunity, chaos, emptiness, and finally the sought-after community.
Pseudocommunity is the stage in which the group initially forms, and everyone is polite and
nice. Eventually, though, differences between people begin to manifest themselves as the
original facades begin to come down, and someone gets on someone else's nerves. This is the
chaos stage. The interesting part of the chaos stage is that often the biggest contributors to
the chaos are those with the highest intentions, the people who have the strongest desire to
"convert" people over to their way of thinking. This can potentially lead to organization, a
tendency that could possibly degenerate the chaos back into pseudocommunity again. A
healthier response to the chaos, however, is one of emptiness, an abandonment of personal
agendas or prejudices. I can't define this emptiness any further than that it is a form of death.
After the hard work of emptiness is done, however, comes the joy of community, where
differences between individuals can be accepted, and true love and peace among members of
a group can flourish.
<http://www.yperreal.org/raves/spirit/culture/Stages_of_Community.html>
3)Rave Spirituality
155
For me, the idea of a small, do-it-yourself ritual gathering was a natural extension of what I had
found several years ago in the rave scene. Although the large, colorful raves that I started to
attend some six years earlier did provide some amount of spiritual ranscendence, I was always
searching for something more pure and real. I found myself enjoying smaller parties, and I
quickly learned that the more energy you put into a gathering, the more energy you would get
back.
This was definately in my mind as I sat in the "staging area" for this evenings event, a friend's
flat in Santa Cruz. Myself, and about 20 friends who I had met through the rave scene in the
bay area, were all psyched for this evening's festivities. As more people arrived, we started to
make some rudimentary plans: who would control parking, when to update the voicemail
number, what the DJ order would be. All along there was a sense of excitement and
anticipation.
Renegade gatherings are especially exciting for two reasons. The first is that there is always
the danger of being shut down by the authorities. Doing a party on the beaches north of Santa
Cruz usually had a 50% success rate, not very good odds considering the amount of effort
people put into these events. But, the fact that you are putting all this effort into the party is
the other factor that makes it exciting. When it all comes together, you know that you and your
small group of friends were entirely responsible for making it happen.
Around midnight we make final preparations and leave Santa Cruz, heading north on the lonely
Highway 1. Tonight I was with two new friends from Nottingham, England. I had met them over
the Internet and they were visiting the bay area to check out the scene here. I was determined
to show them a good time. The site is a completely isolated stretch of beach with a gated path
leading down to the beach from the highway. Here the scene is chaotic and exciting. To make
these gatherings happen, everyone takes responsibility for a certain part of the production.
Everyone is depending on everyone else, because one mishap can render the whole adventure
useless. In trying to drag an entire sound system 300 yards down a broken path, while at the
same time hiding 300 people and their cars from being spotted by authorities, the number of
things that can go wrong is substantial. But everyone keeps a positive attitude, and everyone
is driven by some force within them to make the impossible come true. I quickly park my car by
the gate and unload the generator, extension cords, and a variety of props and camping
equipment, then park with the other cars, out of site across the highway. A small team of
people are using flashlights to ID cars that look like they are looking for the gathering, and then
park them safely off the road. Without these people, a passing highway patrol would certainly
see at least a few mis- parked cars and come down to shut the gathering down.
Soon, the sound system arrives and teams of people start the long process of moving 16 sound
cabinets, amps, turntables, the generator, blacklights, water, brewing pots, banners, stands,
tents, sleeping bags, firewood, fresh fruit, etc. down to the beach. I am taking full responsibility
for powering this party, so once I have the generator in place, started, and extension cords
running to a power strip and illuminating a small lamp, I feel relieved. In the mean time, two
audio technicians are combing through their boxes of interconnects and plugs to figure out to
best way to merge the two sound systems we are using into one. Another group of people are
setting up the backlights and figuring out how to best position them to illuminate the two
fluorescent art banners we have put up on either side of the speaker stacks. I get my tiki
torches and arrange them in a sacred pattern around the dancing area, adding a tribal feel to
our production. A team of girls are quickly placing many sacred objects on our alter in front of
the DJ, including an orange fluorescent Buddha with a necklace of chasing LED's. Several
random drummers are providing the beat while we work.
