Le Storie e - ioracconto.it · Storia di un albero Antea Di Lorenzo Leggerezza Francesco Fantechi...
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io Racconto alla ricerca dei nuovi talenti in città
Premio Nazionale 3a edizione
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AssoPiù Editore
Le Storie e Le Poesie di io Racconto
ISBN 978 88 96893 08 1
Premio Nazionale io Racconto 3a Edizione 2010
Narrativa, Poesia,Fotografia,Autori di canzoni
...alla ricerca di nuovi talenti in città
Copertina di Valerio Marucelli
Foto di copertina diCarlotta Marucelli
Le Storie e Poesie Junior.indd 1 25-10-2010 17:12:57
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 1 ~
Le Storie e le Poesie
di Io Racconto Junior
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 2 ~
Copyright 2010
Assopiù Editore
Via A. Del Pollaiolo 2/r – 50142 Firenze
www.assopiueditore.com
ISBN 978-88-96893-08-1
Edizione ottobre 2010
Progetto grafico e impaginazione: Furio Raggiaschi
Stampato presso:Copycenter Firenze
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 3 ~
Non conosco niente di più incoraggiante dell‟indiscutibile capacità dell‟Uomo
di elevare la propria vita per mezzo di uno sforzo consapevole
Henry David Thoreau
Conta più una cosa fatta
che cento dette
Antico proverbio toscano
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 4 ~
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 5 ~
Elenco, in ordine alfabetico, degli autori presenti nel volume POESIE Riccardo Baldelli Paura
Sara Bassi La Dama del giglio
Federica Battistutta Arriva la Befana
Giulia Boi Tempo in mancanza d‟altro
Alessandra Busacca Alessandro
Sara Caldini Io che credevo in te
Alberto Ciccioli L‟uomo
Ilaria Comelli Fantasia di una vita, mai vissuta
Paola Concilio No, non lo sei
Sara Carmen Coppola Persa e ritrovata
Angelica D‟Attoli La voce del mio cuore
Amina De Biasio Ho parlato
Rebecca Di Francesco Storia di un albero
Antea Di Lorenzo Leggerezza
Francesco Fantechi Sogni rubati
Matteo Filippelli Volare
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 6 ~
Martina Fois Papà
Angelica Foroni Brezza
Valentina Galimberti Risveglio
Sara Gamannossi Anima sperduta
Alessandro Gigli Memorie d‟inverno
Lainus Gishti Un albero dentro di me
Jessica Grandolfo Buio
Giuseppe Guerriero Il borghetto dei pescatori
Sabrina Iavarone Non so cos‟hai
Marco Lo Carno Tanto sgraziata e tanto brutta da scappare
Nicola Loreti Io bambino notturno
Alessia Mainardi Senza tempo
Simona Malagò La luna
Caterina Manfrini Nebbia
Martina Marotta Castagne
Francesca Michetti L‟autunno
Giuditta Natale Fuggi?
Benedetta Olmi Di te per me
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 7 ~
Sofia Pianigiani Io sono
Maria Alessandra Puteo Al vento
Carmela Ravisato Vorrei Fermarmi
Beatrice Ludovica Ritondo In rianimazione
Chiara Romeo Pioggia
Ilaria Rubessi Viale magico
Rita Ruccione La campana del destino
Alessio Sangiorgio La cosa giusta
Claudia Scoppa Atroce ricordo
Christian Serafini Oro
Giorgia Silverii Naviga naviga
Greta Silverii E‟ arrivato
Stefano Silverii Spiagge
Federica Soldani L‟amore dell‟albero
Simone Spera Parole d‟un girovago
Mattia Spiga Una persona… speciale
Lucia Torricella La maschera del guerriero
Valentina Torrigiani Io e Arianna
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 8 ~
Marco Tosato XX secolo
Daria Vermon De Mars Il cielo in prigione
Olga Maria Viterbo Al mio maestro Gianni
Sezione Junior Bambini/Fantasy
Ambra Alderighi Il gigante ed il violino magico
Chiara Antonioli Il pinguino viaggiatore
Laura Bedeschi Terremoto
Elisa Brunetta Paura di volare
David Cicchetti George impara a salvare il mondo
Rebecca Cicchetti Diario di Ugo Foscolo
Fabiana D'Antoni La leggenda
Ilaria Fiore Celeste e la magica stella lucente
Daniele Alberto Galliano Soave e Rosabella
Chiara Giustiniani I Sogni Scomparsi
Nicola Loreti Una notte, mentre tornavo a casa a piedi, ho sentito…
Alice Lupato L'aquila
Pietro Malevolti Un bambino arrabbiato e la sua zia
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 9 ~
Simona Mastrangeli Angel of caos
Matteo Mongardi Il mistero del cavolo cappuccio
Letizia Pagani Un cane come eroe
Rita Ruccione Le sette perle magiche
Claudia Scoppa Un colpo di fortuna
Giorgia Silverii Freddy e la capra Gelsomina
Greta Silverii Spiccio e la nuova famiglia
Stefano Silverii La grande barriera
Federica Soldani Il cagnolino Luca e il disordine
Valentina Zacchi La prima banshee
Maria Debora Zucca Il viaggio della camicia
Sezione Junior Fantascienza
Ferruccio Peruzzi Vivo per un capello
Sezione Junior Gialli – Horror - Polizieschi
Carlo Castagna Noslon ovvero La risata allo specchio
Rebecca Di Francesco Presagio oscuro
Alessandra Domizi Hermann assalirà un armadio
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 10 ~
Emanuele Giusti Nemesis
Elisabetta Spinelli Camelia
Sezione Junior Humor
Valentina Bettoni Una tranquilla giornata in posta
Sezione Junior Vita Contemporanea
Bianca Bellucci Vento freddo da Nord-Est
Giulia Bonfrate Dal diario di un bambino...
Rebecca Calamai L'amicizia
Eleonora Calamandrei Banlieu
Amalia Campagna L'ultima nota
Federica Capaccioni La selva: luogo dell'anima
Carlotta Capello Con un paio d'ali
Annalisa Carnevale La bambola zucchina
Alberto Ciccioli Una cosa importante che mi è successa negli ultimi giorni
Amina De Biasio Alchimia del mio dolore
Elisabetta Delprato Achille
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 11 ~
Emanuele Di Brago I falò
Camilla Di Domenico
Il castello
Anna Antonova Dobranova Un messaggio di speranza
Matteo Filippelli Nero
Angelica Foroni Incontro sull'autobus
Marta Fossati In viaggio verso il lago di Como
Fabrizia Gagliardi La mia eroina
Alice Gallo Cielo segreto
Sara Gamannossi Lettera a mio padre
Jessica Grandolfo Il destino ferisce tutti
Sabrina Iavarone Ho assaggiato la normalità, ma l'ho sputata.
Michela Lai Un vero ritratto
Giulia Lizzi I colori del mare
Martina Loconte Io ed il mio migliore amico
Sara Ludovico La libertà
Marika Manzella I have a dream
Stefano Moretto La mia Casa
Giuditta Natale L'inferno può attendere
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 12 ~
Giulia Ortu Puzzle
Alessandra Passaretti Scegli di scegliere
Antonio Pellicano L'obiettivo (im)possibile
Sonia Pratillo Mio nonno
Teresa Lara Pugliese Panico
Martina Saviano Il profumo di una nostra Dublino
Andrea Scopelliti L'audizione
Irene Stacchiotti Il braccialetto rosso del destino
Arianna Testa Come le margherite a Primavera
Lucia Torricella I bambini che non sognano
Giulia Vecchioni Disperazione e coraggio
Nora Venditti Flashback
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 13 ~
Le Poesie
di IoRacconto Junior
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 14 ~
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 15 ~
Riccardo Baldelli
Paura
Mi tremano le gambe, il sole è sparito,
le persone non si rialzano,
la popolazione in panico.
Qualcosa si vede cadere
con scie di fuoco implacabili,
il buio totale in tutto il mondo,
la fine del mondo si vede in lontananza.
Uragani, terremoti, non si riesce a fermare
la forza della natura.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 16 ~
Sara Bassi
La dama del giglio
Ogni giorno, lei è là, oltre
la siepe, nel giardino di gigli.
Ogni giorno, è attorniata da mille altre
dame, probabilmente a chieder consigli.
Quando è sola, volge gli occhi al cielo
e tiene in mano quel fiore.
E come avesse intorno al cuore un velo,
si muove con fragilità, perché reca in grembo un dono del Signore.
Seppur un raggio di sole le accarezzi il viso
ella, impassibile, come a nascondere un‟anima sofferta.
Non concede ad alcuno un sorriso
per paura d‟essere scoperta.
Prega e spera,
con in mano quel fiore,
che un dì, prima della sua sera
possa ritrovare quel perduto soldato, che le insegnò l‟amore.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 17 ~
Federica Battistutta
Arriva la Befana
Zitti, zitti bimbi buoni,
presto, presto giù a dormire:
la Befana sta per venire
col suo sacco pien di doni:
la Befana è una vecchina
che discende dalla luna
sulla scopa di saggina
non appena il cielo imbruna.
E si accosta pian pianino
alle calze e alle scarpette
messe in fila sul camino
e, ridendo, mette e mette …
Fuori soffia tramontana e
vien giù la neve bianca,
ma per i bimbi la Befana
non ha freddo e non si stanca.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 18 ~
Giulia Boi
Tempo in mancanza d‟altro
L‟ottenni in abbondanza,
il tempo ricercato.
Alcuni dicevano che non lo necessitavo,
altri, che non lo meritavo.
Ma per il poco che ho chiesto,
per il poco che serve,
questo mi basta, e mi è dovuto.
Essere ghiaccio, essere fuoco,
essere vento ed essere splendore,
per lasciarmi sfiorare dal sole.
Ancora questo poco,
morte, poi, puoi portarmi Altrove.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 19 ~
Alessandra Busacca
Alessandro
Soffice, cade un petalo di rosa,
dolce velluto sulla morbida pelle
dorata, calda e di miele odorosa
allo svanir della luce di stelle.
La fida ancella sfiorarlo non osa
perchè non vuol turbar membra sì belle.
Ma il divo occhio azzurro mai si riposa,
s'apre col nero fulmineo e ribelle.
Va l'eroe innamorato di gloria,
calzando l'elmo di forma leonina
destreggiandosi nell'aspra battaglia:
avido di sapere e di vittoria.
Nel cielo una densa nube si staglia
quasi annunciandogli morte vicina.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 20 ~
Sara Caldini
Io che credevo in te
Io che credevo in te,
credevo
in ogni singolo gesto.
Io che credevo
di poter
trovare in te
la figura della sorella perfetta.
Io che credevo,
ingenua, nella tua fedeltà.
Io non pensavo,
non avrei mai creduto
che,
con così semplice crudeltà
riuscissi
a giungere
fino a ciò
che hai compiuto.
Mi ha ferita
e, lo sai,
il tradimento
lascia ferita.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 21 ~
Alberto Ciccioli
L‟uomo
Colui che è nazista dice: “ odio tutti perché odio tutti!”
Colui che non è nazista, ed è puro e limpido di cuore,
dice: “ amo tutti perché ogni persona è come un frammento di me,
un granello di sabbia nel mondo,
un filo d‟erba, unico, indispensabile, migliore nei suoi pregi
e nel suo amore verso il prossimo! “
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 22 ~
Ilaria Comelli
Fantasia di una vita, mai vissuta
Infinite rughe
si sono ormai intrecciate
sul tronco della nostra vecchiaia,
ma le nostre dita
s‟intrecciano ancora
inebriate
da sapore di complicità.
E della terra
che ha sorretto gentilmente
questi grevi passi di sentimento,
e del tempo
che pazientemente
ha avuto bontà
del nostro cammino insieme,
resta solamente
la sfumatura del ricordo.
Resta, l‟accoglienza
di un amore che mai
cesserà il suo vivere.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 23 ~
Paola Concilio
No, non lo sei
Uomo,
con che coraggio fai ciò?
Uomo,
non ti vergogni?
Lei, la tua donna
stesa lì,
per terra,
la colpa è tua.
Piange,
si sentiva protetta
tra le tue braccia
e invece tu la tradisci,
non ti vergogni?
Piange,
scappa per non vederti più,
perché hai fatto ciò?
Tu,
uomo,
messo al mondo per protegger le donne
perché le maltratti?
Uomo,
no, non lo sei.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 24 ~
Sara Carmen Coppola
Persa e ritrovata
Persa e ritrovata, la fede, la fiducia, la guida
che avevo perso senza essermene accorta
mi riporterà sulla strada giusta
via da me, credevo per sempre
ma ora sento che è di nuovo dentro me
ricordo quel giorno, quando ho cominciato
a non credere più a nulla.
Riuscivo a sentire il vuoto, intorno e dentro me
ogni viso, ogni parola indifferente al mio cuore
solo insofferenza, voglia di lasciar perdere
smesso di provare, credere in qualcosa
per ridare luce e significato alla mia vita
un giorno a riflettere, pensare di non voler perdere
ciò che era stato mio, ciò che la mia anima aveva toccato
impedire al tempo, di portare via la convinzione che hai dentro
come porta via tutto ciò che hai intorno
impedire qualsiasi cosa di strappartela via
lasciandoti sola e persa senza poter essere ritrovata
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 25 ~
Angelica D‟Attoli
La voce del mio cuore
Mille voci aleggiano intorno a me
gridano, sussurrano, rompono questo silenzio;
un silenzio fragile, timido, infantile
che nasconde le mille facce del mio volto.
Sento una strana atmosfera intorno a me:
mille parole che sfiorano questa mia maschera buia.
Il mondo, una realtà che non riconosco,
uno specchio in cui non mi rifletto.
Ma dentro me una voce supera la realtà;
segreta, nascosta dall‟intenso silenzio
che, amareggiato, sposto via da me,
perché le parole hanno bisogno di volare.
Ricomincerò a gridare,
a superare le mille voci della gente,
a mostrare la mia anima nascosta e mai scoperta,
a correre dietro quel filo invisibile di realtà.
Ma questo viaggio mi ferma, mi sfianca, mi confonde;
mi sento perdere dietro strade sbagliate;
temo questo soffio di vento che colpisce la mia pelle,
temo quella forza che non posso controllare.
Troppe sono le difficoltà sul mio cammino,
poche le parole che mi possono aiutare.
Ne resto delusa, abbattuta, ferita;
ferita è la mia sicurezza.
Sento che la fragile luce della speranza
tende ad affievolirsi dentro me:
forse sto per cadere e non sento la forza,
ciò che mi serve per rialzarmi.
Ed ecco che all‟improvviso il mondo cambia:
tutte quelle voci assillanti perdono potenza;
quel buio che mi soffocava lascia intravedere una dolce fiamma
che spezza l‟oscurità e cancella le vie sbagliate.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 26 ~
Due occhi profondi mi mostrano il mare,
due dolci braccia mi cingono la vita,
una delicata gioia mi avvolge l‟anima
e una forte emozione mi sconvolge.
Il suo cuore batte forte come il mio;
colgo il mio riflesso nel suo volto,
ascolto la sua voce e solo allora capisco
che è uguale alla voce del mio cuore.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 27 ~
Amina De Biasio
Ho parlato
Ho parlato con la luna
dopo averle donato il tuo nome.
Ho parlato con il sole
dopo avergli sparato addosso il mio rancore.
Ho parlato con un melo spoglio
che – come me – resiste al gelo,
della vita e del tempo.
Ho parlato con un fiocco di neve
che mi ha detto: “non scioglierti!
Non al calore del passato, ma
al tepore fresco del domani!”
Ho parlato alla mia anima,
dentro il tuo cuore.
Con te, tuttavia, non sono riuscita
ad emettere suono degno d'esser udito.
Ora, silenziosa, parlerò con gli occhi
all'Illusionista del Creato.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 28 ~
Rebecca Di Francesco
Storia di un albero
L‟albero traballa,
è un focolare.
I rami intrecciati fra di loro
come un tappeto,
lasciano tintinnare le foglie
come farfalle e campanellini.
Cade una foglia
subito,
la ruba una nube di petali profumatissimi,
ma son solo cadaveri che percorrono il sentiero invisibile
del vento.
Vola,
un passerotto tramortito dal gelo.
Gli alberi sembrano Arlecchino così vestiti
anche se alcuni sono spogli e bruni.
Cade un'altra foglia,
questa volta più violentemente,
il vento sibila e si unisce
alla corona di tappeti madidi
che incornicia regalmente le radici contorte.
Il tempo passa
l‟albero è ancora lì,
che ondeggia i rami,
come quando si tiene il tempo a una canzone,
ma che canzone è questa?
Forse la musica quiete dell‟inverno che inizia?
Forse i rumori della città?
E pensierosa
chiudo la finestra
e torno svagata
a giocare.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 29 ~
Antea Di Lorenzo
Leggerezza
Vorrei essere leggera
come ali di gabbiano
per volare felice
in un cielo lontano...
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 30 ~
Francesco Fantechi
Sogni rubati
Soggiogo in una squadra di specchi,
risento d‟odio,
acerbo conflitto con lo sguardo, mio.
Rivedo librarsi l‟animo nostro
solo in sogni storpiati,
privi di tali pigmenti
da render essi reali.
Scorgo solo toni sfumati,
di carattere spento;
vivo lo scorrere del tempo,
antica clessidra inibita
logorata da miei sospiri smorzati
e frustranti,
che ricadono come nebbia
nel mattino,
e le stagioni trascorrono,
e mi rimpasto nell‟ ombra.
L‟unico appiglio,
ove la notte mi appar più serena
si ritrova nell‟attesa,
e nel sonno, e nel sogno
di poter spalancar le porte
che mi rendono estenuato e
distruggere l‟ambigua oppressione
che mi limita al terreno,
che mi sbarra la modesta ascesa
verso quella libertà,
scala complessa
dagli scalini spaccati,
e io mi appoggio
ad un corrimano tagliente,
sottile,
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 31 ~
unico vero appoggio leale,
che pur fa a me sgorgare tanto sangue,
lacrime e paura,
ma può condurmi, fedele guida e custode,
verso il termine di quel articolato viaggio,
in modo ch‟io posso assaporare di nuovo
l‟aria fastosa di una splendida alba.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 32 ~
Matteo Filippelli
Volare
P otendo nascere ancora
E riuscendo a vedere la vita,
R imembra o musa
C he l‟anima mia che
H ai, possa guidarti verso
E ssenza nuova di felicità.
Tentato dal tuo gelo, brucio
U ngendo le mani nel tuo corpo.
P rova a trasformarmi in
U n nuovo essere, capace
O di amare o di morire
I n queste piccole stelle.
V olgi lo sguardo verso
O cchi portatori d‟aria,
L evitando nel cielo con
A li d‟oro
R eale e con spada,
E ponendo al cielo te stessa.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 33 ~
Martina Fois
Papa‟
Papa‟, Mi Sei Stato Vicino Tutta La Vita,
Papa‟, Che M‟hai Portato Alla Mia Prima Partita,
Papa‟, Che Sei Molto Caro,
Papa‟, Sarai Sempre Il Mio Riparo.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 34 ~
Angelica Foroni
Brezza
Oh, brezza autunnale,
porta con te,
accanto alle foglie
sbiadite dal tempo,
il triste canto
versato dal mio cuore.
Liberami dal peso
ormai insopportabile
che,
giorno dopo giorno,
affligge la mia vita senza senso.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 35 ~
Valentina Galimberti
Risveglio
Fiamme ardenti che bruciano lente;
stelle cadenti che, sole e spente,
spariscono precipitevolmente.
Nitide nuvole nuove nascono,
pallide piogge perse periscono.
Parole e suoni che amano,
e morte e dolore che vivono.
Gioia e allegria risuonano.
Baccanti che danzano intonano
soavi e sublimi melodie.
Il canto di un usignolo franco,
il piccolo sorriso innocente
di un bambino, rischiarano tanto
da scaturire voglia incessante
di amare e volere volare.
Grigio muro di strada.
Rossa tenera bocca.
Linea continua
di un nuovo cammino.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 36 ~
Sara Gamannossi
Anima sperduta
Ti farò credere nei sogni anima sperduta,
nel buio sei rimasta,
da quando sei caduta.
Ti farò veder le fate e parlare con la luna,
questa è magia,
al mondo ce n'è più d‟ una.
Ti farò volare con ali prestate da un angelo,
e dopo averti fatto vedere l'oceano,
ti farò dipingere come Michelangelo.
Ti farò vedere ciò che vede un matto,
tutti lo guardano male,
ma lui ha il suo mondo perfetto.
Ti porterò lontano, da usare aereo macchina e nave,
e dopo il viaggio di una vita,
ci butteremo sulla neve.
Ti renderò felice e scalderò il tuo cuore,
e ti farò vedere il mondo,
dove nasce e dove muore.
Ci sono cose che vedi solo ad occhi chiusi,
gli occhi sono preziosi,
se sai come li usi.
Farò una scala fatta dalla mia speranza,
e poi silenziosa,
la metterò nella tua stanza.
Quella scala aspetta ancor di essere salita,
è rimasta lì...
non è mai ammuffita.
Anche io ti aspetto con bende, cerotti e kit da ospedale,
e ti medicherò se cadendo lì nel buio,
tu ti sarai fatta male.
Questa è per te,
che hai smesso di sognare,
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 37 ~
che hai aperto gli occhi prima,
di saper parlare,
perchè spero un giorno,
che tu parli con la luna,
e spero di vederti accanto a una bambina,
piccola e sperduta,
sconosciuta ma tua amica,
alla quale tu debba...
insegnare la vita.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 38 ~
Alessandro Gigli
Memorie d‟inverno
Illuminati
dalla fioca luce della luna
giacevano immobili e scheletrici,
gli ulivi nella notte scura.
Come spettri, nelle loro sinuose forme,
sembravano guardare il cielo
implorando la primavera.
Poi,
senza preavviso arrivò l‟alba
a illuminare i vigneti.
Senza un rumore a romper questa pace,
se non, il battito d‟ali d‟una farfalla,
che pareva danzare,
in quel palcoscenico di luci e di ombre
che creava il sole
dopo la malinconia della notte.
Ormai però,
era solo un brutto ricordo
e rimanendo,
quieti ad ammirare
si potevano scorgere gli uccelli
nel loro volo tra gli alberi,
mentre i tiepidi raggi del sole
accarezzavano il loro mantello
di piume variopinte.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 39 ~
Lainus Gishti
Un albero dentro di me
Un Albero Dentro Di Me
Esprimeva Felicita‟.
L‟albero Sta Morendo
Dalla Profonda Tristezza Del Mio Cuor.
Solo Poche Persone
Possono Farlo Tornare
In Vita,
Immenso.
Tempo Fa
Era Pieno
Di Foglie, Frutti,
Di Felicita‟,
Rami Dritti.
Ma La Tristezza
Profonda Del Mio Cuore
Lo Fa Morire:
Perde Le Foglie,
E Cadono I Frutti Stracolmi Di Felicita‟.
I Rami Si Abbassano,
Incominciano A Piangere,
Il Sole S‟abbassa
Incomincia A Piovere,
Per Sempre.
Quando Qualcuno Lo Risvegliera‟
La Pioggia Finira‟,
Ritornera‟ Il Sole
E Ritornera‟ Maestoso
Come Tempo Fa.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 40 ~
Jessica Grandolfo
Buio
Ognuno è solo
nella nebbia lieve e impalpabile
che vaga intorno a noi
ricordi di una vita ancora chiara
dove amici intorno a me
riempivano il vuoto che affligge la mia anima
ma ora
trafitta da un raggio di sole
la nebbia lascia scorgere una figura
piano mi avvicino
per sfiorare quel suo viso delicato
ma al mio tocco svanisce
come una nuvola di fumo
e si confonde tra la nebbia
calano le tenebre
cupe e infernali
e penetrano indisturbate nel mio cuore
solo il buio mi separa dalla luce
che rischiara la vita
di chi la nebbia non ha incontrato.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 41 ~
Giuseppe Guerriero
Il borghetto dei pescatori
Dormi o borghetto
in questa fredda e tetra notte di Gennaio,
in lontananza si può origliare
solo il flebile cigolio delle barche
vogliose di liberarsi dal proprio ormeggio,
come un dannato, è voglioso di evadere dal suo inferno dantesco.
L‟alba si avvicina
e le prime luci colorate
si scorgono sulla via,
i pescatori si radunano
e salutano le famiglie
augurandosi un felice ritorno
quando nel cielo non ci sarà più giorno.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 42 ~
Sabrina Iavarone
Non so cos‟hai
Chi sei,
perché ti cerco.
Forse perché sei nel sole e nell‟aria,
forse perché voglio perdere il mio tempo
in insensate ricerche,
solo spegnermi un po‟,
incolparmi, ferirmi, giudicarmi,
farmi domande,
come chiedermi di questa notte
perché stare in piedi?
Mi ricorderò soprattutto altrove,
tra le nuvole indecise
e gli sguardi incompresi,
perdendomi nel vuoto.
Il mondo da qui non potresti mai immaginarlo,
un altro giorno danzando in questo cielo.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 43 ~
Marco Locarno
Tanto sgraziata e tanto brutta da scappare (Parodia di Dante Alighieri)
Tanto sgraziata e tanto brutta da scappare,
la donna mia quand‟ella altrui saluta,
e per paura ogni lingua divien tremando muta
e li occhi non l‟ardiscon di guardare.
Ella si va, sentendosi beffare,
sgraziatamente di bruttezza vestita,
e pare che sia una donna venuta
dae paludi l‟uomini a spaventare.
Mostrasi sì orrenda a chi la mira
che dà per li occhi una paura al core
che „ntender no la può chi no la prova;
E par che de la sua rabbia si mova
uno spirito brutto, pien d‟orrore,
che va dicendo a l‟anima: meschina.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 44 ~
Nicola Loreti
Io bambino notturno
Tic, tic, tic… avanza con i suoi piedini di un metro.
Tic, tic, tic… gira intorno.
Il bambino notturno è arrivato
e passeggia per i vicoli bui e silenziosi
alla ricerca di un amico per giocare.
Cerca proprio me,
sono proprio io il suo gioco preferito,
mi trovo nel letto ad ascoltare
il ticchettio dei suoi passi dolci e rumorosi.
Toc, toc, toc… bussa alla porta.
Toc, toc, toc… vuole entrare.
Tutto silenzioso, tutto tranquillo…
Ma ecco che si decide… se ne va.
Tic, tic, tic, tic… s‟ incammina nella lunga strada
buia, silenziosa, tranquilla ma paurosa.
Ed ecco che si sente un rimbombo fortissimo…
Il bambino notturno fa strada per un'altra casa
salutandomi da lontano.
Mi vede, mi osserva, mi nota e mi saluta…
Tic, tic, tic, tic, tic… il bambino se ne è andato
nella casa vicina.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 45 ~
Alessia Mainardi
Senza tempo
Può un respiro vivere
nei miei capelli?
Può un giorno vivere
tra le mie mani?
Può il sorriso
della gente vivere
nei miei occhi?
Puoi fare felici
mille pensieri?
Domani lasciami
le tue lacrime
per bere e brindare
ad ogni dolore,
chi tutto,
può ora
porta con sé l'autunno,
spezzando
colori e respiri
lasciando
un'opaca fame,
ed un'unica stanca
nota ripetersi
per bocche affamate
di parole.
Domani è l'unico futuro
che ho.
Lasciami pensare che
tutto può succedere.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 46 ~
Simona Malagò
La Luna
Oh Luna D‟argento,
Tu Che Sei Amica Del Vento
Tu Che Conosci Ogni Costellazione
E Parli
Con La Cintura Di Orione.
Lassu‟, Nello Spazio Celeste,
Organizzi Molte Feste.
Nel Giorno Del Tuo Compleanno
Diventi Tonda
Come La Gioconda
E Insieme A Lei Cavalchi L‟onda.
Il Tuo Amico Mare
Ti Sta Ad Ascoltare E
Ti Dice Sempre :”Cara Luna
Non Ti Arrabbiare, Se Vedi Che
Quaggiu‟ Qualcosa Va Male!”
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 47 ~
Caterina Manfrini
Nebbia
Il solo tuo pensare
mi estasia.
E tu
sparisci nella nebbia
mentre
m'adombro d'agonia.
Esplode in me
gioia euforica
nel riscoprire
che non te ne sei andato mai.
E questa nebbia,
si chiama
illusione.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 48 ~
Martina Marotta
Castagne
I caldi colori dell'autunno
hanno appena
inondato il bosco.
Son poche, quest'anno, le castagne
che il vento ha disseminato
qua e là fra le gialle foglie.
Ricurve su se stesse,
anziane donne le raccolgono
riempiendo i grandi cesti
che i loro avi hanno intrecciato.
Non lasciano nulla e
con le nude mani
strappano, soffrendo,
i marroni frutti
dall'ultimo abbraccio
dei ricci.
Uno scoiattolo, da lontano,
guarda,
mentre, anche lui,
stringe fra le sue zampe
una castagna,
l'ultima,
prima del lungo inverno.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 49 ~
Francesca Michetti
L‟Autunno
La quercia nel bosco sbadiglia
le foglie spiccano il volo e
vanno lontano
nella terra di nessuno
la terra misteriosa
l‟autunno!
Ogni orso nella caverna mangia
a più non posso
per andare in letargo
il terreno profumato
umido e fangoso
i gustosi funghi
o funghi velenosi?
Chi lo sa!
L‟autunno
è il mistero della natura.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 50 ~
Giuditta Natale
Fuggi?
E dolci acque al rosso fuoco porti.
Ardi e fremi.
Di rosa le labbra e i suoi sospiri,
oleandro i suoi pensieri,
giglio i suoi sorrisi..
Ricordami adesso.
Sola con un bouquet.
Non sento l'odore.
Non posso e ti allontani.
Fuggi?
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 51 ~
Benedetta Olmi
Di te per me
Quel lontano
infrangersi di onde,
che rimescolano
pensieri e ricordi.
Come un lampo
che squarcia il cielo
la mia mente corre
veloce a te,
a quei tempi passati.
Una piccola mano
che addita lontana,
cerca di afferrare
quelle stelle,
luci in frenetica danza.
E mi trovo così,
a paragonare
questi piccoli lumi
a quel tuo sorriso.
Un sorriso
incancellabile,
un segno indelebile,
di te,
per me.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 52 ~
Sofia Pianigiani
Io sono
Io sono allegra come il vento
che soffia in primavera.
Io sono romantica come una rosa
che sboccia sul far della sera.
Io sono coraggiosa come un leone
che salta tra un ponte e l‟altro.
Io sono creativa come le foglie
che colorate sono.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 53 ~
Maria Alessandra Puteo
Al vento
Fammi librare, nel cielo e nell‟aria,
scioglimi dalle catene, ispirami libertà;
scuotimi bora,
fammi volteggiare lì, dove tutte le nuvole hanno il loro nome.
Fammi assaporare il più dolce dei mali,
regalami l‟amore, le passioni più intime e travolgenti dell‟anima;
investimi di emozioni, scatena un uragano e nasconditi timida tra i
capelli.
Non abbandonarmi,
non lasciarti morire tra le onde;
tu, veloce e fredda bora fuggi,
torna lì,
fra cielo e terra
dove si intravede l‟orizzonte e si nasconde l‟ormai stanco sole.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 54 ~
Carmela Ravisato
Vorrei fermarmi
A volte vorrei fermarmi
anche solo un attimo
ad ammirare il cielo,
a guardare il mondo.
Oggi mi fermo,
fuori piove,
e dalla mia finestra
mi godo il paesaggio.
La pioggia batte sulla mia finestra
e le gocce scorrono lungo
il freddo vetro,
come lacrime sul viso.
Attraverso la finestra appannata
vedo il mondo,
non mi ero mai accorta
di avere un pino di fronte,
eppure, ci passo vicino
tutti i giorni
quant‟è bello.
Mi soffermo ancora:
vedo un nido sul pino
con i suoi pulcini.
Vorrei rimanere qui, per sempre,
e ascoltare: il vento ridere
tra le fronde
e la pioggia scorrere
sul vetro.
Vorrei continuare
ad ammirare ed ascoltare il mondo
a non fermarmi alle apparenze,
ad andare oltre:
a vivere il mondo, il tempo
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 55 ~
e la vita.
In questo mondo frenetico
io mi sono fermata, ho osservato,
la natura che l‟uomo sta distruggendo: piango.
Piango non solo per la natura,
ma per i giorni passati
che non ho goduto e sfruttato,
lasciando scorrere il tempo invano.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 56 ~
Beatrice Ludovica Ritondo
In rianimazione
Nell‟ospedale c‟è la rianimazione,
dove ci sono infermiere di ogni nazione.
C‟è una rumena, due polacche, un‟albanese e tutte le altre italiane,
che fanno diventare le pazienti sane.
Ogni infermiera e ogni infermiere è colto,
per questo lavorano molto.
Un primario di nome Massimo Antonelli,
non se ne trovano così tanto snelli.
Poi c‟è la caposala di nome Rita,
che adora la margherita.
Ci sono i medici frequentatori,
che per la metà sono mori.
Ci sono gli studenti,
che sono meno di venti.
Ci sono i portantini che si danno da fare,
oppure sono cose amare.
Ora che l‟ospedale è completo,
è diventato un prezioso amuleto.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 57 ~
Chiara Romeo
Pioggia
A Me Piace Contare,
Contare Le Gocce Del Mare,
Mi Piace Guardare La Pioggia,
E Contare Ogni Goccia.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 58 ~
Ilaria Rubessi
Viale magico
Un dolce vento accarezza
le dolci pannocchie
ormai maturate,
le foglie volano
come note disperse,
calpesto
piccoli sassi,
che sembrano parlare.
Intorno,
tutto sembra
formare un‟orchestra.
Lungo
tutto il viale
si alzano alberi
che fanno
la guardia
alla casa del Signore.
Intorno,
tutto sembra
formare un‟orchestra.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 59 ~
Rita Ruccione
La campana del destino
La campana del destino ha ormai suonato la nostra ora
Chissà quanti rintocchi aveva già sibilato
ma io non udivo il richiamo della mia vita
lasciandomi assordire dalla voce dei tuoi silenzi.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 60 ~
Alessio Sangiorgio
La cosa giusta
Il mondo è un precipizio,
la giustizia è l‟unico ponte per arrivare all‟altra sponda,
è difficile, vuoi cambiare strada,
ma se accetti le difficoltà
un giorno arriverai all‟altra sponda
e saprai di aver fatto la cosa giusta
in mezzo a milioni di possibilità sbagliate.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 61 ~
Claudia Scoppa
Atroce ricordo
Grigia e triste era
l‟atmosfera
in quel periodo dannato
tante persone innocenti Hitler aveva deportato.
Queste eran sottoposte a varie torture
solo perché i tedeschi le ritenevan impure.
I vecchi, i malati,
i bambini eran portati
subito alla morte
ma era la miglior sorte.
Gli altri venivan costretti a lavorare
e mai si dovevan fermare,
mentre le guardie se ne stavan ad osservare
e col fucile eran pronte a sparare.
Quando arrivava il pranzo, una calda brodaglia,
sedevan sopra la paglia.
Mentre così poco mangiavan
scheletrici diventavan.
Non soffrivano solo la fame
e la voglia di aver più di un pezzo di pane
ma anche il freddo inimmaginabile
ed il lavoro insopportabile.
Quei poverini erano considerati come animali
ed erano ad estrarre minerali.
Quando furon liberati,
i superstiti, da questo atroce ricordo non ne sono stati mai
lasciati.
Noi, anche se abbiamo voluto leggere ed ascoltare
cose riguardanti la SHOAH non possiamo mai immaginare
com‟era brutto vivere
con il dubbio se il giorno stesso si potesse sopravvivere.
Noi dobbiamo almeno capire gli sbagli di allora
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 62 ~
per non commetterli ora,
quindi non dobbiamo aver paura di ascoltare
o di guardare testimonianze
per sapere che quelle non erano affatto vacanze.
Io cerco di farvi capire
com‟è importante scoprire
dell‟uomo la cattiveria
perché è davvero una cosa seria.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 63 ~
Christian Serafini
Oro
Spighe di grano dorato
risplendono il sole brillante,
scintillanti come perle.
Oro all‟alba si sveglia
e fuori dal mondo gioisce
mentre il vento soffia leggero.
Niente rompe l‟armonia,
tutto è perfetto e calmo,
la pace regna tranquilla.
Tutto tace, in silenzio
e anche le spighe di grano
ora diventano oro.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 64 ~
Giorgia Silverii
Naviga naviga
Mare in tempesta,
mare in burrasca,
se non navighi….
Nulla ti viene in tasca.
Con la tua nave solchi le onde
tieniti forte e non andare a fondo.
Naviga, naviga, non ti arrestare
tanto pesce devi pescare,
alla famiglia devi pensare,
tanto lavoro non puoi protestare.
Prega il buon Dio di farti tornare
dai tuoi figli per farti amare.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 65 ~
Greta Silverii
E‟ arrivato
Un bel dì, di buon mattino,
al canto del galletto,
si è svegliato il cuginetto.
Ha deciso di venire al mondo
ed è successo il finimondo.
Corri, corri, all‟ospedale…
Il dottor non far scappare
dopo ore di travaglio
ha tagliato il suo traguardo.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 66 ~
Stefano Silverii
Spiagge
Notte stellata
il cielo è illuminato,
luna splendente
luna ridente.
Sguardo sfuggente
cuore dolente.
Spiagge infinite
palme d‟argento
Sabbia infuocata
dal sole splendente.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 67 ~
Federica Soldani
L'amore dell‟Albero
L‟amore dell‟Albero è una grande casa
che ripara il giglio ghiacciato
e riflette il suo colore.
Le margherite giacciono
sotto l‟umile palma
da cui cadono, innocenti, freschi datteri.
Le violette oscillano
cullate dalla leggera brezza pomeridiana.
Fresca arriva l‟ombra del pino
che piano si estende fino al sentiero.
La rosa si schiude
con i suoi petali profumati
mentre una farfalla le si avvicina, incantata.
L‟amore dell‟Albero è una grande casa
di fili dorati
che danzano e brillano
alla luce del sole.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 68 ~
Simone Spera
Parole d‟un girovago
Ora il vento dissemina le foglie
- secche rollano sfriggendo –
da un capo all‟altro della strada e rugge:
le macchine rombando mi saettano
a fianco, i pullman rimbalzano e di vani
rumori percuotono l‟aria.
