Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

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Le tipologie del fenomeno rave in un’ottica antropologica Isabella C. 1.9.9.8 No copyright Indice Introduzione Parte prima: Elementi per un’analisi antropologica del rituale CAP1. Communitas, rituale e simbolismo 1.1 Il rito 1.2 L’antistruttura 1.3 Communitas e liminalità 1.4 La communitas oggi 1.5 Tensione sociale e rito 1.6 I simboli rituali 1.7 Rituali di crisi vitale, periodici e di passaggio CAP2.Un apporto performativo al rituale 2.1 L’analisi formale del rituale 2.2 Integrazione fra descrizione culturale e analisi formale 2.3 Il rituale come azione convenzionale 1

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Le tipologie del fenomeno

rave in un’ottica

antropologica

Isabella C. 1.9.9.8

No copyright

Indice

Introduzione

Parte prima: Elementi per un’analisi antropologica del rituale

CAP1. Communitas, rituale e simbolismo 1.1 Il rito 1.2 L’antistruttura 1.3 Communitas e liminalità 1.4 La communitas oggi 1.5 Tensione sociale e rito

1.6 I simboli rituali 1.7 Rituali di crisi vitale, periodici e di passaggio

CAP2.Un apporto performativo al rituale 2.1 L’analisi formale del rituale 2.2 Integrazione fra descrizione culturale e analisi formale 2.3 Il rituale come azione convenzionale

Parte seconda: Il fenomeno rave fra transe, festa e danza rituale

CAP1.La transe

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1.1 Transe e Stati Modificati di Coscienza 1.2 Alcuni tentativi di sintesi1.3 Breve storia della transe La possessione Lo sciamano La transe dispotica Dalla transe profetica alla funzione terapeutica Transe satanica Transe isterica Transe planetarie Il tarantismo Una nuova cultura visionaria Alcune transe dal mondo arabo

1.4 Il recupero della transe nella società occidentale contemporanea 1.5 Techno transe 1.6 Techno-sciamani

CAP 2. Il rave 2.1 La festa 2.2 La danza Danza primitiva e danza rituale Il recupero della danza rituale La danza rave 2.3 I padri psichedelici 2.4 Tribe e travellers 2.5 Il rave non è spettacolo 2.6 Zone temporaneamente autonome 2.7 Rave e tecnologia 2.8 Trance e techno : ritmi dal passato per la musica del futuro 2.9 Le droghe rave L’Escstasy e le nuove droghe La nuova psichedelia Alcol ed altro Droghe elettroniche Droghe virtuali Transe informatiche 2.10 L’utopia comunicativa 2.11 Il corpo raver

CAP3.La notte e il rito

3.1 Il rituale rave 3.2 Il rave come antistruttura3.3 I simboli del rituale rave3.4 Il rave come rito di passaggio3.5 Il totem tecnologico

Parte terza: Il rave sul territorio bolognese

CAP1. Alcuni tentativi di categorizzazione del fenomeno CAP2. Il rave sul territorio bolognese: 2.1 Il rave metropolitano:gli illegal e i rave nei centri sociali2.2 Goa party2.3 Il rave commerciale

Conclusioni

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Profilo storico

Testimonianze in rete

Parte Prima:

Elementi per un’analisi antropologica del rito

CAP.1

Communitas, rituale e simbolismo

1.1 Il rito

Ai fini del nostro lavoro, che si propone di analizzare il fenomeno rave in quanto

comportamento rituale e simbolico, appaiono fondamentali alcuni concetti-

chiave utilizzati dall’antropologia: concetti come rito, simbolo, totemismo,

comunità.

Tali termini sono utilizzati a volte in maniera superficiale, per liquidare

velocemente i fenomeni in questione, ma spesso il vero aspetto antropologico

non sale alla superficie come dovrebbe.

Per questo, prima di analizzare il fenomeno nei suoi vari aspetti, credo sia

fondamentale comprendere cosa sia un rito, cosa siano i simboli, cosa si

intenda per comunità, utilizzando le linee teoriche che sottostanno a importanti

studi etnologici sul campo.1

Nei prossimi capitoli ho illustrato brevemente quali sono le funzioni e le

caratteristiche del rito, ne ho preso in considerazione il carattere preformativo,

con Tambiah, e ho insistito sulla teoria di Victor Turner, in quanto ai fini del

nostro lavoro la sua opera ci può fornire un valido aiuto: il concetto di

communitas, il rapporto dialettico fra struttura e antistruttura, oltre alle sue

osservazioni sulle dinamiche rituali e simboliche, possono infatti in parte essere

applicate anche in un contesto “difficile” come quello dei rave-parties.

1 In particolare mi riferisco all’opera di C. Lévi-Struss e di V. Turner; 1964, Il pensiero selvaggio,Milano, il Saggiatore; 1966, Il crudo e il cotto, Milano, il Saggiatore; Lévi-Strauss C.: 1966,Antropologia strutturale, Milano, il Saggiatore; Turner V.: 1972, Il processo rituale, Brescia, Morcelliana; 1976, La foresta dei simboli, Brescia, Morcelliana.

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Tra i vari tipi di condotta umana ve ne sono alcuni la cui logica sfugge agli

occhi dell’osservatore, il quale tende a non comprendere quello che può

sembrare solo un comportamento irrazionale, un insieme di azioni inutili, che

non tendono ad un fine razionale ed evidente: è questo il caso del

comportamento rituale.

Il rito sembrerebbe non seguire alcuna logica razionale, ma a ben guardare

tutti i comportamenti implicano un loro senso logico più o meno

profondamente nascosto.

A partire dagli studi di Lévi-Strauss si comprese che il rito è un’azione che

viene seguita da conseguenze del tutto reali e tangibili per chi lo compie, il rito

implica cioè una logica e rinvia a finalità, strutture e cause cui si aggiungono

conseguenze reali dell’atto compiuto.

Non esiste alcuna società che si limiti a provocare, attraverso una efficacia

meccanica e osservabile, risultati meramente utilitari: gli etnografi sanno bene

che ovunque e in qualsiasi epoca storica gli uomini compiono determinate

azioni non solo apparenterete inutili, ma a volte addirittura fastidiose, dolorose

e crudeli: si suppone quindi che esista un senso, o più sensi, che ci possano

aiutare ad illuminare il “mistero” di tali condotte.

Queste pratiche, che possono apparire agli occhi dell’osservatore moderno

come vere e proprie aberrazioni, hanno un carattere di necessità presso tutte

le culture del mondo; il rito è insomma un fatto generale, e una società del

tutto priva di un qualsiasi rituale sarebbe da considerarsi anomala.

Ma, prima di tutto, cos’è un rito?

“E un atto che può essere individuale o collettivo ma che, sempre,

anche quando è sufficientemente elastico da comportare un margine

di improvvisazione, resta fedele a determinate regole che,

precisamente, costituiscono ciò che vi è di rituale.”2

In latino col termine ritus si indicavano tanto le cerimonie legate a credenza

sovrannaturali, quanto le semplici abitudini sociali, gli usi e i costumi (ritus

moresque) cioè quelle maniere di agire che si riproducono con una certa

invarianza.

Il rito si distingue però dal costume, per la sua pretesa efficacia e per

l’importanza centrale che vi viene ad assumere la ripetizione, che è in realtà la

principale virtù del rito stesso.

Nell’uso comune, che spesso è dotato di una sfumatura negativa, il rito è

un’azione che si distingue per la sua modalità stereotipata, come nel caso di

una cerimonia che si ripete nel tempo sempre uguale a se stessa,

2 J. Cazeneuve, 1966, Sociologia del rito, Milano, Est, p.13.

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sottolineandone il carattere non utilitaristico ma tradizionalistico: si agisce in

un determinato modo perché così si è sempre fatto.

La caratteristica rigidità del rito, e la sua invarianza nel tempo, fanno sì che

questo assuma un’importanza particolare negli studi etnografici e sociologici: le

condotte collettive rituali sono infatti sottese ai modelli sociali che sono

chiamate a realizzare, così che, data la sostanziale inerzia e invariabilità del

rito, questo diviene il fondamento più stabile su cui l’osservatore si può basare

per descrivere un fenomeno sociale totale nella sua dimensione più statica.

I riti sono simili ai miti:

“Nell’insieme degli elementi colti da una sociologia in profondità i miti

hanno una particolare solidità, simile a quella di uno scheletro

all’interno del corpo, che sopravvive per molto tempo dopo che la

morte ha consumato tutto di ciò che lo ricopriva.”3

Le condizioni sociali e culturali possono subire trasformazioni ed evolversi,

possono entrare in crisi senza che la stabilità dei riti ne venga scossa; certo il

rito può perdere la sua ragione d’essere se intervengono , ad esempio,

rivoluzioni religiose in grado di fare cadere un sistema per crearne un altro,

tuttavia nella norma il rito evolve in modo lento e impercettibile.

Il rito non può essere identificato ne’ in una istituzione sociale ne’ nel costume,

e tanto meno nei rituali delle nevrosi ossessive, in quanto fatti individuali; si

sarebbe quindi tentati di identificare il rito in un costume di carattere religioso,

ma è evidente che il termine viene applicato anche a cerimonie che di religioso

non hanno nulla, come le sedute parlamentari e l’apertura dell’anno

accademico.

In queste cerimonie laiche il carattere rituale sottolinea l’importanza

dell’avvenimento e l’adeguamento alla tradizione: non si tratta di cerimonie

indispensabili, dotate di un’utilità positiva osservabile.

Dicevamo infatti che il rito si distingue dal costume per la sua pretesa efficacia,

non riconducibile di fatto ad un’efficacia empirica, razionale e osservabile.

Ma così come è evidente che i gesti apparentemente inutili di un rituale

individuale, se vogliamo nevrotico, hanno una loro utilità sul piano inconscio,

sciogliendo in qualche modo i conflitti interiori, così si può dire che un rituale

collettivo sia concepito come efficace in quanto esorcizza le paure e le ansie

collettive.

3 Ibidem, p.15/16

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“...i riti religiosi o magici sono sempre concepiti come efficaci: si

suppone ad esempio che provochino la pioggia che fa crescere il

raccolto o che guariscano un malato. Si dovrebbe perciò dire che il

rito è un atto la cui efficacia (reale o presunta) non si risolve nella

concatenazione empirica di causa e effetto. Se è utile, non lo è per vie

puramente naturali, e è per questo che si differenzia dalla pratica

tecnica.”4

Il rito può quindi essere definito come un atto che si ripete e la cui efficacia è,

almeno parzialmente, di ordine extra-empirico.

Abbiamo così delineato a grandi linee il dominio coperto dal rito, ma con quale

metodo si può tentare di trovare i principi e significati essenziali insiti nei vari

tipi di riti?

Il primo problema che si pone, ancor prima di chiedersi come organizzare le

riflessioni sul rito, è l’individuazione dei dati da prendere in considerazione, ci si

chiede cioè a quali realtà sociali fare riferimento, essendo la realtà sociale

indispensabile anche per la costruzione di un modello astratto o di tipo ideale.

In altri termini: quali culture e quali popolazioni sono le più indicate a fornirci

un quadro rituale sul quale costruire un modello teorico? Ed è più consigliabile

riferirsi a culture primitive, per ottenere dati più vicini alle origini, o piuttosto

studiare i riti attuali?

La tendenza molto diffusa in sociologia e assunta da Durkheim di prendere in

considerazione, durante le ricerche etnografiche, i dati relativi alle popolazioni

primitive, per ottenere delle spiegazioni di tipo genetico del rito non

significherebbe conferire maggiore razionalità ai riti primitivi e forse ne

toglierebbe ai riti religiosi attuali che da tali riti derivano.

E’ forse più consigliabile studiare i riti così come si presentano osservando i

fatti attuali, ma ciò non toglie che ci si debba riferire agli stessi popoli arcaici,

non per la costruzione di un modello genetico, ma per trovare i rituali più

remoti rispetto a qualsiasi tentativo di razionalizzazione integrato nelle religioni

moderne.

“Non serve dunque andare a cercare lontano[...]: quando un’usanza

esotica ci attira a dispetto (o a cagione)della sua apparente

singolarità, il motivo generalmente sta nel fatto che ci suggerisce,

come se fosse uno specchio deformante, un’immagine famigliare che

riconosciamo confusamente come tale senza riuscire a identificarla.”5

4 Ibidem, p.18/245 C. Lévi-Strauss, 1964, Il pensiero selvaggio, Milano,il Saggiatore, p.260.

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Chiarito questo, ci si domanda se sia meglio prendere in considerazione una

sola popolazione o procedere piuttosto ad una comparazione fra più

popolazioni; attorno alla cosiddetta “etnografia comparativa” nacque un forte

dibattito: alcuni studiosi preferivano trarre esempi da varie aree etnografiche e

si spinsero ad esaminare esempi offerti dalla storia antica, mentre altri

preferivano incentrare l’indagine su di una sola popolazione, e non staccare gli

esempi dal loro contesto.

Lévi-Strauss, nel suo studio sulle mitologie, da un prezioso suggerimento: un

elemento mitico, un “mitema”, staccato dal suo contesto perde gran parte del

suo significato, come evidenziato dal principio stesso dello strutturalismo

secondo il quale è impossibile cercare di comprendere una parte senza riferirla

alla totalità.

Si può dire che il rito è, come il mito, un linguaggio, nel senso traslato del

termine, è cioè un insieme di atti che significano qualcos’altro da ciò che

manifestano direttamente.

“...se il rito e il mito sono sistemi simbolici, linguaggi che rinviano a

strutture, resta da sapere perché gli uomini e i popoli ricorrano a tali

linguaggi piuttosto che a altri.[...]perché questo popolo, in questo

momento, è riscorso a questo mezzo di espressione piuttosto che a

un altro?”6

Occorre insomma esaminare le caratteristiche del rito, e cercare di capire

perché si ricorre a questo tipo di comportamento collettivo piuttosto che a un

altro, si tratta cioè di individuare ciò che di insostituibile c’è in ciò che si

osserva.

In questo senso la comparazione è utile, o meglio indispensabile, per

comprendere il significato globale dell’azione rituale.

Alcune usanze rituali, come ad esempio la circoncisione, sono diffuse in gran

parte del mondo arcaico, e fanno così supporre spiegazioni che possano

trascendere tutti i quadri culturali particolari.

L’uomo, come essere dotato di un corpo e di un cervello sviluppato con tutte le

loro esigenze biologiche, deve a sottostare oltre che ai condizionamenti fisici

dell’ambiente che lo circonda, ai condizionamenti sociali, ai costumi, alle

leggi, insomma agli imperativi che gli si impongono in quanto essere sociale.

Si può dire che tutte le società abbiano dei riti, almeno che il progresso della

conoscenza scientifica e l’elaborazione di filosofie astratte non abbiano messo

in dubbio l’efficacia dei costumi tradizionali; si può quindi supporre che il rito, in

6 J. Cazeneuve, op.cit., p.26.

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quanto tale, abbia una funzione, funzione che è sostanzialmente la stessa

presso tutti i popoli e tutte le epoche.

Per comprendere quale sia la natura del rito e quali le sue funzioni, occorre

quindi innanzitutto comprendere di quali problemi fondamentali della vita il rito

possa proporsi come soluzione.

“...l’uomo -a prima vista- appare come un essere libero, che inventa

la sua esistenza e la fonda da sé, e, d’altra parte, come un essere

sottomesso a restrizioni, a limitazioni. E’ questo insieme che gli si

impone da quando è nato, da quando esiste sulla terra. E’ questo che

chiamiamo condizione umana. La sua libertà o il sentimento,

l’illusione o l’angoscia che egli ha di essere libero, ne fanno

ugualmente parte, poiché è anche a questa condizione che egli è

veramente un uomo. E noi ci proponiamo di ricercare quali rapporti

può avere il rito con la necessità per l’uomo di assumere la condizione

umana, che può consistere nel tentativo di liberarsi il più possibile da

ciò che lo condiziona, o al contrario nell’imprigionarvisi.”7

Cazeneuve distingue i riti che si presentano come comportamenti legati alla

vita quotidiana dai riti che istituiscono un legame tra il mondo della vita

quotidiana e il mondo mitico, degli antenati e degli dei.

“Al primo di questi due tipi appartengono in particolare i tabù e le

pratiche magiche...si tratta di azioni legate al corso stesso della vita

quotidiana, inserite nell’esistenza e a questo titolo diacroniche in

quanto comportamenti. All’inverso i rituali del secondo tipo, che sono

commemorativi, ...inseriscono nel tempo storico (nella diacronia) i

modelli mitologici che si situano al di fuori del tempo (nella sincronia)

in una sorta d’eternità che è quella del mondo consacrato degli

antenati, o -se si preferisce, nell’eterno ricominciamento.”9

I riti religiosi stabiliscono una coincidenza fra l’ordine sincronico e quello

diacronico, rivelando così la loro caratteristica fondamentale, che è proprio

questa funzione sintetica.

Lo stesso Lévi-Strauss, nella sua analisi del mito spiega il carattere sintetico dei

riti:

“Grazie al rituale, il passato “disgiunto” del mito si articola, da un lato

con la periodicità biologica e stagionale, dall’altro con il passato 7 Ibidem, p.33.9 Ibidem, p.35.

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“congiunto” che unisce, attraverso tutte le generazioni, i morti e i

vivi”9

L’autore , prosegue poi dividendo i riti in tre categorie:

“I riti di controllo sono positivi o negativi, tendono ad accrescere o a

restringere le specie e i fenomeni totemici, sia a beneficio sia a

detrimento della collettività...[...]I riti storici o commemorativi

ricreano l’atmosfera sacra e benefica dei tempi mitici -epoca del

“sogno” dicono gli australiani- di cui riflettono, come in uno specchio,

i protagonisti e le loro gesta insigni. I riti di lutto corrispondono a un

procedimento diverso: invece di affidare a uomini vivi l’incarico di

personificare lontani antenati, questi riti assicurano la riconversione in

antenati di uomini che hanno cessato di far parte dei vivi.”10

Per Lévi-Strauss i rituali hanno insomma la funzione di superare e integrare tre

opposizioni: quella fra sincronia e diacronia, quella fra il carattere periodico o

aperiodico, che sicronia e diacronia possono presentare e, infine ,

l’opposizione, in seno alla diacronia, fra tempo irreversibile e tempo

reversibile: anche se presente e passato sono distinti i riti storici trasferiscono il

passato nel presente, mentre i riti di lutto trasferiscono il presente nel passato.

Cazaneuve, nel proporre una la sua interpretazione delle funzioni del rito,

introduce il concetto di angoscia, inteso come quel sentimento di

incondizionamento che nasce nell’uomo in quanto essere dotato di coscienza,

le cui scelte non possono dipendere solo dall’istinto.

L’uomo sa bene, e lo sapeva bene l’uomo primitivo, che vi è una certa

regolarità nell’universo, ma sa anche che spesso basta un evento che si

oppone alla regola a fra perdere questa sicurezza, procurandogli angoscia.

Non gli resta quindi che mettere in rapporto le regole con una potenza

incondizionata, una sorta di archetipo extraumano della condizione umana

senza angoscia, e cercherà inoltre accattivarsi simbolicamente i favori di

questa potenza, per respingere l’incondizionato.

“E’ così che certi riti sono potuti nascere dal desiderio di preservare

da ogni attacco l’ideale di una vita interamente diretta da regole, di

una vita senza imprevisti e senza angoscia, in breve di una condizione

umana stabilizzata, definita, che non porrebbe più problemi. Il

sentimento di ciò che minacciava l’ordine, di ciò che rimetteva in

9 Lévi-Strauss, op.cit., p.256.10 Ibidem, p.257.

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questione l’umanità tranquillizzata dalla regola, era appunto

l’angoscia, ma nello stesso tempo la percezione di un ignoto, di un

irriducibile che era “altro”. Si può dire che si trattava del senso del

soprannaturale, del numinoso. L’angoscia non è certamente sempre

questo; ma nella misura in cui conduce al rito, la si caratterizzerebbe

senz’altro bene dicendo che appare come il segno del contatto col

numinoso”11

“Numinoso” è qui inteso nel senso proposto da R. Otto12 , per il quale il

numinoso corrisponde a un “sentimento originario e specifico” , di cui il

concetto di sacro è il risultato finale.

In numinoso non è solo il mondo soprannaturale, definibile solo in antitesi al

mondo naturale, ma evoca piuttosto un’impressione diretta, una reazione

spontanea davanti ad una potenza giudicabile come soprannaturale.

Per Otto il primo carattere del numinoso è quello di rivelarsi come mysterium, e

i simboli da questo evocati sono quindi sentiti come misteriosi, numinosi.

Ma Otto definisce questo mysterium al tempo stesso tremendum e fascinans,

così che se il primo elemento, di carattere inquietante, fa si che si cerchi di

evitare il contatto col mysterium, il fascino del secondo elemento attira verso di

sé, e fa anche si che vi si cerchi un’identificazione.

I simboli inquietanti sono infatti allo stesso tempo quelli che evocano possibilità

illimitate, e certi riti hanno proprio la funzione simbolica d captare e manipolare

la forza numinosa, tali riti presuppongono però una messa in questione la

condizione umana definita, o meglio implicano una rinuncia a tale condizione.

“In definitiva, o si vuol fissare la condizione umana in un sistema

stabile circondandola di regole, e allora si ricorre ai riti per allontanare

da questo sistema tutto ciò che ne simbolizza l’imperfezione; oppure

ci si pone simbolicamente nel mondo della potenza assoluta,

irriducibile alla regola, e allora non si può più parlare di condizione

umana. Così quando ci si chiede cosa abbia potuto creare nelle

società il bisogno di ricorrere a riti, si è portati a pensare che l’uomo,

angosciato dal fatto di avvertirsi come mistero per se stesso, si sia

sentito diviso tra il desiderio di definire tramite regole una condizione

umana immutabile e, d’altra parte la tentazione di restare più potente

di queste regole, di superare ogni limite.”13

11 J. Cazaneuve, op.cit., p.40.12 W.F.Otto, 1965, Dyonisus Myth and Cult, Bloomimgton, Indiana University Press.13 J. Cazeneuve, op.cit., p.42.

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Il rituale può portare insomma tre tipi di soluzioni: il numinoso può essere

allontanato come impurità, può altrimenti essere manipolato come un principio

di potenza magica, e, infine, si può presentare con il carattere sovraumano di

ciò che è sacro, divenendo nucleo delle religioni.

E evidente che non sono tali speculazioni metafisiche che hanno guidato gli

uomini primitivi verso il rito, e nemmeno una qualche forma di determinismo

scientifico: essi cercavano piuttosto di marginare quel sentimento di angoscia

di cui non conoscevano le cause.

Lèvi Strauss, analizzando però la differenza fra scienza e magia si domanda se:

“...il rigore e la precisione di cui danno prova il pensiero magico e le

pratiche rituali, non siano da ritenersi manifestazioni di

un’apprensione inconscia della verità del determinismo, inteso come

condizione d’esistenza dei fenomeni scientifici, crisi che il

determinismo verrebbe ad essere globalmente presentito e vissuto,

prima di essere conosciuto e rispettato. I riti e le credenze magiche

apparirebbero allora quali espressioni di un atto di fede in una scienza

che deve ancora nascere.” 14

Quest’ipotesi viene a rafforzare l’utilità stessa del rito, utilità riconducibile alla

funzione di esorcizzazione delle tensioni individuali o collettive, delle angosce

esistenziali che solo rivolgendosi al numinoso possono farsi più sopportabili.

Victor Turner nella sua opera “Il processo rituale”, riprende i risultati delle

ricerche strutturaliste, oltrepassandole e offrendoci una visione più

integralmente umana del comportamento rituale e simbolico.

Turner incentra la sua ricerca sui rituali femminili degli Ndembu dell’Africa

centrale, proponendo un legame fra il simbolismo e il comportamento rituale e

i bisogni e le strutture sociali in cui questi elementi sono inalveati.

Turner giunge quindi a considerare i processi rituali come tali, dando

particolare risalto ai concetti di liminalità e communitas, concetti che

applicherà, oltre che alle sue ricerche sul campo in Africa, a fenomeni sociali

quali la formazione dell’Ordine francescano nel medioevo, il misticismo indù e

alcuni fenomeni recenti e prettamente giovanili quali il movimento hippies e gli

Hell’s Angels degli anni’60.

Credo sia molto interessante e utile, sempre ai fini dell’analisi di un fenomeno

come il rave, considerare tali apporti.

1.2 L’antistruttura

14 C.Lévi-Strauss, op.cit., p.24.

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L’ossatura alla base del lavoro di Turner sta nei concetti di analisi dei sistemi

simbolici e analisi della dinamica processuale; l’autore difatti riprende la

definizione di struttura derivata dalla scuola antropologica inglese, ma si rende

conto che un’immagine organicistica, per quanto strutturata, rimane statica,

riduttiva.

Egli, infatti, dopo avere fissato le strutture familiari, economiche e politiche per

arrivare a definire la loro funzionalità organica, comprese che un simile

procedimento non riusciva a cogliere le percezione della processualità della

vita umana, vale a dire le trasformazioni, il significato dinamico strutturale sia

individuale che collettivo.

Benché le strutture siano l’aspetto più stabile del l’azione e dell’interazione, e

gli eventi regolari e ritmici possano essere misurati in forma statistica,

rivelando una struttura sincronica, è il modello processuale, il profilo

diacronico, a permetterci la comprensione della vita umana.

Secondo Turner non esiste quindi distinzione fra “statica sociale” e “dinamica

sociale”, in quanto un’azione non può mai dirsi statica, e per questo è

importante insistere sulla qualità dinamica delle relazioni sociali.

Occorre a questo punto un’ermeneutica adeguata, uno strumento

metodologico in grado di analizzare i fatti sociali nel loro significato simbolico,

significato che si muove all’interno della società, delle istituzioni, dei fenomeni

culturali.

La ricerca di Turner si inserisce in quella problematica antropologica e

culturale che si propone di definire un metodo scientifico di analisi del

significato umano (meaning) delle forme simboliche culturali, individuali e

sociali, e dei processi che operano nella struttura e nella società.

In questo modo l’analisi dei processi rituali, cui Turner dedicò gran parte della

sua ricerca, divenne veicolo per comprendere la profondità della vita sociale.

Egli condusse un’analisi esegetica dei processi simbolici e dei loro significati,

distinse i vari elementi simbolici, riuscendo così a spiegare quella parte

dell’attività e della vita collettiva che era stata fino a quel momento

incomprensibile: il rito non più visto, quindi, come espressione di un mondo

fantastico e definito in termini prerazionali e irrazionali.

Attraverso gli studi di Turner, e il concetto di l’analisi processuale, l’immagine

della società perde quella rigidità organica che l’aveva finora distinta, la

struttura diviene legame esterno o circonferenza, piuttosto che il centro di un

sistema di relazioni sociali e idee, le strutture sono sistemi di azione, fasi di un

processo sociale costantemente impegnate da un rapporto dinamico con

l’antistruttura.

E qui si inserisce il concetto di antistruttura, fondamentale nel pensiero di

Turner, e fecondo di idee per chi dopo di lui.

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L’antistruttura è l’unità dinamica sociale, è una situazione di sospensione

strutturale, dove i membri della società possono ritrovare il significato sociale

globale.

Attraverso l’antistruttura il senso umano collettivo può emergere in tutta la

sua completezza, senza alcun supporto istituzionale e spazio-temporale.

L’antistruttura è un sistema dinamico, strutturato simbolicamente, immediato,

portatore dei significati dei rapporti umani e dotato di una propria autonomia

dinamica. L’antistruttura è communitas e liminalità.

1.3 Communitas e liminalità

“E’ come se vi fossero due ‘modelli’ principali per i rapporti fra gli

esseri umani, modelli che si affiancano ed alternano. Il primo è quello

della società come sistema strutturato, differenziato e spesso

gerarchico di posizioni politico-giuridico-economiche[...]. Il secondo,

che emerge in modo riconoscibile nel periodo liminale, è quello della

società come comitatus, comunità o anche comunione non strutturata

o rudimentalmente strutturata e relativamente indifferenziata di

individui uguali che si sottomettono insieme all’autorità generale dei

majores rituali.”15

Con il termine communitas Turner indica insomma una situazione nella quale le

relazioni assumono un carattere sociologicamente indifferenziato, in cui si

hanno relazioni dirette, immediate, spontanee, ugualitarie.

Una tale situazione permette l’espressione totale di valori individuali e

collettivi, attraverso un complesso di simboli e di azioni simboliche comuni.

Turner riprende poi la definizione che Van Gennep propone in “Les Rites de

Passage”: liminalità come fase intermedia del rito di passaggio, passaggio che

avviene far una struttura minore e una struttura maggiore.

“Van Gennep ha dimostrato che tutti i riti di passaggio o di

‘transizione’ sono contrassegnati da tre fasi: separazione, margine(o

limen che in latino significa ‘soglia’) e aggregazione. La prima fase (di

separazione) co9mprende un comportamento simbolico che significa

il distacco dell’individuo o del gruppo da un punto precedentemente

fissato della struttura sociale, da un insieme di condizioni culturali

(uno ‘stato’) o da entrambi. Durante il periodo ‘liminale’ che segue, le

caratteristiche del soggetto del rito (il ‘passeggero’) sono ambigue;

egli passa attraverso una situazione culturale che ha pochi attributi (o

15 V. Turner, 1972, Il processo rituale, Brescia, Morcelliana, p.113.

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nessuno) dello stato passato o di quello a venire. Nella terza fase

(riaggregazione o reincorporazione) si compie il passaggio. Il soggetto

rituale, individuale o collettivo, è di nuovo in uno stato relativamente

stabile, in virtù del quale ha diritti e doveri di fronte agli altri di tipo

chiaramente definito e ‘strutturale’; ci si aspetta che si comporti

secondo norme tradizionali e criteri etici che vincolano il titolare di

una posizione sociale in un sistema di tali posizioni.”16

Secondo Turner questo passaggio non avviene attraverso un continuum, ma

attraverso un cambio radicale, che prevede un abbandono delle strutture

simboliche precedenti e l’introduzione di nuovi valori e di nuove strutture,

valevoli sia sul piano collettivo-unitario della società che su quello individuale-

unitario dell’individuo strutturato.

Liminalità quindi come depositaria dei significati concreti di un sistema

culturale e sociale, come situazione socialmente astrutturata che si riapre alla

struttura, trovandosi tra due situazioni strutturate.

Il rito elabora i passaggi fra queste due situazioni, cioè il passaggio

infrastrutturale, ma elabora anche il passaggio antistrutturale.

L’antistruttura è così sospensione delle varie strutture sociali, ma anche

riaffermazione di quelle strutture simboliche entro le quali viene costruito il

significato dell’esistenza individuale e collettiva.

Emerge qui chiaramente un’ambivalenza strutturale, una tensione fra il tutto

dinamico e la parte strutturale: la struttura sociale è per sua natura

ambivalente, perché è umana, individuale e collettiva al tempo stesso. In

questa interazione fra società e individuo, l’individuo diventa parte strutturale

e dinamica di un collettivo che, a sua volta, diventa parte costitutiva

dell’individuo, arricchendolo di una propria struttura simbolica e di una propria

economia processuale.

La società è differenziazione umana ,è la divisione del lavoro di Durkheim, e se

senza struttura non si può definire una forma vitale sovraindividuale,

l’individuo strutturato difficilmente si potrà sottrarre al significato globale, e la

struttura tenderà a definirsi come potere e come valore.

L’antistruttura rende possibile, attraverso una situazione simbolica liminare

improntata su relazioni di Io-Tu-Noi, una riappropriazione e ridefinizione

collettiva e individuale del collettivo stesso.

A questo punto occorre precisare cosa sia per Turner la liminalità, in quanto

un’estensione di questa può divenire utile strumento di analisi per fenomeni

contemporanei, ben lontani dal contesto delle popolazioni tradizionali da cui è

stato enucleato il concetto.

16 Ibidem, p.111/112.

14

Page 15: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

“Gli attributi della liminalità o delle persone liminali (persona-limite),

sono necessariamente ambigui, poiché questa condizione e queste

persone sfuggono o scivolano tra le maglie della rete classificatoria

che normalmente colloca stati e posizioni nello spazio culturale. Gli

esseri liminali non sono ne’ da una parte ne’ dall’altra; stanno in uno

spazio intermedio (betwixt e between) tra posizioni assegnate e

stabilite dalla legge, dal costume, dalle convenzioni e dal

cerimoniale.”17

Gli esseri liminali non possiedono niente, come i neofiti dei rituali d’iniziazione,

non hanno status ne’ proprietà, nessuna insegna o veste indica il loro rango o il

loro ruolo.

“Gli esseri liminali, come i neofiti nei riti di iniziazione o della pubertà,

possono essere rappresentati come chi non possiede niente.[...]Il loro

comportamento è normalmente passivo o umile; è implicito che

debbano obbedire ai loro maestri ed accettare senza lamentarsi

punizioni arbitrarie. [...]Al proprio interno i neofiti tendono a

sviluppare intensa solidarietà ed egualitarismo.”18

Solo così essi si possono preparare ad affrontare una nuova fase della vita.

Il concetto di liminalità, così delineato, è difficilmente applicabile o

rintracciabile in situazioni diverse dai rituali di iniziazione e dai riti di passaggio

preso le culture tradizionali, ma il termine liminale può essere applicato, per

estensione, ad individui non (ancora) integrati nella società, individui non

marginali e problematici, ma che non trovano un loro spazio ed un loro ruolo.

La condizione liminale può essere, ai nostri giorni, quella di un individuo che

non ha trovato una strada da percorrere, che si trova in una fase in cui non è

più un adolescente ma nemmeno è ancora adulto, e sappiamo bene quanto sia

difficile un tale passaggio nella nostra società, in cui ogni sacralizzazione e

collettivizzazione dei passaggi fondamentali della vita è andata perduta.

Inoltre gli esseri liminali sono, sempre presso le culture tradizionali, dotati di

poteri mistici e morali, dovuti alla loro temporanea condizione di inferiorità:

“Nella maggior parte dei tipi di liminalità viene attribuito un carattere

mistico al sentimento di appartenenza al genere umano e in

moltissime culture questa fase di transizione è posta strettamente in

17 Ibidem, p.112.18 Ibidem, p.112.

15

Page 16: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

rapporto a credenza relative a poteri protettivi e punitivi di esseri o

poteri divini o preter-umani.”19

Turner si chiede perché le situazioni e i ruolo liminari siano dunque quasi

sempre accompagnati da attribuzioni di tipo magico-religiose, e perché queste

situazioni siano considerate pericolose.

La risposta sta nel fatto che per chi è interessato al mantenimento della

struttura ogni situazione in cui emerge la communitas appare pericolosa e

anarchica, e deve pertanto essere controllata tramite sanzioni e norme precise.

Inoltre, come nel caso del buffone di corte medievale, detentore di una sorta di

potere di arbitraggio morale, questi tipi mitici, liminali, strutturalmente inferiori

e marginali, sono:

“...strutturalmente inferiori o ‘marginali’, e tuttavia rappresentano

quella che Bergson avrebbe chiamato ‘morale aperta’ in

contrapposizione alla ‘morale chiusa’, identificabile essenzialmente

nel sistema normativo di gruppi limitati, strutturati, particolaristici.”20

Riporto qui la differenza fra le proprietà della liminalità e quelle del sistema di

status, come proposte da Turner in “Il processo rituale”21 , ritenendo che tale

strumento si rivelerà molto prezioso per analizzare alcuni aspetti del rave in

quanto fenomeno liminare, inteso in senso traslato, come vedremo in seguito.

Turner, alla maniera di Lévi-Strauss, si serve di una serie di opposizioni e

discriminazioni binarie, che possono essere così ordinate:

Liminalità Stato

Transizione Stato

Totalità Parzialità

Omogeneità Eterogeneità

Communitas Struttura

Uguaglianza Disuguaglianza

Anonimia Sistemi di nomenclatura

Assenza di proprietà Proprietà

Assenza di status Status

Nudità o vestiario uniforme Distinzione nel vestiario

Continenza sessuale Sessualità

19 Ibidem, p.125.20Ibidem, p.127.21Ibidem, p. 123.

16

Page 17: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

Minimizzazione delle

distinzioni sessuali

Accentuazione delle

distinzioni sessuali

Assenza di rango Distinzioni di rango

Umiltà Giusto orgoglio della posizione

Noncuranza per l’aspetto personale Cura dell’aspetto personale

Assenza delle distinzioni della

ricchezza

Distinzioni della ricchezza

Mancanza di egoismo Egoismo

Obbedienza totale Obbedienza soltanto al rango

superiore

Sacralità Secolarità

Istruzione sacra Sapere tecnico

Silenzio Parola

Sospensione dei diritti e dei doveri di

parentela

Diritti e doveri di parentela

Riferimento continuo ai poteri mistici Riferimento intermittente ai poteri

mistici

Stoltezza Sagacia

Semplicità Complessità

Accettazione del dolore e delle

sofferenze

Fuga dal dolore e dalle sofferenze

Eteronomia Gradi di autonomia

1.4 La communitas oggi

Turner compie un’analisi molto interessante sulle varie istituzioni in cui la

communitas si è incarnata durante i secoli, dalla confraternita fondata da S.

Francesco d’Assisi alle moderne comunità hippie.

“Tra le manifestazioni più notevoli di communitas, bisogna includere i

movimenti religiosi cosiddetti millenaristici, che si formano tra quelle

che Norman Cohn ha denominato “masse sradicate e disperate della

città e della campagna...che vivono ai margini della società”, o

laddove delle società già tribali cadono sotto la sovranità straniera di

società industriali complesse.”22

Nei movimenti millenaristici, come ci ricorda Turner, sono rintracciabili alcune

delle proprietà della communitas: omogeneità, uguaglianza, anonimia, assenza

di proprietà, stesso livello di status per tutti i membri, continenza sessuale (che

22 Ibidem, p.127/128.

17

Page 18: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

in alcuni casi diventa ’comunità sessuale’), obbedienza al capo carismatico o al

profeta, accettazione del dolore e delle sofferenze, follia sacra, sospensione dei

diritti di parentela, semplicità dei modi e della parola, e così via.

“E’ degno di nota il fatto che molti di questi movimenti, nella fase

iniziale, superano le divisioni tribali e nazionali. La communitas, o

società ‘aperta’ differisce dalla struttura, o società ‘chiusa’, proprio

per il fatto di essere potenzialmente o idealmente estensibile fino ai

limiti dell’umanità stessa.”23

Tali movimenti nascono in momenti storici simili, quando vi è un passaggio di

gruppi o categorie sociali da uno stato all’altro, sono cioè fenomeni di

transizione, ed è per questo che molta parte del loro simbolismo riflette quello

dei riti di passaggio classicamente intesi.

La cronaca racconta di quanto sia facile che tali movimenti divengano culla per

lo sviluppo di fanatismi religiosi, quanto sia insomma breve il passo fra

accettazione delle sofferenze e martirio, fra ubbidienza e sottomissione, fra

religione e follia collettiva.

Nella società industriale altri esempi di ritorno alla communitas sono stati quelli

legati al movimento della beat generation prima e degli hippies poi, fino agli

odierni travellers’.

Questo ritorno alla communitas rispecchia la mancanza totale di riti di

passaggio, che spinge alcune categorie di adolescenti, che rifiutano l’ordine

sociale imposto dallo status, a dare importanza più ai rapporti personali che

agli obblighi sociali.

E’ interessante notare che fino agli anni ’60 e ’70 questi giovani vestivano

spesso i panni degli umili, e amavano vagabondare per il mondo, arrangiandosi

con lavori occasionali.

Oggi i tempi della beat generation e degli hippie sono passati, le mode si sono

evolute e le scelte radicali dei giovani hanno cambiato aspetto.

Ma, come vedremo proprio nel caso del rave:

“La communitas è del presente; la struttura è radicata nel passato e

si protende verso il futuro mediante il linguaggio, la legge e il

costume. Anche se noi ci occupiamo delle società tradizionali

preindustriali, diventa evidente che le dimensioni collettive,

communitas e struttura, si ritrovano in tutte le fasi e in tutti i livelli

della cultura e della società.”24

23 Ibidem ,p.128.24 Ibidem, p.129.

18

Page 19: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

1.5 Tensione sociale e rito

Fra struttura e antistruttura esiste una tensione che è dinamica ancor prima

che strutturale, tensione che si crea fra la totalità dell’individuo e l’individuo

nella totalità.

La società costruisce e ricostruisce costantemente strutture di azioni

dinamicamente adeguate, cioè quelle strutture collettive simboliche e quei

processi semantici in grado di definire e ridefinire in continuazione le strutture

mentali e i processi di adattamento individuali, riducendo così le situazioni

conflittuali interne.

Questa tensione sociale sta all’origine sia riti di passaggio infrastrutturali sia

dei passaggi dal particolare al totale in cui, come nelle feste, nei riti e nelle

rivoluzioni, si attua un recupero del contatto con la totalità.

In entrambi i casi si ha una sospensione della struttura, che si riflette nelle

liminalità collettiva o individuale, zona in cui la funzione universale della

struttura viene ridefinita, attraverso il contatto con il mito e i simboli comuni:

alla destrutturazione segue la strutturazione simbolica delle forme vitali e dei

significati simbolici collettivi.

La liminalità è in questo senso sacra, è protetta da tabù, contro il potere di una

secolarità distruttiva. Liminalità è energia, movimento e rinascita.

Il rito ha in questa situazione il compito di guida, conduce da una situazione

all’altra, è il passaggio fra struttura e liminalità, fra liminalità e struttura.

Il riti variano a seconda della mediazione strutturale di cui si fanno portatori,

alla loro funzione individuale o collettiva, alla posizione centrale o meno, alla

cadenza ciclica e ripetitiva del rapporto fra struttura e antistruttura.

La tensione intrastrutturale rivela il contrasto, il dramma umano, la tensione

fra dipendenza dinamica e strutturale dell’individuo dal sistema collettivo di cui

è parte e la diversificazione dell’individuo e del gruppo dal sistema di valori

collettivi, questa diversificazione sociale è per Turner alla base di una vasta

attività simbolica.

La società primitiva era dramma come lo è la nostra tutt’oggi, dramma che è

correlativo alla coesione sociale, e la sua risoluzione è parte integrante della

processualità e della dinamica della società.

Inoltre, attraverso il dramma, viene disvelata la profondità dell’unità sociale.

Il dramma sociale è sempre conseguenza di tensioni intrastrutturali e può

avere origine da una deliberata trasgressione dalle norme, ma può anche

avere origine da fenomeni naturali o fisici che, introducendo un’anomalia nella

struttura, obbligano ad una sua ridefinizione collettiva.

19

Page 20: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

Turner analizza i riti di passaggio seguendo questa logica, per Turner infatti il

rito di passaggio corrisponde ad un processo di trasformazione profonda

dell’individuo, entro il significato collettivo e la responsabilità dello status

sociale cui l’individuo è introdotto.

Il rito di passaggio presuppone una “regressione strutturale” che permetta

all’individuo una più complessa conoscenza ed esperienza della vita collettiva,

rivissuta attraverso un sistema simbolico e mitico ed un contatto diretto con

l’origine , con le strutture fondamentali di valore, contenute nei simboli e nel

mito.

Il dramma sociale può avere invece soluzione difficile se le variazioni introdotte

non sono di carattere individuale o non ne siano definite le modalità di

soluzione.

Un caso del genere si verifica quando una struttura o un gruppo di interesse si

contrappongono al sistema, facendo sì che la tensione strutturale e la liminalità

si espandano a tutta la società, provocando una ricostituzione della struttura

precedente oppure un cambio strutturale, a seconda delle forze in campo e

della loro capacità creativa simbolica.

Un dramma sociale molto interessante si verifica nel caso in cui un sistema

esterno si contrappone alla società, minando non solo i rapporti strutturali, ma

lo stesso equilibrio fra struttura e antistruttura.

Nella maggioranza dei casi all’interno della società sottomessa sopravvivono

quelle che erano le funzioni autonome strutturali, ma sotto forma di

antistruttura, entro la nuova società.

1.6 I simboli rituali

I più importanti risultati dell’analisi di Turner sono il perfezionamento del

metodo di analisi dell’azione rituale, con l’emergere di quella continuità e

omologia di significato fra struttura istituzionale e simboli e azioni rituali, e la

definizione di liminalità e communitas, concetti preziosi per spiegare quei

fenomeni simbolici e istituzionali antistrutturali non riconducibili a situazioni

intrastrutturali.

Turner, inoltre, mise in evidenza la speciale portata ermeneutica della

liminalità, vale a dire la sua somiglianza strutturale e simbolica con l’inferiorità

e l’esclusione strutturale, in modo da definire in termini più generali

l’antistruttura e la relazione dialettica che la communitas ha con questa,

considerare la società come un processo, piuttosto che come un organismo o

un sistema atemporale, permette di cogliere meglio le relazioni esistenti

appunto, ad ogni punto e ad ogni livello, fra struttura e communitas.

20

Page 21: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

Il modello processuale influisce sul modo di studiare i simboli, qui guidato dal

modello dinamico, e permette di mostrare come operi un simbolo rituale.

Il simbolo, agendo all’interno della processualità, va quindi osservato entro lo

sviluppo storico concreto, tenendo in considerazione il rito completo; occorre

analizzarlo nei suoi vari aspetti semantici e definirne tute le connessioni

strutturali e antistrutturali.

Dalle ricerche di Turner risulta che simboli e metafore non sono affatto

costruzioni atemporali entro rigide strutture logiche: il simbolo partecipa infatti

alla processualità sociale stessa, essendo la tensione strutturale e

antistrutturale profondamente presente entro le strutture cognitive e

ideologiche stesse.

I simboli devono quindi essere considerati come entità che operano entro

processi temporali e che sostengono quei processi che comportano

trasformazioni nelle relazioni sociali; il simbolo è insomma un condensatore di

referenti, un entità che reca in se un complesso valore affettivo, oltre che

cognitivo, che concentra referenze biologiche e fisiche e referenze strutturali o

ideologiche.

La struttura del simbolo opera attraverso un meccanismo metaforico,

ricollegando il valore catetico di un referente al valore dinamico di un atro

referente, da cui deriva la multivocalità del simbolo, il fatto che questo sia cioè

suscettibile di più significati.

Nel dramma dell’azione rituale, in una situazione liminale di communitas, si

stabilisce la simbiosi fra individuo e società, attraverso la fusione dei vari poli

semantici.

Turner distingue i simboli rituali da quelli individuali:

“...mentre i simboli rituali sono mezzi generali e poco differenziati per

affrontare la realtà naturale e sociale, i simboli psichici si modellano

prevalentemente sotto l’influenza di spinte interne.”25

Quella di Turner è una vera e propria ontologia dei simboli e delle azioni rituali,

più che una descrizione di strutture formali, in Turner i simboli non sono

epifenomeni della struttura sociale, e la vita sociale stessa si costituisce nella

complessa dinamica simbolica, dinamica che ha in sé una struttura dinamica

originaria che resiste all’interno delle varie formazioni normative e razionali che

si sviluppano nell’esperienza storica.

Il simbolo rituale ha una propria struttura e funzione dinamica, inserita in

formazioni metaforiche non lineari; accanto ai sistemi comunicativi e alle 25 V. Turner, 1976, La foresta dei simboli, Brescia, Morcelliana, p. 64.

21

Page 22: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

formazioni simboliche con particolare struttura logico-cognitiva, i simboli rituali

e mitici liminari, hanno in sé una componente affettiva non riducibile a

formazioni logiche.

1.7 Rituali di crisi vitale, periodici e di passaggio

Ritornando alle tre fasi che secondo Van Gennep contraddistinguono il

passaggio da uno status culturalmente definito ad un altro (separazione,

margine e riaggregazione) e tenendo inoltre conto dell’ulteriore distinzione fra

preliminare, liminare e postliminale che l’autore utilizza per indicare le fasi di

transizione spaziale all’interno del rituale, risulta evidente il legame inscindibile

fra questi termini e il concetto di liminalità.

Turner distingue due principali tipi di liminalità , pur ammettendo che molti altri

se ne possono scoprire:

“...in primo luogo la liminalità che caratterizza i rituali di elevazione di

status, nei quali il soggetto rituale o novizio viene trasferito in modo

irreversibile da una posizione inferiore ad una superiore in un sistema

istituzionalizzato di posizioni di tal genere. In secondo luogo, la

liminalità che si riscontra frequentemente nel rituale ciclico e legato a

un calendario,[...]nel quale in certi momenti culturalmente definiti del

ciclo stagionale, gruppi o categorie di persone che di solito occupano

nella struttura sociale posizioni di basso status, ricevono l’istruzione

precisa di esercitare un’autorità rituale sui loro superiori...”26

Tale tipologia corrisponde alla tradizionale distinzione antropologica fra riti di

crisi vitale e riti periodici: i riti di crisi vitale sono quelli nei quali i soggetti

passano da una fase della vita all’altra, eventi come la nascita, la pubertà, il

matrimonio, la morte, inoltre questi riti si riferiscono all’ingresso in uno status

superiore raggiunto all’interno, ad esempio, di un sistema politico, di un club, di

una società segreta, tali rituali hanno generalmente carattere individuale; i riti

stagionali, invece, coinvolgono generalmente la collettività e la società intera, e

sono eseguiti in momenti precisi del ciclo produttivo annuale, testimoniando il

passaggio dalla penuria all’abbondanza (le feste legate alla raccolta del grano,

della frutta, o allo stesso equinozio di Primavera), nonché il passaggio

dall’estate all’Inverno, dall’abbondanza alla penuria, dalla quale si cerca una

protezione “magica” o sacra. A tali riti occorre aggiungere:

26 Ibidem, p.182.

22

Page 23: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

“...Tutti i rites de passage, che accompagnano ogni modificazione di

tipo collettivo da uno stato a un altro, come quando un’intera tribù va

in guerra o quando una vasta comunità locale esegue riti per invertire

gli effetti della carestia, della siccità o delle pestilenze. I riti di crisi

vitale e i rituali di insediamento in una carica sono quasi sempre riti di

elevazione di status; i riti stagionali e quelli delle crisi di gruppo

possono essere talvolta riti di inversione di status.”27

Nella società occidentale contemporanea persiste l’eco dei riti di inversione di

status, inversione in questo caso dei ruoli sessuali e dei ruoli legati all’età:

tradizioni come Halloween conferiscono infatti un vero e proprio potere liminale

e temporaneo ai preadolescenti; i bambini di Halloween esemplificano più di un

motivo liminale: essi sono infatti mascherati, e ciò garantisce loro l’anonimato,

anonimato che ha però qui una funzione di aggressione e non di umiliazione,

come avviene nella maggior parte dei riti di inversione.

“Le maschere mostruose sotto le quali spesso si nascondono

rappresentano principalmente potenze di demoni terrestri -streghe

che compromettono la fertilità; cadaveri o scheletri da sottoterra.