156
At around 1:30am, the first beats are emanating from the speakers. Once the final tweaks are
done to the sound system, the first DJ starts his set and the ritual is underway. Only now could
all those involve finally take a deep breath, relax, and enjoy what they had created. I walk
around being social, meeting up with friends, checking on some little details, meeting new
people. It is always interesting to see what kind of people make it to an event like this, one that
you only promote by small fliers at other small gatherings. After making some new friends, and
concluding that this party was "go", I find one of the other key people involved with producing
this gathering for the sacrament. He is eager to tear me off a single square of Q-bert, a variety
of acid that got it's name from the 3-d cube design on the blotter that resembled the early 80's
video game.
Goa Trance music is our current obsession. It has a quality that is quick, light and spacy. The
beat and sounds make one feel as if they are bouncing off the stratosphere. Rough, growling,
grizzly synthesizers sounds cut like a rusty knife deep into your brain into your soul. These
sounds penetrate you, get into you, touch you deep in your head. An hour after ingesting Q-
Bert I am grooving out relentlessly on the beach. The gathering is at critical mass, maxing out
at around 300 people. The temperature has dropped substantially, forcing participants to
generate their own heat by dancing. Time distorts tremendously in the vibe of this gathering.
Dancing feels so right, so good, that one can continue for hours on end and think nothing of it.
Two o'clock, three o'clock, four o'clock, the hours pass quickly and I enjoy the sheer pleasure of
dancing in this environment that I have created for myself and my guests. The pulsating Goa
beats drive my body directly. My brain is taken out of the loop of controlling my body. Instead,
there is a direct connection between my aural nerves and my twitching leg and arm muscles.
My body is so tied up with dancing, that my brain is no longer concerned about it's physical
limitations. With the body taking care of itself pulsating to the beats, my brain is free to soar
out into higher and higher dimensions of trancendental bliss. Dancing isn't something I have to
force my body to do... it is simply what I want to do most. There is no thoughts of rest. No
thoughts of pause. I am in the most satisfied state I have ever experienced, and I want it to
continue. Thanks to years of trance-dancing, my body is fully capable of dancing non stop for a
6 hour stretch, so I let the beats push my body further and further... at the same time, my
brain becomes increasingly detached from my physical body, my spirit soaring through higher
dimensions of pleasure. This is everything I crave in life, dancing hard to ripping beats.
By five am, the first hints of the next day are peaking over the eastern horizon. By now, only
those people fully into the vibe are left. Anyone not into the party has either gone home or
crashed out under a warm sleeping bag. Emerging from my trip, I can start to connect with
those around me. Simple eye contact, glances, moving in sync with other people, is all it takes
to confirm that they are in the same ecstatic state you are. There is some sort of energy field
surrounding the party. It is warm and womb-like. Its like the generator is not only powering the
sound system, but also somehow powering this energy field. I am gripped by a sense of love
and warmth. It is 5am and I know that there is nobody on this deserted stretch of beach that
will stop our gathering before sunrise. As the distant lights of dawn slowly illuminate those
around me, I see nothing but wide smiles and utter, total, complete joy. It is in this state that I
fully understand vibe... the feeling I get whenever I am in proximity of numerous other people
in ecstatic states. Looking at the joy others around me are experiencing causes me to dance
harder, which in turn forces them to dance harder, and the feedback loop continues driving us
further into that state of transcendental bliss. Pre-dawn, the universe is in complete order,
everything has worked out this evening and there is nothing left for us to do except enjoy it
and push it further. Endorphins flood my body, naturally pushing me higher as the acid starts
its long, slow retreat.
157
There comes a time when you feel so at peace with yourself and the being around you, that
you cannot possibly imagine it could get better. When you are proved wrong, you can justify a
genuine spiritual experience. With the DJ spinning the perfect track, the sun finally makes its
ascent over the horizon. The first rays of solar energy hit with the impact of a laser, piercing
deep within me. I look around for the first time at the illuminated environment surrounding
me... waves of the pacific ocean gently crashing on the white sand beach. The lighthouse in the
distance. The rolling grassy hills inland... beautifully costumed and decorated people all around
me. It is as if mother nature, or Gaia, or God, or whatever you wish to call the spirit that
encircles this planet... with all of its infinite duties of spinning the earth around the sun,
keeping balance between a trillion living organisms, has stopped, and paused, for just 60
seconds, and acknowledged me as a life form. For the first 60 seconds of the new day, Gaia has
decided to show me, one mere human, all of her beauty and glory in one concentrated burst.
For sixty seconds I am floating above the earth below me, experiencing the most sheer beauty
I have ever imagined experiencing in my life. Everything around me is pure light, pure positive
energy, pure love and pure beauty all at once. For 60 eternal seconds I am being touched by
the hand of god. For 60 seconds Gaia is saying to me, in her own language of light "I
acknowledge you as a human... I am here and I am real." For 60 seconds I glimpse into heaven,
eternity, or however else you can describe the highest level of human perception of what it
means to be a living being on this planet.