Sul marciapiede quadrettato svolazzano
le immondizie portate dal vento
e il puzzo delle feci dei piccioni
mi sale alle narici; il vecchio tocco
nel suo lungo abito da donna a fiori.
Oscure, rabbiose voci mi muove
contro e agita la canna da passeggio.
Questi muri, tra cui uggiolano i cani
senza pace, già mi videro un tempo,
questo cielo fumoso già scagliò
bufere ai miei cammini perduti.
Forse passai di qui per un istante,
o forse qui consumai la mia vita anni fa
o forse è solo un mese che partii
e già ritorno, non so: ma non conta:
i volti noti appaiono ignoti
anziani barbuti torcono il collo
la vita è passata sulle vecchie ombre.
E tu, tu meta del mio lungo vaneggiare,
anche te rivedo, nel velo tenebroso
del tuo trucco, di seta incappellata;
o forse non sei tu, non certo quella
dei miei sogni, quasi brutta.
Alzo piano la mano e mugolo un fievole
saluto. Tu passi avanti e butti a terra
la sigaretta.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 69 ~
Cade la notte e cadono le stelle.
la sigaretta seguita a fumare.
L‟incendio divampa sul prato
e già corrode le mie carni stanche.
Cresce belva affamata,
della città non restano che ceneri.
Forse inghiottirà la terra e tutto il mare
non basterà più a spegnerlo.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 70 ~
Mattia Spiga
Una persona … speciale
Nel mio condominio
abita una persona meravigliosa,
sempre sorridente, sempre gioiosa!
A lei piace dialogare ,
ma non molto… interrogare!
Lei e‟ … la mia maestra!!!
ha un cuore enorme,
star con lei e‟ una festa!!!
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 71 ~
Lucia Torricella
La maschera del guerriero
La vita è fatta di errori
che non possono essere cancellati con l‟acqua,
rimangono lì come a testimoniare cosa eri,
cosa sei e cosa sarai per il resto della tua misera esistenza.
I testimoni sono ovunque
e la coscienza è il più grande dei tormenti.
La fedina è pulita e la persona
naviga nel sudiciume.
Mi domando come possa essere possibile
che, dietro la maschera,
il guerriero forte, orgoglioso e tanto onorato,
che dietro tanta invidia altrui,
si nasconda un‟altra maschera.
Ma sappiate:
non basta avere un elmo in testa ed essere giudicati eroi a vita,
ci sono cose che non possono essere cancellate.
Sei un eroe per loro,
ma non per te.
Metti giù la maschera; guarda in faccia la realtà
che sei un guerriero senza spada e cavallo.
E non piangere ora
perché, se sei un uomo,
avresti dall‟inizio saputo quale sarebbe stata la tua spia e il tuo
nemico.
Quello che hai combattuto per tutta la vita
non è il tuo nemico.
Il tuo avversario è altrove.
Lì, davanti a te,
ti fissa da dentro lo specchio
e ogni suo movimento è il tuo.
E se non vuoi toglierti la maschera
abbi, almeno, lo scrupolo di ammettere che forse,
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 72 ~
concederti la vita,
sia stato il decoro più grande
di tutti quelli che non ti saresti mai aspettato venissero fatti a te,
il guerriero senza volto.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 73 ~
Valentina Torrigiani
Io e Arianna
Un giorno
è una parola
lontana,
ma io e Arianna
la raggiungeremo
e lì cammineremo
INSIEME.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 74 ~
Marco Tosato
XX Secolo
Come l‟ingegno
la distruzione.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 75 ~
Daria Vermon De Mars
Il cielo in prigione
Il mio amore è vendetta.
Per tutte quelle voci private di una bocca e di fiato per farsi sentire.
Il mio amore è giustizia.
Di tutte quelle labbra che non hanno intenzione di esser sigillate e
per tutte quelle che vogliono esser riaperte.
Il mio amore deve liberarsi.
E urla, un grido straziante che dilania il vento e attraversa ogni
confine, per poi rimbalzare contro orecchie sorde.
Il mio amore muore nella solitudine di una stanza illuminata.
Una luce accecante ed opprimente, una luce che occupa ogni minimo
spazio uccidendo persino l'aria, una luce che trafigge tutto e rade al
suolo.
Il mio amore svanisce nel nulla e si fonde con il tempo, si dimentica,
si annulla, ma è in un'eterna memoria.
Il mio amore nulla possiede e niente vuole.
Il mio amore sono solo occhi che chiedono pietà.
Si domandano: “non ne hai avuto abbastanza?”
Si domandano: “non sei stanco?”
Sussurrano: “perché?”
Il mio amore è una risposta con infinite domande. E raggiunge la
conoscenza dell'Universo, sapere che possiede e a cui appartiene.
Il mio amore consuma la carne e lacera l'anima, una passione che
cattura fino all'ultimo respiro e brucia ogni singolo battito.
Il mio amore è il mondo. È nero, bianco, rosso, blu, giallo... è tutto
ciò che si nasconde nell'ombra.
Il mio amore è il buio, la cieca oscurità che inghiotte e trascina in un
silenzioso oblio.
Sono tenebre che colano lentamente su ogni cosa, come una scura
sbavatura del cielo che scivola sulla terra.
Un cielo in prigione sottile e leggero come una piuma, ma troppo
spesso, troppo pesante per volar via dalla sua gabbia.
Tuttavia resta soltanto intrappolato in un'illusione: non esistono
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 76 ~
catene, non esistono barriere reali per rinchiudere quest'aria
immaginaria, bensì solo occhi spalancati troppo chiusi per vedere.
Il mio amore è vento, soffia invisibile tra le anime di attimi passati,
ormai evanescenti come l'ultimo, soffocato e tremulo bagliore del
giorno...
Il mio amore è sogno.
Sogno di due ali spiegate, grandi e possenti. Due meravigliose ali che
sorvolano cristallini e luccicanti mari ed oceani, selvagge ed
inesplorate terre dallo sguardo antico ed incantato.
E risvegliano il sonno eterno del sole e della luna, di pianeti e di tutti
gli astri, ritornando infine sopra a quello splendore lucente di terre e
acque che le rende ebbre di vita.
Libere.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 77 ~
Olga Maria Viterbo
Al mio Maestro Gianni
Mi ricordo solo ieri, di quando ho aperto gli occhi,
un viso gioviale, la classe era il paese dei balocchi,
se riapro i quaderni vedo solo calcoli scritti,
compiti letti, compiti non corretti,
righe equivalenze, omini stilizzati,
quaderni degli anni passati,
voti messi in rosso, correzioni,
ma scorrono anche emozioni.
Maestro, non ti scorderò mai, non scorderò il tuo viso,
anche se il nostro cuore è stato diviso,
ora vado avanti e tu ritorni indietro,
rivivi gli anni tra i banchi in quell‟ambiente un po‟ tetro.
E nei tuoi occhi splende ancora la gioia,
adesso sono un pò stanchi ma non c‟è mai noia…
La gente ti conosce calciatore?
Ma se ti volti ti trasformi in scrittore,
maestro una volta ti chiesi: “ sei contento quest‟oggi o rimpiangi? “
Mi rispondesti: “la vita è come un quadro che tu dipingi,
puoi mettere righe di tutti colori,
puoi mettere scheletri o fiori,
sta a te decidere il futuro,
spero che le mie non siano parole buttate al muro.
Ricordati sempre che hai una vita da creare,
puoi anche decidere di andare,
ma ricorda sempre le mie parole,
vivi la tua vita ore per ore,
ricorda sempre che un giorno sarà troppo tardi,
vivi la tua vita senza preoccuparti degli altri sguardi,
vivi la tua vita senza un circolo vizioso,
perché è un dono prezioso! “
Mi disse anche :- “così non puoi sbagliare,
io non sono solo sul campo il calciatore,
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 78 ~
non solo su un foglio lo scrittore,
adesso sono contento, ho fatto un buon lavoro,
ho seguito me stesso e ora la mia vita vale oro.”
E poi quel giorno ti disse un‟amica
“Gianni, tu sei anche maestro di vita.”
È vero maestro, la vita non si trova su un libro di mate,
perché sai tu quante vite son passate,
quanti quadri di vita hai dipinto.
Io e te maestro lo sappiamo,
io in te e tu in me ci ritroviamo,
sappiamo che la vita va vissuta,
fino all‟ultima emozione,
Caro maestro Gianni,
grazie per cinque anni!!
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 79 ~
Le Storie
di IoRacconto Junior
Bambini/Fantasy
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 80 ~
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 81 ~
Ambra Alderighi
Il gigante ed il violino magico
C'era, un tempo, un gigante che viveva in una caverna situata nel
cuore di una foresta.
Si era rifugiato lì perché era disprezzato da tutti, poiché era diverso e
la sua pelle color verde scuro incuteva timore.
Vivendo da solo, non aveva nessuno con cui parlare o giocare.
Quindi passava una buona parte della giornata ad ascoltare e cantare
con gli uccellini che avevano costruito il nido vicino casa sua. Il
suono del loro cinguettio era così limpido ed armonioso che lo
rendeva felice. Loro avevano imparato ad amarlo e spesso si
accovacciavano su di lui per cantare insieme.
Un giorno, il gigante stava passeggiando tranquillamente per un
sentiero quando, in lontananza, vide qualcosa appoggiato su un
grande masso. Il gigante si avvicinò cautamente alla roccia,
guardandosi intorno.
Non vedendo nessuno, prese fra le sue grandi mani il violino che era
stato abbandonato. Il piccolo violino sembrava estremamente fragile
nella possente presa del gigante. Tuttavia, questi lo maneggiò con
estrema cura, quasi tenesse in mano un neonato.
Egli aveva già visto quello strumento. Infatti, era sua abitudine
nascondersi dietro ad un masso nei giorni di festa del paese, costruito
ai confini della foresta. Da lì, osservava gli abitanti festeggiare ed un
gruppetto di musicisti che, suonando i loro strumenti, contribuiva a
rallegrar l'atmosfera già carica del suono di fragorose risate e dello
squisito profumo di dolci appena sfornati.
Riprendendosi dai ricordi, si girò col violino in mano, ma si ritrovò
di fronte ad un uomo che lo guardava impaurito.
Gentilmente, il gigante gli disse: “È tuo questo violino? L'ho visto su
questo masso e ho pensato che fosse stato abbandonato. Se è tuo, ti
chiedo scusa. Non volevo rubarlo. Ecco.”
Disse il gigante “riprenditelo, ma trattalo bene!” e così dicendo gli
porse il violino.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 82 ~
L'uomo, però, era talmente impegnato a pensare quanto fosse grosso
e spaventoso il gigante, che non sentì alcunché di ciò che l'altro gli
disse. Quindi scappò via correndo.
Il gigante lo osservò andar via con occhi tristi e il petto che gli
doleva. Con una lacrima che gli rigava il volto, riprese il cammino
per casa sua, un luogo isolato da tutti e da tutto.
La tristezza, però, lo abbandonò in fretta quando, curioso, cominciò a
strimpellare le prime note col suo nuovo violino.
Meravigliato per il risultato ottenuto e felice di avere un nuovo
compagno, il gigante cominciò a camminare, suonando il violino
come se avesse sempre saputo farlo e senza una meta precisa.
Quasi inconsapevolmente giunse alle porte del paese, seguito da da
uno stormo di uccellini che cinguettavano sulle note del violino.
Vedendolo arrivare, un bambino disse alla madre: “ Guarda mamma!
Chi è quello lì? È enorme! Quando arriva posso giocare con lui?”.
La madre alzò lo sguardo e vide il gigante che scendeva lungo il
sentiero con lunghi passi.
Subito prese in braccio il bambino, che pareva molto interessato a
quella novità, e corse in casa.
Così, tutti gli abitanti del paese si nascosero nelle loro case, serrando
porte e finestre. I bambini più piccoli giacevano tremanti tra le
confortanti braccia delle madri ben nascoste, in modo che, nel caso di
uno scontro, non fossero esposti troppo al pericolo. Gli uomini,
invece, stavano accovacciati sotto i davanzali delle finestre con un
fucile in mano.
Il villaggio si era fatto improvvisamente silenzioso, le strade erano
deserte...non una voce.
L'atmosfera si era fatta minacciosa, carica di tensione e paura.
Nessuno parlava, nessuno si muoveva.
Il gigante proseguiva il suo cammino, spensierato e ignaro del
pericolo che avrebbe trovato una volta giunto al villaggio.
Tutti quanti aspettavano che succedesse qualcosa, silenziosi e cauti,
pronti a fare fuoco. Quasi si poteva toccare la loro paura, talmente ne
avevano.
Infine, giunse anche a loro il suono del violino, quella melodia che
inizialmente era sottile come una lamina, e che andava
rinvigorendosi, facendosi sentire sempre più chiaramente...ed eccola!
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 83 ~
Ah, che suono meraviglioso quel violino, che note sfilavano dalle sue
corde tese!
Quell'armonia leggera, allegra fece sentire tutti quanti
improvvisamente meglio...la paura piano piano se ne stava andando,
portandosi dietro la tensione e il timore di qualcosa di sconosciuto e
pericoloso.
Posando i fucili, gli uomini presero con sé donne e bambini e
tranquillamente uscirono dalle loro case, senza temere alcunché.
Lentamente, andarono incontro al gigante. Inizialmente erano
diffidenti e sui loro volti era visibile una traccia di dubbio. Poi anche
questo li abbandonò, e il sorriso si diffuse tra loro come se fossero
stati contagiati.
Il gigante continuava a suonare e non si accorgeva di camminare
lungo la strada principale del paesello...si avvicinava sempre più agli
abitanti e solo allora si accorse di loro.
Spaventato per la possibile reazione di quelli, accennò a smettere di
suonare, ma vedendo che gli abitanti lo osservavano con curiosità e
interesse, riprese immediatamente.
Quando ci furono poco più di cinque metri di distanza tra il gigante e
gli abitanti, questi cominciarono a sollevarsi, leggeri, senza smettere
di essere felici, e uno dopo l'altro, proprio come palloncini, presero il
volo. Ora si trovavano nel cielo infinito, talmente in alto che
potevano accarezzare il dorso delle nuvole...
La gioia si impadronì dei loro cuori.
In quel momento magico, tutti si accorsero che il gigante, che tanto
avevano temuto e isolato nella foresta, era buono e inoffensivo, oltre
che simpatico.
Quando egli suonò le ultime note, ogni persona scese a terra, felice
come non lo era mai stata in vita sua.
Da quel giorno, il gigante entrò a far parte di quella comunità.
Partecipava a tutte le feste del paese, suonando il violino e facendo
ridere e scherzare chiunque gli stesse accanto.
Divenne uno di loro, al punto che, un giorno, il falegname gli disse:
“Senti, dal momento che sei qua ogni giorno, ti farebbe piacere se
costruissi una casa su misura per te? Così eviteresti di fare il tragitto
dalla tua caverna a qui ogni mattina!”.
Commosso dalla generosità del falegname, il gigante rispose: “
Grazie, apprezzo molto la tua offerta e te ne sono grato, però la mia
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 84 ~
casa è là nel bosco, tra gli alberi che mi hanno offerto riparo e cibo
per tanti anni, quando ancora voi mi temevate. Ci sono affezionato,
inoltre a me bastano pochi passi per arrivare qui al villaggio!”.
Di lì in avanti, ogni mattina, il gigante si recò da loro al paese, che
era diventato la sua seconda casa e gli abitanti la sua famiglia, tutto
grazie al violino magico.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 85 ~
Chiara Antonioli
Il pinguino viaggiatore
Al Polo Nord fa veramente freddo e c' è molto ghiaccio, ma tra
queste montagne glaciali è nascosto un mondo fantastico: quello dei
pinguini! Infatti, scavate tra le montagne ghiacciate, vi sono delle
casette dove vivono tante famiglie di questi buffi animali. In una di
queste abitazioni, viveva un pinguino di nome Niùg. Di mestiere
faceva i ghiaccioli in una ghiaccioleria, la più famosa di tutto
l'Antartide. Niùg si divertiva molto a mettere il gustoso colorante ai
ghiaccioli, a stamparli in svariate forme e a crearne sempre di nuovi.
I ghiaccioli grazie agli stampini potevano essere a forma di cuore,
farfalla, fiori, palloncini e ce n' erano per tutti i gusti: alla menta,
fragola, limone, lampone e arancia. Molti amici di Niùg andavano a
comprare i ghiaccioli da lui, la ghiaccioleria era davvero un punto di
incontro per tutti i pinguini e anche i familiari di Niùg lo andavano a
trovare.
Un bel giorno Niùg, guardando le previsioni del tempo, venne a
conoscenza di un fatto; il meteo annunciava che ci sarebbe stato un
rovesciamento del clima e che al Polo Nord sarebbe giunto il caldo
che avrebbe sciolto tutto il ghiaccio e questo in pochissimi giorni!
Sarebbe sparita tutta la ghiaccioleria! Agitatissimo per la notizia, il
pinguino camminava su e giù cercando una soluzione e si ricordò che
suo nonno, gli aveva regalato una mongolfiera che ora si trovava nel
suo garage e Niùg decise di farci un giro. Il pinguino, tirò fuori la sua
enorme mongolfiera, la avviò e vi salì sopra. C'era tanto vento caldo,
il clima stava repentinamente cambiando e Niùg volava sempre più
in alto e senza rendersene conto, lontano dal Polo Nord. La
mongolfiera proseguiva il suo viaggio tanto che Niùg uscì dall'orbita
terrestre e si trovò a volare nello spazio, vincendo la forza di gravità.
A un certo punto mentre il pinguino vagava tra le stelle e pianeti
sentì: “ tuo nonno si che la sapeva lunga!” Disse Niùg: “chi ha
parlato?” La voce rispose: “sono la mongolfiera, io ti ho parlato; tuo
nonno, caro Niùg, era a conoscenza che un giorno il clima della terra
sarebbe mutato”. Niùg, perplesso disse: “ma come mai siamo nello
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spazio?” La mongolfiera rispose che nel cosmo ci sono moltissime
risorse e suggerì al pinguino di dirigersi verso il pianeta Giove. Una
volta arrivati la mongolfiera chiese a Niùg di buttarsi, il pinguino
esitava ma la mongolfiera lo invitò ad aver fiducia, così Niùg si tuffò
e si ritrovò immerso nella superficie molle di Giove. Niùg constatò
che si trovava all'interno di un pianeta freddo e una goccia della sua
materia liquida, cadde nel beccuccio del pinguino che esclamò:
“cioccolato!”. Niùg continuò ad assaggiare il pianeta Giove nuotando
e piano piano si rese conto che il pianeta sapeva anche di
mascarpone, zuppa inglese, pistacchio, fragola e limone!
Insomma il pianeta Giove, era fatto di gelato! Così Niug salì sulla
mongolfiera tutto sporco di gelato e tornò sulla Terra al Polo Nord.
Intanto l'ondata di caldo stava già sciogliendo i ghiacciai e a Niùg,
venne un' idea e disse: “se non potrò più fare i ghiaccioli, farò il
gelato e andrò a prenderlo direttamente su Giove con la
mongolfiera!”. E fu così che Niùg costruì una grande ed incredibile
gelateria dai gusti spaziali! Spesso nelle sere d'estate, guardando le
stelle in cielo, capita di vedere una luce che si muove e il più delle
volte pensiamo che sia un aereo; in realtà è Niùg che attraversa il
firmamento per andare su Giove a rifornirsi di gelato!
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Laura Bedeschi
Terremoto
C‟era una volta un uomo egoista ma così egoista che litigava tutti i
giorni con qualcuno. Un giorno disse a tutta la città che lui ce
l‟avrebbe sicuramente fatta anche da solo senza aiuto di nessuno! I
signori e le signore non aggiunsero parola.
All‟ora di andare a dormire quel signore dormì tranquillo. Al
mattino, Sòtuttoio (che era il nome del signore) si accorse che nel
viale di casa sua non c‟era nessuno ma pensò che era una
coincidenza. Ma giorno dopo giorno non si vedeva mai anima viva
da nessuna parte e Sòtuttoio era felice di questo. Ma si accorse, un
po‟ alla volta che non ce la poteva fare da solo: infatti non sapeva
farsi i vestiti, costruirsi una casa … …Coltivare verdure per
mangiare, e quando finalmente dichiarò che aveva bisogno di altri
che gli dessero una mano … Ci fu un grosso terremoto.
Sotuttoio si spaventò per tutto quel frastuono, Ma da quel terremoto
uscirono tutte le persone del popolo. Ma che dico! Di tutto il mondo!
E Sòtuttoio si rese conto che gli amici sono importantisssssimi! E
infine Sòtuttoio diventò l‟uomo più amato della terra perché capì che
tutti sono importanti allo stesso modo e che da soli nessuno può
resistere
Morale.
L‟unione fa la forza.
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Elisa Brunetta
Paura di volare
C‟era una volta un bambino di nome Michele. Michele aveva tanta
paura di andare in aereo: quando i suoi genitori gli dicevano che
avrebbe fatto un viaggio all‟estero, in aereo, Michele elencava tutti i
disastrosi incidenti aerei che avevano ucciso tante persone. I suoi
genitori erano stufi di sentire la solita solfa e, quando le vacanze
estive si avvicinarono, prenotarono un aereo per andare dai nonni di
Michele, in Francia.
Quando i genitori di Michele glielo dissero, il bambino elencò ancora
una volta gli incidenti, ma i genitori erano irremovibili: sarebbe
andato in aereo, punto e basta.
I giorni prima della partenza furono orribili per Michele: cercava in
tutti i modi di far cambiare idea ai genitori, ma niente da fare. Fu
ancora più orribile quando Michele si ritrovò dentro l‟aereo che stava
decollando. Era agitato e arrabbiato con i suoi genitori.
Ad un certo punto, quando Michele guardò fuori dalla finestra, vide
un bellissimo uccello dalle piume dorate. Quando il bambino lo
guardò meglio, vide che l‟uccello lo stava guardando. All‟inizio non
ci credeva e pensava che fosse un sogno, perché i suoi genitori non
avevano visto niente, ma quando si rigirò e cercò di non pensarci più,
sentì un prurito nelle braccia, nella faccia e nei piedi.
Si guardò le braccia e vide che gli erano spuntate, bucando la
maglietta, delle bellissime ali argentate. Il naso era diventato un
becco, e i suoi piedi delle zampette nere. In più stava rimpicciolendo
e i suoi vestiti si erano completamente lacerati. Su tutto il corpo
erano spuntate piume argentate.
“Oh no, non è possibile, pensò, sono diventato un uccello!!” . Si girò
verso i suoi genitori, ma loro non vedevano niente.
Poi si senti afferrare la mano… cioè, un ala e si ritrovò
improvvisamente fuori con l‟uccello dorato: stavano sorvolando un
mare bellissimo, dove si vedevano piccoli pesci colorati.
- Dove vuoi andare di bello? - gli domandò l‟uccello dorato.
- E tu chi sei? - gli chiese Michele-argentato.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
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- Sono l‟uccello protettore dei viaggiatori che hanno paura dell‟aereo
– rispose con voce calma - ti porterò dove vuoi, basta dirmelo.
Michele si rese conto che stava volando. Sì, proprio così, ed era
come se lo avesse saputo fare da quando era nato.
- Portami al Polo Sud… - disse lui.
- Con piacere! – rispose.
Sorvolarono tante città, campi coltivati e oceani blu. Tutto era come
Michele aveva sognato: si sentiva libero e aveva nel cuore una
felicità enorme.
Ad un certo punto il paesaggio cambiò bruscamente: la temperatura
si abbassò e i campi verdi lasciarono il posto a bianchi e glaciali
iceberg. Si vedevano gli igloo, le case degli abitanti del Polo Sud,
fatte tutte di mattoni di ghiaccio.
- Noi siamo uccelli speciali, - disse l‟ uccello-dorato, - possiamo
andare dove vogliamo, quando vogliamo, non avremo mai troppo
freddo né troppo caldo.
- Dimmi, tutto questo è un sogno e tra poco mi risveglierò come ero
prima, o tutto quello che sta accadendo è vero e si potrà ripetere? -
chiese uccello - Michele.
- Non è un sogno, credimi, - rispose - e quando viaggerai di nuovo in
aereo, ti trasformerai e ti porterò dove vuoi, come adesso.
Quando Michele si stufò di vedere quel freddo ghiaccio, chiese al
suo nuovo amico di andare in Africa. Si misero in cammino, anzi, in
volo, e si diressero verso l‟Africa calda.
Passarono attraverso un piccolo villaggio fatto di tende colorate e di
alberi spogli e quando si posarono su uno di essi, un piccolo uccello
con le ali tutte nere con dei brillanti li salutò.
- Chi sei? - chiese Michele.
- Sono l‟uccello protettore dei cacciatori e tu? - disse rivolgendosi
all‟uccello - Dorato.
- Io proteggo i viaggiatori che hanno paura dell‟aereo – rispose.
- L‟aereo? - disse l‟uccello nero - e che cos‟è?
- Una sorta di grande uccello di metallo che trasporta le persone da
un posto ad un altro - rispose Michele.
- Devo andare, ciao! - l‟uccello nero si allontanò.
- Dove ti porto adesso?
- A New York.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 90 ~
Viaggiarono a lungo e si ritrovarono nella grande città piena di
grattacieli. Michele si divertì a fare acrobazie schivando le torri di
ferro, seguito dal suo amico. Nessuno li vedeva, gli abitanti erano
troppo indaffarati per guardare il cielo.
Proprio quando Michele si divertiva di più, il suo amico disse:
- Il viaggio è finito, e tu devi trasformarti di nuovo in un bambino.
- No, non andare via! - fece appena in tempo di dire queste parole,
che tutto girò vorticosamente, le città, i campi, le persone, e Michele
si ritrovò nell‟aereo.
Notò che era ritornato umano e che l‟aereo era atterrato. I suoi
genitori dormivano: non si erano accorti di niente.
Da allora in poi, Michele scoprì che viaggiare in aereo era bellissimo
perché si scoprono tante cose e posti nuovi. In più, Michele si era
fatto un nuovo amico magico, che vedeva ogni volta che andava in
aereo.
Scoprì posti nuovi e i suoi genitori non si accorsero mai di niente.
Ovviamente Michele non disse niente a mamma e papà, e a nessuno
dei suoi amici, tanto nessuno l‟avrebbe creduto.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 91 ~
David Cicchetti
George impara a salvare il mondo
C‟era una volta un bambino che viveva in un piccolo paese ciociaro
chiamato Piglio.
Il suo nome era George: era alto e magro.
Un giorno passò una circolare nella sua scuola: “Dal giorno
19/7/2009 nel comune di Piglio si istituirà la raccolta differenziata.
Firmato: il sindaco dott. Cittadini ”.
George pensò fin dall‟ inizio che la raccolta differenziata fosse una
stupidaggine quindi decise di non farla. Un giorno come tanti fece un
compito, per sbaglio fece un errore e andò a buttare la carta nel
cestino e volontariamente la mise nel cestino del vetro.
Questo fu lo sbaglio peggiore della sua vita: immediatamente fu
catapultato in un‟altra dimensione molto più inquinata della terra.
Uno spettro venne da lui presentandosi con il nome di Vetro che gli
disse di non avere paura di quel posto perché sarebbe stato il futuro
della terra se non cambiava la sua condotta!
Aveva paura ma allo stesso tempo era curioso.
Il fantasma lo portò in un'altra era : prima della presenza dell‟ uomo.
Era un posto magnifico con alberi che possedevano dolci frutti di
ogni genere, dal mango al cocco, dalla banana alla pesca e con altri
strani frutti che ormai non esistevano più!
Le acque erano di un azzurro tenue, nei mari vi erano pesci maestosi.
Era giunta l‟ora che il fantasma del Vetro se ne andasse .
Improvvisamente George si trovò accanto a una discarica dove lo
aspettava lo spettro della Carta, gli fece vedere come i gabbiani e
pesci morivano a causa dell‟inquinamento, gli fece vedere la carta
che aveva buttato nel cestino del vetro che veniva bruciata. Gli fece
capire cosa veramente poteva significare un atto come il suo.
Anche l‟ora del terzo spettro era arrivata: gli mostrò George da
grande che andava in giro con la mascherine per il gas, i bambini
chiusi aldilà della porta di casa che non potevano più giocare all‟
aperto.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 92 ~
Lo fece andare avanti ancora di 10 anni: la terra era deserta, erano
morti tutti, l‟inquinamento era salito a dismisura….disperato si coprì
la testa con le mani…
E quando aprì gli occhi…
Ah ah,! Si ritrovò sul suo banco a dormire. Felice pensò che aveva
ancora tempo per cambiare la sua condotta.
Allora prese la carta che aveva buttato nel cassonetto del vetro e la
mise nell‟apposito cassonetto della carta.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 93 ~
Rebecca Cicchetti
Diario di Ugo Foscolo
E così, scrivendo, mi siedo alla mia scrivania. Le mie mani vecchie e
stanche rimpiangono la bella e ormai lontana giovinezza. Le pupille
dei miei occhi scrutano la stanza: le finestre ormai tremolanti
oscillano al minimo spiffero di vento, la porta sbatte e sento così lo
scricchiolio degli stipiti mal fissati, le tende ormai ridotte a brandelli.
Quanta nostalgia a pensar alla mia cara Zacinto. Lì vorrei morire,
come scrissi nei “Sepolcri”, lì mi lega quella “corrispondenza
d‟amorosi sensi”. E penso al volto di mia madre, scavato dalle rughe
profonde, che lentamente si contrae in una smorfia di pianto e le
gambe si lasciano cadere a terra, sulla tomba di mio fratello
Giovanni. Cos‟è che mi resta oggi di tanti ricordi? Solamente quella
dolce poesia che mi accompagna. Cos‟è in fondo l‟amore?
All‟occhio umano potrebbe sembrar piccolo come un granello di
sabbia, che spinto dal vento, nell‟aria scorre via. Quel sentimento che
lega gli uomini e scandisce l‟ intensità della sua potenza dal tremito
di ogni cuore, che lentamente ci fa innamorar. Ma non solo l‟ amor di
cui tanto parliamo, ma anche quello verso gli affetti familiari e verso
gli amici. Perchè, tante volte a questo non pensiamo, lasciamo che le
persone care ci sfuggan via, come il vento d‟autunno muove le foglie
ballerine, che nella loro coreografia scappano rapide e ce ne
rendiamo conto solo alla fine di tutti gli atti. E solo alla sera mi
ritrovo a pensare all‟ infinità delle mie paure e, imponendomi di far
tacere i miei timori, dorme “quello spirito guerriero che dentro mi
rugge”. E non mi importa se sono al freddo inverno o alla calda
estate, perché l‟ unico gelare che sento è la paura che arrivi il
mattino. Poi, questo, arriva: sento una voragine che mi attira a sé e
mentre mi scompiglia i capelli, un vento freddo mi gela il cuore, che
lentamente pulsa a stento.
E ripenso ai miei pensieri: il nulla eterno che tanto mi spaventa, la
corrispondenza d‟amorosi sensi che ci lega e che m‟ infligge cosi‟
tanto dolore, lo spirito guerriero che dentro di me si ribella e che
incarna le mie paure. Ma io, uomo di questi tempi così duri, cos‟ è
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 94 ~
d‟altra speranza che mi rimane oltre a quella di essere sepolto a
Zante? L‟ isola mia, dove rimembro ancora i tempi felici della mia
infanzia, cullato tra le braccia di mia madre e quelle del Mar greco. E
così immagino la dea Afrodite così bella, che dalle sponde di Zante
emerge in superficie. I suoi capelli mossi al vento, le sue vesti
bianche e i piedi affondati nella sabbia. Perché così tanta poesia mi
accompagna? E che modificando le vie del mio destino mi guida? Sò
che l‟ uomo ha bisogno non solo di respiro nella vita, ma anche di
qualcosa che dia un senso alla sua esistenza, ma questa, per me, e‟
solitudine. Mi sento un eremita che dal suo isolato scoglio vede le
barche attraccare e, nonostante il suo carattere solitario, si sente
ancora solo. Perché, se non avessi incontrato tutto questo amore,
sarei vuoto nella mia anima e la voragine mi risucchierebbe, ma la
mia capacità di aggrapparmi ai lati dell‟abisso mi tiene ancora qui.
Immagino Ulisse, che sogna la sua rocciosa Itaca e pensando alla
salsedine che rovina le travi di legno delle navi, una lacrima scende
tra le rughe del suo viso spento.
Ma, impazientemente, anch‟esso, non perde speranza.
“Questo di tanta speme oggi mi resta..” , che il mio desiderio di
trovar un punto di contatto con mia madre quando di me resterà solo
un corpo, possa esser coronato.
E ancora una volta penso a quel mio verso: “Celeste e‟ questa
corrispondenza d‟amorosi sensi, celeste dote è negli umani” e
ringrazio quel dolce legame che mi accompagna.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
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Fabiana D‟Antoni
La leggenda
Tanto tempo fa', in una valle vicino al monte Gransasso, vi era un
paesino sperduto di nome Cail con degli abitanti molto speciali...
speciali per una miniera d'oro trovata, non appena fuori dal paese,
presso un lago chiamato "il Lago dei Sogni", per via di una leggenda
tramandata di padri in figlio dall'inizio dei tempi.. questa leggenda
raccontava di due ragazzi di nome Rosalina Luna e Salvatore Stella.
In questo paese vi era poca gente d'inverno e molta d'estate, gente
che non era di Cail, venivano a visitarlo anche da paesi molto lontani
,e a volte da Roma.
L'estate in questo piccolo paesino non vi si poteva entrare ne' con i
carri ne' con le macchine, per via della festa del santo protettore, che
si svolgeva ogni 14 di Agosto.
Quell'estate a Cail, oltre alla solita gente per le feste arrivarono due
nuove famiglie con dei bambini; così si incontrarono una bambina e
un bambino di nome Rosalina e Salvatore....era un evento storico
perchè nessun bambino fu' chiamato più così dopo la tragedia di luna
e stella, morti dove narra la leggenda al Laghetto dei Sogni.
Rosalina era una ragazza bellissima, con capelli del colore del sole,
occhi color cielo sereno, il corpo magro e slanciato, era perfetta come
una di quelle ragazze che si vedono in tv, Salvatore, invece, era rozzo
ma spontaneo, con capelli castano d'orati e gli occhi neri come la
notte , muscoloso e attraente con il suo modo di vestire sportivo che
lo rendeva ancora più bello.
Era stata Rosalina a farsi avanti e a chiedere il nome del nostro
Salvatore; più tardi conobbe altre amiche di nome Romina, ilaria,
Lucia e Veronica ma solo una riuscì a conquistargli il
cuore....Romina , la quale diventò la sua migliore amica negli anni.
Salvatore, invece, per un po' di tempo non voleva essere amico di
nessuno ma poi, passarono i giorni, e visto che doveva trascorrere
tutta l'estate lì, scelse tra i più simpatici del paese i suoi amici, questi
si chiamavano, Patrizio, Silvio, Simone e Fabrizio; Salvatore fece di
Patrizio il suo migliore amico.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
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Intanto le cose nel paese peggiorarono... il gruppo di Rosalina non
riusciva ad andare molto d‟accordo con il gruppo di Salvatore.
Passati gli anni però le cose cambiarono, riuscirono a formare una
comitiva dove tutti poteva entrare e uscire.
Romina, un giorno propose di andare a giocare una partita di pallone
al campetto di calcio di Prateferro adiacente al Laghetto dei Sogni,
tutti accettarono tranne Veronica perché aveva paura del laghetto,
così propose di andare al campetto della villa di Marco, un‟ altro
ragazzo del paese molto bello di cui Rosalina era innamorata, ma
,purtroppo non ricambiata. Tutte le ragazze accettarono tranne
Rosalina arrabbiata e scocciata di avere in mezzo ai piedi una
rompiscatole come Veronica e, questa volta, anche Salvatore fu'
d‟accordo con lei; così andarono tutti a Prateferro senza importarsi di
lei che rimase sola a Cail.
Iniziarono a giocare la partita, maschi contro femmine, ma purtroppo
per le ragazze i ragazzi vincevano 20 a 1....Quando i ragazzi dissero
di aver bisogno di acqua da bere, così‟ Salvatore e Rosalina si
proposero per andare a prenderla giù al Laghetto dei Sogni unica
fonte di acqua nei dintorni.
Il viottolo per scendere giù al laghetto era tutto ricoperto di foglie,
Salvatore le scansò per far passare Rosalina, ma una volta arrivati giù
rimasero senza parole, perché visto che era abbandonato da anni quel
posto doveva essere trascurato e la vegetazione doveva essere
cresciuta in modo spropositato, ma al contrario, non avevano mai
visto una cosa del genere neanche in un giardino di un re...Il laghetto
aveva mille piccole cascate con una più grande sopra di esse, l'acqua
era limpida, trasparente...il lago era contornato di rose rosse, quasi
vive, come se volessero parlare, come se volessero la loro anima, il
sole splendeva come se non ci fosse mai spazio per la notte i pesci
saltavano felici, Salvatore prese la mano di Rosalina spinto da
qualche impulso irrefrenabile e le disse, giurando sul lago, su quel
posto meraviglioso, che non l'avrebbe mai lasciata, che si sarebbe
preso cura di lei, e con incanto si baciarono, fu' il bacio più bello
della loro vita, ma, purtroppo furono interrotti; in quel preciso
istante tutto diventò sporco e brutto la vegetazione divento così fitta
da non vedere nulla davanti, i pesci erano morti e l'acqua era opaca e
il sole non risplendeva più in cielo ma era tutto coperto di nuvole...vi
era solo il buio... Fabrizio gridò: "Tore abbiamo finito la partita le
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
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femmine hanno perso" allora Tore disse: "Fabbri arriviamo
aspettateci sulla strada del campetto", Fabrizio andò via e Salvatore
disse a Rosalina che solo loro dovevano sapere di ciò che era appena
accaduto, e si incamminarono verso gli amici.....ma per Rosalina fu'
uno choc quando Salvatore gli levò le mani dalle sue bruscamente e
in quel preciso istante si udì una voce che diceva "ricorda lo hai
promesso sul lago" Salvatore s‟impaurì di questo ma ormai erano
troppo vicini agli amici così girò le spalle a Rosalina e disse alle
ragazze "non vogliamo avervi tra i piedi ci avete scocciato "Rosalina
ci rimase male cosi andò da lui e gli disse "e quello che mi hai
promesso già te lo sei dimenticato?" Salvatore la guardò con quello
sguardo che può essere definito pieno di odio e disprezzo e si
incamminò con i suoi amici ,ma senti di nuovo quella voce "la
pagherai sei uguale a Salvatore Stella" Tore ebbe paura e appena la
voce scomparì cominciò a diluviare ...tutti si rifugiarono nelle
proprie case, tutti tranne Salvatore, che rimase sotto la pioggia pieno
di terrore.. Rosalina lo vide andò da lui e nonostante tutto lo
abbracciò piangendo...perché anche lei aveva udito quella voce.