[...]Queste piccole potenze terrestri, se non vengono propiziate con

buona accoglienza e leccornie, faranno scherzi fantasiosi e capricciosi

alla generazione detentrice degli adulti di casa...”28

In questi aspetti Turner rintraccia qualcosa di simile ai riti primitivi, come la

funzione del mascherarsi che, secondo molti psicologi, ha sia per il bambino

che per l’uomo primitivo lo scopo di indebolire il nemico, identificandosi con

esso traendone potere.

Nei rituali di inversione di status, in realtà, la categoria che si permette di agire

come se fosse strutturalmente inferiore, rimane in uno status inferiore, e il

temporaneo scambio di ruoli e status è sempre permesso e controllato dai

detentori dello status superiore, essendo prevedibili le modificazioni strutturali

da questi permesse.

I rituali di inversione di status sono inoltre da vedere anche sotto l’ottica del

rapporto fra communitas e struttura: i rituali di inversione di status, infatti, in

una società strutturata in posizioni, status e cariche politiche, giuridiche ed

economiche, sono in grado di riportare communitas e struttura nel giusto

rapporto reciproco.

27 Ibidem ,p.184/185.28 Ibidem, p.187/188.

23

Page 24: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

I rituali di inversione di status sono generalmente collocati in momenti

strategici del ciclo annuale, o provocate da disastri concepiti come

conseguenza di gravi colpe sociali, cui si può rimediare solo facendo diminuire

il grado di spostamento della struttura dalla communitas.

Turner individua anche degli esempi di inversione di status legati a pseudo-

gerarchie nate in contesti occidentali moderni: ne sono un esempio i Massoni,

alcune sette scismatiche mormoniche, e le bande motociclistiche come gli

Hell’s Angels.

In entrambi i casi si deve notare un gran numero di cariche, ma un numero

limitato di membri; una gerarchia complessa, che si basa su anzianità e

appartenenza territoriale e una organizzazione formale con complicate

cerimonie d’iniziazione e gradi di appartenenza simbolizzati da distintivi.

Prendiamo ad esempio le cerimonie d’iniziazione degli Hell’s Angel californiani:

i novizi non si sentono cittadini come gli altri, non accettano le regole e hanno

deciso di stare fuori dal sistema strutturale, ma non sono ancora Hell’s Angel, e

si trovano pertanto in una situazione liminare.

Durante la cerimonia d’iniziazione le reclute, i novizi, si devono presentare con

giubbotti e blue-jeans nuovi, affinché questi vengano imbrattati, così che la loro

condizione lacera e sporca sia il segno di un nuovo status raggiunto, e

dell’abbandono dello status di normali cittadini.

E’ interessante notare come nel caso degli Hell’s Angel la struttura gerarchica

assuma prevalentemente una funzione espressiva, e come vengano in realtà

seguiti i valori della communitas.

CAP.2

Un apporto performativo al rituale

2.1 L’analisi formale del rituale

Stanley Tambiah1 , professore di Antropologia presso la Harvard University, è

autore di importanti studi sul rapporto fra religione, ordine sociale e politico

nelle società e culture dell’Asia meridionale.

Tramite il suo originale approccio in cui si combinano antropologia, linguistica e

sociolinguistica, egli analizza i rituali, le cosmologie e gli schemi di

classificazione, sempre considerati come fenomeni in cui vi è unione di

pensiero e azione.

1?S.Tambiah è autore di Buddhism and Spirit Cults in Northest Thailand (1970), World Conquerer and World Renouncer (1976),” (1984), Sri Lanka: Ethnic Fraticide and Dismantling of Democracy (1986).

24

Page 25: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

L’atto rituale è per questo autore un’amalgama inscindibile di parole e di gesti,

fondato sull’uso simultaneo di molteplici mezzi di comunicazione (uditivo,

tattile, visivo e olfattivo), e su di una particolare presentazione della realtà

attraverso la danza, il canto, la musica e la recitazione.

Tambiah sottolinea come ogni cosmologia sia il frutto non di fatti mentali, ma

di veri e propri progetti di vita che si traducono nella pratica: le descrizioni e le

classificazioni del mondo da parte dell’individuo e della comunità riflettono le

valutazioni, i principi morali, i divieti e le preferenze derivanti dai diversi

contesti culturali e sociali.

I rituali, come rappresentazione, devono dunque venire studiati sotto un

duplice aspetto: da un lato occorre approfondire il fondamento della

dimensione formalizzata del rituale, e dall’altro occorre successivamente

affrontare la questione del significato contestuale.

Si può in generale affermare che un rituale riproduca nella ripetizione delle sue

celebrazioni certe sequenza stereotipate, che sono all’apparenza invarianti,

ma in realtà, e ogni antropologo che abbia compito ricerche sul campo lo sa

molto bene, non si può avere alcuna celebrazione di un rito che sia

esattamente identica ad un’altra: come abbiamo detto vi sono certi fattori

variabili, come le circostanze in cui si trovano gli attori e le loro caratteristiche

sociali, che influenzano ogni volta in maniera differente lo svolgersi del rito.

Le componenti contestuali rendono flessibile il nucleo fondamentale del rituale,

che , per quanto possa essere rigidamente stabilito, è sempre legato alle

pretese di status e agli interessi dei partecipanti, e nemmeno vanno

dimenticati gli avvenimenti accidentali e imprevisti.

“I rituali, comunque e dovunque si presentino nelle società umane,

tendono ad assumere una certa forma. Nel fare questa affermazione

sono abbastanza consapevole di quanto siano variabili nelle società le

concezioni ideologiche e simboliche e di quante trappole comporti

l’affrontare la variabilità delle concezioni culturali con un pretenzioso

complesso di concetti analitici tratti da un’esperienza strettamente

occidentale”2

All’interno della medesima società, così come tra più società, i rituali variano

per grado di formalizzazione, per le esigenze e i significati contingenti, per l’uso

di diversi e molteplici media che vanno dalla danza alle parole, alla musica,

all’uso di oggetti simbolici e così via.

2 S.J: Tambiah, 1995, Rituali e cultura, Bologna, Il Mulino, p.126.

25

Page 26: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

Tambiah è comunque convinto che gli uomini strutturino dappertutto, in modo

comune, determinati eventi considerati importanti, che possiamo riconoscere

come rituali.

“Pur non essendo possibile, in nessuna società, né linguisticamente

né dimostrativamente, definire i confini di un ambito rituale (separato

da altri ambiti), ogni società ha però nominato e segnato cerimonie,

rappresentazioni e feste che si possono identificare come esempi

tipici o focali di eventuali “rituali”.”3

Ma come riconoscere il rituale partendo dalla sua forma?

Pur non potendo separare all’interno di una società ciò che è rituale e ciò che

non lo è, si possono compiere distinzioni relative (più che assolute) per

distinguere tra alcuni tipi di attività sociale.

Ogni società ha infatti nominato e segnato cerimonie, rappresentazioni e feste

identificabili come esempi tipici di eventuali rituali.

Questi eventi mostrano alcune caratteristiche comuni: un ordinamento o

procedura che li struttura, un senso di recita collettiva e comunitaria che tende

a raggiungere un particolare obiettivo e la consapevolezza che si tratta di un

evento fuori dall’ordinario, fuori dal quotidiano.

L’uso di certi mezzi di comunicazione, e di determinati strumenti sono

caratteristici del rituale, in quanto permettono di sperimentare e attivare lo

straordinario, l’extramondano.

“Il rituale è un sistema di comunicazione simbolica costruito

culturalmente. E’ costituito da sequenze di parole e di atti, strutturati

e ordinati e spesso espressi con molteplici mezzi, il cui contenuto e la

cui disposizione sono caratterizzati in vario grado da formalismo

(convenzionalità), stereotipia (rigidità), condensazione (fusione) e

ridondanza (ripetizione).”4

L’azione rituale è preformativa in tre sensi: nel senso per cui dire qualcosa è

anche fare qualcosa in quanto atto convenzionale; nel senso di una

rappresentazione scenica che usa molteplici mezzi, grazie ai quali i partecipanti

sperimentano l’intensità dell’evento; ed infine preformativo nel senso dei valori

indicati dagli attori durante la performance.

2.2 Integrazione fra descrizione culturale e analisi formale

3 Ibidem, p.127.4 Ibidem, p.130.

26

Page 27: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

Il pensiero di Tambiah si basa sull’assunto che:

“...il rituale sia un sistema di comunicazione simbolica costruito

culturalmente: il che equivale a dire che il suo contenuto culturale è

radicato in costrutti cosmologici o ideologici particolari. La definizione

si basa anche sull’assunto che il rituale rappresenti determinate

caratteristiche di forme e strutture e si avvalga di determinati mezzi

di comunicazione e semiotici.”5

Detto questo, è possibile integrare una spiegazione culturale con un’analisi

formale?

Tambiah ritiene che le considerazioni di ordine culturale siano integralmente

implicate nella forma che il rituale assume, è che la conciliazione fra forma e

contenuto sia essenziale sia per il carattere preformativo che per l’efficacia

dell’azione rituale.

In un certo senso si tratta di integrare le prospettive neotyloriane, per le quali

la caratteristica distintiva della religione e del rituale sta nel credere e nel

comunicare con il mondo sovrannaturale, con le prospettive della scuola

semiotica, che vede invece il rituale come categoria che unisce il sacro col

secolare, il naturale col soprannaturale.

“E’ mia idea che ci si possa liberare delle limitazioni della dicotomia

neotayloriana tra naturale e soprannaturale riconoscendo innanzitutto

che tutte le società posseggono delle cosmologie le quali, avvalendosi

dei loro numerosi e diversi strumenti di classificazione, mettono in

relazione l’uomo con l’uomo, l’uomo con la natura e gli animali, e

l’uomo con gli dei e i demoni e con altre entità non umane.”6

Tali cosmologie non sono da intendersi puramente nei termini delle credenze

affermate dai soggetti, ma sono inserite nei miti, nei rituali, nei codici, e in

tutte le rappresentazioni collettive.

Con cosmologia si deve intendere quel corpo di concezioni che elenca e

classifica tutti i fenomeni che compongono l’universo, visto come un tutto

ordinato, e le norme e i processi che lo regolano; le principali nozioni

cosmologiche di una società sono tutte quelle che orientano le concezioni e i

principi considerati sacrosanti, e degni quindi di essere perpetuati.

5 Ibidem, p.131.6 Ibidem, p.132.

27

Page 28: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

Se si ritiene che le credenze precedano le azioni, inoltre, si finisce per ritenere

l’azione rituale come secondaria, ignorando o sottovalutando il fatto che il

rituale è un mezzo per trasmettere significati, per costruire la realtà sociale e

portare alla luce lo schema cosmologico stesso.

“...i costrutti cosmologici sono inseriti (ovviamente non in modo

esclusivo) nei riti e i riti a loro volta inscenano e incarnano le

concezioni cosmologiche.[...]...se i rituali più importanti di una società

sono strettamente associati alla sua cosmologia, possiamo allora

legittimamente domandarci cosa una società cerchi di trasmettere ai

suoi membri nelle cerimonie più importanti...”7

Tambiah illustra una teoria molto interessante, secondo la quale qualsiasi cosa

verso la quale si adotti un atteggiamento di “indiscutibilità” o

“tradizionaleggiante” possa essere considerata sacra, i rituali costruiti attorno

a tale carattere sacro possono in tal senso avere caratteristiche comuni e

simili ai tradizionali rituali dedicati agli dei o agli antenati.

Egli osserva inoltre che i rituali di recente invenzione sono costruiti in modo

che le ripetizioni interne di forma e contenuto lo rendano come se fosse

davvero tradizionale, e si suppone che questo trasmetta la stessa convinzione

irriflessiva di ogni rituale ripetitivo tradizionale.

2.3 Il rituale come azione convenzionale

La formalizzazione del rituale è legata la fatto che questo è un’azione

convenzionale, convenzionalità che tiene i partecipanti ad una certa distanza

psichica dall’azione sacra del rituale.

“In quanto comportamenti convenzionali, i rituali non sono né

designati né intesi a esprimere intenzioni, emozioni e stati mentali

individuali in modo diretto, spontaneo, “naturale”.”8

L’elaborazione culturale dei codici consiste proprio nel prendere le distanze da

queste espressioni spontanee e naturali, caratteristiche di un comportamento

comunicativo “normale”.

Durante la comunicazione rituale non si codificano cioè intenzioni, ma

“simulazioni” di intenzioni; il “prendere le distanze” separa le emozioni private

dalla morale pubblica, la messa in scena rituale è garanzia della comunicazione

sociale.

7 Ibidem, p.133.8 Ibidem, p.137.

28

Page 29: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

Il rituale non è in quest’ottica una “libera espressione di emozioni”, ma una

ripetizione disciplinata di “atteggiamenti corretti”.

“...qualsiasi teoria del rituale, come evento che modifica direttamente

i sentimenti, che consente alle persone di esprimere le proprie

aggressioni o frustrazioni, e quindi raggiungere uno stato di placidità

e serenità, è troppo semplicistica e ingenua.”9

Ma torniamo alla forma del rituale: riprendendo, seppur criticamente le teorie

dell’informazione10 , Tambiah applica, come abbiamo visto, il concetto di

ridondanza all’analisi del rituale.

Ridondanza, in questo senso non solo come ripetizione di un messaggio tramite

canali diversi e molteplici, ma come ricorsione di eventi all’interno del rito.

In tutti i riti complessi si possono cioè discernere delle regole di sequenzialità,

ed essendo il discorso rituale di fatto un evento convenzionale, non c’è da

stupirsene, inoltre è chiaro che la logica delle sequenze obbligate non può

essere appieno compresa se non la si mette in relazione alle azioni sociali di cui

è la veste: forma e contenuto del rituale sono necessariamente fusi.

“...il secondo senso in cui io vedo il rituale come un atto performativo

è che esso è un’attuazione drammatica la cui struttura distintiva, che

comprende la stereotipia e la ridondanza, ha qualcosa a che fare con

la produzione di un senso di comunicazione elevata, intensificata,

fusa. Gli obiettivi di tale intensificazione sono stati variamente

espressi come la sottomissione delle persone a “restrizioni

vincolanti”[...], oppure come un passaggio a uno stato di coscienza

sopranormale, trascendentale, “antistrutturale”, “numinoso” o

“alterato”; oppure come un’euforica comunione coi propri simili,

oppure come una subordinazione a una performance collettiva.”11

I mezzi di comunicazione possono infatti, nel loro uso ripetitivo e “ridondante”,

permettere di abbandonare il quotidiano per entrare nel tempo sacro e nel

soprannaturale, ne sono un esempio le formule verbali degli esercizi di

meditazione buddisti, o le litanie mantriche degli induisti, veri e propri supporti

alla meditazione, strumenti per la concentrazione.

Parte seconda:

9 Ibidem, p.13810 G.A. Miller, 1951, Language and Communication, New York, McGraw-Hill; C. Cherry,1961, New York, On Human Communication, Scienze Editions.11 S. Tambiah, op.cit., p.159.

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Page 30: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

Il fenomeno rave fra transe, festa e danza rituale

CAP.1

La transe

1.1 Transe e stati modificati di coscienza

La parola “transe” viene ad assumere significati assai diversi a seconda del

contesto e dell’epoca storica in cui viene usata, e per questo è molto difficile

darle una definizione preliminare.

Nel XI sec. la parola transe significa la morte, ma già nel XV sec. assume il

senso moderno che deriva dal verbo “transire”, andare oltre.

Nel XIX sec., la parola “trances” appare nel vocabolario inglese prima e in

quello francese poi, designando lo stato del medium, spersonalizzato,

posseduto.

Fino a quel tempo il termine veniva collegato a due diversi movimenti, allo

spiritismo, appunto, e a quel vasto movimento che va da Mesmer2 fino a

Freud; la nostra idea di transe è più simile all’accezione dello spiritismo,

mentre la corrente basata sull’ipnosi, il mesmerismo appunto, ha interesse

maggiore per l’aspetto sperimentale del fenomeno, per le condizioni cioè che

permettono di raggiungere un tale stato.

Negli anni successivi la parola entrò finalmente nel vocabolario dell’etnologia.

Sul vocabolario italiano ho trovato la seguente definizione: ”stato ipnotico

caratterizzato da perdita più o meno cosciente della coscienza; in esso cadono i

medium durante le sedute spiritiche”3

Si tratta di definizioni assai deboli e limitative, che non sono affatto sufficienti a

connotare l’aspetto “innovativo” sostenuto da un nuovo approccio al

2 F.A.Mesmer, capostipite della scuola del “magnetismo animale”, darà il via agli studi sull’ipnosi, ionosi che nel caso della scuola mesmeriana veniva indotta musicalmente, portando ad una transe benefica, una crisi salutare che il medico può padroneggiare. Tra le opere di Mesmer: F.A. Mesmer, Le magnetisme animal, Payot, Paris, 1971.3Dizionario Garzanti della lingua italiana, 1968. In italiano si usa l’eccezione “ trance”, cioè il termine in lingua inglese, mentre in lingua francese si usa “transe”; nel corso del mio lavoro preferirò il termine francese, visto l’importante apporto dato all’argomento da autori francesi, specie G. Lapassade, e ai quali mi riferirò spesso. Alcuni autori usano invece l’accezione inglese, la quale potrà così comparire nelle citazioni. “Trance” indica inoltre, per estensione, il genere musicale legato al fenomeno della techno-transe.

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fenomeno, di cui il maggiore esponente è G. Lapassade4, definizione alla

quale mi riferirò nel mio lavoro.

La parola transe indica sempre, come abbiamo detto, un passaggio, una

transizione da uno stato all’altro, una rottura dell’equilibrio cui ne segue uno

nuovo: la nascita, la morte, le diverse fasi dell’esistenza sono passaggi

fondamentali della vita, e proprio per questo, nell’antichità e tutt’oggi presso le

popolazioni “primitive”, questi momenti sono accompagnati da rituali di transe.

“ La transe è questo passaggio dal caos a un nuovo ordine, mai

stabile, Mai definitivo. Ma anzi espressione di quel lavoro sia del

linguaggio sia della cultura che da forma e orizzonte simbolico alla

ricerca, spesso tempestosa, di un significato -sia pure di

compromesso- integralmente umano.”5

Ma la transe è anche passaggio fra questo e altri mondi, fra la Coscienza

Ordinaria e gli Stati Alterati di Coscienza, è quel meccanismo che permette agli

sciamani e ai mistici di comunicare con lo Spirito.

La transe è l’antitesi della stasi, della stabilità, e già in questa sua definizione si

coglie l’enorme portata rigeneratrice del fenomeno, in qualunque epoca e

sotto qualsiasi forma essa si presenti: la transe come rottura dell’ordine

quotidiano, sospensione che permette di fuggire momentaneamente alla

pesantezza della vita, per sopravvivere.

Prima di analizzare brevemente attraverso quale percorso la transe sia giunta

fino a noi, vediamo cosa è la transe, un po’ più nello specifico.

Transe e Stati Modificati di Coscienza

La questione della transe si pone ancora oggi sulla scia degli studi di Ferguson6

sugli alterated states of consciousness, per cui risente di un’impronta

psichiatrica che non le rende affatto giustizia.

4 G. Lapassade, docente di Etnografia e Scienze dell’Educazione presso l’Università di Parigi, ha svolto numerose ricerche sulla transe in Africa, Brasile e nell’Italia del sud. Fra le sue opere: 1971, Il mito dell’adulto. Saggio sull’incompiutezza dell’uomo, Firenze, Guaraldi;1983, Saggio sulla transe,Milano, Feltrinelli; 1993, Stati modificati e transe, Roma, Sensibili alle foglie; 1994, Etnosociologia ed etnografia scolastica, Lecce, Madona Oriente; 1994, Intervista sul tarantismo, Lecce, Madona Oriente; 1996, Transe e dissociazione,Roma, Sensibili alle foglie; 1997, Dallo sciamano al raver, Milano, Urra. 5G.De Martino, 1997, Post-scrictum, Dallo sciamano al raver, Milano,Urra.

6 M.Ferguson, 1974, La révolution du cerveau, Parigi, Calman-Lévi.

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Page 32: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

Lapassade, antropologo francese che negli ultimi anni si è dedicato allo studio

delle istituzioni della transe, preferisce indicare quest’ultima come:

“...l’idea o l’immagine di una coscienza esplosa, aperta, altra da sé.

La transe, dunque, è l’”altra” coscienza.” 7

Usare il termine alterata significherebbe per quest’autore presumere

l’esistenza di una coscienza primaria , che verrebbe poi modificata, ma le

alterazioni che definiscono gli “stati secondi”, non sono affatto modificazioni

“secondarie”:

“Al contrario è la coscienza lucida ad essere seconda e ad essere una

coscienza mutilata, e nello stesso tempo asservita sia alle necessità

della produzione che alle esigenze dell’ordine. Al coscienza cosidetta

alterata è al contrario originaria, è la coscienza dello stato primario, e

non “secondo”, di fusione e indistinzione.”8

E la transe è proprio quel meccanismo che permette alla coscienza di rivelarsi

in tutta la sua interezza, senza il controllo delle regole “razionali” indispensabili

al normale svolgersi delle azioni umane legate alla sopravvivenza.

Ma mentre nell’antichità, e ancora oggi presso le culture tradizionali, esistono

momenti in cui questa coscienza può e deve disvelarsi, le culture occidentali

tendono a dimenticarsene, prese come sono dall’asservimento ai ritmi del

tempo produttivo.

Il fenomeno della transe è stato fino a poco tempo fa di fatto studiato solo in

campo psichiatrico, con tutte le limitazioni e aberrazioni che ne sono seguite; il

fatto che lo stato di transe dia luogo ad un comportamento bizzarro del corpo

ha fatto sì che venisse associata, nel recente passato del nostro mondo

occidentale, alla follia, alla malattia mentale, comunque a comportamenti

patologici.

“La transe è, innanzitutto, un comportamento motorio diverso dal

solito. Per l’osservatore occidentale, essa è un sintomo psicopatico.

Ma latrove, tradizionalmente, nella cultura religiosa e popolare, essa è

o l’estasi del corpo , oppure l’intervento di un dio, di uno spirito, di un

“demone” che cavalca il corpo dei posseduti.”9

7 G. Lapassade,1997, Dallo sciamano al raver, Roma, Sensibili alle foglie, 1997,p.197.8 Ibidem, p.197.9 Ibidem, p.198.

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Page 33: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

Anche nel mondo occidentale, che ha oggi perduto la sua memoria, era un

tempo un fenomeno normale, legato alla vita dell’uomo e alla sua spiritualità.

Ciò che è importante comprendere è che la transe non è un fenomeno

patologico, ma un normale fenomeno la cui base è neurofisiologica, corporale;

su questa base neurofisiologica ogni cultura ha poi costruito la sua transe, nelle

varie istituzioni che vedremo fra poco.

La transe sono, secondo il modello della stimolazione transmarginale elaborato

da Sargant10 nel 1957:

“...delle risposte del sistema nervoso centrale a diversi gradi di

stimolazione o inibizione che debordano da ciò che il corpo e

preparato ad affrontare. Questo “debordare” dissesta l’organismo fino

all’isteria e alla sincope. La fatica, le droghe, i cambiamenti

ghiandolari, possono abbassare la resistenza del soggetto fino a tali

esiti estremi”11

La transe è, insomma, tutto quell’insieme di Stati Modificati di Coscienza (SMC)

che comprende l’estasi, il sogno e il sonno, l’ipnosi, gli stati isterici di

dissociazione, le aberrazioni provocate dagli psicofarmaci, il delirio,

l’isolamento sensoriale.

1.2 Alcuni tentativi di sintesi

La maggior parte degli studi relativi agli SMC tendono generalmente a

prendere in esame fenomeni specifici, come l’ipnosi, la meditazione, la

possessione, mentre rimangono rare le ricerche che tentano di integrare i vari

aspetti del fenomeno.

Anche quando ciò accade si ha una netta divisione fra le varie discipline,

cosicché gli unici tentativi di sintesi sugli SMC, seppure molto interessanti,

vengono compiuti separatamente da psicologi , sociologi o antropologi: una

teoria generale sugli SMC resta da fare.

Fra questi tentativi di sintesi i più interessanti sono quelli di Shutz12 con la sua

fenomenologia delle realtà multiple, le sintesi psicologiche di Charles Tart13 e di

Arnold Ludwig14, e infine i saggi di stampo antropologico di Erika Bourguignon e

di J. P. Valla. Vediamoli brevemente.

10 W. Sargant, 1957, Battle for the Mind, Maryland, Penguin Books.11G. Lapassade, op.cit., p.199.12 A.Shutz, 1987,Le chercheur et le quotidien, Paris, Méridiens.13 C. Tart, 1969, Alterated States of Consciouness,New York, John Wiley; 1977, Stati di Coscienza, Roma, Astrolabio.14 A.Ludwig, 1968, Alterated States of Consciouness, in Trance and Possesion States, Montreal, ed.Raymond Price.

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Shutz parte, nella sua analisi, descrivendo quello che è l’atteggiamento

naturale” dell’uomo nel mondo, quella “coscienza ordinaria di veglia”, quella

norma dalla quale ci si possa poi staccare.

Garfinkel suggerisce l’immagine del viaggio oltre una terra ferma dalla quale si

può partire e poi ritornare:

“Le scene familiari delle attività quotidiane...forniscono il “punto

fisso”, il “c’est ça” al quale torniamo negli stati di veglia, e sono i

punti di partenza e di arrivo per ogni modificazione del mondo

quotidiano che si compie nel gioco, nel sogno, nella transe, nel teatro,

nella ricerca scientifica e nelle grandi cerimonie.”14

Shutz individua gli aspetti fondamentali di questo “atteggiamento Naturale”

dell’uomo nel mondo:

1. Una tensione specifica della coscienza, legata all’idea di “attenzione alla

vita”(attenzione attiva).

2. Una epochè specifica, cioè la sospensione del dubbio .

3. Una prevalente forma di spontaneità, in modo specifico il movimento

corporeo.

4. Una specifica forma di percezione del proprio Io come “Io totale”.

5. Una forma specifica di socialità, il mondo comune dell’intersoggettività,

dell’azione sociale e della comunicazione.

6. Una prospettiva temporale specifica di tempo comune.

Partendo da questo atteggiamento naturale, caratteristico degli SOC (Stati

Ordinari di Coscienza), si possono descrivere altrettanti aspetti degli SMC, vale

a dire:

1. Una tensione decrescente e una diminuzione dell’”attenzione alla

vita”(attenzione passiva ).

2. Un’epochè di transe, una messa fra parentesi del mondo del lavoro.

3. Una spontaneità di transe, il corpo della transe.

4. Un Io diviso, dissociazione, identità di transe.

5. Esperienze tanto di solitudine che di relazione all’altro.

6. Durata pura, contratta o dilatata.

14A.Garfinkel citato in G. Lapassade, 1997, Stati modificati e transe, Roma, Sensibili alle foglie, p.74.

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Ora, come è possibile il passaggio fra SOC e SMC? Shutz usa il termine “salto”,

“trauma”, ma non spiega come questo possa prodursi o svilupparsi, non

affronta il problema dell’induzione, non parla di droghe, di ipnosi, o delle varie

tecniche della transe, limitandosi a descrivere le situazioni in cui questo

passaggi avviene. E questo è un grande limite della pur interessante teoria di

Shutz.

Le sintesi proposte dalla psicologia americana risentono fortemente

dell’influenza dell’esperienza psichedelica, ma non per questo non sono valida

dal punto di vista scientifico.

A.Ludwig sottolinea il fatto che i caratteri fondamentali degli SMC variano da

cultura a cultura, ma individua i dieci tratti fondamentali di tali stati15:

1. Modificazione del pensiero, con maggiore attenzione verso l’interno, disturbi

alla memoria e alla capacità di concentrazione.

2. Disturbi nella percezione del tempo.

3. Perdita del controllo, possibilità di perdita del controllo cosciente per il

raggiungimento della verità.

4. Mutamenti nelle emozioni, minor controllo, minore inibizione. Possibilità di

distacco ed emozioni più “primitive”.

5. modificazione nella percezione del corpo, spersonalizzazione, sensazioni di

integrità, di trascendenza, scissione corpo-spirito.

6. Distorsioni percettive, allucinazioni, anche determinate dalla cultura, dal

gruppo, da fattori neurofisiologici.

7. Modificazione del senso e della significazione. Maggiore importanza

all’esperienza soggettiva, alle idee e alle percezioni. Illuminazione,

intuizione, crescita del significato.

8. Ineffabilità dell’esperienza. Difficoltà a ricordarsene o a comunicarla.

9. Impressione di ringiovanimento e di nuova speranza.

10. Ipersuggestionabilità, maggiore propensione ad ubbidire agli ordini di un

capo o delle aspettative culturali.

Ludwig, a differenza di Shutz, distingue anche cinque tipi di situazioni in grado

di produrre SMC:

1. Diminuzione dell’attività motoria, delle stimolazioni eterocettive,

deprivazione sensoriale, esposizione a stimoli ripetitivi e monotoni ( ipnosi,

stati mistici e ascetici, letargia).

2. Aumento dell’attività motoria ,degli stimoli eterocettivi, dell’emozione

( danza, stati mentali di eccitazione, transe ipercinetica, raduni di folle...).

15 Ibidem, p.78.

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3. Ipervigilanza, asseto mentale convergente e selettivo (preghiera,

coinvolgimento totale nell’ascolto di un’orazione...).

4. Diminuzione della vigilanza, stato mentale passivo e diminuzione della

capacità critica.

5. Modificazione nella neurofisiologia e nello stato chimico del corpo

(assunzione di droghe ma anche assopimento, disidratazione, anoressia,

mancanza di sonno...).

Il raggiungimento dello stato di transe è determinato, secondo Ludwig, dal

concorso di diversi fattori, il cui grado di presenza e la cui specificità determina

il carattere della transe.

Così diversi fattori concorrono al raggiungimento della transe in società

diverse, ma anche nella stessa società in diversi tipi di transe, e nello stesso

soggetto in diverse occasioni.

Ludwig, inoltre, individua negli SMC due diverse funzioni: si hanno infatti

funzioni di disadattamento e funzioni adattive. La transe può infatti svolgere

una funzione di difesa in situazioni minacciose per la coscienza, e risolvere

conflitti emozionali non affrontabili dal soggetto, con fughe ed amnesie.

E’ questa la funzione adattiva della transe, spesso non riconosciuta in

Occidente, ma che, come ci insegna l’etnopsichiatria, in culture differenti dalla

nostra, viene considerata benefica per l’individuo e per la società.

Sempre di stampo psicologico è il modello sistemico proposto da C. Tart nel

1975, che prende in esame i lineamenti fenomenologici degli SMC, descrivendo

di volta in volta le modificazioni provocate dalla transe:

“Si constatano, anzitutto, dei disturbi nella concentrazione, nella

memoria, nell’attenzione, nelle valutazioni- con regresso a modi di

pensare più arcaici[...]Il senso del tempo può venir perturbato da

impressioni di arresto del tempo, da accellerazione o rallentamenti, il

trascorrere del tempo può apparire d’una durata infinita oppure, al

contrario, infinitesimale.”16

Altri punti focali dell’indagine di Tart ci insegnano che si hanno cambiamenti

rilevanti nell’espressione delle emozioni, che l’immagine del corpo può subire

distorsioni eche anche il senso dell’identità personale può essere

compromesso dalla transe, della quale l’inconscio è la dimensione essenziale;

in realtà egli preferisce parlare di subconscio, intendendo con questo termine

non solo il subconscio freudiano, ma anche un subconscio creativo, più olistico

16 G. Lapassade, op.cit., p.78.

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che analitico, legato al funzionamento della parte destra del cervello, quello

preposto all transe.

Infine diamo uno sguardo ai tentativi di sintesi antropologica di E. Bourguignon

e di J.P. Valla.

La Bourguignon affronta il problema della transe seguendo una via assai

diversa da psicologi come Tart e Ludwig, e propone un saggio di sintesi nel suo

“Trattato di antropologia psicologica” del 1979, organizzando la sua sintesi su

rituali che implicano la presenza di due grandi categorie della transe: la transe

con visioni dello sciamano e le transe rituali di possessione.

“Le transe con visioni si incontrano generalmente nei gruppi etnici

meno complessi che vivono di caccia, pesca e raccolta. Esse possono

essere provocate con mortificazioni del corpo di vario tipo,

l’isolamento e la deprivazione sensoriale ad esempio, nella ricerca di

visioni degli Amerindi, o con allucinogeni.[...]Le transe di possesione

rituale s’incontrano in quei gruppi etnici più complessi la cui vita

dipende sopratutto dall’agricoltura o da una combinazione di

agricoltura e pastorizia.”17

Questi diversi tipi di transe sono, secondo l’autrice, risposte a stress che

differiscono secondo le forme sociali la posizione dei gruppi nelle varie società,

e se la transe visionaria dello sciamano è principalmente un’esperienza

personale, la transe di possessione diviene una pubblica performance, che

abbisogna di un pubblico.

La particolarità degli studi della Bourguignon sta nel fatto che ella si è

preoccupata di studiare gli SMC nei loro contesti e nelle loro consuetudini

culturali, andando oltre le analisi “di laboratorio” degli psicologi.

Infine J. P. Valla18 nota presenta una tipologia dei differenti atteggiamenti

addottati dalle varie società nei confronti delle esperienze indotte

dall’assunzione di sostanze allucinogene, e quindi, per esteso i differenti

atteggiamenti verso gli SMC.

Se in alcune società la transe è un fatto comune cui tutti possono accedere,

come nel caso delle società che ammettono i culti di possessione, in altre gli

SMC vengono ritenuti patrimonio di pochi “specialisti”, ed è questo il caso degli

sciamani e dei medium.

In altri casi lo SMC non è utilizzato solo su scala individuale, ma, attraverso la

mediazione del profeta, diviene fattore scatenante di movimenti sociali, come

nel caso delle culture della crisi e nelle varie forme di messianesimo.17 E.Bourguignon, 1979, Psychological Anthropology, cit. in G. Lapassade, 1996, Stati modificati e transe, Roma, Sensibili alle foglie, p.86/87.18 Valla J.PP.,1983, L’expérience hallucinogéne, Paris, Masson.

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E se in molte società gli SMC sono associati ai riti di passaggio e divengono

esperienza di tutti almeno una volta nella vita, alcune società vedono con

sospetto gli SMC, come nel caso della caccia alle streghe, che in Europa tra il

XIV e il XVI sec. , portò all’eliminazione di quasi ogni forma di transe rituale.

E nel mondo occidentale? Secondo Valla per la società occidentale gli SMC

sono la follia, pur se a partire dal movimento psichedelico qualcosa è cambiato.

Certo è che la razionalità occidentale ha emarginato nell’irrazionale qualcosa

che in tempi diversi godeva di ben altro statuto.

1.3 Breve storia della transe

Per meglio comprendere il valore e il peso del recupero della transe ai giorni

nostri, e la sua presenza durante i rave, occorre fare un passo indietro, e

vedere come la transe si sia presentata nelle varie epoche, come sia stata

interpretata.

“La transe è un comportamento del corpo. Nello stesso tempo, come

tutti i comportamenti, essa è, fin dall’origine, modellata dalla cultura.

Ma non basta enunciare questo principio generalmente ammesso: la

determinazione culturale della transe è diversa, non solo a seconda

delle culture, ma anche dei momenti storici. La transe, quale oggi si

può osservare in certe cerimonie descritte dagli etnologi, è un

comportamento rituale estremamente complesso, surdeterminato,

surcodificato: essa racchiude nei gesti, nelle forme espressive, negli

atteggiamenti, una stratificazione di modelli che sono stati elaborati

in diversi momenti.” 19

La possessione

Tra le varie istituzioni della transe il culto di possessione è stato in particolare

studiato, fin dall’inizio di questo secolo, a partire dagli studi sul condomblè di

Bahia e sul vodu di Haiti; in seguito le ricerche si sono moltiplicate, e

disponiamo oggi di numerose descrizioni di questi riti.

H. Jeanmarie presenta un riassunto sintetico dei punti acquisiti della materia:

“E’ una caratteristica costante che il posseduto, qualunque sia

l’ambiente della setta e il gruppo linguistici cui appartengono gli

19 Clèment-Cixous, 1975,,citato in G. Lapassade,1997, Dallo sciamano al raver, Milano, Urra, p.LIV.

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adepti, fa da “cavallo” allo spirito possedente. Si dice che un tale è il

“cavallo” di questo spirito.”20

Ma la nozione di possessione diabolica appare fin dal 1694 in seguito all’affare

delle “ossesse di Loudun”, scoppiato nel 1632, quando alcune suore Orsoline

manifestarono segni di crisi individuale poi esplosa in numerosi casi di

possessione da parte del Demonio; allora con possessione diabolica si

indicavano infatti quei casi in cui un essere umano è abitato e diretto da un

essere soprannaturale e malefico:

“Il detto padre avendo preso la detta sorella degli Angeli e comandato

a Leviathan di apparire, il viso le è diventato ridente e grazioso in

modo straordinario...Ed essendo incitato ad obbedire , il viso grazioso

qual era nella su detta sorella si è tramutato in maniera assai furiosa,

ed è stato agitato da violentissime convulsioni. E l’esorcista, sempre

continuando, a invitato pressamente Leviathan a riferire il suo patto.

E’ stato detto alla sorella : a chi pensi tu di parlare?

Interrogato: “chi sei?”

Ha detto “Behemôt”

Al che l’esorcista ha fatto comando a Behemôt di ritirarsi ed a

Leviathan di salire nella testa della sorella...” 21

Ma basta togliere l’aggettivo “malefico ”attribuito alla divinità soprannaturale e

avremo il significato etnologico della possessione, in cui la divinità in

questione non ha affatto attributi malefici, come nel caso di culti di possessione

africani nei quali, non esistendo una netta distinzione fra Bene e Male,

caratteristica dei culti cristiani, la possessione non può essere opera del

diavolo. Lo stesso discorso vale per il concetto di possessione legato alla civiltà

greca antica.

Non esiste una netta equivalenza fra possessione e transe, e ciò è evidente in

alcuni culti africani, in cui la possessione non è necessariamente

accompagnata da forme di transe collettive.

Una equivalenza fra possessione e transe sarebbe riduttiva quanto

l’interpretazione medianica della stessa: possessione e transe diabolica non

sono che categorie della transe, e le definizioni in base al comportamento

convulsivo del corpo sono assai limitative.

20 H. Jeanmarie, 1972, Dionisio. Religione e cultura in Grecia, Torino, Einaudi, p. 119.21 Lettera di Killygrew, citata in G. Lapassade, 1997, Dallo sciamano al raver, Roma, Sensibili alle foglie, p. 79.

39

Page 40: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

Occorre superare e integrare le interpretazioni del fenomeno della transe

caratteristiche del momento “magnetico” e momento “etnologico”, facendo

così “esplodere” il concetto: il materialismo isterico, sostenuto fortemente da

G. Lapassade , cerca di spiegare cosa oggi la transe significhi, seguendo un

approccio genealogico.

Lo sciamano

Il termine sciamanesimo è in primo luogo collegato alla religione di certe zone

della Siberia e della Mongolia (il termine deriva dalla parola tungusa shaman),

caratterizzate dal culto della natura e degli spiriti e ha quindi un’origine

geografica ben precisa, ma il termine è stato poi utilizzato per designare la

figura centrale di molte altre religioni, specie quelle africane e sudamericane.

“Lo sciamanesimo è la pratica della tradizione, che risale al Paleolitico

superiore, di guarigione, di divinazione, di recitazione teatrale basate

sulla magia naturale, nate e cresciute in un periodo che va da

diecimila a cinquantamila anni fa.[...]che lo sciamano sia un Inuit

abitante dell’Artico, o un Witoto dell’Amazzonia superiore, certe

tecniche e certe aspettative sono le stesse. Tra questi fattori

invariabili il più importante è l’estasi...[...]Eliade ha dimostrato come,

mentre i temi specifici possono variare tra le diverse culture, e perfino

tra individui, risulta chiara la struttura generale dello sciamano: come

neofita lo sciamano subisce una morte simbolica seguita da una

resurrezione, intesa come trasformazione radicale in una condizione

sovraumana. ”22

La transe e l’estasi dello sciamano non vengono spiegate con l’intervento di

entità superiori, lo sciamano non è un posseduto, come ci illustra M. Eliade:

“Una prima definizione di questo fenomeno complesso, quella, forse,

che ancora è al meno azzardata, potrebbe essere:

sciamanismo=tecnica dell’estasi.[...]Benchè lo sciamano sia, fra

l’altro, un mago, non ogni mago può essre qualificato come sciamano.

La stessa precisazione si impone nel riguardo delle guarigioni

sciamaniche: ogni medicine-man è un guaritore, ma lo sciamano

utilizza una tecnica propria solo a lui. Quanto alle tecniche

sciamaniche dell’estasi, esse non esauriscono tutte le varietà

dell’esperienza estatica attestate dalla storia delle religioni e

22 T. Mc Kenna, 1995, Il nutrimento degli dei, Milano, Urra, p.5.

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Page 41: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

dall’etnologia religiosa: non si può dunque considerare un qualsiasi

estatico come uno sciamano; questi è lo specialista di una transe

durante la quale si ritiene che la sua anima può lasciare il corpo per

intraprendere ascensioni celesti o discese infernali.”23

Lo sciamano insomma compie, attraverso la transe, un viaggio spirituale, che

gli permette di mettersi in contatto con gli dei, gli spiriti o i demoni:

“Occorrerebbero diversi volumi per studiare adeguatamente tutti i

problemi che si pongono in relazione all’idea stessa di spirito e dei

suoi possibili rapporti con gli essreri umani...Ma lo studio dello

sciamanesimo non esige tutto questo: basterà fissare la posizione

dello sciamano nei confronti dei suoi spiriti ausiliari. Ad esempio si

vedrà facilmente che uno sciamano si distingue da un ossesso: egli

domina i suoi “spiriti” nel senso che lui, essre umano, riesce a

comunicare con i morti, coi “demoni”, con gli “spiriti della natura”,

senza per questo trasformarsi in loro strumento.[...]Gli sciamani sono

degli eletti, e come tali hanno accesso ad una zona del sacro

impenetrabile per gli altri membri della comunità.” 24

Anche Lapassade sottolinea la differenza fra l’estasi sciamanica e la

possessione, interpretando i fenomeni psicosomatici osservati:

“...nello sciamanismo, la transe ha per finalità l’uscita da se (ék-

stasis) e l’ingresso nella sfera della divinità, il viaggio dell’anima.

Nella possessione, al contrario, sono gli dei che entrano nei loro

“cavalli”.”25

La figura dello sciamano si trova presso tutte le popolazione primitive, e ,se

non è l’unica figura della transe presso tali popolazioni, è tuttavia la più

elaborata.

La transe dispotica

La transe è, in epoca preistorica, un fenomeno individuale, così come l’estasi

mistica dello sciamano. Solo quando lo Stato, nella sua forma primaria,

comincia ad esistere, si assiste alla collettivizzazione della transe: il potere

23 M. Eliade,1953, Lo sciamansimo e le tecniche arcaiche dell’estasi, Roma,-Milano,Fr. Bocca Editori, pp.18/19.24 Ibidem pp.19/2025 G. Lapassade, op.cit.,pp.9

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Page 42: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

organizzatore si è dovuto impadronire della transe, per servirsene allo scopo di

mantenere l’ordine costituito.

La transe collettiva assume la forma di una transe di possessione, non vi è più

il rapporto duale caratteristico dei riti iniziatici, ma si assiste alla nascita di riti

ipnotici e sonnanbolici, come i grandi rituali dell’Africa occidentale (Fon,

Yoruba) e in maniera minore i rituali afroamericani quali il condomblè.

Il legame fra transe collettiva e dispotismo è molto evidente nei grandi imperi

di tipo non feudale, ma asiatico, caratterizzati da un potere totale, capace di

manipolare l’uso della transe.

“In questo momento del dispotismo l’ipnosi, accompagnata o no

dall’uso delle droghe, è diventata un elemento essenziale della messa

in transe, del condizionamento e dell’iniziazione. Per riuscire a

spiegare il capovolgimento che si è verificato nella storia della transe,

e che rimane leggibile nelle grandi transe rituali di oggi, nelle

istituzioni della possessione di tipo africano, non è sufficiente

descrivere queste analogie far il comportamento estatico e il

comportamento ipnotico[...].E’ necessario anche mettere questo uso

manipolato della transe in rapporto con una forma determinata di

potere politico che può essere definita[...]come un potere totale.” 26

Nei rituali originati dalla diaspora dei neri d’Africa, come il suddetto condomblè,

la macumba e la derdeba, all’eredità specifica del dispotismo ( in cui si ha una

transe rigida, controllata e senza alcuna funzione terapeutica), si mescolano

altre sedimentazioni storico-culturali, come la teatralizzazione della transe e il

concetto di possessione diabolica caratteristico dell’epoca feudale.

Dalla transe profetica alla funzione terapeutica

Attorno al VI sec. a.C., si assiste al declino del dispotismo orientale, e con

questo, all’attenuarsi della transe dispotica.

Il corpo non è più sottomesso a condizionamenti e comandi programmati, e si

assiste così alla nascita della transe profetica : il profetismo ebraico e il

menadismo greco, prima, e la transe araba poi, la quale è sopravvissuta fino ai

giorni nostri attraverso le confraternite arabo-islamiche.

Parallelamente nasce anche la transe catartica e drammatica dei culti di

Dionisio, che rappresenta una nuova fase nello sviluppo della transe: nel rito

cominciano a infiltrarsi i bisogni individuali.26 Ibidem, p. LVII.

42

Page 43: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

Il sistema greco della schiavitù rende più complessa , più conflittuale la società,

la stratificazione in schiavi e uomini liberi fa sì che i riti di possessione

assumano una funzione di ribellione.

A Roma, nel II sec. a.C. quei culti verranno repressi: la danza di possessione

era stata fino a quel momento alleata dei poteri tradizionali, diventa ora

strumenti di ribellione.

“Pressochè in ogni fase della sua storia, la transe è legata alla lotta di

classe.[...]Presso i Greci la contrapposizione Dionisio e Apollo è la

contrapposizione fra dominati e dominanti: Ciò diventa

particolarmente visibile a Roma, con la repressione della transe

dionisiaca.[...]Secondo Tito Livio, più di settemila persone, uomini e

donne, sarebbero state implicate nella congiura. [...]Vi fu un gran

numero di esecuzioni capitali. Venne ordinata la distruzione, ovunque,

dei luoghi di culto (i Bacchanalia) pubblici o privati, col divieto di

costruirne altri. Va detto, tuttavia, che Bacco non è il diavolo, e che

non siamo ancora esattamente all’epoca dell’Inquisizione...” 27

E’ la transe catartica, liberatoria, nella quale si introduce il gioco, l’arte

drammatica; l’infiltrazione dei desideri individuali nella celebrazione degli dei

indica che la transe ha ora una funzione terapeutica.

Transe satanica

Nel medioevo Dionisio diventa il Diavolo. Attraverso un lungo processo che

raggiunge il suo culmine nei sec. XVI e XVII, si assiste in Europa alla

demonizzazione della transe, ad opera della religione Cristiana imperante: la

religione decaduta diventa stregoneria per quella imperante.

La transe popolare diventa così una pratica demoniaca, condannata e

perseguitata dall’infernale macchina dell’Inquisizione.

La strega cade in transe, sotto l’effetto di erbe allucinogene quali lo stramonio,

la belladonna e l’aconito: per il potere ecclesiastico ella non è che la schiava

del Demonio, del nemico di Dio.

J. Michelet, nella sua opera “La strega”, propone una ricostruzione storica e allo

stesso tempo romanzata della stragoneria e della nascita del sabba:

“Le vecchie danze pagane probabilmente infuriarono allora più che

mai.I nostri negri delle antille, dopo un giorno orribile di calura, di

fatica, andavano pure a ballare sei miglia lontano. Così faceva il

27 Ibidem, pp.35/36

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Page 44: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

servo. Ma alle danze si mescolavano probabilmente certe allegorie di

vendetta, farse satiriche, beffe e caricature del signore e del prete.

Tutta una letteratura notturna, che non ebbe punto a che fare con

quella del giorno...Ecco quel che significavano i sabba prima del 1300.

Perché assumesse la stupefacente forma di una guerra dichiarata al

Dio di quel tempo, ci vuole ancora di più, ci vogliono due cose: non

solo che si scenda al fondo della disperazione, ma anche che non si

rispetti più nulla. Questo avviene soltanto nel secolo XIV.”28

La demonizzazione della transe in Europa, e le sue ripercussioni su tutto il

mondo occidentale, spiegano la quasi totale scomparsa della stessa, e la sua

trasformazione in isteria.

Transe isterica

“L’isteria, nel modo di produzione capitalistico, ha sostituito la transe

diabolica. Non deve dunque meravigliare il fatto che il corpo in transe

metta in opera delle tecniche che si assomigliano nelle diverse fasi

della sua produzione, e che evocano per noi il corpo isterico: si

comprende ciò nel momento in cui si ammette quel processo di

produzione al termine del quale la transe, privata di ogni forma

specifica culturale e sociale di espressione nel contesto dl

cristianesimo e del capitalismo, trova il suo estremo rifugio in questo

estremo avatara.” 29

L’isteria è, insomma, una forma della transe, che si manifesta per la prima

volta nel XVI sec., nella transe isterico-diabolica degli ossessi di Loudun.

Isteria come ultima fase della transe, insomma, e da qui al divano di Freud il

passo è breve.

“Quando Freud e Brauer raccontano le tecniche terapeutiche che

usano per curare l’isteria, essi parlano di una lotta che è la stessa che

gli inquisitori organizzano su scala europea contro i demoni.”30

Transe planetarie

Cosa rimane oggi di tutte queste forme della transe?

28 J. Michelet, 1971, La strega, Torino, Einaudi, p.86.29 G.Lapassade, op.cit., p. LIX.30 Clément-Cixous, citato in G. Lapassade, 1997, Dallo sciamano al raver, Milano,Urra, , p.LIX

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Page 45: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

Presso le culture tradizionali dell’ Indionesia, dell’Africa, dell’Australia e del Sud

America, i riti si ripetono uguali da migliaia di anni, ma la vita tribale e le

tradizioni rischiano di essere schiacciate dal peso del progresso occidentale, e

mentre in Europa rimane ben poco, oltre ad alcune forme di transe isterica,

come il tarantolismo pugliese, nel mondo musulmano e in America latina le

istituzioni della transe hanno invece conosciuto un’altra storia, pervenendo fino

ai giorni nostri e trovando ancora un vasto seguito popolare.

Ai fini del nostro lavoro ritengo più utile dare un’occhiata a quelle istituzioni

della transe che ci sono, diciamo così, più vicine: il fenomeno del tarantismo, i

rituali musulmani che attraverso l’immigrazione sono giunti nel vecchio mondo,

e il fenomeno dei nuovi visionari.

Il tarantismo

La danza dei tarantolati è stata studiata e documentata fin dal lontano XIV°

sec., perché proprio a partire da quell’epoca il fenomeno si sviluppò, non solo

nel Salento, ma in molte altre zone dell’Europa, dove prendeva il nome di

“ballo di S.Vito” o “ballo di S. Giovanni”.