But it is not just Gaia I am getting energy from. As someone who helped make this happen, I
am getting a little piece of everyone else's bliss. For all that BS I went through early that day,
getting the generator and hauling it over a mountain in rush hour traffic, spilling gas, lugging it
around, I am getting ten fold return on my efforts. I can only imagine the energy return the
friend who gave me the acid is getting... or the DJ spinning the music...
As the morning continued, the scene on the beach continues to be a true celebration of simply
being alive on this planet. A few girls strip off their clothes and run naked, doing cartwheel and
backflips, on the wet sand. There was not a lot to say to each other, just smiles and hugs. Even
though the intensity slowly receded, the feeling of some sort of electrical force around the
gathering continued. We all felt connected, and we all knew that a gathering that goes off this
perfectly is a rare experience, so we simply savor and enjoy it.
At around 8:30am, a friendly ranger comes down the path and tells us that we have had our
fun, and it was time to pack it up and go home. We talk him into letting us run the generator
until we had finished brewing our sacred hot Chia tea beverage. A tall, lanky friend with crazy
long hair was supervising the sweet brew. Once it had completed, and some ingredients added,
he poured a small amount and tasted it. We all sat speechless awaiting his verdict. A smile on
his face indicated that the perfect brew had been achieved, and we all poured tall glasses and
drank deeply delicious spicy beverage. Even the ranger, with a cup of chai in hand, seem to
understand the vibe we had created here on this beach.
One might think that after being awake for some 24 hours straight, dragging a sound system
down to the beach, and then dancing for some 7 hours on end would make the job of dragging
all the equipment up to the highway difficult. But with the magical vibe still flowing though us,
and with everyone chipping in, it was actually quite easy. Slowly everyone packed their piece
of the party into their cars and one by one we departed the beach. I took my time on the way
home, stopping often along highway one to just peer at the wave crashing on the rocky
shoreline, and ponder how amazing it is to be alive on this planet.
(American man, aged 24, working as a computer engineer <Http://csp.org/nicholas/A19.html>)
158
4)Secret Insight Knowledge About Trance!
Visualize yourself dancing for hours without interruption, overflowing with bliss. Suddenly, that,
which you've believed until than represented reality to you, explodes into a world of
psychedelic imagery and leaves you within swirling energy patterns, that appear everywhere
throughout matter. And when the world starts to glow, you've somehow recognized the
symbols, that lead to specific reactions and caused an entire universe to tremble into pieces,
unfolding itself anew from within. The world and the suffering of the body are swallowed by a
raging kundalliny, down into a silent abyss of darkness. That, which lies beyond death holds the
space for the suns of our souls to shine forth in limitless freedom. After you've passed through
the gateway of your delusory fears and have surrendered all false self images to the "ONE"
among the many, you gladly exchange your entire life for that one eternal moment you've just
experienced! In fact, it would be a worthless life without having starred into the eyes of
eternnces will carry you directly into the arms of the infinite.
Once tapped into the ultimate and formless life-potential, that exists within each of us,
anything one imagines, creates itself instantaneously by thought. That's why it works that
when through certain sounds and/or subliminal messages memories are retrieved, one (re)lives
certain experiences and/or (re)learns from them. Generally it is good to live through as many
incarnations as possible during a night of dance, before arriving at sunrise, hopefully unified.
Once purified, you can join in the dance of the celestial beings within the kingdom of the
ultimate and enjoy the freedom of existing anywhere, anytime simultaneously. You can enter
the universal mind-lattice once your body/mind is completely relaxed, transparent. It happens
the moment pure energy moves through you. It moves you!
Through the vibrating sound movements in the music with the golden light that opens the door
to the galactic insight, you can travel far across and throughout space. Boundaries of time
dissolve and unfolding entities present themselves as an opening to the interface, to carry you
in between dimensions, free of personal intentions.
Stretch the cosmic syllable A-O-U-M into any possible way (it is endless) and you've got GOA-
GAIA-universal sound. Some tracks are like an audio translation of the Kabala, numerological,
mystical scriptures. If you travel on the monotonous, entrancing beats that are so similar in
nature to the pulse of your heart, you might find yourself breathless at times and speechless
with smiles.