L'indomani Rosalina, come ormai faceva tutte le mattine, andò a
chiamare Romina a casa e come al solito non era mai pronta, così
decise di aspettarla nella piazza del paese, dopo un po' scorse
Salvatore e lo raggiunse, parlarono, e poi decisero di andare al campo
di Prateferro, in bicicletta, solo loro due; si avviarono e Rosalina era
felice come non mai di stare con lui, da sola... Una volta arrivati
scesero giù al laghetto e notarono che era ancora tutto brutto buio si
misero seduti sopra una pietra tutta rotta, quando un bagliore
illuminò il ruscello, il cinguettio degli uccelli significava che era di
nuovo tornata la vita, tutto il ruscello si trasformò come lo avevano
visto la prima volta e, la roccia, dove vi erano seduti loro, diventò di
cristallo e dall'acqua azzurra come il cielo uscì una spada, che
illuminò i loro occhi, e apparve una signora, vestita di bianco con
capelli color oro, parlò ai ragazzi, rivolgendosi soprattutto a
Salvatore “tu Salvatore sei come mio figlio, oltre ad avere lo stesso
nome hai anche il suo carattere, tu non vuoi bene a Rosalina la vuoi
solo far soffrire, mio figlio Salvatore Stella creato da me è stato
cancellato dalle mie stesse mani, perché faceva soffrire la bella e
dolce Rosalina Luna, volevo punire solo lui ma lei decise di morire,
lui non meritava la vita di lei, così molti anni fa' diedi lui un altra
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
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opportunità di cambiare, sarebbe nato un altro bambino, nato da un
genitore umano cresciuto come tutti i bambini umani, poi quando
sarebbe giunto il momento gli avrei di nuovo fatto incontrare la sua
Rosalina, una ragazza più giovane e più bella di quella di prima, ma
ora, tu, hai di nuovo fatto lo stesso errore, non mi hai voluto
ascoltare, il tempo non ti ha cambiato per niente". Salvatore cercò di
scappare ma il passaggio che riportava in superficie si coprì di mille
spine aguzze, quindi rimase imprigionato.
Rosalina cercò di implorare perdono alla signora del lago, ma, essa
non volle ascoltare ragioni e questa volta lanciò la spada verso
Rosalina, Salvatore che capì cosa stava succedendo, gridando
Rosalina ti amo si mise a correre e si gettò davanti al suo corpo e la
spada trafisse entrambi, la signora bianca sparì nelle acque e, mentre
che il loro sangue finiva nelle azzurre acque del lago, apparve una
scritta" torneranno perché hanno imparato ad amare".
Tutti si dimenticarono di due ragazzi chiamati Salvatore e Rosalina ,
e la gente, che tramandava la storia ribattezzò il lago con il nome del
Ruscello dei Misteri.
Tanto tempo fa', in una valle vicino al monte Gransasso, vi era un
paesino sperduto di nome Cail con degli abitanti molto speciali...
speciali per una miniera d'oro trovata, non appena fuori dal paese,
presso un lago chiamato "il Lago dei Misteri".
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
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Ilaria Fiore
Celeste e la magica stella lucente
Le stelle non brillavano in quei giorni.
Celeste si rigirò triste nel letto. Il sogno, ecco il problema, il sogno
che non era ancora finito. Strano come il sole che non splendeva, non
brillava, non illuminava e svegliava tutti al mattino con la sua
meravigliosa luce. Buio inquieto, ecco dove si trovava e una stella le
parlò. Lucente come un diamante le disse “cosa vedono i miei occhi,
una ragazza dal volto rosa sfavillante, capelli corvini e occhi azzurri
come il mare…”. Celeste guardò la stella insospettita. In quel
momento un tintinnio la svegliò. Si alzò di scatto, l‟orologio segnava
le sette del mattino. Celeste era incredula, ripensò alla stella che
aveva visto nel sogno, e continuò a pensarla per tutto il giorno.
Anche la mamma se ne rese conto e le disse:
“Tesoro, cos‟è quella faccia stranita?”.
Celeste non riusciva a parlare, si sentiva strana “N… n… niente”
balbettò “tutto bene.”
La scuola, l‟incubo più rompiscatole. Celeste, distratta, continuava a
pensare a quel sogno e alla stella lucente. In classe la professoressa
Summer, che l‟aveva vista distratta, la richiamò. Il pomeriggio arrivò
a casa sfinita e crollò sul letto. Un altro sogno. Celeste vide la stella
inquieta che di nuovo le parlò:
“Celeste, ragazza incantevole, tu sei stata scelta per proteggere il
destino delle stelle e guidarle alla libertà”.
Celeste ebbe finalmente il coraggio di rispondere: “chi sei? Non
capisco!”
“Io sono Delia, la regina di tutte le stelle.” Rispose sorridente la
stella “ti donerò il loro potere.”
Una luce abbagliante travolse Celeste, rimasta a bocca aperta per lo
stupore. Si svegliò di colpo gridando. La madre accorse “Celeste,
cosa succede?” chiese ansiosa.
La ragazza era spaventata, non credeva di poter essere un‟eroina.
“Sto bene mamma!” La tranquillizzò.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 100 ~
“Celeste” rispose la madre seria “siediti, dobbiamo parlare. In questi
giorni ti comporti in modo strano, non fai che assumere facce stupite
o spaventate. Cosa ti prende?”
Celeste assentì, poi inventò una scusa “Ecco, io…ehm… sono molto
tesa per la verifica di martedì”.
La madre, non convinta, continuò“ ma oggi è mercoledì, hai tempo
per prepararti, tesoro!” Cercò di tranquillizzarla dandole un bacio
sulla guancia.
La notte Celeste fece un altro sogno, la stella gridò parole magiche
“potere della stella lucente!” E puntò le mani verso la ragazza.
Celeste si vide comparire indosso un vestito grazioso, abbagliante
come una stella. “Cosa mi stai facendo?” Chiese stupefatta.
La stella rispose: “pronuncia questa frase: potere dello scettro
stellare, vieni a me!”
Celeste obbedì: “potere dello scettro lucente, vieni a me!” E
magicamente, tra le mani, le comparve uno scettro. La stella le chiese
una promessa: “quando avrai bisogno di aiuto e dovrai invocare
l‟aiuto dello scettro, dirai queste parole, ok?”
Celeste disse: “neanche per sogno! Mi prendi in giro?”
Con un gesto della mano la stella fece ritornare normale i suoi abiti,
poi esclamò: “ripeti le parole!”. Celeste obbedì e si ritrasformò, poi
piagnucolò spaventata:“ok, ci credo!”.
“Vieni con me.” L‟incoraggiò la stella “ti condurrò al castello della
strega Lupa, che ha catturato le stelle!”
Celeste la seguì, molto stupita dai poteri della stella magica e
graziosa. Il castello era di un colore cupo che emanava tristezza e la
strega era molto potente e malvagia. Celeste aveva i brividi. La stella
le sussurrò: “Celeste, ragazza graziosa, non aver paura, la tristezza
non uccide. Aiuta le persone a superare gli ostacoli della propria vita
e poi a renderli felici!”
Celeste disse, sorridendo: “hai ragione, entriamo nel castello!”
La stella graziosa e la ragazza coraggiosa vi entrarono. Il castello era
lussuoso ma ornato di colori tristi. Alle pareti quadri di persone
cattive che mettevano brividi solo a guardarli. Una porta si spalancò
rumorosamente, la strega aveva gli occhi feroci, come un leone
affamato pronto ad azzannare la propria preda.
La strega gridò spietata e catturò la stella, poi chiuse la porta. La
spalancò di nuovo e disse:
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 101 ~
“Cara piccola Celeste, vediamo un po‟, se riuscirai a battermi,
libererò tutte le stelle, ma se perderai morirai con loro!”
Celeste sorpresa del proprio coraggio disse: “accetto la sfida!” Subito
dopo urlò con tutto il fiato che aveva in gola: “potere dello scettro
lucente, vieni a me!” In quello stesso istante iniziò a brillare proprio
come una stella. Sicura di sé Celeste gridò ancora più forte: “per il
potere della stella lucente! Ora ti distruggerò!”
In quell‟istante una luce brillante e potente travolse la strega che
stramazzò al suolo sconfitta. Celeste buttò giù la porta e liberò tutte
le stelle che le corsero incontro ringraziandola. Da quel giorno
Celeste diventò la Regina delle Stelle e le stelle tornarono al loro
posto. Ripresero a brillare e il mondo fu di nuovo felice.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 102 ~
Daniele Alberto Galliano
Soave e Rosabella
Tanto tanto tempo fa, c'era un grande reame, governato da un Re e
dalla sua Regina. Avevano questi sovrani due figlie, due gemelle, che
si chiamavano Rosabella e Violasoave, che tutti chiamavano Soave,
per fare prima.
Erano due splendide fanciulle, perché erano belle, affezionate ai loro
genitori e molto in gamba, e come spesso accade, anche se gemelle
non si assomigliavano, nè nell'aspetto, nè nel carattere.
Rosabella, alta e bionda, aveva il temperamento di un usignolo; così
che appena la mattina si svegliava, cominciava a cantare con una
voce dolcissima, così dolce che rendeva bello svegliarsi anche in
pieno inverno, quando si vorrebbe rimanere al calduccio sotto le
coperte.
Soave invece, era un po' più piccola, con morbidi capelli castani, e
non era proprio una canterina, anzi quasi non parlava neanche.
Preferiva ascoltare la sorella cantare così bene, che anche gli
uccellini si univano al suo canto. Soave invece era bravissima a
disegnare. Le bastava un pezzo di carta e una matita per fare disegni
così belli, che nessun artista di corte era in grado di eguagliare. E non
solo quello: qualsiasi cosa le capitasse per le mani poteva essere
usata per creare immagini meravigliose. Un giorno fece un disegno
con il gesso in strada, solo per divertire dei bimbi. La nuova scuola
fu costruita attorno a quel disegno, tanto era bello.
Se Soave tesseva un tappeto, era ammirato da tutti al punto che era
meglio appenderlo al muro, che metterlo sul pavimento; tanto
nessuno ci voleva camminare sopra, per paura di rovinarlo.
Insieme le due sorelle erano in grado di creare delle vere e proprie
storie, che disegnate da Soave e cantate da Rosabella, erano ancora
più belle della televisione, che comunque nessuno aveva ancora
inventato.
Inutile dire che il Re e la Regina erano felicissimi delle loro figlie,
senza fare differenze, perché erano entrambe brave, buone e
affettuose, ognuna a modo suo.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 103 ~
Si sa però che un reame richiede un sacco di lavoro, soprattutto uno
grande come quello; così il Re e la Regina spesso dovevano
allontanarsi dal castello e andare a occuparsi dei tanti affari.
Bisognava parlare con i contadini e amministrare la giustizia, gli
orchi dovevano essere controllati perché non facessero disordine in
giro, e soprattutto il confine a settentrione andava protetto, altrimenti
gli Orrendi Lupi del Nord potevano invadere il reame.
Quando il Re e la Regina erano via, i servitori si occupavano di
Soave e Rosabella, e questo faceva sentire un po' meno la mancanza
di Mamma e Papà: Rosabella cantava, anche se le sue note erano un
poco più tristi del solito, e Soave disegnava i ricordi più belli che
avevano dei loro cari genitori.
Una notte però, durante una di queste assenze dei sovrani, quando
Soave e Rosabella si stavano preparando per la nanna, si erano già
cambiate e lavate i denti, il Malvagio Vento del Nord, padre degli
Orrendi Lupi, decise di fare un dispetto agli abitanti del castello.
Credeva infatti che il Re e la Regina fossero lì, e voleva vendicarsi
per il trattamento subito dai suoi figli.
Cominciò allora a soffiare, e soffiare, e più soffiava più fiato gli
veniva, non come a noi, che dopo un po' abbiamo il fiatone.
Il vento soffiava così forte che le torri del castello si chinavano, e
sembrava che ogni pietra tremasse.
Al principio, Soave e Rosabella si guardarono preoccupate, ma il
castello era grande e forte, il camino era caldo, e le candele
cacciavano le ombre. A furia di soffiare però, il vento cominciò a
scoprire dove erano nascoste le fessure tra le pietre e dove i muri
erano più sottili, e soprattutto come entrare nei camini. E raccolte
tutte le forze, si buttò come una furia contro le torri del castello,
corse dentro i camini spegnendoli e portò via le fiamme alle candele;
quindi, nella più tetra oscurità, si mise a ululare come una furia,
terrorizzando tutti gli abitanti del castello.
Sole, al buio, Soave e Rosabella cominciarono ad avere paura.
Rosabella iniziò a piangere e a chiamare la Mamma; mentre Soave,
che già normalmente non parlava, si fece ancora più silenziosa,
tremava e si stringeva forte le mani. Le due povere ragazze erano
rimaste da sole nella loro stanza, e nessuno poteva raggiungerle,
perché il vento soffiava così forte che non lasciava aprire le porte.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 104 ~
Oltre tutto, nessuno aveva il coraggio di muoversi nel castello, che
era completamente al buio.
Il Malvagio Vento del Nord gridava cose terribili per spaventare tutti,
anche se non si era accorto che il Re e la Regina, con cui era tanto
arrabbiato, non erano neanche lì.
Piano piano le ragazze riuscirono a trovarsi anche al buio, e rimasero
vicine vicine ad ascoltare il vento ululare, abbracciandosi.
Passata l'arrabbiatura, il Malvagio Vento del Nord capì che ormai
doveva fare qualcosa o piantarla lì; e dato che non era ancora
soddisfatto, cominciò a cercare il Re e la Regina, per dir loro che
dovevano trattare meglio i suoi figli. Quando, dopo aver girato ogni
stanza del castello, si accorse che si trovavano altrove, si infuriò
ancora di più, e gridando e ululando cominciò a minacciare tutti gli
abitanti.
Rosabella era terrorizzata, chiamava la Mamma e piangeva a dirotto,
mentre Soave l'abbracciava e non sapeva come fare a farla smettere.
Finché ricordò una delle canzoni inventate da Rosabella, e ispirate a
un disegno, in cui Soave aveva ritratto la loro ultima festa di
Compleanno. Nel disegno si riconosceva che era estate, e un sole
caldo illuminava la festa, tenuta nel prato del castello. Il Re e la
Regina erano con loro, e si erano divertiti tantissimo.
Soave si fece coraggio, e provò a intonare la canzone. Certo,
all'inizio stentò un poco: difficilmente parlava, e non si era mai
provata a cantare, ma non appena Rosabella riconobbe la canzone si
unì alla sorella. A quel punto anche la voce di Soave prese coraggio,
e dopo poco un duetto si opponeva all'ululato del vento.
All'inizio il Malvagio Vento del Nord urlò ancora più forte, poi si
incuriosì di fronte alle due sorelle che gli cantavano contro, e
cominciò ad ascoltare la loro canzone.
A poco a poco ricordò quando, alla fine dell'estate, si limitava a
essere una brezza pungente, e accarezzava i grappoli d'uva sui filari,
e gli venne da sorridere. Cominciò anche a capire perché il Re e la
Regina non volevano che i suoi figli lupi calassero dal Nord.
Abbassò allora la voce e disse alle due sorelle, che non dovevano più
avere paura, ma che dovevano continuare a cantare. Non si sarebbe
mai più avventato contro il castello, però sarebbe tornato ancora per
ascoltare le loro canzoni. E questa volta avrebbe chiesto il permesso
ai loro genitori.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 105 ~
E così fu: gli Orrendi Lupi rimasero sempre buoni buoni nelle loro
foreste, e quando la stagione aveva bisogno di un po' di tempo
freddo, il Vento del Nord tornava al castello.
Soave e Rosabella allora cantavano per lui, che imparò anche a
leggere le storie nei disegni di Soave.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 106 ~
Chiara Giustiniani
I Sogni scomparsi
C‟era una volta una bambina che non sapeva sognare. Si impegnava,
si sforzava, ma davvero non vi riusciva.
Viveva in un mondo molto lontano da qui, dove sognare era molto
importante: infatti, attraverso i sogni tutte le persone che abitavano in
quelle lande avevano idee geniali, idee di quelle che normalmente
non sfiorano neanche le nostre menti.
Ma loro, nei sogni, vedevano chiaramente queste idee, da sfruttare
poi nelle giornate successive.
E lei non sognava.
Un giorno, la madre le disse:
“ Questo è un grande problema, piccola. Devi imparare a sognare,
oppure per te la vita sarà difficilissima!”
Ma per quanto sua figlia si sforzasse, non riusciva a sognare.
Finchè, un giorno, non incontrò il Grande Drago Blu.
Era andata nella foresta accanto al paese, a piangere dopo aver
litigato con la madre, quando vide una luce. Una luce azzurra, con
dei lampi che variavano dal turchese al verde acqua fino al blu più
profondo, ma fondamentalmente era una luce azzurra, e celeste.
Proveniva da una caverna, nascosta, e la bambina corse a vedere cosa
stava succedendo. E lì incontrò il Grande Drago Blu.
Certo, all‟inizio non conosceva il Grande Drago Blu, ma
educatamente lui si presentò. Fece un inchino, e la bambina salutò a
sua volta, stupita. Cosa voleva quell‟essere da lei? I sogni erano a
miglia da lei, quando lui chiese, sbrigativo:
“ Insomma, qual è il tuo desiderio più grande? Cosa vorresti con tutte
le tue forze? Qual è la cosa per la quale pagheresti qualunque
prezzo?”
E la bambina, senza pensare, senza neanche ricordare il suo
problema con i sogni, rispose:
“ Voglio essere ricca! Certo, è questo che desidero!”
E il Drago l‟accontentò. Lei uscì, con un sacco d‟oro sulle spalle,
tornando felice da sua madre.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 107 ~
Durante il viaggio, la bambina si rese conto dell‟errore. I sogni,
aveva bisogno dei sogni! Come aveva potuto dimenticarli? Come
aveva potuto chiedere dell‟oro che in un paio di anni sarebbe finito,
invece dei sogni? Era disperata.
Ma sua madre non l‟avrebbe rimproverata… No, non l‟aveva mai
fatto, di certo non l‟avrebbe rimproverata per aver desiderato
dell‟oro. Eppure si vergognava, era stata sciocca, molto sciocca…
Appena arrivata a casa, mostrò il contenuto della borsa alla madre.
La vista di tutto quell‟oro illuminò gli occhi di sua madre, e quindi a
mo di spiegazione la bambina le sussurrò, sorridendo:
“ Ho incontrato il Grande Drago Blu, in una caverna nella foresta.”
“Sapevo esistesse un Drago, nella foresta… ma credevo offrisse un
solo desiderio. Immagino avrai risolto il tuo… problema notturno,
no?” Sua madre era contenta, e la bambina non riuscì a dirle la verità.
No, non aveva risolto il problema dei sogni, ma… Come poteva
ammetterlo davanti alla madre?! Non ne ebbe il coraggio, e si
ripromise di tornare alla caverna, il giorno successivo.
Andò a letto. Dormì di un sonno agitato. E non sognò.
Il giorno successivo la madre le chiese:
“Allora, figlia mia, cosa hai sognato questa notte?” E la bambina
mentì. Inventò un sogno plausibile, che le era stato raccontato tempo
addietro, e la madre vi credette.
Quel giorno tornò nella foresta con una scusa. Non voleva rimanere
con la madre, e aveva il dovere di cercare il Grande Drago Blu.
Tornò doveva aveva visto la luce, ma il bosco era quieto e buio.
Nessuna luce. Allora andò verso il punto in cui credeva di aver visto
la caverna. Non ne era davvero sicura, ma voleva provare… Doveva
trovare il Grande Drago Blu e cambiare il suo desiderio prima che la
madre scoprisse l‟inganno.
Ma non trovò nessuna caverna. Cercò fino a sera, e rientrò a casa
distrutta. Cenò, ed andò a letto. Non sognò.
La mattina mentì ancora alla madre, e uscì a cercare il drago.
Ma non ottenne nessun risultato.
E così ancora per giorni e giorni.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 108 ~
Nicola Loreti
Una notte, mentre tornavo a casa a piedi, ho
sentito…
…Uno strano rumore che proveniva dalla finestra della mia
cameretta. Decisi di andare a dormire. Appena mi sdraiai sentii di
nuovo quello strano rumore, come un fruscio che aumentava sempre
di più. Ad un tratto la finestra si aprì di colpo e decisi di andarla a
chiudere. Da li vedevo: l‟erba che ballava a destra e sinistra, un
gruppo di foglie veniva verso di me, gli alberi che sembravano
prendere il volo e le persiane dell‟edificio accanto sbattevano
arrabbiate. Non avevo tanta paura perché la mia immaginazione mi
faceva pensare ad un fruscio non così agitato, pensi ad una mano di
un bambino che giocava alzando le foglie, con l‟erba, apriva e
chiudeva le persiane, spostava le soffici nuvole nel cielo scuro e
correva per tutto l‟edificio. Il suo rumore mi dava l‟idea al soffio del
bambino che si scaldava le mani: leggero, caldo, rumoroso, allegro e
talvolta agitato. Sorrisi pensando al bambino e sentii come una
carezza sulla pelle, forse era il bambino? Chi lo sa? Ma una cosa è
certa: non mi ha messo tanta paura, perché ammiravo tantissimo quel
magnifico paradiso naturale, creato dal figlio di madre natura. Decisi
di lasciarmi alle spalle quel magnifico amato, solo da me, e di
mettermi al letto per addormentarmi, sperando di rincontrarlo la sera
dopo.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 109 ~
Alice Lupato
L‟aquila
Fino a poco tempo fa pensavo che sognare fosse un passatempo
molto sciocco. Ero terribilmente realista e non mi concedevo mai
voli con la fantasia, poiché sapevo, anzi credevo di sapere, che ciò
che immaginavo non sarebbe mai potuto diventare realtà.
Ho capito poco tempo fa che mi sbagliavo clamorosamente.
Sono qui per raccontarvi la mia storia:
Il mio nome è Ernesto Ferretti, ho 33 anni e lavoro per una delle più
importanti banche del paese.
Mi definisco una persona concreta e idealista e ne sono fiero, o
almeno lo ero finché un incontro non mi ha cambiato la vita… ma
procediamo con ordine.
Da bambino non aspiravo nemmeno lontanamente a fare carriera nel
mondo delle cifre e del denaro. Mi sembrava di una freddezza e
tristezza infinite.
La mia più grande passione erano i libri d‟avventure: li leggevo tutto
d‟un fiato e mi immedesimavo nei protagonisti. Sognavo per me un
futuro da audace pirata terrore dei Sette Mari o coraggioso cavaliere
pronto a morire pur di salvare la sua patria.
Sopra tutti questi sogni ce n‟era però uno che desideravo si avverasse
con più intensità: desideravo essere un‟aquila forte e dalle grandi ali,
per poter volare e perdermi nel blu del cielo. Mi affascinava il suo
essere allo stesso tempo rapace maestoso e temibile, capace di
ammaliare e di incutere timore, esperto nella caccia come nessun
altro.
Tutto cambiò quando un giorno commisi l‟errore di parlare delle mie
fantasie con mio padre. Si arrabbiò moltissimo e mi sgridò urlando
che era ora di smetterla con le sciocchezze e che dovevo pensare
seriamente al mio futuro per riuscire a guadagnarmi da vivere.
Tenevo molto alla stima di mio padre, e il suo discorso mi ferì
profondamente. Allora decisi che l‟avrei reso fiero di me, che avrei
chiuso in un cassetto tutti i miei sogni più belli, ripetendomi che
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 110 ~
l‟immaginazione non coincideva con la realtà. E lo ripetevo talmente
spesso che finii per convincermene davvero.
Studiai molto, completai con successo il corso di laurea e trovai
subito lavoro come consulente finanziario. La mia vita scorreva
sempre con lo stesso ritmo; i giorni si succedevano uguali e
monotoni, ma io mi crogiolavo in quella monotonia nella quale
pensavo di riconoscere la strada da seguire per raggiungere la
felicità.
Ma sebbene non volessi ammetterlo con me stesso, sapevo che non
era in quel modo che desideravo vivere.
Poi un giorno tutto cambiò.
Come tutte le mattine stavo andando al lavoro quando accadde
qualcosa di incredibile: il paesaggio intorno a me cambiò di colpo:
fuori dal finestrino del mio fuoristrada non vedevo più le grigie
strade della città ma prati verdi sconfinati, alte montagne con le cime
innevate e torrenti argentei.
Spensi il motore, scesi dalla macchina e appena chiusi la
portiera…l‟automobile svanì nel nulla.
Incuriosito cominciai a camminare per esplorare il posto. Un
momento dopo sobbalzai: qualcuno mi aveva messo la mano sulla
spalla! Mi voltai sorpreso e incuriosito. Dietro di me c‟era una donna
che mi fissava. Non era umana, di questo ero certo: aveva qualcosa
in più. Forse l‟aria solenne o il pallore etereo, la grazia nei
movimenti o lo sguardo profondo: tutto contribuiva a dare di lei una
sensazione di essere speciale.
Finalmente dopo un lungo silenzio la donna parlò. Aveva una voce
limpida e musicale, come solo…le fate possono avere. Sì, ne ero
certo, doveva essere per forza una fata.
Da piccolo avevo creduto nelle fate e nella magia, per poi crescere e
convincermi che non erano reali. Ora che avevo davanti lei capivo
che mi ero sbagliato. Non mi passò nemmeno per la mente che
potesse essere solo un sogno, cosa che di certo avrei pensato
normalmente. La fata era lì, reale, viva; e quando ci pensai mi accorsi
che aveva finito di parlare e io non avevo ascoltato una parola di ciò
che voleva dirmi, perso com‟ero nei miei pensieri. Imbarazzato tentai
di scusarmi, ma la fata mi bloccò prima che potessi proferire parola.
Con un gran sorriso mi disse: ”Capisco che tu abbia molti pensieri,
Ernesto, ma ora ti chiedo per favore di ascoltare ciò che ti devo dire”
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 111 ~
Tacque per un momento per vedere se aveva catturato la mia
attenzione. Stavolta ero pronto e la guardai, ansioso di sentire ancora
la sua voce cristallina.
“Ti ho fatto venire qui perché so che non sei felice, Ernesto. La vita
che ti sei costruito è perfetta, ma per qualcun altro. So, come sai
anche tu, che sei nato per volare alto. Ed è ciò che farai ora!” Senza
capire la sentii pronunciare parole misteriose, e ad un tratto
scomparve.
Restai lì fermo per un minuto o due, cercando una spiegazione a
quanto era accaduto, quando sentii che i miei piedi non toccavano
più la terra…guardai giù e vidi che il prato si stava allontanando da
me a velocità vorticosa! Mi trovavo adesso sopra un laghetto…ma
l‟immagine che vedevo riflessa non era la mia ma quella di un
uccello…ma sì, doveva essere proprio quello che
pensavo…un‟aquila! La fata mi aveva mutato in un‟aquila!
Ero felicissimo, finalmente il mio sogno più grande trovava
realizzazione! Volavo e volavo, fra le cime delle montagne e nel
cielo azzurro; potevo vedere il mondo che scorreva sotto di me.
Capii allora che tutto è possibile ed imparai a credere nella forza dei
sogni.
Mentre volteggiavo nel cielo ero finalmente libero di fantasticare.
Libero di essere felice.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 112 ~
Pietro Malevolti
Un bambino arrabbiato e la sua zia
Sono qui, in classe, mentre la mia penna scrive sul foglio. Guardo
fuori dalla finestra: un manto bianco ricopre tutto il paesaggio: i
gloriosi alberi, austeri nella loro posizione, sono scossi dalle raffiche
e sembrano chiedere aiuto, mentre resistono nella bufera che
imperversa.
Un piccolo uccello giunge al suo nido, mentre la tempesta lo
sballotta in ogni dove. I sempreverdi, invece, resistono immobili,
mentre le verdi foglie spiccano sulla neve, ultime sopravvissute alla
tempesta. I ciuffi d‟erba combattono più di tutti, fino a che,
trionfanti, sbucano in superficie. Ma il gelo è un nemico pericoloso,
grosso serpente che porta distruzione. La baracca che è fuori, invece,
è distrutta e sopraffatta dal gelo.
Gli arbusti sono i più avvantaggiati ed i loro rami, deboli
all‟apparenza, si piegano, lasciando cadere la neve. Lì, i deboli non
sono deboli, ed i forti non sono forti, non conta la grandezza. La
vecchia stazione invece, con le finestre giallognole e le persiane
verdi, disposte ordinatamente, resiste seriamente anche se ogni tanto
il vento fa tremolare un poco il tetto.
Ad un tratto la bufera si intensifica. I mulinelli iniziano a girare come
tanti tornadi. Essi raccolgono moltissima neve e creano un grande
tappeto bianco, ricamato dal vento e dal gelo. Poi, come un bambino
che si addormenta, la tempesta si attenua. Ma il bambino continua a
bussare al vetro. Già, il vetro, un adulto che cerca di calmare il
bambino infuriato, ma non ce la fa; può solo proteggere le
formichine, cioè noi. Spinto da un‟energia incredibile il vento per un
secondo crea delle terribili folate, note, sotto la bacchetta del Grande
Maestro. Ma ecco che la nebbia diminuisce di volume. La scuola mi
ricorda Moby Dick che, inghiottendoci, ci protegge dai pericoli del
mare. Lo squalo sbuffa, si agita, ma Moby Dick non si lascia
mangiare. Mentre la natura, zia paziente, cerca di calmare la neve,
con pochi risultati. Essa corre, è un cane euforico, corre qua e là nel
mercato, fra le urla di venditori e i rumori delle pere sbattute. Le
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 113 ~
penne dei miei compagni scrivono. La mia esita, si ferma, poi riparte.
Le idee sono come i soldi, quando meno te lo aspetti ritrovi un euro
in tasca. Termino di scrivere sperando che la zia Natura riesca a
calmare il suo nipotino.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 114 ~
Simona Mastrangeli
Angel of caos
“Il mondo, come lo conosciamo noi, non è che una mera illusione. Il mondo dei sogni, quella è la più bella delle illusioni di questo mondo…poi c‟è l‟amore, un incubo e un desiderio, la tentazione e la follia…” Mi sono sempre chiesto come mai, il mondo, visto dall‟alto appare
sempre così nitido. Alcune volte mi piacerebbe chiudere gli occhi e
percepire il mondo così come fanno gli uccelli e inspirare l‟aria,
profondamente, a pieni polmoni. Eppure oggi, sotto questo vento
autunnale le nuvole si fondono con il sole per dare un misto
d‟incanto che è il tramonto arancio che sa di dolce, quasi di miele.
Stendo le membra addormentate sull‟erba soffice e verde-giallastra
che invade la collina, tastandola con i polpastrelli per saggiarne la
morbidezza. Stupidamente sorrido, mentre la tramontana richiama i
sensi a risvegliarsi e a dedicare ancora un poco la mia attenzione al
paesaggio che muta, ma io pigramente, preferisco rilassarmi e donare
il mio corpo alla natura, senza soffermarmi sulla miriade di luci che
già so, tra un po‟ verranno accese sulle strade e sui viali, oscurando
la vista delle stelle con ancora più luce. Rido e d‟un tratto un
qualcosa di morbido e profumato sfiora la punta del mio naso un
poco all‟insù. “Sai che sei bellissimo quando dormi?” Una voce
scherzosa, ma calda e avvolgente penetra dolcemente nelle mie
orecchie, ma non ho mai avuto bisogno di aprire gli occhi per
distinguere le tonalità dei miei amici, specialmente quella di Raphael.
“Peccato che io non stia dormendo”, rispondo stiracchiandomi
assaporando quel fiore e tuffandomi con il naso al suo interno,
imitando un cagnolino. D‟un tratto mi sorprende Raph con la sua
gentilezza e mi stampa un candido bacio sulla fronte che sa di
mirtillo selvatico e ribes, frutti che, da quando lo conosco mi hanno
sempre fatto pensare a lui. Apro gli occhi, con quel mio sguardo
azzurro che doveva sembrargli instupidito, e inclino un po‟ la testa
per osservarlo mentre mi si china accanto, mettendosi anche lui
sull‟erba, a rotolare come un gatto domestico sul divano, tentando di
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 115 ~
prendere qualche farfalla, senza una vera intenzione. “Drake…” mi
giro sentendo mugugnare il mio nome, avvicinandomi a lui
emulando un soldato in trincea. Raphael si gira, assumendo una
posizione supina, che fa mimetizzare i suoi capelli blu notte con
l‟erba privata della luce del sole ormai scomparso ad ovest, dietro le
montagne. I suoi occhi sono come un pozzo di cui è impossibile
decifrare la profondità: ah quante volte sono rimasto intrappolato dai
suoi occhi senza alcuna possibilità di sfuggirgli. “…Oggi è il tuo
compleanno, esprimi un desiderio” mi lecco le labbra e mi avvicino a
lui, nel modo più suadente che conosco “dammi un bacio, mio angelo
tenebroso” lo provoco io, sperando davvero che mi si avvicini e mi
tenga stretto a sé, senza pensare a quell‟etica che da sempre ci divide
e che non ci farà mai stare insieme. “Che sei stupido!” Mi risponde
strattonandomi la testa all‟indietro, scherzosamente. Sorrido, non
voglio che sappia quanto lo desidero, né quanto per me
quest‟amicizia sia qualcosa di totalmente diverso. Prendo il fiore di
loto e scappo, verso casa, con il cuore che mi batte a mille, pronto ad
esplodere. “Ci vediamo domani, Raph” lui rimane lì, imbambolato e
mi guarda andare via, sollevando e agitando la mano. Anche domani
ci sarà.
Il fiore di loto, inspiro prima il suo odore, per poi metterlo in mezzo
a una pagina vuota del mio diario, mentre prendo la penna dalla
scrivania e inizio a scrivere, pensando a lui, una poesia di getto, che
già so dopo aver riletto donerò alle fiamme, affinché questo mio
sentimento, che arde con loro, possa essere spazzato via come cenere
al vento.
“ Come un ladro sei tu nell‟oscurità,ti aggiri per le strade celato dalla maschera della notte. E allora ruba i miei baci,strappa via i miei vestiti, togli alla Morte le tue sensuali carezze. Ti aspetto, veglio con la finestra aperta, nella speranza che un soffio di vento possa svelare la tua immagine avvolta dal nero più cupo, dal mistero più profondo. Prendimi, sono tuo, solo un piccolo passo ci separa, solo un battito di farfalla. E allora apri le tue ali, angelo corvino vola fin qui e strappa ancora da questo corpo mortale un tacito sospiro di piacere … ” Lo brucio, con una lacrima e un petalo di loto, perché mi da una
sensazione di calore e di unione fra me e lui. Ma il loto, che sopisce
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 116 ~
le passioni e dona oblio ai sensi, mi annebbia la vista, o forse sono le
mie lacrime infantili chissà… mi abbandono nel letto, sprofondando
la testa nel mio cuscino e sogno. Adoro sognare, è l‟unico posto dove
la mia fantasia non viene punita né giudicata, dove posso assaporare
la libertà…
“Essere legati o in trappola, dimmi, cos‟è meglio?” Un tintinnio
veloce si mischia al suono del mio respiro affannato, nel vuoto.
Vista, udito, olfatto, gusto, tatto, coscienza...si mischiano in un
onirico miraggio. Posso sentirlo, accanto a me, che mi accarezza i
capelli biondo grano, inebriandomi di ribes e mirtilli. Vuole una
risposta, ma non saprei cosa rispondergli. “Preferisco la libertà,
volare alto come un uccello e guardare la città che si perde e si
confonde sotto il mio sguardo” lo vedo sorridere dolcemente, con gli
occhi che hanno in sé la luminosità di una stella in un cielo notturno.
“Allora vieni con me” mi prende la mano, stringendola nella sua,
pallida e leggermente fredda. Non lo contraddico e assecondo i suoi
movimenti, perfino quando mi porta verso la finestra aperta, alla luce
della luna. Indossa un abito elegante composto di tunica di pregiata
seta color rosso borgogna lungo fin alle ginocchia. Bottoni argentati
e ricami sul colletto la impreziosiscono donandogli un aspetto
vagamente elegante. Pantaloni neri anch‟essi in seta e cinta in vita
completano il suo aspetto, che par composto e severo in netto
contrasto con il suo volto gentile. Dietro la schiena si aprono due
strane ali soffici e ampie del color della pece e del mistero, con
sfumature violacee,che compongono strane fantasie quando vibrano
all‟unisono. “Buon compleanno, Drake!” Mi sussurra all‟orecchio
strattonandomi di sotto. Spalanco gli occhi, tramortito, reggendomi a
lui che, straordinariamente, volteggia nell‟aria quasi volesse
adagiarsi su un letto immaginario, apre le ali lasciandole maestose e
belle aperte e sfiorate dal vento, due rapidi battiti dal basso all'alto
per velocizzare la sua discesa, in picchiata. Mentre i muscoli delle
sue ali vanno a tracciare archi perfetti nell'aria, io come un bambino
che guarda per la prima volta il mondo, con il cuore in gola che batte
all‟impazzata, apro le braccia, come a cercar quelle ali che ha lui e
che bastano a entrambi. Perché lui, l‟ho sempre saputo, è un angelo
del caos, sceso sulla terra per scombussolare la mia esistenza,
rendere la vita vera e mozzafiato, unica e spumeggiante come le
acque di un mare in tempesta che si dimenano turbolente. “Quella è
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 117 ~
casa tua!” Indico con enfasi andando a ricercare con i miei zaffiri i
suoi occhi d‟onice. “Sì” annuisce dando due colpi poderosi con i
muscoli delle ali per aumentare la velocità, dirigendosi verso la
collina laddove ci eravamo incontrati, oltrepassandola verso la
montagna, laddove crea uno strapiombo e si getta con la grazia di
una fanciulla nelle acque pacate e calme di un lago salmastro. Si
poggia delicatamente sulla scogliera, dove crea una piccola
insenatura al riparo dai venti e mi abbraccia, mentre la mia testa,
impazzita, non riesce più a comprendere ciò che ha intorno e
percepisce solo lui, il suo battere del cuore ritmico, il suo respiro
costante. Mi perdo tra le sue braccia possenti mentre la salsedine si
fonde con il ribes creando una strana fragranza assuefacente.