Le zone colpite da fenomeni simili erano molte povere, e colpite ripetutamente

dalla peste e da altre epidemie. La danza dei tarantolati era l’unico mezzo a

disposizione della popolazione per liberarsi momentaneamente delle proprie

miserie e dei propri dolori.

Tutto nasce quando il Cristianesimo arriva in Puglia, e per conquistare la

popolazione deve adattarsi alle antiche credenze pagane: sulle rovine dei

luoghi di culto sorgono le chiese, i santi cristiani prendono le funzioni e gli

attributi delle divinità pagane, e le antiche usanze pagane, come la

processione, vengono adottate dal Cristianesimo.

C’è però qualcosa che la religione costituita non può accettare : i riti orgiastici

legati al culto del dio Dionisio, profondamente radicati nella cultura salentina,

che nonostante tutti gli sforzi della Chiesa, resistettero, sotto falsa maschera.

Probabilmente ci si riuniva di nascosto, , per ballare e praticare ancora quanto

legato agli antichi culti, ma tutto questo era peccato, da cui l’esigenza di una

maschera.

“Se il Tarantismo, che è un culto di possessione europeo, ha potuto

sopravvivere a questa repressione, ciò è dovuto al fatto[...]che esso

ha saputo mascherare se stesso: in questo culto la possessione è

diventata infezione dovuta al “veleno” della tarantola ed il rito di

45

Page 46: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

possessione una tecnica di terapia musicale apparentemente distinta

da ogni rappresentazione di ordine sovranaturale” 31

Secondo la credenza la “pizzica” era infatti l’unico rimedio contro il morso della

tarantola, ragno molto diffuso nell’antichità nella zona di Taranto, e da cui

prende nome la danza. E così chi danzava al ritmo del tamburello non era più

un peccatore, ma una vittima del ragno, che solo così poteva aver salva la vita.

Così, attraverso i secoli, l’eco del culto di Dionisio e la danza profana giungono

fino ai giorni nostri: ancora oggi infatti, il fenomeno resiste :certo sono in pochi,

pure in Salento, a ballare al ritmo della pizzica, ma ancora danzano.

Nel corso di una inchiesta sul tarantismo, nel 1959, E. De Martino e la sua

équipe scoprirono per caso, a Nardò, nel Salento, una tarantata, cioè una

donna che manifestava tutti i “sintomi” della “danza del ragno”; da questa

esperienza nacque un’opera molto interessante, perché frutto di

un’osservazione diretta di un fenomeno di transe in un contesto occidentale e

moderno, sopravvissuto fino ai giorni nostri grazie ad una “maschera”, come

abbiamo visto, ma grazie anche alle condizioni di arretratezza culturale e

sociale della Puglia del dopoguerra.

Il tarantismo è un fenomeno di transe tipicamente femminile, spesso associato

alla transe di possessione, ma nel quale non è difficile individuare il dispositivo

ipnotizzatore, rintracciabile nel rituale terapeutico:

“E davvero le cose si svolgevano sotto i nostri occhi come se si

trattasse di far sì che il corpo-taranta della tarantata si tramutasse in

corpo-strumento e quindi in corpo ritmico e melodico, per ristabilire

così il rapporto con qualche cifrato patire psichico.”32

Nella “danza del ragno” si rintracciano, in realtà, più le caratteristiche della

transe isterica, o meglio si ha una conferma dell’analogia fra isteria e transe

terapeutica:

“...ai primi accordi dei suonatori, la tarantata restò immobile sul letto,

ma al prorompere della tarantella un grido altissimo accompagnato

dall’inarcarsi del corpo a ponte sottolineò l’apertura della giornata

rituale. Era un arco isterico classico, di quelli che oramai si leggono

31 G. Lapassade,1997,Stati modificati e transe, Roma, Sensibili alle foglie, p.89.32 E. De Martino, 1976,, La terra del rimorso. Contributo a una storia religiosa Sud, Milano, il Saggiatore, p.68.

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solo nei libri: puntamento sui talloni e nuca ipertesa, braccia

semiflesse, corpo iperflesso.”33

Una nuova cultura visionaria

Nel 1858 a Lourdes, nel Nord della Spagna, ad una giovane ragazza apparve la

Vergine Maria e, benché altre apparizioni si fossero prodotte in precedenza

(famose sono quella di Fatima in Portogallo e quella di Medjugorje in Bosnia) fu

da quell’evento che si sviluppò una nuova cultura visionaria (NCV), studiata, fra

gli altri, da G. Lapassade.

Secondo Lapassade queste NCV prolungano tradizioni già stabilite, ma si

arricchiscono di nuovi e specifici caratteri, ancora poco studiati.

I visionari sono generalmente bambini, o adolescenti, che cadono, al momento

dell’apparizione in uno stato di transe presentate come estasi. Le apparizioni

della vergine sono spesso accompagnate da una visione di Satana, e dal

prodursi di stigmate.

G. Lapassade ha dicumentato alcune di queste apparizioni:

“La Domenica 31 maggio, la Madonna invita i presenti a guardare il

cielo. Si può allora osservare il sole girare vorticosamente su se

stesso, alternativamente nei due sensi, assumendo colori sempre

diversi.[...]Ma ecco che Satana farà la sua entrata in scena.[...]Si

scatena allora il finimondo. I ragazzi paiono indeminiati. Afferrano

ogni oggetto a portata di mano e lo scaraventano per terra. Spogliano

violentemente l’altare di ogni addobbo.”34

Questi tratti non si ritrovano sistematicamente in tutte le visioni, ma

definiscono l’ orizzonte culturale in cui tali apparizioni si verificano, a Lourdes

come a Oliveto Citra, nei pressi di Salerno, e come a Crosia, cittadina in

provincia di Cosenza.

I tratti essenziali di tali apparizioni fanno ritenere che si tratti piuttosto di un

fenomeno di transe, in quanto l’estasi si produce non nella solitudine, nel

silenzio e nell’immobilità, ma in mezzo ad una folla di pellegrini, con

l’accompagnamento di musica, a volte prodotta dagli stessi visionari.

33 Ibidem, pag. 70.

34 Lapassade, op.cit.,pp.118/119

47

Page 48: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

Inoltre in questa NCV ritroviamo le grandi forme della transe religiosa: estatica,

sciamanica e diabolica, e ciò dimostra le diverse influenze e stratificazioni di

una transe moderna.

Alcune transe dal mondo arabo

Attraverso l’immigrazione sono giunti anche in Europa e nel mondo occidentale

riti e credenze islamiche, legati alla transe. I più diffusi fra questi rituali sono la

lila, e la danza dei dervisci roteanti.

La Lila è una cerimonia di origine sudanese, introdotta in Marocco dagli

Gnawa, confraternita di schiavi neri utilizzati come corpo militare elitario dopo

la disfatta dell’impero del Mali e del Songhai., fin dalla fine del XVI sec..

La diaspora verso i paesi del Maghreb ne accelerò l’islamizzazione, ma le

antiche pratiche sopravvissero in seno al sufismo nord africano.

Ancora oggi in Marocco queste pratiche sono tollerate, ma considerate con

disprezzo dalla “intellighenzia” locale.

“La Lila è una festa, E’ anche uno spazio di incontro, dove austeri veli

trasformati nei teli luminosi dei sette colori dell’ordine cosmico

“impressionano” il loro doppio celeste. La musica chiama gli dei: uno

ad uno questi geni si impadroniscono dei loro adepti, e li vestono dei

loro colori. La danza-transe comincia. Ogni incanto, ritmo, colore,

gusto e profumo corrisponde a un carattere, a un dio. La musica qui è

il filo sottile che collega il dicibile all’indicibile, il conosciuto allo

sconosciuto, il razionale all’irrazionale...” 35

La derdeba è il rituale completo della festa lila che dura da tre a sette notti, e

permette di rimettere la propria persona nell’ordine cosmico, grazie ad un

complesso gioco di corrispondenze. La Transe di possessione è in questo caso

un ritorno ai propri principi costitutivi, psichici, mentali e spirituali.

La lila è una cerimonia di musica e danza, basata sulla credenza negli jnoun (i

geni, gli spiriti) che diviene catarsi, liberazione e terapia, attraverso

l’espressione ritmica del corpo e il senso dell’umorismo, considerato dagli

Gnawa in grado di “aprire lo spirito”.

35 A. Baldassarre,1996, I neri dell’Islam, in G. Gallina (a cura di) , Transe - Il passato remoto della musica del futuro, Mialno, Virus-Musica 90, p.9.; la “lila” ha fatto il suo ingresso nel mondo occidentale, come altre cerimonie appartenenti al mondo islamico; in Italia il rituale completo è stato per la prima volta realizzato nella Cascina del parco delle Vallere, a Torino, durante la settima edizione di Musica 90- Dalle nuove musiche al suono mondiale.

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Si tratta di una cerimonia pubblica e segreta allo stesso tempo, durante la

quale si assiste talvolta a guarigioni miracolose e a fenomeni di

chiaroveggenza, considerati come “stati di grazia”, doni divini.

La danza dei Dervisci roteanti si distingue per la sua carica fortemente

spettacolare, e proprio per questo è forse la cerimonia islamica più conosciuta

nel mondo occidentale.

Anch’essa ha tuttora una valenza strettamente religiosa, essendo una vera e

propria preghiera, pur se celata sotto ad una vera e propria opera artistica di

musica, poesia e danza.

Con il termine dervisci si indica gli appartenenti a una confraternita mistica

sufi, la cui tradizione, diffusa soprattutto in Turchia, ma anche in Siria, Egitto e

Irak, risale fino al XVI sec.; i dervisci seguono le regole del Corano, che esorta a

seguire la pratica del “dikr”, cioè alla ripetizione del nome di Dio attraverso

cantilene e recitazioni ripetitive, ma aggiungono a questa pratica comune un

nuovo elemento: il movimento.

Come la ripetizione e la cantilena aiutano la concentrazione , così certi

movimenti del corpo, ripetitivi e circolari, favoriscono il raggiungimento

dell’ascesi mistica e della transe.

Accompagnato dal suono di flauti, cimbali, chitarre e diverse percussioni, il

rituale Sama inizia col canto dello scheik, maestro rituale, seguito dai tre

munschiddin, che elogiano il profeta Maometto. A questo punto, accompagnati

da un assolo di flauto i tre danzatori lasciano cadere il mantello nero e

scoprendo gli abiti bianchi stretti in vita da un’alta cintura, e cominciano la loro

originalissima danza roteando sul proprio asse in senso antiorario. Le vesti si

alzano formando ampi cerchi nell’aria, dando vita ad una rappresentazione

dell’unione fra cielo e terra, e a una simulazione dell’ordine cosmico.

La perfezione estetica preannuncia il prossimo raggiungimento dello stato di

transe.

1.4 Recupero della transe nel mondo occidentale

Qualche centinaio di giovani in maglietta Adidas e felpa col cappuccio ballano

fino a mattino in un capannone alla periferia di una grande città dell’Occidente;

danzatori balinesi ripetono gli stessi gesti dei loro avi, sulle alte scogliere

battute dal vento; a Bhaia, in Brasile, dove si intrecciano le religioni africane

delle origini e il Cristianesimo, le sacerdotesse del condomblè cadono in transe

ripetendo gesti in cui le pratiche cristiane si mescolano alle religioni africane

esplose.

Cosa accomuna tutti questi rituali, quale il filo che unisce il raver al sacro

danzatore congolese?

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Sebbene, come abbiamo visto, la transe collettiva e terapeutica tenda a

scomparire, negli ultimi anni si assiste, anche nel mondo occidentale, ad un

rinnovato interesse nei confronti della transe, evidente in movimenti come

quello per il potenziale umano e nel recupero della transe da parte di quella

parte della controcultura che la pone in una prospettiva nuova e innovativa: la

transe come scarica, tecnica liberatrice per un inconscio serbatoio di desideri,

oltre che di demoni.

Si sta assistendo insomma alla forte diffusione di uno spiritualismo, che oltre la

sensibilità New Age, assume forme originali e nuove, sganciate dal peso delle

grandi religioni monoteiste che per secoli hanno schiacciato l’Occidente (e non

solo...) con le loro dottrine ferree.

Si assiste alla nascita di una spiritualità diversa, necessaria a coprire i vuoti

lasciati dalla crisi della razionalità e dell’industrialismo (e delle grandi religioni),

una spiritualità dotata di connotazioni tribali e primitivistiche, che ha nella

transe il suo fondamento.

Recupero della transe in Occidente, come nuova forma di avvicinamento al

divino, quando le regole e la cultura ufficiale non sanno, non possono, più dare

risposte.

Transe liberatoria, che avvicina al divino e allo stesso tempo libera l’uomo da

quelle sovrastrutture che non gli permetterebbero di guardare oltre i pregiudizi

e la diversità di pensiero della propria cultura.

Questo accomuna il raver che saluta il Sole con l’Ecstasy nelle vene e la

fratellanza nel cuore a tutti gli Uomini e alle culture che ancor oggi, e prima di

oggi, si sono abbandonati ai piaceri (e agli Inferni) della transe: la ricerca di uno

stato di consapevolezza dell’importanza dell’”esserci qui e ora”, quel senso di

totale armonia con la Natura, quel sentirsi parte del Cosmo. Ed è tutto questo

che rende così interessante il fenomeno della techno-transe.

1.5 Techno transe

Cosa è esattamente la “techno transe”? E’ questa la questione di fondo che

negli ultimi tempi ha animato numerosi dibattiti, in seguito all’esplodere del

fenomeno rave, al quale la “techno-transe” è indissolubilmente legata.

Fra le ricerche sulla questione vorrei ricordare le preziosissime opere di tre

studiosi francesi, già ricordati più volte nella mia opera: C. Fontana, A. Fontaine

e il sempre presente, quando si tratta delle istituzioni della transe, G.

Lapassade.

Cos’è insomma lo stato di rave? Si tratta di un tipo di transe, se di transe si

tratta, già conosciuto?

50

Page 51: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

“Diversi dispositivi messi in opera nell’organizzazione della festa

mirano a creare una rottura con il quotidiano. Il rave in questo senso

è un rituale che permette e organizza il passaggio da uno stato di

coscienza a un altro. ”36

“L’uso della parola transe ha[...]il pregio di situare la ritualità rave in

una prospettiva di pratiche che sono vecchie come l’umanità: lo

sciamanesimo, le possessioni ritualizzate, le estasi dei mistici. Questo

non significa ricercare in questi fenomeni la chiave per

l’interpretazione della transe nei rave, ma solamente ricordare che

un grande numero di società sono ricorse all’alterazione volontaria

della coscienza ordinaria in contesti ritualizzati. La transe è stata vista

dunque da molte società come una risorsa, uno strumento in più. Ed è

esattamente ciò che succede durante i raves. Il punto centrale della

discussone è esattamente questo: come si può spiegare oggi questa

ricerca massiccia e deliberata di stati di transe? ”37

In questi passaggi Fontana e Fontaine notano una deliberata ricerca di stati

alterati nel dispositivo rave, mentre Lapassade si spinge oltre, introducendo un

legame fra il rave e altre ritualità transferiali, ricordando la funzione della

transe come risorsa e chiedendosi perché proprio ora riaffiori l’esigenza di

ricercare stati altri.

Gli autori qui non mettono affatto in dubbio l’esistenza di una techno-transe, e

si preoccupano piuttosto di indagarla, sempre tenendo conto che:

“...non voglio sostenere che tutti i ravers sono alla ricerca esplicita di

stati di transe, ma è indubitabile che per molti sia importante proprio

l’uscita dalla coscienza ordinaria”38

Come ci ricorda Lapassade, gli SMC divengono delle transes effettive quando

una società sceglie di coltivare questo o quell’altro stato, da cui si deduce che,

essendo i raves organizzati proprio in modo da sfuggire a ogni logica di

condizionamento culturale e sociale ordinario, per fare esperienza di stati non

ordinari, li si possa accomunare ai rituali di transe tradizionali.

Il rave allora come rituale di transe, transe che non può essere indotta in modo

automatico: asserire che tutti i ravers che si recano ad un raduno cadranno in

transe è assolutamente folle.

36 A. Fontana e C. Fontaine, 1997, Raver, Roma, Sensibili alle foglie, p. 22.37 G. Lapassade, Dallo stato di dikr allo stato di rave -La questione della transe nel movimento techno , in G. Gallina (a cura di), Trance-Il passato remoto della musica del futuro, Milano, Virus Production-Musica 90, p.40.38 Ibidem, p. 40.

51

Page 52: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

Lapassade ci ricorda che la transe risponde ad una disposizione neuro-

psicologica che l’individuo ha in sé: un soggetto, pur anche sottomesso ad un

condizionamento estremo, è più o meno disposto culturalmente e

intellettualmente a entrare in transe. E grande gioco hanno i condizionamenti

psicologici e fisiologici: non tutti sono in grado di raggiungere lo stato di transe,

e certo non tutti allo stesso modo.

“L’induzione di uno SMC presuppone il ricorso a delle azioni

psicologiche e/o fisiologiche che destabilizzano la struttura dello stato

di coscienza ordinario. Questa struttura, a seconda degli individui, è

più o meno solida. Lasciarsi andare alla transe significa in primo luogo

accettare di mettere temporaneamente in discussione la propria

coscienza ordinaria. ”39

Come dire che non tutti i ravers accetteranno di guardarsi dentro, specie se in

quel determinato momento non si sentono in forma, hanno problemi personali,

sono stanchi o nervosi.

Il rischio di un brutto viaggio non piace a nessuno, se la situazione è critica

meglio non lasciarsi troppo andare. L’esperienza insegna. Inoltre:

“Il contesto culturale ha anch’esso un ruolo essenziale nella transe: il

quadro in cui essa ha luogo, come si manifesta esteriormente e come

la manifestano gli individui, nel loro stesso sistema di pensiero,

caratterizzano queste manifestazioni. Dunque la transe, integrata e

socializzata altrove, qui è essenzialmente oggetto di ricerca per tutte

le discipline.[…] La transe, a lungo messa da parte, nella sua forma

collettiva, dalle nostre pratiche sociali, affascina e spaventa allo

stesso tempo.”40

Il fenomeno della transe non è famigliare al giorno d’oggi, come abbiamo visto

spesso viene associato alla follia, e nemmeno al raver, che pure ne ha fatto

esperienza più o meno diretta, esso pare un’esperienza “normale”, come

potrebbe esserlo presso alcune popolazioni tradizionali, ancora oggi.

E infatti, durante i rave, coloro che sembrano lasciarsi andare “troppo” alla

transe fanno paura, mettono a disagio.

La maggior parte dei ravers andrà presumibilmente in uno stato confusionale

simile alla transe, ma :

39 Fontana e Fontaine, op.cit., p.23.40 Ibidem, p.24.

52

Page 53: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

“Qualunque siano i mezzi tecnici utilizzati nel rave, questo vissuto

profondo della festa non può concernere che un nucleo di ravers: a

nostro parere sono coloro per cui lo “spirito” della festa è

effettivamente legato all’esperienza della transe, anche se essi non

utilizzano spontaneamente questo termine.”41

Questa osservazione è di fondamentale importanza ai fini del mio lavoro, come

vedremo in seguito quando tenterò di costruire una tipologia minima del raver,

è infatti la presenza e l’accettazione di una techno transe che fa la differenza

fra il “vero” rave e ciò che rave non può essere definito, ma anche di questo

parleremo in seguito.

Tornando alla disponibilità da parte del raver di farsi rapire dalla transe,

possiamo utilizzare le nozioni di set e setting (dispositivo e disposizione)

forniteci da Thimoty Leary e Ralph Metzner42, che furono, negli anni sessanta,

pionieri nelle ricerche legate alle droghe psichedeliche e a tutto il movimento

che nacque attorno a queste.

“La teoria prendeva in esame i fattori dell’atteggiamento individuale

(set), che comprendono attitudini interiori, personalità, motivazioni,

aspettative e via dicendo, e i fattori esterni ambientali (setting), quelli

cioè del contesto, dell’ambiente, sia fisico che sociale, compresa la

presenza di altre persone come il terapeuta, o medico, o guida.”43

Nel trattare la techno transe Lapassade ci ricorda che non basta la presenza di

dispositivi essenziali, quali la scenografia, i giochi di luce, l’assunzione di

sostanze psicoattive, perché si produca una transe: occorre infatti che

l’individuo sia mentalmente disponibile, che vi sia insomma un “desiderio

personale” di lasciarsi andare alla transe.

Questo vale sia per il raver che per altri rituali di transe, come la macumba

brasiliana:

“La macumba...è un rito di possessione in cui gli adepti in transe

incarnano delle entità sovrannaturali. Se gli adepti di un centro vicino

vi si recano in visita, in principio quella notte non debbono entrare in

41 Ibidem, p.26.42 Tra le opere di Leary e Metzer ricordo:R. Metzner,1987,Transformation Processes in Shamanism, Alchemy, and Yoga, in S. Nicholson, Shamanism , Theosophical Books; R. Metzner, 1997, Applicazioni terapeutiche degli stati modificati di coscienza, in “Altrove” n.4, ; Metzer R.e Adamson S.,1992, Ecstasy, Roma, Stampa Alternativa ed. Millelire; Leary T., 1974, L’esperienza psichedelica, Milano, SugarCo; Leary T, 1990, I germi degli anni Sessanta, in Cyberpunk Antologia, Milano, Shake Edizioni.43R.Metzner,1977, Applicazioni terapeutiche degli stati modificati di coscienza, in “Altrove” , p 115-124

53

Page 54: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

transe; ed effettivamente non saranno posseduti, benché il

“dispositivo” (musica, scenografia, regole generali) sia lo stesso nei

due entri vicini. Esiste certamente il dispositivo della transe, ma nei

visitatori non c’è la disposizione (set) a lasciarsi andare alla transe”44

Nei prossimi capitoli tratteremo meglio dei “dispositivi” che possono indurre la

techno transe: l’effetto di gruppo, la musica techno, gli induttori chimici, cioè le

droghe e cercheremo di descrivere l’ambiente rave, o, meglio, gli ambienti

rave.

Torniamo alla questione della presenza e dell’esperienza della transe ai rave.

Lappassade sottolinea che sarebbe assurdo tentare di comparare l’esperienza

dei raver con quella dei posseduti, legata all’esperienza della dissociazione e

allo sdoppiamento della personalità.

Lapassade ci ricorda che “...non si osservano nei raver consumatori di ecstasy

ne’ convulsioni ne’ allucinazioni (al di fuori di qualche caso patologico)...”45, e

qui occorre chiarire un minimo la questione.

Se si tiene conto che, come vedremo brevemente anche in seguito, l’Ecstasy

dell’ultima generazione è raramente MDMA puro, e non è raro che nella

composizione delle “pasticche” compaiano sostanze allucinogene, quali per

esempio la mescalina, o psicofarmaci che in associazione con altre sostanze

provocano vere e proprie allucinazioni, il discorso si complica.

L’ecstasy rimane la sostanza da rave per eccezione, ma non è assolutamente

l’unica.

Anche Metzner, pioniere della ricerca psichedelica, si pone la questione di che

tipo di transe si tratti la techno transe e nella sua piccola ma preziosa opera

sull’Ecstasy46 ritiene l’MDMA in grado di produrre un vero e proprio SMC,

nonostante non dia generalmente luogo a modificazioni nella percezione, come

nel caso degli allucinogeni tanto cari alla generazione psichedelica.

Metzner prosegue la sua analisi sostenendo che un livello intermedio fra la

techno transe e la transe di possessione potrebbe essere simile agli SMC

prodotti dagli allucinogeni, la cui presenza sulla scena techno è tutt’altro che

marginale, considearata la diffusione dell’LSD.

In definitiva la techno transe sembra essere una transe a tutti gli effetti, ma

valutarla rimane un problema aperto come sottolinea Lapassade:

“La valutazione dello stato di rave secondo le categorie degli SMC e

della transe presenta dunque almeno due difficoltà d’interpretazione :

44 G. Lapassade, op.cit., p.96.45 G. Lapassade, op.cit., p.10446 R. Metzner-Adamson S., Ecstasy,1992, Roma, Stampa Alternativa Millelire. MDMA: Metilene-Diossi-Metanfetamine, sostanza base dell’Ecstasy.

54

Page 55: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

un primo ostacolo avrebbe origine nell’idea riduttiva che in genere in

occidente si fa della transe, legandola essenzialmente a quella della

possessione con le sue manifestazioni di tipo isterico; un secondo

ostacolo deriverebbe dal fatto che la nozione di SMC, come abbiamo

ricordato, si è sviluppata soprattutto nel contesto della ricerca e del

movimento psichedelico, e che pertanto si trova associata alla

fenomenologia degli stati provocati dall’utilizzo degli allucinogeni.”47

A questo punto ci si domanda quale sia il legame fra la techno transe, e quindi

l’esperienza che della transe ci si può fare al rave, e il misticismo tanto in voga

negli anni della psichedelia, legato al misticismo orientale, e all’uso di potenti

droghe psichedeliche, come l’LSD, appunto.

Fin dall’inizio del secolo i lavori dedicati alla descrizione degli stati mistici, in

particolare dell’estasi, si sono basati sugli scritti dei mistici stessi, che avevano

avuto esperienza di tali stati nella solitudine della meditazione.

Le cose cambiano durante gli anni della psichedelia, per opera di quei giovani

ricercatori di psicologia riuniti attorno alla figura di Timothy Leary.

Ai fini della nostra indagine può essere invece molto utile il modello di transe

estatica elaborato da uno di questi ricercatori, W. Pankhe48, nel 1962, in

collaborazione con W.A. Richards.

Seguendo un’ottica del tutto nuova, Pankhe analizza le caratteristiche principali

degli SMC “sperimentali”, indotti cioè dall’assunzione volontaria sostanze

psichedeliche, e costruisce un modello basato su nove categorie:

1. L’unità

2. La trascendenza dello spazio e del tempo

3. La certezza della realtà della conoscenza intuitiva ottenuta

4. Il senso del sacro, ovvero quel sentimento di timore referenziale e di rispetto

descritti da R. Otto come mysterium tremendum)

5. La percezione del paradossale

6. L’ineffabilità dell’esperienza

7. La transitorietà dello SMC ottenuto

8. Un sentimento profondo e di responsabilità più universale

9. Un cambiamento in positivo nei comportamenti e nelle attitudine a

riconoscere l’intero universo come base della propria sicurezza.

47 G. Lapassade, op.cit., p.104.48 Pankhe W.-Richards W.A.,1966, Implications of LSD and Exerimental Mysticism, in Tart C., 1977, Stati di

Coscienza, Roma, Astrolabio.

55

Page 56: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

Rispetto ai modelli proposti da studiosi come Ludwig, si nota una certa enfasi

“mistica”, e forse un minore rigore scientifica, ma questo non toglie affatto che

per analizzare la techno transe questo sia un preziosissimo contributo.

Pochettino, nel presentare le nove categorie proposte da Pankhe

commenta:“ho trovato il loro legame con le sensazioni descritte dai ravers così

preciso che considero utile elencarle.”49

Fontana e Fontaine sono della medesima opinione, quando notano che alcuni

raver nelle loro testimonianze:

“...sottolineano il fatto che una conoscenza nascosta e ineffabile si

riveli parzialmente loro in questi secondi. Hanno l’intuizione intima di

una verità essenziale, straordinaria ed evidente, una sensazione di

immensità, una visione dell’”armonia dell’universo”, un “ritorno alle

origini”. La modificazione dello stato di coscienza ordinario è per loro

un’apertura verso “qualcos’altro”, vissuta come una rivelazione” più o

meno sconvolgente. ”50

Lapassade, di fronte a questi argomenti ammette che la difficoltà di metterli in

dubbio, ma ritiene che il problema teorico di fondo, e quindi il riferimento dei

raver all’esperienza mistica tradizionale, vada riformulato.

Egli sottolinea il fatto che l’estasi di tipo mistico prevede un dispositivo che è

all’opposto di quello rintracciabile nella techno transe, i tratti essenziali del

misticismi si rintracciano infatti nella ricerca di solitudine, nel silenzio,

nell’immobilità, nella preghiera e nella meditazione.

E’ quello che Ludwig definisce come dispositivo di ipostimolazione,

contrapposto all’iperstimolazione su cui è invece fondato il rave.

“...non più la solitudine, ma il gruppo, la folla, le migliaia di

partecipanti; non più il silenzio , ma la musica techno ad alta intensità

sonora; non più l’immobilità della preghiera o della meditazione, di

tipo orientale, ma il movimento e la danza” 51

Seguendo Ludwig si deve parlare di estasi per quelli stati vissuti

nell’ipostimolazione, e di transe per quegli stati vissuti invece

nell’ipostimolazione, come il rave appunto.

Insomma è la nozione di transe che si deve usare per l’esperienza della techno

transe, a dispetto dell’Ecstasy e della sua popolarità.

49 B. Pochettino, 1996, Rave , sostanze e rit(m)o , in “Altrove” n.3. p.121.50 Fontana e Fontaine, op.cit., p.55.51 G.Lapassade, op.cit., p.109.

56

Page 57: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

Tornando all’ipostimolazione, la si può collegare all’effetto di gruppo, tratto

generale dei rituali di transe, assai evidente nelle cerimonie, religiose, sportive

o politiche che siano.

Gli studiosi che si occupano di questi rituali sono in genere restii ad occuparsi

di tale aspetto, nonostante esista una letteratura di tipo psicosociologico e

psicoanalitico legata alla questione.52

Da tali studi emerge il fatto che i grandi raduni possono avere un effetto

“ipnotico” sui partecipanti, facendoli entrare in uno stato di coscienza diverso

da quello ordinario, e che la folla, in soggetti predisposti, può scatenare delle

vere e proprie crisi di panico e d’isteria.

Tutto ciò è assai evidente al giorno d’oggi, epoca delle grandi folle, durante i

grandi raduni sportivi, o i grandi concerti: la calca, il caldo, la stanchezza,

provocano si SMC, ma anche, è innegabile, fenomeni di violenza, aspetto

quest’ultimo assai raro durante i rave.

G. De Giuli, in un suo saggio inedito nota, a proposito dell’effetto di gruppo:

“I rave riuniscono un gran numero d’individui giunti con la stessa

intenzione, “fare festa”[…]. L’ampiezza della dimensione collettiva, la

sua strutturazione e le relazioni che si instaurano assumono un ruolo

particolare nella regolazione di questo rito particolare di fine

settimana.” 53

E l’ampiezza dei raduni rave, nonostante esistano anche raduni meno affollati e

più “intimi” può raggiungere cifre incredibili: a Castlemorton, nel 1992, si

stimarono ben 10.000 partecipanti, e alla Love Parade di Berlino, nell’estate del

1997 si dice siano accorsi ben 400.000 raver da tutt’Europa , qui parlare di

folla risulta riduttivo!

1.6 Techno-sciamani

Non esiste alcun tipo di studio che si chieda se, e in che misura, siano possibili

altri tipi di transe durante il rave.

Fontana e Fontaine rifersicono che durante i rave alcuni partecipanti hanno una

funzione dinamizzante, fanno “salire” gli altri, e aggiungono:

“Si assiste a volte a danze figurative, a specie di mimi molto personali

che potrebbero facilmente essere accomunati, in un’altra cultura, alla

possesssione. Nel corso di una festa siamo rimasti alungo affascinati

da un tipo che ballava, il cui comportamento ci sembrava

incomprensibile. Riproduceva senza sosta un insieme di movimenti, 52 Sigehele S., 1983, La folla delinquente, Padova, Marsilio.53 G. De Giuli, La transe nella folla citato in Fontana e Fontaine, op.cit., p.26.

57

Page 58: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

come un mimo. Cominciava col tendere le mani al cielo come per

ricevere dell’aqcua da una fontana immaginaria e con cui si

cospargeva il volto. Si teneva la testa e gesticolava con smorfie

spaventose, poi ricominciava, instancabile, lo stesso gioco.”54

Come abbiamo accennato e come vedremo meglio in seguito l’effetto della

techno, delle droghe, del gico di luci, non è lo stesso in tutti i soggetti. Vi sono

individui predisposti per cui è molto più facile, rispetto agli altri raver, cadere in

transe, viaggiare.

Parlare qui di sciamanesimo sarebbe azzardato, ma ciò che appare evidente è

l’esistenza di individui conosciuti per la loro capacità di “mandare fuori”, di

attirare pur involontariamente l’attenzione su di se.

Si tratta probabilmente di individui in cui i confini della coscienza sono più

deboli, mistici forse, o “santi”.

Non è questo il luogo in cui analizzare ciò che in comune hanno sciamani, santi

e profeti, cioè poi la capacità, il dono, di comunicare con mondi altri , ma vorrei

solo sottolineare che se in tutte le culture tradizionali c’è sempre stata una

figura legata alla transe e alle sue istituzioni, perché non potremmo, oggi,

avere degli “techno-sciamani”?

Non esiste nessuno studio, ma solo qualche testimonianza su questi “techno-

sciamani”, che spesso, non correttamente dal mio punto di vista, vengono

associati alla figura del DJ.

Occorre innanzitutto precisare che l’appellativo di techno-sciamano viene

utilizzato, in ambienti underground più spesso per indicare individui dotati di

grande genio nel campo della computeristica e della tecnologia in genere o

individui “cyber”, più che per indicare raver dotati di grande carisma. Molto

interessante è questa testimonianza, in cui passato e futuro si mescolano in un

‘originale visione del mondo:

“La visione sciamanica del mondo significa normalmente il credere in

forze soprannaturali, alle quali si può accedere per ottenere

cambiamneti nella realtà esterna. Normalmente si può avere accesso

a queste forze soprannaturali appellandosi a vari spiriti, che vivono in

un “mondo degli spiriti” nel quale si può giungere in sogno o

attraverso altri metodi di alterazione dello stato di coscienza

( stanchezza, sostanze psicoattive, canto, danza estatica, ecc...).

Questi spiriti sono disposti a interagire con gli uomini nello stesso

modo in cui gli uomini interagiscono con loro: trattati, appelli,

compensi...

54 Fontana e Fontaine, op.cit., p.42.

58

Page 59: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

Lo sciamano usa un modo di operare noto come “bricolage” (dal

francese “bricoleur, “fai da te”). Come un ingegnere, che ha qualche

idea sui principi teorici ai quali dare un’implementazione pratica, il

“bricoleur” possiede un set di tecniche dal quale egli preferisce e

sceglie lo strumento appropriato per la situazione che ha sotto mano.

[…] Il set di strumenti dello sciamano include un insieme di

associazioni simboliche che lo aiutano a capire come contatare un

certo spirito. […]

Molto importante: lo sciamano è tradizionalmente associato a una

comunità, e la serve come guaritore, come psicologo, come colui che

può fare i miracoli. Quando una comunità si trova di fronte ad un

problema che non può risolvere con i metodi di tutti i giorni, si rivolge

allo sciamano per aver una assistenza soprannaturale.

Inoltre lo sciamano orchestra i rituali che tengono insieme la

comunità.

La visione techno-sciamanica è un’estensione di tutto questo.

Significa crdere che le infrastrutture tecnologiche dell’umanità siano

divenute così complesse da non poter essere comprese interamente

tramite un modello teorico ingegneristico. In ogni modo queste

sovrastrutture hanno un impatto diretto sul modo in cui viviamo la

nostra vita. Così il techno-sciamano serve la comunità avendo

accesso alle infrastrutture tecnologiche , non come qualcuno che usa

degli strumenti per ordinare a una macchina di fare qualcosa, ma

come qualcuno che sente di dover negoziare con qualcun altro per

portare a termine un compito.

L’uso di droghe, la danza estatica, la musica transe, sono oggi ben

stabilite nella sub-cultura techno-sciamanica, come lo è il loro uso

negli eventi ritualistici che tengono insieme la comunità. Si può

vedere facilmente un legame fra la rete dei computers e lo spirito del

mondo, e fra i computer e quelle potenti entità con le quali è in

contatto lo sciamano tradizionale.”55

Il concetto di bricolage, qui utilizzato riferendosi all’attività dello sciamano, è

derivato dalla teoria di Lèvi-Strauss, il quale utilizzò il concetto di bricolage

tecnico paragonandolo a quello intellettuale, per analizzare il pensiero mitico.

“Il pensiero mitico appare così come una sorta di bricolage

intellettuale, il che spiega le relazioni che si riscontrano tra i due.

55Technoshamanism,<http://www.yperreal.org/raves/technoshamanism/technoshaman_Definition.html>, from

[email protected]

59

Page 60: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

Come il bricolage sul piano tecnico, la riflessione mitica può ottenere

sul piano intellettuale risultati veramente pregevoli e

imprevedibili...”56

CAP.2 Il rave

2.1 La festa

Il rave è una festa, ma non nell’accezione che il termine ha comunemente

assunto.

E’ innegabile che la “festa” sia oramai scomparsa dalla nostra vita, sostituita

dai “divertimentifici” del sabato sera, dal fanatismo sportivo, o , nel migliore

dei casi, da tristi imitazioni di quelle che erano le “vere feste” dei nostri padri.

Le varie sagre e fiere, nella maggior parte dei casi, del vero spirito liberatorio e

anti-identitario che caratterizzava la festa in passato, hanno conservato ben

poco, asservendosi così alle tristi leggi del mercato e trasformandosi spesso

proprio in quei divertimentifici dai quali pretenderebbero forse di distinguersi :

zucchero filato e banda non fanno una festa.

“La “vera festa” è una festa totale, senza limiti, sottintende l’idea di

una transe. E’ generalmente celebrata attraverso danze collettive che

si concludono con transes e crisi di possessione delirante”57

La “vera festa” è composta da tre elementi essenziali che sono : il gioco, la

rottura col quotidiano, la trasgressione.

Il rave, quindi, potrebbe essere una vera festa: attraverso l’ingestione di

sostanze psicotrope, o lo stordimento causato dalla stanchezza e

dall’affollamento, il raver gioca con se stesso e col proprio corpo, il proprio

ruolo, i propri limiti.

Esso prova una vertigine ludica, che lo stordisce e gli permette di staccarsi da

una quotidianità opprimente e monotona, che il gioco, fonte di vita e di crescita

(il diritto al gioco non è patrimonio dei bambini!) spezza con la sua capacità

quasi magica di dare spazio ai sensi e allo spirito.

56 C. Lévi-Strauss, 1964, Il pensiero selvaggio, Milano,il Saggiatore, pp.30.

57 Fontana e Fontaine,1997, Raver, Roma, Sensibili alle foglie, p.65.

60

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Ludico è il senso di estraniamento, il cambiamento nella percezione di se stessi

e del mondo che spezza le regole e ne crea delle nuove, slegate dalle necessità

materiali e quotidiane che , se non esorcizzate, possono rendere la vita

insopportabile.

Il gioco rompe le costrizioni sociali legate al ruolo, allo stato sociale, ai

doveri :durante la festa ognuno può essere chiunque, e fino in fondo sé stesso.

Questa sovversione e trasgressione dell’ordine sociale e dei divieti è, nel caso

del rave particolarmente evidente nel caso degli illegal, in quanto in un

contesto fuori dalle regole è più facile sorpassare l’ordinario.

“Sin dalle origini della civiltà l' abolizione rituale-festiva delle

differenze è servita al rinsaldamento dell' ordine gerarchico , a

rendere accettabili le differenze stesse. Nelle complesse società

occidentali di oggi l'edonismo è la forma rituale attenuata , "laica". Il

techno-party gestito orizzontalmente agisce precisamente e

conflittualmente su questo terreno tentando di sfondare la nozione di

festa, immettendole elementi di rottura , di critica , di

sperimentazione...”58

Ma per rompere le regole al raver basta il fatto stesso di partecipare ad un

evento comunque non accettato fino in fondo dalla società in cui vive e

probabilmente incomprensibile agli occhi dei genitori, della famiglia, dei

colleghi di lavoro, ma sacro agli occhi degli altri raver, del gruppo, dei simili, di

chi “può capire”.

Il rave, come ogni festa, ha un carattere trans-sociale e trans-culturale:

“(I danzatori) tentano di sfuggire alla ritmica abituale del corpo, di

svuotarlo da tutto ciò che contiene, dai gesti imposti da uno status

sociale o da un mestiere.”59

Ed è proprio questo desiderio del raver di esprimere le proprie pulsioni più

profonde che il quotidiano soffoca a fare del rave una vera festa, nel senso più

profondo.

Come i contadini delle nostre campagne aspettavano trepidanti il dì della festa

per mettere il vestito buono e dimenticare per un poco le sofferenze, così il

raver aspetta la sua festa, per lasciare per un poco a casa le ansie per lo

studio, i problemi di lavoro, le turbe amorose, le litigate con i genitori.

58 Testimonianza di un raver illegale, in “Potenziale trasgressivo del rave”, Hyperreal, http://www.hyperreal.com/illegal .59Fontana e Fontaine, op.cit., p.41.

61

Page 62: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

“Il rave è terreno fecondo di disobbedienza identitaria-estetica

rispetto alle linee esistenziali imposte.”60

Certo non è la stessa cosa, la cadenza dei festeggiamenti non è legata, non

solo almeno, al ritmo delle stagioni, la fatica è meno grave, la povertà molto

meno pesante, ma lo spirito è il medesimo, lo spirito della festa: quella

trascendentalità che rende effimero ed improduttivo il tempo, che crea “solo”

illusioni, desideri, vertigine.

Nessuna società è o è mai stata estranea alla festa, pur se questa si manifesta

in forme assai differenti.

Così anche la nostra società, occidentale e disincantata, necessiterebbe di

momenti di vara festa, ma le poche feste a cui assistiamo sono spesso

organizzate, incanalate, addomesticate, ed hanno perduto le loro funzioni più

benefiche.

La “vera festa” è utile all’individuo così come al gruppo, ed è proprio per

questo che riappare sotto la forma del rave : essa ha una funzione

rigeneratrice che permette al partecipante di guardare la propria vita con

maggior distacco, e può indurre importanti cambiamenti, ed una diversa

valutazione della propria situazione.

“I ravers dimostrano in effetti una rigenerazione, una purificazione, un

conforto dato da questi momenti di festa. Questo “viaggio” al di fuori

delle strutture e delle regole imposte dalla società libera il corpo dalle

sue contrazioni.” 61

Il rendersi comunque conto della transitorietà della festa può indurre ad uno

sguardo più critico verso il proprio modo di vita e verso la società; inoltre si può

parlare di una funzione unificatrice della festa: questa infatti contribuisce a

rendere compatto il gruppo sociale, e risponde ad una:

“Volontà di riunione, di unificazione, di eliminazione di tutti i fattori

individuali o collettivi di diversità, di non conformità”62

Durante il rave non importa chi sei, di che colore è la tua pelle, non importano

le tue preferenze sessuali, ciò che conta è “l’esser-ci con gli altri”, il

confondersi, l’essere una cosa sola.

60Damian, Scintille di pubblico disordine, in A. Natella e S. tinari (a cura di), Rave Off, Roma, Castelvecchi, p.50.61Fontana e Fontaine, op.cit., p. 42.62S. Mandon citato in Fontana e Fontaine, 1997, Raver, Roma,Sensibili alle foglie, p.69.

62

Page 63: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

Questo aspetto della festa è assai evidente nel caso del rave anche per via

dell’effetto di sostanze psicotrope quali l’Ecstasy, che rispondono proprio ad

una necessità di “unione” fra tutti i partecipanti, è il fenomeno del

“karmacoma” di cui parlano con enfasi i ravers, quell’essere una sola cosa, che

respira e si muove all’unisono, quando la festa raggiunge il parossismo.

Durante la festa ha davvero poca importanza il concetto di tempo: non ha

importanza ciò che accadrà domani, non conta il passato, l’unica dimensione

riconosciuta è il presente:

“Gli “estasiati” hanno un altro rapporto con il tempo. Non si

preoccupano in genere delle ore che passano, hanno perduto la

nozione comune di tempo. Dei momenti molto brevi possono

sembrare loro infinitamente lunghi; inversamente passano ore senza

che se ne rendano conto. Vivono essenzialmente nel presente.” 63

I raver rivendicano insomma un diritto alla “vera festa”, che sfugga ad ogni

organizzazione sociale o politica, e proprio per questo divengono bersaglio di

forte repressione.

La “vera festa” può essere pericolosa, ed è per questo che la nostra società

non la ammette e non la tollera. Il discorso è assai diverso se si parla delle

serate in discoteca, fortemente commercializzate , istituzionalizzate,

controllate.

Certo è discutibile il fatto che per lasciarsi veramente andare sia necessaria

l’ingestione di sostanze stupefacenti:

“La festa autentica non può mai essere prodotta per mezzo di

catalizzatori farmacologici. E la loro assenza non impedisce la sua

venuta. Lo spirito della festa, come una musa, contiene in sé la sua

volontà” 64

Certo le droghe possono aiutare a rompere con la quotidianità, rendono meno

faticosa e più magica questa rottura.

Il legame fra la festa e il consumo di droghe e vino è innegabile, proprio perché

queto tipo di “rituale” non è ammesso durante la vita quotidiana, e non è con

questa conciliabile; bisogna inoltre ricordare che le occasioni di festa per il

raver possono essere assai numerose nell’arco di un mese, e pertanto l’apporto

di sostanze che permettano di dimenticare la fatica diviene quasi

indispensabile.

63Ibidem, p.47.64Cox, citato in Fontana e Fontaine,1997, Raver, Roma, Sensibili alle foglie, p.68.

63

Page 64: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

Ci si può a questo punto domandare perché proprio ora, e proprio in Occidente,

si assiste alla ricomparsa della vera festa.

“Le feste nascono quando si passa da un sistema all’altro, da un

insieme ad un altro e quando la caduta dei valori di un mondo non

permette ancora di prevedere le norme del mondo che si sta

preparando”65

Il ritorno alla necessità di una vera festa indica quindi un’insofferenza nelle

giovani generazioni nei confronti del vivere quotidiano, delle regole di vita

imposte, e un’incapacità del sistema di rispondere all’esigenza di cambiamento

e crescita nei giovani.

E se la maggior parte di questi si accontentano di ciò che la società offre loro

pronto e impacchettato, i ravers non accettano forse le regole imposte, e

hanno necessità di una festa vera, non preconfezionata, non banale.

La nascita della festa rave segna la rottura con il divertimento

istituzionalizzato, e riporta in vita la festa dei nostri avi, la festa in quanto tale,

totale, esorcizzante, a volte mistica.

La festa che porta a confrontarsi con i propri limiti, e con i limiti del giorno e

della notte, della vita.

2.2 La danza

Danza primitiva e danza rituale

65 Duvignaud, citato in Fontana- Fontaine, 1997,Raver, Roma, Sensibili alle foglie, p.78.

64

Page 65: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

La danza è stata fin dall’alba dell’Uomo uno dei più potenti mezzi di

socializzazione, di esorcizzazione, di comunicazione con il divino.

La danza non è solo musica, ritmo, arte: molto prima di divenire tutto questo -

involgarendosi in un certo senso- la danza esprimeva l’essenza stessa della

vita, il movimento. Si potrebbe dire che la vita stessa fosse una danza, o -

come antichi miti narrano- la vita fu creata dalla danza .

“...Siva (“fausto”) è la personificazione dell’assoluto (brahman), il

principio distruttore e al tempo stesso rigeneratore del mondo,

dispensatore di morte e rinascita[...]. Nei templi Siva è spesso

rappresentato nelle vesti di un danzatore con l’epiteto di Nataraja,

“signore della danza”. La danza cosmica simboleggia il continuo

rinnovarsi del mondo, in un ritmo infinito di dissoluzioni e rinascite.

Per gli induisti la danza è più antica del mondo stesso, perchè è

proprio danzando sul monte Kailasa che Siva creò il cosmo è l’attuale

epoca. [...]Danzando e battendo il tamburo , il Danzatore cosmico fa

risvegliare la vita; ma dalla stessa danza scaturisce la scintilla che

distruggerà la terra e per questo il dio porta nella mano sinistra più

alta la lingua di fuoco. Tamburo e fiamma sono i due elementi del

gioco. Creazione-distruzione e le due mani che questi oggetti

stringono rappresentano l’equilibrio fra la vita e la morte.”66

La danza e la musica sono ,presso le cosidette culture tradizionali ed erano,

presso le popolazioni primitive, parte integrante della vita della società,

sottolineandone i momenti più importanti, sia individuali che colletivi.

Le occasioni per danzare sono molteplici, e fanno parte della vita quotidiana: si

danza per invocare la pioggia, per celebrare il raggiungimento della pubertà,

per festeggiare le nozze, per salutare un nuovo nato e si danza anche in

occasione della morte di un membro della comunità, per propiziargli un buon

viaggio verso un altro mondo.

Presso le popolazioni primitive e le culture tradizionali, la danza ricopre infatti

una sfera d’azione molto più ampia che nella nostra società, e non ha , come in

quella occidentale contemporanea, una funzione estetica o di intrattenimento.

La danza primitiva, non è spettacolo: ciò che conta maggiormente è l’aspetto

sociale e rituale, presso tali popolazioni non esiste infatti una netta separazione

fra la sfera privata e quella collettiva, quindi ogni fenomeno naturale,

esistenziale o sociale viene affrontato dall’intera comunità.

66 Enciclopedia delle religioni, Garzanti, Milano, 1989, pp. 425/427.

65

Page 66: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

Chiaramente anche presso le popolazioni primitive, in determinate occasioni,

l’aspetto estetico viene ad assumere una certa importanza, come nel caso

delle danze per la fertilità, durante le quali non solo si rende omaggio a

Madre Terra ma si assiste alla nascita e al consolidamento dei legami sessuali

all’interno della comunità, del gruppo.

Le occasioni nelle quali si danza sono comunque sempre sostenute e collegate

a rituali vivi e complessi, che hanno funzione di risposta e sostegno nei

momenti critici.

Si tratta di una tecnica mediante la quale le popolazioni affermano e esprimono

sé stesse davanti alle proprie ansie e paure e alle condizioni ostili

dell’ambiente.

La musica, nell’antichità, era considerata la risonanza di un ordine cosmico

superiore, si riteneva potesse influire così sulla vita degli uomini e sui suoi

sentimenti, la sua salute.

Corpo e psiche erano inseparabili, e gli antichi sapevano molto bene quanto la

psiche, le emozioni, potessero influire sulla salute dell’uomo, consapevolezza

che le medicine orientali mai hanno perso, e che solo da pochissimo tempo sta

riaffiorando in quell’ Occidente, che, annegato nel razionalismo, è riuscito a

perdere (e non si sa se mai ritroverà) il senso del Tutto.

“In questo ambito anche le malattie assumono una connotazione

sociale, non sono, come accade nella cultura occidentale, oggettivate

e autonomizzate, bensì vengono contestualizzate, espresse, condivise

e rielaborate in chiave mitica.”67

Nelle società primitive, come abbiamo già detto, la musica e la danza

ricoprivano numerose funzioni, fra le quali la funzione di guarire: lo sciamano,

lo stregone, danzava e invocava lo spirito degli antenati per far uscire le

malattie dal corpo del paziente.