Mystical experiences+Religious influences are:
Taoism (Tai Chi), Sufi, Hinduism (Yoga), Buddhism (Meditation), Cabalism (the tree of life),
Shamanism (navigating consciousness), Mysticism of all religions and tribes of aboriginal
people that are one people, influence the culture. Mayan, Egyptians, Pixies, Pagans, Gypsies,
Witchcraft, Voodoo, Africa and Nature-magic all play their part in the play/pray-fullness that
enhances our senses during the trance dances. Shiva/Kali and Tantra are major to Goa trance.
But anyway, all religions once sprang from the same source. The mystical experience gives
personal understanding and unclouded insight into the real nature and meaning of life and
death. To follow a movement on the external world will only lead you away from your intuitive
heart (the channel to god and light-being(being light)-realization) that can be felt when tuned
into the within.
Remember: only change is constant!
159
Today parties grow like mushrooms out of cow paddies, all around the planet. To dance will
help everybody in the transitional process of letting the old conservative things fall to make
space for "flowers to grow through concrete"!
About the ritual: The "elite" Goa connections are mostly universal and planetary life-travelers
who have met through magical circumstances to unify and gather their strength on this
mission to manifest the perfected vision. We ask for guidance and supervision from the eternal
light beings that we invoke in our meditations. Their appearance clears away the fog of the
superficial Ego-selves that cloud the clear perception. We weave a circle of light around us.
This way we strengthen our global family and initiate new people into the pure realm of
unconditional love. Through the understanding of the collective, we can learn how to share
ideas and how to communicate them with one another. We try our best to respect our
differences with the vision of our common origin and destination always in mind. We all are
mirrors of each other. And through reflection we learn how to grow and change together with
and in the present towards the light and love that fuels our soul:
"c o m e - u n i t y ! "
Somehow, we as humans lost our tribal roots and are now left controlled by the "patrolled" in
isolation and distrust amongst each other. We have almost lost our root memory of bliss, the
divine ecstasy without which we miss the warmth of love that nurtures our soul. But once upon
a time we all have lived in tribes and danced in circles, all around planet earth. When does this
circle complete the cycle for you and spirals you up?
During rituals consciousness unfolds and expands itself slowly from the individual to a group
awareness. The mandala comes globally together when we understand and accept all life forms
to be part of our true selves. It aligns us with the planetary grid. Then, from the dot of the earth
in the perspective from outer space, we embark into the astral realm where we finally surf
throughout time and space. Ultimately we abide in the beyond, existing in a humming silence,
observing the wisdom of the "All" that is inscribed on a dream reality-DNA. When we finally
arrive back home, the inner peace and contentment we so deeply desired settles our
restlessness.
Then, when we are dispersed like ashes that is left after a holy fire, the message spreads
throughout space through our voices, that are God's chants, that all life was created to express
the freedom of unlimited choices, to share our vision and ourselves, to coexist in peace
anytime, anywhere and nowhere (= now-here) at the same time, no time.
Goa parties have the potential to break down the limitations that only exist within our own
minds. They open the door to a limitless imagination to which we have been blind before we
knew what we could have not known, before we saw the awe.
Through the shamanic journey one re-connects to the root of all reality's spring. In India
everything is understood as being whole, holy, part of the divine creation that embraces
everything, and everybody is embraced by it.
We invite anybody to join their hands into the circle, to express their innermost intimate selves,
which is, when liberated, without limitations or boundaries, absolutely free of judgment,
comparison, division or to make it simple, free of thought.
(<http.//www/yperreal.org/raves/spirit/technoshamanis/Goa_Transe.html> from
5)Techno and Raving
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Some people say that techno "ain't got no soul," and I think they're right. It doesn't seem to
elicit strong emotions. It doesn't carry a message. There's very little room for personalized
performance. Indeed, I am coming to believe that these characteristics are the very point of
techno, that it is all about the listener, not the performer.
Techno, I think, works as a different kind of music, with a different kind of purpose. It sings to a
very visceral, ancient part of us deep down inside. It draws it out, perhaps from the "reptilian"
brain, past our egos, and beckons us to dance with abandon, to surrender ourselves to the beat
that comes from both outside and inside.
I feel it's very similar to--and perhaps the logicial "technologized" evolution of--tribal rhythms,
the pulsating drumbeats that have had people dancing in frenzies for countless milennia. For a
long time, Western music has totally forgotten this theme in favor of performer oriented music.