Istintivamente le mie labbra vanno a cercare le sue, scontrandosi in
un duello appassionato che hanno come premio due morbidi lembi
di carne sapor del miele, che schiudendosi, calde, svelano una lingua
umida che si dimena come un serpente sinuoso in un bosco di querce.
“Drake, è un battito di farfalla quello che ci separa, una piccola ma
incolmabile distanza” asserisce malinconico staccandosi da me, ma
tenendomi sempre accanto al suo corpo scultoreo che in questo
momento più che in ogni altro mi sembra come fatto di un liscio
marmo pregiato. “Sai una cosa Raph? Mi piace essere una farfalla,
essere come lei e annullare con le mie ali quello spazio che mi
allontana da te” sorride, accarezzandomi la fronte e perdendosi le
mani fra i miei capelli biondi, circuendomi le ciocche più lunghe con
le dita affusolate. “Può anche essere bello, ma ricorda che le farfalle
non vivono che un giorno” il tono della sua voce è freddo,
immutabile e piatto, è il mio piuttosto che varia prendendo degli
acuti che mai avrei pensato di raggiungere. “Cercherò di farmi
bastare quel poco tempo che ho per stare con te!” Rispondo e senza
indugiarci troppo, cerco nuovamente la sua bocca accogliente,
mentre percepisco gradualmente la sua figura dissolversi e
abbandonare i miei sogni.
“Drake, forza svegliati, stamattina mi avevi detto che saremmo
andati al lago!” Mi sveglio di soprassalto, ritrovandomi Raphael,
vestito in un modo stravagante per assomigliare a chissà quale
pescatore, che mi scuote violentemente cercandomi di tirare giù dal
letto. Io, madido di sudore, lo guardo sconvolto e violentato perché
mi ha strappato da quel bellissimo sogno in cui potevo sentirmi
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 118 ~
libero davvero di esprimere ciò sento e provo per lui. Ora di quel suo
aspetto onirico da cacciatore suadente non ha più nulla, ma il suo
fascino permane, anche con quei calzoncini marroni un po‟ troppo
corti. Gli sorrido e mi alzo, soffermandomi un po‟, indugiando sugli
occhi e perdendomi come fa l‟acquamarina in una landa buia.
Riuscirò mai ad uscire da questo incredibile sogno che mi imprigiona
e mi libera allo stesso tempo?
Spero vivamente di no, perché perdere il mio desiderio per lui
equivarrebbe a perdere la mia vitalità. E non cercherò di cambiare il
nostro rapporto, non l‟ho mai preteso. Raphael, mi basta averti
accanto…
Uscendo non mi accorsi di aver lasciato la finestra aperta…un timido
soffio di vento vi entrò disperdendo nell‟aria cenere di carta bruciata,
fiore di loto e una piuma corvina…
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 119 ~
Matteo Mongardi
Il mistero del cavolo cappuccio
Tutto è cominciato così: era una bella mattina d‟estate e stavo
lavorando tranquillo quando ….
Ah!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! Dimenticavo di presentarmi: io sono Mat la
carota investigatrice e vivo in via dell‟orto al numero 16 nella
pianura del Grande Minestrone.
Allora stavo dicendo che mentre lavoravo è arrivata la melanzana-
polizia e mi ha avvisato che il famoso ladro cavolo cappuccio, quello
che ha derubato la banca più ricca della pianura, è evaso dalla
prigione.
Subito mi misi a lavorare su quel caso e a cercare indizi, trovai infatti
un biglietto che diceva dove abitava il nonno del cavolo cappuccio.
Così andai subito a trovarlo, ma lui non c‟era e sulla porta trovai un
biglietto su cui era scritto che era andato a trovare suo nipote.
Purtroppo non c‟era scritto dove.
Allora chiesi al vicino di casa il signor pomodoro se sapeva dov‟era
andato il nonno e lui mi riferì che si era recato a Patu, un paese
vicino alla Sagra dell‟Agricoltura.
Così andai di nuovo in casa del nonno del cavolo cappuccio e frugai
nei cassetti e trovai un altro indizio: un costume da pomodoro con
un‟etichetta con le iniziali del figlio.
Così lo riferii alla melanzana-polizia che cominciò a controllare un
paio di pomodori sospetti, ma non erano loro.
Quindi mentre la melanzana-polizia cercava altri pomodori da
controllare, io andai a fare altre indagini.
Passeggiando in via pomodori annusai una puzza inconfondibile e
sotto quella nuvola di puzza mi accorsi che c‟erano dei cetriolini,
allora scoprii che il cavolo cappuccio mangiava i cetriolini …….
Mi venne un‟illuminazione e mi ricordai che alla Sagra
dell‟Agricoltura ci sarebbe stato il grande raduno dei cetriolini.
Così andai subito alla Sagra dell‟Agricoltura dove trovai in prima fila
uno strano pomodoro odoroso di puzza molto sospetta.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 120 ~
Mi avvicinai e non era odore di violetta, ma l‟inconfondibile puzza di
cavolo cappuccio.
Allora lo catturai e lo consegnai alla melanzana polizia.
Finalmente il caso era risolto.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 121 ~
Letizia Pagani
Un cane come eroe
C‟era una volta un cucciolo randagio. Assomigliava ad un San
Bernardo, ma non lo era.
Nessuno lo voleva ed intanto cresceva e diventava grande.
Un giorno incontrò un bambino che lo prese con sé e lo portò a casa.
Il bimbo si chiamava Leo e non aveva amici perché tutti pensavano
che fosse un po‟ imbranato.
Era così indeciso, che non trovava nemmeno un nome per il cane.
Intanto, in paese, si era sparsa la voce di un uomo cattivo che entrava
di notte a rubare nelle case.
Una volta, quando era già buio, Leo sentì dei rumori strani provenire
dalla casa dei vicini…ma i vicini erano in montagna!
Aveva molta paura, ma insieme al suo cane decise di andare a
vedere.
La porta dei vicini era socchiusa.
All‟interno videro un uomo incappucciato che riempiva un grosso
sacco: era il ladro!
Il cane gli si avventò contro e lo schiacciò con il suo peso, mentre
Leo chiamava la polizia.
Arrestato il ladro, il bambino accarezzò il testone dell‟animale e gli
disse: “Ho deciso che ti chiamerò Supercane!”
Da allora Leo e Supercane divennero ancora più inseparabili.
Erano gli eroi del paese e tutti i bambini volevano fare amicizia con
loro.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 122 ~
Rita Ruccione
Le sette perle magiche
C‟era una volta un regno, e c‟erano un re, una regina, e la loro
bellissima figlia, la principessa Aurora. La vita in quel regno
scorreva felice, come il fiume che lo attraversava, il popolo, i servi di
corte, i giovani, i vecchi, tutti erano contenti di vivere in un posto
così bello. La gioia si fece più grande quando il re e la regina
annunciarono che la loro figlia sarebbe andata in sposa al principe
Mattino, un ragazzo bello, coraggioso e leale. Ma quando arrivò il
giorno delle nozze il crudele e avido Malus, da sempre innamorato
della principessa, attuò il suo piano malvagio: con un sortilegio fece
addormentare Aurora, la rapì e la portò via con sè. La notizia
addolorò tutti e gettò nella disperazione il principe Mattino. Il
giovane si precipitò dalla maga di corte e la donna gli rivelò che
avrebbe trovato Malus alla fine del bosco, nella fortezza che sorgeva
al centro del Lago Rosso. Il bosco era un labirinto infinito di sentieri
ignoti, oscurato da una vegetazione fittissima. Il principe non si perse
d‟animo e vi si addentrò lo stesso; camminò a lungo fra gli alberi
tutti uguali, ma alla fine si smarrì, si trovò senza vie d‟uscita e fu sul
punto di arrendersi, quando sentì delle voci rompere il silenzio. Due
balordi si stavano prendendo gioco di un vecchio: il saggio del
bosco. Il principe si lanciò subito in suo soccorso e mise in fuga i due
uomini. Il saggio lo ringraziò e gli domandò cosa l‟ avesse spinto a
inoltrarsi in un posto così buio. Il principe gli raccontò della sua
principessa rapita e gli chiese quale strada seguire per arrivare a
Malus. “Non conosco la tua strada – disse il saggio –ma posso darti
questa scatola, ti aiuterà a trovarlo, conservala con cura, non buttarla
via, dentro ci sono sette perle magiche che ti indicheranno la giusta
direzione e ti difenderanno ogni volta che ne avrai bisogno.
Amministrale con saggezza, sono solo sette, e ti devono bastare per
sempre.” Il principe Mattino si inchinò al saggio, lo ringraziò e si
mise in viaggio. Mentre camminava una musica dolce destò la sua
attenzione, alzò lo sguardo e scorse, seduta sui rami di una grande
quercia, una fanciulla bellissima che suonava l‟arpa. Alla vista del
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 123 ~
principe la ragazza smise di suonare, lui la pregò di continuare e lei
gli promise che l‟avrebbe fatto solo in cambio della scatola. Stregato
da quella creatura il principe accettò la proposta, ma, afferrata la
scatola con le sette perle magiche, la bella suonatrice scappò via, lui
la inseguì invano fino a perdersi nuovamente finché, vinto dalla
stanchezza e dallo sconforto, si addormentò vicino ad un ruscello.
Durante la notte gli apparve in sonno il saggio del bosco. Il vecchio
lo guardò negli occhi e disse: “Il bosco è un posto pericoloso, hai
camminato, ma sei tornato al punto di partenza, non hai saputo
mantenere la tua strada e difenderla dalle insidie. La creatura
bellissima che hai incontrato è Malìa, la dea della tentazione, è lei
che ti ha sottratto la scatola, ma sappi che nelle sue mani il contenuto
di quella scatola è solo polvere. Adesso la risposta alla tua
disperazione è alla fine di questo ruscello.” Il principe si svegliò e
subito si mise a camminare lungo la riva del ruscello; il corso
d‟acqua tagliava il bosco e terminava la sua corsa davanti ad un
villaggio di squallide spelonche, tra queste riconobbe la casa di
Malìa, perché aveva un‟arpa davanti alla porta d‟ ingresso. Non ci fu
bisogno di bussare, la porta si aprì con un fastidioso cigolio,
rivelando la più orrida delle streghe al posto della creatura bellissima
che l‟aveva incantato. Con gesto rabbioso e senza pronunciare parole
la donna scaraventò ai suoi piedi la scatola piena di polvere, lui la
raccolse e vide Malìa sparire dietro la porta, e la polvere trasformarsi
nelle sette perle. Il principe chiese alla prima perla di diventare un
cavallo alato, che in un attimo lo condusse fuori dal bosco. Fuori dal
bosco gli si presentò un‟ orribile visione: il Lago Rosso con al centro
la fortezza di Malus avvolta dal fumo e dalla nebbia e circondata da
settecento guardie armate fino ai denti. Aprì la scatola e prese la
seconda perla che in un baleno si trasformò in una spada vibrante
nell‟aria e pronta alla battaglia. Con quell‟arma invincibile il principe
attraversò la lingua di terra che collegava la riva del lago alla
fortezza, lottò e sconfisse le guardie del male, tentò di entrare nella
fortezza, ma il perfido Malus dall‟alto stava lanciando palle di fuoco
e serpenti avvelenati. Allora tirò fuori la terza perla, che divenne uno
scudo magico, capace di respingere l‟ attacco e in un baleno il
principe fu davanti a Malus in un serrato corpo a corpo. Nello
scontro Malus cadde dalla torre e morì. Il principe salì sulla torre più
alta, dove la principessa era imprigionata dietro mille catenacci, aprì
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 124 ~
la scatola e la quarta perla si trasformò in una chiave a cui nessuna
catena resistette. La principessa Aurora era finalmente libera,
abbracciò il suo principe che aprì per l‟ultima volta la scatola. La
quinta perla si trasformò in una carrozza che portò i due innamorati a
casa, nel loro castello. Si organizzò una grande festa per le nozze e
così la principessa Aurora e il principe Mattino vissero felici e
contenti, con dentro la scatola ancora due perle: quelle del loro
amore, che li avrebbero protetti e avrebbero indicato loro la giusta
direzione ogni volta che ce ne fosse stato bisogno.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 125 ~
Claudia Scoppa
Un colpo di fortuna Sono Claudia, una bambina di quasi undici anni e vi voglio
raccontare una mia avventura.
Quel giorno ero nella mia cameretta e cercavo di finire la montagna
di compiti che le professoresse mi avevano assegnato per le vacanze
natalizie.
Il tempo era lo stesso da una settimana: capriccioso.
Le nuvole si lamentavano continuamente con tuoni e spesso si
mettevano a piangere facendo cadere al suolo grossi goccioloni che
si moltiplicavano e precipitavano sempre più velocemente e
violentemente.
Non poteva certo mancare quel fastidioso vento gelido che riusciva a
far muovere tutti i pini che erano davanti casa mia e per il quale
succedevano cose pericolose. Un ramo del fragile salice piangente
era caduto sulla strada proprio in quel momento.
Il ticchettio della pioggia e il rumore dei tuoni mi distraevano dal
materiale che dovevo completare, anche essendo studiosa, quello non
era certo il giorno ideale per concentrarmi sui compiti da fare.
Proprio quando mi era venuta l„idea per cominciare il tema a piacere
che la professoressa mi aveva assegnato, il telefono squillò e mi fece
dimenticare tutto.
Era mia nonna Carolina che mi chiedeva di andare con lei al cimitero
per fare una visitina ai parenti defunti.
Accettai con piacere: era proprio quello che aspettavo per
interrompere lo studio.
Dopo qualche momento di festeggiamento chiamai Dalila, la mia
miglior amica, e la invitai a farci compagnia.
Ci incontrammo tutte e tre davanti al cimitero.
Dopo qualche saluto entrammo in silenzio e ci dirigemmo verso la
tomba dei miei bisnonni. Lasciammo mia nonna a sistemare i fiori e
ci allontanammo per andare a salutare zia Carmela, una delle mie zie
preferite, morta da poco.
Prima di arrivarci notammo un‟altra tomba: accanto c‟era un buco.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 126 ~
Ci avvicinammo e proprio mentre Dalila si sporgeva per guardare, un
colpo di quel fastidiosissimo vento gelido la fece cadere dentro il
fosso. Senza pensarci troppo mi buttai anch‟io per aiutarla.
Mi ritrovai in un vortice arancione che mi fece precipitare su uno
squallido sentiero.
Davanti a noi si stagliava un orrido castello tenebroso.
Era circondato da un fossato di acqua sporchissima con melma
verdastra sulla superficie.
Il colore dell‟edificio era viola e aveva la torre più alta tutta storta.
C‟erano anche due torri laterali storte come la prima e su di esse
volavano tanti pipistrelli.
Il portone d‟entrata era di legno con la maniglia rotta ed era tutto
pieno di schegge.
Io, non so perché, insistetti per entrare nonostante le proteste di
Dalila.
L‟interno era peggiore dell‟esterno.
C‟erano ragnatele e scheletri ovunque, era tutto orrido e le scale
avevano la ringhiera fatta con sbarre di ferro, fin qui tutto normale,
ma notai che il corrimano era in realtà un SERPENTE!
Nella luce fioca di piccole candele si sentirono dei passi che si
avvicinavano a noi: ERA UN VAMPIRO!
Aveva capelli a pazzo, denti appuntiti che sporgevano fuori dalla
bocca da cui colava sangue e le sue mani protese verso di noi
avevano unghie lunghissime come artigli di un leone.
Faceva davvero paura e ghignava avvicinandosi a me e a Dalila.
Siete curiosi di sapere cosa accadde dopo? Se siamo riuscite a
scappare o se invece siamo finite nelle grinfie del vampiro?
La risposta è: “CHI LO SA!”
Vorrei saperlo anch‟io, ma mi sono ritrovata davanti al mio
quaderno.
Avevo sognato tutto!
Il bello è che dopo il sogno, ho saputo cosa scrivere nel tema che è
diventato un bel testo su un tremendo vampiro (cioè ho riportato ciò
che avevo sognato): è stato un colpo di fortuna.
Sapete cosa vi dico? Vorrei sognare anche i risultati dei calcoli e la
soluzione dei problemi di geometria ma so che chiedo troppo!
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 127 ~
Giorgia Silverii
Freddy e la capra Gelsomina
Tanto tempo fa, in una piccola fattoria viveva un asino di nome
Freddy .
Freddy era un ciuchino come tanti altri, aveva in più il dono della
pazienza ed era meno testardo degli altri muli.
Tutti i giorni era costretto a camminare per ore e ore su in montagna
trasportando sulla sua povera schiena terribili pesi.
La padrona, la signora Teodora era una donna scorbutica, cattiva e
trattava male tutti gli animali della sua fattoria, non li curava a
dovere e con loro era sempre gelita e poco gentile.
Il più fortunato se così si può dire era proprio Freddy. Teodora lo
trattava meglio degli altri; lo nutriva di più, qualche volta gli parlava
e lo strigliava quasi tutti i giorni.
La capra Gelsomina che aveva capito che la padrona sfruttava il suo
amico Freddy un giorno gli disse “Freddy amico mio, apri gli occhi,
non ti fidare della padrona lei è un‟arpia è cattiva con tutti a te ti
tratta bene solo perché tu lavori come un “somaro” per lei ma in
realtà non ti vuole bene come tu pensi”.
Freddy però non voleva credergli, anzi credeva che Gelsomina era
invidiosa come tutti gli altri animali e continuava a lavorare senza
risparmiarsi pur di far felice la padrona.
Freddy ogni giorno scendeva dalla montagna con cestoni di pietre
sulla schiena e non capiva cosa la signora Teodora ci facesse.
La Padrona lavava le pietre e poi andava in città, il più delle volte
tornava felice alla fattoria altre arrabbiata nera e se la prendeva con
tutti.
Una mattina la padrona caricò Freddy più che mai con il peso delle
pietre, all‟improvviso mentre scendeva dalla montagna Freddy
inciampò e cadendo, si fece male ad una zampa.
La padrona sembrava impazzita cominciò ad urlargli contro “brutto
somaro imbranato guarda cosa hai combinato, sei uno stupido
incapace”.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 128 ~
Freddy rimase scioccato dal comportamento della donna la quale si
preoccupava solo delle pietre e non della sua zampa ferita.
In quel momento ripensò alle parole di Gelsomina e capì, che quello
che la capra sospettava era tutto vero.
La donna non si arrese caricò di nuovo tutte le pietre sulla schiena
del povero somaro ferito e lo costrinse con il bastone a camminare
fino a casa.
Freddy la notte stette malissimo, Gelsomina gli restò accanto, lo
assistette e gli fece coraggio.
Al mattino arrivò alla fattoria il veterinario, la capra senti parlare la
padrona con il veterinario che disse “se domani mattina l‟asino non si
alza bisogna abbatterlo; ora dagli le medicine e lascialo riposare.”
La donna era infuriata, entro nella stalla e minacciò il povero
ciuchino dicendo “domani alzati altrimenti come farò a prendere le
pietre d‟oro, per colpa tua non diventerò mai ricca, se domani non
ricominci a lavorare ti assicuro che non lo farai mai più perchè mi
libererò per sempre di te”.
A quelle parole a Freddy si ghiacciò il sangue; era disperato.
Chiamò Gelsomina gli raccontò quello che era successo e anche la
capra raccontò all‟asinello quello che aveva sentito così insieme
organizzarono la loro fuga.
Gelsomina entrò in casa della padrona, prese le medicine, del cibo,
vide sul tavolo le famose pietre d‟oro le prese e le mise in un
sacchetto.
La padrona non si accorse di nulla perché era andata in città a fare
provviste.
La capra fasciò la ben stretta la zampa di Freddy, gli fece prendere le
medicine poi legò una corda al collo del somarello e tirò forte per
farlo alzare. “Forsa Freddy, devi farcela, dobbiamo scappare questa
notte perché l‟arpia non c‟è”.
Freddy rivolgendosi a Gelsomina gli disse :” Perdonami amica mia,
perdonami perché non ti ho creduto, tu sei buona e una cara
compagna, ti ringrazio dal profondo del mio cuore” Commossa la
capra risponde…..”si, si siamo veri amici, però ti prego, ora
scappiamo, però prima liberiamo tutti gli animali”.
La capra aprì il recinto a tutti gli animali della fattoria e li incoraggiò
a scappare.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 129 ~
Camminarono tutta la notte, si fermarono solo per prendere le
medicine e per riposarsi un po‟ poi di nuovo in cammino , erano
intenzionati ad andare molto lontano, non sapevano dove,
l‟importante era andare lontano e dimenticare la padrona.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 130 ~
Greta Silverii
Spiccio e la nuova famiglia
C‟era una volta in un grande bosco di querce, Spiccio un simpatico
riccio dal faccino allegro e dagli occhietti vispi.
Una mattina Spiccio stava andando a trovare i suoi amici: lo
scoiattolo Aldo, la tartaruga Geltrude, il coniglio Fiocco e il gufo
Tito.
Quando arrivò vide gli animali in preda al panico cosa era successo?
Era scomparsa Geltrude. Ma no no sarà andata a passeggio pensò
Spiccio. No, no era scomparsa. Aveva depositato 4 uova molto
tempo fa poi si era allontanata per trovare cibo e non era più tornata.
“Presto cerchiamola” disse il gufo preoccupato per le uova perché
tra breve si sarebbero schiuse e i piccoli avrebbero avuto bisogno
della loro mamma.
Tutti gli animali del bosco cercarono la tartaruga da tutte le parti ma
non c‟era traccia di lei.
Un picchio riferì di aver visto degli uomini con in mano una
tartaruga. Poverina era stata catturata ed ora come faremo con i
piccoli.
Spiccio allora molto agitato disse: “Dobbiamo allevarli noi fino a
quando non saranno autonomi. Altrimenti rischieranno di morire”.
Così tutti insieme andarono nella tana della tartaruga misero le 4
uova al caldo e a turno fecero la guardia.
Una notte si sentì uno scricchiolio, Spiccio cominciò ad urlare:
“venite le uova si stanno schiudendo.”
Gli animali erano agitati, Spiccio si avvicinò e vide per primo 5
tartarughini uscire dal guscio: “siete molto carini benvenuti” i
piccoli risposero “mamma” “no no io sono un riccio mi chiamo
Spiccio non sono vostra madre, io sono Tito e sono un gufo io sono
fiocco e sono un coniglio e io aldo lo scoiattolo”. “E noi chi siamo?”
“Voi siete i piccoli di tartaruga e la vostra mamma è stata catturata
ma non preoccupatevi penseremo noi a voi fino a quando vostra
madre non tornerà.”
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 131 ~
Intanto la povera tartaruga Geltrude preoccupata per i piccoli
cercava di scappare ma i bambini che l‟avevano catturata la
riprendevano sempre; non erano cattivi anzi la trattavano bene ma la
tartaruga rivoleva la libertà ma soprattutto voleva rivedere i sui
piccoli. Intanto i piccoli crescevano erano felici con quella strana famiglia.
Spiccio per loro era la mamma, che gli insegnava tante cose nuove
I piccoli si comportano sempre più come ricci perché imitavano
Spiccio in tutto.
Erano veramente una strana famiglia un riccio faceva da mamma, per
zii avevano un coniglio un gufo e uno scoiattolo.Venivano un po‟
derisi dagli altri animali ma a loro non importava erano felici così.
Quando Geltrude fu liberata era felicissima; finalmente poteva
tornare dai suoi cuccioli.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 132 ~
Stefano Silverii
La grande barriera
C‟era una volta nel Mar Rosso una bellissima barriera corallina
abitata da magnifici pesci variopinti gialli, neri, rossi a righe e dalle
forme più svariate e originali.
Un giorno mentre i pesciolini della barriera nuotavano spensierati,
improvvisamente arrivò un barracuda. Era terribile, grandissimo,
nero da far paura, con tantissimi denti taglienti. I poveri pesci
spaventati a morte nuotavano all‟impazzata cercando riparo, ma il
grosso pesce in un sol boccone ne divorò tanti e, incurante, distrusse
molti coralli.
Due piccoli pesci pagliacci di nome Flic e Floc si erano nascosti
sotto un grosso masso, erano terrorizzati dalla paura tanto da non
respirare. Finalmente dopo aver seminato il terrore il barracuda sazio
se ne andò e i due pesciolini ancora tremanti uscirono dal
nascondiglio.
Erano disperati perché non trovavano più i genitori, gli amici e la
loro casa era stata completamente distrutta.
Un delfino di nome Perla che passava da quelle parti sente il pianto
disperato dei pesciolini “perché piangete, cosa vi è successo?” I due
raccontarono la terribile avventura e il delfino decise di aiutarli a
dare un bella lezione al malvagio barracuda.
Il giorno dopo Flic e Floc riuniscono tutti i pesciolini sopravvissuti e
li incoraggiano a reagire dicendo loro che i delfini li avrebbero
aiutati a liberarsi da quel terribile “mostro”.
Arrivarono dodici magnifici delfini chiamati da Perla e arrivò anche
la grande tartaruga Geltrude.
Era una tartaruga molto saggia di circa novant‟anni, aveva esperienza
perché nella sua vita ne aveva visti di pesci malvagi e senza scrupolo,
anzi uno di loro l‟aveva ferita storpiandole una zampa quando era più
giovane ed ora era ben felice di aiutare i pesciolini a liberarsi di un
pesce tanto crudele.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 133 ~
Così tutti insieme decisero la strategia migliore per catturare il
barracuda; presero una grossa rete da pescatore che era adagiata sul
fondo, e la usarono contro il pesce.
Erano pronti con il piano, i delfini si nascosero dietro la grande
roccia con la rete stretta tra i denti mentre Flic, Floc e la tartaruga
facevano da esca.
All‟improvviso si vide spuntare il barracuda che vide i pesciolini e
disse” finalmente oggi posso far colazione, vi mangerò tutti e con la
tua corazza mi ci faccio un bel dondolo”.
“Vieni se hai coraggio” disse Gertrude, che cerca insieme ai
pesciolini di spingerlo vicino alla roccia.
I delfini gettano la rete sul barracuda e lo catturano. Più si dimenava
e più restava impigliato; nessuno accorse alle sue urla, anzi ci fu
Filippo lo squalo che arrivò chiamato da Perla per far colazione con
il barracuda.
Filippo era uno squalo buono, ma sempre uno squalo e gradiva molto
mangiare i pescioloni cattivi ed aiutare così i suoi amici.
Finalmente nella barriera tornò la serenità grazie all‟aiuto dei delfini,
di Geltrude e di Filippo.
Flic e Floc ritrovarono la famiglia, la tartaruga restò a vivere nella
barriera e i delfini promisero di tornare presto a trovarli.
Grazie agli amici la barriera tornò ad essere un paradiso tranquillo e
felice.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 134 ~
Federica Soldani
Il cagnolino Luca e il disordine
Luca era un cagnolino che amava tanto l‟ordine. Se vedeva un
oggetto in disordine non ci pensava mai due volte e lo metteva subito
a posto. A scuola non aveva molti amici e spesso il pomeriggio
faceva i compiti con sua sorella Susanna e Paola, una cagnolina sua
compagna. Un bel giorno tornando a casa Luca confidò a sua sorella
di essersi innamorato di Paola: “ Susanna mi potresti dare qualche
consiglio? Sai, vorrei riuscire a farmi notare un po‟ da Paola..” Ma
la piccola Susanna non sapeva bene che dire: –“sai Luca, io non sono
mai stata innamorata, ma sono tanto felice per te!”
Luca si fece triste “che peccato, non so proprio che fare: mi dovrò
dimenticare di lei, credo”. Ma poi decise di non darsi subito per
vinto ed il giorno dopo a scuola si avvicinò alla cagnolina facendo un
po‟ di allegre feste intorno a lei. Ma Paola lo lasciò senza parole:
“Luca mi dispiace, ma non voglio fidanzarmi con uno ordinato come
te”. “ Perchè? Che c‟è di male se sono ordinato? Non puoi rifiutarmi
solo per questo...” Provò ad insistere Luca. Ma Paola appariva
proprio decisa: “ecco, voglio ricordarti l‟ultima volta che sono
venuta a casa tua a fare i compiti, mi sono seduta sulla tua sedia e ho
posato i miei libri su alcuni tuoi disegni. Qualche disegno è caduto e
tu ti sei arrabiato così tanto con me che mi hai fatto piangere” Luca si
affrettò a tranquillizzarla: “ Paola prometto che non succederà più!“
Ma lei non volle proprio cambiare idea: “no grazie, non ti credo,
preferisco lasciare stare, “ e così dicendo se ne andò scodinzolando,
lasciando Luca con le lacrime agli occhi.
Quel pomeriggio mentre Luca stava facendo merenda da solo in
cucina, sentì una vocina che lo chiamava: “ Luca, Luca guardami,
sono qui, sul tuo fazzoletto.” “ E tu chi sei? “ Domandò Luca con la
voce roca di pianto. “ Sono Gina, la coccinella. Sai ho sentito la tua
storia e voglio proprio aiutarti a conquistare la tua cagnolina” “Oh
sì, mi piacerebbe tanto” sospirò Luca: “ma come farai?” “Lo dovrai
fare tu, da solo, io ti darò solo qualche consiglio. Per prima cosa
devo dirti che l‟ordine non è la cosa più importante del mondo. Se tu
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 135 ~
sai che a Paola non piace questa tua fissazione per l‟ordine, forse
potresti permetterti di essere meno ordinato e cercare di non
arrabbiarti se qualcuno mette in disordine le tue cose. Ma la cosa più
importante che voglio dirti è un‟altra: nessuno ti ha mai detto che
l‟amore non è mai ordinato? Che la vita è fatta di cose belle e cose
brutte? Cose ordinate e cose non ordinate? Non dimenticarlo e
soprattutto non arrenderti. Corri da Paola e invitala a casa tua, parlale
e spiegale come stanno le cose. Metti la tua stanza in disordine e falle
capire che la cosa più importante per te non è l‟ordine ma l‟amore
che provi per lei. Io adesso ti devo lasciare, ma non dimenticare i
miei consigli e ora vai! E se poi dovessi avere ancora bisogno di me
sarà sufficiente che tu mi chiami ed io arriverò”.
Luca non perse un attimo di tempo e corse da Paola, la invitò in
camera sua e fece tutto quello che la piccola coccinella gli aveva
suggerito. Paola capì subito, e felice diede un‟opportunità a Luca. Da
quel giorno Luca e Paola vissero contenti insieme nel disordine più
totale.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 136 ~
Valentina Zacchi
La prima Banshee Questa storia, tanto antica quanto veritiera, appartiene alle Ere del
mondo e a quanti l‟hanno di stagione in stagione tramandata affinché
anche noi possiamo a nostra volta trasmetterla alle generazioni
future.
Si narra che nelle miti brughiere dell‟isola di Eire vivesse un giovane
di bell‟aspetto e di cuore gentile, a cui era stata promessa in sposa
una giovane donna di nome Eileen. Era questa fra le più belle
creature dell‟isola: lunghi e corvini capelli incorniciavano il volto
sottile e occhi color delle selve brillavano di una luce vivace e
gentile, propria delle creature di nobile indole.
In occasione delle nozze settanta furono i musici invitati per allietare
il già lieto evento.
Settanta furono i doni per i promessi sposi, settanta le damigelle della
giovane e bella Eileen, settanta le varietà di fiori con cui venne
decorato il giardino, settanta, infine, i fiori ricamati con fili d‟argento
che ornavano la veste della sposa.
Era tale veste una semplice tunica d‟un bel verde intenso, che la
madre della sposa aveva impreziosito con cura e dedizione, lieta
all‟idea che la figlia convolasse a nozze con un giovane di tale
rinomata bontà e virtù: famosi erano nella regione, difatti, i racconti
che lo vedevano generoso benefattore e grande combattente. Finian il
Giusto era il suo nome.
La vigilia del lieto giorno venne: il giardino della modesta casa di
Eileen brillava nella quiete della sera, rischiarato da voli di fate e
piccole lanterne di gnomi, che portarono in dono settanta perle di
mare, così da omaggiare la bellezza della giovane sposa. Odore di
fiori e salsedine danzava nell‟aria, accompagnato dalle note dei
musici che accordavano i loro strumenti.
La vigilia del lieto giorno venne: ma quando già le ombre avevano
ammantato le coste, e lasciato soltanto flebili luci lontane a tremolare
su scogli distanti, suoni di corni annunciarono che una guerra lontana
aveva cominciato a mietere vittime come tenere spighe di Maggio, e
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 137 ~
per evitare tale scempio ogni uomo in armi ed in giusta età per
battersi avrebbe dovuto imbarcarsi col sorgere del nuovo sole, e
partire.
A lungo si disperò la bella Eileen dai capelli color della notte, a
lungo si disperarono le settanta damigelle, le madri ed i padri, poiché
valoroso era Finian il Giusto, e si sarebbe imbarcato.
Il giovane uomo che tutto avrebbe voluto, fuorché partire, col cuore
piccolo come un granello di sabbia chiese di poter salutare la sua
promessa sposa, di poterla vedere una volta ancora prima di prendere
il mare.
”Attendi “ la implorò stringendole le mani “ settanta giorni e settanta
notti attendi, e se al settantunesimo ancora non avrò fatto ritorno,
potrai scambiare la tua promessa d‟amore eterno con chi vorrai”.
Disse ciò, e partì.
La giovane Eileen, sorda ad ogni voce se non a quella della promessa
silenziosamente fatta, sedette sulla scogliera, e lì si mise ad
aspettarlo.
Aspettava cantando le lodi del suo sposo che presto sarebbe stato di
ritorno a casa.
Aspettava, e pettinava i suoi lunghi capelli con le mani, affinché il
giovane Finian la trovasse più bella che mai.
“ A te un accordo propongo, mare che tutto divori “ aveva cantato
nel vento la ragazza, affacciandosi oltre il bordo della scogliera.
“ Ogni giorno un fiore d‟argento dalla mia tunica scucirò, e ogni
giorno te ne farò dono.
In cambio del ritorno del mio amato, settanta rose d‟argento regalerò
ai tuoi flutti, così che ancor di più brillino di morbido splendore
quando la pallida luna sulle tue onde si specchia, tingendole di luce e
d‟argento “.
La giovane sedette ancora, vestita del suo abito da sposa, e con
minuzia mantenne la promessa: ogni giorno, al tramonto, un lungo
filo d‟argento cadeva fra i flutti, scomparendo alla vista.
Ogni giorno la madre, il padre e le damigelle le portarono acqua e
vivande, supplicandola di far ritorno alla propria dimora, e ogni
giorno la giovane Eileen rifiutava.
Avrebbe atteso il ritorno del suo promesso sposo.
Trascorse dunque un giorno.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 138 ~
Ella cantò le lodi del suo sposo, ella pettinò i lunghi capelli lucidi e
neri come le piume d‟un corvo, ella, infine, lasciò cadere il suo
tributo al mare fra le onde.
Trascorse un altro giorno, e poi un altro ancora.
La giovane non parlava, se non per cantare, non si muoveva, se non
per pettinarsi e rinnovare la promessa fatta al grande mare.
Sempre più grandi diventavano i suoi occhi color delle selve d‟estate,
sempre più magro il volto, sempre più evidenti le ossa sotto la pelle
che sopportava il freddo della notte e piogge abbondanti che
frustavano la scogliera.
Passò un altro giorno, poi un altro ancora.
Ancora la giovane non parlava, se non per cantare, e non si muoveva,
se non per pettinarsi e rinnovare la promessa fatta al grande mare.
Lontano, il fuoco di navi incendiate illuminava lo sguardo della
ragazza, che si tormentava nell‟animo pregando per il lesto ritorno
dell‟uomo amato.
Passarono altri cinque giorni e cinque notti, che divennero dieci, poi
venti, cinquanta, ed infine settanta.
Un unico fiore era rimasto sulla tunica ormai sgualcita della giovane
sposa, che non aveva più voce per cantare e forza per pettinare i
capelli, divenuti tetri ed arruffati.
Lento danzava al ritmo del vento l‟ultimo filo d‟argento, scucito con
cura dalla logora veste non più d‟un verde brillante, ma spento, come
quello riflesso negli occhi della promessa sposa.
L‟ultimo filo tentennò un poco fra le mani della ragazza,
risplendendo nella luce di un rosso sole morente, poi si arrese e
cadde: onde gentili lo accolsero, portandolo lontano.
Passò la notte.
A mattina correvano le settanta damigelle in direzione del
promontorio per annunciare alla dama sventurata l‟infausta notizia: il
mare aveva riportato al porto la barca su cui Finian il Giusto faceva
ritorno, ma, lambita dalle fiamme, era infine affondata a breve
distanza dalla terra ferma. Nessuno si era salvato.
Questo volevano annunciare alla dama le settanta damigelle, ma sulla
scogliera non la trovarono.
Nessuno seppe mai quale fosse stata la sorte della promessa sposa
Eileen: il corpo non fu ritrovato, e lei non fece mai ritorno.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 139 ~
Ma da allora, il tempo ne serbi memoria, una spettrale figura si
aggira per le brughiere e le colline verdeggianti, solitaria e disperata:
una giovane vestita d‟una lunga tunica verde e logora, dagli scuri
capelli arruffati, e gli occhi resi rossi dal troppo pianto.
La si sente cantare tristi vicende d‟amore e di morte, e spergiuri al
mare, che inganna e tradisce, e alle onde, che hanno accolto il suo
corpo e quello dell‟amato senza poterli riunire in vita, e neppure in
morte, poiché nessuno ha mai dato sepoltura alle sue membra sfinite
dalla fame e dall‟attesa.
Non è casuale la sua comparsa: si mostra, difatti, ogni volta che un
uomo innamorato sia prossimo ad incontrare la Morte, vagando
senza pace fra colline e brughiere ed annunciando l‟imminente
sciagura.
Così nacque la prima Banshee.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 140 ~
Maria Debora Zucca
Il viaggio della Camicia
C‟era una volta una antica camicia, ormai riposta da tempo, dentro
un grande armadio. Si dice avesse fatto due guerre e chi l‟aveva
portata fosse diventato un grande eroe della storia.
La camicia era di quelle belle, con tanti bottoni piccoli e grandi, un
importante colletto e sul davanti tante nobili pieghe. Ormai aveva
fatto il suo tempo, per cui non poteva più essere indossata, gialla
come era! Ma il suo proprietario la custodiva assai bene dentro una
scatola profumata, ben piegata e con un piccolo sacchetto di fiori
secchi, per la precisione rose, che sviluppavano un aroma e un
profumo delizioso.