Il potere taumaturgico della musica e della danza era già riconosciuto in Cina

2600 anni prima di cristo, quando si cominciarono a costruire i primi

rudimentali strumenti in grado di emettere quattro note: il Fa, il Do, il Sol, il La.

In Egitto si intonavano canti magici per curare la sterlità e i dolori reumatici, in

Tibet la medicina occidentale non è mai entrata, e ancora oggi si intonano gli

antichi mantra, suoni sacri in quanto rivelati ai mistici e agli sciamani dagli dei.

Lo strumento privilegiato nelle danze riuali è il tamburo, il cui ritmo osssessivo

è , secondo studiosi come M.Eliade, capace di produrre , o facilitare, la transe:

il tamburo quindi come strumento per comunicare con il mondo degli spiriti.

67 B. Braggio, 1995, Danza rituale e stati modificati di coscienza, in “Altrove” n. 2, p. 86.

66

Page 67: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

“Il tamburo si distingue da tutti gli altri strumenti usati per la magia

del rumore proprio perché rende possibile una esperienza estatica.”12

Le danze rituali, come le danze dionisiache dell’antica Grecia, o quelle dedicate

a Siva in India, hanno in comune la celebrazione collettiva di eventi che

possono provocare nel singolo sentimenti di angoscia o paura, si tratti di eventi

legati al ciclo della vita umana, come la nascita, la morte, la malattia, o di

eventi esterni, come gli eventi atmosferici o la guerra.

Attraverso la danza rituale, come abbiamo accennato, lo sciamano, membro

della comunità investito di un ruolo sacro, comunica con forze non materiali, la

danza rituale quindi come medium fra naturale e sovranaturale.

Ora, abbiamo detto che tutti i passaggi fondamentali della vita dell’uomo erano

contrasegnati da riti di propiziazione. Prendiamo in considerazione i riti di

iniziazione: durante questi riti l’adolescente viene sottoposto a prove molto

difficili e dolorose, si assiste ad una morte simbolica, alla quale segue la nascita

di un nuovo uomo, di un adulto.

La danza rituale come rappresentazione, in questo caso.

La danza rave

Esiste una differenza fra danza rituale e danza tribale, e se sucessivamente

anlizzeremo il rave come rito e la danza collegata al fenomeno sarà pertanto

definibile come “rituale”, si può fin da ora definire la danza rave come danza

tribale.

Come vedremo, all’interno del fenomeno esistono vere e proprie tribù, la cui

esistenza è totalmente interrelata con il mondo rave: si tratta di gruppi la cui

occupazione principale è organizzare raduni e feste, e che possono in qualche

modo essere considerate delle tribù, come nel caso dei travellers e delle tribe ,

ma si tratta però di un fenomeno nel fenomeno.

Inoltre si hanno situazioni in cui il rave raggiunge livelli tali di partecipazione e

Unione per cui si può asserire di trovarsi di fronte ad una vera e propria tribù,

seppur effimera: è la techno-tribù della Zona Temporaneamente Autonoma,

destinata a sciogliersi alla fine della festa, per poi ricrearsi in un altro luogo e in

un altro tempo.

In questo senso, alora la danza rave sarà danza tribale.

Vediamo ora quali sono le occasioni della danza rave.

12M. Eliade, citato in A. Marchisio, Tecnosciamani ed etnodeviazioni, in G. Dal Soler e A. Amrchisio (a cura di), Trance & Drones,Roma, Castelvecchi, p.76.

67

Page 68: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

Le occasioni della danza per le popolazioni primitive erano, come abbiamo

accennato ,legate profondamente ai cicli della vita individuale e delle stagioni,

caratteristica questa che si può individuare anche nella periodicità dei raves.

E’ innegabile che, ai giorni nostri, basti l’occasione di un Sabato per

festeggiare, ma questo non esclude che determinate ricorrenze abbiano tuttora

importanza, o -meglio- l’abbiano riconquistata dopo anni di oblio.

Vi sono occasioni più “importanti” di altre, come il Capodanno e il Carnevale, e

accanto a queste festività “comandate” riaffiorano ricorrenze che sembravano

dimenticate: il Capodanno Celtico, trasformato dalla tradizione anglosassone

nella festività di Halloween (in Italia “Tuttisanti”) viene frequentemente

salutato con un rave “speciale”, preparato con maggior cura dei particolari, e

così è per l’Equinozio di Primavera e per il Solstizio d’Estate.

In occasione di queste due ricorrenze, riaffiorano nella festa rave usanze

tradizionali, come quella dell’accensione dei fuochi, attraverso la quale

nell’antichità si propiziava l’arrivo della bella stagione e della prosperità

dell’agricultura; il fuoco è uno degli elementi di maggior fascino

dell’immaginario rave, sempre presente in occasione delle feste più importanti,

nelle quali giocolieri e mangiafuoco non mancano mai.

Occasioni importanti sono date poi dalle notti di Luna piena (Full Moon Parties)

, se non altro per la carica energetica ed estetica che il plenilunio diffonde; non

bisogna dimenticare che presso le culture tradizionali, e ancora oggi in Oriente,

i cicli lunari sono considerati molto importanti e i loro riflessi sull’umore, sulla

produttività, sulle maree, sulla natura tutta, vengono segnati da precise

ritualità; importante è inoltre il ruolo della luna nelle leggende nordiche e in

tutto l’immaginario fantastico della nostra cultura.

Attraverso il rave tali ritualità riemergono.

Ma torniamo al Capodanno. Per il raver il capodanno è più che altro una “festa

comandata” in occasione della quale il “doversi divertire per forza” può anche

risultare molto antipatico. Non si tratta di un momento di passaggio molto

sentito, come era per i nostri antenati:

“La festa di Capodanno è un grande complesso religioso proprio di

società ai più svariati livelli culturali. Esso muta forma, significato,

funzione da un ambiente culturale all’altro. Anche mutano

rispettivamente forma, significato, funzione, i temi religiosi onde il

significato stesso è costituito.[…]Il carattere dell’uno (il complesso) e

degli altri (i temi) stanno in funzione del regime economico-sociale di

esistenza, in funzione altresì dell’ambiente e delle congiunte

esperienze di vita.”68

68 Lanternari V., 1976, La grande festa, Bari, Dedalo libri, p.523.

68

Page 69: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

Le festività popolari e contadine riaffiorano , facendo rivivere tradizioni che

nemmeno il Capitalismo, la Tecnocrazia e lo stress post-moderno possono

cancellare, facendo sì che all’alba del Duemila le nuove generazioni rendano

omaggio al Sole e alla Luna, esattamente come fecero prima di loro milioni di

Uomini.

Dicevamo che, ad ogni modo, ai giorni nostri può valere molto anche il

festeggiare un fine settimana, specie se si è trattato di una settimana di lavoro

e studio, e il Sabato diviene così, da giorno di riposo sacro a Dio che era,

occasione per dimenticare, o mettere da parte per una notte almeno, tutti i

problemi e lo stress della vita quotidiana.

Il Sabato è sacro, ancora, ma in un altro senso, perché permette di scaricare le

tensioni e lo stress settimanale.

Così come i contadini si godevano il meritato -e desiderato- riposo dopo il

lavoro settimanale nei campi, così ora i giovani, che di quei contadini sono il

seme, esorcizzano i problemi di tutti giorni, la noia e la routine attraverso la

danza, lo stordimento, le droghe.

Il Sabato notte tutto è permesso. Per poi tornare alla vita reale.

Questo discorso vale, chiaramente non solo per il fenomeno rave ma per tutte

le tendenze giovanili in fatto di gestione del tempo libero, dalla discoteca alla

tifoseria sportiva.

Ciò che distingue forse il fenomeno rave è forse il fatto di essere legato in

maniera più conscia ed entusiasta a certe ritualità, che in altre situazioni sono

perlopiù una scusa per festeggiare.

Come dire che il raver festeggi perché ci crede, nonostante talvolta si finga di

credere proprio per festeggiare.

Un discorso a parte meritano i riti di iniziazione, inesistenti -o meglio scomparsi

, nella nostra società.

Non esiste più nulla che segni il passaggio dalla fanciullezza all’età adulta, e

questo fa sì che il giovane contemporaneo sia spesso vittima di nevrosi e

insicurezze, dovute alla confusione dei ruoli, all’incapacità di fare delle scelte

precise ed assumersi la responsabilità della propria esistenza.

In Italia specialmente, anche in seguito alla disoccupazione giovanile e alla

carenza di alloggi e assistenza, si tende sempre più a posticipare l’abbandono

della casa dei genitori e se pure il giovane ha un lavoro o vive lontano

(emblematico è il caso degli studenti fuori sede) il processo di emancipazione

tarda sempre più, e con questo tarda la crescita interiore, si diventa “grandi”

sempre più tardi.

69

Page 70: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

Il rave è un evento coinvolgente, ma manca di una figura indispensabile ai fini

di un rito iniziatico: l’adulto, colui che porta con sé l’iniziato, verso un nuovo

stadio della sua esistenza.

Non esiste una guida, qualcuno dotato di grande esperienza che aiuti il giovane

a non sbagliare, e a non perdere la strada.

Come vedremo meglio nel discutere del rave in quanto rito, la mancanza di tale

figura fa sì che un qualcosa di simile all’iniziazione avvenga comunque, ma che

assuma aspetti assai differenti: quest’iniziazione riguarda quasi totalmente

l’uso delle sostanze psicotropiche e iniziato e guida appartengono

generalmente alla stessa classe generazionale: la guida è in questo caso colui

che “si è fatto un sacco di viaggi” e conosce sufficientemente le varie sostanze

e i meccanismi del rave per preparare il novizio ad affrontare la situazione .

Ciò che lega fortemente il rave alle antiche danze tribali o primitive, è la

presenza della transe, spesso legata all’uso di sostanze psicotrope.

Fin dalla più tarda antichità l’uomo ha usato le droghe per raggiungere

determinati stati di coscienza, legati alle ritualità sacre, ma le droghe da sole

non bastano, non sono mai bastate.

E’ proprio la danza, il movimento, a mandare in transe: la ripetizione dei

movimenti, la perdita dei punti di riferimento e dell’equilibrio, legati all’effetto

ipnotico della musica, sono una tecnica per raggiungere la transe, oggi come

sempre:

“Il ballo, col passare del tempo, provoca dei disturbi all’equilibrio e

delle modificazioni dello stato dei partecipanti a livello psicologico e

fisiologico. Ballare significa inserire la musica nello spazio, e questo

inserimento si realizza attraverso una modificazione incessante dei

rapporti delle varie parti del corpo.”69

Nel caso del raver l’effetto è aumentato sovente dall’ingestione di Ecstasy,

trips o altre sostanze. E le luci stroboscopiche, i laser e la scenografia

rafforzano ulteriormente l’effetto della danza.

“La coscienza del corpo, come fa osservare Rouget, ne è totalmente

trasformata. Il ballo può essere considerato qui una tecnica di transe

come nel sama dei mevlevi, I dervisci danzanti di Konya, dove la

transe, di comunione, viene indotta da una tecnica di rotazione del

corpo molto particolare che simbolizza la rotazione delle sfere

dell’universo.

69 Fontana e Fontaine, opp.cit, p.41.

70

Page 71: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

Ma nel rave la danza è anche espressione della transe in quanto è

libera e poco codificata. Il più delle volte astratta, esprime una

liberazione manifesta dei danzatori, senza alcuna ricerca estetica.”70

Durante i rave si assiste talvolta a danze figurative che in altri contesti

potrebbero essere accomunati alla possessione: alcuni raver danno luogo a

figure mimiche molto espressive, sorridono o combattono il frutto del proprio

delirio.

Alcuni raver hanno una funzione dinamizzante per gli altri: i loro movimenti

“fanno salire” l’estasi, e spesso divengono centro dell’attenzione altrui.

La transe, accomunata alla danza, è qui un modo di liberarsi, di esprimersi

totalmente, di pregare, forse, come lo era per le popolazioni primitive.

Ma per meglio analizzare il profondo legame fra il fenomeno rave e l’ancestrale

legame dell’uomo con la danza occorre precisare alcune questioni.

Si diceva che la danza si è in un certo senso involgarita, ed è necessario

illustrare questa importante affermazione.

Si possono distinguere tre dimensioni della danza: quella profana, quella

sociale e quella sacra71; a queste dimensioni si associano tre diversi tipi di

funzione.

La danza profana è personalistica, egoistica e materialistica e svolge una

funzione prettamente egoistica, di autogratificazione della personalità. E’

danza “essoterica”, che da luogo a fenomeni di divismo, dove il ruolo

dell’attore è disgiunto da quello dello spettatore.

La danza sociale è animistica, superindividuale, storica, e svolge una funzione

di socializzazione. Il ruolo dell’attore e dello spettatore si mescolano, e si

alternano, divenendo spesso la stessa cosa.

Ultima, non certo per importanza, è la dimensione sacra della danza, di cui le

altre dimensioni possono essere considerate il decadimento: la danza sacra è

impersonale, spiritualistica, metastorica. E’ la danza “esoterica”, una volta

patrimonio di stregoni e sciamani, ed ha una funzione reintegrativa, in cui il

singolo si fonde nel Tutto , in cui il danzatore è attore e spettatore di sé stesso.

E’ danza che crea, ma che può anche distruggere, è danza pura, di cui ogni

danza non può che essere la deformazione.

Vorrei tentare di analizzare la danza rave, perché nonostante le differenti

correnti musicali (techno, trance, gabber ecc...) e la trasformabilità della danza

sotto i diversi influssi culturali ed ambientali , credo si possano individuare

delle costanti che rendono la danza rave diversa da ogni altra danza

contemporanea.

70 Ibidem71A. Forte, 1977, Esoterismo e socialità della danza, Roma, Atanor, p.75.

71

Page 72: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

Innanzitutto si tratta di una danza di gruppo, in cui ogni partecipante è

condizionato dagli altri, sia fisicamente che psicologicamente : si può ipotizzare

che le caratteristiche della danza di gruppo siano le caratteristiche stesse del

gruppo -o dei gruppi- che vi partecipano.

Non sarà difficile infatti notare l’importanza che i legami vengono ad assumere

durante la danza, mettendo in evidenza un vero e proprio schema ; anche la

danza di gruppo presuppone infatti , come ogni altra danza, uno schema

aprioristico, che coordini i movimenti anche in quella che può sembrare la più

anarchica delle situazioni.

Questo significa che il raver si muoverà e agirà in prevalenza all’interno della

sfera delle amicizie più strette ma , essendo il rave per sua natura un

fenomeno sociale, non mancherà di ballare e intrattenersi con altri, allargando

così le proprie amicizie e complicando il disegno di fondo.

Ma cosa cerca il danzatore raver?

L’intenzione può variare da profana a sociale, il raver può cioè essere

interessato ad un puro appagamento egoistico ed all’esaltazione estetica : in

tal caso probabilmente si porrà in qualche modo al centro dell’attenzione,

curando i gesti da compiere, l’espressione del viso, e dando probabilmente

molta importanza all’abbigliamento e al trucco.

Questo non significa affatto che il raver profano sarà un’edonista inguaribile:

egli potrà appagare le proprie pulsioni egocentriche anche stando in disparte,

comportandosi in maniera grossolana, ballando e gesticolando freneticamente.

Non bisogna dimenticare che i preparativi e il post-rave (vestizione e

svestizione) fanno parte della cerimonia quanto la danza stessa. Si può

supporre che il danzatore profano impieghi gran parte della cerimonia proprio a

crearsi il “personaggio”, se mi si concede il paragone teatrale. Il danzatore

essoterico baderà insomma molto all’apparenza, non gradirà essere troppo

simile agli altri danzatori, e gradirà invece autogratificarsi nell’essere ammirato

o pure detestato , sarà innanzitutto attore e non spettatore.

Il danzatore sociale invece amerà con-fondersi con gli altri danzatori,

divenendo al tempo stesso spettatore e attore, sarà simile agli altri anche nel

modo di muoversi, nei gesti, nell’abbigliamento. Il danzatore sociale è

profondamente storico, nel senso che segue la moda, non quella patinata e

adulta, chiaramente, ma quella dettata dall’appartenenza al gruppo, dei raver

in questo caso.

Ora, sappiamo bene che si tratta di idealtipi, e che nella realtà tutte queste

caratteristiche si mescolano, ma si tratta comunque di costruzioni assai

indicative: nel caso del danzatore sociale abbiamo infatti l’esempio di quello

che dovrebbe essere il raver per antonomasia, se -come vedremo più avanti- il

rave è davvero basato sull’empatia e la socializzazione, almeno idealmente.

72

Page 73: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

Un discorso a parte merita il danzatore sacro: difficile dire se il raver possa

aspirare a tanto.

Come abbiamo visto, “alcuni danzatori hanno una funzione “dinamizzante” per

gli altri, li fanno “salire” come ci ricordano A. Fontaine e C. Fontana in Raver.72

Si tratta di raver forse più “fuori” degli altri, le cui movenze incantano,

ipnotizzano, sciolgono chi li guarda.

Non di rado, durante i rave, si formano cerchi attorno ad un danzatore che fa

da “catalizzatore” per gli altri, per poi lasciare il posto ad un altro.

Difficile dire se questi raver “particolari” stiano compiendo una vera e propria

danza sacra, ma è certo che alcune sostanze psicotrope, specie l’LSD e la

mescalina73, possano spingere molto “oltre” il danzatore, “aprendogli” le porte

verso mondi lontani, fuori o dentro che siano, e gli permettano cioè di

accedere a Stati di Coscienza Modificati legati allo sciamanesimo e alla danza

sacra.

Chiunque abbia la possibilità di assistere ad un rave si renderà facilmente

conto che nella cerimonia convivono tutte e tre le dimensioni riconosciute alla

danza, e probabilmente ne riconoscerà la spettacolarità, ammirandola o pure

avversandola.

Ad un osservatore esterno qualsiasi tipo di rave, che si tratti di un illegal in un

grande capannone in disuso o di un rave Goa immerso nelle colline, apparirà

senza dubbio uno spettacolo unico, oltre che un fenomeno sociologicamente

interessante.

Questa spettacolarità è data dall’ambiente innanzitutto, che varia a seconda

del luogo, della nazione ,del clima, della tecnologia utilizzata.

Ad ogni modo l’ambiente e la scenografia sono due elementi fondamentali

nella danza rave, e ne sono parte integrante e indispensabile, perché ciò che

realmente conta è l’atmosfera, e quest’ultima sarà determinata non solo dalle

caratteristiche e dalle movenze dei danzatori, ma anche dal gioco di luci, dai

“costumi” e dalla scenografia.

Non esiste un ambiente caratteristico del rave, si hanno rave nei prati di

collina, nei grandi capannoni in disuso alla periferia delle grandi città, nei centri

sociali, nei clubs, sulle spiagge assolate indiane, persino sulle rive del Nilo.

Paese che vai ambiente rave che trovi .

2.3 I padri psichedelici

“Il festival rock fu semplicemente la festa più folle e più influente di

tutta la storia. Per un fine settimana, un campo di una fattoria 72 Fontana e Fontaine,op.cit. p.43.73 A tale riguardo vedere il capitolo dedicato alle “Droghe da rave” del presente lavoro.

73

Page 74: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

divenne la terza città dello stato di New York. Quasi mezzo milione di

giovani americani viziati, ricchi, istruiti, schiacciati, compressi,

compattati in un pascolo di vacche.[…]Il più grande, più pagano

evento musicale di tutta la storia, con abbondanza di gioiosa nudità e

di sacramenti psichedelici. E fate click qui: neanche un solo caso noto

di violenza! Il festival di Woodstock fu un revival altamente

spettacolare del rito religioso più antico e più fondamentale: una

celebrazione pagana della vita e della natura primitiva, una classica

“cerimonia di possessione” di gruppo in cui la congregazione va fuori

di testa”.”74

Non c’è dubbio alcuno che i free-festivals inglesi e americani siano in un certo

senso gli antenati del rave.

In Inghilterra si è avuto, dalla fine degli anni ‘80 ad ora, una vera e propria

trasformazione di quelli che erano i festivals hippie in rave; in particolare fu da

eventi quali i raduni per il solstizio d’Estate e l’equinozio di Primavera a

Stonehenge che si produsse la prima scintilla rave: la musica psichedelica delle

generazioni hippie e freak si trasformò in techno, e i free festivals divennero

rave:

“Quanto alla trasformazione, a partire dai primi anni novanta, dei

vecchi festival hippies in rave, in particolare in rave illegali, va

ricordato che questa fu dovuta sia a persone che vivevano ancora in

comunità hippies, sia dalla gente del viaggio, i traveller che si situano

nella medesima scia...” 75

Tale trasformazione si riflette anche nella musica:

“Molti puristi storceranno il naso al solo pensiero di paragonare il

fenomeno rave e la sua musica a ciò che fu l’ondata psichedelica dei

tardi anni’60, ma ciò che si consiglia è l’esame in macro di tutta la

musica, non come singolo brano o musicista. La sua funzione...è di

creare un continuum temporale, che trasporti in uno stato di

trance[...] portando il danzatore a sincronizzarsi su ritmiche

transpersonali, che lo avvicinino a quel senso di unione, di Unità, che

sta alla base di ogni rituale, di ogni ricerca profonda.”76

74 T.Leary , 1996, Woodstock e i suoi nipoti in G. Gallina (a cura di), Trance-Il passato remoto della musica del futuro, Milano, Virus Production-Musica 90, p.48.75G. Lapassade, 1997, Dallo sciamano al raver,Roma, Sensibili alle foglie, p. 10776 B. Pochettino, 1996, Rave , sostanze e rit(m)o , in “Altrove” n. 3, p.133.

74

Page 75: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

Ci sono insomma molti elementi che fanno pensare ad una continuità fra il

movimento dei free festival hippie e il movimento rave: il desiderio di

“trasgredire” con l’uso “comunitario ”delle droghe, di fare festa nel vero senso

della parola, di liberare il corpo e fare viaggiare la mente, di vestire in maniera

particolare, di essere insomma riconosciuti come hippie o come raver.

Il sentimento identitario di gruppo, è comunque probabilmente più debole nel

raver che nell’hippie, in quanto, a meno che non si trattasse di un “falso

hippie”, egli vedeva tutta la sua vita coinvolta in un tale tipo di scelta; e la

dimensione comunitaria che nei rave nasce solo per svanire dopo poche ore,

era invece assai presente nel movimento hippie, che proprio sul concetto di

comunità fondava gran parte della sua “filosofia”: le comuni hippie che

prolificarono all’epoca ne sono un esempio.

Esistono quindi delle differenze molto forti fra i due movimenti che non

possono essere ignorate, la differenza più evidente sta nel fatto che il

movimento psichedelico, o hippie, intendeva “rompere” con il sistema:

“Era convinzione dei figli dei fiori che la libertà si potesse raggiungere

solo disertando la società ufficiale senza scendere a compromessi e

senza mantenere legami di sorta con essa. Quindi gli hippies

rompevano del tutto col sistema e si stabilivano ai suoi margini,

rifiutando a priori qualsiasi tipo di impegno. Il loro distacco dalla

società veniva progettato come distacco totale, radicale e ben

definito.”77

Questo desiderio di rottura non appare nel movimento rave, se non nel caso

delle tribe e dei traveller, che si pongono, come movimento, proprio come

congiunzione fra gli hippies (e i punks) ed i ravers, ma si tratta di poche

migliaia di persone nel mondo, mentre i ravers, che sono molto più numerosi,

non sentono la necessità di un taglio così definitivo e totale con la società, anzi,

come vedremo in seguito, la filosofia rave sta proprio nel vivere nella società,

tuttalpiù ignorandola, e scavarsi una propria “nicchia ecologica” in cui esaudire

il proprio desiderio di libertà.

Difficilmente si tratta di un distacco totale e irreversibile: il raver generalmente

non è un individuo che rifiuta la società in toto, è piuttosto un individuo che

delle contraddizioni di tale società fa un’arma di liberazione: prende ciò che gli

piace (e gli serve) e cerca di ignorare il resto.

Una tale filosofia giovanile potrebbe essere interpretata come nuova “via di

fuga”, dopo il fallimento di movimento di opposizione totale quali quello hippie

77W, Hollstein, 1971, Undergroung. Sociologia della contestazione giovanile, Firenze, Sansoni, p. 84.

75

Page 76: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

e quello studentesco del ’68 e del ’77, che, pur avendo ottenuto vittorie in

campo sociale hanno lasciato l’individuo fondamentalmente solo e confuso.

Il movimento rave non si propone di cambiare il mondo, ma semmai di

scuoterlo dal suo torpore, mostrandogli dove sta la festa.

Questo non toglie che alcune parole d’ordine, come “love and peace” siano

state riprese (la “Love Parade” di Berlino, che riunisce ogni estate migliaia e

migliaia di giovani ne è un esempio), e che alcuni tratti in comune rimangano

evidenti, si pensi per esempio al ruolo della donna: finalmente “liberata” dal

movimento femminista degli anni’70, ella ha durante il rave il medesimo ruolo

dell’uomo, non esiste cioè una distinzione vera e propria di ruoli.

Anche nell’abbigliamento le differenze non sono profonde, se non altro per via

della ricercata comodità, necessaria per ballare ore e ore di continuo. Questo

non vuole significare che la donna raver sia profondamente androgina o non ci

tenga a mettere in evidenza la propria femminilità, ma solo che ella non userà

presumibilmente tale femminilità per differenziarsi dagli altri.

La sessualità durante il rave, e anche in questo la differenza con gli anni della

psichedelia è profonda, non è molto importante, semmai durante il rave si può

parlare di sensualità, ma non esiste più quella necessità di liberazione sessuale

che contraddistingueva gli anni della protesta giovanile, riflettendosi in

comportamenti sessuali “liberati” e presumibilmente nemmeno troppo naturali.

Per quanto riguarda i rapporti fra i sessi il rave, come abbiamo visto, riflette i

principi della liminalità proposti da Turner, non vi sono cioè distinzioni nel

vestiario, vi si pratica una certa continenza sessuale (rintraciabile nella

sensualità che sostituisce la sessualità), e vi è una minimizzazione delle

diferenze sessuali; fra gli hippies le cose stavano in maniera assai differente: la

minimizzazione delle differenze, e la proclamata libera sessualità per entrambi

i sessi, era profondamente legata alla lotta femminista per la parificazione dei

diritti.

Un altro tratto in comune fra il movimento hippie e quello rave è invece

individuabile nel processo di commercializzazione che del movimento hippie

segnò la fine, e che sta cercando sempre più di impadronirsi della filosofia

rave per farne magliette, spille, borse e così via.

Non ci sarebbe da meravigliarsi se il movimento rave cadesse proprio sotto i

colpi di tale commercializzazione.

Ma, come ci suggerisce F. Bolelli, lo spirito della psichedelia e un’idea, e come

tale non può morire, forse sarà così anche per lo spirito rave (o è forse lo stesso

spirito che si trasforma nel tempo?).

“Un tempo biologico e mitologico, un tempo di estasi, un tempo al di

là del tempo. Un tempo quintessenziale, che abbraccia insieme

76

Page 77: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

archetipi e presagi, richiami ancestrali e spinte evolutive. E’ questa la

dimensione della psichedelia: niente anni sessanta. Perché

psichedelia non è uno stile storico, ma l’esperienza vitale vissuta in

uno stato di grazia. Psichedelia è tutto quanto trasmette al nostro

DNA un senso di espansione, ci sintonizza con la corrente del

divenire, ci porta in contatto con il grande gioco dell’energia.”22

2.4 Tribe e travellers

I travellers, la gente della strada, a differenza dei ravers , e più similiarmente

agli hippies, non accettano le regole societarie, e la loro scelta non è più

indirizzata verso una nicchia ecologica e temporanea: essi scelgono una libertà

totale, una fuga infinita.

“Questi giovani nomadi apparterrebbero a due tradizioni differenti e

talvolta antagoniste: gli hippies e i punk. Questi avrebbero effettuato

il passaggio dai festival tradizionali dei giovani al rave, cosa che è già

un’informazione interessante per chi s’interessa alle origini del rave in

quanto dispositivo: tale dispositivo troverebbe quindi la sua origine

sia negli interdetti miranti a sopprimere le manifestazioni techno

(proibizioni e leggi che hanno contribuito a costringerle all’illegalità)

sia, nello stesso tempo, nella trasformazione dei vecchi raduni hippie

tipo Woodstock, con un apporto neo-hippie che costituirebbe così una

delle origini del tratto neo-mistico nei rave”78

Accanto e dentro al fenomeno dei traveller nascono le tribe, veri e propri sound

systems che organizzano raduni rave; questi giovani, insieme ai travellers,

sono i discendenti più stretti della generazione hippie, la cui filosofia di vita

viene però arricchita di nuovi elementi, quali il rapporto con la tecnologia: se gli

hippie amavano la campagna e uno stile di vita privo delle comodità

tecnologiche moderne e si riallacciavano al passato, i nuovi nomadi guardano

al futuro, i travellers e le tribe sono coloro che hanno portato il seme del rave

per le strade del mondo:

“Si formano le prime tribe, che nel frattempo riescono a trovare i soldi

per formare sound system da portare in giro con i furgoni per free

22 F.Bolelli,1996, Estasi-Espansione-Creazione, In G. Gallina (a cura di), Trance-Il passato remoto della musica del futuro, Torino,Virus Production-Musica 90, p.45.78

77

Page 78: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

festival, configurazioni di zone temporaneamente autonome. Nasce in

questo modo una nuova forma di vita in movimento, frutto della

contaminazione tra i “figli del post-moderno”, portatori di

un’espressione mediata da interfacce tecnologiche, e i “figli dei fiori”,

esempio lampante di scelte di vita nomadi, in perenne viaggio (inteso

da più punti di vista) sono appunto i traveller, esistenza in totale

distacco dall’appartenenza territoriale (a volte però succede che il

distacco non sia parallelo a una forma identitaria che va a costituirsi

rendendo la tribe chiusa) e invadente rispetto alla cultura che sta

attraversando.”79.

Anche all’interno del movimento delle tribe e dei travellers vanno fatte le

dovute distinzioni: alcuni traveller si procurano da vivere “spacciando” o

“accattonando” per la strada, ma altri traveller hanno invece dato vita a sound

system di grande inventiva e portata artistica, come gli Spiral Tribe o i Mutoid

Waste Company: queste tribe girano tutta l’Europa, e si spingono fino in

America, portando i loro grandiosi spettacoli e organizzando rave di grande

effetto, inoltre compongono loro stessi la musica techno che propongono, così

che ad ognuna di queste tribe è finito per corrispondere un vero e proprio

“genere”.

I Mutoid Waste Company, per esempio, nonostante ripetute suddivisioni e le

diverse scelte dei vari membri, hanno mantenuto negli anni la fama di una

delle tribe più capaci, sia dal punto di vista musicale che da quello

spettacolare: i loro macchinari cyber, le performance di techno industriale dal

vivo, suonata su bidoni e su altri materiali di scarto, gli spettacoli col fuoco e il

loro originalissimo look “post-atomico” li hanno fatti entrare di diritto nella

storia del rave.

Ma, come dicevamo, non tutti i traveller fanno le stesse scelte, e certi loro

atteggiamenti anti-sociali hanno fatto guadagnare loro, soprattutto in

Inghilterra dove il movimento ha subito una forte repressione legislativa, una

pessima fama:

“Una volta li chiamavano semplicemente “il convoglio hippie”, ora

hanno attirrato vocaboli più ricchi e peggiorativi: pustolosi, scimmie

delle siepi, Brew crew, punk abbestia. Alimentano delle voci ostili,

spesso inverosimili, per esempio che. “il motivo per cui molti di loro

79 Damien, 1997, Scintille di pubblico disordine, in A. Natella e S.Tinari (a cura di), Rave Off, Roma, Castelvecchi, p. 53.

78

Page 79: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

hanno un cane è per avere un extra di otto sterline sul sussidio di

disoccupazione”.” 80

A ben vedere, comunque, i traveller, sound systems famosi o “punk abbestia”

che siano, sono legati al movimento rave fin dalle sue più lontane origini, e se

tale forma di nomadismo non si fosse sviluppata, il rave, quello illegal, almeno,

avrebbe sicuramente conosciuto un’altra storia; inoltre in tali fenomeni di

nomadismo post-moderno si scorgono nuovamente i lineamenti di quella

communitas che era valore per gli hippie e riaffiora nel rave.

2.5 Il rave non è spettacolo

“Il pubblico non ha storia e non ha futuro; il pubblico vive in un

momento dorato creato da un sistema creditizio che lo lega

ineluttabilmente a una ragnatela di illusioni mai sottoposta a esame

critico. E’ questa la conseguenza finale dell’aver interrotto il rapporto

simbiotico con la matrice gaiana del pianeta; è il risultato della

mancanza di condivisione, il retaggio dello squilibrio tra i sessi, è la

fase terminale di una lunga discesa verso la mancanza di significati e

verso la tossicità della confusione esistenziale.”81

In questo brano McKenna, con la sua caratteristica enfasi, sottolinea i limiti del

rapporto che si ha generalmente fra pubblico e performer, rapporto in cui

troppo spesso al pubblico è riservato solamente il compito di gradire o meno

ciò che gli viene proposto, senza potere interagire con quanto sta accadendo.

E’ il caso del teatro classico, del cinema, e anche dei concerti rock e pop che

tanto hanno appassionato, e ancora appassionano, generazioni e generazioni.

Fin dagli anni ’60 si ha però assistito alla nascita di un nuovo concetto di

performance, in cui il pubblico diviene parte integrante e attiva della

situazione; si ha così , da parte delle avanguardie artistiche, un tentativo di

superamento della concezione aristotelica-occidentale dell’arte, cioè dell’opera

d’arte intesa come imitazione, rispecchiamento e riflesso della realtà di fronte

alla quale il pubblico non può che rimanere in contemplazione.

80R. Low-W. Shaw,1996, Traveller e raver, Milano, Shake edizioni, p. 21. In Italia non esiste una tale fantasia, e si definisce “punk abbestia” solo quei traveller, che forse nemmeno traveller sono, che vivono di spaccio e di vari espedienti, e amano soggiornare per ore nelle piazze, tra l’indifferenza della gente. Per quanto riguarda il fatto che i “punk abbestia” sono spesso circondati da cani, è evidente che non si tratti di un affetto “utilitaristico”, anche perché in Italia non esiste affatto un sussidio di disoccupazione! Piuttosto pare che i cani tengano caldo, oltre che dimostrare fedeltà ai propri padroni.81 T. McKenna, 1995, Il nutrimento degli dei, Milano, Urra, p.260.

79

Page 80: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

“La condivisione dell'eccitazione (determinata dalla prestazione dei

musicisti) tipica della situazione del concerto si trasforma nel rave in

un moltiplicarsi esponenziale di inputs, di stimoli che si riproducono;

ognuno è protagonista ricevendo e trasmettendo energia. In questo

contesto la musica finisce per costituire un sottofondo. Musica di

sottofondo che esplode, musica immaginifica, portatrice di immagini,

capace di lasciare un maggiore margine creativo alla fantasia del

corpo e della mente di chi ascolta,aiutato dal supporto di uno spazio

sonoro.”82

La scommessa di gruppi come il “Living Theatre” e il “Performance Group” era

quella di coinvolgere lo spettatore in una performance collettiva, sempre in

bilico fra il “per finta” e il “per davvero”, in cui ritrovare la dimensione ludica e

corporea , la necessità teatrale di esprimere quella radicalità fisica senza

finzione.

Un tale concetto di spettacolo non è affatto nuovo: gli antichi rituali erano

contemporaneamente spettacolo e preghiera, danza collettiva e

corteggiamento. L’officiante, lo stregone, lo sciamano, era si la figura centrale

e catalizzante, ma tuta la tribù, il clan, era in un modo o nell’altro coinvolta.

Il rave potrebbe quindi essere interpretato come un ritorno al concetto gaiano

di performance illustrato da McKenna, in cui attore e spettatore coincidono, e

ogni singolo è parte necessaria per lo svolgersi della danza, della festa, del

rituale.

“...il rave rappresenta il superamento della performance “live”, che

prevede la presenza di uno o più protagonisti sul palco e di un

pubblico che si gusta l’esecuzione. Durante il rave l’esecuzione

musicale assume valenze del tutto diverse, il DJ manipola musica

registrata, la consolle è molto più nascosta rispetto al palco, la folla

non si raduna per guardare verso un’unica direzione ma semmai per

guardarsi.”83

Quanto esposto nel brano precedente è di fondamentale importanza, perché

illustra la differenza principale fra il movimento rave e tutti gli altri movimenti

giovanili che lo hanno preceduto: nel rave non si ha netta separazione fra colui,

o coloro, che eseguono e coloro che assistono, e questo ha una portata

rivoluzionaria nel campo delle mode giovanili.

82 Testimonianza di un raver illegale, op.cit..83 Pol G.,Music a di sottofondo in A. Natella e S. Tinari (a cura di), Rave Off, Roma, Castelvecchi, p. 26.

80

Page 81: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

Anche durante gli anni della psichedelia, contraddistinti da idee “rivoluzionarie”

e fortemente anticonformiste e innovative, non si aveva però questa fusione

totale fra i partecipanti. Persino a Woodstock il pubblico era il pubblico e la star

era la star, per quanto le idee di cui si faceva portavoce fossero le “idee di

tutti”.

Questo, nel più recente passato, si è visto solo in fenomeni neo-pagani come i

free festivals inglesi, che del rave sono infatti i predecessori.

Nel rave non si hanno idoli da imitare, il raver non è un fan.

“... un fenomeno di identificazione con i musicisti, più spesso con i

cantanti che, nel rock, ha generato degli stili, delle parvenze, delle

attitudini identificabili. E’ la differenza più evidente tra un rave ed un

concerto rock: nel rave il DJ non viene messo in evidenza, in questo

modo, il rave non è spettacolo.”84

Ed è proprio analizzando il ruolo del DJ ed il materiale da lui utilizzato che si

può sottolineare dove e in che modo la performance rave fa la differenza.

Per quanto concerne il materiale discografico è importante sottolineare che i

mix utlizzati dai DJ durante i raves non sono normalmente commercializzati, e

provengono generalmente da cicuiti underground: il rave non è infatti un

“fenomeno musicale” se lo si intende come categoria o genere musicale cui è

legato tutto un mercato ad hoc.

Il vero rave non segue la “moda”, non fa vendere dischi, e il suo successo non

dipende, e questo è importante, dal nome del DJ, dalla sua fama, quanto dal

genere di musica techno che propone.

I nomi che appaiono sui flayers (volantini) spesso non riportano nomi di DJ ma

solamnete quelli dei sound systems che organizzano l’evento; se si mettono in

evidenza nomi di DJ è solamente per evidenziare il genere di techno su cui si

baserà la nottata. A volteè messa in evidenza la provenienza geografica del

performer, in modo che sia chiaro se si tratta, ad esempio, di un rave Goa con

transe israeliana o di un illegal con gabber olandese a 300 b.p.m..

L’anonimato è quindi una caratteristica del DJ raver, a differenza delle serate in

discoteca, che proprio sul nome e la popolarità dei DJ fanno la loro fortuna.

2.6 Zone Temporaneamente Autonome

TAZ, Zone Temporaneamente Autonome : utopie temporanee, nella definizione

di Hakim Bey, autore di grido della controcultura americana, la cui opera è

84 Fontana e Fontaine, 1997, Raver, Roma ,Sensibili alle foglie, p. 86.

81

Page 82: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

divenuta stimolo di dibattito negli ambienti underground italiani, all’interno dei

centri sociali prima e della scena dei rave illegal poi.

“La TAZ è come una sommossa che non si scontra direttamente con

lo Stato, un’operazione di guerriglia che libera un’area (di tempo, di

terra, di immaginazione) e poi si dissolve per formarsi in un altro

dove, prima che lo Stato la possa schiacciare.”85

TAZ quindi come effrazione del codice, sia sul piano spazio-temporale che su

quello simbolico, che viene schiacciata se si perpetua come rito sempre uguale

a se stesso.

Bey riprende il concetto di Fourier di “serie passionali”, cioè di un gruppo di

“spiriti liberi”, una organizzazione che sfugga alla dialettica assassina delle

istituzioni, il “numero di uomini psichicamente collegati necessario a esprimere

e realizzare un obiettivo passionale, condiviso e comune”.86

Bey spera nello sviluppo di tali gruppi, gli unici, secondo l’autore, in grado di

realizzare l’utopia, il non -luogo dove realizzare i propri desideri di uomini liberi.

E per libertà Bey intende sempre un agire che non provochi auto-sofferenza,

che non sia controproducente e che allo stesso tempo non arrechi danno agli

altri:

“Non voglio realizzare i miei desideri a spese della sofferenza altrui.

Non perché sarebbe immorale, ma perché sarebbe psichicamente una

sconfitta nei miei stessi confronti: la sofferenza genera sofferenza.

[...]Io lo rifiuto (il crimine) per ragioni meramente egoistiche : per

realizzare i miei desideri devo evitare la legge, o addirittura

infrangerla, ma non faccio nulla di sbagliato seguendo la mia strada e

non accetto nemmeno di essere etichettato come criminale.”87

E il rave in questo senso è proprio un “non-luogo”, la realizzazione di un’utopia

fuori dai ritmi del tempo “istituzionalizzato”, fuori dai luoghi del quotidiano, che

non si contrappone alla legalità, alle dinamiche di mercato, ma semplicemente

le ignora.

Il raver combatte la società che non gli da modo di esprimersi, ignorandola,

scavandosi una sua “nicchia ecologica” dove realizzare i desideri, almeno per

lo spazio di una notte.85 H. Bey, 1997, citato in A. Natella, Intro in4/4 - 180 bpm, in A. Natella e S. tinari, Rave Off, Roma, Castelvecchi, p. 11.86 H. Bey , 1997, L’ape criminale , in A. Natella e S. tinari, Rave Off, Roma, Castelvecchi, p. 142.87 Ibidem, p.142.

82

Page 83: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

Un nuovo modo di opporsi all’appiattimento della coscienza e delle idee di una

società dominata dall’onnipresenza dei media. E in questo senso il discorso di

Bey è stato ripreso dal movimento controculturale italiano, e così dai ravers,

per la sua carica “sovversiva”.

La politicizzazione del rave, specie in Italia, è molto forte, e benché dal

fenomeno non sia scaturita alcuna nuova teoria, buona parte del movimento

studentesco degli anni passati si è riversata nel fenomeno, come vedremo

quando tratteremo degli illegal.

Il pensiero di Bey ha le sue debolezze che sono poi le debolezze del pensiero

situazionista, ma i concetti di “psicotopologia” e di “tela” si riflettono in una

certa filosofia di fondo del movimento illegal rave e del movimento Goa.

Riprendendo il Bey pensiero: la mappa psico-geografica del rave pone al centro

le periferie e i luoghi normalmente tagliati fuori dalle dinamiche del mercato,

una rimappatura, insomma, dell’area urbana ed extraurbana, meno controllata

dalla Polizia e pronta per essere ristrutturata per l’occasione.

La “tela” si differenzia dalla rete in quanto se quest’ultima è l’insieme della

comunicazione far isole chiuse, con collegamenti verticali e unidirezionali, la

tela è caratterizzata invece una struttura aperta, orizzontale e alternativa di

scambi di informazione.

2.7 Rave e tecnologia.

La tecnologia è parte integrante del movimento rave, che , sebbene “rituale”

che mira alla ricerca di un “altrove”, poggia la sua base all’interno della

civilizzazione. Il rave è integrato nella tecnologia, il rave è tecnologia.

“E’ comunque un fatto che il rapporto con la tecnologia sia uno degli

elementi qualificanti dell’esperienza rave: la tecnologia industriale

degli spazi riutilizzati, quella elettronica dei campionatori e delle drum

machine, quella chimica delle sostanze empatogene e

psichedeliche.”88

All’interno del movimento rave si è sviluppata l’utopia di di una tecnologia più

umana, in cui è la tecnologia ad essere asservita agli scopi dell’uomo e non il

contrario; alcune tribe, come i Mutoid Waste Company e gli Spiral Tribe fanno

del riciclaggio tecnologico (waste) una filosofia di vita.

E l’utopia cyber, un movimento indirizzato al futuro e alle nuove tecnologie nel

quale la tecnologia è in accordo non solo con l’uomo, ma con la natura e la

spiritualità; è l’attuazione del vecchio sogno “fantascientifico” che, fin 88 Fontana e Fontaine, op.cit., p 6.

83

Page 84: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

dall’epoca del movimento psichedelico, credeva negli accresciuti sviluppi delle

possibilità di controllo sulla tecnologia,è la risposta al Grande Fratello da parte

di un uomo autonomo non più soggiogato ad una qualche volontà tecnologica

superiore.

Tale filosofia si rispecchia nel movimento letterario della fantascienza

“cyberpunk”, il cui immaginario si tesse attorno agli elementi della nostra

cultura per descrivere un futuro prossimo in cui alcuni temi tornano con

regolarità: il potere governativo è in mano alle grandi multinazionali, le città

sono popolate da moltitudini di gruppi e di etnie in lotta fra di loro, e le

frontiere da conquistare non sono più quelle fisiche , ma quelle informatiche e

virtuali del “cyberspazio”. In questo immaginario futuro la tecnologia diviene

anche una droga in grado di aumentare le capacità del corpo e della mente

umana.

Il riciclaggio, come abbiamo visto, diviene fonte di creatività, nel campo

musicale come in quello della gestione degli spazi e del proprio corpo, fino a

riflettersi negli stessi flyers, volantini nati per indicare il giorno e il luogo del

rave che divengono incisivi mezzi di comunicazione visuale, patchwork di

immagini scannerizzate e riassemblate al computer.

Ma la valenza della filosofia cyber va ben oltre le speculazioni fantascientifiche

della letteratura: il movimento rave, proprio per la sua capacità di riciclaggio e

di recupero (non solo degli spazi, ma delle idee, delle musicalità, delle culture

diverse, lontane geograficamente e temporalmente), assume una valenza

fortemente controculturale:

“...il mercato tecnologico, nella sua velocissima evoluzione, ha

permesso l’avvicinamento da parte della massa ai suoi scarti. Sempre

più persone iniziano a realizzare cosa significa usare determinati

mezzi per esprimersi e porre la propria forma di creatività contro un

determinato potere. Ecco che le porte della mente vengono aperte da

chiavi tecnologiche permettendo le esplosioni delle più profonde

potenzialità umane.[...]La macchina non serve più per “produrre”

merci impalpabili bensì per “creare” cultura antagonista.”89

E il rave si fa ancora più “controculturalemente tecnologico” quando entra in

Internet, rompendo ogni forma di copyright attraverso la comunicazione

telematica.

In questo suo unire il passato al presente, rave appare in tutto e per tutto un

fenomeno tecnologico, tecnologia che , in questo caso, rende liberi piuttosto

che schiavi: la tribù tecnologica dei ravers balla oltre i limiti del corpo, un corpo

89 Demian,op.cit, p. 57.

84

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“liberato” dai limiti della fatica, grazie alla tecnologie delle droghe sintetiche,

immerso nel suono della techno-music.

2.8 Transe e techno, dal passato la musica del futuro.

È’ luogo comune che la musica di questi anni viva una profonda crisi di idee,

luogo comune determinato dal non sapere, o volere, guardare nella giusta

direzione.

Gli stessi musicisti hanno avuto difficoltà ad accettare i nuovi strumenti che

l’innovazione tecnologica offre, ma dopo anni di sperimentazione da parte di

personaggi di indubbia genialità, quali Brian Eno e i Grateful Dead, tanto per

citare i più famosi, la scena elettronica e techno ha finalmente trovato il suo

meritato spazio di espressione, con la nascita e la diffusione di un fenomeno di

grande interesse.

La musica elettronica, pur frantumata in numerosi generi, porta al

compimento il progetto di quegli artisti visionari della fine degli anni ’60, come

Terry Riley, che proponevano una musica non più eurocentrica e

autoreferenziale, ma aperta verso il mondo e la sua storia, verso le altre civiltà.

La musica minimale e ripetitiva della generazione di Ginsberg e Burroughs,

traeva ispirazione dal movimento psichedelico, legato fortemente alla

spiritualità indiana, ad un diverso approccio all’esistenza, al rapporto con gli

altri con la natura.

E oggi come allora si scopre questo bisogno di uscire dagli schemi di vita

convenzionali, per raggiungere stati altri, nuovi e antichissimi allo stesso

tempo.

L’interesse per la transe, per l’estasi e per la ritualità è ciò che accomuna la

ricerca psichedelica alla techno, la nuova musica elettronica che è a ben

guardare uno dei fenomeni musicali più interessanti degli ultimi anni.

Nel migliore dei casi la musica techno diviene ponte fra la metropoli e le civiltà

diverse da quelle occidentali, fra passato e futuro. Essa recupera la musica

etnica, la trasforma, la plasma, la rende fruibile all’ascoltatore di oggi, ma allo

stesso tempo ne rispetta le valenze più profonde e ripropone lo stesso bisogno

di armonia e di rigenerazione.

La musica transe appartiene a tutte le epoche, è legata all’Uomo in quanto

tale e al suo bisogno di sacro.

La transe non è melodia. È piuttosto musica allo stato puro, ritmica, ripetizione.

Non è un qualcosa da ascoltare, ma piuttosto un qualcosa da vivere, accettare,

fare proprio, un qualcosa capace di unire l’uomo ai suoi simili, è un dispositivo

indispensabile per il raggiungimento di stati altri.

85

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La musica transe non permette un ascolto passivo, ma coinvolge l’ascoltatore

in modo totale, lo avvolge, ne plasma i pensieri e i movimenti, il pensiero: è

danza che crea.

E proprio alla danza la transe è indissolubilmente legata, oggi nel mondo

occidentale come in ogni altra parte del mondo ed in ogni epoca.

Il recupero della transe implica anche diverse modalità di fruizione, non più un

ascolto passivo in teatri e concertifici, ma partecipazione attiva e totale nei

clubs, partecipazione resa ancora più totale durante i raves.

Ed ecco che nelle periferie urbane si balla questa musica in cui passato e futuro

si incontrano: musica etnica e elettronica si fondono, con risultati a volte

grandiosi.

La funzione sociale della musica etnica sposa la tecnologia e si assiste così ad

un rito di transe metropolitana, dimostrazione che, se pure in diversi contesti

sociali e culturali, si ha oggi come in passato la stessa esigenza di benessere e

armonia nel rapporto con i propri simili, con il mondo e con l’universo dentro e

fuori di noi.

Ma vediamo meglio quali sono le caratteristiche principali della musica transe,

e della techno-music in genere.

“La musica, parte centrale, preponderante del rave deve servire come

un continuum sonoro, come un “tappeto per la preghiera” del corpo e

deve quindi rispondere a requisiti ben precisi per amalgamarsi con

altri brani. Di conseguenza la critica che viene spesso sollevata nei

confronti della musica da ballo di essere tutta uguale, priva di

interesse o di comunicatività, cade di fronte a un’intera situazione in

cui la musica viene analizzata per uno scopo ben preciso [...]. La

necessità di un tappeto sonoro omogeneo è dettata dal bisogno

dell’individuo danzante di potervisi adagiare con sicurezza.”90

La techno-music si basa su di un tappeto ritmico incessante, che crea una

tensione che non si risolve, e proprio per questo motivo procura piacere .