Techno, I think, brings it back. This total abandonment, this shedding of the ego and allowing
one to have pure enjoyment is a very special thing in itself. It implies the dropping of barriers,
and it implies acceptance from the others. In ancient societies, the dance was closely related
with spirituality. I am beginning to see how this is so, for spirituality requires an opening up, a
release of the ego, and this sort of dance can be a direct path to these goals.
My first rave was an astonishing experience, as I was totally able to let go in a way I had not
done before. Later, I felt that wide doors had been opened, for I was able to see myself without
the crushing ego, that self-supression that has haunted most of my life. I now know possibilities
I could not see before. I now have a view of myself and what I can be, and my hopes are high.
I return to the scene for these reasons, for the music and visuals, because it is a lot of fun, and
lately and most of all, because I like the people in it. You guys are really great, and I love you
all.
(<http://www/yperreal.org/raves/spirit/technoshamanism/Techno_and_Raving> from
6)Technoshamanism
The shamanic worldview usually involves a belief in supernatural forces that can be accessed
to cause alterations in "external reality". These supernatural forces are usually accessed
through appeals to various "spirits", which live in a "spirit world" that can be accessed through
dreams or other consciousness alteration methods (sweat lodges, psychoactives, chanting,
ecstatic dancing, etc.). These spirits are amenable to interaction in the same way humans can
be interacted with - threats, bribes, appeals, etc.
The shaman employs a mode of operation known as "bricolage" (from the French "bricoleur",
"handyman"). Unlike the engineer, who has some idea of "theoritical principles" which underly
a given "practical implementation", the bricoleur has a set of techniques from which they pick
and choose the appropriate "tool" to be used in the situation at hand. It is not necessary to
understand _why_ something works, only that it _does_ work. The shaman's set of tools include
a set of symbolic associations to help determine how to affect certain spirits. For example,
eagle feathers would be useful in contacting the archetypal Eagle.
Also important: shamans traditionally are associated with a community, and serve as the
community's healer/psychiatrist/miracle-worker. When the community has a problem that
"mundane" means cannot solve, they go to the shaman for supernatural assistance. The
shaman also orchestrates the rituals which bind the community together.
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The techno-shamanic worldview is an extension of this. It invovles a belief that humanity's
technological infrastructure has become so complex and vast that it cannot be entirely
understood through use of an engineering-type theoretical construct. However, this
technological infrastructure obviously has a direct impact on how we live our lives. Thus, the
techno-shaman serves the community by accessing the technological infrastructure, not as a
tool-user ordering their machine to do something, but as one sentient being negotiating with
another for the performance of a service.
Drug use, ecstatic dancing, and trance music are well-established in today's techno-shamanic
subculture, as is their use in ritualistic events to bind communities together. One can easily see
a mapping between computer networks and the spirit world, and between computers and the
powerful entities the traditional shaman interacts with. An excellent example of techno-
shamanism is seen in the AI-oriented "voodoo" in Gibson's _Count Zero_. Something similar
shows up in Shepard's _Life During Wartime_, and in a more sophisticated form in Vinge's _A
Fire Upon The Deep_.
(<http://www.yperreal.org/raves/technoshamanism/technoshaman_Definition.html>)
7)The Happiest people in the World
Well, this is to be my first Mainstream Rave in Sydney, and thanx to Steve Bancroft, I got on
the guest list.
On thursday, I learn the rave was to take place about 45 km south/west of Sydney, way out in
the suburbs. I was supposed to meet the bus that was to leave the Central terminal at 9 pm.
On the bus, I meet one of the ravers that heard my radio program on Skid Row radio. This kid
was blown away that he actually met me in person.
There is no doubt, I am the OLDEST raver in Australia... according to most people I met.
The bus pulls into an industrial complex, with scattered homes nearby, and I though that it was
going to get busted for sure, because of the close priximity of homes in the area.
As I leave the bus, I could barely hear the music inside as the first DJ was spinning Happy
Hardcore. Remember, here in australia, Happy Hardcore is MAINSTREAM!! but that not ALL you
get. There were 3 other parties going on in Sydney this Sat evening. One thats not more then
100 meters from my doorstep in "the Cross", held at "Le Girls" nightclub, but got word is was
mostly house.
The Fridays Green acres was cancelled, due to the outside area being flooded due to recent
rains.
Anyway, back to the "Happiest People". I saved my E's and A's for this party, and wanted to be
especially happy to insure the party lives up to its name.This was a Kiddie rave, as named by
the AusRavers, and I can certainly see why. Age ranges from 18 - 24, and few people with the
exception of me, were much older.