Un bel giorno, capitò qualcosa, la scatola venne aperta, e la camicia
usci dalla sua piccola dimora, qualcuno non faceva altro che ripetere:
“E‟ proprio quello che stavo cercando!! Andrà benissimo, la
riporterò al più presto!”
La camicia doveva dunque allontanarsi per un periodo di tempo dalla
sua scatola, questo era molto preoccupante: “ e adesso, dove mi
porteranno adesso? Io non sono molto abituata a spostarmi, ho già
una bella età cosa vorranno queste persone? Il colletto non tardò a
farsi sentire: - Hai mai sentito parlare del Carnevale?”
“Carnevale? Cosa sarebbe dunque questo? Io voglio solo tornare a
casa!!”
“Non devi preoccuparti” gli disse il colletto “è una festa in cui tutte
le persone si trasformano in qualcun altro, e per questo hanno
bisogno di abiti strani, diversi, antichi!”
“ Come? Io non sono diversa e neanche strana, sono una nobilissima
camicia, seppur antica certo!”
“Vedi? E‟ proprio questo che cercano! Qualcosa di antico e che
ormai non si usa più!”
“Ma che fanno poi con questi abiti? Li indossano, e poi?”
“E poi cara mia, si và alle feste! Hai presente, champagne, bibite,
musica da sballo e ore piccole?”
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 141 ~
“Caro colletto tu sai troppe cose che io non so, come è possibile che
tu abbia già fatto tale esperienza e io no?”
“Devi sapere mia cara, che io ho qualche anno più di te, e quando
nacqui la mia residenza era ben altra. In una rissa mi salvai solo io,
avessi visto le maniche! Solo brandelli!! Quindi una massaia vide
bene di darmi una possibilità, e così nacque questa nostra
comunione!”
“Capisco! La tua esperienza caro colletto spero ci aiuti ad affrontare
questa avventura!”
La camicia venne finalmente indossata, l‟accompagnava un bel paio
di pantaloni in panno nero, grossi stivaloni neri e una bella mantella
rossa, con tanti ornamenti in oro! Almeno la compagnia sembrava
piacevole, dovevano avere pressappoco la sua età, o giù di lì, e anche
loro fortunatamente profumavano a parte un piccolo corsetto che
arrivò in ritardo alla vestizione.
“Scusatemi per il ritardo!“ Fece il corsetto.
“Da dove arrivi ? Le chiese la mantella”.
“Sono stato per circa tre ore in un sacchetto, a momenti mi mancava
l‟aria, sono felice di esserne uscito!” Rispose il corsetto.
“Ma perché hai questo brutto odore?” Le chiese il colletto.
“Non parlatemene!! è la mia padrona che si ostina a farmi stare in
compagnia di quattro palline bianche, antipatiche e brutte, ho provato
a scacciarle ma loro anche dopo che si consumano ritornano e più di
prima!” Disse il corsetto.
“Andiamo bene per la serata!!” Disse la camicia “io sono un
soggetto allergico e tollero solo petali di rosa, speriamo che questo
Carnevale non duri tanto!!”
“Ma su! Forza” disse la mantella “non avete ancora capito? Siamo ad
un importante concorso, c‟è da vincere un premio, se abbiamo
pazienza, potremo essere noi i vincitori!”
“Concorso? Ma di cosa parli?” Disse il colletto.
“Caro colletto sembravi un colletto di mondo, ma vedo che ti sfugge
qualcosa! Hai visto lassù in alto chi c‟è?” Le disse la mantella.
“No!” Le rispose il colletto.
“E‟ un tale, si chiama colbacco. Era un importante copricapo dei
soldati russi!”
“Oh mamma mia! Alla mia età un‟altra guerra?” Si disperò la
camicia.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 142 ~
“Ma no! Questa è un‟occasione speciale, noi siamo qui testimoniare,
come il grande soldato russo vestiva!” Le rispose la mantella.
La serata durò un intera notte, e alla fine il soldato russo tornò a casa
con un magnifico premio. La camicia che aveva fatto la sua grande
figura, fu molto felice di fare un bagno rinfrescante, che profumava
di menta, dopo aver viaggiato in una comoda borsa morbida,
riconobbe l‟uscio della sua scatola. Venne piegata, e per il grande
ritorno a casa il suo proprietario le fece trovare dei freschi petali
profumati di rosa.
“Allora cara amica, era da tanto che non avevamo queste
soddisfazioni!” Le disse il colletto.
“Caro colletto, devo ammettere che nonostante il frastuono e le ore
piccole, anche se a me sembravano non passassero più, la serata è
stata bellissima. Ho persino ricevuto dei complimenti, stavo per
arrossire!”
“Oh si, ho visto che sei arrossita!” Le disse il colletto.
“Ma no! Quello era un buon bicchiere di vino rosso che mi
corteggiava, e alla fine c‟è l‟ha fatta a starmi addosso tutta la
serata!” Rispose la camicia.
“Sono comunque felice di essere ritornato! Ho più di cento anni e
non sono un collettino, queste occasioni sono indimenticabili, ma ti
lasciano molta stanchezza addosso!” Annuì il colletto.
“Avremo molto tempo per riposare d‟ora in avanti, chissà quando si
ricorderanno nuovamente di noi!” Fece la camicia.
“Un anno precisamente!” Disse il colletto.
“Perché?” Chiese la camicia.
“Perché tra un anno esatto e nuovamente carnevale, e ci aspetta un
altro viaggio!” Rispose il colletto.
La camicia però era talmente stanca che ormai dormiva, e il colletto
pensò bene di fargli compagnia.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 143 ~
Le Storie
di IoRacconto Junior
Fantascienza
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 144 ~
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 145 ~
Ferruccio Peruzzi
Vivo per un capello
Henry si stava nutrendo. Le mani grassottelle si appoggiavano con
sicurezza alla base dell‟enorme albero unto, mentre la bocca
filiforme continuava a ingurgitare il denso succo rossastro che usciva
dalle radici della pianta. Quando il piccolo ebbe finito, poi, si leccò le
labbra: la madre gli aveva insegnato che i frutti della natura non
andavano sprecati, e così ad Henry piaceva divorare tutto il nettare,
invece di patir la fame come gli altri. Anche a questo particolare era
dovuta la sua obesità: a meno di due giorni era già quasi grande come
un adulto (di solito, almeno tre ce ne volevano), ma ad Henry non
dispiaceva: di solito erano gli esemplari più grandi a diventare capi.
Per ora l‟unica cosa che riusciva ad ottenere dal suo lardo erano
prese in giro da parte dei suoi coetanei.
Leccò il liquido vermiglio ancora una volta, poi un rumore sordo lo
distolse da i suoi famelici pensieri. “Ecco” pensò “sono di nuovo in
compagnia di un Alligrettown...” come se i suoi pensieri gli si
fossero materializzati davanti, un gigantesco essere bianco-rosastro
dotato di cinque tentacoli oscurò il cielo. Henry si preparò a saltare.
Doveva farlo al momento giusto, altrimenti l‟animale lo avrebbe
visto: i suoi genitori l‟avevano messo in guardia, riguardo a questo.
L‟Alligrettown si avvicinò con fare grottesco, fino ad essergli
vicinissimo. Poi Henry saltò, mettendosi in salvo. L‟ultima cosa che
il piccolo vide del mostro prima di atterrare nella giungla furono i
suoi tentacoli, dotati di un arpione trasparente sulla cima, che
sfregavano furiosamente sul terreno proprio dove un attimo prima si
trovava lui.
“Sta sentendo il mio odore”, pensò Henry “devo sbrigarmi”.
Corse con tutte le sue forze attraverso la foresta, le mani agili che si
aggrappavano saldamente agli alberi per proiettarlo in avanti e
ripetere la stessa operazione con altri tronchi. Una volta che fu sicuro
di aver messo una buona distanza tra lui e l‟essere, il piccolo si
fermò, ansimando ancora per lo spavento. Era salvo per un pelo:
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 146 ~
c‟erano stati casi in cui alcuni membri della sua colonia erano stati
dilaniati da un Alliggrettown.
Quando si fu ripreso, Henry si avviò a balzelloni stanchi verso la sua
tribù, pronto a riabbracciare la madre e il padre. Lentamente, man
mano che si avvicinava al villaggio, l‟ambiente attorno a lui
cominciò a mutare, e gli alberi si tinsero di bianco. Erano infatti
ricoperti dalle uova tribali, ovvero quelle che i membri della tribù
deponevano e che attaccavano agli alberi tramite un liquido
vischioso. Ed era proprio di queste piccole sferette bianche che gli
Alliggrettawn si nutrivano: infatti le sfilavano dagli alberi utilizzando
gli artigli sensoriali sulla cima dei tentacoli, tornandosene poi in
cielo, dove nessuno li vedeva più per un po‟.
Finalmente il piccolo giunse in vista dell‟agglomerato di palafitte che
congiungevano gli alberi unti: contento, li raggiunse a corsa,
dirigendosi subito verso casa. L‟abitazione di Henry non era enorme,
ma era confortevole. E poi, a lui bastava la famiglia, per essere
felice.
Quando Henry spalancò la porta, Puier, il suo tardigrado, subito gli
balzò addosso, inzuppandolo con la sua bava molliccia. “Piano, Pu!”
esclamò contento mentre l‟essere, simile ad una gelatina molliccia,
gli si sfregava sui piedi. Ma ecco giungere anche la madre e il padre,
seguiti poi dai ventotto fratelli. “Eh si”, pensò Henry prima di andare
a dormire: “sono davvero fortunato”. Ma egli ancora non sapeva cosa
lo aspettava...
Furono le grida e l‟odore nauseante a svegliarlo. Di solito il profumo
d‟unto copriva ogni cosa, ma stavolta era diverso. Henry si mise a
sedere sul comodo giaciglio di pellicine prodotte dagli arpioni degli
Alliggrettown, poi, colto da un dubbio atroce, sbirciò fuori dalla
finestra: ciò che vide fu sufficiente a spaventarlo per due vite e
mezzo. L‟intera superficie del villaggio era ricoperta di una sostanza
bianchiccia e uniforme da cui proveniva l‟odore che l‟aveva
svegliato.
Schiuma. Era proprio la schiuma, infatti, ad aver causato milioni di
morti e ad aver sterminato intere tribù.
Il suo veleno altamente tossico ti prendeva dentro e ti uccideva
lentamente. Senza contare poi la Macchimorte. Veniva così chiamato
uno strano arnese volante il cui unico scopo era quello di sterminare
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 147 ~
più gente possibile: era composto da sottilissime lame di un materiale
sconosciuto.
Una leggenda del villaggio di Henry raccontava che l‟essere fosse
stato avvistato mentre passava tra gli alberi unti raccogliendo tra le
lamine tutti i poveretti che tentavano la fuga.
Poteva fare ciò solo grazie alla schiuma, che li indeboliva e li
rendeva appiccicosi.
Henry decise che non sarebbe rimasto un secondo in quel luogo, così
prese la via della finestra e saltò. Ad attenderlo fuori c‟erano
millimetri e millimetri di schiuma, così che il piccolo vi sprofondò
fino alle ginocchia. Poi si mise a correre, mentre altri uscivano dalle
case in preda al panico. In breve tempo, la tranquilla cittadina di
Lobo Occipitale si era trasformata in un brulicare di disperati che
tentavano di saltare da tutte le parti. C‟erano le madri che cercavano
di salvare più uova possibili, le ninfe (gli esemplari più giovani) che
correvano piangendo e gli adulti che saltavano terrorizzati.
Solo Henry non si lasciò prendere dal panico.
Guardò freddo il mondo che gli scorreva davanti al rallentatore, con
un‟unica frase che gli turbinava nella mente: salvati!
E così fece. Corse, saltando da albero ad albero. Sentiva le grida
strazianti dei suoi concittadini ed il sibilo insaziabile della
Macchimorte, mentre l‟acqua ingoiava ogni cosa, per lavare via ogni
traccia dell‟esistenza della sua città natale. Di solito Henry non aveva
paura dell‟acqua, ma se questa era accompagnata dalla schiuma,
allora incuteva davvero terrore. Lembi biancastri cominciarono a
volteggiargli attorno mentre sfere d‟acqua grosse come alberi gli
piombavano addosso. Ma lui non demorse: non sarebbe mai morto, o
almeno, non ora che rappresentava l‟unica speranza di salvezza della
specie. Ci fu un sibilo metallico, e poi la Macchimorte gli piombò
davanti. Le sue antenne sensoriali si irrigidirono per lo spavento:
l‟orrendo essere puntava dritto verso di lui, e lo avrebbe preso se
Henry non avesse avuto la prontezza di saltare su un albero un po‟
più floscio degli altri e utilizzarlo come trampolino per spiccare un
lunghissimo
balzo. Ormai aveva gli occhi annebbiati. Vedeva scorrere davanti a
lui lo spettacolo più orrido che avesse mai visto e non poteva fare
niente per fermarlo: lui poteva solo salvarsi la vita. Poi, mentre i
sensi lo trascinavano lentamente nel torpore e nell‟incoscienza,
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 148 ~
Henry vide il suolo avvicinarsi a velocità incredibile. Quando si
svegliò, orribilmente ferito e contuso, il suo primo pensiero fu “sono
vivo”. Il secondo che formulò invece fu: “si, ma a quale prezzo”.
Henry si guardò: era sporco di schiuma dappertutto, nonché ricoperto
d‟acqua. Qualche zampa mancava, mentre altre erano spezzate.
Un‟antenna si era rotto durante l‟atterraggio di testa, e il suo corpo
certo non andava meglio: ad Henry sembrava che gli avessero
infilato in gola un tizzone ardente che gli stava bruciando lentamente
tutti i nervi.
Il piccolo non se ne curò, e così, ignorando ogni dolore, si alzò in
piedi e si arrampicò su un albero. Ci mise molto per via delle zampe
mancanti. Poi Henry si sforzò e produsse un singolo uovo: una sola
sferetta bianca che avrebbe però assicurato la sopravvivenza della
specie. Ora Henry il pidocchio poteva morire tranquillo, così smise
di resistere al dolore lancinante che lo attanagliava e svenne.
EPILOGO:
Quando Henry il pidocchio si svegliò, si trovava in una città del tutto simile alla sua, tranne per il fatto che la gente che gli passava davanti non era quella di Lobo Occipitale. Avevano tutti però un qualcosa di familiare. Il pidocchio rimase sorpreso quando, tentando di muoversi, scoprì che più niente gli faceva male. Così si alzò. Un pidocchietto che gli stava davanti lo vide,strabuzzò gli occhi, lo guardò e si mise a gridare. A breve, Henry fu circondato dalla folla, e tutto fu caos finché l‟esemplare più grosso (quasi obeso, a dirla tutta) non si fece avanti. Gli spiegò che tutta la città era stata costruita dai figli di quell‟unico uovo deposto su un piccoloalbero, e che grazie a lui la specie era stata tratta in salvo. Henry scoprì poi di trovarsi nella città di Nuca, luogo dove si era catapultato con la forza della disperazione. Dopo anni (ovvero mezza giornata) l‟insetto, ormai anziano, fu infestato agli acari, viscidi animali succhiasangue che vivevano nelle teste dei pidocchi e scatenavano astrusi pruriti. “Che esseri schifosi” pensò quel giorno Henry il pidocchio “quale altra creatura immonda potrebbe mai vivere sulla testa di qualcun altro?” Desidero dedicare questa storia ad Henry, che mi saltò in testa insieme all‟idea che mi ha indotto a scrivere questo racconto.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 149 ~
Le Storie
di IoRacconto Junior
Gialli – Horror - Polizieschi
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 150 ~
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 151 ~
Carlo Castagna
Noslon
ovvero
La risata allo specchio
Sebbene possa parere a un occhio non aperto alle idee, un
avvenimento contrario ad ogni logica, la mia esperienza può essere
considerata reale quanto la vostra presenza davanti a me, e una
narrazione dei fatti potrebbe sconvolgere le menti e traumatizzare i
cuori; perciò tenterò di mettervene al corrente omettendo le parti che
potrebbero terrorizzare le vostre persone.
Due settimane fa mi recai in Cornovaglia a far visita al mio amico
Leshar, proprietario di un maniero che regnava su di un altopiano, al
fine di porgergli le mie condoglianze, in quanto aveva perduto la
moglie da poche settimane. Contavo di trattenermi da lui pochi
giorni, giusto per consolarlo quanto bastava senza disturbarlo troppo.
Vi ero arrivato in carrozza da Bristol e, giungendovi la sera, potei
osservare l‟ombra tetra del castello che non si distingueva dalla
sagoma della rupe su cui era abbarbicato. Da quel punto si poteva
abbracciare con lo sguardo la Manica e l‟Atlantico, dal pianoro che
svettava su un mare scuro e tenebroso.
La fortezza, scarsamente edificata sul lato ovest, rivolto al mare, ma
grandemente innalzata sul fianco opposto con un complesso
architettonico che, visto da lontano, si sarebbe considerato sorretto in
modo irregolare e instabile, era sormontata da un torrione alto e
dritto come un fuso con due finestrelle scintillanti di una luce pallida,
le uniche illuminate dall‟interno in tutta la struttura. Codeste
parevano gli occhi maligni di un corvo appollaiato su quel picco di
nuda roccia, eccezion fatta per una secca brughiera che attraversava
l‟istmo congiungente la rocca con l‟entroterra.
Al mio sopraggiungere venni accolto da Leshar che mi tirò dentro
alla magione quasi a forza, e dedussi che la causa fosse l‟imminente
arrivo del temporale; tuttavia il mio amico non si limitò a farmi
entrare nell‟edificio, ma mi trascinò fin nel torrione dove si era
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 152 ~
appostato per scorgermi arrivare. Solo quando ebbe chiuso a doppia
mandata la porta di un‟angusta stanzetta, scarsamente illuminata, mi
si rivolse con un tono confidenziale, ma tremolante e insicuro.
“Compagno, fidato Noslon, averti qui mi rende una grande
consolazione. Averti amico nel bisogno dimostra quanto leale e
onesto sei! Ormai sei uno dei pochi individui che mi rimangono
vicini. Ho perso tutto a questo punto, possiedo solo il castello, di cui
mi sento prigioniero…”
Turbato, gli domandai il motivo di quell‟affermazione, ma, con
l‟espressione di chi si è lasciato sfuggire un particolare rilevante, egli
cambiò repentinamente discorso, invitandomi a raggiungerlo per la
cena appena mi fossi sistemato nella stanza degli ospiti.
Organizzatomi nella residenza, mi diressi lungo il corridoio in cui la
mia camera era posta al fondo, e trovai facilmente la sala da pranzo,
in quanto lungo la via non incontrai diramazioni né usci, ma solo una
porta mimetizzata con il muro (tuttavia ben visibile) senza pomello o
serratura.
Al pasto il mio anfitrione ed io discorremmo degli eventi che si
succedettero nei diciotto mesi in cui non avevamo avuto contatti;
scoprii così che Leshar spendeva periodicamente montagne di denaro
per ristrutturare o abbellire grandiosamente la magione, se non per
arricchirne il mobilio con pezzi d‟epoca ricercati da ogni
collezionista. Tutto questo senza rischiare minimamente di esaurire il
suo patrimonio ricavato dalle proprietà latifondiste.
“Sono riuscito, di recente,”- ammise lui, -“ad appropriarmi di un
cimelio, uno specchio, che acquistai ad un‟asta in Galles, dove mi
ero recato per piacere, dalle parti di Cardiff; apparteneva, per quanto
sono riuscito a scoprire, a un signorotto della regione che era
deceduto pochi mesi prima senza lasciare eredi, cosicché i suoi averi
divennero proprietà demaniali”.
Detto questo il mio commensale iniziò a illustrare le qualità estetiche
del mobile, perdendosi nel discorso; avevo quasi l‟impressione che
parlasse da solo. Il sottoscritto, in quanto collezionista e interessato a
qualsiasi forma d‟arte, cercò di convincere il suo interlocutore a
mostrargli l‟oggetto del suo e, soprattutto, del mio interesse.
A questa richiesta Leshar mutò la sua espressione, s‟incupì, e mi
negò, comunque cordialmente, la possibilità di ammirare il cimelio di
cui aveva fino a quel momento parlato con tanta lode.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 153 ~
Concluso il pasto, lasciai il mio amico ad occuparsi di alcune
questioni con la servitù, mentre mi avviavo alla mia camera. Lungo il
corridoio l‟unica illuminazione presente era la presenza (si può quasi
dire rada) di torce che rischiaravano debolmente l‟ambiente;
fortunatamente Leshar mi aveva munito di un candelabro che mi
permetteva di distinguere solo un breve tratto di percorso davanti a
me.
Giunsi poi al punto in cui si situava la porta a muro che,
curiosamente, trovai aperta. Pensai che uno dei domestici vi si fosse
recato; volli approfittare di quell‟occasione per chiedergli una mappa
della residenza, al fin di non perdermi durante le mie passeggiate
mattutine.
Entrai quindi nella stanzetta che credetti essere uno sgabuzzino, ma
la luce del candeliere nelle mie mani mi mostrò solo il mio riflesso
nello specchio.
L‟oggetto era finemente decorato di rubini coronati di polvere d‟oro;
la forma ellittica lo faceva parere affusolato e leggiadro.
Era bello, ma di un bello puro e maestoso, tanto che la mia immagine
riflessa mi sembrava fuori posto, sminuendo il fascino di quell‟opera
d‟arte. Proprio per poter osservare l‟oggetto senza avere davanti il
mio viso che, in confronto, mi pareva un abominio, mi spostai e volli
ammirare lo specchio di traverso.
Fatto un passo, mi accorsi che la mia figura non si spostava,
rimaneva immobile, in piedi, dall‟altra parte del vetro. Potei solo
notare il moto degli occhi che mi seguivano, il sorriso beffardo e
sadico che si allargava, le labbra che si dividevano a mostrare la
dentatura, la bocca che si schiudeva con un movimento armonico e
l‟intero corpo che sussultava ripetutamente. Mi pareva di sentire ora
il perfido sogghigno, frutto di una degenerata fantasia maligna, in un
crescendo di perversità fino a coprire persino il mio urlo di terrore.
Il panico generato dal non poter percepire la mia voce mi fece
precipitare fuori dall‟angusta stanzetta e correre all‟impazzata lungo
il corridoio, non importava in quale direzione, per allontanare il più
possibile quel raccapricciante suono, fino a cancellarne anche il
ricordo.
La risata non se ne andava. Si era impossessata dei miei timpani.
Non sentivo i miei passi angosciati sul tappeto, o il mio grido che
agognava l‟aiuto di Leshar.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 154 ~
Diventai ben presto inerte sotto il peso di quell‟orrida cantilena. Non
posso riferirvi le emozioni che concepii nel ricettacolo della mia
mente, perché vanno ben aldilà della comprensione umana, e
parlarne mi inquieta, in quanto le temo, quasi siano per me la paura
stessa.
Corsi a perdifiato lungo l‟interminabile corridoio in penombra; non
importava dove mi dirigessi, benché fossi lontano da quel demoniaco
suono.
All‟improvviso, caddi. Non me ne spiego il motivo, né perché
proprio in quel punto: quel punto, così vicino alla fine; davanti a me
una porta socchiusa, non realizzai di quale stanza, da cui proveniva
uno spiraglio di luce, in netto contrasto con l‟intero ambiente intorno
a me, ormai oscuro oltre ogni limite; colsi una figura oltre l‟uscio,
contorni umani.
Non dovetti nemmeno focalizzare lo sguardo per riconoscere i
lineamenti di Leshar, incupiti, gli occhi vacui, osservarmi immobile.
Aveva visibilmente paura, ma non come me. Sembrava conoscere il
suo timore e se ne teneva cautamente lontano.
Allungai il braccio verso di lui, invano. Avrei voluto gridare il suo
nome e la mia pena, ma non avevo la forza di pronunciare una
parola, e non credo che le mie richieste d‟aiuto lo avrebbero smosso
dalla sua posizione.
Dopodichè, l‟oblio.
Mi ripresi in una camera dall‟aspetto spoglio, la mattina, e avevo
ancora il cuore in gola.
Scoprii che mi trovavo alla locanda del villaggio vicino; trovai tutti
gli averi che mi ero portato da casa. Non mi chiesi nemmeno come
fossi giunto lì; me ne andai in fretta, in carrozza, lasciando una cifra
indeterminata all‟albergatore, sperando che bastasse al saldo.
Sulla diligenza guardai indietro una volta sola; mi apparve il castello
di Leshar, sulla sua cupa scogliera. Parevano ora le finestre occhi da
cui traspariva crudele malevolenza, e le mura merlate formavano
mascelle mostruose che si allargavano in un satanico sorriso, che a
niente di umano poteva rassomigliare.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 155 ~
Rebecca Di Francesco
Presagio oscuro
Corsi. Velocemente. Senza una meta. Come se potessi farcela. Come
se potessi distruggerlo. Una spina nel cuore mi bruciava dolorante
.Una ferita che non si chiude. Il sangue rosso vivo continuava a
colarmi. Correvo. Ero esausta. Incrociai lo sguardo del vampiro
aveva occhi penetranti. Come faceva a vedere dentro i miei occhi,
come se fossero finestre aperte? Lo sguardo fisso su la preda, me. I
suoi denti affilati creati solo per sbranare le sue vittime. Ero
affannata. Ma pur di sapere qual era la mia fine non mi arrendevo.
Cercavo di non badare, alle corone taglienti di spine e rovi che, come
una lama, mi imprigionavano. Piccole ferite brucianti, ricoperte da
fango paludoso, adornavano le mie braccia . Il dolore mi ardeva
sempre più. Inspirare, espirare, ripeteva il mio cuore stanco di
battere. Correvo fra gli alberi fitti. Era un incubo ma era realtà.
Lacrime di paura, ma erano lacrime di morte. Non c‟era nulla da fare.
Lui era il vampiro e io la sua preda, la fifa mi bruciava negli occhi
sentivo degli urli. Immaginazione . Mi tagliai fra le sterpaglie. Lo
sguardo del mostro era famelico .Un branco di lupi ululò. Come per
annunciare quello che sarebbe dovuto accadere. Come se lui avesse il
dominio della foresta. E loro lo lodavano.
Per ammazzare una vita. Chissà come deve essere non sentirsi più
far parte del mondo. Sono in vita, in mezzo alla morte. Rimanere
senza un pensiero. Senza un anima. Senza una vita.
Continuavo a ordinare al mio sangue di scorrere prima che io venissi
distrutta. Salvami, o sarò un nulla. Sentivo come un pugnale trafitto
nel cuore sapevo che adesso sarebbe venuto il mio turno. Fu così.
Mi saltò addosso. Mi addentò coi suoi denti un braccio. Uno straccio
di carne si posò fra un arbusto spinoso. Il sangue colava intenso
senza fermarsi. Si. Io sono la sua preda. E lui il mostro del mio
incubo.
Ormai il dolore mi invadeva. Era come se fossi già morta.
“E allora successe…”
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 156 ~
“cosa?” chiese la madre che stava bevendo agitata una tazza di caffè
in un locale un po‟ misero “gli tolse il respiro” rispose l‟amica
affranta, lo sguardo della madre cambiò. E una lacrima gli scivolò
dalla guancia che si sciolse dolorosamente su una piastrella del
pavimento.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 157 ~
Alessandra Domizi
Hermann assalirà un armadio
Dramma, e coriandoli. Hermann, rantolante nel silenzio. Fiuta
disperatamente l'aria, fluttua il suo viso nell'oscurità. Cerchiato da
lievi pareti di catrame, lascia crollare i suoi quesiti nel vuoto
agghiacciante. L'armadio muta ed è sudario, ora dopo ora; la
solitudine si inasprisce all'azzuffarsi delle voci gentili. Affollate nella
stanza, parole senza volto. Perso nel guardaroba, Hermann può solo
ascoltare l'eco lontana, vagheggiando uno scherno o un sorriso, una
lacrima o un'impressione. Incide segni sul legno, immaginando
ridente il suo epigramma tombale. Serra stupidamente le palpebre e
scorre l'indice sopra le lettere, sorridendo nel trovarle così, serene e
accavallate, dolcemente insaporite nel mogano. Non ricorda perché si
è chiuso nell'armadio, Hermann. Ma ricorda che c'era un motivo, e
non vuole tradire se stesso. Siede pensoso, compresso e soffice tra le
pieghe dell'oscurità. C'è qualche goccia di terrore, sciolta nell'aria.
Come vapore sinistro penetra le narici bruciate, risale la pelle. Le
pupille corrono dall'infinito alla nullità.
E qui Hermann avverte, nel suo immobilismo, un respiro affannoso e
vicino. Non urla, non piange, non parla. Insegue i sospiri e il ritmo
del cuore, melodioso conforto e sabbia deserta. Ma stende infine le
mani e sorprende, alla sua destra, un viso caldo, fermo anch'esso nel
terrore leggiadro. Non si ritrae, il viso. Lo adorna una barba lunga e
opulenta, forse grigia, forse bianca, forse blu. La pelle cosparsa di
solchi scuri e profondi, il naso magniloquente. L'uomo non fa motto,
e nuovi pensieri ghiacciati percorrono Hermann, che immagina il
vecchio pensare anche lui. Perché un uomo, perché un uomo
nell'armadio? Perché due uomini in quell'armadio? Il suo armadio, i
suoi vestiti fruscianti, il suo uomo. Scorre ormai incalcolabile il
tempo, e fermo ogni orologio. Il quadrante biancheggia nel buio,
immota ogni lancetta. Come Hermann, come il vecchio. E tuttavia
scappano i secondi, corrono i minuti, si esauriscono le ore. Il vociare
all'esterno si spegne, suona soltanto il muto respiro del vecchio,
caldo, freddo e inquieto, pericolosamente assordante. Hermann
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 158 ~
vorrebbe parlare, ma dubita di come si faccia. Il vecchio deve avere
intuito e solleva un braccio invisibile, colpisce lieve la schiena
dell‟inquieto vicino. Impallidisce ancora, Hermann, e resta zitto,
ostinato nella sua titubanza. Mamma diceva di non parlare con gli
sconosciuti. Hermann ha trent'anni, ed è proprio a trent'anni che ti
sovviene, poco opportuno, quel che diceva tua mamma. Scoppia in
una risata fugace, Hermann; anche il vecchio cessa per un istante il
suo mostruoso respiro e ride, freddo e onnipotente. Hermann adesso
è paralisi, inzuppato nel pensiero del sangue. Tremendamente
ridicolo Hermann, tremendamente ridicolo il vecchio. Hermann
scopre i denti passivo, in una smorfia di esuberanza e passione.
Stringe tra le dita dischiuse un fuggente libellum. Dolce libellum.
Rumore di pagine gialle e stracciate, grovigli di carta che sfrecciano
sbattendo sul legno, nell'aria, piovendo violenti sulla canizie del
vecchio. Il vecchio ride, ride ancora e non smette, ad ogni pallina
sghignazza più forte. E' inerte, il vecchio, semplicemente ride e
Hermann a volte lo segue, per poi ammutolire. Ma Hermann si stufa
e dorme sfinito, la testa sul petto del vecchio e le braccia avvinghiate
alle ginocchia nodose. Sogna di aquile e fiori, si asperge nei fiumi di
un limbo dorato. E di nuovo si desta, gaio nel canto del vecchio,
senza più domandarsi chi questi sia, senza più chiedersi perché
dall'armadio non si riesca ad uscire. Chissà, magari il vecchio,
mentre canta, sorride. Chissà. I suoi denti sono stanchi e ingialliti,
non brillano più gloriosi nel buio. No, il vecchio non canta per ridere.
Il vecchio è astuto e malvagio, il vecchio brama il sapore del sangue.
Hermann inventa un pugnale. Cerca, annaspando a tentoni, il cuore
pulsante del vecchio. Il vecchio guida premuroso la mano di lui, di
Hermann che affonda il coltello nel petto rugoso e di nuovo ride,
mentre il vecchio solenne muore. Assapora il profumo del sangue,
Hermann, assicura il pugnale alla molle mano del vecchio. Sospira,
immobile, mentre il vecchio risorge e compie, rabbioso, la sua
tremenda vendetta. Il sangue bagna ora, fiumiciattolo bruno e
viscoso, anche il petto di Hermann, e il vecchio lo abbraccia, mentre
egli muore. Il vecchio si volge, annaspa tastando la serratura nel
legno, e in quel mentre Hermann risorge, sorride ampolloso alla vita.
Si scuote, colpisce il vecchio: il vecchio muore. Hermann ride, il
vecchio risorge, Hermann muore, respira e risorge. Si dilettano,
Hermann e il vecchio. Impazzisci, tu.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 159 ~
Emanuele Giusti
Nemesis
Prima o poi arriverà.
Osservo intorno con circospezione, drizzo l‟orecchio al minimo
bisbiglio. Io lo so. Lo so che arriverà.
Mi piego nella tensione dell‟incontro prossimo. Come sempre,
sarebbe venuto. Avrebbe indossato un abito diverso, scandendo
maledizioni in una lingua nuova, e le sue mosse mi sarebbero state
del tutto sconosciute. E come sempre non avrei potuto fissare i miei
occhi nei suoi, tanto è sfuggevole il suo volto. Non aveva un volto, il
mio nemico di sempre. La sua irrefrenabile volontà di nutrirsi
l‟avrebbe condotto ancora una volta da me. E ancora una volta i suoi
implacabili desideri l‟avrebbero trascinato dritto nella trappola che
preparavo: l‟arma giaceva immobile e sorridente sul comodino.
Avrebbe dovuto capire ormai quale fosse la preda e quale il
predatore!
E così io l‟aspettavo, pur sapendo che non sarebbe stato facile. Non
lo era stato mai.
Un sibilo sottile alle mie spalle: eccolo, arriva. Rabbrividisco d‟odio
e di disgusto, ma sono un combattente navigato. Svanito il primo
timore del confronto, si accende sempre la volontà di farla finita al
più presto.
Lentamente mi volto e incrocio i suoi grandi occhi. Mi guarda
muovendo i suoi numerosi arti, spostandosi leggermente, silenzioso.
Le sue proporzioni mostruose mi dissuadono dall‟attaccarlo
direttamente e nello stesso tempo mi suggeriscono che se non lo farò,
egli scomparirà presto e più tardi, quando dormo placido, verrà
vicino a me e mi carezzerà il volto con le sue scheletriche protesi, mi
soffocherà invadendomi la bocca e le narici, mi accecherà con i suoi
acidi, lacererà il mio tessuto cerebrale con le lunghe unghie sporche.
Allungo lentamente la mano verso l‟arma che pulsa sul comodino.
Stringo dito per dito il pugno attorno ad essa e la traggo a me mentre
sento fluire il coraggio nelle vene e fremere nel cervello che devo
salvare dalle sue zanne. So che lo divorerà, lo riempirà di buchi e lo
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 160 ~
mangerà fibra dopo fibra strappate dai miei orecchi. E so che prima
cercherà di farmi impazzire: presto sarà già a buon punto. Devo
essere rapido. Mi alzo di scatto e scaglio l‟arma con violenza e senza
successo: si schianta sulla parete. Svanito. L‟unico indizio è il
rumore assordante, un istante, che ha prodotto scampando alla ferita
letale. Mi alzo e comincio a guardarmi attorno, i nervi che oscillano a
brandelli fuori dalla carne. Si sta muovendo chissà dove. Sento i suoi
spostamenti. Vedo la sua ombra ma non il suo corpo. Rumore di
gesso sulla lavagna: è lui, si è tradito, l‟ho visto e lo assalgo con furia
menando colpi alla cieca, e di nuovo sfugge ai miei occhi. L‟idea di
lui comincia ad annegarmi nell‟angoscia. Come uccidere un mostro
simile? Il suo dorso è indistruttibile, le sue braccia invincibili. E‟ al
ventre molle che devo puntare. Un‟ombra mi bagna i piedi.
Un‟ondata di orrore mi adombra il cuore. Schianto l‟arma a terra con
tutta la mia forza sul suo corpo diabolico, sapendo che non morirà.
Stridendo balza via, sul soffitto, impossibile ucciderlo lassù. So che
adesso muoverà l‟attacco finale. Si deciderà tutto adesso. O me o lui.
Il panico si fa di cemento e la testa si fa di pece, viscosa e
infiammabile. Ribollisce in me l‟odio più crudo, in conflitto perenne
con la mia sbornia di paura. La mia mente comincia a vacillare,
l‟attesa dell‟attacco è micidiale, è nulla in confronto al duello stesso.
Come l‟odio respinge la paura con un grido lacerante, lui mi si getta
addosso lacerando la mia lucidità, ed è così che si scatena l‟istinto di
sopravvivenza. L‟arma corre e affonda, le sue membra si
irrigidiscono, lo strido si spegne in un rantolo. Gli occhi perdono la
follia. Lascio cadere l‟arma viscida di sangue ansimando. Nel suo
corpo un muoversi ancora: non morirà mai. Ma si tratta della sua vita
o del mio cervello. Raccolgo l‟arma e abbatto un ultimo vibrante
colpo: un rumore come di ghiaccio che si rompe. L‟armatura è
spezzata, gli arti fracassati, il ventre molle squartato. La vittoria è
mia, e posso dormire un sonno tranquillo.
Maledetto moscone.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 161 ~
Elisabetta Spinelli
Camelia
L‟aria profumava di camelie, e in quella sera d‟estate faceva un gran caldo. Diana stava osservando il sole che scompariva dietro le montagne, quando tutto divenne buio e qualcuno la trascinò per i capelli, le bloccò le mani e i piedi, e la obbligò a distendersi sul prato. Paura. I suoi capelli venivano tagliati, ciocca per ciocca. Tagli profondi le torturavano le gambe, mentre il sangue usciva copioso. Una voce le sussurrò:”E questo è solo l‟inizio. Vedi di non spargere più voci su di me”. Eva. Sentì una scatola aprirsi, e, qualche attimo dopo, le ferite bruciarono ulteriormente. Strinse i pugni, cercando di trattenere il dolore. Non poteva neanche urlare, la bocca le era stata tappata. Sperò ardentemente che la trovassero, proprio in quel momento, mentre metteva nei tagli quella sostanza che le provocava quel dolore atroce. Eva corse via. Ora era sola, senza neppure un misero aiuto. Diana camminava per le strade del borgo, con un coltello legato alla
vita e i capelli neri che rilucevano sotto la flebile luce della luna. I
suoi occhi, invece, avevano un altro tipo di bagliore: determinazione.