La techno-music si avvale delle tecnologie più innovative, computer e

sintetizzatori , per la costruzione di “pezzi” basati su ritmi ripetitivi e ossessivi,

che facilitano l’inserimento dei danzatori in uno stato ipnotico. E’ questo il

tratto essenziale che accomuna le varie correnti interne alla techno-music

(acid, garage, trance, hard-core, industriale, ecc.) e che rende possibile un

parallelo fra il ritmo rave e forme musicali tradizionali, anch’esse associate ai

riti notturni della transe, ai riti di possessione.

90 B. Pochettino, 1996, citato in F. Begozzi, Generazione in Ecstasy, Torino, Edizioni Gruppo Abele, p.118.

86

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Lapassade propone un parallelo fra la ritmica rave e quella associata ad alcuni

riti africani tradizionali:

“Quelli che conosco meglio sono quelli dei gnuaua marocchini, che

animano le notti di transe essenzialmente con un liuto (guembri) e i

crotali, ma senza il tamburo- che però si ritrova nei riti della stesa

categoria, come per esempio nella macumba. Anche qui i flussi sonori

sono intensi, ripetitivi, ossessivi, con poche variazioni ritmiche. Ma, a

differenza della techno, la musica tradizionale di transe comporta

generalmente il canto di litanie.”91

In questo passo Lapassade pone in parallelo la musica techno e la musica

tradizionalmente legata ai rituali di transe, evidenziando così alcuni tratti

essenziali della techno-music: un suo legame con la musica etnica, che

abbiamo già illustrato, l’uso del tamburo come sottofondo ritmico e la

prevalente assenza del canto, presente invece nei rituali tradizionali.

Partiamo proprio dal canto, dalla sua presenza o dalla sua assenza, per

analizzare ciò che della techno riconduce alla musica etnica e tribale, e ciò che

la rende così diversa da quasi ogni altro genere musicale contemporaneo.

La musica techno, dicevamo, è basata sulla ripetizione ossessiva di una ritmica

di fondo, non ha, come la canzone tradizionale, un inizio e una fine ben

distinguibili, la base di fondo non serve da sottofondo ad una melodia di primo

piano cantata o suonata da uno strumento. La struttura della techno è

piuttosto composta di piste sonore che si sovrappongono e giustappongono, si

inseguono e svaniscono per poi riapparire.

Non esiste un dualismo melodia-accompagnamento , tipica della musica

leggera, del pop, ma anche del canto popolare. Come dicevamo più sopra, la

techno non è melodia, è musica pura, suono, ritmo.

“Mentre i compositori del passato intendevano comunicare un

determinata impressione estetica, e per farlo miravano alla chiarezza,

subordinando il dettaglio alla melodia e al ritmo di ampio movimento,

con un apporto accuratamente sfumato tra certezze e ambiguità, gli

autori d'avanguardia preferiscono la saturazione e la prolissità dei

fenomeni musicali con la finalità di cancellare le proprie tracce e

quindi di creare quello che può essere definito un effetto magico.

Questa musica va percepita istantaneamente in uno stato di shock

creato da alterazioni rapide o in stati quasi onirici creati 91G. Lapassade,1997, Dallo sciamano al raver, Milano, Urra, 1997, p. 99.

87

Page 88: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

dall'estensione apparentemente senza fine di schemi pressochè

identici che si ripetono costantemente. La musica deve circondare

costantemente l'ascoltatore, eliminando così il divario convenzionale

tra mittente e destinatario.”92

L’assenza del canto, della parola come strumento di comunicazione, fa quindi

sì che sia il suono, il ritmo, a coinvolgere la mente e il corpo dell’ascoltatore,

che non viene, per così dire, distratto da una storia, dalle parole, dal

sentimento.

“Tradizionalmente la canzone è costruita formalmente attorno al

testo, assegnando così un ruolo predominante alla comunicazione

verbale. La parola ha però assunto sempre più valore di puro suono:

la tecnologia elettronica permette di ricreare, di campionare, di

decontestualizzare la voce umana e nella techno la parola è andata

progressivamente scomparendo, favorendo lo sviluppo di modalità

comunicative meno facilmente definibili .”93

I due elementi fondamentali della techno-music sono rintracciabili nel modo in

cui la techno viene composta e nel modo in cui si ascolta, e se le tecniche di

composizione, che come abbiamo già detto sono basate sull’uso di computer e

sintetizzatori, hanno poca rilevanza ai fini del nostro lavoro, le caratteristiche di

fruizione appaiono invece molto interessanti.

Infatti proprio l’assenza di un percorso narrativo, di una storia, di un inizio e di

una fine permette all’ascoltatore di entrare in una dimensione in cui si ha una

costante percezione del presente: la ripetizione infinita di frammenti musicali e

la circolarità fanno presa sull’ascoltatore, il quale può scegliere quale pista

sonora seguire, isolandola fra le altre.

Così c’è chi preferirà le sonorità basse e più lente e chi quelle veloci e alte,

senza che si creino dei gaps fra i danzatori. Al culmine tutti i diversi percorsi

musicali si ricongiungono e si fondono, il ritmo aumenta, fino al sincronismo

perfetto, momento in cui si assiste, durante il rave, al karmacoma, durante il

quale i corpi e le menti si fondono, e danzano all’unisono.

La musica techno, è questo il punto più interessante, non induce sentimenti,

bensì sensazioni, veicolate dall’organo dell’immersione e dell’emozione per

eccellenza: l’orecchio. A occhi chiusi ci si immerge totalmente nella magia del

suono, tutto il resto è tagliato fuori, si è come posseduti, e non è solo l’udito a

essere stimolato: le vibrazioni sonore muovono il corpo, e mentre le sonorità

92 Testimonianza di un raver illegale, op.cit. .93 Ibidem

88

Page 89: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

basse agiscono sulla parte inferiore del corpo, le braccia, le mani e la testa

seguono i loops delle sonorità alte.

La techno permette l’espressione del corpo, che gioca con la musica, mima,

oscilla, totalmente dominato dal suono.

“Questa musica va percepita istantaneamnte in uno stato di choc

creato da alterazioni rapide o in stati quasi onirici craeati

dall’estensione apparentemente senza fine di schemi pressochè

identici che si ripetono continuamente. La musica deve circondare

costantemente l’ascoltaore, eliminando così il divario convenzionale

tra mittente e destinatario. Alcuni ritengono che il suo effetto sia

migliore nella musica registrata, con gli alti livelli sonori e gli

altoparlanti di alta qualità che estendono (e a volta trasformano) le

posizioni e la distribuzione dei suoni. L’ascoltatore è dunque

materialmente immerso nel suono.” 94

Lo studio delle musiche da transe rivela che caratteristica comune di queste

musiche sono il ritmo ripetitivo e l’accelerazione del tempo, da cui

l’importanza fondamentale del tamburo in quasi ogni rituale tradizionale di

transe.

Rosseau riteneva il tamburo dotato di un potere misterioso di scuotere nervi, di

produrre la transe, M. Eliade, grande studioso delle istituzioni della transe,

sottolinea invece il ruolo primario che il tamburo assume nel rito sciamanico,

essendo considerato un mezzo che permette il contatto diretto con il mondo

degli spiriti.95

Se si ammette che il ritmo ossessivo dei bassi della techno possa in qualche

modo sostituire il ritmo tribale dei tamburi, la techno può essere considerata

una nuova musica da transe: techno, insomma, come induttrice di transe.

Un dispositivo musicale che, affiancato dall’uso sapiente delle luci, degli strobo

e all’ingestione di sostanze psicotropiche, aiuta il raggiungimento dello stato di

transe, come vedremo a suo tempo.

Lapassade sottolinea però il fatto che le musica da transe, e quindi anche la

techno music, abbiano più la funzione di regolare la transe, piuttosto che

indurla.

Capita spesso che il solo ascolto di un brano techno possa, in persone

predisposte o “iniziate” portare allo stato di transe automaticamente, come

una specie di riflesso condizionato; un’altra caratteristica della musica techno

94 Demian, op.cit., p. 57.95 Eliade M., 1953, Lo sciamnismo e le tecniche arcaiche dell’estasi, Roma-Milano, Fr. Bocca Editori.

89

Page 90: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

che rende possibile un parallelo con le più tradizionali musiche da transe è

infatti fenomeno dell’ “iniziazione-techno”:

“Molto spesso dopo una prima festa, i novizi associano i suoni

particolari della techno al rave quando li riascoltano in un altro

contesto. La musica costituisce un segno per la memoria; le emozioni,

le sensazioni vissute nel momento della festa rinascono con l’ascolto.

Durante le nuove uscite, per coloro che sono già iniziati alla techno, il

passaggio da uno stato di coscienza all’altro è più facile. L’importanza

della musica nella transe è qui comparabile al ruolo che essa ha in

alcuni rituali tradizionali: come mostra Bastide presso gli Yoruba per

esempio, in questo stato di transe “si insegnano agli iniziati dei riflessi

condizionati in modo che possano, ascoltando alcuni leitmotiv

musicali, entrare ancora in stati simili” ”.96

Aspetto assai interessante della scena techno è il suo rapporto con la musica

per così dire istituzionalizzata e sottomessa alle regole delle grandi

multinazionali del settore, alle leggi del mercato che sulla musica, come su

ogni altro aspetto del loisir moderno, hanno costruito un immenso giro di affari.

“Se per "fenomeno musicale" si intende appunto una categoria o un

genere musicale che vende dischi e che sia riferibile ad un contesto

preciso, la scena techno non può definirsi tale: il suo sviluppo, la sua

crescita, il suo "successo", non dipendono dalle vendite dei dischi, dal

fatto di rappresentare un buon prodotto commerciale; inoltre non è

possibile identificare in maniera precisa i suoi acquirenti, tantomeno i

suoi luoghi deputati in quanto essi vengono cercati, creati, oppure

semplicemente vissuti di volta in volta in modo diverso97

E c’è anche un altro aspetto che rende la techno meno assoggettabile alle

regole del mercato, ed è questo il secondo aspetto preso in considerazione da

Fontaine e Fontana: il modo in cui la techno viene creata.

La tecnologia alla base della creazione della musica elettronica è oramai

divenuta alla portata di tutti e, di conseguenza, lo statuto del musicista è

mutato.

Quella stessa tecnologia che permette, attraverso il mixaggio, di integrare

diversi stili e diverse culture musicali, libera il musicista della necessità di un

96 Fontana e Fontaine, op.cit., p. 34.97 Testimonianza di un raver illegale, op.cit.

90

Page 91: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

grande apparato di musicisti e strumenti, permettendogli oltretutto di

materilizzare molto velocemente le sue idee, attraverso computer e

sintetizzatori.

Molti storceranno il naso, commentando che la techno non è vera musica, ma

questa è solo una questione di punti di vista.

Certo le moderne tecnologie aiutano il “genio” musicale, ma il creatore di

techno, come ogni altro artista, deve conoscere perfettamente gli strumenti a

sua disposizione, per creare qualcosa di “bello”, di innovativo e originale, deve

saper selezionare le traccie, cambiare il ritmo, sopprimere le note stonanti.

Non tutti possono essere bravi artisti techno, ma il fatto imprtante e

rivoluzionario sta proprio in quella possibilità data a “tutti” di poter accedere

agli strumenti dell’artista. Come dire che, in questo caso, la tecnologia si fa più

democratica.

“...La tecnologia si è rivelata completamente indipendente. Possiamo

installarla dappertutto, soundsystem, dj’s, raves, fino ai capi del

momdo. Comunicando agli iniziati grazie alle reti e ai modem. Nella

scena sulla quale ci muviamo, migliaia e miglia di persone fanno i loro

movimenti e comunicano. Niente denaro, niente controlli, noi

seguiamo il cammino della vita. […] Non vendiamo dischi, ma una

cultura totale. Posssono Sony o Philips fare una cosa del genere? Ecco

il punto chiave: a parte la festa, cosa vuoi fare della tua vita?”98

La techno non vuole proporre solo musica, essa propone invece un vero e

proprio modo di relazionarsi all’esistenza, una filosofia, più filosofie: da quella

del riciclo cyber a quella pangenica delle feste Goa, ma sempre un qualcosa

che coinvolga l’esistenza tutta, in ogni suo aspetto.

E non farà nessuna meraviglia se il “goano” misticheggiante farà uso delle più

innovative tecnologie di rete, per diffondere il suo messaggio per le vie del

mondo.

2.9 Le droghe rave

L’Ecstasy e le nuove droghe

Cercare di analizzare il fenomeno rave senza dare giusto spazio alle sostanze

psicotropiche sarebbe davvero ingenuo, oltre che ipocrita.

98 C. Ballaira, 1996, Pronoia, in G. Gallina (a cura di), Transe, il passato remoto della musica del futuro, Milano, Virus Production-Musica 90, p.67.

91

Page 92: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

Il fenomeno rave è nato insieme al diffondersi di tutta una serie di “nuove

droghe”, che hanno permesso il sorgere di un movimento giovanile che del

consumo di sostanze stupefacenti “diverse” fa una bandiera.

I raver, come la maggior parte dei consumatori di Ecstasy, non sentono più

addosso l’eredità di quel “no future” che ha caratterizzato il movimento punk, e

nemmeno vogliono cambiare il mondo, come gridavano i giovani contestatori

negli anni ’60 e ’70, fra uno spinello e un trip di LSD.

Cambiano i tempi e cambiano le droghe, cambiano i ritmi di vita e cambiano i

modelli di assunzione, cambiano i desideri e alle droghe oggi si chiede, anche,

qualcosa di diverso.

Credo si debbano chiarire un paio di questioni, prima di dare un’occhiata al

panorama delle droghe da rave.

Innanzitutto, come vedremo, le droghe classicamente associate al mondo

giovanile sono tutt’altro che scomparse, ognuna di loro ha conosciuto un iter

del tutto particolare, ma ciò che interessa ai fini della nostra ricerca sono le

nuove modalità d’assunzione, il come, il dove e il perché delle “nuove droghe”.

Occorre innanzitutto sottolineare che le sostanze “da rave” sono generalmente

droghe assolutamente non letali, certo pericolose se non le si conosce, ma non

più legate a quel culto di morte insito nel consumo di eroina.

Con questo non voglio dire che l’eroina non sia mai entrata ad un rave, ma solo

che si tratta due mondi diversi, anche se confinanti, mondi che cercano cose

differenti, specie quando si tratta di fuggire.

Il raver, come abbiamo visto, non è un disperato, non è un individuo marginale

in cui prevale il desiderio di morte; non è il punk degli anni ’70 che odia tutto e

tutti e affonda la sua disperazione in una vena iniettandosi qualche grammo di

sostanza marroncina, ma non è nemmeno il mistico che dell’uso di droghe

psichedeliche fa una vera e propria filosofia di vita, una via interiore di ricerca.

Il raver sta forse nel mezzo, cerca una temporanea fuga dal mondo, vuole stare

bene e magari viaggiare, ma mai spingersi troppo lontano, la sua droga sarà

quindi una droga i cui effetti non durino troppo, e che non porti in luoghi da cui

sarebbe difficile “tornare”.

E qui si apre un’altra questione: il raver, in generale, non è un mistico e

nemmeno un drogato nell’accezione comune del termine, ma esistono,

all’interno del fenomeno, delle differenze assai evidenti, sia nel tipo di sostanza

usata, sia nelle modalità di assunzione, diversità non solo riscontrabili,

chiaramente, da individuo a individuo, ma assi evidenti tra movimento e

movimento.

Alcune sostanze presenti massicciamente nel mondo illegal, legato alle tribe e

ai travellers, sono quasi assenti dal mondo delle discoteche, e sono meno

92

Page 93: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

presenti nei rave organizzati dai centri sociali e nei party Goa, come vedremo

meglio quando illustrerò le diverse situazioni presenti sul territorio bolognese.

Questo è un punto molto importante, perché solo conoscendo, senza entrare

troppo nello specifico, gli effetti delle sostanze, si può cercare di comprendere

lo spirito del rave, o, meglio, lo spirito dei raves.

Un ultima osservazione: l’Ecstasy, come altre sostanze stupefacenti, hanno da

tempo fatto il loro ingresso nelle discoteche, diventando spesso oggetto di

studio; in libreria non mancano giornali, riviste, libri, che trattano l’argomento,

senza avarizia di dati, e anche serie ricerche da parte di enti e associazioni; tali

ricerche però, se pur interessanti, non hanno grande interesse al fine del nostro

discorso, essendo appunto incentrate su un mondo vicino ma assi diverso da

quello del rave.

“La ricerca diffusissima di alterazione sensoriale non riguarda solo il

consumo di droghe più o meno pesanti ma la capacità di

sollecitazione del proprio corpo attraverso la veglia, la fatica, lo stress

psichico. Si tratta con la propria adrenalina, si scatenano i recettori

meno utilizzati del cervello. Aspetti che non possono essere liquidati

come mera disfunzione generazionale, non più, perlomeno.” 99

E’ l’Ecstasy, questa sostanza dal nome invitante, la droga da rave per

eccellenza. Ecstasy e rave nascono insieme, e insieme si evolvono, mutano,

invadono il mondo.

In termini temporali, a essere precisi, l’E (Ecstasy), nasce molto prima, e viene

sperimentata su “cavie umane” in un contesto assai diverso da quello, pur

caotico e “off limits”, del rave o della discoteca.

L’MDMA è infatti una sostanza brevettata nel 1913 dalla compagnia tedesca

Merkc, nata, secondo la diceria, come dimagrante ma mai immessa sul

mercato poi riapparsa nei laboratori della NATO alla fine degli anni’40 e

utilizzata come “euforizzante” per le truppe americane durante la Seconda

guerra mondiale.

Il rapporto fra droga e guerra e antico quanto l’uomo, antico cioè quanto il

rapporto fra uomo e droga in generale: accanto alle tecniche psicologiche e di

combattimento, fin dall’antichità durante e prima del combattimento si è fatto

largo uso di sostanze psicoattive, dall’alcol (noto è l’uso del vino come

euforizzante presso le truppe romane), al “dioniso celtico” (che si suppone

fosse una miscela di vino e altre sostanze psicoattive come l’Amanita

Muscaria), dalle anfetamine di cui si imbottivano i kamikazen giapponesi

99 Infante C., “Un corpo invaso da circuiti”, l’Unità, 21/12/1995.

93

Page 94: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

durante la seconda guerra mondiale, al kath ampiamente utilizzato durante il

conflitto somalo.100

L’Ecstasy sarebbe insomma il materiale di scarto di sperimentazioni che

avevano tutt’altro obiettivo che scoprire una sostanza empatogena, in grado di

avvicinare la gente, di dare euforia e fiducia in se stessi.

Padre “adottivo” dell’MDMA è R. Shulgin, biochimico californiano, ricercatore

presso la Dole, una compagnia chimica Amricana, il quale ha studiato per anni

l’MDMA, descrivendone gli effetti sia sul corpo che sulla psiche umana,

giungendo ad avernene una visione assai positiva ed a proporne l’uso in

psichiatria.101

Ma prima di vedere gli effetti dell’Ecstasy occorre chiedersi perché il fenomeno

rave sia così strettamente legato al consumo di sostanze psicoattive.

Credo vi siano due ordini di motivi: l’uno legato al desiderio di abbandonare

temporaneamente le ansie, la fatica e i problemi del quotidiano, l’altro invece

più strettamente di orine fisico, in cui la droga altro non è che una sostanza che

permette di andare oltre i confini della notte senza troppa fatica, e soprattutto

senza cedere al sonno.

L’Ecstasy “risolve” entrambi i problemi, permettendo al raver di sentirsi bene

fra gli altri e dandogli l’energia necessaria a 6-8 ore ( e anche più) di ballo

ininterrotto.

Non è obbligatorio “calare” per partecipare ad un rave, ma certo le sostanze

psicoattive rendono più facile la cosa, sono una scorciatoia verso i confini della

mente e della notte.

“...una scorciatoia tanto potente quanto potenzialmente dannosa.

Sono le sostanze psicoattive a permetterci, per alcune ore, di andare

oltre la coltre dello stress per ricevere quella spinta alle spalle

necessaria per compiere il salto di coscienza, sciogliere i freni inibitori

e ritrovarci completamente immersinella danza, trapassati dal suono

e pronti a farci trascinare per un viaggio lungo una notte.”102

100 Un saggio molto interessante sull’argomento è :1996, Carlo Alfredo Clerici, Droghe da guerra, in “Altrove” n.3, p.51/59.101 Di A.T. Shulgin ricordo: Shulgin A.T., 1986,“The Background and Chemistry of MDMA”, in Journal of Psychoactive Drugs n.18; Shulgin A.T.-Shulgin A.,1991, PihKal. A Chemical Love Story, Berkeley, Transform Press. Sull’uso dell’MDMA e dell’LSD in psichiatria: Camilla G.,1996, L’MDMA e le terapie psichedeliche: una prospettiva storica, in “Altrove” n. 3. Pubblicazioni interessanti ed esurienti sull’MDMA sono: 1996, “Emaptogeni”, in Altrove n. 3 ; Pagani S., 1996, Ecstasy, neurodanze e abusi, in “Altrove” n.3; Bolelli F., 1994, Le nuove droghe,Roma, Castelvecchi; Landriscina F.,1995, MDMA e stati di coscienza,in Eleusis n.2; Metzner R.-Adamson S.,1992, Ecstasy,Roma, Stampa Alternativa Millelire; Saunders N.,1995, E come Ecstasy, Milano, Feltrinelli.102 B. Pochettino, 1996, Rave , sostanze e rit(m)o , in “Altrove” n.3, p.125.

94

Page 95: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

Questa filosofia “off limits” del raver è insomma la spiegazione dell’uso

massiccio di Ecstasy e anfetamine durante le feste techno: l’Ecstasy è

insomma una techno droga per techno eventi.

Esiste poi un altro motivo che spinge la maggior parte dei raver a fare uso, o

almeno a sperimentare, Ecstasy: l’assumere insieme agli altri le “pasticche”, il

dividersele con gli amici o con l’amato è un gesto simbolico che unisce, gesto

in grado di rinsaldare i rapporti (o di decretarne la fine), è un modo speciale di

dividere un’esperienza speciale, fuori dall’ordinario.

“Qual è la connessione fra il culto techno e l’Ecstasy? Vanno di pari

passo: superamento del limite fisico, empatia. Alla fine dell’evento noi

sappiamo di aver partecipato a un qualcosa che ci ha arricchito

interiormente e emotivamente che ha rinsaldato dei legami. A cosa

serve il culto tribale? A rinsaldare i legami all’interno del gruppo.

Bisogna vedere l’evento -con cadenza quindicinale, mensile- come

una grande nursery in cui noi ci possiamo liberare e rigenerare.”103

L’Ecstasy può insomma essere vista come parte integrante di un vero e proprio

rito, cui occorre essere iniziati:

“L’assunzione di droghe, spesso all’arrivo del luogo del rave, è in

qualche modo un “rito di partecipazione alla festa”. In molti casi è

anzitutto un rito dell’iniziazione dei novizi: l’assunzione in una prima

esperienza può bastare a far aprire i più timidi al mondo della techno

e dai rave, affinché “entrino nel delirio”, nello “spirito della festa”,

mettendo da parte tutte le loro apprensioni”104

Ma quali sono gli effetti dell’Ecstasy di cui sono tanto entusiasti i raver? Come

abbiamo detto, ultimamente la composizione delle pasticche spacciate come

Ecstasy comprende in realtà sostanze di vario genere e provenienza, è quindi

più corretto vedere gli effetti dell’MDMA.

L’MDMA è un empatogeno, sostanza cioè in grado di amplificare la capacità di

empatia, ossia la facoltà di identificarsi con un’altra persona, e di sentire ciò

che l’altra persona sente; la comunicazione diviene più facile, cadono le

barriere, e si preferisce così la compagnia all’isolamento.

Attraverso l’assunzione di MDMA si raggiunge, durante il rave, lo stato di

karmacoma, durante il quale i partecipanti si fondono, divenendo un’unica

103 F. Bagozzi, opp. cit., p.116.104 Fontana e Fontaine, op.cit., pp 15.

95

Page 96: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

cosa: è il momento centrale del rave, quello in cui viene raggiunto quel senso

di Unione con i propri simili e con la Natura che fa di un rave il vero rave.

L’MDMA puro non è un allucinogeno, modifica la percezione del tempo, ma

generalmente lo spazio mantiene la sua dimensione ordinaria; gli effetti sul

corpo sono descrivibili come un benessere diffuso, come un senso di

leggerezza.

Si tratta insomma di una droga adatta ad una generazione che cerca rifugio dal

quotidiano in mezzo agli altri, piuttosto che dentro alla propria mente; è una

droga “comoda”, in un certo senso ipocrita, non troppo pericolosa per

l’equilibrio della psiche, che non porta insomma troppo “oltre”, fa stare bene, e

al ritorno, il giorno dopo l’assunzione, si potrà al massimo avvertire il “down”

fisico dovuto alla stanchezza.

“...l’uso di MDMA è limitato alla capacità di abbattere le barriere

relazionali, rendendola sostanza perfetta per gli anni ’90,

fondamentalmente svuotati e insicuri; ecco quindi spieagata la sua

grande e velocissima diffusione, è possibile acettarsi, essere accettati

in un batter d’occhio, tutti diventano affabili, simpatici, anche i

perfetti sconosciuti...Il tutto in ogni caso rientra nel percorso fisico-

psichico ordinario, non scende in profondità, non scalza le norme del

quieto vivere quotidiano...” 105

Certo è importante distinguere fra uso e abuso: un uso continuato e

indisciplinato può portare a serie psicosi, ma basti pensare che dopo essere

stati così bene il ritorno alla realtà può anche essere molto spiacevole!

Chiaramente l’MDMA, come qualsiasi altra sostanza, non ha i medesimi effetti

su tutti gli individui: il suo effetto dipende dalle predisposizioni, dalla

personalità, dalle motivazioni, dal contesto ambientale, fisco e culturale nel

quale si trova l’individuo, dal set e dal setting, insomma.

Così l’MDMA può avere effetti diversi da individuo a individuo, e anche nello

stesso individuo in occasioni differenti.

N.Saunders in un suo articolo su “The Guardian”, intitolato “Agonia e Estasi sul

sentiero di Dio”, mostra come l’MDMA possa essere impiegato anche per scopi

religiosi.

Alcuni monaci benedettini e alcuni monaci provenienti da differenti discipline

Zen hanno infatti assunto dosi di MDMA prima delle meditazione, notando

come questa sostanza renda meno faticoso e più naturale il contatto col divino:

105 B. Pochettino, 1996, Rave , sostanze e rit(m)o ”, in “Altrove” n.3, p.126.

96

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“Il monaco Rinzai Zen si rese conto che l’Ecstasy l’aveva

genuinamente aiutato nel suo cammino per diventare abate. Egli lo

ha sperimentato durante gli anni, giungendo alla conclusione che

questa sostanza avesse molto effetto il secondo giorno di sette giorni

di meditazione, quando vi era il pericolo di essere distratti da

sensazioni meravigliose.

Anche il monaco Soto Zen sostiene che droghe come l’Ecstasy

possano aiutare la mediatazione : “Quando lo prendi l’MDMA ti aiuta a

capire come sederti, e ti fornisce conoscenza esperenziale”, e

aggiunge che la grande maggioranza dei suoi studenti ha cercato di

imparare attraverso esperienze indotte da droghe, ed egli è sicuro

che lo stesso discorso possa valere per molte scuole occidentali.

Ma è un buon modo per imparare? “E’ come una medicina, un

meraviglioso strumento per imparare...[...]Il rabbino ha una visione

positiva dell’uso delle droghe giovanile. “Le religioni tradizionali

hanno perso l’abilità di fornire esperienze mistiche ai loro seguaci.

Difatti ai giovani di oggi piace molto di più avere esperienze tali in Lsd

o Ecstasy.”[...]Molte persone usano l’Ecstasy per i rituali religiosi.” 106

L’ecstasy, insomma potrebbe essere un valido strumento di conoscenza, se

applicato in contesti differenti dal rave, che riamane pur sempre una festa

collettiva, un divertimento.

Certo c’è rave e rave, e i raver non sono tutti uguali. Alcuni raver predisposti,

“mistici” forse, potranno avere qualche iiluminazione preziosa, oltre che

sentire lo “spirito della festa”!

Se normalmente L’MDMA fa nascere un sentimento di Unità con gli altri simili,

non è però assolutamnte escluso che in individui particolari, mistici o

semplicemente predisposti, questa sostanza apra la possibilità di accedere a

livelli conoscitivi normalmente preclusi.

Di questo si parla poco, anche nei libri specializzati sull’argomento: l’MDMA può

provocare una vera e propria transe, sia legata al rave, è questo il caso della

techno-transe, ma anche transe definibili come isteriche o dissociative, per non

azzardare che possa essere indotta adirittura una transe di tipo sciamanico.

Non è questo il luogo per discutere su tali supposizioni, solo voglio sottolineare

che l’Ecstasy, sebbene normalmente utilizzata in contesti “profani”, e troppo

spesso soggetta ad abuso, potrebbe essere di per se una sostanza dalle grandi

possibilità, come lo potrebbe essere l’LSD.

La nuova psichedelia

106 N. Saunders, “The Agony and Ecstasy of god’s path”, The Guardian, 27/7/1995.

97

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“Fin dagli anni Sessanta la diffusione di culti popolari di transe e di

danze disco e reggae ha rappresentato un allontanamento sano

quanto inevitabile, dalla forma generalmente letargica ormai assunta

dalla religione occidentale ad alta tecnologia.Il collegamento tra rock

and roll e psichedelici è un collegamneto sciamanico; transe, danza

ed ebrezza compongono la formula arcaica sia per una celebrazione

religiosa che per un buon divertimento garantito.” 107

Spendiamo ora qualche parola proprio sull’LSD, sugli acidi tanto cari alla

generazione psichedelica.

Il consumo di LSD durante i rave è molto interessante, in quanto questa

potente sostanza non risponde certo a quel desiderio di benessere e

fratellanza assicurato, o almeno promesso, dall’MDMA.

L’LSD è una sostanza psichedelica , in grado di destabilizzare fortemente la

psiche, e pertanto pericolosa, non tanto dal punto di vista fisico, quanto da

quello mentale, per quanto riguarda l’equilibrio psicologico.

E’ importante sottolineare che l’LSD di oggi non è lo stesso degli anni ’60 e ’70:

basti pensare che un francobollo (trip) dell’epoca conteneva 250 microgrammi

di LSD, e ora ne contiene 50, inoltre la sua composizione è molto cambiata,

adattandosi alle nuove esigenze: i nuovi trip sono spesso fortemente

anfetaminici, contengono cioè in quantità maggiore sostanze che agiscono sul

sistema nervoso periferico risultando così assai meno destabilizzanti

psichicamente e fornendo energia fisica ed eliminando la stanchezza, cosa che

il “vecchio” LSD non faceva affatto, inducendo anzi spesso uno stato di transe

così intensa da impedire qualsiasi movimento.

Il mercato ha fatto nascere, come nel caso dell’Ecstasy, tutta una serie di

laboratori clandestini che, rimodellando la molecola di partenza dell’LSD 25,

sintetizzano nuove sostanze, più adatte alle nuove esigenze e quindi meglio

commercializzabili.

Questo non toglie che l’LSD rimanga uno dei più potenti strumenti per

“viaggiare”: questa sostanza infatti agisce sul sistema nervoso centrale,

scatenando un’esperienza interiore , individuale e fortemente psicologica, così

anche i trip moderni, seppure meno potenti provocano allucinazioni, inducono

illusioni uditive e stati onirici, fino a portare allo stato di confusione e alla

spersonalizzazione.

107 T. Mc Kenna, op.cit., p.66.

98

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S.Grof108, psichiatra che ha studiato per anni gli effetti dell’LSD, distingue

quattro livelli principali o tipi di esperienze indotti da questo tipo di acido, si

possono distinguere così:

1.Le esperienze astratte ed estetiche

2.Le esperienze psicodinamiche che provengono dal campo dell’inconscio

individuale e delle zone della personalità accessibili negli stati ordinari di

coscienza e che sono legate a ricordi forti, a problemi affettivi, a conflitti non

risolti o ad ogni materiale rimosso della vita di un individuo

3.Le esperienze perinatali che ruotano intorno a i problemi centrali quali la

nascita biologica, la sofferenza fisica, la malattia, l’invecchiamento, la

vecchiaia, l’agonia e la morte, e sono accompagnate da una crisi esistenziale

lacerante

4.Le esperienze transpersonali, che si producono soltanto durante le sedute

avanzate di terapia psicolitica, il cui denominatore comune è che l’individuo

sente che la sua coscienza si è estesa oltre i limiti ordinari del suo ego e di

quelli del tempo e dello spazio.

A proposito di LSD Fontaien e Fontana notano:

“I ravers che non assumono acido vivono essenzialmente di

“esperienze estetiche” come Stanislav Grof le caratterizza. Queste

corrispondono per lui al grado più superficiale dell’LSD e danno luogo

a distorsioni sensoriali che possono in gran parte essere considerate

“come il risultato di uno stimolo chimico degli organi sensoriali,

riflettendo la loro struttura interna e le loro caratteristiche

funzionali.”109

Chiaramente anche per l’LSD vale il medesimo discorso dell’MDMA: ciò che

conta non è solo la quantità e la qualità dell’acido ingerito: a fare la differenza

sono le caratteristiche culturali, la predisposizione e le aspettative individuali,

legate oltretutto alla situazione esterna e agli stimoli sensoriali.

L’LSD, come dicevamo, è una sostanza allucinogena, o psicodisleptica, che da

origine ad allucinazioni e illusioni visive e sonore, pertanto il raver sotto acido

sarà facilmente attirato da disegni geometrici che assumeranno contorni e

aspetti sempre diversi, dalle luci strobo che trasformeranno l’ambiente, e si

“fisserà” facilmente su oggetti, su suoni e colori, scoprendone particolari mai

notati, e nuovi significati.

108 S. Grof,1984, Le domaines de l’incoscient humain, in Au delà de l’Ego, Paris, La Table ronde.109 Fontana e Fontaine, op.cit., p. 52.

99

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L’LSD allontana dalla realtà ordinaria sicuramente più dell’MDMA, e fa sì che

spesso l’individuo, specie se ha assunto una quantità non irrisoria di acidi, si

chiuda in se’ stesso, per esplorare il proprio mondo interiore, lontano dagli altri.

L’LSD inoltre provoca dei disturbi motori evidenti, che spaziano dalla ripetizione

costante e ossessiva di movimenti e gesti, alla totale immobilità; ogni

riferimento di spazio e di tempo è facilmente perduto.

L’esperienza dell’LSD può anche essere traumatica per chi non vi è preparato,

o si trova in un momento non facile: l’effetto dell’acido dipende in grande parte

dall’umore e dalle condizioni del viaggio, e il “bad trip” non è un’esperienza

rara.

Un bad trip può procurare una sensazione di angoscia insopportabile, può

procurare vere e proprie crisi di panico e d’altronde non si sa mai cosa si può

andare a scoprire, quando si liberano i propri demoni!

Nonostante l’LSD non sia insomma una droga “facile” come lo può essere

l’Ecstasy, il suo consumo durante i rave è tutt’altro che un fenomeno

secondario:

“L’LSD come sostanza da rave, quindi, tenendo sempre presente che

in un fenomeno così ampio e multiforme, che vede coinvolte più di un

milione di persone nella sola Europa, sarebbe assurdo tentare di

generalizzare il tutto in una semplice dicotomia, ma, anche e

soprattutto per esperienza diretta, vi sono alcuni aspetti che non è

possibile non notare. Innanzitutto l’utilizzo di sostanze psichedeliche

sposta il raggio d’azione della cognizione umana: scompare l’aspetto

empatogeno e l’individuo si cala in una solitudine grandiosa, unica,

dove si muove in senso verticale su piani più alti di coscienza. Non vi

è più sentimento di unione, ma di Unità”110

Il movimento psichedelico degli anni’60 aveva fatto del’LSD la sua droga

regina, mettendo in evidenza l’aspetto mistico dell’esperienza, lo stesso T.

Leary e R. Metzner ritengono che le droghe psichedeliche possono scatenare

vere e proprie esperienze religiose, oltre che estetiche e terapeutiche.

Alcol ed altro

Ma, come dicevamo, “dentro” all’Ecstasy non c’è solo MDMA, e le sostanze in

circolazione sono centinaia e centinaia: le “pasticche” vengono tagliate con

Roipnol, con eroina, con antidepressivi, con mescalina e con numerose altre

sostanze chimiche e farmaceutiche.

110 B. Pochettino, op.cit., p.130.

100

Page 101: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

Parlare di tutte le sostanze che “passano” per il rave sarebbe impossibile, ma

alcune di queste hanno un posto d’onore di fianco all’Ecstasy e all’LSD:

mescalina, speed, ketamina, senza tralasciare la presenza, tutt’altro che

esigua, dell’alcol.

Per quanto riguarda l’alcol è vero il discorso che questo non rientri nell’ottica

rave, se consumato da solo, ma la birra, bevanda consumata massicciamente

dai giovani, non manca quasi mai, ed è calorica e dissetante quanto basta per

il raver affaticato che, oltretutto, tende a perdere liquidi per via dello sforzo

fisico e dell’ingestione di MDMA; non è raro inoltre che l’alcol venga usato per

“far scendere la botta”, accanto all’hashish, quando si ha “calato” troppo e le

anfetamine non danno tregua.

Il discorso cambia nel caso dei superalcolici, raramente presenti sulla scena.

Lo speed è invece un’anfetamina in polvere dall’effetto prettamente

energizzante, nata nei club “Jungle”111 inglesi e poi approdato nel resto

dell’Europa; lo speed viene generalmente usato per aumentare gli effetti

dell’Ecstasy, per aiutare fisicamente un trip poco energetico e per permettere

di continuare a ballare quando, al mattino, gli effetti delle sostanze cominciano

a svanire.

La ketamina è una sostanza anestetica usata in origine in veterinaria e in

pediatria, oltre che per le anestesie locali, ha forma liquida ma sulla piazza

arriva in polvere, generalmente in capsule, e spesso viene spacciata per

Ecstasy. I suoi effetti sono invece assi diversi da quelli dell’MDMA: essa infatti

provoca allucinazioni e forme di dissociazione.

La mescalina ha invece una storia molto più lunga e dignitosa: si tratta di

un’anfetamina visionaria molto potente, che si ritrova in natura nel cactus del

Peyote Lophophora williamsii, utilizzato da secoli dagli indio messicani dello

stato di Sonora.

Aldous Huxkey, nel suo “Le porte della percezione” descrive gli effetti di tale

sostanza:

“ “Ecco come bisognerebbe vedere” continuai a dire mentre mi

guardavo i calzoni, o davo un’occhiata ai libri splendenti negli scaffali,

alle gambe della sedia infinitamente più che vangoghiana: “Ecco

come bisognerebbe vedere, ecco come le cose sono veramente””112

111 La jungle è un sottogenere della techno, ammiccante a sonorità africane, ripetitive e dal ritmo molto veloce.112 Huxley A., 1958, Le porte della percezione, Milano, I Quaderni dello Specchio, p.35.

101

Page 102: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

La mescalina compare sul mercato sotto forma di pasticca, generalmente di

colore rosa o arancione, spesso in associazione ad altre sostanze, come

l’MDMA puro.

A questo punto è necessario spendere due parole anche sull’eroina, sostanza

che, come ho detto, non rientra nella “filosofia” rave ma non è, purtroppo,

assente dalla scena .

Dell’eroina, in questo caso, non si fa l’uso “classico”, non viene cioè sciolta e

iniettata in vena, ma sniffata per calmare gli effetti di altre sostanze.

Dall’inizio del’97 ha cominciato a diffondersi una sostanza chiamata cobret, che

per alcuni consumatori altro non sarebbe che un derivato dell’eroina, che viene

usata al termine della nottata, per diminuire gli effetti del down.

Il successo di un rave dipende in definitiva in grandissime misura dal tipo di

sostanze presenti; certo la musica, l’ambiente, le persone presenti hanno

un’importanza fondamentale, ma una “cattiva” droga, o l’assenza di sostanze

sulla piazza, può facilmente decretare il fallimento di una nottata.

Il tipo di sostanza più diffuso in quel momento decide in un certo senso il

carattere della nottata: se, per esempio, in quel momento il mercato offre

pasticche di MDMA puro, il rave sarà presumibilmente molto caldo e lo “spirito”

sarà lo stesso più o meno per tutti; se invece, ad esempio, le pasticche sul

mercato sono fortemente anfetaminiche, allora ci sarà forse meno intesa fra i

partecipanti, meno empatia, ma sicuramente si ballerà più a lungo.

Se la sostanza regina è l’LSD, allora si avranno molti raver assorti nei loro

personalissimi viaggi, ad occhi chiusi, come se il resto del mondo non fosse

nemmeno lì.

Certo non tutti i partecipanti assumeranno le medesime sostanze, e quello che

per un raver è un rave meraviglioso e coinvolgente può risultare insipido per un

altro.

Il discorso è complesso, riguarda, come abbiamo già detto, le aspettative,

l’umore, lo stesso stato di salute fisica, la predisposizione e mille altri fattori,

ma è indubbio che le sostanze psicoattive abbiano in tutto questo un ruolo

molto importante.

Droghe elettroniche

“La televisione: nessuna epidemia, nessuna tossicomania e nessun

isterismo religioso si è mai mosso così rapidamente, o convertito

tante persone, in un tempo così breve.

L’analogia più prossima per descrivere il potere di assuefazione della

televisione, insieme alla trasformazione dei valori che avviene nella

vita del videodipendente pesante, è probabilmente l’eroina. L’eroina

102

Page 103: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

appiattisce l’immagine, con questa droga le cose non sono ne’ calde

ne’ fredde, il tossicomane osserva il mondo con la certezza che,

qualunque cosa sia questo mondo, non ha importanza. Questa

illusione di sapere e di controllare generata dall’eroina è analoga

all’inconscia supposizione, da parte del consumatore di Tv, che, da

qualche parte del mondo, ciò che vede sullo schermo sia reale. In

realtà ciò che si vede è solo la superficie, cosmeticamente rivalutata,

dei prodotti. La televisione. Anche se non è invasiva dal punto di vista

chimico, da luogo ad assuefazione e a danni psicologici non meno di

qualsiasi altra droga.”113

In questo brano Mc Kenna va ben oltre il concetto di Tv come mezzo di

propaganda, e ci presenta una situazione in cui ci si può immaginare una fuga

dalla realtà della vita non cercata attraverso l’uso di una qualche droga, della

quale si può generalmente intuire il rischio, bensì attraverso una visone passiva

del mezzo televisivo, con tutto ciò che ne consegue.

Il videodipendente vive di una realtà che non solo non gli appartiene, ma non

esiste neppure, se non nella fantasia di colui che ha creato un dato spettacolo,

un dato film, e di questo lo spettatore difficilmente vuole accorgersi.

Chi vive un’esistenza monotona e non gratificante può entusiasmarsi per le

intricate vicende amorose di un’eroina da telenovela, ed emozionarsi per ciò

che accade, come accadesse a qualcuno che si conosce, e che esiste da

qualche parte, nel mondo.

MA se si pensa ai livelli raggiunti dalla tecnologia dei mezzi di comunicazione,

alla diffusione dei computers e di Internet e allo sviluppo della realtà virtuale, la

droga televisiva sembrerà davvero innocua.

Droghe virtuali

Mazzoli e Artieri riferendosi al movimento cyberpunk e alle posibilità aperte

dalle macchine virtuali, propongono un parallelo fra l’esperienza della realtà

virtuale e quella indotta dall’assunzione di sostanze psichedeliche:

“Ritroviamo qui quel recupero delle esperienze lisergiche, mistiche,

sciamaniche, spirituali e psichiche...che potrebbero permettere di

uscire dal mondo...seppur in senso laico, e di inserire la tecnologia in

una dimensione mitopoietica.”114

113 T. Mc Kenna, op.cit., p.224.114 G. Mazzoli e G. Boccia Artieri,1995, L’ambigua frontiera del virtuale, Milano, Franco Angel, p. 61.

103

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Lo stesso T. Leary115, grande pioniere della psichedelia, nell’ultimo periodo

della sua vita amò particolarmente la tecnologia virtuale e le possibilità legate

al diffondersi di uno strumento “democrartico” quale Internet. Egli, come altri

esponenti legati al movimento psichedelico , vedeva nel cyber-

spazio il punto di arrivo di tutta una serie di tensioni ideali, filosofiche, politiche

e religiose, che sfociarono negli anni ’60 e ’70 nella ricerca di una interiorità e

in una coscienza tramite l’uso delle droghe psichedeliche.

E, se la demonizzazione delle sostanze stupefacenti ha, insieme ad altri fattori,

determinato il fallimento della “filosofia” psichedelica, una democratizzazione

della tecnologia permetterebbe ,secondo Leary, questa ricerca interiore a tutti

e non solo a “eretici criminali”, come lo stesso Leary è stato definito.

Ma come sarà possibile, se lo sarà, il raggiungimneto dell’ “autocoscienza della

coscienza” alla base della coscienza del sé?

Come potrà la realtà virtuale regalare all’uomo il raggiungimento di un così

prezioso dono?

In un suo saggio dal titolo “Realtà virtuale e autogestione della coscienza”, lo

psicoterapeuta e neurofisiologo M. Margnelli ritiene che questa possibilità sarà

determinata dall’incontro di scoperte e nuove conoscenze avvenute nei più

svariati campi di studio e che hanno finito per convergere su di un elemento

comune, la coscienza appunto.

Se le discipline mistiche di origine orientale hanno orientato, con il loro know

how, gli studi nel campo della neuropsicologia, l’antropologia ha scoperto la

centralità della coscienza nei sistemi di pensiero cosiddetti primitivi studiando

le pratiche sciamaniche; la filosofia, studiando la coscienza, ha dovuto fare i

conti con la relatività dei sensi, revisionando l’epistemologia ; gli studi in

campo psicopatologico hanno rivelato l’importanza della soggettività e la

complesità dei collegamenti analogici interni e la psicologia delle religioni ha

evidenziato l’importanza del binomio soggettività-emozioni non solo

nell’ambito dell’immaginario spirituale, ma anche in quello individuale e

quotidiano.

Secondo l’autore il naturale prodotto di queste scoperte indirizzerà la realtà

virtuale verso uno sbocco laico, piuttosto che mistico, di un concetto di

esplorazione dello spazio interiore che verrà dimostrato e divulgato a livello di

coscienza di massa.

L’autore presenta poi un parallelo fra gli SMC e l’esperienza virtuale.

Egli parte dal presupposto che nel corso dei secoli l’uomo abbia

deliberatamente recintato quelle zone della sua coscienza che non erano

adattabili alla vita di tutti i giorni, ma rimane in lui il desiderio latente di non

115 T. Leary, 1990, I germi degli anni Sessanta, in Cyberpunk Antologia, Milano, Shake Edizioni.

104

Page 105: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

subire passivamente gli stati di coscienza, e desidererà, talvolta, esplorare il

proprio “spazio interno”, la propria coscienza, manipolando lo stato di

veglia ,per gioco o per piacere, assumendo alcol o droghe.

Si ha così una autocoscienza della coscienza, coscienza di quel desiderio di

conoscere se stessi vecchio come il mondo.

Accanto alla coscienza ordinaria, come ben sappiamo, esistono numerose altre

coscienze, la cui esperienza diretta può rivelare l’ampiezza della mente, le

potenzialità della fantasia, il vero sé e molto altro ancora.

Margnelli prosegue la sua indagine ritenendo possibile una gestione, e una

autogestione della coscienza attraverso la tecnologia virtuale:

“La realtà virtuale...è potenzialmente una tecnica di autocoscienza, là

dove permetterà di provare dentro sé stessi l’esperienza di altri stati

di coscienza. Finora è stata percepita e divulgata come una

cinematografia a tre dimensioni sensoriali (vista, udito e tatto) ed è

certo che la prima commercializzazione sarà indirizzata in tal senso.

E tuttavia, come accade ai consumatori di sostanze psichedeliche, la

consapevolezza (sempre conservata durante l’esperienza) che

qualche microgrammo di un composto chimico può cambiare

completamente i propri rapporti con la sensorialità e con la propria

mente, così anche un’esperienza virtuale potrà indurre qualcuno a

interrogarsi sull’epistemologia, sulla realtà della realtà, sul valore

della soggettività rispetto all’oggettività, sulla convenzionalità del

mondo di riferimento, e così via. Verso tutti i temi cari alla

controcultura spirituale e filosofica di tutti i secoli.”116

L’autore prosegue proponendo un parallelo fra l’opera di un ipnotizzatore e

quella di un romanziere, di un regista:

“...il regista televisivo o cinematografico “suggerisce alla mente pre-

ipnotica una realtà completa ( e comunque una realtà sensoriale

bidimesionale) che va oltre l’immaginario soggettivo dello spettatore.

Autori e registi tentano di rendere il lettore e lo spettatore partecipe

delle loro allucinazioni, così come succederebbe se un ipnotista, non

tenendo conto della soggettività del suo cliente, gli suggerisse

contenuti esperenziali appartenenti al suo vissuto personale, o

addirittura da altre culture.”117

116 M. Margnelli, 1993, Realtà virtuale e autogestione della coscienza, in “Altrove” , p.95/96.117 Ibidem, p.100/101.

105

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La tecnologia virtuale ha delle enormi possibilità di sviluppo, insite nella sua

capacità di coinvolgere tutti i sensi umani, di simulare, appunto un mondo che

non esiste, ma appare come vero ai sensi e :

“...promette, dunque, un avanzamento sia nel modo di porgere i

contenuti (linguaggio) che nella potenza e nella significatività del

messaggio stesso.”118

La possibilità di un futuro in cui le droghe elettroniche, virtuali, affiancheranno,

se adirittura non sostituiranno, le droghe naturali e sintetiche, non è poi così

remota.

Una simile ipotesi è al centro di film e opere letterarie di successo, basti

ricordare le opere cinematografiche “Nirvana” di G. Salvatores e “Strange

Days” di K. Bigelow, in cui viene presentato un futuro non troppo lontano in cui

tutti, in un modo o nell’altro, dal potente finanziere ,al poliziotto allo

spacciatore dimezza tacca, vengono coinvolti in una guerra per il controllo di

queste fantomatiche droghe elettroniche.

E il messaggio è tutt’altro che ottimista.

Ad ogni modo una fede particolare nelle possibilità aperte dal mondo del

virtuale, che creda possibile un’eperienza virtuale del tutto simile a quella

determinata dall’asunzione di sostanze psicotrope eguagliando la grandiosità

della creatività e fantasia umana, è quanto meno discutibile, almeno allo stato

attuale delle cose: una macchina virtuale, per quanto tecnologicamnte

avanzata, potrebbe proporre solo “simulazioni” di esperienze lisergiche, o

permettere una fruizione dell’altrui esperienza, ma non potrà mai definirsi

illimitata e profondamente umana quanto la reale esperienza dell’assunzione di

psicotropici.