I could hear the kiddie girls giggle when I walked by as these people aren't used to seeing older
people at these gigs.
The venue, is a warehouse, with a chill out tent in the front parking lot, and clothing and shirt
sales Kiosk and hot dog booth set up. Inside, the area was all the dance area, with the speaker
system in the back, although they could use some additional speakers in the front, I suspect
they were concerned with noise, as it got visited by the police several times, which resulted in
the noise getting turned down several times.
After midnight, they allowed ins-and-outs, and people were congregating outside in great
numbers. I saw a few police cruisers drive by, but no serious problems.
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Inside, I was getting off big time, groovin to the insane 180+ BPM pace of Happy Hardcore.
Gack! One song they played in particular was played 3 times that evening. It was a cool song,
but VERY POPULAR when it was played. It even gets a lot of Air play on the radio.
I went to this rave alone, but was almost immediatly approached by people saying "You were
at Restitution, weren't you?" I said Yup! "Better get used to seeing me here for a while!" he
gave a thumbs up and said, "It's really great to see older people here". At first, people were
somewhat suspicious of me, but once they saw me out on the dance floor, groovin and hoppin
around like a mad Kangarooo, they really dug it.
Eventually, they got the lazers fired up, and WOW! What visuals. Almost all large mainstream
raves have really great Lazer effects that really make the visuals really insane.
All throughout the evening, the music stayed ABOVE 170 BPM range, and as the pace
quickened, it got as high as 250 BPMs and at that stage its all arms and little leg work.... As a
new DJ went on, it would start at about 170 BPM, and gradually would increase during the DJ's
set.
All DJ's did a wonderful job of seamlessly mixing the Hardcore songs, but there must not be
that many Happy Hardcore songs out there, as several got played several times throughout the
evening.
I have to say one thing about (HHC - Happy Hard core), it's Happy, and while on E, it's really
blissful, trancey and you just can't help but keep a big fat smile on your face. Oh Yea!! people
here also use pacifiers :-) Tee hee!
As the evening wore on, I really stepped up my energy, as I ussually do, to the amazement of
my Aussie friends. They just dan't get used to seeing an older person having so much fun.
Later on, I met this other older person, perhaps in his upper 30's, and he thought that HE was
the oldest until he met me.
This rave was to end at 10 am (WOW!! 14 hours of continious dancing) - Now we're talkin a
REAL RAVE.... Tee hee!!
At one time, someone said, lets go up and dance on stage, but I was having a really trancey
time where I was, Eventually, I grabbed him and pointed to the stage, and headed towards it.
People I passed, literally pulled me up there, but one of the staff told me to leave, as I left,
others were ragging on the staff guy, saying "Bring this guy back up there!", so headed back
and danced the entire set until there was a break.
At that time the girl was behind the turntables, playing some insane hard acid trance with little
or no breaks in the beat. I literally WENT OFF! and everyone hopped up on the dance floor. I've
never seen so many smiles from so many people in one place.
I would estimate about 1500+ people attended, if you include about 100 or so hanging around
outside.
At about 10 minutes before the party ended, I started walking along the side, pulling people up
to the dance floor.... "C'm on you slackers, get up and dance - this is the last song!" Most
people were too tired to get up and stand, let alonne dancing. I even pulled up this one dude
that ribbed me when I went to chill, earlier he said "Chilling already?" I said Yup! Gotta cool
down... The heat and humidity rivaled Friends and Family, but climate here is awfully hot and
humid to my standards anyway.
Then, towards the end, I saw him sitting down, so I grabbed him and said "Lets go... slacker!
time to get up and dance yo ass off!" He shook his head in bewilderment, as I had been up
there solid for more than an hour, but couldn't possibly even think of not dancing to this insane
acid trance.
He finally got up, and several more complied, and I think I got about 15 - 20 more people up
and dancing towards the end. Everyone really dug it... Towards the end, thie youg girl came up
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to me and said "Aren't you tired?" I said "I don't know the meaning of 'tired'".At one point,
about an hour before the rave was to end, someone was sufferig from an overdose, and
mentioned that he had mixed speed with acid.
Unfortunately, speed is used here, all too often, probably because of the high cost of A and E.
When the rave finally did end, the music stopped and everyone cheered the DJ,. and the
promoter came up and announced the names of the DJ's. Finally, one more song was played,
and yup! You guessed it, it was that HHC (Happy Hard core) song tha was played earlier.
(<http://www.hyperreal.org/raves/spirit/testimonials/Crunch_in_Australia.html>, from:
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