Voleva vendetta. Eva, infatti, non si era fermata, e aveva continuato
ad uccidere persone vestite di bianco, spinta da chissà quale follia.
All‟improvviso, una figura vestita di nero sbucò fuori da un vicolo:
Eva.
Diana tirò fuori il coltello. “Eccoti.” fece quella, con gli occhi
sgranati “Sei veramente tu?”. “Certo che sono io”, disse Diana,
sbuffando, “Me lo devi anche chiedere?”. Eva sembrò quasi
rincuorata: “Sai, ce n‟erano tanti vestiti come te, quel giorno…
sembravano le camelie del parco. E avevano il tuo stesso viso… ma
quando le avevo uccise, il loro volto cambiava. Sai, ho sbagliato a
non eliminarti: le voci che hai sparso hanno fatto il giro della città.
Ma per fortuna oggi sei qui: possiamo sempre porre rimedio, no? E
tu, quale buon vento ti porta qua? “ Parlava tranquillamente, come se
stesse facendo una visita a una cara conoscenza. Diana era
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 162 ~
disgustata, ma cercò di apparire serena come
l‟avversaria:”Semplicemente per il tuo stesso motivo”. Eva scoppiò
in una risata: “Bene, allora che si dia il via alle danze!” E caricò il
suo coltellino, che luccicava alla luna. Diana evitò per un soffio
l‟arma, e cercò di replicare: fendette l‟aria goffamente.
Eva rise ancora: “E‟ tutto quello che sai fare?”. Le colpì la gamba.
Diana digrignò i denti: stava pentendosi della sua decisione, quando,
come per miracolo, vide un sasso appuntito. Lo lanciò e colpì Eva
allo stomaco. Lei si piegò dal dolore.
Approfittandone, affondò il suo coltello nella spalla della nemica,
che urlò. Continuò a sfigurarla, come aveva fatto lei quel giorno,
affondando il coltello nella carne e tirandolo fuori, fino a quando,
soddisfatta della sua macabra vendetta, le tolse la vita. Il corpo cadde
a terra con un tonfo.
Una leggera brezza si levò, e accarezzò il viso di Diana. Stava in
piedi, col coltello in mano sporco di sangue, che gocciolava sulle
pietre della stradina.
E ora? Che faccio?
Non aveva minimamente pensato al dopo. Non aveva progettato
l‟occultamento del cadavere, si era detta semplicemente “In qualche
modo farò”.
E poi, ora si sentiva vuota. Aveva raggiunto il suo obiettivo, ma ora
che le rimaneva? Niente, il nulla più assoluto.
La mia vita è rovinata. Se trovano il cadavere passerò la mia vita in carcere. Per la seconda volta in quella sera, ebbe paura: non voleva esser
catturata, ma sicuramente l‟avrebbero scoperta, se fosse scappata.
Col coltello sporco ancora del sangue del nemico, si uccise.
Non mi prenderanno. Pensò con un sorriso mentre moriva.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
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Le Storie
di IoRacconto Junior Humor
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
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~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
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Valentina Bettoni
Una tranquilla giornata in posta
In una normalissima giornata di Maggio, mi accingevo ad andare in
posta a pagare un bollettino, con l'ansia perchè nel mio piccolo paese
andare in posta voleva dire passare due orette in compagnia di una
fila di gente borbottante per la lunga attesa.
Non so il perchè: vuoi che la tecnologia faccia i capricci, vuoi che
finisce sempre il toner proprio un attimo prima in cui entro, vuoi che
i terminali impazziscano ma non vorrei essere la povera impiegata
che sta dietro lo sportello!
Decido di sedermi sulla panchina perchè ho già capito che l'attesa
sarà interminabile quando prima del mio turno un'anziana signora
con il libretto di risparmio voleva prelevare dal suo conto; dopo la
richiesta della carta d'identità, firme varie e quant'altro si accorgono
che manca ancora un documento: la nonnina angosciata chiede di
poter avere lo stesso i suoi soldi ma l'impiegata le risponde di no!
A questo punto mi infervoro: “Scusate: ma, a parte il fatto che
conoscete la Signora, ha il conto da voi, e ha sempre prelevato senza
nessun problema, oggi per un cavillo non può... Poi per un
operazione di un minuto è due ore che tutta questa gente sta
aspettando... Già come ufficio postale non era un tripudio
all'efficienza ma ora che le Poste vogliono fare pure la banca...”.
Riscuoto il favore del pubblico al che decido che è il momento giusto
per attuare un'idea che da parecchio tempo mi balenava nel cervello e
distribuisco dei biglietti da visita con un nome e un numero di
telefono: “Signori: se avete dei risparmi e volete guadagnare un 10%
netto fidatevi e telefonate: vi assicuro che resterete soddisfatti e non è
una truffa sapete chi sono quindi...”
Ma Voi lettori non sapete chi sono: Ve lo dico ora sono un Broker
lavoro in borsa...
Il giorno seguente arrivano le prime timide telefonate ma poi via via
la voce si spande e vengo sommerso di telefonate e ragazzi voi non ci
crederete ma la gente era soddisfattissima e il passaparola era la
miglior pubblicità: pure gratis!
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 166 ~
Il conto in banca dei miei clienti lievitava a vista d'occhio e anche il
mio!
Mi comprai una casettina dotata di tutti i comfort, immersa in parco
meraviglioso, con un fantastico laghetto, dove finalmente le mie due
tartarughe trovarono dimora.
“Signore, Signore!” mi parse che qualcuno mi chiamasse....
“Signore!” Sentii una mano che mi afferrava un braccio e: “Si svegli
è il suo turno.”
Accidenti! Mi ero addormentato in posta! Quindi era tutto un sogno!
Un bellissimo sogno!
Ma non mi importa: perchè la mia vita, anche se umile, è bellissima
così.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
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Le Storie
di IoRacconto Junior
Vita Contemporanea
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
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~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
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Bianca Bellucci
Vento freddo da Nord-Est
La pioggia cade lenta sulle strade, in uno di quei pomeriggi di
Settembre in cui vorresti solo sederti ed aspettare. Tira vento bagnato
là fuori; è grigio, come tutto il resto.
Flinn ha la faccia spalmata sullo sportello del microonde e gli occhi
spalancati. Osserva sbalordito dei piccoli quadratini gialli diventare
popcorn.
“Non ti chiedi mai perché?”
Tom si volta di scatto verso di lui, facendo vibrare il vetro sottile
della finestra alla quale è appoggiato. Lo osserva con un sopracciglio
alzato e le braccia premute sul petto.
“Mi alzo alle cinque di ogni mattina, mi faccio una doccia gelata per
convincermi che sono sveglio, ingoio caffè freddo e vecchio di
giorni, vado a fare un lavoro che non riesco neppure a definire,
quando mi chiedono di cosa mi occupo. Mi stai domandando se non
mi chiedo mai perché?”
Flinn stacca il naso dal vetro, i suoi occhi guizzano veloci verso il
pavimento.
“Io mi riferivo ai popcorn.”
Tom sembra meno intelligente di quel che è; ha il difetto di parlare
troppo, e il silenzio spesso è come un vestito ben cucito: nasconde
ogni imperfezione.
Tom è una di quelle persone che fanno le cose per poi potersene
lamentare. E‟ un moralista convinto, secco in ogni suo giudizio. Di
quelli che ascoltano soltanto Elvis, ma a basso volume. Di quelli che
leggono solo Hornby, perché ci fosse mai una volta che finisce bene.
Di quelli che vedono il telegiornale delle diciotto e quarantacinque,
quello delle diciannove e trenta e quello delle venti e quindici; chissà
se per verificare se il mondo è cambiato nel giro di qualche minuto o
se per criticare anche il parrucchiere del giornalista successivo. Il
pragmatismo non fa al caso suo: qualsiasi domanda tu gli faccia, non
otterrai mai una risposta che possa aiutarti.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 170 ~
E poi, è in svantaggio, da una vita. Su tutti e tutto, sempre. Il cinismo
con cui incarta ogni cosa non è che il suo modo per accelerare.
Flinn, invece, cerca risposte a qualsiasi genere di domanda. Alle
risposte che ottiene si affida come fossero dogmi; non ci riflette, né
dissente: le immagazzina per poterle tirare fuori, spolverare ed aprire
con la commozione della riesumazione, quando avrà di nuovo lo
stesso dubbio.
L‟ uno è nato per fare domande, l‟altro per dare risposte. In fondo,
però, non sono poi così diversi. Alla vita non chiedono niente, e la
vita ha il buon gusto di non chiedere nulla a loro. Non si può dire che
la vita sia sbagliata, dopotutto. A volte scende a patti con persone a
cui non daresti un penny. Forse il motivo è che non danno fastidio,
vanno per la loro strada senza impicciarsi troppo. Se c‟è una cosa che
la vita non sopporta, è quando cerchi d‟immischiarti nei suoi affari.
Se accetti di non farlo, di lasciarle fare il suo lavoro, lei ti lascia fare
il tuo. Sarebbe un rapporto alla pari, se l‟ultima parola non l‟avesse
sempre lei.
L‟ultima parola della vita è qualcosa a cui Flinn pensa spesso,
qualcosa su cui ha imparato a non fare domande. Eppure una volta ci
ha provato:
“Pensi che esista un aldilà, Tom?” Aveva chiesto a voce alta per
contrastare il vento che picchiava impietoso sul ponte. Tom non lo
guardava, osservava le nuvole correre spedite sopra le loro teste.
“Penso che non so cosa sarà domani, come posso anche solo
domandarmi cosa sarà dopo che sarò morto?”.
“Non hai paura?”.
“Del domani sì. Tanta”. Le sue parole si erano perse nel nulla, prima
che potesse capirle davvero. Le sue parole se le era portate via il
vento. La fa spesso, il vento, questa cosa di portare con sé le parole
migliori. Le ruba in giro e le tiene per sé, non ne butta mai una; per
questo puoi trovarle tutte lì, ogni volta che vuoi, ogni volta che
vuole. Nel vento ondisonante sulle sponde del fiume, freddo e carico
di pioggia; là dentro ci sono le frasi migliori di sempre. Il vento è
domanda e risposta. Il vento ha sempre una soluzione.
Cammina spesso nel vento Tom, senza fermarsi. Le sue frasi
paradigmatiche bloccate in gola. Riesce a dirne solo qualcuna,
qualcuna delle migliori. Il vento è un gran collezionista: non ha
tempo da perdere; ha voglia di ascoltare solo cose buone, per rubarle
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 171 ~
e aggiungerle alla sua collezione. Ecco perché si dicono cose più
intelligenti, quando c‟è vento. A volte si parla da soli, si parla col
vento; si sussurrano parole che solo lui potrà ascoltare e le si lascia
andare. Magari serviranno a qualcun altro, dall‟altra parte del mondo;
magari, invece, serviranno di nuovo a te, un giorno, e allora il vento
sarà lì per prestartele ancora.
Tom ha una risposta per qualsiasi cosa. E non è per niente facile
avere risposte per tutto: devi costruirtele una ad una, nel tempo. Tom
l‟ha fatto perché è terrorizzato dalle domande a cui non riesce a
rispondersi; quel genere di domande che Flinn cerca da una vita, e
che con Tom a fianco non è mai riuscito a trovare. Forse non sono
poi così uguali, Flinn e Tom, ma neppure poi così diversi. Uno ha
bisogno di sapere che c‟è qualcosa di più, e che tutto questo non è
colpa sua. L‟altro vuole credere d‟essere l‟unico artefice del suo
destino. E la vita li lascia camminare entrambi, senza ostacolarli mai;
le loro paure opposte le piacciono come fossero uguali. Sa di poter
accontentare ambedue senza nessuno sforzo.
Non è così sadica come sembra, la vita. Ed ha una particolare
simpatia per i pezzenti che non bussano mai alla sua porta; per quelli
che surfano sui traguardi come fossero onde, avanti ed indietro,
senza superarli mai; per quelli che vagano in una caccia al tesoro in
cui nessuno ha davvero l‟intenzione di trovare ciò che cerca.
Flinn e Tom sono prototipi perfetti dell‟individuo ideale, secondo la
vita. Perché la vita non c‟è, nei loro sogni di gloria; perché la vita nei
sogni non riesce ad entrare. Non riesce e non vuole, perché non sono
che sogni, infantili fantasie. E questo rimangono, quando vivendo
cammini sulle punte, per non disturbare, e la vita la lasci dormire
tranquilla di là, sul divano in salotto, o magari le lasci anche il letto,
ché è ospite e non sia mai.
E‟ quello che Tom e Flinn hanno imparato a fare molto bene. Tanto
bene che con la vita si sono fatti pure un amico comune: il vento.
Insieme a lui lasciano volare via i loro sogni, insieme alle loro vaghe
domande e pungenti risposte. Con sollievo lasciano che se li porti
via, lontano da loro. Che li tenga per sé o li doni ad altri: per loro
sono come scarponi d‟acciaio al posto delle pattine con cui strisciano
abitualmente in casa della vita. E il vento li sfoglia e li culla sui tetti
bui della città, quando dormono tutti e non c‟è nessuno a cui rubare
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 172 ~
parole. Il vento delle cinque di mattina è pieno di sogni non suoi. E‟
il vento più bello.
Fa freddo là fuori. E c‟è vento. Le strade di Manhattan sono grigie e
deserte. Flinn e Tom sono gli unici esseri viventi ad arrischiarsi fuori
di casa. Un vento gelato soffia implacabile da nord-est.
“Le persone che vanno a Messa tutte le domeniche e poi, che so,
tirano pietre alle finestre… quelle non le sopporto. Quella gente non
dovrebbe andare a Messa”
“Quella gente non dovrebbe tirare pietre alle finestre…”
E continuano a camminare. Le strade di Manhattan sono grigie e
deserte. Un vento gelato soffia implacabile da nord-est. Le parole
sfumano nel nulla, a fianco alla corrente del fiume. Le parole se l‟è
portate via il vento, ancora. Mentre la Vita, compiaciuta, sta a
guardare.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 173 ~
Giulia Bonfrate
Dal diario di un bambino …
12/04/1956
Caro diario, è ormai passata una settimana dal giorno in cui siamo
stati rinchiusi in questa casa.. io e la mia famiglia intendo. Non ho
più tempo per scrivere. Ho dovuto imparare a lavorare. I grandi
uomini (era questo il nome che ho dato agli uomini che indossavano
tute tutte uguali di colore blu) ci impongono delle regole,
minacciando di ucciderci. Non ne posso più di lavorare. Pensa che
oggi io e mio padre abbiamo dovuto portare 10 kg di terra in spalla
per 20 km. È stato molto faticoso, ma ho dovuto farcela. Come io ho
dato dei soprannomi a loro, loro li hanno dati a me e ai miei genitori.
Ci chiamano “sporchi gialli”, anche se non ho ancora capito il
perché. Ieri ho sentito i grandi uomini che tra un boccone e l‟altro,
dicevano che noi siamo stupidi immigrati in Italia, venuti a rubargli
le case. A quanto mi risulta io e mio padre non abbiamo mai rubato
nulla a nessuno, anzi, siamo uomini dai buoni principi. Mio padre
ogni mattina, da quando siamo qui, va nella sala- ufficio del grande
uomo, e poi viene a svegliarmi dolcemente dicendo : “su alzati,
dobbiamo lavorare per la nostra libertà”. Non ho mai osato chiedergli
perché bisognasse lavorare per essere liberi, ma se lui lo fa, vuol dire
che è una cosa giusta anche per me; sono sicuro che non farebbe mai
qualcosa che non fosse per il mio bene. Ora deve andare; Come
sempre a quest‟ora arrivano a controllare che tutti stiamo dormendo..
Ciao!! Forse a domani!!
14/04/1956
Caro diario, ieri non ti ho potuto scrivere, ero troppo impegnato a
scrivere una lettera ai nonni, che si erano preoccupati non vedendoci
tornare a casa dopo la solita passeggiata. Mi hanno obbligato a
scrivere che andava tutto bene, anche quando tu sai che non è così.
Però io sono stato molto più furbo dei grandi uomini. Ho messo
dentro la busta degli indizi per farli arrivare a noi, ma dovranno
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 174 ~
essere bravi a capirli !! Comunque ho delle novità ! Il più grande dei
grandi uomini mi ha detto che domani io e tutta la mia famiglia
andremo a fare una gita, in un bosco, mi hanno raccomandato di
mettermi delle scarpe comode, perché sarà una gita molto lunga. A
scuola qualche volta facevo delle gite, anche molto lunghe , ma
questa hanno detto, sarà quasi senza ritorno. Davvero sarà senza
ritorno? Non so che fare. Ho deciso però che domani ti porterò con
me, almeno avrò sempre un amico intorno. Ora è arrivato il momento
di andare. A domani!!
Dopo questa pagina non ne sono state scritte altre. Quel senza ritorno
allora, cosa voleva dire??
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 175 ~
Rebecca Calamai
L‟Amicizia …
... Ha un valore molto importante nella mia vita e non riesco a
immaginare la mia vita senza amicizia. Chiamiamo amici tutti quelli
che conosciamo, ma in realtà dovremmo chiamare amici solo le
persone che ti fanno sentire veramente bene e le persone con cui ti
puoi sentire te stesso. Credo che l‟Amicizia debba essere basata sul
rapporto di fiducia. La cosa più difficile però è fidarsi di una persona,
soprattutto se in passato ti aveva già tradito. Hai paura che lo sbaglio
che aveva commesso, se possiamo chiamarlo così, lo possa
ricommettere o ne possa ricommettere un altro oppure un altro
ancora.
L‟amicizia in parte è come la vita: nasce, cresce, muore.
Ci sono quelle amicizie che nascano e proprio non te lo aspettavi che
potessero nascere, oppure quell‟amicizia che “aspettavi da un po‟
tempo”, e alla fine è diventata realtà.
Nasce: ed è bellissima. Un‟Amicizia comporta nuove scoperte, è
bello perché sai di avere accanto una persona che tra tante altre
persone ti vuole veramente bene, che ti potrà aiutare quando sarai in
difficoltà e come i veri amici si può “fare tutto insieme”. Io la mia
migliore amica la conosco da quando avevo tre anni. Abbiamo un
anno e mezzo di differenza, mi diverto molto con lei, ho la fortuna di
averla come vicina di casa e posso vederla ogni giorno, quando mi
pare e ho bisogno di lei. Tutte e due abbiamo degli impegni durante
l‟anno, ma troviamo sempre il tempo per chiacchierare o farci
qualche risata. Poi a volte quando mi trovo in difficoltà o ho bisogno
di qualche consiglio, la vado a chiamare a casa e affrontiamo il
problema insieme. Sono molto felice di averla incontrata. In dodici
anni ho imparato molte cose di lei e ho anche imparato ad accettare i
suoi pregi e i suoi difetti. Parliamo di tutto: di ragazzi, spettegoliamo,
critichiamo, ci scambiamo opinioni … insomma, insieme ne
facciamo di tutti i colori. Puoi imparare tantissime cose dall‟altra
persona, puoi anche capire chi sei veramente, è una persona che ti
accompagnerà, se è possibile per un gran pezzo della tua vita.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 176 ~
Cresce: se è un‟amicizia tra maschio e femmina, può tramutarsi in
amore. Quest‟“evento”, potrebbe essere anche sorprendente perché
potrebbe capitare con l‟amico o l‟amica che proprio non t‟aspettavi o
che conoscevi da tempo e con il diventare grandi e l‟avere molte cose
in comune, il legame tra i due è diventato sempre più intenso che alla
fine i due s‟innamorano; può essere una cosa positiva come una cosa
negativa. Oppure se è sempre amicizia tra femmina e femmina,
maschio e maschio o tra maschio e femmina, li … beh … il legame
che già c‟era tra i due amici, si può fortificare. Io vedo, il rapporto di
amicizia che c‟è tra me e la mia migliore amica, che con il passare
degli anni è aumentato e si è molto fortificato, anche se qualche volta
litighiamo passando molti minuti in silenzio, ma poi sappiamo che
alla fine una della due “butta giù la barriera del silenzio” dicendo
qualche scemenza e cercando di far ridere l‟altra. Siamo diventate
inseparabili, ogni cosa la facciamo insieme, se lei deve uscire per
qualche motivo e dovrebbe uscire da sola, l‟accompagno io perché
mi dispiace mandarla da sola.
Muore: per la mancanza di fiducia, per una reazione, azione o
comportamento sbagliato. Una reazione, azione o comportamento
sbagliato lo possiamo anche perdonare, ma recuperare la fiducia che
uno aveva verso l‟altra, è molto difficile. Io con una mia amica litigai
perché lì “rubai” la persona di cui era innamorata persa. Lo baciai per
una scommessa niente più … ma lei ci stette così veramente male
che litigammo, e per qualche settimana non ci parlammo e sentimmo
più. Mi rendevo conto e me ne rendo ancora conto dello sbaglio che
ho fatto. Mi sono fatta condizionare da una qualsiasi scommessa e
non dovevo, ho fatto sembrare più importante il fatto di vincere la
scommessa che la nostra Amicizia. Dopo un po‟ di tempo lei disse
che mi avrebbe perdonata, ma c‟era un problema, io non riuscivo a
perdonare me stessa e avevo molti sensi di colpa. Mi innamorai di lui
o forse lo ero già, perché provai un‟emozione cosi talmente grande
che non so se sia stata la paura di aver fatto una cosa del genere o che
sia stata veramente l‟emozione di aver baciato la persona di cui mi
ero innamorata, e questo ha complicato un po‟ le cose. Avevo fatto
diventare complicato anche il nostro rapporto d‟Amicizia che credo
che fosse basata solamente sulla fiducia l‟una verso l‟altra. Ancora
oggi a volte ci ripenso e in un certo senso mi faccio schifo da sola,
ancora!! Ho messo “l‟amore” prima dell‟Amicizia. Eravamo arrivate
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 177 ~
sul punto di dirci addio e a mai più rivederci, ma il nostro
grandissimo problema era che eravamo vicine di banco e che ci
saremmo viste ogni giorno a scuola. Nella nostra classe la notizia si
diffuse molto velocemente, solamente perché lo sapevano già tutti
che io avrei dovuto fare quella scommessa e tutte le nostre compagne
di classi mi facevano sentire talmente in colpa che preferivo morire.
Poi alla fine, e non so come, abbiamo fatto pace, forse perché
sentivamo ancora il bisogno di starci vicine o che non potevamo
“vivere” l‟una senza l‟altra. O forse l‟unica vera ragione era che
nessuna delle due aveva intenzione di soffrire ancora a lungo. Lei ha
dovuto imparare di nuovo a fidarsi di me, ed è stata dura direi. L‟ho
tradita e questo mi dispiace molto. Ma ormai quel che è successo è
successo e io e lei siamo di nuovo amiche, per fortuna.
Amore e Amicizia non sono fatti per stare insieme, beh … hanno
solo una cosa in comune la A. Poi del resto si prenderebbero a pugni.
Una è più forte dell‟altra e hanno dei sentimenti ben diversi che è
meglio tenerli molto lontani tra loro, se non vuoi che un‟amicizia
finisca per un ragazzo/a. Credo che nessuno voglia questo e adesso,
essendoci passata sopra, non vorrei star di nuovo male perché ho
capito il mio errore ma soprattutto ho messo l‟amore prima
dell‟Amicizia. Una cosa che ogni tanto rammento a me stessa è: mai
mettere un ragazzo/a prima di una tua amica/o perché gli amici sono
per sempre, ma un amore può finire, perché dopo amore non c‟è più
amicizia. L‟Amicizia c‟era soltanto prima.
Io sono circondata da poche persone ma molto speciali che mi
vogliono veramente bene. Spero di non rifare mai uno sbaglio del
genere, adesso ho imparato, ci sono passata sopra e non lo rifarò più.
L‟Amicizia è una cosa bellissima e non la cambierei per nessun‟altra
cosa al mondo.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 178 ~
Eleonora Calamandrei
Banlieu
Appena la vide Radah la scambiò per la principessa che visitava i
suoi sogni: l‟oro dei capelli colava disordinato sulle spalle, e gli
occhi azzurri parevano aver rubato un po‟ di luce alla Ville Lumière.
Radah lasciò perdere la moretta che si stava lavorando quella sera e
le si avvicinò:
“Ehi bella, vieni un po‟ con me?”
Senza rispondere lei si allontanò dal lampione che illuminava la
galleria del metrò, avvicinandosi. Radah le prese la mano: era così
piccola e fredda…
“Come ti chiami?”
“Aida” sussurrò, più ai neon borghesi della lontanissima città che a
lui.
La sera dopo Aida fu di nuovo lì, ed anche quella dopo e poi quella
ancora seguente. Radah cominciò a portarla dove viveva, e
passavano la notte così, nel mondo delle lamiere e degli spifferi, a
raccontarsi fra un bacio ed un altro storie assurde e vere. Come
quella di Mesut l‟apostata.
“Dovresti vederlo” raccontava Radah “è un vecchietto turco con il
cervello tutto in pappa: sta seduto sempre sulla stessa coperta da
dieci anni, bestemmia tutto il giorno e non vede l‟ora di morire.
Perché, vecchiaccio?” Gli chiedo ogni tanto, e lui mi risponde
sputacchiando: “Perché così qualcuno finalmente mi pagherà il conto
di questa vitaccia schifosa! Appena lo becco, quello che sta ai piani
alti...”.
“… E se semplicemente non ci fosse nessuno?” Lo interruppe Aida,
all‟improvviso triste.
“Prova a chiederlo al vecchio Mesut, e senti cosa ti dice.” commentò
Radah, perché lui di risposte non ne aveva. Dio, la morte, il dopo…
Tutti brucianti punti interrogativi. Solo Aida non bruciava, lei, con la
sua pelle gelida ed i suoi occhi persi della notte. Radah avrebbe avuto
voglia di sentirla ancora più sua, di amarla senza limiti, ma ogni
notte, proprio quando un bacio sembrava spingersi oltre, proprio nel
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 179 ~
momento in cui il corpo di Aida sembrava tiepida cera fusa fra le sue
braccia, ecco che la ragazza lo fermava, per poi cadere in un sonno
malinconico e dolcissimo. Ed a Radah non restava che passare le
mani scure fra quei capelli d‟oro, chiedendosi come diavolo facesse
quella piccola francesina con il nasino all‟insù a renderlo così
impotente: cavolo, lui era il principe dei sans papier, con uno
schiocco di dita avrebbe potuto avere tutte le più belle ragazze della
Francia clandestina! Come si permetteva questa sconosciuta di
monopolizzarlo? Si credeva in gabbia, Radah, ed ogni notte un
minuscolo granello di rabbia si depositava sul fondo della sua anima,
avvelenandolo con inesorabile lentezza.
L‟esplosione deflagrò una sera a caso, quando l‟estate rendeva
profumata la polvere.
“Perché non provi a riprendere la scuola, Radah? Sei dotato, in un
anno o due potresti già prendere un diploma…”
“Ma fammi il piacere, Aida! Io non ho uno straccio di documento, la
scuola non è per quelli come me! Noi siamo fatti per spaccarci le
ossa nei cantieri, e se ci va di lusso riusciamo a non farci ammazzare
da un ingranaggio difettoso! Un diploma! Ma in che razza di mondo
fatato vivi, si può sapere?”
“Vivo in un mondo in cui studiare serve! Pensa, se andassi
all‟Università…”
“Credi che non ci abbia mai pensato? Hai una vaga idea di quante
volte ci abbia pensato, dannazione? No? E allora sta‟ zitta!”
Radah si diresse alla porta.
“Ma io ti capisco, sai? Tu mica vuoi stare con uno così; vorresti un
bel fighetto francese con tre lauree, che abbia camicie sempre stirate
e non viva in una baracca di lamiera, giusto?”
“Dove vai?” mormorò lei, l‟azzurro dello sguardo cristallizzato in
un‟espressione dolorosa.
“Che te ne importa?” disse Radah, sbattendo la porta. Non avrebbe
potuto sopportare un secondo di più quel dolore.
Girovagò tutta la notte, si ubriacò, fumò, si ritrovò circondato da
tutte le stelline della periferia, ma avvertiva che lei non c‟era. Forse
non ci sarebbe stata più. “Cosa ho fatto?” si domandava sempre più
spesso.
Infine la vide: era ad un angolo della piazza, le labbra contratte.
Radah si divincolò dalle tipe che gli si stavano strusciando addosso e
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 180 ~
corse da lei. Sul viso pallido e magro erano rimaste delle tracce
sbavate di trucco. Non le chiese scusa: le parole erano gelate come
rose a Gennaio. Aida si lasciò portare in braccio fino alla baracca,
mentre l‟alba le luccicava sul viso.
L‟estate avanzava. Per il compleanno del clandestino Aida gli regalò
un paio di guanti di lana, anche s‟era il diciassette di Agosto, e ne
risero un sacco. A volte Radah si svegliava e la sentiva singhiozzare
accanto a sé.
“E‟ solo il freddo”. mormorava la ragazza con un sorriso tirato.
Allora il principe della Parigi nascosta la stringeva forte forte a sé, ed
anche s‟era pieno Agosto non gli veniva da ridere.
Venne l‟inverno, ed Aida gelava. Una sera Radah l‟aspettò invano
alla banchina sgangherata del metrò. Aspettò anche la notte dopo, e
poi quella ancora seguente. Alla terza Aida scese barcollante dal
treno. Radah le corse incontro e la prese in braccio prima che
crollasse a terra. Aveva il peso di una farfalla.
“Portami a casa” sussurrò “sono stanca”.
Appena arrivarono Radah l‟adagiò sulla branda e cominciò a
spogliarla: prima il cappotto, poi il golf, le scarpe, i pantaloni. Quella
notte nessuno dei due dormì.
All‟alba non si dissero addio.
“Portami all‟“Hopital Europèen La Roseraie”, per favore”. Si limitò
a chiedere Aida, prima di cedere al sonno. “Cardiochirurgia” pensò
Radah, portandola in braccio fino all‟ospedale per malati di cuore.
Prima che i medici intubassero Aida accarezzò quel viso
addormentato e se ne andò.
La ragazza restò in quello stato per quasi una settimana. I suoi non
seppero mai chi fosse il giovane di colore che aveva riportato ai
cardiologi la loro “bambina dal cuore di cristallo”, come la
chiamavano, né cosa avesse spinto quell‟organo atrofizzato a battere
così a lungo, così oltre il tempo che i medici gli avevano dato.
Chissà, forse la piccola aveva trovato forza nella fede: nel dubbio,
Aida ebbe un bel funerale in chiesa, anche se si dichiarava non
credente ormai da anni. I suoi erano sicuri di una conversione: d‟altro
canto come poteva essere altrimenti? Negli ultimi mesi, il suo
sguardo sembrava davvero aver intravisto un po‟ di luce del
paradiso…
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 181 ~
Amalia Campagna
L'ultima nota
La mattina di una domenica autunnale pigra, Ambra si sta
contorcendo le mani dietro il sipario di un palcoscenico.
Il tessuto rosso della tenda è spesso, ma si può vedere bene quanta
gente si stia sedendo nelle poltroncine bordeaux dell'auditorio.
Può vedere benissimo i suoi genitori in terza fila, arrivati ore in
anticipo, ansiosi di vedere la loro figlioletta suonare il piano.
Ma la loro figlioletta è in un bagno di sudore, e improvvisamente una
nebbia le riempie la mente impedendole di ricordare il brano.
In lista è l'ultima a suonare. Si è allenata per mesi a questo saggio, ed
è decisa a fare una bella figura. Le avevano fatto molti complimenti
per le sue dita lunghe e affusolate, che quando suonava scorrevano
sui tasti come cavalli nella prateria.
Quando la presentatrice la chiama sotto lo scoscio di applausi che ha
premiato pianista precedente, Ambra entra in sala in stato catatonico.
Si avvicina al piano nero e lucido, in ebano. Si siede. E inizia.
Senza che se ne renda conto, le note le vengono alle mani, e sotto le
dita la melodia inizia a prendere forma. Una stagione dopo l'altra,
Primavera, Estate, Autunno e Inverno di Vivaldi, entusiasmano
Ambra, che poco tempo prima era certa di fare figura muta.
Do. L'ultima nota.
La musica finisce. E regna il silenzio. C'è qualcosa che non va, c'è,
ma la piccola non riesce a capire cosa. Dopo la musica dovrebbero
venire gli applausi, ma c'è solo silenzio. E un'altro tipo di nebbia si
insinua in Ambra. Ma questa volta non nella mente, che è fin troppo
lucida e continua a cercare l'errore, ma sui suoi occhi, che sempre in
silenzio si mettono a piangere mentre Ambra scappa dalla sala.
Quattro anni dopo la piccola Ambra ha tredici anni e frequenta la
terza media. Da quell'episodio dimenticato non ha più toccato un
pianoforte. Ha cercato di andare avanti.
Mentre, in classe, è persa nelle sue riflessioni, la prof. fa entrare in
classe una nuova compagna: Martina.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 182 ~
E' alta, magra e ha i capelli biondo cenere legati in una coda che le fa
finire i boccoli dietro la schiena. Ambra sorride all'idea di questa
nuova compagna. "Sembra simpatica”, pensa, “sta sorridendo.
Magari anche a lei piacciono i Green Day..".
Ma questi pensieri allegri svaniscono quando lo sguardo le cade sugli
occhi di Martina: sono velati, ciechi. Martina è ceca! La
professoressa vedendole la bocca spalancata come quella di uno
scorfano, la esorta ad aiutare Martina a sedersi nel banco vuoto di
fianco al suo.
Martina si presenta, è cordiale, cerca di cavare senza risultato una
parola di bocca ad Ambra. Intuisce che è sorpresa e si mette a ridere.
Le racconta dell'incidente di pochi anni fa e di come sia stata dura.
Legano in poco tempo e Martina invita a casa sua la sua nuova
amica.
La famiglia di Martina è ricchissima e sono molto premurosi con la
loro figlia. All'uscita da scuola c'è una macchina che le aspetta e le
porta a una grande villa fuori città.
Mentre Ambra gira per l'enorme casa, entra in una stanza: grande,
con della carta da parati rosa e il parquet, al centro c'è solo uno
strumento che non vedeva (che aveva cercato di non vedere) da anni.
Si affianca al grande piano bianco, e i ricordi le saltano alla mente
come in un libro pop-up per bambini. Non cerca nemmeno di
fermarli.
A mettere fine a questa catena di ricordi è la padrona di casa,
Martina, che silenziosa come una lepre si siede sullo sgabello.
Sembra un gesto familiare per lei e Ambra intuisce che doveva essere
suo il piano.
"Suonavi?" Le chiede sussurrando come se fossero in un grande
museo vuoto o in un tempio sacro.
"Oh, si. Ma dopo l'incidente sai... Non è difficile continuare. E non
solo col piano. E' stata dura in tutto. Ho avuto una crisi per il fatto
che non riuscivo più a suonare. Mi sono trasferita appunto nella tua
scuola perché andavo al conservatorio e non potendolo più
frequentare..." Non finisce. Probabilmente anche lei, con quegli occhi
perennemente nel vuoto, è presa dai ricordi.
"Eri brava" azzarda Ambra.
Martina annuisce. "Sì, mi dava una pace infinita suonare. E tu,
suoni?"
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 183 ~
Silenzio. Alla fine è sempre il silenzio che si mette in mezzo.
Martina sta attendendo una risposta che non arriva.
Ambra cerca di formulare una frase: " Suonavo. Tanto tempo fa."
E' evidente che l'amica si aspetta il resto della storia.
E racconta la sua disavventura.
"Beh...Martina inciampa parlando, è evidente che non sa che dire
sono sicura che eri brava anche tu." Conclude.
All'improvviso un desiderio le balena nella mente.
"Oooh, ti prego suona per me!"
"No, assolutamente no." E' la risposta che le viene data. Martina
capisce che non conviene insistere, che è una ferita aperta da non
toccare.
Mentre Martina si sta mortificando, Ambra è presa da una lotta
interiore. Se suonasse, se suonasse per questa amica che ha perso la
vista, per ricordarle che al mondo non si vede solo con gli occhi,
sarebbe brutto? Sì, certo che lo sarebbe, non può deludere anche la
sua amica come tutti gli spettatori di quel giorno spaccandole anche i
timpani.
Ma vedendo lo sguardo della ragazza di fianco a lei e decide di
provare. Sbuffando scansa dalla sedia Martina, che è diventata
euforica al pensiero di sentire di nuovo il dolce suono dei tasti
impolverati.
Si siede.
Rivede in un Flash-back il sipario rosso che si alza davanti a lei.
Chiude gli occhi. Inizia.
E le sue mani riprendono confidenza con i tasti in avorio, che le
erano tanto mancati. Risuona le Quattro Stagioni, ma ha paura:
quando finirà il brano ci sarà ancora silenzio.
Impallidisce, si ferma e apre gli occhi. Non c'è più il siparo. Solo la
carta da parati rosa. Basta.
Ma la musica non è finita, di fianco a lei c'è Martina, che in un duetto
felice, guarda davanti a se, vedendo nella sua mente più di una sala
da concerto.
Se Martina ce la fa, può suonare anche lei. E insieme all'amica
s'inoltra nell'Estate che con i suoi venti caldi porta pace, serenità e
coraggio. Ma soprattutto, musica.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 184 ~
Federica Capaccioni
La selva: luogo dell‟anima
Notai un uomo che, con la schiena piegata, arrancava per la strada.
Guardai i suoi occhi verdi che spiccavano come due gemme da quel
volto da poveraccio e ne fui attratta. Scostai subito la ciocca di
capelli dal mio viso e rimasi immobile, quasi con il fiato sospeso.
Il vecchio si sedette con cautela a terra tra l'immondizia, a suo agio
tra la sporcizia. Sospirò e sollevò gli occhi. Si accorse subito di me,
come avrebbe potuto non farlo? Ero rimasta pietrificata in mezzo alla
via con un piede ancora sollevato per il passo che non avevo
compiuto.
Guardai dentro quegli occhi grandi e splendenti che illuminavano la
parte del viso che non era ricoperta dalla sporca barba. Fu in
quell'istante, mentre il vento di tramontana schiaffeggiava le mie
guance ed entrava sotto al mio cappotto, che mi accorsi di quanto
avessero da dire quegli occhi. Specchio dell'anima di quel povero
uomo che ormai aveva dimenticato di essere tale: trattato da tutti
come una bestia aveva alla fine creduto d'esserlo.