E se la realtà virtuale è per la massa giovanile, solo un bel gioco, le droghe,

quelle vere, sono una realtà non trascurabile.

Transe informatiche

Ma senza stare troppo a scomodare la fantasia e fare congetture sul futuro,

esiste un fenomeno che si può già definire come una vera e propria

dipendenza, una Internet-dipendenza, in questo caso.

Il diffondersi dello strumento-computer prima e di Internet poi ha creato una

vera e propria mania, che coinvolge numerosi giovani e li reclude in una sorte

di mondo parallelo e virtuale, al cui centro sta, appunto, il computer, la rete.

118 Ibidem, p.101.

106

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La vita di questi giovani può esserne totalmente sconvolta, portandoli ad un

isolamento in cui gli unici amici, oltre ad computer sempre più friendly, cioè

vicino e simile all’uomo, divengono quelli “virtuali” conosciuti tramite le chat-

line di rete, senza che traspaia, appunto la virtualità di tutto questo:

“Navigando in un ipermedia è possibile...fare un’esperienza simile a

quella di un’azione: con un mouse, o altre interfacce, spostiamo

(virtualmente) degli oggetti, apriamo degli spazi, delle “finestre”,

accogliamo delle risposte dall’ambiente informativo paragonabili a

quelle provocate da un’azione reale”119

Andando oltre queste osservazioni , si può parlare di vere e proprie techno

tribù, della quali fanno parte non solo gli hackers, i pirati del virtuale, ma anche

tutti coloro che amano perdersi nei labirinti della transe informatica.

Esiste dunque una transe informatica, accanto a quella virtuale, non più

associata allo scatenarsi dell’irrazionalità, anzi, la transe informatica è per sua

stessa natura razionale, e procura una vera e propria illuminazione della

ragione, lontana dagli inferni caotici della transe tradizionale.

Questa transe si organizzata attorno ad un rapporto simbiotico dell’uomo con

la macchina, e sfocia in un modello comunicativo e di ragionamento comune ad

entrambi.

In questo inedito faccia a faccia dell’uomo con la sua creazione, tutti i normali

rapporti di tempo e spazio mutano profondamente.

Il corpo deve sparire per lasciare posto alla mente pura, e in questo si

rintracciano le radici filosofiche della microinformatica:

“Il “sistema del mondo” al quale l’informatica e il buddismo zen fanno

riferimento non lascia assolutamente spazio al corpo. Nelle due

filosofie bisogna dimenticare, sorpassare il proprio corpo per accedere

al mondo reale, quello dove l’individualità tende a dissolversi in un

insieme più vasto.[…]L’informatica esalta questa forma di appello al

mondo che non fa riferimento al corpo ma allo spirito.”120

La ”relazione senza corpo” è uno dei valori centrali della tribù informatica, la

cui transe è un’autostrada di dati , di bit, di impulsi.

Privato del corpo, colui che vi si abbandona, vedrà sovvertite tutte le regole

del tempo, un tempo che ,senza corpo, non può più essere lo stesso:

119 C. Infante, op. cit. 120 P. Breton ,La tribù informatica , Transes-Il passato remoto della musica del futuro”, Virus Production-Musica 90, Milano 1996, p.57.

107

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“Il tempo consacrato al computer è in certa maniera un “tempo

sacro” che permette un accesso originale al cosmo e alle sue leggi

fondamentali. Il tempo passato davanti alla macchina non ha in effetti

niente a che vedere con il tempo ordinario. Il tempo soggettivamente

percepito in queste situazioni sembra scorrere molto più

rapidamente. In questo senso l’informatica “sposta” coloro che la

praticano nel loro rapporto con gli altri, procurando infine una

sensazione di “accesso al cosmo” privilegiata.”121

La transe informatica quindi come punto di passaggio, accesso ad almeno una

piccola parte dell’architettura di un universo ordinato.

Ma cosa c’è dall’altra parte dello specchio?

“Il paese delle meraviglie è un mondo di ordine e disordine, e le

domande impertinenti di Alice costituiscono una sicura linea di

separazione fra ciò che appartiene all’organizzazione, ciò che ha

senso perché logicamente giusto, e ciò che, dall’altra parte, è il Male,

incarnato dal disordine, il caso, la mancanza di coerenza dovuta al

non rispetto delle regole logiche elementari.”122

Lo spazio aperto dal computer è in questo senso infinito, anche se la sua

memoria non lo è, perché permette all’uomo il contatto con l’universo del

formalmente vero, in questo senso la transe informatica rende liberi di

distaccarsi dal mondo ordinario per accedere ad un mondo “reale”.

La tribù informatica ama fondersi e confondersi all’interno di questo territorio,

in cui i giochi sono metafore del viaggio all’interno della memoria del computer

e in cui l’uomo per muoversi, in un tempo vicino al sacro, deve conoscere

perfettamente le regole del “gioco”.

Solo una perfetta conoscenza delle regole permette all’uomo della tribù

informatica di sopravvivere, per cercare di raggiungere l’altra parte del

labirinto, in cui non troverà che sé stesso, immagine nello specchio.

In questo momento non è ancora possibile dare un giudizio sulla “bontà”, o

sulla pericolosità di tali “droghe”. La ricerca è in continuo sviluppo, e non

accenna a rallentare.

Non possiamo sapere dove le possibilità donateci dal computer porteranno la

coscienza dell’uomo.

E se per tutte le cose, specie per le droghe, esiste un uso ed un abuso:

121 Ibidem122 Ibidem

108

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“Le nuove musiche elettroniche, i raves, Internet, appartengono ad

una nuova generazione di sensazioni che sta a noi accettare o

rifiutare e come tutte le cose buone, per godersele non c’è nessun

bisogno di abusarne.”123

2.10 L’utopia comunicativa

“Attraverso la danza ognuno esplora il suo universo, si scopre. Questa

pratica permette di sviluppare una coscienza ed un’armonia del

corpo. […] L’esperienza del rave appare come l’occasione per

riscoprire il proprio corpo attivo, sensibile. Esso diviene un mezzo di

espressione privilegiato dell’essere perché permette un’espressione

diretta, spontanea, perché materializza ciò che i sensi provano senza

passare per intermediari quali il pensiero e il linguaggio.[…] Il corpo

giunge ad esprimere delle pulsioni, degli istinti, ciò che è più naturale

in noi, più diretto. E’ attraverso di lui che arrivano le sensazioni più

forti e l’emozione di una percezione nuova.”124

Durante il rave tutte i codici di counicazione ordinari cadono, per fare posto ad

un nuovo modello comunicativo, in cui la parte non verbale della

comunicazione assume un ruolo primario.

Non più parole, ma gesti, sguardi, sorrisi, mimica, con i quali si comunicano le

sensazioni e le emozioni, in maniera più diretta.

Il comportamento rivela il modo in cui gli individui percepiscono la situazione,

mette in evidenza i contatti cercati e quelli evitati, oltre a rivelare la più intima

personalità dell’individuo.

Quando non ci sono le parole di mezzo diventa molto più difficile mentire: lo

sguardo parla, e gli occhi non sanno mentire; se le parole possono divenire

strumento di potere, nel silenzio si è tutti molto più simili.

Insomma, sembra proprio che questa comunicazione non verbale semplifichi le

relazioni interpersonali, facendo nascere una convivialità e una solidarietà del

tutto particolare, quello spirito di comunione rivendicato dai ravers.

“Il corpo è in festa, tutti divengono parte integrante dell’ambiente

fisico centinaia di corpi danzanti, svuotati, si fondono in una

amalgama sensoriale in un unico corpo, nel quale la musica e le luci

agiscono come neurotrasmettitori, un organo sospeso in una

123 Kanaï.com,1996, Internet- Il rave planetario , in G. Gallina (a cura di), Transe, il passato remoto della musica del futuro, Milano, Virus Production-Musica 90, p.42.124 Fontana e Fontaine, op.cit.,p.42.

109

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soluzione idroponica, che si muove, si contorce, immerso, nutrito e

stimolato dalle onde sonore.” 125

In tutta questa situazione viene ad assumere un ruolo fonadamentale il tipo di

droga assunto dal raver, la cui scelta dipende non solo dai desideri individuali

ma anche, siamo sinceri, da ciò che offre in quel momneto il mercato. Come

abbiamo visto, non sempre l’Ecstasy è MDMA, e può succedere che una partita

“cattiva” di stupefacenti non faccia decollare il rave.

In linea di massima, comunque, gli effetti empatogeni delle “pasticche” danno

una buona mano al raggiungimento di quello stato in cui la comunicazione

assume tutt’altro aspetto rispetto al quotidiano.

“L’X facilita la comunicazione e la comprensione dell’altro, fa preferie

la compagnia all’isolamento ed è quindi adatto all’esperienza

collettiva. Si sviluppa la voglia di scoprire nuove sensazioni attraverso

il contatto con altri corpi e se si avvicina un raver sotto l’effetto dell’X

questo sarà senza dubbio disposto a parlare, abbracciarsi, ecc. Le

emozioni verso la persona amata vengono intensificate. L’effetto

“empatia” che caratterizza questo psicotropo fa nascere nei ravers un

sentimento di unità” 126

L’esaltazione della componente non verbale acuisce il processo intuitivo e la

componente “telepatica”:

“I corpi divengono interfaccie comunicative nel dare forma alle

emozioni suscitate dalle vibrazioni sonore techno tramite la danza. La

telepatia prende il posto della comunicazione verbale. Si crea, in

contesti del genere, un rimescolamento dei confini tra centro e

periferia. Non vi

è un centro creatore di input e una periferia ricevente bensì tutti

centri che creano, esprimono il loro essere liberi nel trapassare i

confini di una legalità imposta e non condivisa. Il ruolo di

periferia/ricevente è contemporaneo al centro/emittente. Ciò provoca

un aumento della velocità dei flussi comunicativi e determina il

protagonismo di ogni singolo partecipante con un feedback sempre

più forte.” 127

125 B. Pochettino,op.cit., p.120.126 Fontana e Fontaine, op.cit.,p. 47.127 Demian, op.cit., p.44.

110

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Certo ci sono delle eccezioni non trascurabili, come nel caso dell’assunzione di

acidi da parte del raver, nel qual caso, come abbiamo visto discutendo delle

“droghe da rave”, l’individuo darà luogo a delle manifestazioni narcisistiche

contrarie allo spirito di comunione rivendicato dai raver, assorto , ad occhi

chiusi nel suo personalissimo viaggio, e il suo comportamento farà sì che

difficilmente qualcuno lo disturbi.

Tornando alla comunicazione silenziosa dei raver, spesso da parte di persone

non introdotte nel fenomeno, seppur giovani, giunge la critica di un mancato

dialogo durante i rave, ma a ben vedere l’assenza della parola veicola in fondo

una nuova utopia, quella della comunicazione non verbale, fusionale ed

empatica:

“...la rivolta più sottile e profonda si esprime anche attraverso il rifiuto

del linguaggio stesso. In questo ritorno alla “festa-transe” si esprime

la contestazione di una cultura che poggia su delle ideologie alle

quale nessuno crede più. L’universo del discorso è rimpiazzato da

quello delle vibrazioni e del ballo.”128

Non bisogna inoltre credere che il raver resti in silenzio per ore; molto spesso,

anzi, l’effetto di Ecstasy e Lsd da vita al desiderio di raccontare e di raccontarsi

e ad a interminabili monologhi!

2.11 Il corpo raver

Ma torniamo al corpo, alla sua riscoperta, alla grande possibilità di espressione

che ha in sé, espressione che non si attua solo nel movimento, nella danza,

ma che nell’apparire in questo o quell’altro modo, segue o meno la moda, da

spazio all’estro e alla fantasia, mescola generi e origini, appartenenze e

desideri.

Il corpo rave è un corpo in mutazione, che riflette i cambiamenti tecnologici

della società occidentale, ma ha in se il ricordo e l’esperienza del passato, è un

corpo col quale si gioca, col quale si esprime il proprio essere e i propri gusti, le

proprie scelte attraverso il vestiario, gli accessori, il tatuaggio, il piercing, il

colore e il taglio dei capelli.

Il corpo raver si pone fra il passato dei segni tribali e il futuro della tecnologia

degli abiti e delle tinte, degli scarti industriali che divengono gioielli, monili

simbolo di una generazione che impara dal passato per guardare avanti.

128 Fontana e Fontaine, op.cit, p.98.

111

Page 112: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

In questo melting-pot spazio temporale tutto è permesso, il corpo rave non ha

regole perché non importa chi tu sia, quale il colore della tua pelle e le tue

prefernza sessuali. Ciò che conta è, in fondo essere davvero sé stessi, tirare

fuori, anche per poche ore, desideri e illusioni. Il raver gioca col segno, lo

plasma, lo sovverte, lo trasforma.

Il bullone, la rondella industriale sfuggono alla dinamica di mercato, e

diventano gioielli da esibire, ma anche simboli, un qualcosa che doveva

essere solo la piccola parte di un immenso ingranaggio sono ora riciclati per

fare bella mostra di se e arricchire il corpo.

La filosofia cyber, il waste, il riciclo, è specchio di quella tendenza che vive già

nel futuro, in quel futuro nero da romanzo apocalittico in cui tutto deve essere

riutilizzato, per sopravvivere, mutando appunto.

A parte l’etroso vestiario di alcuni sound system, come i Mutoid Waste

Company, che della filosofia cyber fanno una scelta di vita, il raver comune

mescola i generi, tira fuori dall’armadio la maglietta di quando aveva dodici

anni, o ne compra una simile nel negozio più trend, ma è comunque facilmente

identificalbile.

I raver, o comunque coloro che gravitano attorno al fenomeno, si sanno

riconoscere.

Certo le differenze fra paese e paese sono evidenti: se si pensa al raver

canadese si noterà immediatamnte una certa aria da “bravo ragazzo cresciuto

a vitamine”, che il raver inglese, per fare un esmpio, avrà molto meno.

Il tipo di rave, e quindi di musica , fa la differenza maggiore, e, così come

vedremo in sede di tipizzazione, se gli amanti della Goa indossano vesti

colorate e monili orientali, il raver dell’illegal preferirà l’abbigliamento militare,

e un look “postatomico”.

Tatuaggi e piercing sono divenuti oramai di moda, ed è molto difficile credere

che tutti i giovani, e i meno giovani che deturnano il proprio corpo lo facciano

seguendo un preciso codice simbolico, come è usanza, legata spesso ai miti e

alle credenza locali, presso le popolazioni primitive.

Forse oggi, nella maggioranza dei casi, il tatuaggio e il piercing sono solo gesti

estetici, ma questo non toglie che in certi casi possano mantenere quel valore

di segni atti a chiudere un momento e ad aprirne un altro, a chiedere qualcosa

ai propri spiriti, offrendo dolore in cambio recuperando così quella sacralità

data presso le popolazioni tribali al segno corporale.

Questo ritorno al valore del dolore che si fa preghiera e atto di coraggio è

evidente nel raver in quanto questo molto spesso preferisce tatuaggi tribali a

fiorellini, putti e farfalline.

112

Page 113: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

Il tatuaggio tribale ha un suo valore particolare, e riflette non solo i gusti

dell’individuo, ma anche un suo virtuale legame a popolazioni e culture

diverse dalla nostra.

Insomma: un conto è tatuarsi un cuoricino perché è tanto dolce, e un conto è

rintracciare dei propri personali simbolismi in un tribale di altri tempi, convinti,

perché no, che , ad esempio, un tribale celtico dia forza a chi sente di avere,

nel sangue, origini nordiche.

E il pierging? Cosa si cela dietro a questo atto che ai più pare masochismo

puro? Anche qui si sente chiaro l’eco di usanze tribali legate alla spiritualità, al

sacro, in un atto di coraggio, di dolore e di godimento allo stesso tempo.

Piercing e tatuaggi, insomma, come forme di neotribalismo e neoprimitivismo:

“La mutazione in atto sta determinando non solo un adeguamento

all’avanzamento tecnologici ma anche una serie di comportamenti

collettivi che sarebbe semplicistico liquidare come “mode giovanili”.

Un’analisi delle diverse pratiche della cosidetta modernità primitiva è

necessaria per comprendere i segnali di orgogliosa regressione e

insofferenza che emergono da fenomeni come i “rave”, veri e propri

ambienti techno-transe. Fenomeni ancor più radicali verso forme

estreme di sessualità sono il trans-gender e il piercing. Molte altre

pratiche sull’estremizzazione del corpo si fondano in parte su pulsioni

sado-masochiste. Sono attività che agiscono su particolari recettori

del cervello che normalmente non sono sollecitati. Esperienze che

rientrano in una diffusa fenomenologia “out of limit” fatta di azioni

che attraversano anche la dimensione dello sport estremo, atti vissuti

pericolosamente per scatenare l’adrenalina in corpo.” 129

Nell’atto del tatuarsi, inoltre, si scorge un vero e proprio rtuale minimalista:

“Tramite il rito dell’incisione delle carni un individuo si mette in

relazione con se stesso, con gli altri e con i mutamenti sociali in atto.

[...] Un individuo, quando decide di timbrare sulla carne qualcosa,

evidenzia il passaggio da una fase della vita a un’altra; si pone in

temporanea sospensione, in una zona liminale, vissuta dentro un

tatoo studio, in cui ci si allontana da ciò che si era prima ma non si è

ancora qualcun altro. [...]Il rito offre a coloro che lo consumano una

pluralità di significati, crea una condizione che situa gli individui nel

129 C. Infante, op.cit. .

113

Page 114: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

mezzo dei processi culturali, in cui si sperimentano anche modelli di

vita alternativi.”130

Inoltre, il tatuaggio può essere visto come una forma di identificazione e di

presa di coscienza della propria identità:

“Il tatuaggio ripropone infatti l’imprescindibile e narcisistico gioco

dello specchio: “Chi sono io?”, “Chi siete voi?”, che diviene più

essenziale e radicale quando una società è in tumultuoso

cambiamento e da meno certezze su cui fondare l’identità individuale

e sociale” 131

Certo un comportamento “off limits” sembra rientrare nei desideri, pure

inconsci, del raver, che spesso porterà il proprio corpo oltre i limiti della

stanchezza fisica, oltre che della notte.

Ma viene da chiedersi: in un’epoca in cui “sesso, droga e rock and roll” non

scandalizzano più nessuno, non ci sarà nel tatuarsi e nel riempirsi di anelline

varie anche un, peraltro normalissimo, bisogno di stupire genitori, familiari vari

e coetanei troppo conformisti?

CAP.3

La notte e il rito

3.1 Il rituale rave

I ravers stessi, pur avendo difficoltà a definire lo stato di rave come uno stato

di transe, considerano questa particolare festa un vero e proprio rito moderno.

Per coloro che vi partecipano il rave è per un rito inteso in senso comune, i

ravers non fanno certo riferimento a categorie antropologiche: il rave è per

loro un rito nel senso di un evento che si ripete, sempre simile a se stesso, e

che permette di liberare lo stress della vita quotidiana, di divertirsi, lontani dal

clamore delle discoteche istituzionalizzate, lontani dalle regole imposte loro

dalla società.

Ma, in questo senso, usando cioè il termine “rituale” in senso comune, anche

per gli amanti della discoteca la serata spesa a ballare potrebbe essere una

sorta di rito, un evento che si ripete nel tempo, che permette di dimenticare lo

stress settimanale, e di divertirsi ripetendo gli stessi gesti, perchè così si è

sempre fatto.

130 A. Castellani,1995, Ribelli per la pelle, Genova, Costa & Nolan, p. 77.131 Ibidem, p. 82.

114

Page 115: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

Quali sono dunque le caratteristiche del rave che rendono possibile un

confronto con i rituali del passato, e fanno sì che il movimento rave possa essre

definito un fenomeno di danza rituale, non accomunabile con la comune

nottata in discoteca?

In questo “messaggio”, riportato all’interno di un Cd di techno-musica, ecco

riassunto ciò che il rave è, o meglio ciò che il rave dovrebbe essere:

“Un rito è un atto sacro con un’intenzione focalizzata. La nostra

intenzione è di creare un tempio moderno, uno spazio positivo creato

con amore, in cui possiamo trovarci come un’unica tribù, per

viaggiare nel profondo della trance, come i nostri antenati molto

tempo fa. Consideriamo la danza uno spazio sacro, un luogo per

collegarci con la nostra forza. La forza è nostra, che la si usi con i

cuori aperti!”132

Si parla di transe, di atti sacri, di templi, termini questi prettamente

antropologici, in che modo si può dunque affermare che il rave è un rito

facendo riferimento a tali termini e alle categorie antropologiche in generale?

Cominciamo col distinguere il rito dalla cerimonia.

Se per cerimonia si intende un evento che ha una funzione sociale, indica un

modello cui conformarsi ed è alla base del comportamento religioso e politico,

si può affermare che il rave sia, in questo senso, prima di tutto una cerimonia,

come lo sono le funzioni religiose, le manifestazioni politiche e persino la

tifoseria sportiva.

Chi partecipa ad una cerimonia riconosce un quid di superiore, cui votare la

propria esistenza, almeno per un pomeriggio, una notte, o anche qualche anno.

Si può supporre che il raver abbia una fede, che non è in sostanza così

differente dalla passione politica, e probabilmente si riconosca e identifichi in

un gruppo preciso , quello dei ravers, appunto.

Ma il rave può diventare rito, e non solo per quella parte del movimento più

legata a certi aspetti “sacri” del fenomeno, all’ala mistica del fenomeno per la

quale il rave diviene qualcosa di più che una fede per il fine settimana ma

ricerca interiore, scelta di vita, bensì per tutti coloro che, consci o meno delle

loro scelte, preferiscono le modalità del rave a quelle di qualsiasi altra gestione

del “tempo della festa” giovanile.

“L’elemento coesivo del senso di appartenenza è per eccellenza il

rito. Il rito ha la funzione precipua di celebrare, nella ripetizione,

l’esperienza dell’appartenere. E questa forte esperienza crea

132Retourn to the Source-Deep trance & ritual beats, cd + book RTTS 1, 1995.

115

Page 116: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

implicitamente una morale, una rettitudine non imposta, ma scelta.

Con il senso di appartenenza viene espresso anche un profondo senso

di gratitudine in quanto l’appartenenza non si limita al gruppo o al

clan ma si estende a tutte le altre forme di vita.”133

Ecco un primo elemento che fa sì che il rave possa essere considerato un rito e

non una cerimonia: il sentimento di appartenenza che si estende a tutte le

forme di vita, e che allontana la presenza di un qualche tipo di competitività,

presenti invece nelle cerimonie, specie in quelle sportive o politiche.

Non ci si reca ad un rave per sentirsi diversi, o avversi agli altri, ma per sentirsi

uniti agli altri come parti di uno stesso universo.

Il rito non è infatti un gioco, come ci ricorda Lévi-Strauss:

“Ogni gioco viene definito dall’insieme delle sue regole che rendono

possibile un numero praticamente illimitato di partite; invece il rito,

che anch’esso viene “giocato”, somiglia piuttosto a una partita

privilegiata, scelta fra tutte quelle possibili poiché è la sola a risultare

in un certo tipo di equlibrio fra i due campi”134

Il rave potrebbe quindi essere considarato una partita privilegiata, ma quali

sono le regole del gioco?

Sappiamo che il rito, che sia individuale o collettivo, comporta sempre

determinate regole, nonostante la sua elasticità, elasticità necessaria ad

ammortizzare i fattori variabili legati alle pretese dei partecipanti e agli

avvenimenti naturali e imprevisti.

L’individuazione di tali regole nella dinamica del rave, regole sempre uguali e

se stesse, in qualsiasi evento e in qualsiasi parte del mondo, avallerebbe la

possibilità di considerare il rave un vero e proprio rito moderno.

Il rave va dunque oltre la cerimonia, oltre le regole del gioco inteso

classicamente, ma quali sono dunque le sue regole, cioè le regole che rendono

simili tutti i raves, in qualsiasi parte del mondo si svolgano ?

Innanzitutto il rave è un evento notturno e giovanile : i raves cominciano

sempre di notte: fine della festa è l’andare oltre i confini della stanchezza, della

mente e della notte, per vedere l’alba di un nuovo giorno. Ecco un primo

elemento che caratterizza il rave in quanto tale, la cui importanza è alla base

della “filosofia” rave stessa: l’andare oltre, la sua tendenza “off limits”.

Un secondo elemento che caratterizza il rave in quanto tale è lo stretto legame

che la festa rave ha con la tecnologia nelle sue varie espressioni: la tecnologia

133 S. Tambiah, 1995, Rituali e cultura, Bologna, Il mulino, p.153.134 C.Lévi-Strauss, 1964, Il pensiero selvaggio, Milano, il Saggiatore, , p.43.

116

Page 117: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

chimica delle sostanze psicotropiche, che permettono appunto di andare oltre i

confini del tempo e della mente attraverso una più o meno ricercata esperienza

estatica; la tecnologia elettronica con cui viene composta la musica techno,

altro elemento caratteristico dell’evento; la tecnologia industriale degli spazi

riutilizzati (negli illegal rave in particolare).

“La tecnologia assume un ruolo fondamentale all’interno dei rave.

Essa rappresenta il medium creativo, la capacità di dare mille forme

comunicative al proprio sentire.”135

La presenza di quella che abbiamo definito come techno-transe è un altro

importantissimo fattore che accomuna i raves, raves che altro non sono che

festa e danza collettiva, nella quale la transe assume un ruolo centrale.

“Il rave è una “festa-transe”, un esperienza di “sacro-selvaggio”...La

transe del rave è ludica, ebbrezza, vertigine, eccitazione, è non-

istituita, fuori dalle regole, spontanea.” 136

Ricapitolando, gli elementi che accomunano tutti i raves sono: la filosofia “off

limits”, che porta al consumo di sostanze psicotropiche, nell’attesa dell’alba del

nuovo giorno e la presenza di techno-transe e musica techno. Il rave è quindi

un rituale tecnologico, oltre che prettamente giovanile.

Per quanto concerne una certa misura di formalismo insita in ogni rito che si

possa definire tale, Lapassade, considerando il rave come un vero e proprio

rituale, individua tre aspetti della programmazione musicale del rave, che

autorizza secondo l’autore un confronto con altri rituali, che come il rave si

svolgono nel corso di un’intera nottata:

“La programmazione e l’organizzazione del rave comporta:

a)l’apertura, l’apogeo della serata (verso le 3 o le 4), e l’”atterraggio”;

b)la qualità del DJ di “sentire la sala” e di far ballare e “delirare” i

ravers;

c)l’attesa dell’alba, con il sorgere del nuovo giorno.”137

Lapassade associa tali fasi a quele rilevabili durante i rituali gnaua marocchini,

in cui si possono rilevare perlomeno tre aspetti: il crescendo musicale, il

legame che si stabilisce tra i musicisti e l’adepta in transe e l’attesa dell’alba.

135 Demian, Scintille di pubblico disordine, in A. Natella e S. Tinari (a cura di), Rave Off, Roma, Castelvecchi, p.56.136 A. Fontana-C. Fontaine, 1997, Raver ,Roma, Sensibili alle foglie,p. 97.137 G. Lapassade, 1997, Dallo sciamano al raver, Milano, Urra, p. 100.

117

Page 118: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

L’insieme di carattersitiche comuni al fenomeno rave illustrato in precedenza e

le regole formali proposte da Lapassade fanno pensare al rave come vero e

proprio rituale.

Il rave, inteso allora come rito, è caratterizzato da un certo formalismo, che

come abbiamo visto è stato individuato da Lapassade; da un certo grado di

stereotipia che fa sì che, nonostante le differenze, tutti i rave si assomiglino,;

da un certo grado di condensazione, cioè da una caratteristica fusione dei

significati collettivi ed individuali e infine dalla ridondanza dei contenuti.

Il rave, insomma come rito tecnologico in cui all’amalgama di parole, silenzi,

danza e musica si aggiungono molteplici mezzi di comunicazione (specie uditivi

e visivi) mediati dalla tecnologia, il cui effetto è amplificato dall’uso udi

sostanze psicotropiche.

La danza, la musica techno e la presenza di quella che Lapassade ha definito

techno-transe mettono particolarmente in evidenza il carattere di ridondanza

caratteristico del rito: vi è infatti una costante ripetizione di messaggi, tramite i

diversi mezzi costituiti dalla musica, dalla scenografia e dalle sostanze

psicotropiche: la musica techno è, come abbiamo visto, per sua natura

ripetitiva, il tappeto sonoro è reso omogeneo dall’esperienza del DJ, la ritmica è

costante, cresente fino al parossimo, ma sempre ripetitiva; le luci

stroboscopiche e i laser rompono costantemente il buio, e le sostanze assunte

fanno sì che il corpo del raver non possa sottrarsi alla ripetizione costante degli

stessi movimenti, il ballo è ininterotto o quasi.

All’interno del rituale rave ricorrono costantemente gli stessi schemi, più volte

nella stessa nottata: il raver balla, trasportato dalla musica e supportato dalle

sostanze psicotropiche, si ferma, beve, si riposa per qualche minuto. Poi

ricomincia a ballare, mentre attorno a lui lo schema musicale si ripete a grandi

cicli.

Ma qual’è il significato del rave, inteso come rituale? Perché il rituale rave è

nato proprio ora e perché ha fatto la sua comparsa nel mondo occidentale?

Sappiamo bene che non sarebbe possibile analizzare un rito senza tenere conto

del contesto storico e culturale, ed è proprio analizzando la società

contemporanea occidentale che si accorge di una quasi totale mancanza di “riti

di passaggio”, riti che conducano i giovani verso lo stato adulto, o che

permettano di accedere a stati di coscienza non ordinari, e questa è una prima

ipotesi.

Si può quindi pensare al rito rave come possibilità di ricreare

momentaneamente il senso di comunità, perso con l’avvento della vita

moderna, entro il quale siano resi possibili una sorta di riti di passaggio, e la

creazione di spazi in cui sia permessa non solo la “vera festa” ma anche un

allargamento della coscienza, spazi quasi inesistenti nel contesto della

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Page 119: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

moderna società occidentale, e di cui, probabilmente, i giovani sentono

fortemente la mancanza, se non altro inconsciamente.

Già il movimento hippie degli anni ’60 e ’70 aveva tentato il recupero della

communitas, dando così importanza ai rapporti sociali paritari più che agli

obblighi di ruolo imposti dalla società, ma la loro fu una scelta forse più totale,

che coinvolgeva ogni aspetto della vita, i ravers, come vedremo, vedono invece

nel rave la possibilità di un ritorno temporaneo alla communitas, senza che

questo significhi una scelta definitiva, un mutamento esistenziale.

Ciò che accomuna il raver all’hippie è dunque, pur se a diversi livelli, il non

adattamento alle strutture collettive simboliche continuamente ridefinite dalla

società, e quindi l’originarsi di una tensione sociale, che spinge alla

sospensione della struttura e si riflette nella liminalità individuale o collettiva.

Il rave sarebbe insomma un’espresione dell’antistruttura, e il rito techno

elaborerebbe questo passaggio dalla struttura all’antistruttura, situazione in cui

i raver potrebbero ritrovare un significato sociale globale, diverso da quello

istituzionalizzato e determinato spazio-temporalmente.

3.2 Il rave come antistruttura

“Molti di voi hanno avuto una profonda esperienza di solidarietà e un

vero senso di comunità attendendo eventi come questo. Ciò che noi

vogliamo fare come gruppo è espandere questo sentimento

all’interno delle nosrte vite e della comunità globale. Noi, all’interno

del gruppo siamo incredibilmente diversi: siamo multirazziali, multi

etnici e dotati di talenti diversi. Siamo artisti ed ingegneri, ballerini e

impiegati di banca, dottori e avvocati, scienziati e mistici.[…]

Abbiamo imparato a comunicare, agire e fare festa con ogni altra

persona, al di là della linea di razza, di ceto, di classe e di preferenza

sessuale. Siamo entrati insieme in una casa (house) per dividere

qualche momento di eternità, prima di tornare alle nostre attività nel

mondo reale...” 138

Leggendo questa testimonianza si sarebbe portati a credere che il senso di

comunità sia globalmente percepito e rivendicato dai ravers ma questo nella

realtà dei fatti non succede; ciò che è certo è che, i partecipanti se ne

accorgano o meno, il rave, essendo un rituale, presuppone un ritorno alla

communitas, pur se dotato di caratteristiche tutte sue, e legate al contesto

profondamente edonista e non sacrale del rituale rave.

138CyberTribe Rising,<http://tdg.uoguelph.ca/~lilith/home/cyber.html>, from [email protected] .

119

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Tale recupero del concetto di communitas deve essere visto come recupero

temporaneo, che si attua solo entro i limiti della Zona Temporaneamente

Autonoma: il ritorno alle regole societarie è inevitabile.

“Certamente il rave non farà rinascere la comunità. I ravers non

hanno un Dio comune, sono soli nel loro delirio, soli nella loro transe

anche se essa è collettiva. Ma le loro esperienza sono abbastanza

vicine da sentirsi insieme, in accordo,[...] essere presenti gli uni agli

altri, senza parlare, durante la festa.”139

Fontana e Fontaine hanno una visione quantomeno pessimista della situazione

reale dei ravers, ma quello che è, tristemente, certo è che il senso di comunità,

accanto al senso di Unione, è spesso destinato a morire alla fine della festa;

questo non toglie affatto che una tale esperienza delle modalità comunitarie

possa in qualche modo influenzare le scelte di vita e le modalità di pensiero dei

ravers.

La communitas prevede uno stato liminale per coloro che la sperimentano, e se

il rituale rave può essere considerato come il passaggio dalla struttura

all’antistruttura della communitas, il raver in che modo può essere visto come

essere liminale?

Certo non si può porre un parallelo fra i novizi di un qualche rito di passaggio

delle società tradizionali e il moderno raver, ma alcune caratteristiche della

liminalità sono rintracciabili comunque nel raver.

Occorre precisare subito che la liminalità del raver non è una condizione

temporanea che conduce ad una condizione definitiva, non vi è, nel caso del

raver un passaggio da una struttura inferiore ad una superiore, come vedremo

meglio in seguito.

Ma vediamo in che senso il rave ricrea le condizioni della liminalità.

Il rave è un evento transitorio, la cui durata coincide generalmente con la

resistenza fisica e psicologica dei partecipanti; esso coinvolge l’individuo e la

collettività in modo totale, dal punto di vista dell’impiego dei sensi e dal punto

di vista mentale; durante il rave si crea una situazione in cui vi è omogeneità

fra i raver, vi è un senso di uguaglianza e la communitas rinasce, come

antistruttura. Non si tiene conto dei normali ruoli sociali, non vi sono distinzioni

di status e di rango, i raver vestono in modo abbastanza uniforme e non si

notano distinzioni di ricchezza; le differenze sessuali sono minimizzate e, se

non si ha una vera e propria continenza sessule, ciò che è certo è che alla

sessualità viene preferita la sensualità.

139Fontana e Fontaine, op.cit., p.97.

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Page 121: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

Dicevamo che la liminalità del raver non coincide assolutamente con quella del

novizio, e certo la communitas rave non ha il carattere di una confraternita

religiosa, il rave è sempre un fenomeno in certa misura edonista: non si avrà

qundi una reale assenza di proprietà, ne’ una noncuranza nel vestire,

obbedienza, accettazione del dolore ed umiltà.

Sembrerebbe, da questa analisi, che lo stato di rave si situi a metà strada fra la

liminalità e il sistema di status, dalle cui regole il raver non può, e non vuole

sfuggire totalmente.

Inoltre il carattere di “sacralità” dell’evento sarà da intendere nel senso di un

evento cui si attribuiscono speciali caratteristiche che lo distinguono, per

importanza e riferimento a determinati valori indiscutibili, da ogni altro tipo di

evento: i rituali costruiti attorno a tale carattere “sacro” possono avere

caratteristiche comuni con i rituali tradizionali dedicati agli dei o agli antenati.

E se la situazione liminale richiama, presso le culture tradizionali, attribuzioni di

tipo magico-religioso e gli esseri liminali sono considerati pericolosi, il

fenomeno raver, in quanto “liminale” è consiederato pericoloso solo nella

misura in cui non sottostà alle regole istituzionali e sociali, agendo in maniera

antistrutturale, rendendo possibile, tramite una situazione simbolica

improntata su relazioni di Io-Tu-Noi, una ridefinizione del collettivo (individuale

e collettiva) diversa da quella “comune”.

Ci si potrebbe chiedere di quali problemi dell’esistenza dei giovani il rave

possa essere una, temporanea, soluzione.

Se gli uomini primitivi e quelli appartenenti alle culture tradizionali vedono il

rito capace di allontanare l’angoscia, procuratagli dall’imprevedibilità di

un’esistenza non soggetta a regole infrangibili, per il raver varrà lo stesso; ma

se le preoccupazioni dell’uomo primitivo derivano principalmente dal mondo

naturale e sociale, il raver si trova di fronte anche un altro, potentissimo

“nemico”, di ordine culturale: la tecnologia.

Ecco il motivo per cui il rave è un rito tecnologico, oltre che naturale: non solo

occorre rivolgersi alla natura e alle sue forze, occorre anche rivolgersi alla

tecnologia, nuovo grande “dio” occidentale.

Se in passato la potenza da accattivarsi o allontanare , dotata di caratteristiche

sovraumane, era la Natura (compresa la natura dell’uomo), ora occorre

relazionarsi con molte altre insicurezze che derivano dalla vita moderna,

tecnologizzata e informatizzata.

Il rave è un rito moderno, e come tale sarà costruito su di una cosmologia che

rispecchi la cultura da cui ha avuto origine; il rito rave potrà quindi essere visto

come tentativo di risoluzione dei problemi legati all’essere giovani nel mondo

occidentale contemporaneo, e rifletterà quelle crisi esistenziali dovute alla

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Page 122: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

difficoltà di trovare modelli cui conformarsi ed un equilibrio fra identità e

identificazione.

Il rito permette un abbandono temporaneo del ruolo sociale, ed è terreno fertile

per l’anti-identità:

“Il rave soddisfa temporaneamente un bisogno di sfuggire a tutti i

codici sociali, di oltrepassare la propria condizione, identità, di

sormontare la normalità.” 140

Dicevamo che la cultura occidentale non contempla più gli antichi riti di

passaggio, non solo fra le varie età nella vita ma anche fra gli stati della

coscienza, individuale e collettiva.

A ben guardare, dunque, la funzione del rito rave potrà rispecchiare quel

desiderio di una vita ordinata e senza angosce alla base di ogni rituale, ma il

carattere di vera e propria “fuga” temporanea da un mondo caotico e da una

vita stressante e senza sicurezze rimane evidente.

Si potrebbe dire che il raver, attraverso azioni simboliche particolari, cerchi di

allontanare come impurità quel sentimento di indeterminatezza che gli da

angoscia, rintracciabile anche in quella tendenza alla fuga caratteristica dei

giovani, i quali non avendo ancora trovato la propria strada, e non volendo, o

non riuscendo, ad assumersi delle responsabilità divenendo adulti, preferiscono

vagare lungo il confine fra questi due stadi, senza una meta precisa.

Il rito rave, come ogni altro rito, non ha un’efficacia empirica ed osservabile,

ma la sua efficacia extra-empirica fa sì che il raver percepisca come positiva e

liberatrice l’esperienza; inoltre presumibilmente il rave incarna per il raver quei

caratteri della vita che egli ritiene indiscutibili, e pertanto, come abbiamo visto,

il rito gli apparirà in certa maniera “sacro”, e il parteciparvi sarà una sorta di

atto di fede.

3.3 I simboli del rituale rave

Il rave, come fenomeno antistrutturale, implica una sospensione della struttura

, ed una sua ridefinizione attraverso simboli comuni, alla destrutturazione

segue cioè una nuova strutturazione simbolica dei significati collettivi, e se il

rituale è un sistema di comunicazione simbolica costruito culturalmente, è

evidente che i simboli rave troveranno il loro fondamento nel contesto culturale

da cui il rituale rave ha avuto origine.

140Ibidem, p.67

122

Page 123: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

Abbiamo sottolineato più volte lo stretto rapporto fra il rave e la tecnologia,

espressione della cultura che, accanto ai simboli naturali, costituirà la

cosmologia del raver; tale cosmologia è costituita da simboli rituali, e pertanto

collettivi, aventi il medesimo significato per tutti i partecipanti.

Il rave, è un fenomeno che si è sviluppato in grande parte del mondo

occidentale, e pertanto i suoi simboli rispecchieranno di volta in volta il

contesto culturale a cui fanno riferimento, vi sono però alcuni tratti che legano i

simboli rave in quanto tali.

Abbiamo visto che una caratteristica fondamentale del rave è quella di essere

indissolubilmente legata alla tecnologia, molti dei suoi simboli saranno quindi

di ordine tecnologico. Il rave, specie l’illegal, come avremo modo di vedere,

attua un recupero della tecnologia e dei suoi simboli, sovvertendone il

significato: ed ecco che il capannone abbandonato, frutto della tecnologia

industriale, diventa nuovo “tempio della vita”, non più luogo di lavoro, ma

luogo di liberazione e libertà.

La filosofia waste di certa parte del movimento rave è emblematica di questo

recupero delle vestigia del passato, in senso ludico e ricreativo.

Tale tipo di recupero e deturnamento si riflette anche nell’abbigliamento e nel

look:

“Così l’abbigliamento sportivo off ( che ha portato l’Adidas a mettere

di nuovo in produzione articoli che aveva dimenticato), che nasce

dall’esigenza di dover ballare fino al sole, sconfina dal rave e si

impone completamente decontestualizzato, magari a richiamare una

ginnastica della psiche più che del corpo. L’occhiale da sole che serve

solo a proteggere l’occhio dalle strobo e a godersi il flash dell’alba (è)

assolutamente decontestualizzato dalla sua valorizzazione

produttiva.”141

Sempre per quanto riguarda l’aspetto dei raver, accanto ai simboli di carattere

tecnologico se ne aggiungono altri che riflettono un vero e proprio ritorno al

passato: tatuaggi, pierging, vesti orientalizzanti e look tribali danno mostra di

se rivendicando un’appartenenza al genere umano come tale, che intende

forse allontanarsi dalla pigra, monotona e grigia apparenza della modernità.

Il pierging e il tatuaggio, quindi, non solo come moda, ma come recupero di

una simbologia corporale e di una libertà di espressione non contemplati dal

mondo occidentale , ma che riallacciano il raver all’uomo primitivo e alla vita di

communitas, e indicano l’appartenenza del raver alla tribù degli Uomini.

141 Demian, op.cit., p.15.

123

Page 124: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

Le droghe, le sostanze picotropiche si pongono, all’interno di tale quadro in una

posizione particolarmente interessante: esse sono al tempo stesso frutto della

tecnologia chimica (simbolizzando il legame col presente), ma indicano anche

un ritorno ,o meglio la continuità, col passato (simbolizzando e rievocando il

rapporto millenario fra l’uomo e le sostanze psicotropiche).

La techno-transe del danzatore rave, supportata dall’ingestione di sostanze

altamente tecnologiche è in questo senso simile alla transe iniziatica di certi riti

di passaggio presso le popolazioni tradizionali in quanto

“...mira a rompere la personlità sociale, a rompere con la realtà

ordinaria, a “viaggiare”. Il raver tenta di sfuggire al mondo delle

norme e dei valori e ad uscire da se stesso, dal suo proprio

condizionamento.La transe è un varco.”142

Ma la simbologia delle sostanze psicotropichee va anche oltre: la divisione delle

“pasticche” , fra amici e coppie, sta a simboleggiare l’importanza del rapporto,

e se pure non vi è una divisione fisica delle sostanze, il raver si sentirà

simbolicamente unito agli altri che come lui hanno assunto una qualche

sostanza, pur non conoscendoli.

Anche nel simbolismo che gli è proprio, il rave sottolinea quel carattere di

ponte fra passato e futuro, in quanto accanto ai simboli tecnologici della

modernità resuscitano, come abbiamo visto, gli antichi simbolismi espressi

attravero il deturnamento del corpo, le vesti, i simboli pagani ed orientalizzanti

ripresi dalla tradizione e riportati alla vita in nuove forme; è il caso per esempio

dei simboli solari che spesso appaiono nelle scenografie dei rave; di simboli

orientali quali il “tao”, rappresentante la perenne convivenza e lotta fra bene e

male, la cui immagine, fin dagli anni della psichedelia, appare su magliette,

ciondoli e altri accessori giovanili; della spirale , simbolo spesso utilizzato nella

iconografia rave e che rappresenta i ritmi ripetuti della vita, i carattere ciclico

dell’evoluzione.

“L’immaginario dei ravers unisce i simboli, il tempo,le religioni, esalta

un futuro utopico. Già vi si legge l’abbozzo di un nuovo linguaggio, di

un sistema comune.”143

3.4 Il rave come rito di passaggio

142 Fontana e Fontaine, op.cit., p.97.143 Ibidem, p.98.

124

Page 125: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

Il rave, sebbene possa, come abbiamo visto, essere considerato un rito, non

può essere facilmente identificato ne’ come rito di crisi vitale, ne’ come rito

periodico: esso infatti non implica un passaggio da una fase della vita all’altra,

pur se si può ipotizzare che il raver, come essere “liminale” inconsciamente sia

ala ricerca di una posizione meno instabile.

Il motivo per cui ricorrenze quali il solstizio d’Estate o le notti di luna piena

vengono festeggiate dai raver non è inoltre legato ad una reale ricerca di

protezione sulla produzione o al tentativo di controllare il ritmo delle stagioni: si

tratta piuttosto di ricorrenze tradizionali, che riemergono anche in un contesto

tanto legato alla tecnologia , il rito rave anche in questo senso può essere

visto come un ponte fra passato e futuro.

Si potrebbe invece ipotizzare che, in certo qual modo, il rito rave possa essere

accostato a certi riti di inversione di status, come L’Hallowen dei bambini, in cui

il potere è temporaneamente in mano a coloro che nella quotidianità non lo

detengono. In questo senso il raver sarebbe libero, avvenuto il passaggio

rituale, di esprimere se stesso al riparo dalle sanzioni sociali in cui potrebbe

incappare se si comportasse liberamente in un’altra situazione.

In realtà il rito rave mostra maggiormente le caratteristiche del rito di

passaggio quando si prende in considerazione il ruolo delle sostanze

psicotrope: le fasi illustrate da Van Genepp144 (separazione, margine e

aggregazione) vengono messe in evidenza nelle modalità di assunzione delle

sostanze.

Il raver,infatti, per entrare nell’atmosfera del rave spesso fa ricorso a Ecstasy,

LSD e ad altre sostanze, tali sostanze, una volta assunte, faranno sì che

l’individuo si stacchi dal suo ruolo quotidiano, che venga cioè parzialmente

slegato dai condizionamenti strutturali e culturali; in una seconda fase, quella

della “salita” dell’effetto della sostanza, egli non si sentirà più vincolato allo

stato precedente, ma ancora non sentirà “lo spirito della festa”, che

raggiungerà infine nella fase di riaggregazione, unendosi così agli altri

partecipanti.

Chiaramente il discorso vale anche per chi non fa uso di alcune sostanza, o per

chi invece di aggregarsi agli altri compie un suo viaggio personale: il rave ,in

questo senso, permettendo o comunque facilitando il passaggio da uno Stato di

Coscienza Ordinario ad uno Stato di Coscienza Modificato, è rito di passaggio.

Il rave è dunque un rituale tecnologico, in cui è rintracciabile una forma

particolare di rito di passaggio, permesso dalla presenza dell techno-transe.

Gli stessi raver riconoscono inoltre nell’assunzione di una qualche sostanza

psicotropica un vero e proprio rito di iniziazione dei novizi, che va oltre l’ atto di

144 Van Gennep A., 1985, Riti di passaggio,Torino, Bollati Boringhieri.

125

Page 126: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

condivisione simbolica: tale iniziazione “chimica” permetterà infatti

all’iniziando di entrare in sintonia con gli altri, e di percepire lo spirito del rave.

“Quando vi sono persone in un gruppo che escono per la prima volta

queste sono affidate agli “iniziati” che rispondono alle loro domande,

danno loro dei consigli e parlano delle loro esperienze.Coloro che

scoprono il rave ed “entrano nel movimento” provano spesso il

bisogno di condividere questa esperienza con gli amici poiché è per

loro essenziale e “perché bisogna provare almeno una volta nella

vita”. Iniziare altre persone significa per i ravers rispondere al

problema dell’incomprensione a cui essi vanno incontro.” 145

Il raver, una volta raggiunta la fase di aggregazione, si comporterà secondo

quelle che sono le norme del rave, e se si comporterà in maniera non definita

“corretta” degli altri raver verrà presumibilmente guardato con sospetto.

Lo stato di rave, ad esempio, non contempla, come abbiamo visto, una

sessualità esibita, o un look troppo dissimile dagli altri.

Il rituale rave, come rituale di transe, nonostante possa essere considerato rito

di passaggio in senso allargato, come abbiamo visto, non ripropone però quel

fondamentale gioco di ruoli caratteristico dei riti di passaggio tradizionali, esso

è piuttosto un “simulacro” di quelli che erano, anche presso la nostra società, i

riti iniziatici e di passggio, dunque come sottolineano Fontana e Fontaine:

“Questa esperienza, integrata, potrebbe divenire un rito di passaggio.

Ma screditata, clandestina, senza guida certa, prende troppo spesso il

percorso inverso e blocca quelli che si avventurano senza precauzioni

in una marginalià dolorosa, li “scotcha” su delle false piste.”146

3.5 Il totem tecnologico

Ma se il rituale rave unisce il passato al presente, attraverso la riutilizzazione di

spazi dismessi, frutto del lavoro (e luogo del lavoro) di uomini del passato, si

potrebbe azzardare l’ipotesi di un totem tecnologico, rappresentato proprio

dalle vestigia dell’industrialismo, abbandonate e riportate in vita come nuovo

tempio tecnologico.

Non occorre che il totem sia obbligatoriamente un rappresentante del mondo

naturale, il totemismo non mette infatti in relazione natura e cultura, ma

piuttosto cerca di superare la loro opposizione unificandole in un “senso”, tale 145 Fontana e Fontaine, op.cit., p.11.

146 Ibidem, p. 97.

126

Page 127: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

senso potrebbe essere rintracciato proprio nel recupero dei luoghi di lavoro

degli “antenati”.

“...nel sistema totemico, l’individuo non esiste veramente come uomo

se non è iniziato, cioè modellato ritualmente e integrato nella società

grazie al contatto con i simboli sacri, al rapporto con gli antenati

totemici che appartengono a un mondo al di sopra delle regole” 147

In senso lato abbiamo visto esistere nel fenomeno rave una sorta d’iniziazione,

che è un’iniziazione chimica e dunque tecnologica che permette al novizio di

entrare in un sistema, o meglio in un sottosistema antistrutturale preciso; i

simboli “sacri” sono anch’essi legati alla tecnologia, e fanno riferimento ad una

tecnologia “buona” e umanamente ricuperabile, al di sopra delle regole perché

spogliata di quel carattere angosciante che ha nella vita quotidiana.