Non riuscivo a distogliere lo sguardo, avevo tutto un mondo davanti
a me, un mondo diverso da quello che mi circondava. In quegli occhi
verdi vidi le fronde degli alberi muoversi in quello stesso vento che
mi stava facendo rabbrividire. Vidi un albero, un bosco, una foresta,
una selva. Così fitta e selvaggia da parermi quasi impenetrabile, ma
che, con mia sorpresa, si aprì e mi permise di entrarvi. Mi inoltrai
timorosa, calpestando le foglie marce del terreno umido e saltando le
radici che vi uscivano. Il forte odore di muschio mi fece pizzicare il
naso. Continuai ad avanzare nel buio. Sentivo un suono provenire da
lontano e non riuscivo a capire di che si trattasse. Non riuscivo ad
isolarlo dagli altri rumori, dal fruscio delle fronde, dalle foglie
schiacciate sotto i miei passi. Cominciavo ad avere caldo, un caldo
quasi soffocante, che mi chiudeva la gola.
Proseguii, avevo paura, ma non sapevo bene di cosa. Era una paura
subdola e terrificante della quale non riuscivo a distinguere il viso,
camminava al mio fianco senza dirmi il suo nome. Decisi di
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 185 ~
ignorarla, di proseguire senza preoccuparmene, ma la sentivo
arrancare al mio fianco con il respiro affannoso e gelido.
Il rumore diveniva sempre più deciso, sempre più forte e l'ansia mi
travolse. Velocizzai il passo. Volevo capire di che si trattasse, ma più
avanzavo e più il rumore diveniva fastidioso, perfino assordante.
Mi fermai. Le orecchie mi facevano male, ma ero decisa a trovare la
fonte di questo baccano. I miei occhi si spostarono da un punto
all'altro della foresta, alla ricerca disperata. Dovevo trovarlo e farlo
smettere. E infine vidi qualcosa muoversi sotto un piccolo cespuglio
di bacche rosse. Mi avvicinai cauta e scansai il ramo che lo copriva.
Rimasi immobile ad osservarlo, sconcertata nel trovarlo lì da solo.
Indifeso si contorceva urlando. Piangeva disperato. Mi chinai su di
lui e lo accarezzai. Il bimbo mi guardò e smise di piangere. Sul
pallido volto tornò il colore, le guance si tinsero di rosso. I suoi occhi
verdi, quegli stessi occhi che mi avevano condotta lì, mi fissavano
scettici. Potevo leggere l'abbandono nell'espressione sconvolta del
neonato.
L'accenno di un sorriso si dipinse all'improvviso sulle sue labbra
color pesca. Subito l'aria divenne più leggera e meno soffocante, la
paura scappò via e il vento divenne quasi una carezza. La selva
risplendette di una luce sprigionata dal piccolo esserino che
continuava a fissarmi. Tornò la vita nella selva. I frutti spuntarono
sulle fronde degli alberi, un manto di fiori ricoprì il terreno e il canto
degli uccelli allietò le mie orecchie. Non capivo cosa stesse
accadendo ed ebbi paura. Ebbi paura di ciò che non comprendevo,
temetti l'ignoto, il mistero e involontariamente feci un passo indietro.
Il bimbo rimase stupito dalla mia reazione e per un istante mi studiò.
Poi la sua espressione mutò rapidamente: aggrottò le sopracciglia,
arricciò le labbra e socchiuse gli occhi. La delusione, la paura,
l'abbandono attraversarono il suo volto paffuto. In un istante le
lacrime riaffiorarono dai suoi occhi, scivolando sulle sue guance,
ormai nuovamente pallide e prive di vita. Il suo pianto si sprigionò
con violenza e investì tutto, compresa me. La luce scomparve, il
dubbio mi invase, la paura mi strinse le mani alla gola. Feci un altro
passo indietro e caddi.
Mi ritrovai a terra, sulla strada gelida, mentre il vento ululava. Un
uomo che passava di lì, mi soccorse e mi aiutò ad alzarmi. Volsi
subito lo sguardo verso il mendicante. Era sempre seduto lì, in
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 186 ~
quell'angolo buio del vicolo. Le lacrime bagnavano il suo vecchio
viso e per un attimo rividi quel bimbo, abbandonato, solo, senza
nessuno.
La malinconia mi investì non appena mi resi conto di aver visto la
sua anima.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 187 ~
Carlotta Capello
Con un paio d‟ali
Come tutte le sere, stavo comodamente seduta sulla larga poltrona di
fianco al suo letto, pronta a raccontare la storia della buona notte a
mia figlia Sofia.
“Cosa preferisci che ti legga questa sera, tesoro?” Le chiesi.
“Mi piacerebbe ascoltare la solita storia, mamma” mi rispose
impaziente della lettura.
Sofia amava particolarmente un breve libro che le leggevo
regolarmente da quando era nata. Ne era innamorata quasi quanto me
e io non mi stancavo mai di raccontarla.
Avvicinai di più la poltrona al suo letto, per poterla guardare meglio
in quei suoi occhi blu, simili ai miei, due perle in un visino roseo,
perfettamente ovale, incorniciato da una folta chioma di capelli
castani che le ricadevano sulle spalle con pesanti e splendidi ricci.
“Va bene piccola mia” sussurrai dolcemente. E così cominciai a
leggerle un piccolo libro blu dal titolo: “Con un paio d‟ali”.
“Il cuore palpita.
Si alzano soffuse le luci.
Si apre il sipario.
Comincia la musica.
Le note suggeriscono il movimento: è il momento di entrare in scena.
Quello tra me e il palcoscenico è stato un amore a prima vista e
quando l‟ho capito, è stato per sempre.
Ciò che mi porta oggi, 13 settembre 1998, alla vigilia del mio
diciannovesimo compleanno, a tradurre in parole il diario della mia
vita, da sempre scritto nel mio cuore, è una strana forza che brucia
dentro me da quando sono nata, una forza dettata non solo
dall‟amore e dalla sensibilità con cui mi rivolgo alle persone, ma
soprattutto da un‟immensa e straordinaria passione che riempie il
mio cuore fino a farlo scoppiare. Una sola cosa nella mia vita è certa,
indissolubile e indiscutibile: il mio amore per la danza.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 188 ~
Fin dall‟età di un anno, zia Stefania mi portava con sé alle lezioni di
danza che svolgeva nella sua scuola. Trascorrevo i pomeriggi ferma,
immobile e silenziosa in un angolino della spaziosa sala rettangolare,
fissando attentamente ogni singolo passo svolto da quelle ballerine
volanti che sognavo di imitare, un giorno.
Ricordo ancora l‟emozione provata la prima volta in cui indossai un
paio di scarpette rosa, numero 22. Sentii come una forza d‟attrazione
indistruttibile sprigionarsi tra i miei minuscoli piedi e le scarpette:
nessuno sarebbe più riuscito a togliermele.
Ciò che all‟inizio era un gioco divertente, divenne fatica, sforzo,
lavoro, ma soprattutto…passione! Continuai a frequentare le lezioni
sotto l‟immancabile guida della zia, la persona più splendida che
esista al mondo. Riuscì a trasmettere a noi allieve, e a me in
particolare, il grande amore che nutriva per il suo lavoro. Ci allevò
con affetto fin da piccolissime, mantenendo la promessa che ci
avrebbe portate in alto.
In breve tempo mi resi conto che danzare era ciò per cui sarei stata
disposta a sacrificare tutta me stessa, ciò con cui avrei voluto
illuminare ogni singolo frammento della mia vita. La danza è la
massima espressione dell‟anima attraverso il proprio corpo in
movimento, che ritrae a suon di musica, l‟emozione che in quel
momento rapisce la nostra realtà e ci culla tra i più nascosti sogni.
Ormai a distanza di diciassette anni da quando compii il primo passo
di danza, comincio veramente ad apprezzare l‟opportunità che mi è
stata data, quella di poter ballare in armonia tra corpo e anima. Fin da
piccola sognavo di poter diventare un angelo della danza. Ero
fermamente convinta che con un paio d‟ali avrei potuto fare tutto.
Quelle ali un giorno, Stefania le posò veramente sulla mia schiena.
La danza era davvero l‟unica cosa che aveva conquistato e
guadagnato il mio amore, ero fermamente convinta che non sarei mai
riuscita ad amare qualsiasi altra cosa o persona quanto amassi la
danza. La passione per questa disciplina mi ha cambiato la vita di
certo, mi ha reso davvero felice. Credo fermamente che la felicità,
per quanto relativa, esista. Felicità significa vivere con una perfetta
sintonia tra la propria anima e la propria vita.
All‟età di sedici anni, quelle ali mi portarono davanti all‟amore della
mia esistenza.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 189 ~
Era un pomeriggio soleggiato di inizio primavera, il 12 febbraio
1995. Zia Stefania ci comunicò una novità, insolita: un nuovo
ragazzo, proveniente dalle province milanesi, era stato inserito nella
nostra squadra. Il suo nome: Edoardo.
Io, da timida sedicenne qual ero, cominciai a odiare la sua presenza
dal più profondo del cuore, reputandolo uno sbruffone che si
crogiolava in un eccesso di autostima. Per quanto potessi criticarlo,
tuttavia, non potevo mettere in discussione la sua danza, il suo
movimento armonico e sublime; non avevo mai visto nessuno ballare
come lui.
Non trascorse molto tempo prima che mi accorgessi realmente che
l‟odiavo perché lo desideravo troppo. Tutto di lui mi attraeva: gli
occhi blu penetranti, i capelli spettinati di color bronzo, l‟alta e
muscolosa statura, il fisico perfetto e scolpito da ballerino
professionista, la voce tenera e profonda…
Tutto avvenne poi molto velocemente, dal momento in cui il destino
decise di farci ballare insieme. Zia Stefania, la coreografa, aveva
deciso di prepararci un passo a due, lo sbaglio peggiore che potesse
fare in quel momento, ma l‟unico errore che, se potessi tornare
indietro, le chiederei di poter ripetere.
Da allora Edoardo mi è sempre stato accanto.
Il filosofo Platone disse che le anime gemelle sono rarissime da
trovare perché metà troppo diverse di una mela, impossibili da
combaciare. Tutte erano simili, ma nessuna rappresentava la metà
perfetta. Noi costituivamo un‟eccezione.
Quando rivolgo gli occhi al cielo oggi, ringrazio per la vita che sto
attraversando, soprattutto per le persone che mi sono accanto.
A diciotto anni mi venne presentato un contratto di lavoro in una
compagnia teatrale di fama internazionale, la “Boston Ballet
Accademy” che aveva una temporanea sede in Italia.
Avevo il lavoro che avevo sempre desiderato ed ero fiera dell‟amore
che mi camminava affianco, Edoardo. La mia vita si era trasformata
realmente in un sogno da cui non avevo intenzione di svegliarmi.
Cosa succederà fra dieci anni? Non lo so. Il futuro? Ancora una
nuvola, il dubbio.
La vita è un insieme di improvvise e meravigliose coincidenze e
casualità, vale la pena di essere vissuta a fondo, anche in ciò che
possa apparire piccolo.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 190 ~
Chi l‟avrebbe mai pensato che mi sarei ritrovata a scrivere queste
pagine su un tavolo di legno vecchio e massiccio, dietro le quinte del
Teatro della Scala di Milano, a poche ore dalla prima del mio
spettacolo? Zia Stefania è proprio là, tra le prime file della platea. È
senza dubbio la persona a cui devo tutto questo. Se non fosse stato
grazie a lei, non avrei mai infilato quelle scarpette rosa numero 22
che, con le loro ali, hanno aperto un magico sipario su un orizzonte
pieno di emozioni.”
Interruppi il racconto che Sofia stava già dormendo. Mi alzai
dolcemente dalla poltrona per darle un bacio in fronte e rimboccarle
le coperte. Fuori dalla porta della stanza di mia figlia mi aspettava
silenzioso mio marito: come al solito aveva origliato tutto.
“Camilla, per quanti anni ancora le racconterai questa storia?” Mi
sussurrò lui dolcemente.
A trentasei anni non ho rimpianti. Conduco il mio lavoro con
passione. Nel mondo del teatro dirigo la mia personale compagnia.
Né io, né mio marito ci siamo allontanati dal mondo della danza,
motivo di vita e fonte di un amore profondo che ha coronato le nostre
esistenze.
Lo baciai teneramente, quasi commossa dalla mia breve lettura, che
faceva riaffiorare in me l‟emozione.
Finché potrò, cercherò di insegnare a Sofia che la vita vale la pena di
essere vissuta nella sua interezza, perché dietro l‟angolo si nasconde
sempre un diamante da scovare, una luce, anche quando sembra buio,
un faro da seguire che ci porterà a sentirci compiuti in questo mondo.
“Ti amo, Edoardo”, gli ricordai.
Per questo, finchè avrò voce per farlo, continuerò a raccontare la mia
storia, volando verso i miei sogni con un paio d‟ali.
Tutto comincerà sempre da qui:
“ Il cuore palpita.
Si alzano soffuse le luci.
Si apre il sipario.
Comincia la musica.
Le note suggeriscono il movimento: è il momento di entrare in scena.
Quello tra me e il palcoscenico è stato un amore a prima vista e
quando l‟ho capito, è stato per sempre.”
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 191 ~
Annalisa Carnevale
La bambola zucchina
Sofia, sorella di altri sette figli di una coppia di contadini, abitava
nella periferia di un piccolo paesino non lontano dalla campagna,
dove suoi genitori lavoravano. Sofia era una bambina che non aveva
giocattoli né per sé né da offrire alle sue compagne, ma non se ne
curava perché, finiti i compiti, faceva di fretta le scale e andava a
trovare la sua amica Maria. Arrivata sotto casa, chiedeva
timidamente: “Signora, c‟è la mia amica?” “Sì, certo, sali su, Sofia!”
Maria aveva tante bambole e pur se a Sofia toccava giocare con
quella più malaticcia, non importava, perché anche lei ora aveva una
bambola tra le mani. Era una di quella bambole di pezza con i capelli
ricavati da lunghi fili di lana neri intrecciati, due bottoni a fare da
occhi, bocca e nasino cuciti con cotone rosso e, a causa degli anni,
toppe colorate cucite qua e là; a Sofia piaceva molto. Il pomeriggio
passato a giocare volava Sofia, affacciandosi alla finestra, vedeva che
ormai il sole stava tramontando: “uffa, come passa il tempo!”Così
con il broncio sul viso sapeva che doveva tornare a casa. Saltellando
sulla via del ritorno, intonava un ritornello per non sentirsi sola:
“corri, corri, la notte si avvicina, sei solo una bambina, non ti puoi
allontanar! Corri, corri, la notte si avvicina, la mamma ed il papà si
posson preoccupar!”
Sofia non aveva molto: qualche vestitino, una spazzola per i suoi
lunghi capelli e un paio di scarpe. La mamma cucinava spesso la
zuppa di patate per cena e il pane doveva bastare per una settimana.
Nonostante questo, Sofia non era mai triste, a parte rari casi, perché
si accontentava di ciò che aveva.
Uno di quei rari casi era quando gli altri bambini la prendevano in
giro perché aveva le lentiggini, dicendole che sicuramente da piccola
la mamma distratta la lasciò cadere in una pentola piena di lenticchie.
Lei si sentiva carina anche con quella macchioline marroncine, che
realmente sembravano lenticchie, ma non per questo un difetto.
Quando Maria non era in casa Sofia aspettava che le sorelle finissero
i compiti e, inforcata la bicicletta, si dirigevano in campagna. Sofia si
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 192 ~
impegnava a spingere forte sui pedali, perché arrivando prima le
sarebbe toccato il “primo premio”. Infatti arrivava sempre per prima
e tutta soddisfatta si gettava tra le verdure e, con accuratezza, si
impegnava nella scelta, finché esclamava: “ecco, oggi sarà lei la mia
bambola!” Stringendo tra le mani una zucchina ancora color arancio
a causa del freddo.
Sofia questo l‟aveva imparato dalle sorelle maggiori, che le avevano
spiegato che non esiste niente di impossibile o niente che non si
possa avere quando c‟è la fantasia. Così Sofia faceva due buchetti
per gli occhi, un bel nasino un po‟ lungo e un foro rotondo che
avrebbe fatto da bocca alla sua zucchina. L‟inverno, quando c‟erano
le frasche per accendere il fuoco, Sofia rubava un piccolo pezzo per
farne un ciuccio alla sua bambola e la copriva con un suo
maglioncino per non farle sentire freddo. Sapeva bene che le
bambole, e soprattutto quelle zucchine, non piangono né sentono
freddo, ma a lei piaceva immaginarlo. La sua bambola zucchina non
aveva nulla a che vedere con le deliziose bambole di Maria, ma Sofia
la stringeva molto fiera perché, anche se non era di pezza, poteva
affermare: “anch‟io ho una bambola!!”
Passato l‟inverno Sofia, approfittando di una bella giornata di sole,
tornò a trovare Maria. Come sempre chiese: “Signora, c‟è la mia
amica Maria?” Questa volta la signora non disse “Sì” né altre parole,
ma rivolgendosi a Maria esclamò: “Maria, c‟è Sofia, vai giù ad
aprire!” Maria scese le scale e aprì la porta che già il suo viso era
pieno di tristezza, con una mano reggeva una valigia e con l‟altra
Sofy, la sua bambola preferita. Sofia ingenuamente disse: “cos‟è
questo della valigia, un nuovo gioco?” Dopo un po‟ di silenzio Maria
pronunciò uno stretto “No!” “Allora parti, fai una vacanza. Che
bello, sei molto fortunata! Dove vai?” Maria non si trattenne e con le
lacrime agli occhi riuscì solo a dire: “no, non sono fortunata, non
tornerò più qui!” E, lasciando Sofy all‟amica, corse via.
Sofia, quel pomeriggio, tornava a casa portando con sé la bambola
più bella che avesse mai visto, ma si sentiva più sola delle altre volte
e in quel giorno così triste nemmeno il ritornello le faceva
compagnia. Una volta arrivata, ripensava ancora a quella brutta
giornata, vedendo Sofy seduta sulla sedia a dondolo di legno che le
aveva costruito il padre. Sofy era davvero bella: aveva dei soffici
riccioli biondi con un nastrino rosa che li avvolgeva, lo stesso rosa
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 193 ~
del vestitino decorato con piccoli fiorellini blu. A Sofia quella
bambola era sempre piaciuta, ma non aveva mai potuto giocarci ed
ora che era tutta sua non sapeva cosa farci, senza la sua amica con
cui ridere e scherzare. Quella sera parlò poco durante la cena, mangiò
a stento e frettolosamente corse ad infilarsi sotto le coperte, anche se
non dormì perché aveva mille pensieri per la testa. Come mai la
bambola che le piaceva tanto ora non le dava più alcuna gioia? E poi
si chiamava Sofy (come lei), quindi forse era più giusto che la
tenesse Maria. Ed infine come ripagare Maria per quel regalo tanto
prezioso?
Ora Sofia aveva una bambola vera, con braccia, gambe, viso, capelli
e perfino vestitino e nastrino abbinati come non ne aveva nemmeno
nel suo armadio, ma la notizia della partenza di Maria le aveva
sconvolto la vita e Sofy non esisteva più. Così le venne un‟idea e la
mattina dopo si alzò molto presto, prese la bici e corse in campagna
per prendere un degno regalo che potesse essere importante almeno
quanto Sofy. Scelse la zucchina più bella che c‟era, verde, lucida e
brillante sotto i raggi del sole; forò due buchi perfetti e grandi per gli
occhi e una linea a mezza luna per una bocca sorridente. Passò a casa
di Maria prima di andare a scuola e la trovò pronta per la partenza,
con la macchina già colma di bagagli. La chiamò e, sperando che le
piacesse il regalo, glielo diede. “una zucchina?” Esclamò Maria;
“cosa dovrei farci, la zuppa?” “No, amica mia , non è una zucchina!
Questa è la mia bambola. Lo so, non è carina come le tue di pezza,
ma è l‟unica che ho e voglio donarla a te.” Maria si tuffò addosso a
Sofia, stringendola in un abbraccio così forte che la lasciò senza
respiro per qualche secondo. Poi Sofia continuò: “voglio che la
chiami Sofy ed io chiamerò la mia Mary, così da portarti sempre con
me e da poterti abbracciare ogni giorno; ti parlerò e ti racconterò
tutto, ogni sera dormirò con te nel letto e, appena potrò, ti invierò una
lettera per farti sapere come stiamo io e Mary!”. Maria fu così
contenta e felice da perdere le parole.
Sofia, quella bambina così dolce e spensierata, a cui piaceva
immergersi nella fantasia, oggi è mia madre, una dolce vecchietta
che si culla sulla sedia a dondolo, un ricordo del padre. La vedo lì
seduta, come racconta con malinconia questa storia (che io conosco a
memoria per averla ascoltata infinite volte) e la seguo un po‟ distratta
mentre parla. Invece i miei figli, seduti ai suoi piedi, sono attenti ad
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 194 ~
ogni parola e pendono dalle sue labbra ininterrottamente fino al
termine della storia, quando sono sempre io a rovinar loro
l‟atmosfera, svegliandoli da quel sognare insieme a lei: “Giacomo,
Anastasia, la nonna è stanca, adesso lasciatela riposare…”
Credo che Maria sia davvero esistita, ma che dopo quel giorno non si
siano più viste né sentite, perché mamma non parla mai di cosa sia
successo dopo e termina il racconto sempre allo stesso punto, con
una precisione indiscutibile. L‟importante, però, è che lei l‟abbia
tenuta sempre nel cuore, facendola rivivere nei suoi racconti e
donandole ciò che le era più caro: la sua bambola zucchina.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 195 ~
Alberto Ciccioli
Una cosa importante che mi è successa negli ultimi
giorni.
Ero a Vienna con la mia bella famiglia. Eravamo arrivati
all‟aereoporto di Bratislava a da lì un pullman ci ha portato a Vienna
che dista 60 km.
Il primo giorno di vacanza era volato via come una rondine che
emigra.
Stavamo andando verso la metropolitana che da fuori viene indicata
con una “U”.
Correndo stavamo andando verso la metropolitana che stava per
partire.
Io ero in testa ed ero riuscito a salire, ma le porte si erano chiuse
lasciando fuori mamma, babbo e Sara.
Come se qualcuno mi avesse tirato un pugno nello stomaco, mi
sentivo malissimo, non riuscivo a sentire più niente ero come una
fonte che smette di sgorgare.
Finalmente mi ero ripreso e sentivo le voci accavallate di mia
mamma e mio babbo che dicevano: “Scendi alla prossima!”
In quel momento il metrò partì e vidi le sagome della mia famiglia
scomparire. Mi aggrappai al palo del metrò e scesi alla fermata dopo.
Tutti mi guardavano.
Mi sentivo come un giardino senza fiori, come un cielo senza stelle,
come un albero senza foglie.
Mi misi a sedere su una panchina, piangendo.
Ero in uno stato straniero, in una città che non conoscevo, dove si
parlava una lingua straniera.
Una donna vedendomi piangere mi venne accanto e mi disse delle
parole in austriaco.
Io cercai di dirle che ero italiano e che mi ero perso ma in quel
momento…..”mamma!”….
Le saltai addosso e la abbracciai. Feci lo stesso con babbo e Sara.
Ero come un giardino pieno di fiori, un cielo pieno di stelle, un
albero stracolmo di foglie, mentre dentro di me danzavo
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 196 ~
accompagnato da una musica soave che riempiva il mio cuore di una
felicità immensa.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 197 ~
Amina De Biasio
L'alchimia del mio dolore
“Buon 'Sol Invictus', io non dimentico.”
Questo il biglietto d'auguri trovato nella scatola di cioccolatini Lindt.
Un modo curioso, quello di lasciare un regalo sul corrimano di un
condominio di città proprio nel giorno in cui vengo sfrattata.
Devo muovermi, devo fare le valigie (libri e quattro stracci) e andare
via, chissà dove. Non posso lasciare la città a causa degli studi, tra tre
giorni ho un esame di filosofia, tra l'altro.
La vita non mi sta sorridendo ed io non saprei proprio come farle il
solletico. È da quando ho conosciuto Tristan che sono messa così.
Quando sto con lui il mondo è paradisiaco, poi diventa ad un tratto
una schifezza. Sarà la cocaina che mi calo con lui, sarà il sesso, sarà
la birra. Che ne so. So solo che ho bisogno di lui, ma ancora di più di
un posto dove dormire. Ho 13,20 € in tasca, i miei genitori non mi
parlano più e non ho amici. Io ho solo Tristan, quel fottuto drogato
che amo da morire.
Lui non dimentica. No, lui non lo fa. Non ho nemmeno credito nel
telefonino per chiamarlo; comunque non risponderebbe. Lui è fatto
così: ma io lo amo, e per lui sto rovinando la mia vita.
La stazione è desolatamente vuota, non passano più treni da anni.
Qui la gente non è agitata per il treno in ritardo, per il biglietto troppo
costoso o per il peso eccessivo dei bagagli. Qui la gente fa un altro
genere di viaggi. Welcome to hell. Il mondo della droga è l'ex
stazione centrale di questa città.
Lo sanno gli sbirri, ma gli fa comodo così: la feccia umana, gli
escrementi di quel dio che non ti ascolta, i brani sanguinolenti di una
società alla deriva vivono qui senza dar troppo fastidio alla borghesia
media e alta. Da oggi, sono una di loro; da oggi, vivo nella backstage
di questo posto. È strano mettersi a studiare trattati di filosofia
esoterica seduta tra un drogato in stato di semi-incoscienza e una
puttana che si masturba davanti ad altri. Se non vado in biblioteca è
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 198 ~
perché puzzo, ho i vestiti sporchi e, soprattutto, perché è in un posto
come questo che Tristan sa di potermi trovare, perché sa che è in un
posto come questo che io andrei a cercare lui.
Sono passati due giorni e di Tristan nemmeno l'ombra; ho provato a
chiedere di lui in giro ad alcune sue amiche, ma sembra che questo
sia il più grande segreto del mondo. Un segreto che non mi è dato a
sapere. Forse è finita. Tristan non riusciva a stare più di dodici ore
senza di me, ed io senza di lui. Solo ora che ci penso, un dolore
lancinante mi sta spaccando il cuore a metà. Non ho soldi, non ho
casa, non ho amici e non ho più nemmeno un fidanzato. Cosa mi
resta, se non un mucchio di carta da studiare e un esame destinato ad
essere l'ultimo?
Dolore, ecco cosa mi resta. Dolore.
Un tizio mi si avvicina e lo si vede dalla faccia che ha intenzione di
dirmi qualcosa e, per questo, schiaccio il tasto Pause del mio cervello
intento ad elaborare una tesi che abbia qualcosa a che fare con la
filosofia. E infatti aprì quella bocca sdentata: “ Ciao bellezza, sei
triste da due giorni, che ti prende? “ La sua voce era terribilmente
familiare, forse ho partecipato a qualche festa con lui, non ricordo; è
sicuramente grazie a questa familiarità che non mi sono alterata per il
“complimentospento” (bellezza) e ho risposto, con voce amichevole:
“ Ciao, sì è che domani ho un esame importante e quindi devo
studiare molto...”. Non ho mai studiato filosofia in vita mia. La
filosofia non è una di quelle cose che si imparano, ce l'hai dentro di
te: basta tirarla fuori al momento giusto. E poi, l'esame è di tipo
“casuale”. Chiamo così quegli esami che non sai su cosa sono. Certo,
filosofia, ma avete idea di quanto vasta sia? Potrebbe chiedermi la
teoria degli atomi di Democrito, potrebbe chiedermi la teoria delle
idee di Platone come il manifesto comunista di Marx o il nichilismo
di Nietzsche. Ed io ho un cuore troppo malato per chiedermi che cosa
dirò domani. “Tieni.” Una spada di eroina. Non ho mai provato
l'eroina: l'idea di bucarmi la pelle mi ha sempre fatto schifo.
“Perché me la dai?” chiesi curiosa.
“Perché ne hai bisogno. Sudi e tremi. Quella non è tensione, ragazza.
È l'inizio della fine. Se non ti cali subito qualcosa avrai degli
attacchi. Non sono cocainomane, per cui non posso darti la tua droga.” La sua risposta mi lascia perplessa. È vero, sto male, ma
pensavo fosse una conseguenza fisica del mio dolore spirituale.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 199 ~
“ Non ho mai esagerato con la droga, non ne sono dipendente. Tu
perché credi che lo sia? “
“ Non è un fatto di credere. Si vede. Tieni, su, mi ringrazierai. Se non
vuoi farlo adesso mettila in borsa e fallo quando ne sentirai la
necessità. Tanto non manca molto. “
“ Perché ci droghiamo? “
“ Guardali “ mi disse indicando un gruppo di persone in viaggio sulla
luna, incoscienti del mondo reale che li circonda. “ Guarda come
sono calmi, docili. Non hanno problemi loro. Sono tranquilli, vedono
quello che vogliono vedere; sentono quello che vogliono sentire. È
per questo che ci si droga: per chiudere i conti col mondo, per
staccare la spina, per vivere solo quello che si vuole vivere, con una
leggerezza che Kundera potrebbe definire insostenibile. “
“L'insostenibile leggerezza di Kundera è tutta un'altra cosa, quella è
reale. Ma apprezzo il tentativo.”
“Calati quella spada prima che ti venga una crisi” e con questa si
congedò.
Non credo che mi bucherò un braccio.
Esame. Dio mio, oggi c'è l'esame.
Sono già qui che aspetto il mio turno e vicino a me vedo solo gente
che studia, ripassa. argomenti dei quali non sanno niente, argomenti
che per il 99% delle probabilità non gli verranno chiesti. Io sono
l'unica che non studia. Io fisso un punto a caso di fronte a me e sento
che non sto bene. Il mio corpo trema, non lo controllo. Sudo. Un
ragazzo mi si avvicina, mi sorride e prima di andare dalla sua ragazza
poco più in là, mi dice: “Calati qualcosa, idiota. Non vedi che stai male?”
Sto male, ed è colpa della droga. La mia mano trema sempre più
violentemente. Alcuni ragazzi si girano per il rumore che faccio.
Devo andare al bagno. Vomito. Sto male. Cosa faccio? Tocca a me
adesso. Dov'è Tristan? Dove sono tutti gli amici che avevo un
tempo? Cosa mi è successo? L'eroina. È ancora nella borsa, ed è
l'unica mia salvezza. Una salvezza che finirà con l'uccidermi. Vomito
ancora. Cucchiaio, accendino, carta stagnola. Vomito. Non ce la
posso fare da sola, e non ho un laccio emostatico. Cosa cazzo faccio?
Esco in corridoio: “C'è un fottuto drogato che mi aiuta, Cristo
santo?” Ho gridato troppo. Tutti si sono girati. Il ragazzo di prima
corre. “Stupida. Entra nel bagno, faccio io.”
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 200 ~
Piantandomi quell'ago nel braccio mi sorride e mi parla, ma io non lo
capisco. È una sensazione di totale sollievo. Io rispondo alle sue
domande, ma non le capisco. Prima di prendermi a schiaffi per farmi
rinascere, mi sorride e prima di andarsene mi dice: “ Tristan è
scappato. È andato in California con una figlia di papà. Ciao
bellezza“.
Che lo abbia detto apposta o no, non ha importanza. Forse sono stata
io stessa, incosciente, a chiedergli se lo conosce e se ne sa qualcosa.
Sono nera.
“Ha la faccia sconvolta, signorina. Si è preparata per questo esame
fino allo sfinimento?”
“Assolutamente no. La filosofia è una cosa che viene da dentro, la
filosofia non si impara.”
“Mi parli dell'alchimia. Anzi, mi elabori una ricetta alchemica. Ho
voglia di separare la verità dalla menzogna, oggi.”
I soliti tranelli da professore universitario. Ti dicono di studiare
Dante e ti chiedono Petrarca. Vicini, certo, ma non la stessa cosa. Io
comunque sono fatta e la mia testa produce. Ci provo, pensando a
Tristan e al male che mi sta facendo.
“Dal battito di cuore che mi ha dato e poi tolto una persona posso
ottenere Dolore, che se portato alla temperatura giusta e raccolto in
un apposito contenitore diviene un elemento instabile e molto
tossico: Rabbia. A sua volta, quando ne ho una bella ampolla, la
posso distillare nell‟alambicco, Se l‟operazione va a buon fine
ottengo un estratto di Forza da una parte, mentre dalla coda della
distillazione stessa posso ottenere Equilibrio (sempre se ho
abbastanza Spirito da aggiungere).”
“Spero non le manchi questo Spirito. Ora mi dimostri che questo
telefonino è mio.” appoggia sulla cattedra il suo telefono.
Rimango in silenzio, ma la mia testa strafatta ha già un piano.
Silenzio. Silenzio.
“Vedo che non sa dimostrarmi questa banalità. Peccato, sull'alchimia
era andata bene. Torni la prossima volta, signorina.”
Mi alzo, prendo il cellulare del professore e me ne vado.
“Signorina, dove va con il mio telefono?”
Sorrido. Glielo riporto. Sorrido. Ho vinto io, stavolta.
“30 e lode.”
Io ho abbastanza Spirito. Io ho abbastanza Spirito.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 201 ~
Elisabetta Delprato
Achille
Questo, dunque?
Sento pensieri che come sabbia scivolano nella mia testa, ma... Se
sono divenuto clessidra, quanto a lungo saprò sopportare questo
nuovo compito...? Ah, sciocco! Ora, questi pensieri... Tutto finirà,
tutto finirà tra poco, ed io...
No.
Non ha detto questo, d'altro canto, non era proprio questo... Sciocco,
sciocco due volte! Non finirò così, non adesso, ma la voce... Lo ha
detto, lo so ormai! Non c'è via di scampo se non... E dunque, niente.
Mi pare di non sentire più la mia carne ed è passato solo un misero
secondo da quando lo so! E già l'odore del Fato è qui, sono già sulla
battaglia? Questa è forse dunque Ilio? … Com'è bella... La luce che
tange come un'amante le sue cime... E questo calore che sento,
questo non è forse il suo splendore? Si espande lungo le mie palpebre
semichiuse, sulle mie ciglia bionde come il deserto, mi avvolge e mi
abbraccia, questo tepore antico e intrigante...
Stolto! Ad innamorarti ora del suo fascino di demonio! Lei, lei sarà
la causa, l'unica... Lei e la donna, maledetta creatura portatrice di
sventura! Quell'errore, per quel maledetto e quel mostro egoista di
uno straniero, come osò!?! Odiosa creatura! Sarò la rovina della sua
patria, di quel sacco di vigliacchi e invertebrati, sarò la distruzione, la
cancellerò dalla faccia della terra e come una tempesta infausta mi
abbatterò su di essa senza pietà, perché non la merita, la traditrice!
Tremeranno i figli, sanguineranno i ventri delle madri al sol pensiero
di partorire, perché nessuno di loro vorrà essere vivo di fronte alla
mia ira!
Ma mi appartiene questa sabbia? Cioè, questi pensieri... No, non
sono io... Ho forse bisogno di provare il ferro in bocca, io? Di
assaggiare il sangue di altri valorosi, di sentire nella carne sbranata il
gelido metallo... Di volteggiare nella danza della morte, di rovistare
tra i sogni degli uomini quando questi passano negli occhi del
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 202 ~
morente davanti a te... E‟ tutto per me, questo, è per come sono, lo è!
Cosa, dunque? Non mi prende l'ansia della battaglia, non mi
sconvolge il cuore l'aria di poter brandire il bronzo amato, di serrare
la mascella nello sforzo, di contrarre i polpacci nella difesa, nello
strozzare la mia gola per il grido che lancerò quando il mio braccio
strapperà da questa terra lo spirito dei miserabili che cadranno
davanti al mio impeto inarrestabile!
Oh, madre mia...
queste lacrime disonorevoli, fermatele! O le fermerò io con la mia
stessa...! Madre, madre mia! Non conosco neanche una donna che
già pretendono indietro la mia vita, non voglio, non voglio!
Su questa bilancia, il piatto di sinistra pesa molto.
Provo più di una volta a spingerlo verso l'alto, a dargli un aiuto.
Ma, in fondo... Non mi interessa. Dovrei forse seppellirmi in una
fossa sul fondo della quale, per nostro bene, scrissero
“VERGOGNA”...?
E poi a sera, passando il dito sui lividi, lo ringrazierò per non essere
ancora giunto.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 203 ~
Emanuele Di Brago
I falò
Nel mio paese, Aquino, i falò hanno una tradizione antichissima e si
accendono le sere delle vigilie di S. Tommaso e S. Giuseppe. Sono
date che danno tanta attività ai bambini e ai giovani, i quali, fin da
cinque o sei giorni prima, si spargono per vicoli e campagne in cerca
di materiale combustibile: paglia, frasche, cenci, pali, tavole e
persino vecchie gomme d‟auto. Con tutta questa roba, poi, si
comincia a preparare il falò: prima si mette la paglia, poi sulla paglia
si adagiano cannucce secche e fascine e via via tutto l‟altro materiale
raccolto, dal più leggero al più pesante, così da formare una grande
catasta. La sera della vigilia, dopo il tramonto, tanta gente, come per
appuntamento, accorre numerosa attorno al gran mucchio pronto per
la conflagrazione.
Quell‟anno, come di consueto, io e i miei amici ci davamo alle nostre
allegre scorribande per procurarci quanto più materiale possibile.
Mancava ancora qualche giorno alla festa e avevamo pensato di
compiere un‟incursione sulla collina di fronte al paese, poiché lì si
trovava ottimo legname da ardere; così di buon mattino mi alzai tutto
contento per l‟avventura che mi si prospettava, ma trovai una
sorpresa, non del tutto gradita in verità: mia sorella. Sì, insomma,
avrei dovuto badare a lei tutto il giorno, perché i miei genitori
sarebbero stati impegnati con la preparazione della festa fino a sera.
Be‟, anch‟io avevo dei progetti quel giorno e non vi avrei rinunciato
per nulla al mondo. Aspettai che mamma e papà uscissero e poi me
ne andai con i miei compagni sulla collina. Portandomi dietro Elisa,
naturalmente.