Così, come abbiamo visto, accanto alle simbologie tradizionali culturalmente

determinate, il “totem tecnologico” assume una posizione importante, e la

festa rave:

“Sfugge al razionalismo, riallaccia con il sacro selvaggio un’essenza, e

nello stesso tempo riconcilia l’uomo col suo ambiente industriale,

tecnologico, morto. La festa abolisce la rottura tra vivente e artificiale.

Nei suoi spazi re-incantati il raver sente di esistere una nuova volta.” 148

Si potrebbe obiettare che non tutti i rave avvengono in zone industriali dismesse,

ma in campagna, in collina o in riva al mare, nel bel mezzo della natura.

Qui il totem tecnologico sarà forse più nascosto e meno evidente, si nasconderà

nelle sonorità etniche recuperate dalla techno-music, nei vestiti indossati dai

ravers in cui la moda e la tecnologia tessile e degli accessori si mescolano

all’ispirazione fornita da culture altre e lontane da quella occidentale; nelle

droghe naturali, (quali l’hashish, la marijuana, i “funghetti magici”)149 che si

147 J. Cazeneuve, 1996, Sociologia del rito, Milano, Est, p. 380.148 Fontana e Fontaine, op.cit., p.98.149 Mentre l’”ashish” e la “marijuana”, sostanze derivate dalla pianta nota come canapa indiana (Cannabis sativa), sono assai diffuse fra i giovani, i “funghetti magici”, dotati di effetti alluginogeni, sono invece forse sconosciuti ai più, oggigiorno, ma fin dall’ antichità sono stati utilizzati dall’uomo, anche in ambito religioso e sacro; opere interessanti sullo psylocybe cubensis (il “fungetto magico” più diffuso alle nostre latitudini) e sui suoi partenti più prossimi sono: T. Mc Kenna, 1995, Il nutrimento degli dei,Milano, Urra; S. Pagani, 1993, Funghetti, Torino, Nautilis; Festi F.,1993, Funghi allucinogeni, una panoramica, in “Altrove” n.1, Nautilus, Torino, 1993; G. Samorini, 1995, , Maria Sabina e i funghi messicani, in Percorsi psichedelici, Bologna, Grafton 9.

127

Page 128: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

affiancano a quelle sintetiche e che sono state utilizzate da milioni di uomini

prima dei ravers; nelle parole, nel linguaggio che negli anni è mutato ma ha

portato fino a noi il messaggio del passato.

Viene da chiedersi se il raver che si traveste di tecnologia non compia un atto

simile al danzatore delle culture tradizionali e ai bambini di Halloween che si

travestono da animale feroce, demone, forza della natura, per esorcizzarne la

paura e conquistarne il potere.

Il totem della tribù rave è al tempo stesso tecnologico, e naturale, antichissimo e

cosmopolita, racchiude in sé il passato non solo del proprio popolo ma di grande

parte del mondo, le innovazioni tecnologiche ma anche il senso di appartenenza

ad una cultura precisa, profondamente radicata nel passato.

Alcuni tentativi di categorizzazione del fenomeno

In questa terza parte dell’opera tenterò di descrivere i due fondamentali tipi di

rave, cioè il rave “metropolitano” (rave illegal e raves organizzati nei centri

sociali e dunque politicamente “schierati”), e il rave Goa (o Goa party).

A queste due tipologie rave se ne aggiunge una terza, che chiameremo “rave

commerciale”, pur se si tratta in qualche modo di una contraddizione di termini

visto che di rave in realtà non si tratta; metterò quindi in evidenza il fenomeno

della commercializzazione del rave e la perdita di significato dell’evento così

“decaduto”.

Fra il rave illegal e il rave Goa vi sono differenze peculiari, tanto evidenti da

ricondurre a veri e propri modelli ideali, e di questo occorrerà tenere conto,

perché non è escluso che i modelli si mescolino fra loro dando vita a sempre

nuove originali configurazioni, così ,ad esempio, nei centri sociali si possono

avere sia rave Goa sia rave i cui elementi riconducono all’illegal.

Il fatto che i party Goa siano legati agli “open-air” (feste all’aperto in occasioni

speciali quali il plenilunio) e gli illegal alle periferie in disuso non è assoluto: si

possono avere Goa-party all’interno di capannoni, illegal all’aperto (caso

emblematico sono i “tecknivals”, organizzati all’aperto se non altro per

questione di spazio) o serate di techno-music, che sia la trance dei Goa o la

techno industriale generalmente legate all’illegal, in piccoli club.

Nel corso di tale tipizzazione mi riferirò prevalentemente alla realtà del

fenomeno sul territorio bolognese, o comunque regionale, perché da me meglio

conosciuta.

128

Page 129: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

Prima di analizzare i rave metropolitani e i Goa party, ritengo interessante

prendere in considerazione i tentativi di categorizzazione proposti da quegli

autori che si sono interessati maggiormente del fenomeno rave : G. Lapassade

e A. Fontaine e C. Fontana; tali tentativi di categorizzazione si riveleranno utili

ai fini del mio lavoro successivo.

Benché, come abbiamo visto trattando della techno-transe, non sia facile e

tantomeno scontato parlare di Stati Modificati di Coscienza e transe in ambito

rave, Fontana e Fontaine ritengono che:

“Si possono quindi distinguere tre categorie di ravers associate a tre

distinti approcci alla transe: i “neo-mistici”, che si è visto essere la

minoranza, gli “edonisti puri” e gli “adepti dello sballo”. Per i “neo-

mistici” la festa ha una dimensione spirituale. Come le feste di un

tempo o di un altrove, il rave crea un ponte tra sacro e profano,

permette ai partecipanti di scoprirsi in una dimensione spazio-

temporale più vasta, di accedere a stati “transpersonali”, li inizia ad

una realtà trascendentale. Per gli “edonisti puri”, al contrario la transe

favorisce l’immersione in un mondo immaginario, individuale. Apre il

campo di esplorazione della propria individualità, permette attraverso

l’espressione del corpo la realizzazione di un “sé” che è

ordinariamente inibito, pone le basi di una nuova relazione con l’altro.

[...]La festa è un tempo di fuoriuscita passeggero, limitato, ma alcuni

vi scoprono la transe come un metodo per sfuggire ad una realtà in

cui non si sentono al loro posto.[...]Per loro l’interesse principale

dell’avvenimento diventa l’assunzione di psicotropici: sono quelli che i

ravers chiamano “gli sballati”.[...]”lo spirito del rave”, alquanto

gioioso ed orientato verso una politica “edonista” del fine-settimana

dei primi tempi ha avuto una lenta deriva, per alcuni, verso una

politica sinistra dello “sballo.”150

In questo passo Fontana e Fontaine mettono in evidenza le diverse tendenze

dei ravers, mostrando brillantemente degli “idealtipi”, che nella realtà si

mescolano fra di loro, così che il raver “neo-edonista” potrà rivelarsi in in

occasione di un altro rave uno “sballato”, o ancora si potrà avere il caso di un

raver “edonista” che scopre a poco a poco la dimensione “neo-mistica”

dell’esperienza.

Anche Lapassade in un suo breve saggio, spiega che :

150 Fontana e Fontaine,1997, Raver, Roma, Sensibili alle foglie, p.59.

129

Page 130: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

“I “neo mistici” costituirebbero il nucleo del movimento techno,

mentre, all’altro estremo, “gli amanti dello sballo” ascoltano la

musica techno e frequentano i rave per il gusto di “essere fuori” sulla

base in particolare modo dell’uso non ragionato e spesso sovrapposto

di diverse sostanze, spesso mescolate all’alcol.” 151

Lapassade, nel riprendere la categorizzazione proposta da Fontana e Fontaine

nota:

“...Fontana e Fontaine si interessano soprattutto dei neo-mistici,

benché questi costituiscano probabilmente una minorità fra i raver: la

maggioranza degli utilizzatori della techno si trovano piuttosto dalla

parte degli adepti dello sballo, ma questo “sballo” è qui visto come

una lenta deriva del movimento, cioè della sua decadenza.”152

Riprendendo l’analisi delle danza rave da me proposta, si può notare una

coincidenza fra il raver “neo-mistico” e il “danzatore sacro”, mentre “lo

sballato” pare corrispondere alla figura del danzatore profano; non esiste

invece alcuna corrispondenza fra il danzatore sociale e il raver ”edonista”.

In realtà il danzatore raver, come abbiamo visto, è fortemente sociale, e la

mancanza di tale tipologia in Lapassade e Fontana e Fontaine lascia un poco

perplessi.

Un altra importante distinzione all’interno del movimento rave è quella legata

ai due generi più diffusi di techno-music, cioè la Trance Goa e l’Hardcore:

“...se il pubblico della Trance Goa predilige un immaginario

orientalizzante, manifesta un’attitudine “peace” e “neo-babacool”,

quello Hardcore, composto soprattutto da adolescenti, preferisce un

immaginario da film horror, rivendica uno stato spirituale più violento

e ribelle.”153

Infine, e per quanto riguarda la situazione in Italia:

“Oggi coesistono tre tipi di “raves” in Italia: i rave commerciali

organizzati in discoteche, i raves autogestiti e i raves illegali

151 G. Lapassade,1996, Dallo stato di dikr allo stato di rave . La questione della transe nel movimento techno , in G. Gallina (a cura di), Trance-Il passato remoto della musica del futuro, Torino, Virus Production-Musica 90, p. 40.152 G. Lapassade, 1997, Dallo sciamano al raver, Roma, Sensibili alle foglie, p.104.

153 Fontana e Fontaine, op.cit., p. 90.

130

Page 131: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

politicizzati, ugualmente autogestiti, emanazione dei centri sociali,

che sono apparsi in reazione alla forte commercializzazione del

movimento” 154

B.Pochettino, a proposito delle differenze fra il rave illegale e il rave

commerciale nota:

“La membrana che separa i due fenomeni, arrischiando una

terminologia forse esgerata, è quella che divide l’aspetto profano del

ballo da quello sacro, quello fisico da quello “magico”.Definizione da

considerare con le dovute precauzioni, ma indispensabile per

separare i due corpi, gemelli siamesi, le discoteche, aspetto

consumistico, edonistico, fisico-erotico del ballo ed il Rave, il lato

oscuro, profondo, “spirituale” e magico.”155

Prima di dedicarmi alla tipizzazione del fenomeno, ritengo quindi

indispensabile fare un paio di precisazioni.

Innanzitutto lo spazio dedicato al rave “commerciale” sarà forse più esiguo, e

mirerà a dimostrare che di “vero” rave non si tratta, tale concetto di “vero”

rave si verrà costituendo man mano che procederò nella descrizione del rave

nei centri sociali, dell’illegal e del Goa party, in quanto verranno messi in

evidenza elementi propri di tali ambiti, non rintracciabili nella

commercializzazione del fenomeno.

In secondo luogo, la tipizzazione da me proposta, frutto dell’osservazione

diretta del fenomeno a Bologna, verterà , per quanto riguarda il “vero rave” sul

genere musicale proposto più che sul luoghi dove il rave si svolge, perché,

come abbiamo già avuto modo di precisare, si possono avere Goa party in

capannoni industriali così come illegal all’aperto, ciò che farà la differenza sarà

quindi principalmente legato al genere musicale proposto e ai tipi di sostanze

assunte, oltre che alle dimensioni dell’avvenimento.

In realtà la suddivisione in due sole categorie (cui si aggiunge il rave

commerciale)applicabile alla realtà bolognese e italiana in genere non è

applicabile ad altre situazioni, come quella francese, in cui la trance è più

diffusa rispetto alla techno industriale, o a quella svizzera, dove agli amanti

della Goa, generalmente sui 25 anni e oltre, si accosta un vasto movimento

adolescenziale di amanti della techno-gabber.

154 Ibidem, p. 14.155 B. Pochettino,1996, “Rave , sostanze e rit(m)o , in “Altrove” n.3, p.122.

131

Page 132: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

Transe metropolitane: gli illegal e i rave nei centri sociali

Il rave illegale nasce, in Italia, come risposta alla commercializzazione del

fenomeno, che, come si può leggere nel profilo storico, sembrava avere preso

le redini del rave quando questo apparve nella penisola, nei primi anni ’90.

Il rave illegale è da un lato l’emanazione diretta dei centri sociali autogestiti, e

dall’altro il frutto del lavoro di sound-system stranieri, che oltre ad organizzare

ed autogestire raves per conto proprio, hanno spesso collaborato con realtà

locali presenti sul territorio.

A Bologna, per esempio, si è avuta più volte una collaborazione fra i Mutoid

Waste Company e realtà “antagoniste” quali il “Livello 57” e gli occupanti

del’ex deposito dell’Atc di via del Terrapieno , nonché con il Link di via

Fioravanti.

Ma da dove nasce questa tendenza dei centri sociali ad organizzare dei rave?

Da un lato, molto semplicemente, si è assistito ad un mutamento dei gusti

musicali giovanili, per cui ,anche all’interno degli spazi autogestiti, al punk, al

reggae e all’hip-hop si è affiancata la nuova ondata elettronica della techno-

music; inoltre, come abbiamo visto, non è difficile rintracciare nelle modalità

del rave illegale, in quanto Zona Temporaneamente Autonoma, un nuovo

modello di azione politica.

“...parte degli amanti della techno e dei raves incontra gli attivisti

della controcultura italiana e da questo incontro nasce il rave “dei

centri sociali”. Questo accostamento, come la diffusione delle teorie

di Hakim Bey, agevola la politicizzazione, questa volta di sinistra, di

una parte del movimento italiano”156

Il rave illegale, lo dice la parola stessa, è per definizione politico, in quanto si

riappropria, illegalmente, di zone dismesse, tagliate fuori dal circuito dei

“divertimentifici” istituzionalizzati, ma va anche oltre la politica, superando i

vecchi modelli del “fare politica” giovanili, il rave illegal è un:

“...atto politico libero di ogni falsa coscienza ideologica. C’è chi lega

automayicamnetb il termine “politica” a quello di “ideologia”,

snaturando il significato oroginario di cambiamento pratico della

realtà circostante. Il rave è esattamente la destabilizzazione di questo

riflesso condizionato, l’indicatore palese del passaggio dalla forma

politica ideologica a quella pratica, comunicativa, di azione diretta.”157

156 Fontana e Fontaine, 1997, Raver, Roma, Sensibili alle foglie, p.103.157 Damien, 1997, Scintille di pubblico disordine, in A. Natella e S. Tinari, Rave Off, Roma, Castelvecchi, p.42.

132

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Ecco quindi che i centri sociali, Zone Permanentemente Autonome per H.Bey,

cambiano rotta, e, anche per spezzare la routine politica fatta di concertini e

birre al bancone, costituiscono delle vere e proprie Taz, Zone Temporaneamnte

Autonome dove possa esplodere un rave.

Certo i centri sociali sono luoghi fisici, stabili, e molto facilmente controllabili.

Ecco perché spesso le Tribe e i sound-systems preferiscono seguire una

“strategia nomade” che li porta ai margini della città, lontano tanto dai

“divertimentifici” istituzionalizzati che dai centri sociali.

E così ai margini della notte e della città, i fantasmi del tardo industrialismo

rinascono sotto le luci stroboscopiche e pulsano di nuova vita, al ritmo di

140/200 b.p.m.(battiti per minuto).

Vecchi capannoni in disuso sacralizzati per l’occasione, i muri sfregiati dai

graffiti, lo spazio rimodellato:la creazione di un non-luogo per la festa di una

notte.

“La scelta del luogo da utilizzare è un’operazione che richiama le

esperienze psicogeografiche dei situazionisti, la deriva sullo spazio

metropolitano è l’interpretazione di una nuova metropoli, una

metropoli su cui è possibile leggere percorsi diacronici di sviluppo e

morte, o parallelamente spazi mai divenuti produttivi, aborti

spontanei da trasformare in party. Si tratta di una rimappatura dello

spazio urbano che adotta geometrie non euclidee, movimenti

inconsulti, desideri spastici estranei alle ragioni quotidiane dello

spostamento legato al lavoro o al consumo.”158

Non ci sono confini: ne’ recinzioni ne’ cartelli di divieto, conta solo il desiderio,

illegale, di costruire qualcosa al di fuori, al di sopra delle regole, di riempire di

vita lo spazio vuoto, inutilizzato e morto di quelli che erano magazzini,

fabbriche, hangar.

Qui comincia il gioco: la ristrutturazione ludica ha inizio, e accanto alle

consolle, all’amplificazione e ai piatti si plasma l’ambiente usando tutto ciò che

si trova: vecchi macchinari in disuso, scale, pezzi meccanici; è il regno della

filosofia waste, la filosofia del riciclo in aria post-atomica, dottrina di gruppi

come i Mutoids Waste Company.

Intanto la tela è attivata: coi flayers (volantini)si indica un luogo, sempre ai

margini della città, lontano dagli occhi della polizia, in periferia, da cui si parte,

talvolta in carovana, per il luogo della festa. Qualche volta nel flyer compare il

158 A. Natella, 1997, Intro in 4/4 - 180 bpm, in A. Natella e S. Tinari, Rave Off, Roma, Castelvecchi, p. 12.

133

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numero di telefono di un cellulare, l’info line, oppure un altro foglietto, con le

indicazioni, non sempre dettagliate.

E’ una sorta di caccia al tesoro, ci si scambiano notizie con gli altri, si ipotizza,

si cerca. E quando l’aria vibra e la musica è nell’aria si è arrivati. Pochi soldi

all’ingresso, raramente una fila.

E dove una volta si lavorava, dove si perpetuavano le leggi di mercato, dove

l’uomo era schiavo del sistema, si balla. Dove il lavoro è morto si balla sulle sue

ceneri, e dalle ceneri rinasce la vita.

In questo riciclaggio, che spazia dal recupero delle zone industriali a quello

degli scarti tecnologici che divengono, sotto le mani degli “cyber-scultori” vere

e proprie opere d’arte, non è difficile leggere un messaggio politico, di

liberazione dai percorsi istituzionalizzati del divertimento, dell’arte e della vita.

“Il rave illegale raggiunge il valore massimo nel momento in cui ogni

singolo partecipante riesce a estrapolare, da un’esperienza del

genere, il bisogno di essere antagonista in termini pratici nella realtà

quotidiana e quindi opporsi a ogni forma represiva che grava sulla sua

esperienza menomata nella realtà d’ espressione”159

Qui il messaggio politico va anche oltre il superamento della forma politica

ideologica proposta dai rave nei centri sociali:le tribe, cui spesso fanno

riferimento i sound systems che organizzano i rave illegal, fanno politica nel

senso che rifiutano la società preferendo una vita nomade che li porta in giro

per il mondo, a diffondere il rave-messaggio.

Qui non si tratta più dei ravers dei centri sociali,cioè di giovani, spesso studenti

universitari o comunque generalmente di estrazione piccolo borghese, che

militano nei centri sociali ma al tempo stesso lavorano o studiano: i travellers e

i membri delle tribe hanno fatto una scelta più radicale, per loro il rave non è

un rito di fine settimana, ma la vita stessa.

L’esperienza nel “far rave” delle tribe è talmente alta che la loro presenza

diviene generalmente garanzia di successo per la serata; chiaramente non

tutte le tribe godono di stima, e in questo l’osservazione sul territorio

bolognese diviene utile strumento di conoscenza.

Alcuni sound-systems, come i più volte nominati Mutoids Waste Company (o

Mutoidi) sono generalmente considerati fra i migliori sound-systems sulla

piazza, insieme agli Spiral Tribe, altre tribe, quali gli OQP, i Total Resistance e i

Facom, hanno invece conosciuto un certo declino, e sono legati a realtà

marginali come quella dei “punk abbestia” che seguono la tribe pur non

facendone parte.

159 Damian, op.cit.,p. 45.

134

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Mentre i Mutoidi e gli Spiral Tribe propongono, oltre ad un loro sound

particolare, scenografie post-atomiche, spettacoli con macchinari cyber e

mangiatori di fuoco, altre tribe recano un immagginario assai più povero e

marginale.

Sarebbe ingenuo e ipocrita, in questa sede, fare finta che in tutto ciò la droga

non c’entri per nulla: non è infatti un mistero che alcune di queste tribe

“minori” siano nate dall’unione di individui che facevano parte di altre tribe, ma

che hanno avuto problemi con i compagni a causa dell’eroina!

Questo non significa affatto che vi sia un legame preciso fra il rave illegal e

l’eroina, fatto che sarebbe oltremodo imbarazzante per coloro, come i

frequentatori dei centri sociali, che come abbiamo visto sono in stretto

rapporto con gli organizzatori degli illegal e che negli anni passati avevano

come parola d’ordine “ne’ eroina ne’ polizia”.

Si può comunque supporre che vi siano delle modalità di assunzione e delle

sostanze proprie dell’illegal, che non si riscontrano, ad esempio, nei rave Goa,

o comunque l’uso di sostanze meno utilizzate in altri contesti.

Chiaramente si tratta di tendenze generali e non di verità assolute, tendenze

che però possono illuminaci sul carattere altamente “off-limits” dell’illegal:

sostanze come lo speed e la ketamina, ad esempio, sono comparse sulla scena

degli illegal, prima di diffondersi in altri contesti rave. Lo speed è una sostanza

fortemente energizzante, adatta alle sonorità industriali dell’illegal; è

considerata una sostanza “cattiva”, che non lascia tregua, e che riflette in un

certo qual modo il legame con il movimento punk degli anni’70, cui anche

l’iconografia dell’illegal si ispira in parte.

Quanto alla ketamina certo non si può dire che si tratti della tipica sostanza

empatizzante ed euforizzante normalmente accostata al fenomeno rave: i suoi

effetti ricordano da lontano quelli dell’eroina, almeno ad un osservatore

esterno, e non per nulla tale sostanza è usata in misura maggiore dai cosiddetti

“punk abbestia”, o comunque da coloro che certo non si preoccupano del

sottile confine fra uso e abuso.

Lo speed, invece, è usato prevalentemente per aumentare l’effetto e la durata

di altre sostanze, come L’MDMA, per reggre fisicamente meglio il ballo

ininterrotto e le ore di veglia continuata.

Lo speed ha un effetto prettamente fisico, e il suo uso massiccio può essere

accostato a quelli che Fontana e Fontaine hanno definito “gli sballati”, coloro

cioè che trovano assolutamente necessario “strafarsi” per il gusto stesso di

farlo, mettendo ancora una volta in evidenza il carattere fortemente off-limits

dell’illegal e le sue radici nel movimento punk.

Nella realtà del territorio bolognese, i frequentatori dell’illegal sono

generalmente gli stessi che frequentano i centri sociali, e sono fortemente

135

Page 136: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

legati alla zona universitaria della città, sia che si tratti di studenti che di

giovani legati per altri motivi, quali la politica e la frequentazione dei centri

sociali, al mondo universitario.

Questo dato è molto interessante, perché, come illustrerò più sotto, vi sono

forti differenze di target con gli esponenti del movimento Goa di Bologna,

specie per quanto riguarda la provenienza geografica: mentre agli illegal, fra

partecipanti e organizzatori, partecipano prevalentemente giovani provenienti

da tutta Italia, specie dal Sud per via dell’Università, e stranieri per via delle

tribe; i party Goa sembrerebbero invece essere maggiormente frequentati dai

bolognesi.

Goa party

Ma il rave non è solo un fenomeno metropolitano: si balla in collina, in

campagna, sulle spiagge, dove la Natura diventa protagonista, e dal suo

incontro con la tecnologia nascono le feste più belle.

Si trasportano gli impianti e il materiale in radure isolate, lontane dai centri

abitati ( ma non sempre...), la corrente è fornita al solito da un gruppo

elettrogeno, nascosto da qualche parte, che non si noti troppo, sarebbe

antiestetico.

Le modalità per raggiungere il luogo della festa sono le medesime che per il

rave illegal, ma già dal flyers si intuisce la differenza: la scritta “open-air” in

evidenza annuncia che il rave si terrà all’aperto.

Qui il gioco è ancora più bello: le luci vengono puntate verso gli alberi, verso il

cielo, e nessuna discoteca al mondo sarà mai così bella.

Centinaia di persone danzanti, unite nella festa sotto al cielo aperto, liberi

come non mai. Si aspetta il sole, e ai primi bagliori dell’alba il rave esplode,

come mai potrebbe in un capannone o in un centro sociale.

Si danza rivolti verso l’aurora, null’altro conta, ora. Tutta la notte si è danzato ,

si è andati oltre i limiti della fatica, del sonno, della mente, solo per vedere il

nuovo mattino.

Il ciclo della vita è lì, davanti agli occhi e nell’anima di tutti. Non contano più le

ansie e i dolori della vita in città, non contano il lavoro e gli studi.

Uomini insieme ad altri uomini, sotto il sole, continuano a danzare, fino a

quando la fatica, la sete, il sonno hanno la meglio. Ma è già un’altra sera.

Questa e la filosofia di fondo dei rave Goa, rave che sono “vera festa” solo

quando si svolgono all’aperto, o in luoghi particolarmente “mistici” quali

casolari in campagna , eremi abbandonati o castelli.

136

Page 137: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

Il rave Goa è nato per essere “open-air”, per svolgersi sotto alle stelle in attesa

dell’alba, e perde molto del suo fascino se costretto entro le mura di un centro

sociale o di un capannone.

Goa è una città indiana, ex colonia portoghese, meta fin dai tardi anni ’60 di

hippies e freaks che abbandonavano i loro paesi d’origine per trovare “sé

stessi” in luoghi lontani dal caotico mondo occidentale e per immergersi nella

cultura psichedelica approdata in India insieme al movimento hippie.

“A Goa, in India, che è uno dei luoghi alti del movimento techno, si

può constatare la relazione tra questo movimento e quello della

precedente cultura hippie. Visitato dai gruppi che organizzano dei full

moon parties, rave all’aria aperta nelle notti di luna piena, Goa

sembra anche trovarsi associata all’idea di transe presso i raver: una

delle forme della musica techno, ispirata alle esperienze in India, si

chiama Trance Goa”160

La musica trance associata ai rave Goa è una techno del tutto particolare,

misticheggiante, che la rende assai diversa da ogni altro genere di techno:

“...è proprio nuovamente l’India, il “topos” per eccellenza di gran

parte dei ravers; riferimento spirituale che lascia il segno sulla

produzione musicale della techno sino a creare un proprio stile, o

sottogenere, il Goa-Style, ammiccante a sonorità indiane, intessute su

un continuo tappeto ritmico ad elevato numero di battute per minuto,

circa 140-150, senza arrivare al parossismo della hardcore-techno

dalle180-200 battute.”161

Ciò che differenzia la techno dei Goa da quella degli illegal si riflette anche nel

modo in cui si svolge la festa rave, e i fini che si pone:

“Le nostre feste saranno sacre e dionisiache, al di là di tutte le

religioni. Saranno punti di riferimento, come le stelle per i marinai. Il

luogo ed il momento saranno scelte in funzione di criteri specifici.

Queste feste si svolgeranno lentamente, dolcemente, come

l’apparizione dell’alba, come i cicli della vita. Il ritmo sarà graduale.

Gli strumenti “primitivi”, a pelle, a vento, saranno là per prefigurare

l’avvento dell’elettronica attraverso strati sonori dolci e cangianti per

raggiungere nel cuore della notte il dilagare di una techno transe,

160G.Lapassade,1997, Dallo sciamano al raver, Roma, Sensibili alle foglie, p. 106161 B. Pochettino, 1996, Rave sostanze e rit(m)o, in “Altrove” n.3, p. 123.

137

Page 138: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

obiettivo, o meglio mezzo del rituale che deve sciogliere la mente e

liberare la confusione di pensieri per raggiungere nel cuore del ritmo

la pienezza della coscienza, la vacuità della mente. E in questi istanti

di grazia tutto è possibile”162

Come abbiamo visto vi è uno stretto legame fra il movimento hippie e quello

rave, e si può affermare che i ravers della Goa (o “goani”) siano i discendenti

più simili ai “padri psichedelici” anche proprio per questa loro ricerca di

misticismo, che si riflette anche in un uso diverso delle sostanze psicotropiche:

i rave Goa sono infatti associati in maggior misura all’uso di sostanze quali

l’LSD e la mescalina, o, meglio, tali sostanze hanno un posto d’onore in quanto

allucinogene, e portatrici di esperienze mistiche .

Fontana e Fontaine, a proposito della relazione fra droghe ed esperienza

mistica osservano:

“Gli esponenti stessi del movimento psichedelico, sebbene non

possedessero un sistema religioso strutturato, codificato, avevano

una politica dell’estasi, un discorso elaborato sugli stati di “veglia”

indotti dalla transe. Il “movimento rave” non propone nulla del

genere, con l’eccezione di alcuni organizzatori di feste Goa”163

Sembrerebbe insomma che si possa considerare il rave Goa come l’ala mistica

del movimento, e i “goani” più convinti dei “neo-mistici”.

Effettivamente tutto il movimento che fa riferimento alla trance di Goa, è

contraddistinto da un misticismo di fondo, che si riflette oltre che nell’uso di

allucinogeni, nel modo di vestire orientalizzante, nelle scenografie, nelle scelte

di vita.

Se gli amanti dell’illegal sono fortemente attratti da tutto ciò che è tecnologico,

waste e metropolitano, attrazione che si riflette fortemente anche

nell’abbigliamento e negli accessori, i “goani” amano invece la natura e le

filosofie orientali; se la “divinità” degli illegal è la tecnologia, il rave Goa è un

tributo alla Madre Terra:

“Il rito della danza che dura un’intera notte è un ricordo che scorre a

livelli profondi in tutti noi, un ricordo che ci porta indietro, al tempo in

cui l’umanità aveva rispetto per la nostra grande Madre Terra e per il

prossimo. Un tempo in cui giungevamo insieme alla danza, come una

162 Yayo, citato in Fontana e Fontaine, 1997, Raver, Roma, Sensibili alle foglie, p. 56.163 Fontana e Fontaine, op.cit., p.56.

138

Page 139: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

tribù, unita nello spirito. Comprendevamo i cicli della natura e i poteri

degli elementi.”164

Dicevamo che a Bologna il movimento Goa fa capo principalmente ad un

associazione chiamata “Mr.Smart” attorno alla quale gravitano in realtà gruppi

e sottogruppi di DJs ed organizzatori, quasi tutti bolognesi e non legati

all’ambiente universitario.

Tali particolarità si riflettono sulle modalità di scolgimento dei raves e sul

target dei partecipanti:ai rave Goa partecipano generalmente meno persone,

sono feste, diciamo, più intime, a volte anche per una precisa scelta

dell’organizzazione; i ravers della Goa a Bologna, come gli organizzatori, non

sono necessariamente legati al movimento dei centri sociali, benchè alcune

feste si siano svolte in collaborazione con il “Livello 57” o nei capannoni

normalmente utilizzati per gli illegal, e vi sia comunque un certo scambio fra i

due ambienti.

Le festa Goa, nate come “open-air”, vengono organizzate anche al chiuso per

evidenti motivi stagionali, ma le feste più importanti, cui viene dedicata

maggior passione, sono quelle legate al ciclo delle stagioni e a quello lunare:

rispecchiando le tendenze seguite dal movimento Goa in tutto il mondo, i rave

più grandiosi vengono organizzati all’aperto o in luoghi chiusi ma

profondamente mistici e immersi nella natura, da giugno in poi, in occasione

delle notti di luna piena, dell’Equinozio di Primavera e del Solstizio d’estate.

In occasione del Natale del 1997 e stato organizzato un party, resuscitando

così l’antica festa pagana del “Sole Invicto”, festa sulla quale si impiantò solo

successivamnte l’impianto del Natale cristiano, e che corrisponde al Solstizio

d’inverno.

Il rave commerciale

“ Il sistema capitalistico ha imparato molto bene l'arte del riciclaggio

ed è il primo a decontestualizzare ed a cambiare di segno la musica. I

prodotti musicali devono fare i conti con il loro possibile ri-uso a scopo

commerciale: almeno potenzialmente, una volta uscito un disco

qualsiasi ha delle concrete possibilità di venire utilizzato come

sottofondo.Gli spots dei servizi sportivi di Tele Più 2 sono commentati

musicalmente con il meglio di quella che viene definita "scena

alternativa".”165

164 Retourn to the Source- deep trance & ritual beats, cd + book RTTS 1, 1995.165 Testimonianza di un raver illegale, in Il potenziale trasgressivo del rave, Hyperreal, http://www.hyperreal.com/.

139

Page 140: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

Così come nel caso del movimento hippie, anche il movimento rave si è

dimostrato essere sfruttabile dal punto di vista commerciale, è diventato una

moda, un fenomeno di costume che fa notizia sui giornali.

Ora, da ciò che abbiamo visto, appare evidente che il rave, il vero rave, inteso

come rito, non possa svolgersi all’interno di una qualche megadiscoteca, o di

un qualche capannone affittato per l’occasione: non bastano due o tre bravi

DJs, una buona pubblicità e un controllo non troppo severo all’entrata, in modo

da far passare quel tanto di “pasticche” che bastano per la nottata e un buon

impianto di luci, per ricreare l’atmosfera del rave:

“Un rave in una discoteca è quasi una contraddizione di termini.      Il

raver non è un fan. Il raver cioè non è (ancora) identificabile come

acquirente da strategie di mercato”166

Il raver non è, come abbiamo visto, un fan di un qualche gruppo, techno se

vogliamo: egli si reca al rave proprio per sfuggire a quelle regole di mercato

che tentano di impossessarsi del fenomneo per farne oggetto di lucro.

Ecco uno dei primi elementi che mette in risalto l’impossibilità di un rave in

discoteca: i sound systems che organizzano illegal o Goa certo non lo fanno per

ottenere un compenso, essi sono guidati dalla passione.

Un rave illegal costa generalmente sulle 5.000 £. mentre il prezzo medio di un

Goa o di un rave organizzato da un centro sociale è di 10.000 £.; difficile

pensare che dietro tali tariffe si possa nascondere una finalità di guadagno.

Inoltre dopo una certa ora l’ingresso è gratuito, cosa che succede

generalmente quando si è recuperato il denaro speso per l’organizzazione e

che non può di certo accadere nel caso di un rave commerciale.

Per quanto poi la scenografia possa essere grandiosa, essa sarà comunque

fittizia, falsa, non potrà eguagliare il fascino della filosofia waste o gli spazi

aperti della Goa.

Un altro elemento che impedisce di poter considerare come vero rave un

evento così organizzato è la presenza di buttafuori, veri tutori dell’ordine, di

“cubiste”, e di orari da rispettare:

“Alcuni locali notturni celebrano il rito della trasgressione

riproponendo la gerarchia sociale della quotidianeità: nei lussuosi

priveè vengono ospitati gratuitamente vip freschi e riposati che

sorseggiano i loro drinks e magari consumano droghe di ottima

qualità, mentre nell' arena pischelli che hanno pagato lire 50.000 di 166 Ibidem

140

Page 141: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

entrata spesso e volentieri si scannano fra loro. Se si aggiunge un

apparato repressivo di buttafuori culturisti pronti a punire qualsiasi

eccesso si capisce bene come questi luoghi siano pieni di violenza e

conflittualità a stento controllate.La vendita indiscriminata di

superalcolici (che malissimo si accoppiano con le droghe sopra citate)

testimonia il disinteresse totale per il benessere dei partecipanti.

L'atmosfera di sensualità liberatoria propagandata consiste in una

squallida esibizione (retribuita) di stereotipi erotici degna delle veline

di "Striscia la notizia", accentuando la frustrazione.”167

Il rave non è un evento prevedibile, che può essere programmato nei minimi

particolari, è piuttosto un viaggio, che non si sa bene dove porterà; tuto ciò

viene messo in evidenza se si paragona il rave commerciale all’illegal:

“Mentre il rave commerciale può essere paragonato ad una vacanza

in un villaggio turistico o comunque pre-organizzata, un consumo del

tempo libero, il rave illegale rappresenta una sorta di vacanza fai-da-

te, nel senso che comporta un'attitudine dei viaggiatori

all'esplorazione. Da un punto di vista più strettamente economico, il

rave commerciale può avvicinarsi ad una ipotetica "società a

responsabilità limitata", quello illegale ad un altrettanto ipotetica

"società a responsabilità illimitata".”168

Il rave, insomma, non è uno spettacolo che si può guardare dal di fuori senza

partecipare, durante il rave non esistono ruoli ben definiti, non c’è un artista

che esegue e un pubblico che ammira: il fatto setsso che i raver dell’illegal e

della Goa si guardino fra di loro ,o abbiano lo sguardo perso in un “altrove”, e

che invece ,durante i rave commerciali, l’attenzione generale sia concentrata

verso il palco o la consolle del DJ è l’ennesima dimostrazione che il “vero rave”

con la discoteca non ha davvero nulla a che fare.

Tutti questi elementi non hanno però impedito il prolificare di rave

commerciali:

“La cultura techno si è abilmente inserita in un settore ben collaudato

dell'industria del divertimento: la scena "dance".Gli operatori delle

discoteche italiane hanno immediatamente capito che dovevano

appropriarsi di questa tendenza prima di altri per poterla sfruttare al

meglio. Così è stato: a parte la riviera romagnola, quella veneta e

167 Ibidem168 Ibidem

141

Page 142: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

quella toscana,ben fornite di strutture adatte,c'era bisogno di spazi

sempre più grandi, così hanno cominciato ad affittare edifici

industriali, tendoni, megabalere, decentrandosi rispetto al contesto

urbano.”169

Anche il rapporto con le sostanze psicotropiche è diverso: gli allucinogeni quali

l’LSD e la mescalina sono raramente utilizzati nel contesto delle discoteche,

nelle quali la sostanza più diffusa è l’Ecstasy, proprio per la sua caratteristica di

droga meno “difficile” e più adatta alla vita dei giovani discotecari che, pure se

si recano ad un rave commerciale, non sono certo alla ricerca di esperienze da

“neo mistici”, il che fa ipotizzare a Lapassade:

“Occore...notare che lo “sballo” sarebbe piuttosto associato alle

discoteche “techno”, a quei divertimentifici” che i raver considerano

spesso con disprezzo come dei luoghi senza rapporto con i rave.”170.

Effettivamente, mentre vi sono dei rapporti costanti fra le varie anime del

movimento rave e non è raro che i “goani” si rechino ad un illegal e gli amanti

dell’illegal partecipino agli open-air, coloro che partecipano ai rave commerciali

non hanno in realtà nulla a che fare con gli altri tipi di rave, e si può supporre

che normalmente siano frequentatori di discoteche techno.

Nei pressi di Bologna, al Tempio di Crespellano, si sono avuti due eventi definiti

dagli organizzatori come rave, ma la mia diretta osservazione ha avvallato

quanto illustrato sopra: il prezzo del biglietto d’ingresso era di 45000£., vi era

un apparato nemmeno troppo discreto di buttafuori, l’abbigliamento dei

partecipanti faceva pensare a una mascherata e del “rito tribale” non vi era

alcuna traccia.

I partecipanti, invece che ballare in gruppi o a larghi cerchi, erano voltati verso

i vari DJs che si spartivano la serata, e il culmine della nottata (che aveva come

orario predefinito di chiusura le sette del mattino!) non è coinciso con il

“karmacoma” del rave, ma con spettacoli di famosi gruppi techno con tanto di

cantante (femmina)sexy.

Come abbiamo visto, vi sono tratti comuni fra i raver dell’illegal e dei centri

sociali e quelli della Goa, che li rendono simili fra loro e lontani dal mondo delle

discoteche e del rave commerciale.

169 Ibidem170 G. Lapassade, op.cit.,p. 105.

142

Page 143: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

Prova dello stretto contatto fra il movimento dei raves metropolitani e il

movimento Goa, e dell’estraneità del rave commerciale dalla scena, è stata

data sul territorio dai due tecknivals, che hanno visto riuniti nel 1996 quattro e

nel 1997 ben dodici sound-systems; durante la settimane di durata del festival,

i ravers della Goa si sono uniti a quelli dell’illegal, e di commerciale nell’aria

non si respirava proprio nulla.

Conclusioni

Il rave, fenomeno legato alla tecnologia nelle sue varie forme, affonda le sue

radici nel passato, recuperando il senso della festa, festa intesa come

possibilità di sovversione delle regole, dei ruoli, e dell’identità, recuperando la

danza non come forma spettacolare-estetica, ma come rito sociale, collettivo,

che tenta di slegarsi da ogni possibile lettura consumistica, recuperando le

sonorità, i ritmi, le musiche del passato, e riproponendole in versione

tecnologizzata.

La filosofia waste del fenomeno, tanto evidente nell’illegal, è forse ciò che,

insieme alla techno-transe, costituisce il nucleo del fenomeno rave.

Il fenomeno della transe, nelle sue varie forme ed istituzioni, individuali e

collettive, costituisce da sempre il nucleo di tutti quei rituali che

presuppongono uno Stato di Coscienza Alterato; la transe legata al fenomeno

rave è una transe estatica, fondata sulla iperstimolazione sensoriale,

sull’effetto di gruppo e sugli induttori chimici rappresentati, oltre che dagli

allucinogeni di antica data, dalle “nuove droghe” (Ecstasy, speed, Ketamina) di

derivazione tecnologica.

Il rave è infatti un rito tecnologico, e si pone là dove la Natura incontra la

Cultura, specie quella tecnologica nella quale si rispecchia la storia stessa della

società, e la tradizione.

Il rituale rave è costruito in modo da assomigliare a ogni altro rituale del

passato: ha una sua forma caratteristica che si ripropone sempre uguale a se

stessa, nonostante le varie tipologie riscontrabili nella realtà, tipologie che

riflettono le diversità culturali e societarie dei vari luoghi in cui cade il seme

del rave; dal medesimo seme sono così nati frutti diversi: dall’illegal rave al

Goa, dai surf rave californiani ai rave gabber amati dagli adolescenti svizzeri e

tedeschi.

Il rave nasce in Inghilterra, figlio legittimo dei free-festival, a loro volta nati

come continuità di antichi rituali pagani, mai totalmente dimenticati;

dall’Inghilterra il rave si diffonde in grande parte del mondo occidentalizzato,

dalla Germania agli Stati Uniti, dal Giappone all’Australia, assumendo ogni

volta nuove originali caratteristiche.

143

Page 144: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

Ciò che rimane immutato, il nucleo del rave, è il suo carattere di rito

formalizzato, il carattere off-limits che conduce oltre i limiti della notte, oltre i

limiti della fatica e della mente, per assistere all’alba di un nuovo giorno, al

rinnovarsi della vita.

Il rapporto con la tecnologia, nelle sue varie forme è in quest’ottica,

indissolubilmente legato la rituale rave: la tecnologia industriale dei

capannoni, delle fabbriche , dei luoghi di lavoro abbandonati, deturnati e

riportati in vita; la tecnologia chimica delle sostanze sintetiche e psicotropiche;

la tecnologia elettronica e informatica di computers e masterizzatori con i quali

si crea la musica techno, altro elemento indispensabile del rave.

Ma, accanto alla modernità incarnata nel progresso tecnologico, si ha un

recupero di tradizioni antichissime, definite oggi come tendenze neo-

primitivistiche e neo-tribalistiche.

Il raver è al tempo stesso un neo-primitivo e un uomo di fine millennio: egli

ama deturnare il proprio corpo, giocare con esso come mezzo di comunicazione

di messaggi che solcano la pelle con i tatuaggi, e perforano le carni col

pierging; ma il rave ama anche la modernità, e la comodità, della tecnologia ,

che gli offre finalmente prodotti innovativi a prezzi acessibili e sostanze

euforizzanti, psichedeliche, empatogene e allucinogene, efficaci tanto contro la

fatica e il sonno , e che gli permettono quindi di ballare per ore e ore di seguito,

tanto per “viaggiare”, staccarsi per un breve periodo di tempo, dalle costrizioni

di ruolo, dallo stress e dai problemi della vita quotidiana.

In questa ricerca di percorsi “off-limits”, si rispecchia la situazione di questi

giovani cresciuti in una società che non è in grado di dare loro una sicura

identità e dei modelli da seguire, una società in cui il confine tra la fanciullezza

e l’età adulta non è segnato da alcun tipo di rito di passaggio, e in cui non

sono previste aree istituzionalizzate dove sia reso possibile accedere a Stati

Modificati di Coscienza, aree in cui l’uomo, il giovane, possa esorcizzare le

proprie ansie e le proprie paure, uscendone rigenerato.

Il rituale rave nasce proprio da questa esigenza di nuovi percorsi, che

consentano di andare oltre; la techno-transe, nata insieme al rave, è la

dimostrazione più evidente che gli Stati Modificati di Coscienza, nelle sue vaie

forme ,che spaziano dalla transe di possessione, alla transe isterica, alla transe

dissociativa ,ma nache al sogno, non sono affatto un fenomeno legato al

passato della nostra società e alle società tradizionali contemporanee, ma sono

aree necessarie all’equilibrio psichico umano stesso.

La techno-transe è una transe estatica, che ricorda da lontano le transe

tradizionalmente legate ai riti di passaggio. E il rave è in questo senso rito di

passaggio fra gli stati di coscienza ordinari e gli Stati Modificati di Coscienza; è

un rito di passaggio fra la vita quotidiana e quella “incantata” (nel senso di

144

Page 145: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

sospesa nel tempo) delle Zone Temporaneamente Autonome, “non luoghi”

dove è reso possibile sfuggire alle dinamiche societarie e culturali che rilegano

i giovani in ruoli e status precisi, senza però fornirgli una solida identità.

Nelle Zone temporaneamente Autonome del rave si respira aria di

communitas , quella communitas già resuscitata dal movimento hippie e

psichedelico degli anni’60 e ’70, e che sta tuttora alla base di fenomeni

“marginali” come i travellers’, la gente del viaggio, e delle tribe, tribù

tecnologiche la cui vita è spesso totalmente interrelata con il mondo del rave.

Durante il rave non contano le differenze di ruolo, di sesso, di ricchezza, quello

che conta è l’”esserci insieme”, il danzare oltre i limiti, per sentirsi vivi, facendo

qualcosa di “importante” che forse molti altri non possono capire.

Solo gli iniziati al rituale rave, i ravers, possono sentire fortemente lo “spirito

della festa”, uno spirito di libertà e di sogno, lontano dallo spirito

addomesticato e falso dei cosiddetti “rave commerciali”.

Il vero spirito danza nei capannoni in disuso delle periferie metropolitane, negli

spazi aperti delle colline, e in una discoteca, o in un capannone affittato per

l’occasione con tanto di premesso della SIAE, si sentirebbe in gabbia.

Il “vero rave” non può essere assoggettato alle regole del marcato proprio

perché, insieme alla libertà, perderebbe tutto il suo senso; il rave si diffonde in

circuiti underground, lontano dai “divertimentifici” istituzionalizzati: il rave è

antistruttura, azione politica diretta, controcultura.

Ma i ravers, per quanto “controculturali”, non intendono combattere la società,

essi piuttosto, quando non la ignorano, “rubano” quanto di buono la società

può offrire loro, per costruirvi sopra nuovi modelli simbolici, e rintracciarvi

nuovi (e antichissimi)valori.

Il raver non è un essere marginale, non vive ai limiti della società, egli, durante

la festa, è piuttosto un essere liminale, che non sta ne’ da una parte ne’

dall’altra, è sospeso fra due mondi senza appartenere a nessuno dei due: il

raver vive nelle società ma al tempo stesso le sfugge, ne riflette i

condizionamenti culturali, ma è anche capace di liberarsene

temporaneamente.

Ma perché il rave è nato proprio ora, e proprio in seno ad una società

occidentale tecnologizzata e informatizzata?

Le feste nascono nei momenti di crisi, quando si assiste ad un passaggio

epocale; il rave parrebbe in questo senso accomunabile ai tanti microfenomeni

che stanno sotto l’etichetta della “New Age”: la nascita di micro-comunità

pseudo-religiose e religiose, un ritorno al valore mistico dell’esistenza, la

fascinazione della cultura orientale che, meglio della nostra, ha saputo

conservare un forte legame con il passato.

145

Page 146: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

L’originalità del fenomeno rave sta quindi in questa sua capacità di porsi fra

Cultura e Natura, fra passato e futuro, fra struttura e antistruttura, dando vita a

nuove originalissime conformazioni.

In questo quadro la tecnologia viene “sacralizzata”, i capannoni industriali

divengono veri e propri templi tecnologici; sono questi forse templi innalzati ad

una nuova “divinità”, temuta e rispettata allo stesso tempo, e i ravers, come i

bambini di Hallowen, si travestono con la tecnologia, e ballano per lei proprio

per trarne forza e allontanarne la paura.

Accanto alle divinità pagane riemerse nel rituale rave, il cui fine ultimo rimane

sempre il raggiungimento dell’alba del nuovo giorno, simbolo della continuità e

ciclicità della vita, sorgono le nuove “divinità” tecnologiche.

Il danzatore rituale moderno, il raver, ha così due diversi ordini divini cui

tributare il proprio ballo oltre i limiti: la Natura, Madre Natura, e la Cultura,

Cultura tecnologica con cui l’uomo cerca, e ha sempre cercato, di porre argini

alla potenza naturale. Il raver è neo-pagano e uomo tecnologizzato di fine

Millennio allo stesso tempo.

In Italia questa tensione dicotomica Natura/Cultura, insita nel fenomeno rave, è

resa evidente nelle due principali tipologie rave: gli illegal rave e i rave Goa.

Se, da un lato, il movimento Goa subisce prevalentemente la fascinazione

dell’oriente ( dell’India in particolar modo)e della natura, negli illegal è la

tecnologia ad avere un posto d’onore.

Tali differenze si riflettono sulla musica associata alle due ali del fenomeno: la

musica dei Goa è trance, techno-music contaminata dalle sonorità mistiche

orientali e in cui la sacralità è spiccatamente di ordine naturale; la techno degli

illegal è invece più dura e ricalca le sonorità industriali e metalliche legate alla

tecnologia.

Non si deve però credere che la techno dei Goa party non sia anch’essa di

derivazione strettamente tecnologica: la sua creazione è, per modalità, del

tutto simile a quella della techno industriale dell’illegal; e se vi sono delle

differenze evidenti anche fra il look dei raver della Goa (orientalizzante, con

richiami mistici e assai colorato) e quelli dell’illegal-industriale (look cyber, più

cupo e metropolitano), vi è fra le due facce del movimento una forte

similiarietà, che li rende lontani e differenti dagli avventori dei “rave

Commerciali”.

Il mercato, infatti, scorgendovi la possibilità di lauti guadagni, ha cercato di

impossessarsi del fenomeno, dando origine alla commercializzazione del rave.

Come abbiamo visto, il rave in una discoteca è una vera e propria

contraddizione di termini: la discoteca è un luogo istituzionalizzato, e come tale

soggetto a norme e regole che, di fatto, non sono conciliabili con la “filosofia”

del rave.

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Se, da un lato, la tendenza “off-limits” è riscontrabile anche nei circuiti

istituzionalizzati delle discoteche, e si riflette soprattutto nell’uso delle sostanze

psicotropiche, la caratteristiche funzione antistrutturale e rituale del “vero

rave” non è rintracciabile nelle dinamiche associate alla discoteca, in quanto

questa ripropone proprio quella differenziazione di ruoli e status societaria e

culturale a cui il “vero rave”, in quanto Zona Temporaneamente Autonoma,

cerca di sfuggire.

Certo non sarebbe la prima volta che un fenomeno muore, o perde di senso,

sotto i colpi delle leggi del mercato, il caso del movimento hippie ne è un

esempio.

In Italia, allo stato attuale delle cose non vi è in realtà quasi alcun tipo di

contatto fra il fenomeno rave e gli eventi commerciali, se si escludono alcune

performance artistiche che gruppi come i Mutoids Waste Company hanno

eseguito in grandi discoteche della riviera romagnola, il che fa pensare che i

due movimenti conosceranno destini diversi, non strettamente correlati.

Il rave non è uno spettacolo, non vi sono artisti che eseguono e un pubblico

che osserva e ascolta, il rave nasce proprio dal superamento di tale divisione, e

sorge nell’armonia e nell’indifferenziazione simbolica fra esecutore e

spettatore; questa dinamica non è applicabile in un contesto istituzionalizzato,

il che conferma ancora una volta il fatto che il ”vero rave” col mondo delle

discoteche non ha nulla a che fare.

Questo non significa affatto che il raver sarà un danzatore perfettamente in

grado di percepire il perché e la dinamica delle sue scelte, ma egli apparterrà

presumibilmente a quei circuiti underground marginali rispetto alle dinamiche

giovanili istituzionalizzate.

I raver sono i figli e i nipoti degli hippies e dei punks che come loro, avevano

preferenze quantomeno controculturali rispetto ai percorsi giovanili

socialmente accettati. Il raver non è un rivoluzionario, un anarchico, non è

considerato marginale, ma il suo comportamento ispira comunque curiosità

tanto nei giovani ,che spesso non lo capiscono e non lo condividono, tanto nei

mass-media, che vi trovano un argomento interessante e “scottante” con cui

riempire gli spazi dedicati al costume.

Una certa ipocrisia di fondo fa sì che il rave venga spesso e volentieri liquidato

dando risalto al consumo massiccio di sostanze psicotropiche piuttosto che agli

aspetti sociali e rituali, senza tenere conto del fatto che il mondo delle

discoteche è legato al consumo di droghe, o meglio delle nuove droghe, in

maniera altrettanto massiccia.

In questo senso bisogna anche tenere conto della valenza rituale della

condivisione delle “pasticche”, aspetto forse più evidente nel rave che

nell’ambito delle discoteche: un conto è insomma la condivisione “sacralizzata”

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all’interno di un rituale tecnologizzato, un conto è “calare” in una discoteca,

vincolati dagli orari di chiusura e dal rispetto di tutta una serie di norme e

vincoli societari. In una discoteca non si può essere mai abbastanza liberi da

permettere l’avvento di una techno-transe esorcizzante e rigenerante.

Non è questo il luogo di discutere su uso e abuso delle sostanze psicotropiche,

o di un loro uso “sacro” e di ricerca interiore, ma, come ha notato lo stesso

Lapassade, gli “sballati”, coloro cioè che “calano” per il gusto di farlo, senza

rintracciavi una qualche valenza “sacra” o sociale, sono forse più propensi a

frequentare le discoteche piuttosto che i raves.

Il rave sarebbe insomma la faccia mistica, spirituale, “magica” e sociale del

fenomeno, mentre le discoteche sarebbero l’ala consumistica e più

prettamente edonistica.

Se il danzatore raver è allora un danzatore “sociale”, o persino un “neo-

mistico”, è ipotizzabile un qualche legame fra questa tendenza, che

sembrerebbe legare il rave commerciale e il mondo delle discoteche in

generale allo “sballo” e il rave ad una forma di danza rituale e tribale, e il livello

di istruzione dei danzatori.

La situazione a Bologna sembrerebbe avvallare una tale ipotesi, non è infatti

difficile scorgere una stretta corrispondenza fra il mondo del rave e quello della

controcultura giovanile legata all’Università e ai Centri Sociali Autogestiti. Tale

corrispondenza presume una certa scolarizzazione dei raver sul territorio

bolognese, o comunque una loro appartenenza ai circuiti contro-culturali

precisi, che li rende lontani dai gusti e dalle scelte dei giovani lavoratori,

lontani dalle dinamiche legate al movimento politico universitario e

metropolitano.

Tale corrispondenza è molto evidente per quanto riguarda gli illegal, che dei

centri sociali sono in Iatlia in certo qual modo un’emanazione; per quanto

riguarda invece l’ala “goana” del rave a Bologna, si nota una maggior presenza

di bolognesi sulla scena, non sempre legati al mondo universitario, ma

sicuramente legati a circuiti controculturali, il che determina uno scambio

continuo e una compenetrazione fra le due ali del movimento.

La realtà bolognese riflette insomma quella caratteristica capacità di

“trasformismo” insita nel rave e dimostrata dalla sua capacità di adattamento

alle varie forme culturali e sociali cui è approdato il fenomeno.

A Bologna come in molte altre parti del mondo occidentale, si balla fino all’alba

e oltre al cospetto di Natura e Tecnologia, antica divinità pangenica la prima e

oscura divinità moderna la seconda; Natura e cultura si fondono nella techno-

transe, al ritmo della techno-music, nelle periferie di cemento come nelle

colline e nelle campagne; i danzatori raver sperimentano quei rituali collettivi,

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Page 149: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

fonte di rigenerazione ma anche di confusione, che migliaia di uomini prima di

loro hanno considerato come “normali” eventi dell’esistenza.

La natura dell’uomo e il progresso tecnologico come ossatura del rave,

insomma, ma viene da chiedersi fino a che punto tutto ciò sia percepito dagli

stessi ravers.

Il “vero rave” è raro, e in tali percorsi non istituzionalizzati e “alternativi” è

facile perdersi perché privi di una guida saggia che sappia indicare la strada

giusta, o almeno il senso del cammino.

Il rave è forse una moda passeggera, che morirà presto come morì a suo tempo

il movimento hippie. Ciò che è certo è che i valori che vi si nascondono sono

idee, e come tali non muoiono e torneranno in futuro, sotto altre forme, con

altri nomi.

Profilo storico.

Narra la leggenda che il termine “house-music” derivi dal nome di un club di

Chicago chiamato appunto “Warehouse”, durante le cui nottate il DJ. Frankcie

Knuckles avrebbe per primo miscelato i ritmi Disco funk e jazz con l’uso di

campionatori elettronici e quindi il sostegno della tecnologia informatica

creando così una musica binaria e ripetitiva che seppur fondamentalmente

spoglia finirà per sconvolgere il panorama della dance music.

Nel 1987 si hanno le prime serate house in quel di Ibiza, paradiso del turismo

giovanile anni ‘80, e proprio qui la house incontra una droga nuovissima,

l’Ecstasy, che ,recentemente introdotta in Europa, finirà per sconvolgere le

nottate dei giovani almeno quanto il nuovo tipo di sound a cui si accompagna.

Il fenomeno delle nuove nottate a base di Ecstasy e house si sposta

velocemente nei clubs inglesi, alla fine delle vacanze estive, e da qui al rave il

passo sarà breve.

Parallelamente, nel 1988 nasce la scena techno- Detroit, e sebbene si tratti di

un sound più minimalista e rapido, i destini dei due generi finiranno presto per

incontrarsi, e mentre già nei clubs londinesi si balla al ritmo dell’ acid house, la

techno di Detroit trova maggior fortuna in Belgio ed in Olanda.

Il passaggio dalle feste nei club al rave è rapido in quanto la chiusura obbligata

dei clubs alle 3 di notte fa si che si preferisca trasferirsi in luoghi lontani dal

controllo della Polizia e quindi dello stato.

Alla periferia di quelle grandi città che non vogliono accettare l’estremo

divertimento giovanile sorgono vecchie fabbriche abbandonate, hangar,

magazzini in disuso, e proprio queste rovine del tardo industrialeismo

divengono il teatro delle feste estreme, della liberazione delle energie negative

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di migliaia di giovani, giovani che forse proprio in quelle fabbriche dovranno

sacrificare parte delle loro esistenza.

Le rovine industriali sono un nuovo luogo di festa, accanto ai boschi e agli

antichi luoghi di culto cari alla generazione hippie.

Ai piccoli sound systems improvvisati si sostituiscono ben presto sound

systems molto più organizzati; il fenomeno incontra i travellers’, dalle cui

schegge nasceranno poi i migliori organizzatori di rave, le tecnologie usate

sono le più avanzate del settore, e ben presto alla musica si unisce lo

spettacolo, con l’ingresso in scena di gruppi teatrali, mangiatori di fuoco, ecc.

Nelle campagne inglesi prima che in qualsiasi altro posto il rave incontra la

Tradizione, da qui in avanti i destini del rave saranno molteplici.

Immediatamente il fenomeno viene associato all’uso di stupefacenti e per

questo fortemente represso, ma nonostante questo migliaia di persone

continuano ad affollare i raves, dando vigore ad un nuovo spirito, che si oppone

a quello elitario degli esordi, all’elitarismo dei club londinesi e delle prime feste

spagnole.

Nella notte ballano insieme e armoniosamente giovani di ogni origine sociale,

uniti nella danza dal potere dell’Ecstasy.

E intanto anche l’LSD riappare, trasformato per l’occasione.

Dall’Inghilterra i raves si propagano in tutta Europa, assumendo caratteristiche

e ampiezza varie da paese a paese. E’ nel nord dell’Europa che si ha la

maggiore diffusione del fenomeno, in Germania, Belgio ed Olanda.

Dal Belgio il fenomeno passa nella Francia del nord poi nella capitale. A Parigi

si organizzano i primi raves di stampo inglese in barche, stabilimenti e cave,

ma il fenomeno resta tuttavia marginale, interessando prevalentemente,

almeno inizialmente, la comunità omosessuale.

Da questo momento in poi il diffondersi del rave sembra non avere confini: si fa

festa in Scozia come in Australia e in Spagna, e già si consumano i primi riti

moderni a Goa, nel sud-ovest dell’India, celebre “isola psichedelica” a partire

dagli anni ’60.

Siamo nel 1990, in Inghilterra e in Germania i raves continuano a riunire

migliaia di giovani, nonostante l’inasprimento della legge; nel Gennaio dello

stesso anno si ha a Londra una manifestazione di strada, con la quale si

intende reclamare il proprio diritto alla festa.

Ma di qui in avanti i provvedimenti legislativi tendenti a sopprimere il

fenomeno non faranno che inasprirsi, con la conseguenza di dar ancora più

spinta la movimento. Anche in Francia il fenomeno si allarga, e dopo un rave

organizzato al Parco delle Esposizioni del Bourget, Liberation intitola “Parigi si

mette a far raves”.

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Siamo nel 1991 e i ravers inglesi in trasferta a S. Francisco portano un nuovo

modo di usare l’Ecstasy: la transe collettiva e un alto livello di stimolazione.

In Francia appaiono i primi rave illegali, e i conseguenti problemi con le

autorità, problemi che in Inghilterra si fanno sentire maggiormente, pur non

intaccando il movimento, che , sebbene alcune organizzazioni scompaiano, si

rafforza con grandi feste n organizzate con mezzi più poveri.

Siamo nel 1992, e il movimento ha la sua consacrazione, le feste riuniscono ora

fino a quattromila persone in Francia, in Inghilterra i travellers’ organizzano

feste gratuite e imponenti: è l’anno del rave di Castelmorton, che riunisce dalle

25.000 alle 40.000 persone.

Mentre i diversi generi musicali danno vita a correnti interne fortemente

caratterizzate (come la Goa e l’hardcore), alcuni nostalgici già sentono puzza di

commercializzazione, e sentendo svanire lo spirito dei primi tempi

abbandonano il movimento, o tornano alle serate nei clubs, forse più esclusive

ed elitarie, ma certo più “pure”.

Nel 1993 il rave arriva anche nei paesi del’ex URSS, in Germania si organizzano

feste gigantesche in locali come il “Mayday”, in Svizzera è l’anno dell’”Energy”

e in Inghilterra dell’”Universe”. In Francia la prefettura vieta lo svolgimento

della festa “Oz”, per la quale si aspettava la partecipazione di 18.000 persone,

ma il movimento non si ferma.

Il 1994 è l’anno del Criminal Justice and Public Order Act , il quale mira a

sopprimere il movimento con provvedimenti legislativi molto duri1 .

Nonostante la repressione nascono i Tecknivals, organizzati dai travellers, fra

cui Spiral Tribe, OQP, Mutoids Waste Company, molti dei quali si trasferiranno

all’estero, in cerca di migliore accoglienza.

Gli Spiral Tribe compiono numerosi soggiorni in Italia e Spagna.

Se, da un lato, una parte del fenomeno ne esce ancora più battagliera, si

assiste anche al trasferimento delle feste nelle discoteche, e all’inizio della

commercializzazione, e quindi al decadimento, del fenomeno.

Fin dal 1995 il movimento è ormai frammentato, accanto ai rave illegali si

hanno feste fortemente commerciali, in Francia, ad esempio è la trance- Goa a

divenire fenomeno commerciale, mentre in Italia rimane patrimonio di feste

molto più piccole ed elitarie.

In Svizzera si hanno grandiose feste al ritmo violento della gabber, e il

fenomeno interessa specialmente i più giovani.

In Inghilterra la scena è varia: continuano le feste nei clubs ma si hanno anche

grandi raves metropolitani, come il mega rave da 6.000 persone che invase

1 Il Cja diviene Legge il 3 Novembre 1994, con firma della Regina, e tende a sopprimere tutte quelle realtà controculturali che nell’Inghilterra post-Thatcher avevano trovato terreno fertile per la propria espansione. E’ il caso di travellers, squatters e ravers, che con questa legge si vedono di fatto messi fuori legge.

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una tangenziale londinese il 13 Luglio 1996, o il memorabile raduno a

Castlemorton nel Maggio 1992, al quale parteciparono 50.000 persone.

A tutt’oggi, nel 1998, si hanno notizie di rave sulle assolate spiagge

californiane (surf rave), si danza in Australia e in Giappone, in Canada e nella

mediterranea Grecia.

La situazione politica non impedisce che Israele sia uno dei paesi più coinvolti

dal fenomeno, oltre che uno di più produttivi in campo musicale.

Il movimento ha raggiunto praticamente tutto il mondo occidentale e

occidentalizzato.

Si dice che il movimento a Goa sia oramai morto, ma che ora si faccia festa

molto più a nord, sulle montagne di Dheli.

Il destino del rave è ancora lontano dall’essere conosciuto, proprio perché in

ogni terra in cui il suo seme è caduto ha dato frutti assai diversi, adattandosi

alla cultura del luogo, alla sua gente, alle tradizioni, alle esigenze e

all’immaginario della sua gioventù.

La commercializzazione ha fatto si che gran parte della “magia” del fenomeno

rimanesse patrimonio di pochi. Ma forse proprio il circuito underground riuscirà

a tenerne vivo lo spirito, aspettando l’alba del 2000 a suon di tecnho. Ballando

per non morire.

In Italia il rave arriva nel Giugno del 1990, ma si ha un percorso praticamente

contrario a quello avvenuto in Inghilterra: dopo un difficile debutto dell’house e

della techno in qualche locale “all’avanguardia”, lo spirito organizzativo è

decisamente professionale, l’obiettivo è economico.

Il primo evento rilevante si ha nei pressi di Aprilia, il “Rose Rave”, seguito, nel

settembre del medesimo anno, dal “World Dance Beat Festival”, durante il

quale una rissa a sfondo calcistico provocherà un morto, dando così pessima

fama al fenomeno, che in realtà delle feste inglesi aveva conservato ben poco.

Difatti da quel momento i raves si sviluppano nella violenza, e il movimento si

tinge di nero, assumendo simolismi fasisti, facilmente riconoscibili dai dischi e

dai volantini dell’epoca.

D’altra parte si assiste allo sviluppo di rave prettamente commerciali, con tanto

di regolare biglietto SIAE e affitto del locale.

Si arriva così al 1993, i rave “neri” scompaiono, nelle discoteche si continuano

ad organizzare feste che dello spirito iniziale non hanno più nulla, ma sotto

qulcosa si muove.

A Roma il rave incontra militanti dei Centri Sociali, e dal loro incontro nascono i

primi rave illegali, gratuiti o quasi. L’ingresso del rave nel panorama della

contro-cultura italiana e la diffusione delle teorie di Hakim Bey segnano una

nuova politicizzazione del movimento, questa volta a sinistra.

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La nascita e lo sviluppo dell’illegal danno nuova vita al movimento, che a

partire dall’estate del 1993 si diffonde in gran parte della penisola,

specialmente al nord.

Le città in cui si radicalizza maggiormente il rave sono Milano, Torino, Bologna,

Napoli, e chiaramente Roma, città cosmopolita italiana per ecccellenza.

Le periferie e le campagne divengono teatro di un nuovo rito metropolitano, i

maggiori sound systems, come gli Spiral Tribe, gli OQP, i Mutoids Waste

Company, compiono numerose visite in Italia dando vita a feste memorabili,

come i raduni tecknivals durante l’estate del 1996 e 1997 nei pressi di Bologna.

Ma accanto agli illegal e a Goa party fiorisce un ricco mercato che del

fenomeno rave sfrutta il nome, organizzando rave in discoteca, con l’atrattiva

delle performance di famosi DJs, scenografie studiate nei minimi dettagli e,

chiaramente, costi elevati, dal biglietto di ingresso alla consumazione.

In Italia come nel resto del mondo occidentale o occidentalizzato. accanto alla

commercializzazione sopravvive, attraverso canali underground, lo spirito di

sempre, lo stesso spirito che faceva ballare gli Uomini prima di noi.

Testimonianze in rete

“Rave: festa “senza limiti”. Senza limiti di tolleranza, poco importa il colore della

pelle, l’orientamento sessuale, l’odore del vostro spirito, siete in un rave e questo è

tutto. Luogo di scambio e di metissaggio, riflesso di una società in mutazione, .

Internet: pacifica perfetta anarchia. Generatrice di saggezza e di umiltà, di

comprensione e di condivisione. Sensazione di liberazione dai preconcetti, luogo di

libarazione dei sensi. Una libertà che non esiste altrove. Autogestione dei

comportamenti regolati da una sorta di net-galateo, forme di condotta conosciute

da tutti gli utilizzatori. Così per i ravers. Non prendersi troppo spazio, non essre

insolenti, rispetare le idee degli altri. Le ragole dei rave e di Internet sono il codice

civile di una nazione che potrebe chiamarsi Libertyland.” (Kanaï.com, “Internet-Il

rave planetario” in Trance, il passato remoto dela musica del futuro)

Il mondo del rave assomiglia insomma al mondo di Internet, e in questo senso Internet è un

“rave planetario”. Da questa somiglianza deriva una grande presenza di siti che si occupano di

rave in rete, siti che si sono rivelati utili per il mio lavoro.

“...l’avanzamento tecnologico sta producendo una mutazione radicale attraverso

quelle modificazioni psicologiche e percettive determinate dal nuovo rapporto tra

uomo e mondo esterno .

Si tratta a questo punto di comprendere che queste tecnologie multimediali sono

dei nuovoi linguaggi in grado di modificare, come lo ha fatto la scrittura ad sempio,

le nostre procedure mentali.

E’ attraverso questo approccio culturale e nono solo meccanicistico (in cui si tende

a considerare le tecnologie solo come “strumenti”) che sarà possibile cogliere

mutazioni che ora sono solo ad uno stato embrionale.

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E’ necessaria infatti una consapevolezza globale che possa coniugare i “valori

d’uso” delle tecnologie con il potenziamneto delle qualità umane. Attraverso la

multimedialità, la simulazione virtuale, e la comunicazione telematica è quindi

possibile individuare una nuova qualità culturale che è opportuno definire come un

nuovo paradigìma cognitivo” (Corpo e Mutazione

<http://www.idra.it/cyberia/CorpMuta.htm>)

1) Promisedland 1997

“Possiamo ricordare le oltre 10mila persone che si sono radunate nel capannone industriale ad

otto chilometri dal confine italo-sloveno, per ballare 24 ore musica house, progressive e

techno-hard core. I giovani protagonisti di questo rave si sono ritrovati pacificamente da tutta

Europa: italiani, sloveni, croati, svizzeri, austriaci, tedeschi e persino danesi non sono voluti

mancare a questo appuntamento. Oltre due ore prima dell'apertura dell'evento la frontiera

registrava una coda di auto e pullmann di oltre 15 chilometri, con i cartelloni elettronici delle

autostrade che segnalavano questa situazione già ai caselli di Venezia. Un unico rammarico per

chi si aspettava qualche episodio da cronaca nera. Al momento in cui scriviamo questo articolo

- 24 ore dopo la chiusura di Promisedland - si registrano a malapena 4 collassi. Una percentuale

di danni dello 0.0004 per cento. Osservazioni polemiche a parte, il rave italo-sloveno dimostra

che questi raduni possono svolgersi nel migliore dei modi, senza che si creino più problemi di

ordine pubblico di quanto non si verifichino per incontri-clou di calcio e concerti delle più

mitizzate rock-star. Quando questo dato di fatto sarà recepito anche in Italia? Perchè bisogna

emigrare sempre oltrefrontiera per vivere appuntamenti del genere?”

“Promisedland 1997 ha anche un'appendice discografica. E' infatti già in vendita in tutti i

negozi di dischi la "Promisedland Compilation", mixata da...”

“Pinina Garavaglia (contessa): "Atmosfera stupenda lunare e solare. Promisedland 1997 e'

stato un evento che ci ha unito tutti quanti in un' unica grande famiglia. I presenti fanno del

proprio corpo un'arte comportamentale".

Francesco Farfa (dj): "Un ritrovo per tante persone in grado di confrontarsi ed aggiornarsi su

tutto. Una lezione per il futuro, perchè tutti capiscano che le linee individualistiche non pagano

mai".

Gabon (direttore artistico): "Volevamo stupirvi con effetti speciali, fosforescenti. Come i nostri

striscioni piazzati all'entrata".

Leo Sound (dj): "Non ho parole. Abbiamo radunato tantissima gente. Un'emozione incredibile".

Mc Merlino (vocalist): "Promisedland 1997 si e' svolto in maniera costruttiva: la gente ha

cantato, lavorato e ballato senza pregiudizi, senza problemi. Niente a che vedere con certi tipici

provincialismi italiani".

Stefano Noferini (dj): "Bellissimo. Mi sono divertito da pazzi. Si e' respirato quello che si respira

abitualmente nei grandi rave europei. Speriamo si sia trattato del primo capitolo di una lunga

serie".

Ralf (dj): "Ho visto grandi cose, molto hard, non nel senso musicale di hard core, ma nemmeno

come Teresa Orlowsky, anche se un po' di belle pupattole non sono mancate. Mi e' sembrata

una puntata di guerre stellari".

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Randy (dj): "Nei rave colpisce sempre l'entusiasmo dei ragazzi, capaci di ballare per ore ed ore.

Quando questi eventi in Italia? La strada da fare e' ancora lunga. Non e' soltanto un problema

di permessi, quanto di mentalità".

Alan Thompson (dj): "Tutto ok, gente estrosa e divertente. Questi rave sono situazioni davvero

europee. Punti d'incontro per i giovani che giocano con la musica. Quando un Promisedland In

Italia? Gli italiani sono abituati troppo bene, vogliono i bagni curati, i drink di classe".

Joe T. Vannelli (dj): "E' andata bene. Davvero allucinante l'impianto musicale, sottoposto per

ore ed ore a sforzi incredibili, in una struttura open space".

Francesco Zappalà (dj): "Gente sparsa per i prati, gente in pista a ballare. Un'atmosfera magica. Ci abbiamo preso anche questa volta".” (Raves report<tp://planet.conecta.it/itahi/cose/magita/0/ravesrep.htm>)

2)Flames:

Ya know im pretty sure there has only been one other heavy flame session on sfraves and it

was over something pretty stupid just like this one does anyone else have a concept of raves

being not just about music but about everyone else getting along and being friendly and

accepting everyone's ideas as their ideas and whether or not you agree with them dont insult

them, just tell them you disagree really flames suck they dont belong on sfraves nor should be

associated with raves at all whether or not you need to swallow little wafers to do this, lets all

just try to be friendly in person and on the net'kay?

It gives me enormous amounts of pleasure to see a post like this. I admire Dana's idealism in

his attempt to transcend differences as part of a quest for community. I feel, however, that

conflict is actually part of the process of building unity.

I'm reading M. Scott Peck's "The Different Drum: Community Making and Peace"; I managed to

find a copy of it in the clearance bin of a bookstore here in Rochester for $2. If you don't

already know, Peck is the author of a number of self-help books, including "The Road Less

Traveled". I haven't finished the book yet, but I strongly recommend it for anyone who desires

to be part of a community building process.

Peck suggests that there are four stages in the construction of a true community:

pseudocommunity, chaos, emptiness, and finally the sought-after community.

Pseudocommunity is the stage in which the group initially forms, and everyone is polite and

nice. Eventually, though, differences between people begin to manifest themselves as the

original facades begin to come down, and someone gets on someone else's nerves. This is the

chaos stage. The interesting part of the chaos stage is that often the biggest contributors to

the chaos are those with the highest intentions, the people who have the strongest desire to

"convert" people over to their way of thinking. This can potentially lead to organization, a

tendency that could possibly degenerate the chaos back into pseudocommunity again. A

healthier response to the chaos, however, is one of emptiness, an abandonment of personal

agendas or prejudices. I can't define this emptiness any further than that it is a form of death.

After the hard work of emptiness is done, however, comes the joy of community, where

differences between individuals can be accepted, and true love and peace among members of

a group can flourish.

<http://www.yperreal.org/raves/spirit/culture/Stages_of_Community.html>

3)Rave Spirituality

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For me, the idea of a small, do-it-yourself ritual gathering was a natural extension of what I had

found several years ago in the rave scene. Although the large, colorful raves that I started to

attend some six years earlier did provide some amount of spiritual ranscendence, I was always

searching for something more pure and real. I found myself enjoying smaller parties, and I

quickly learned that the more energy you put into a gathering, the more energy you would get

back.

This was definately in my mind as I sat in the "staging area" for this evenings event, a friend's

flat in Santa Cruz. Myself, and about 20 friends who I had met through the rave scene in the

bay area, were all psyched for this evening's festivities. As more people arrived, we started to

make some rudimentary plans: who would control parking, when to update the voicemail

number, what the DJ order would be. All along there was a sense of excitement and

anticipation.

Renegade gatherings are especially exciting for two reasons. The first is that there is always

the danger of being shut down by the authorities. Doing a party on the beaches north of Santa

Cruz usually had a 50% success rate, not very good odds considering the amount of effort

people put into these events. But, the fact that you are putting all this effort into the party is

the other factor that makes it exciting. When it all comes together, you know that you and your

small group of friends were entirely responsible for making it happen.

Around midnight we make final preparations and leave Santa Cruz, heading north on the lonely

Highway 1. Tonight I was with two new friends from Nottingham, England. I had met them over

the Internet and they were visiting the bay area to check out the scene here. I was determined

to show them a good time. The site is a completely isolated stretch of beach with a gated path

leading down to the beach from the highway. Here the scene is chaotic and exciting. To make

these gatherings happen, everyone takes responsibility for a certain part of the production.

Everyone is depending on everyone else, because one mishap can render the whole adventure

useless. In trying to drag an entire sound system 300 yards down a broken path, while at the

same time hiding 300 people and their cars from being spotted by authorities, the number of

things that can go wrong is substantial. But everyone keeps a positive attitude, and everyone

is driven by some force within them to make the impossible come true. I quickly park my car by

the gate and unload the generator, extension cords, and a variety of props and camping

equipment, then park with the other cars, out of site across the highway. A small team of

people are using flashlights to ID cars that look like they are looking for the gathering, and then

park them safely off the road. Without these people, a passing highway patrol would certainly

see at least a few mis- parked cars and come down to shut the gathering down.

Soon, the sound system arrives and teams of people start the long process of moving 16 sound

cabinets, amps, turntables, the generator, blacklights, water, brewing pots, banners, stands,

tents, sleeping bags, firewood, fresh fruit, etc. down to the beach. I am taking full responsibility

for powering this party, so once I have the generator in place, started, and extension cords

running to a power strip and illuminating a small lamp, I feel relieved. In the mean time, two

audio technicians are combing through their boxes of interconnects and plugs to figure out to

best way to merge the two sound systems we are using into one. Another group of people are

setting up the backlights and figuring out how to best position them to illuminate the two

fluorescent art banners we have put up on either side of the speaker stacks. I get my tiki

torches and arrange them in a sacred pattern around the dancing area, adding a tribal feel to

our production. A team of girls are quickly placing many sacred objects on our alter in front of

the DJ, including an orange fluorescent Buddha with a necklace of chasing LED's. Several

random drummers are providing the beat while we work.

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At around 1:30am, the first beats are emanating from the speakers. Once the final tweaks are

done to the sound system, the first DJ starts his set and the ritual is underway. Only now could

all those involve finally take a deep breath, relax, and enjoy what they had created. I walk

around being social, meeting up with friends, checking on some little details, meeting new

people. It is always interesting to see what kind of people make it to an event like this, one that

you only promote by small fliers at other small gatherings. After making some new friends, and

concluding that this party was "go", I find one of the other key people involved with producing

this gathering for the sacrament. He is eager to tear me off a single square of Q-bert, a variety

of acid that got it's name from the 3-d cube design on the blotter that resembled the early 80's

video game.

Goa Trance music is our current obsession. It has a quality that is quick, light and spacy. The

beat and sounds make one feel as if they are bouncing off the stratosphere. Rough, growling,

grizzly synthesizers sounds cut like a rusty knife deep into your brain into your soul. These

sounds penetrate you, get into you, touch you deep in your head. An hour after ingesting Q-

Bert I am grooving out relentlessly on the beach. The gathering is at critical mass, maxing out

at around 300 people. The temperature has dropped substantially, forcing participants to

generate their own heat by dancing. Time distorts tremendously in the vibe of this gathering.

Dancing feels so right, so good, that one can continue for hours on end and think nothing of it.

Two o'clock, three o'clock, four o'clock, the hours pass quickly and I enjoy the sheer pleasure of

dancing in this environment that I have created for myself and my guests. The pulsating Goa

beats drive my body directly. My brain is taken out of the loop of controlling my body. Instead,

there is a direct connection between my aural nerves and my twitching leg and arm muscles.

My body is so tied up with dancing, that my brain is no longer concerned about it's physical

limitations. With the body taking care of itself pulsating to the beats, my brain is free to soar

out into higher and higher dimensions of trancendental bliss. Dancing isn't something I have to

force my body to do... it is simply what I want to do most. There is no thoughts of rest. No

thoughts of pause. I am in the most satisfied state I have ever experienced, and I want it to

continue. Thanks to years of trance-dancing, my body is fully capable of dancing non stop for a

6 hour stretch, so I let the beats push my body further and further... at the same time, my

brain becomes increasingly detached from my physical body, my spirit soaring through higher

dimensions of pleasure. This is everything I crave in life, dancing hard to ripping beats.

By five am, the first hints of the next day are peaking over the eastern horizon. By now, only

those people fully into the vibe are left. Anyone not into the party has either gone home or

crashed out under a warm sleeping bag. Emerging from my trip, I can start to connect with

those around me. Simple eye contact, glances, moving in sync with other people, is all it takes

to confirm that they are in the same ecstatic state you are. There is some sort of energy field

surrounding the party. It is warm and womb-like. Its like the generator is not only powering the

sound system, but also somehow powering this energy field. I am gripped by a sense of love

and warmth. It is 5am and I know that there is nobody on this deserted stretch of beach that

will stop our gathering before sunrise. As the distant lights of dawn slowly illuminate those

around me, I see nothing but wide smiles and utter, total, complete joy. It is in this state that I

fully understand vibe... the feeling I get whenever I am in proximity of numerous other people

in ecstatic states. Looking at the joy others around me are experiencing causes me to dance

harder, which in turn forces them to dance harder, and the feedback loop continues driving us

further into that state of transcendental bliss. Pre-dawn, the universe is in complete order,

everything has worked out this evening and there is nothing left for us to do except enjoy it

and push it further. Endorphins flood my body, naturally pushing me higher as the acid starts

its long, slow retreat.

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There comes a time when you feel so at peace with yourself and the being around you, that

you cannot possibly imagine it could get better. When you are proved wrong, you can justify a

genuine spiritual experience. With the DJ spinning the perfect track, the sun finally makes its

ascent over the horizon. The first rays of solar energy hit with the impact of a laser, piercing

deep within me. I look around for the first time at the illuminated environment surrounding

me... waves of the pacific ocean gently crashing on the white sand beach. The lighthouse in the

distance. The rolling grassy hills inland... beautifully costumed and decorated people all around

me. It is as if mother nature, or Gaia, or God, or whatever you wish to call the spirit that

encircles this planet... with all of its infinite duties of spinning the earth around the sun,

keeping balance between a trillion living organisms, has stopped, and paused, for just 60

seconds, and acknowledged me as a life form. For the first 60 seconds of the new day, Gaia has

decided to show me, one mere human, all of her beauty and glory in one concentrated burst.

For sixty seconds I am floating above the earth below me, experiencing the most sheer beauty

I have ever imagined experiencing in my life. Everything around me is pure light, pure positive

energy, pure love and pure beauty all at once. For 60 eternal seconds I am being touched by

the hand of god. For 60 seconds Gaia is saying to me, in her own language of light "I

acknowledge you as a human... I am here and I am real." For 60 seconds I glimpse into heaven,

eternity, or however else you can describe the highest level of human perception of what it

means to be a living being on this planet.

But it is not just Gaia I am getting energy from. As someone who helped make this happen, I

am getting a little piece of everyone else's bliss. For all that BS I went through early that day,

getting the generator and hauling it over a mountain in rush hour traffic, spilling gas, lugging it

around, I am getting ten fold return on my efforts. I can only imagine the energy return the

friend who gave me the acid is getting... or the DJ spinning the music...

As the morning continued, the scene on the beach continues to be a true celebration of simply

being alive on this planet. A few girls strip off their clothes and run naked, doing cartwheel and

backflips, on the wet sand. There was not a lot to say to each other, just smiles and hugs. Even

though the intensity slowly receded, the feeling of some sort of electrical force around the

gathering continued. We all felt connected, and we all knew that a gathering that goes off this

perfectly is a rare experience, so we simply savor and enjoy it.

At around 8:30am, a friendly ranger comes down the path and tells us that we have had our

fun, and it was time to pack it up and go home. We talk him into letting us run the generator

until we had finished brewing our sacred hot Chia tea beverage. A tall, lanky friend with crazy

long hair was supervising the sweet brew. Once it had completed, and some ingredients added,

he poured a small amount and tasted it. We all sat speechless awaiting his verdict. A smile on

his face indicated that the perfect brew had been achieved, and we all poured tall glasses and

drank deeply delicious spicy beverage. Even the ranger, with a cup of chai in hand, seem to

understand the vibe we had created here on this beach.

One might think that after being awake for some 24 hours straight, dragging a sound system

down to the beach, and then dancing for some 7 hours on end would make the job of dragging

all the equipment up to the highway difficult. But with the magical vibe still flowing though us,

and with everyone chipping in, it was actually quite easy. Slowly everyone packed their piece

of the party into their cars and one by one we departed the beach. I took my time on the way

home, stopping often along highway one to just peer at the wave crashing on the rocky

shoreline, and ponder how amazing it is to be alive on this planet.

(American man, aged 24, working as a computer engineer <Http://csp.org/nicholas/A19.html>)

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Page 159: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

4)Secret Insight Knowledge About Trance!

Visualize yourself dancing for hours without interruption, overflowing with bliss. Suddenly, that,

which you've believed until than represented reality to you, explodes into a world of

psychedelic imagery and leaves you within swirling energy patterns, that appear everywhere

throughout matter. And when the world starts to glow, you've somehow recognized the

symbols, that lead to specific reactions and caused an entire universe to tremble into pieces,

unfolding itself anew from within. The world and the suffering of the body are swallowed by a

raging kundalliny, down into a silent abyss of darkness. That, which lies beyond death holds the

space for the suns of our souls to shine forth in limitless freedom. After you've passed through

the gateway of your delusory fears and have surrendered all false self images to the "ONE"

among the many, you gladly exchange your entire life for that one eternal moment you've just

experienced! In fact, it would be a worthless life without having starred into the eyes of

eternnces will carry you directly into the arms of the infinite.

Once tapped into the ultimate and formless life-potential, that exists within each of us,

anything one imagines, creates itself instantaneously by thought. That's why it works that

when through certain sounds and/or subliminal messages memories are retrieved, one (re)lives

certain experiences and/or (re)learns from them. Generally it is good to live through as many

incarnations as possible during a night of dance, before arriving at sunrise, hopefully unified.

Once purified, you can join in the dance of the celestial beings within the kingdom of the

ultimate and enjoy the freedom of existing anywhere, anytime simultaneously. You can enter

the universal mind-lattice once your body/mind is completely relaxed, transparent. It happens

the moment pure energy moves through you. It moves you!

Through the vibrating sound movements in the music with the golden light that opens the door

to the galactic insight, you can travel far across and throughout space. Boundaries of time

dissolve and unfolding entities present themselves as an opening to the interface, to carry you

in between dimensions, free of personal intentions.

Stretch the cosmic syllable A-O-U-M into any possible way (it is endless) and you've got GOA-

GAIA-universal sound. Some tracks are like an audio translation of the Kabala, numerological,

mystical scriptures. If you travel on the monotonous, entrancing beats that are so similar in

nature to the pulse of your heart, you might find yourself breathless at times and speechless

with smiles.

Mystical experiences+Religious influences are:

Taoism (Tai Chi), Sufi, Hinduism (Yoga), Buddhism (Meditation), Cabalism (the tree of life),

Shamanism (navigating consciousness), Mysticism of all religions and tribes of aboriginal

people that are one people, influence the culture. Mayan, Egyptians, Pixies, Pagans, Gypsies,

Witchcraft, Voodoo, Africa and Nature-magic all play their part in the play/pray-fullness that

enhances our senses during the trance dances. Shiva/Kali and Tantra are major to Goa trance.

But anyway, all religions once sprang from the same source. The mystical experience gives

personal understanding and unclouded insight into the real nature and meaning of life and

death. To follow a movement on the external world will only lead you away from your intuitive

heart (the channel to god and light-being(being light)-realization) that can be felt when tuned

into the within.

Remember: only change is constant!

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Today parties grow like mushrooms out of cow paddies, all around the planet. To dance will

help everybody in the transitional process of letting the old conservative things fall to make

space for "flowers to grow through concrete"!

About the ritual: The "elite" Goa connections are mostly universal and planetary life-travelers

who have met through magical circumstances to unify and gather their strength on this

mission to manifest the perfected vision. We ask for guidance and supervision from the eternal

light beings that we invoke in our meditations. Their appearance clears away the fog of the

superficial Ego-selves that cloud the clear perception. We weave a circle of light around us.

This way we strengthen our global family and initiate new people into the pure realm of

unconditional love. Through the understanding of the collective, we can learn how to share

ideas and how to communicate them with one another. We try our best to respect our

differences with the vision of our common origin and destination always in mind. We all are

mirrors of each other. And through reflection we learn how to grow and change together with

and in the present towards the light and love that fuels our soul:

"c o m e - u n i t y ! "

Somehow, we as humans lost our tribal roots and are now left controlled by the "patrolled" in

isolation and distrust amongst each other. We have almost lost our root memory of bliss, the

divine ecstasy without which we miss the warmth of love that nurtures our soul. But once upon

a time we all have lived in tribes and danced in circles, all around planet earth. When does this

circle complete the cycle for you and spirals you up?

During rituals consciousness unfolds and expands itself slowly from the individual to a group

awareness. The mandala comes globally together when we understand and accept all life forms

to be part of our true selves. It aligns us with the planetary grid. Then, from the dot of the earth

in the perspective from outer space, we embark into the astral realm where we finally surf

throughout time and space. Ultimately we abide in the beyond, existing in a humming silence,

observing the wisdom of the "All" that is inscribed on a dream reality-DNA. When we finally

arrive back home, the inner peace and contentment we so deeply desired settles our

restlessness.

Then, when we are dispersed like ashes that is left after a holy fire, the message spreads

throughout space through our voices, that are God's chants, that all life was created to express

the freedom of unlimited choices, to share our vision and ourselves, to coexist in peace

anytime, anywhere and nowhere (= now-here) at the same time, no time.

Goa parties have the potential to break down the limitations that only exist within our own

minds. They open the door to a limitless imagination to which we have been blind before we

knew what we could have not known, before we saw the awe.

Through the shamanic journey one re-connects to the root of all reality's spring. In India

everything is understood as being whole, holy, part of the divine creation that embraces

everything, and everybody is embraced by it.

We invite anybody to join their hands into the circle, to express their innermost intimate selves,

which is, when liberated, without limitations or boundaries, absolutely free of judgment,

comparison, division or to make it simple, free of thought.

(<http.//www/yperreal.org/raves/spirit/technoshamanis/Goa_Transe.html> from

[email protected])

5)Techno and Raving

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Page 161: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

Some people say that techno "ain't got no soul," and I think they're right. It doesn't seem to

elicit strong emotions. It doesn't carry a message. There's very little room for personalized

performance. Indeed, I am coming to believe that these characteristics are the very point of

techno, that it is all about the listener, not the performer.

Techno, I think, works as a different kind of music, with a different kind of purpose. It sings to a

very visceral, ancient part of us deep down inside. It draws it out, perhaps from the "reptilian"

brain, past our egos, and beckons us to dance with abandon, to surrender ourselves to the beat

that comes from both outside and inside.

I feel it's very similar to--and perhaps the logicial "technologized" evolution of--tribal rhythms,

the pulsating drumbeats that have had people dancing in frenzies for countless milennia. For a

long time, Western music has totally forgotten this theme in favor of performer oriented music.

Techno, I think, brings it back. This total abandonment, this shedding of the ego and allowing

one to have pure enjoyment is a very special thing in itself. It implies the dropping of barriers,

and it implies acceptance from the others. In ancient societies, the dance was closely related

with spirituality. I am beginning to see how this is so, for spirituality requires an opening up, a

release of the ego, and this sort of dance can be a direct path to these goals.

My first rave was an astonishing experience, as I was totally able to let go in a way I had not

done before. Later, I felt that wide doors had been opened, for I was able to see myself without

the crushing ego, that self-supression that has haunted most of my life. I now know possibilities

I could not see before. I now have a view of myself and what I can be, and my hopes are high.

I return to the scene for these reasons, for the music and visuals, because it is a lot of fun, and

lately and most of all, because I like the people in it. You guys are really great, and I love you

all.

(<http://www/yperreal.org/raves/spirit/technoshamanism/Techno_and_Raving> from

[email protected])

6)Technoshamanism

The shamanic worldview usually involves a belief in supernatural forces that can be accessed

to cause alterations in "external reality". These supernatural forces are usually accessed

through appeals to various "spirits", which live in a "spirit world" that can be accessed through

dreams or other consciousness alteration methods (sweat lodges, psychoactives, chanting,

ecstatic dancing, etc.). These spirits are amenable to interaction in the same way humans can

be interacted with - threats, bribes, appeals, etc.

The shaman employs a mode of operation known as "bricolage" (from the French "bricoleur",

"handyman"). Unlike the engineer, who has some idea of "theoritical principles" which underly

a given "practical implementation", the bricoleur has a set of techniques from which they pick

and choose the appropriate "tool" to be used in the situation at hand. It is not necessary to

understand _why_ something works, only that it _does_ work. The shaman's set of tools include

a set of symbolic associations to help determine how to affect certain spirits. For example,

eagle feathers would be useful in contacting the archetypal Eagle.

Also important: shamans traditionally are associated with a community, and serve as the

community's healer/psychiatrist/miracle-worker. When the community has a problem that

"mundane" means cannot solve, they go to the shaman for supernatural assistance. The

shaman also orchestrates the rituals which bind the community together.

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The techno-shamanic worldview is an extension of this. It invovles a belief that humanity's

technological infrastructure has become so complex and vast that it cannot be entirely

understood through use of an engineering-type theoretical construct. However, this

technological infrastructure obviously has a direct impact on how we live our lives. Thus, the

techno-shaman serves the community by accessing the technological infrastructure, not as a

tool-user ordering their machine to do something, but as one sentient being negotiating with

another for the performance of a service.

Drug use, ecstatic dancing, and trance music are well-established in today's techno-shamanic

subculture, as is their use in ritualistic events to bind communities together. One can easily see

a mapping between computer networks and the spirit world, and between computers and the

powerful entities the traditional shaman interacts with. An excellent example of techno-

shamanism is seen in the AI-oriented "voodoo" in Gibson's _Count Zero_. Something similar

shows up in Shepard's _Life During Wartime_, and in a more sophisticated form in Vinge's _A

Fire Upon The Deep_.

(<http://www.yperreal.org/raves/technoshamanism/technoshaman_Definition.html>)

7)The Happiest people in the World

Well, this is to be my first Mainstream Rave in Sydney, and thanx to Steve Bancroft, I got on

the guest list.

On thursday, I learn the rave was to take place about 45 km south/west of Sydney, way out in

the suburbs. I was supposed to meet the bus that was to leave the Central terminal at 9 pm.

On the bus, I meet one of the ravers that heard my radio program on Skid Row radio. This kid

was blown away that he actually met me in person.

There is no doubt, I am the OLDEST raver in Australia... according to most people I met.

The bus pulls into an industrial complex, with scattered homes nearby, and I though that it was

going to get busted for sure, because of the close priximity of homes in the area.

As I leave the bus, I could barely hear the music inside as the first DJ was spinning Happy

Hardcore. Remember, here in australia, Happy Hardcore is MAINSTREAM!! but that not ALL you

get. There were 3 other parties going on in Sydney this Sat evening. One thats not more then

100 meters from my doorstep in "the Cross", held at "Le Girls" nightclub, but got word is was

mostly house.

The Fridays Green acres was cancelled, due to the outside area being flooded due to recent

rains.

Anyway, back to the "Happiest People". I saved my E's and A's for this party, and wanted to be

especially happy to insure the party lives up to its name.This was a Kiddie rave, as named by

the AusRavers, and I can certainly see why. Age ranges from 18 - 24, and few people with the

exception of me, were much older.

I could hear the kiddie girls giggle when I walked by as these people aren't used to seeing older

people at these gigs.

The venue, is a warehouse, with a chill out tent in the front parking lot, and clothing and shirt

sales Kiosk and hot dog booth set up. Inside, the area was all the dance area, with the speaker

system in the back, although they could use some additional speakers in the front, I suspect

they were concerned with noise, as it got visited by the police several times, which resulted in

the noise getting turned down several times.

After midnight, they allowed ins-and-outs, and people were congregating outside in great

numbers. I saw a few police cruisers drive by, but no serious problems.

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Page 163: Le tipologie del fenomeno rave in un'ottica antropologica - Isabella C.

Inside, I was getting off big time, groovin to the insane 180+ BPM pace of Happy Hardcore.

Gack! One song they played in particular was played 3 times that evening. It was a cool song,

but VERY POPULAR when it was played. It even gets a lot of Air play on the radio.

I went to this rave alone, but was almost immediatly approached by people saying "You were

at Restitution, weren't you?" I said Yup! "Better get used to seeing me here for a while!" he

gave a thumbs up and said, "It's really great to see older people here". At first, people were

somewhat suspicious of me, but once they saw me out on the dance floor, groovin and hoppin

around like a mad Kangarooo, they really dug it.

Eventually, they got the lazers fired up, and WOW! What visuals. Almost all large mainstream

raves have really great Lazer effects that really make the visuals really insane.

All throughout the evening, the music stayed ABOVE 170 BPM range, and as the pace

quickened, it got as high as 250 BPMs and at that stage its all arms and little leg work.... As a

new DJ went on, it would start at about 170 BPM, and gradually would increase during the DJ's

set.

All DJ's did a wonderful job of seamlessly mixing the Hardcore songs, but there must not be

that many Happy Hardcore songs out there, as several got played several times throughout the

evening.

I have to say one thing about (HHC - Happy Hard core), it's Happy, and while on E, it's really

blissful, trancey and you just can't help but keep a big fat smile on your face. Oh Yea!! people

here also use pacifiers :-) Tee hee!

As the evening wore on, I really stepped up my energy, as I ussually do, to the amazement of

my Aussie friends. They just dan't get used to seeing an older person having so much fun.

Later on, I met this other older person, perhaps in his upper 30's, and he thought that HE was

the oldest until he met me.

This rave was to end at 10 am (WOW!! 14 hours of continious dancing) - Now we're talkin a

REAL RAVE.... Tee hee!!

At one time, someone said, lets go up and dance on stage, but I was having a really trancey

time where I was, Eventually, I grabbed him and pointed to the stage, and headed towards it.

People I passed, literally pulled me up there, but one of the staff told me to leave, as I left,

others were ragging on the staff guy, saying "Bring this guy back up there!", so headed back

and danced the entire set until there was a break.

At that time the girl was behind the turntables, playing some insane hard acid trance with little

or no breaks in the beat. I literally WENT OFF! and everyone hopped up on the dance floor. I've

never seen so many smiles from so many people in one place.

I would estimate about 1500+ people attended, if you include about 100 or so hanging around

outside.

At about 10 minutes before the party ended, I started walking along the side, pulling people up

to the dance floor.... "C'm on you slackers, get up and dance - this is the last song!" Most

people were too tired to get up and stand, let alonne dancing. I even pulled up this one dude

that ribbed me when I went to chill, earlier he said "Chilling already?" I said Yup! Gotta cool

down... The heat and humidity rivaled Friends and Family, but climate here is awfully hot and

humid to my standards anyway.

Then, towards the end, I saw him sitting down, so I grabbed him and said "Lets go... slacker!

time to get up and dance yo ass off!" He shook his head in bewilderment, as I had been up

there solid for more than an hour, but couldn't possibly even think of not dancing to this insane

acid trance.

He finally got up, and several more complied, and I think I got about 15 - 20 more people up

and dancing towards the end. Everyone really dug it... Towards the end, thie youg girl came up

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to me and said "Aren't you tired?" I said "I don't know the meaning of 'tired'".At one point,

about an hour before the rave was to end, someone was sufferig from an overdose, and

mentioned that he had mixed speed with acid.

Unfortunately, speed is used here, all too often, probably because of the high cost of A and E.

When the rave finally did end, the music stopped and everyone cheered the DJ,. and the

promoter came up and announced the names of the DJ's. Finally, one more song was played,

and yup! You guessed it, it was that HHC (Happy Hard core) song tha was played earlier.

(<http://www.hyperreal.org/raves/spirit/testimonials/Crunch_in_Australia.html>, from:

[email protected] )

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