Neanche gli altri furono esattamente entusiasti della sua presenza:
una bambina di sette anni è una lagna, non c‟è che dire, ma mia
sorella era una vera e propria palla al piede! E infatti cominciò subito
a rovinarci la giornata: ho fame, ho sete, sono stanca, Pippo si sporca
(il suo orsacchiotto...), lo dico a mamma… Alla fine decisi di
sistemarla in un prato a raccogliere fiori: mi sembrava un posto
abbastanza sicuro, non c‟erano burroni e la strada era lontana, quindi
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 204 ~
non poteva né sfracellarsi né finire sotto un camion; inoltre le
fornimmo cibo e acqua a volontà e la rassicurai dicendole che Pippo
le avrebbe fatto buona compagnia e noi saremmo comunque tornati
prestissimo. Mentre mi allontanavo, però, sentii dentro una strana
inquietudine: forse erano stati i suoi occhi grandi che ci guardavano
con tristezza mentre l‟abbandonavamo o forse già sentivo che quel
mio gesto avventato avrebbe avuto serie conseguenze.
Il tempo volò: quando mi accorsi che erano già passate quasi tre ore
da che avevamo lasciato Elisa, poco mancò che mi venisse un colpo.
Radunammo tutti i rami secchi che avevamo trovato (tantissimi in
verità, avremmo fatto un falò grandioso!) e tornammo indietro il più
velocemente possibile. Ci accolse un prato deserto e un silenzio
irreale: sembrava che anche gli animali fossero spariti. Chiamai Elisa
a gran voce, ma nessuno rispose. Ci sparpagliammo nelle immediate
vicinanze e la cercammo freneticamente, ma niente, mia sorella non
c‟era. Qualcuno mi chiamò per mostrarmi qualcosa, ma io ero
talmente agitato che lì per lì non mi resi conto di cosa fosse
quell‟ammasso informe di pelo; poi capii e sentii il sangue gelarmisi
nelle vene: era Pippo, sporco, arruffato e con una zampetta strappata.
Il mio amico l‟aveva trovato un bel po‟ più giù di dove eravamo, nei
pressi del fiume.
Da quel momento in poi i miei ricordi sono molto confusi: rivedo
mia madre piangere e urlare, mio padre correre via con gli uomini del
paese per setacciare i dintorni, gli sguardi carichi di muto rimprovero
nei miei confronti. Io ero come annichilito: non riuscivo ancora a
capacitarmi che tutto quel che stava accadendo fosse la realtà,
speravo di svegliarmi da un incubo, pregavo affinché la vocetta
petulante di mia sorella tornasse a risuonarmi negli orecchi… Ma gli
uomini tornarono soli e mio padre era una maschera di dolore e
disperazione. Per due giorni le forze dell‟ordine lavorarono senza
risparmiarsi, purtroppo, però, senza esito: di Elisa nemmeno l‟ombra.
Giungeva, intanto, la sera della vigilia: i fuochi rituali erano stati
composti, ma ben triste era l‟atmosfera che si respirava. Nessuno mi
aveva più rivolto la parola dalla mattina della scomparsa e io stesso
cercavo di nascondermi il più possibile agli sguardi altrui. Mi
incamminai da solo verso la collina: faceva quasi buio, ma non aveva
importanza, volevo solo stordirmi, forse perdermi anch‟io, punirmi in
qualche modo. Quando giunsi nel prato, le lacrime che per due giorni
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 205 ~
mi ero tenuto dentro irruppero con tale violenza da squassarmi quasi
il petto. Mi gettai a terra e urlai al cielo il suo nome una, dieci, mille
volte… E poi la sentii: Andrea, diceva, fa freddo, mi riporti a casa?...
E dal cespuglio vicino sbucò fuori Elisa.
Quella notte i roghi sbocciarono con rinnovato vigore per monti e
campagne tutt‟intorno ad Aquino, come un cielo stellato capovolto.
Le donne intorno ai falò recitavano preghiere e tutti lodavano il
Santo per il miracolo. Io, come voleva la tradizione, passai più volte
correndo attraverso le fiamme, come ex voto per la grazia ricevuta:
riportai qualche bruciatura, ma Elisa che rideva tra le braccia di mia
madre leniva ogni dolore.
Nessuno è riuscito ancora a capire cosa sia realmente successo in
quei due lunghissimi giorni di angoscia: Elisa sta bene, ma non
ricorda nulla, se non che, avventuratasi lungo il fiume, aveva
smarrito Pippo (per inciso, anche lui ora sta bene: è pulito e pettinato
e ha una bellissima zampa nuova) e, dunque, era scoppiata in
lacrime, ma un anziano signore “con la gonna lunga” l‟aveva presa
per mano e le aveva cantato una ninna nanna per farla addormentare.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 206 ~
Camilla Di Domenico
Il castello
Ci sono giorni in cui senti la mente così libera e leggera che proprio
non hai voglia di riempirla con pensieri, di nessun genere. E una
casa, per quanto immensa possa essere, è ancora troppo piccola per
poter contenere il bisogno di svago, di libertà, appunto.
Fu il caso di un freddo pomeriggio di Dicembre. Decisi di chiamare
la mia amica di sempre, Flora, e tutte incappucciate cominciammo a
passeggiare per i vicoli del centro storico. C‟era un‟aria gelida che
sembrava penetrare nelle ossa, ma non fu sufficiente a fermarci.
Sentivamo un insolito bisogno di evadere, più intenso che mai. Gli
sguardi curiosi e penetranti delle anziane signore dietro i vetri
appannati delle finestre aumentavano il nostro bisogno di libertà, così
camminammo fino a quella ripida salita che porta ai cancelli del
castello. Lì l‟imponente figura dell‟edificio mi attrasse come mai
prima di allora. Seppur semplice e freddo, come può esserlo un
castello medievale, era illuminato da una luce che lo rendeva così
magnetico che non potei fare a meno di avvicinarmi.
A mano a mano che avanzavo sentivo una strana sensazione, di
repulsione e attrazione al tempo stesso. Probabilmente era dovuta
alle mille leggende che la fantasia dei miei compaesani si era
sbizzarrita a creare su di esso, storie che mi intimorivano e mi
incuriosivano al tempo stesso. Quel giorno sentivo che quasi volevo
stupire il mio stesso scetticismo al riguardo. Non trascorse molto
tempo che invitai anche Flora a scavalcare il cancello; in un primo
tempo si oppose con mille scuse: poteva essere pericoloso, se
arrivava qualcuno ci saremmo trovate nei guai, potevamo chiedere la
chiave e tornare un altro giorno, a breve si sarebbe fatto sera… Ma io
non potevo aspettare, così la trascinai di forza. Lei mi supplicava di
lasciar stare, ma ormai era troppo tardi, l‟attrazione cresceva in un
modo tale dentro di me che quasi non sentivo Flora parlare. Tuttavia
lei non si scoraggiò e cominciò a ripetermi le leggende, quasi a
volermele rinfacciare. Mi ricordò della leggenda della contessa
fantasma, di cui ci sono più versioni: quella innocua in cui aspetta
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 207 ~
invano il suo amante sulla soglia della finestra, quella in cui vaga
irrequieta terrorizzando i visitatori che osano entrare nelle stanze più
segrete, quella in cui lancia maledizioni che ti accompagnano fino al
resto dei tuoi giorni… Ce ne sono di tutti i tipi, inutile elencarle,
l‟immaginario popolare è sempre molto vivace, soprattutto quello di
Rocca d‟Evandro.
Tra un piagnucolio e l‟altro (di Flora) giungemmo davanti al
cancello: era un po‟ alto, ma con qualche sforzo riuscimmo a
scavalcarlo. Là nel giardino sentii che il castello mi stava chiamando:
dovevo entrare a tutti i costi. Flora si accorse di questa strana
sensazione che cresceva in me e mi chiese se stavo bene. Non mi
presi nemmeno la briga di rispondere e mi avventai sul portone. La
pregai di aiutarmi ad aprirlo, ma lei tentennò, diceva che avevo uno
sguardo agghiacciante. La fulminai con quello stesso sguardo e non
ebbe il coraggio di ribattere. Con qualche sforzo riuscimmo ad aprire
un varco, ci intrufolammo. Ci pervase un tanfo nauseabondo e ci
chiedemmo come mai lo lasciassero in quello stato. Il giardino era
ben curato, ma evidentemente i custodi non osavano entrare
all‟interno del castello. Facendoci luce con i cellulari, riuscimmo a
vedere che ci trovavamo in un piccolo ingresso, a destra e a sinistra
del quale scorgemmo due corridoi. Avvicinandoci, ci rendemmo
conto che in realtà erano due scalinate: quella a sinistra portava ai
piani superiori, l‟altra a quelli inferiori. Cominciammo a salire.
Erano almeno un centinaio di scalini, a chiocciola e tutti rotti, alcuni
dovevamo salirli a due a due per evitare parti crollate, pozzanghere,
animaletti vari. Fine delle scale, altro corridoio, altre stanze. Non
riuscimmo ad aprirne nessuna, meno una. Nella camera c‟era una
finestrella dalla quale entrava un leggero spiraglio di luce, ci
affacciammo: era proprio la camera della contessa!
Non vi era rimasto più nulla, dicono che durante la guerra abbiano
saccheggiato tutto il castello. Le pareti erano solcate di crepe e
l‟umidità aveva fatto fiorire ciuffetti di muffa qua e là. C‟era un
quadro ovale a terra. Lo girai, lo spolverai un po‟ e mi accorsi che si
trattava di uno specchio. Era rotto e qualche frammento mancava, ma
ispirò la mia immaginazione. Cominciai a fantasticare su come
poteva essere la stanza quando ci viveva la contessa ed ero così presa
dalle mie fantasie che ad un tratto mi sembrò proprio di vederla
mentre si specchiava. Era stupenda, ma il suo sguardo era gelido,
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 208 ~
muto. Poi ritornai in me e mentre raccontavo a Flora cosa stavo
immaginando, vidi il suo sguardo colmarsi di paura. Fu lei a
terminare la mia frase: aveva avuto la mia stessa “visione”. Risi
nervosamente e la invitai a scendere. Sentii di nuovo quella forza che
mi ancorava al castello e mi diressi verso i sotterranei, seguita da una
Flora sempre più inquieta. Ma io non potevo oppormi, era come se
qualcuno mi spingesse.
Le scale che portavano di sotto erano anche peggiori di quelle di
prima: la pietra era talmente consumata che era diventata liscia e
scivolare era semplicissimo. Mi colpì un giramento di testa
improvviso, mi fermai un attimo, poi proseguii. A mano a mano che
scendevamo, ne provai altri e il tanfo, che aumentava, peggiorava la
situazione. Ci trovammo all‟imbocco di uno stretto corridoio, con
varie aperture su ambedue i lati. Cominciammo a uscire ed entrare
dagli sbocchi: alcuni portavano in stanze vuote, altri a stanze più
grandi con almeno una decina di celle all‟interno. All‟improvviso mi
accorsi con sgomento che Flora non era più con me: la chiamai
ripetutamente, ma non mi rispose e non riuscivo a sentire il rumore
dei suoi passi neanche in lontananza. In preda all‟agitazione,
cominciai a vagare senza meta, finché mi ritrovai di fronte a una
porta socchiusa e, con un calcio d‟inaspettata violenza, la spalancai.
Varcai la soglia e scorsi degli attrezzi un po‟ strambi. Non ci misi
molto a capire che erano strumenti di tortura. Mi venne di nuovo un
giramento di testa, questa volta più breve. Poi di nuovo, poi ancora,
ancora e ancora, brevi ma intensi, fino all‟ultimo, talmente forte che
persi l‟equilibrio e caddi a terra.
Ho un ricordo confuso di quel che accadde dopo, non ho idea
nemmeno di quanto tempo sia rimasta accasciata su quel gelido
pavimento di pietra, ma fui come colpita da una serie di immagini.
Erano quasi dei flash, non riuscivo a distinguerli tutti, però so che
erano orribili, raccapriccianti, macabri: teste, mani, braccia, gambe
mozzate, fiumi di sangue ovunque; grida agghiaccianti di vittime
degli strumenti che avevo visto prima; tavole di chiodi che
comprimevano corpi urlanti; pire che bruciavano persone ancora in
vita; schiavi ghignanti chini sulle povere vittime… Che, mi accorsi
con profondo orrore, erano donne, solo donne. Dietro tutto questo
una figura distinta: la contessa. La sua risata diabolica echeggiava
nella mia testa, mentre lo sguardo agonizzante delle prigioniere era
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 209 ~
insostenibile: volevo liberarmi da quelle visioni, volevo urlare,
scappare via, ma non mi usciva nemmeno un filo di voce e le gambe
non rispondevano ai comandi del cervello. Poi mi sembrò che la
contessa stesse fissando me: un lungo brivido gelido mi percorse la
schiena e il nodo che mi serrava la gola si trasformò in uno spasmo.
La contessa cominciò ad avvicinarsi con deliberata e terrificante
lentezza, il sorriso di ghiaccio e lo sguardo demoniaco, come
un‟Erinni… Mi avrebbe uccisa, ne ero certa, come aveva fatto con
tutte le giovani donne che avevano avuto la sfortuna di somigliare a
colei che le aveva rubato il suo uomo: pelle candida, lunghi capelli
ramati, occhi neri e sognanti… Volevo morire prima che mi
raggiungesse e chiusi gli occhi per non vedere.
Le urla di Flora mi fecero riprendere. Mi alzai di scatto, corsi via. La
stanza era vuota e in cima alle scale c‟era Flora che piangeva
disperatamente. Mi disse che si era fatto buio e non riusciva più a
trovarmi, era terrorizzata. Non ho idea di cosa le sia successo, ma
non parliamo mai di quel giorno tra noi né ho mai raccontato (a lei
come a nessun altro) ciò che era successo a me nei sotterranei del
castello. Di sicuro, però, ho maturato un rispetto profondo nei
confronti di quelle che prima ritenevo solo fantasie di paese.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 210 ~
Anna Antonova Dobranova
Un messaggio di speranza.
8 agosto 2010
Caro diario,
Ah… non ricordo più quand‟è stata l‟ultima volta che ho scritto un
diario. Mucchi di agendine intonse si sono accumulate sullo scaffale
senza che la mia penna si sia degnata di macchiarle di emozioni. Ma
da qualche tempo a questa parte, le mie emozioni non sono niente di
che. Frenata da un sentimento che chiamerei “rassegnazione”, mi
sono chiusa in un guscio di consapevole tristezza.
Sì, caro diario, sono triste. Non ho scritto prima perché credo di
sentirmi un po‟ ridicola, a parlarti come fossi una persona. E poi,
inevitabilmente, ogni volta che inizio un diario nuovo finisco per
pensare ad Anna Frank. Che accostamento improbabile, eh? Ma ci
sono ben due nessi logici: mi chiamo anch‟io Anna e, come lei, credo
che la carta sia più paziente degli uomini.
Sono diversa dagli altri. Non mi atteggio a super eroina o
megalomane: è un dato di fatto, una semplice statistica che a
diciassette anni non si rivela certo la migliore delle certezze. Eppure
è così.
Mentre i miei coetanei escono, esplorano il mondo in cui viviamo in
completa autonomia e dimestichezza, relazionandosi col resto della
nostra società, io preferisco restare a casa con i miei libri. Ogni volta
che lo dico a qualcuno, a voce alta e senza vergogna, ricevo in
risposta occhiate allibite e parole incoerenti. Tuttavia è sopportabile,
i libri sono stati i miei migliori amici sin da quando ho memoria. La
mia infanzia è trascorsa sulle fantasmagoriche avventure di Dahl,
sugli animali di Scarry. Mmm… caro diario, forse non sono chiara
per niente. Non ho ancora espresso quello che mi pesa tanto: la mia
diversità, il mio essere quello che sono, è irrimediabile,
incontrovertibile. Suono troppo tragica?
Non faccio nulla di ciò che gli altri fanno, ma non è mai stato un
problema finora. Ho una visione del mondo delicata, a tratti ingenua,
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 211 ~
ma interamente mia. Sono me stessa, con i miei pregi, i miei difetti, i
miei interessi e la mia forza di volontà, limpida e cristallina, come
fedele alleata. Mentalmente credo di trovarmi ad un livello più alto
rispetto all‟adolescente medio, ma per il resto… sono una frana
totale. E sto rimanendo indietro. Fuori dal mondo, fuori dal tempo,
fuori dalla mentalità comune, sono un paradosso che fluttua incerto
tra il mondo dei bambini e quello degli adulti.
Non posso andare contro la mia natura e comportarmi come se sesso
e stupidità fossero il mio pane quotidiano, e per questo vengo tanto
ammirata quanto disprezzata. Disgusto è ciò che ricopre con una
patina unta i miei pensieri quando penso alla mia generazione,
l‟adolescenza. Che periodo orribile. In fin dei conti, le fasi della vita
son soltanto piccole evoluzioni del nostro io. A cambiare è il nostro
modo di vedere le cose, percepire la realtà, reagire alle disavventure.
Caro diario, forse sono un‟emerita idiota. Perché non indosso capi
firmati, perché non esco col resto dell‟informe branco di pecore,
perché sono ancora vergine e rimango sconvolta dai racconti delle
performance delle mie così precoci compagne. Perché passo i miei
giorni col naso ficcato nei libri, perché mi diverto a spolverarli -
costola, pagine e tutto -, perché mi emoziono con i telefilm americani
e giapponesi e perché mi esercito sui kanji per ore. Ma soprattutto,
perché credo - voglio credere - nei miei sogni. Ciliegina sulla torta,
in qualsiasi ambiente mi trovi, finisco o per giocare coi bambini o per
conversare con gli adulti. Ti sembro normale?
Non sento il desiderio di cambiare. Sono orgogliosa di quello che
sono, su questo non c‟è dubbio; ma per quanto cerchi di affermarmi
con la mia originale essenza, e vivere una vita che ritengo dignitosa e
ricca di significato, ecco… il vago sentimento di voler appartenere a
qualcosa mi punge con spietata intensità.
Come sono arrivata a fare le stesse, solite riflessioni che mi pongo da
mesi, chiederai?
Ecco, stasera ho incontrato Matteo, Michela, Chiara, insomma, un
po‟ di gente. Oh, dimenticavo un altro anomalo dettaglio: sono
l‟unica diciassettenne che ancora esce con sua madre. E non perché
costretta, perché mi piace. Sorvoliamo, non ce la faccio più a
sentirmi dire che non sono normale. Abbiamo parlato del più e del
meno, ma con un‟ improvvisa fitta al cuore, mi sono resa conto che
c‟è un divario incolmabile che ci separa. Stanno crescendo.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 212 ~
Con un groppo in gola, ho guardato Matteo. Siamo amici da una vita,
l‟ho visto diventare dal bambino con le orecchie a sventola, più basso
di me, che era, a uno smilzo col nasone e neri capelli corvini. Il suo
sorriso simpatico e quella sua voce lamentosa non sono cambiati.
Però… fino a poco tempo fa, alle medie, eravamo ancora piccoli,
dediti a giochi e spinte e risate. Ora, al liceo, parliamo di Pascal e
andiamo a fare le fotocopie, controllare gli orari insieme, correndo
nei corridoi con un‟allegria che, simile ad una tenera fragranza si
diffonde leggera nell‟aria. Ma ormai non è più un bambino. Vuole
vivere le sue esperienze, la sua vita di diciottenne con tutto quello
che comporta. Ed io… gli voglio bene. Gliene voglio così tanto che
sono rimasta sorpresa, tanto da chiedermi perchè me ne fossi resa
conto solo ora, tanto da domandarmi se per caso non provassi
qualcosa di diverso. Se, per ogni volta che lo guardavo parlare con
altre ragazze, quali che fossero, l‟ondata di gelosia che mi coglieva
fosse soltanto perché è il mio unico amico maschio, e non per altro.
Non so cosa fare. Che disastro.
E‟ più facile adattarsi che distinguersi. Ma quando mai scelgo la via
più semplice?
E‟ parte del mio inestricabile io.
Caro diario, un giorno spero di andarmene per il mondo e trovare
persone capaci di capire e condividere il peso e privilegio della
libertà. Libertà di avere opinioni proprie, di gustare anche le più
piccole gioie che ci sono concesse senza considerarle sciocchezze.
Persone che inseguono la vita con l‟entusiasmo dei fanciulli, che
sanno mantenersi pure, innocenti, nobili, senza badare alle
convenzioni dell‟età.
Caro diario, la strada è tracciata davanti a me. E‟ scoscesa,
sconnessa, il sentiero si distingue a malapena. Tuttavia porta verso
vette sicure di soddisfazione e onore. Per quanto possa farmi male
nella salita, per quanto possa scivolare e cadere e sbucciarmi le
ginocchia, non cederò.
Caro diario, forse non sembra, ma questo è un messaggio di
speranza.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 213 ~
Matteo Filippelli
Nero
Avevo sempre pensato che sarei diventato una persona speciale. Un
giorno, avrei voluto trovare il modo di mostrare il mio talento. Per
molto tempo, mi ero immaginato come un cavaliere che combatteva
innumerevoli battaglie per proteggere una principessa; la sua
principessa. Tuttavia, era troppo tardi perché quello potesse
accadere.
Quel posto era il mio preferito. Quel parco silenzioso e abbandonato
era il luogo ideale per leggere in tranquillità. Però quel giorno non ci
andai.
Beep beep. Possedevo un ricordo che non volevo dimenticare? No,
era solo che non volevo lasciare andare le persone che ritenevo
importanti. Anche io … volevo ancora … vivere.
Nel corso della vita le amarezze si accumulano qua e là: nelle lenzuola stese al sole, negli spazzolini in bagno e nelle bozze salvate sul telefonino. Tutto è troppo indefinito, fino a quando la luce non ti mostra cos‟è il mondo. Beep beep. Mi svegliai. Mi trovavo a casa? Dovevo andare a scuola?
Oppure era un giorno di vacanza e potevo rimanere a letto per
dormire qualche minuto in più del solito? Alzai il mio braccio e con
la mano destra provai a darmi la spinta per sollevare la schiena.
Nulla: non riuscivo apparentemente a muovermi. Non avevo ancora
gli occhi aperti ma c‟era uno strano odore: i miei polmoni
sembravano vuoti e mi era difficile respirare.
L‟aria sembrava impregnata di sangue, era viziata e secca.
Solo in quel momento le mie palpebre si alzarono come le tapparelle
durante una mattinata di sole. I miei occhi ancora assonati cercavano
informazioni dall‟ambiente: dove mi trovavo? Ero steso sopra ad un
letto. Tutto intorno a me era bianco, candido e sterilizzato. Alla mia
destra c‟era un enorme marchingegno che analizzava e riproduceva il
battito del mio cuore.
Beep beep, ripeteva continuamente lo stesso suono. Alla mia sinistra,
invece c‟era mia madre accovacciata su una sedia che cercava di
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 214 ~
dormire. Sicuramente non aveva riposato in nessun modo. Come si
poteva prendere sonno in un posto simile? Come si poteva vivere
sapendo che la Morte aspettava suo figlio? Solo in quel momento la
mia mente affrontò la realtà: ero in ospedale.
Ormai, rimanendo in quel posto, avevo imparato diverse nozioni:
sapevo che all'interno del corpo degli essere umani esistono e
lavorano miliardi di cellule che svolgono uno specifico ruolo di
fondamentale importanza, le cellule hanno una vita limitata e quelle
che vengono eliminate sono subito sostituite, attraverso la mitosi, da
altre nuove che svolgeranno le stesse funzioni. L'equilibrio che deve
esistere tra la demolizione e la creazione di nuove cellule è molto
delicato ed una semplice alterazione di questo fenomeno può
provocare un aumento di questi fondamentali elementi. Le mie
cellule avevano abbandonato il loro lavoro: erano impazzite.
Ho sempre avvertito una sorta di mancanza. Ho sempre avuto la sensazione che ogni volta che guardavo il mondo, un colore stesse svanendo. Ma non avevo idea di che colore si trattasse; e più volevo cercare la risposta, più non ne venivo a capo. L‟impazienza, poco a poco, si stava facendo largo nel mio cuore. Io mi ero sempre caratterizzato come un solo colore: il Nero. A quel tempo non capivo cosa significasse avere dei rapporti intimi
con qualcuno. A quel tempo non capivo cosa significasse ritrovarsi
da soli. Quel fugace incontro ha cambiato radicalmente il corso della
mia vita. Avevo sempre creduto che quei momenti divertenti
sarebbero durati per sempre. Ma … cosa stavo cercando? Il colore
che mancava al mio mondo … andando in cerca di quello, io … io
non potevo smettere di vivere.
La Speranza è una parola importante: una parola che il Dolore fa riapparire nel tuo vocabolario mentale. Mentre il Dolore agisce, la Speranza arde dentro di te; fino a quando si mescola con il tuo io interiore, diventando quindi parte del tuo organismo. Dopo tanto tempo avevo finalmente trovato un mondo pieno di
suoni. Avevo trovato una casa con dei colori; non avevo più bisogno
di reprimere me stesso. Eppure tutto si doveva concludere.
Da quando entrai in ospedale, ogni rumore all‟interno del mio corpo
svanì. Dopo quella volta, sparì anche la parola e anche tutti i colori
del mio mondo. Prima che me ne accorgessi, anch‟io ero svanito dal
mio cuore. Da quel momento, ho vissuto in un mondo senza nulla.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 215 ~
Il mio tempo era contato: i medici entravano alla mattina per vedere
le mie condizioni e, a parte i fortissimi dolori che avevo nel tardo
pomeriggio alle ossa, tutto sembrava andare bene. Mia madre
cercava di trattenere le lacrime, ogni volta che i suoi occhi
incontravano i miei. Il male era localizzato nella zona del femore:
quando iniziava l‟agonia mi sembrava che tanti cani venissero a
mordermi il mio osso fragile frantumandolo, distruggendolo e
provocando al mio corpo una sensazione di panico, paura e di
impotenza. Arrivavano dopo gli infermieri che mi iniettavano,
tramite la flebo un liquido che sembrava calmarmi il dolore ma …
durante ogni sera il mio corpo doleva nuovamente in ogni sua parte:
la testa veniva battuta in continuazione, come un martello che
schiaccia un chiodo su una parete; le articolazioni mi bruciavano e
appena cercavo di muovere le spalle o le anche mi provocavo una
fitta enorme; tutte le ossa del corpo mi bruciavano e allo stesso
tempo mi facevano male. Avevo voglia di vomitare, avevo voglia di
alzarmi e scappare, avevo voglia di continuare a vivere e allo stesso
tempo di morire.
A tarda sera chiudevo gli occhi e cercavo di distrarmi: le fantasie più
uniche e più rare passavano attraverso la mia mente. Tutto era
possibile, nel mio mondo non sarebbero più esistite le malattie: tutti
sarebbero stati sani e normali. Non sarebbero più serviti i medici e
neanche i farmaci, ognuno avrebbe vissuto la propria vita in pace.
Tutto diventava buio e poi … iniziava nuovamente la solita mattina.
Ma … quel giorno, l‟oscurità mi avvolse e il mio mondo prese vita.
Non c‟erano più problemi.
Non c‟erano più malattie.
Potevo continuare a vivere: potevo continuare a sognare.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 216 ~
Angelica Foroni
Incontro sull‟autobus
La prima volta che la vidi era lì, seduta sull‟autobus all‟ultima fila.
I capelli neri, sottilissimi, le coprivano il volto chinato verso il basso,
ma lasciavano intravedere i suoi lineamenti delicati.
Nessuno la notava, eppure lei osservava ogni persona che saliva a
bordo e scriveva ogni suo piccolo particolare sopra un block notes.
Alla mia fermata non scesi.
Non so per quale ragione ma una forza sconosciuta mi tratteneva lì e
sentivo che era proveniente da quella ragazza seduta all‟ultima fila.
Improvvisamente si voltò verso di me.
I suoi occhi neri erano immensi e ne restai catturato, senza riuscire a
distogliere lo sguardo.
Mi sorrise e poi disse:
“Ciao, Matteo”.
Aveva una voce soave e leggera che, arrivata al mio udito, mi
accarezzò il viso come la brezza primaverile. Rimasi inebriato da
tutto questo per qualche istante e, tornato alla realtà, le risposi con un
semplice “ciao”.
Ma come faceva a conoscere il mio nome? Io non l‟avevo mai
incontrata…O forse sì?
“Ci conosciamo?”
Le chiesi, cercando di essere il più gentile possibile.
Mi guardò in modo strano, come se le stessi chiedendo la cosa più
semplice al mondo.
“ Certo. Adesso non ti ricordi di me, ma un giorno accadrà: quando
ci incontreremo di nuovo.”
Ero confuso ma allo stesso tempo mi sembrava tutto così ovvio,
come se lo sapessi già da tempo.
“E quando avverrà?”
Le chiesi, sapendo di fare una domanda stupida per lei.
“Quando sarai pronto.”
Rispose sorridendo.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 217 ~
Era tutto così surreale che pensai fosse un‟allucinazione, fino a
quando non si sedette accanto a me e mi sfiorò la guancia.
“Un‟allucinazione non può toccarti.”
Mi sussurrò nell'orecchio.
Poi mi prese il polso e lo avvolse con una cordicella.
“Questo è per ricordarti del nostro incontro.”
In quel momento provai una sensazione di gioia molto intensa che
non avevo mai provato prima in tutta la mia vita, mi sentivo come se
avessi ritrovato una parte di me che avevo perso in passato.
Guardai fuori dal finestrino e con grande stupore vidi che si era già
fatta notte.
Ma com‟era possibile? Io ero salito sull‟autobus subito dopo la
scuola, quindi verso l‟ora di pranzo, ed ero convinto che non fossero
passate più di due ore da quel momento.
Mi girai immediatamente verso di lei e… ero disteso sul mio letto.
La mia stanza era la stessa di sempre, nulla era cambiato dall‟ultima
volta che l‟avevo vista.
Così pensai subito che fosse stato un sogno. Era la cosa più ovvia da
pensare ma anche la più ragionevole.
Però mi sbagliavo: al mio polso c'era ancora la cordicella.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 218 ~
Marta Fossati
In viaggio verso il Lago di Como
Dovevamo arrivare al pendio erboso aldilà del lago.
Avevamo prenotato un posticino con vista sul lago di Como.
Dopo aver viaggiato per ore ed ore eravamo ormai sfiniti.
Il pezzo di strada che avevamo già percorso era pieno di buche e
sassi che facevano sobbalzare la macchina .
Al lato si intravedeva il lago, con le sue rive sabbiose, ottime prede
per i turisti. Il lago, con le sue acque cristalline, risplendeva i raggi
del sole.
Sembrava uno dei tanti paesaggi della Walt Disney……
Scorreva impetuoso dalla montagna un rivolo, che con la sua forza
trascinava a valle i pesciolini indifesi.
Il bosco sembrava un esercito di soldati, tutti in fila, pronti alla
battaglia.
Mancava ormai poco al pendio erboso.
Le colline sembravano ricoperte di un soffice mantello. Il sole era
una palla infuocata che si calava nell‟acqua. Tutto, in quel posto non
era male…...Quasi a sera le montagne assunsero un colore bluastro,
le nuvole lasciavano il posto alle sorelle stelle. Anche di notte quel
posto era bello e emozionante. Le luci delle case si scorgevano a
malapena perché il bosco ci vietava la vista. La luna in cielo era una
fetta di parmigiano.
Il lago sembrava incantato. Nei campi si sentiva solo il frinire delle
cicale. Che pace!!!
Abbiamo percorso l‟ultimo pezzo di strada in salita e eccola là ….. la
“nostra”casa .
Proprio sulle rive del lago . La notte ormai era calata e tutto era
immobile già da un bel pezzo.
Solo il rumore di una cascata interrompeva quel silenzio innaturale.
Sono restata affacciata alla finestra tutta la notte finchè il sonno non
mi ha sorpreso e sono andata a letto.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 219 ~
Fabrizia Gagliardi
La mia eroina
La luna sembra sghignazzare sotto una maschera di nuvole che le
lascia liberi due minuscoli occhi pallidi e lucenti, mentre la bocca è
un sorriso grigio e sbavato in una smorfia.
Il vento freddo spazza il pensiero di te dalla mia mente. Eppure ti
desidero. Desidero illudermi della tua confortante presenza per non
sentirmi così nudo, bramo le tue attenzioni per essere chiunque altro,
eccetto l‟uomo che ha perso la testa per te.
Chiudo gli occhi, una pressione leggera e decisa ed esprimo il
desiderio che tu avvererai: vorrei un‟altra vita!
Braccia invisibili mi cingono nel tuo caloroso grembo, infondendomi
improvvise esplosioni di piacere. Le sento propagarsi in me, come
cerchi concentrici che si espandono dopo il tonfo di una pietra che ha
spezzato l‟irreale equilibrio dell‟acqua.
Illudendomi credo di possederti, di domarti, invece i fili invisibili
delle tue mani muovono i miei arti inermi. Sei tu che conduci le
regole del gioco.
I muscoli contratti, dopo la piacevole tensione, si rilassano portati via
da un sapore amaro tra delusione e desiderio. Mi lasci fare i primi
passi incerti come un neonato che si avvia alla scoperta del nuovo
mondo.
Apro gli occhi per avere la conferma che hai di nuovo operato ciò
che solo tu riesci a fare: sfocare i contorni di questo mondo, renderli
tanto ovattati da sembrare innocui, come barriere di gomma su cui
sbattere senza farsi del male.
Mi hai reso una roccia massiccia e resistente contro la cascata di
preoccupazioni quotidiane, illusioni e delusioni che scivolano su di
me nonostante la pressione incessante. Il mondo non fa più così
paura.
L‟immagine della luna denudata dalle nuvole viene riflessa in una
pozza di acqua stagnante, a pochi metri da me. La raggiungo per
poter finalmente esplorare il mio nuovo corpo, rigenerato da un senso
di benessere.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 220 ~
L‟acqua nera mostra un corpo smilzo, all‟apparenza denutrito, forse
prosciugato da questo mondo che ne succhia la linfa vitale.
Nonostante quei braccini scheletrici, sento una forza inaudita che dal
profondo mi scuote e mi infonde energia, insieme alla convinzione di
poter risolvere tutti problemi che mi affliggono.
Osservo le esili spalle, le percorro con le dita: sono abbastanza
robuste da poter sorreggere lo sguardo deluso di mio padre, l‟unico
che ha contribuito a rendere più facile la mia scelta.
Gli lascio credere di essere un fantoccio sotto il suo controllo, da
poter mostrare pavoneggiandosi ai colleghi, cibandosi dei miei
successi.
Forse la schiena prima o poi si spezzerebbe sotto il suo ego e la
superbia mai trasformati in affetto e gratitudine.
Mentre rido, compiaciuto all‟immagine dell‟espressione di mio padre
vedendomi in questo stato, inizio a capire che stai per lasciarmi
anche stasera. I tuoi ordini, sussurrati al mio orecchio, si
affievoliscono fino a sparire e a lasciarmi senza una guida.
Il sogno si sgretola, il tempo che hai fermato riprende la sua frenetica
corsa, mentre vengo scosso da tremiti in tutto il corpo.
Il respiro si fa pesante, il cuore è ormai un tamburo che sta
rallentando il ritmo, gli occhi non fanno vedere altro che buio.
Ti chiamano eroina, ma sei cibo per vigliacchi, per coloro che hanno
paura della vita, se ne tirano fuori sperando in un tuo aiuto. Tu,
crudele, continui a cibarti delle loro interiora, ne smorzi il respiro, ne
rallenti i battiti, li illudi proponendoti come colei che è in grado di
salvarli dal baratro profondo. Il realtà sei tu che li stai portando
sempre più in basso fino a quando non toccheranno il fondo.
Con mio padre bastava solo parlare.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 221 ~
Alice Gallo
Cielo segreto
Erano gemelli, ma non l‟avrei mai detto se non li avessi conosciuti.
Erano totalmente diversi, quasi il contrario l‟uno dell‟altra e, dopo
dieci anni, ancora mi chiedevo come potessero andare d‟accordo.
Non si amavano solamente come possono fare un fratello e una
sorella, ma erano in completa simbiosi: erano la doppia personalità di
un‟unica essenza.
Lei si chiamava Giulia, ma io adoravo inventare ogni volta
soprannomi diversi per lei, perché la mia creatività la faceva
imbestialire. E quando si arrabbiava, montava quell‟espressione
corrucciata che adoravo, incapace di arrabbiarsi mai totalmente con
qualcuno. In quei momenti pensavo che fosse bellissima: gli occhi
scuri sparivano sotto le palpebre strette allo spasmo, il naso si
copriva di pieghe e le guance le si imporporavano deliziosamente.
Ma il tutto durava pochi secondi; un attimo dopo sorrideva di nuovo
come se non fosse successo nulla.
Il soprannome che preferivo affibbiarle era Gatta. Le dava più
fastidio di tutti gli altri, perché diceva che i gatti sono infimi e
approfittatori, che si affezionano ai luoghi e non alle persone. Io la
chiamavo Gatta proprio per quel motivo, perché a volte sapeva essere
non approfittatrice, ma infima e perché sentivo dentro di me che
amava la sua casa più di quanto amasse i suoi genitori.
Odiava sentirmi dire queste cose e a volte, quando mi capitava di
pensarle, mi sembrava quasi che avesse la capacità di leggermele
nella mente: mi sbirciava di tanto in tanto, alzando gli occhi dal
nuovo videogioco che stava provando, e mi lanciava un‟occhiata
interrogativa che sapeva di accusa.
Ma non ci facevo caso e le rispondevo solamente con un sorriso,
chiedendole cosa ne pensasse del nuovo Final Fantasy. Sapevo che
ad argomenti del genere non poteva resistere: i videogiochi la
stregavano come un serpente incantato dalla litania di un esotico
piffero.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 222 ~
Giulia era così; era una gatta anche nei movimenti sinuosi e misurati,
negli occhi, che se non erano chiari, erano comunque intensi e
ipnotici. Era la mia Gatta.
Paolo conosceva le debolezze di Giulia; le conosceva da quando
ancora era nel passeggino e, con un gesto impulsivo, le aveva
strappato il suo nuovo gioco dalle mani. Giulia si era messa subito a
piangere, ma lui, dall‟alto dei suoi tre anni, le aveva detto due sole
parole. E lei si era zittita, con gli occhi grandi sgranati in un rispetto
incomprensibile.
Erano nati lo stesso giorno, a pochi minuti di distanza, ma sembrava
che fossero scesi da due stelle lontane mille miglia, unite dal ricordo
l‟una dell‟altra. Sapevo già allora che non li avrei mai compresi del
tutto, nemmeno se avessi avuto tutta la vita a disposizione.
Paolo era diverso da Giulia e l‟avrebbe detto anche il primo
sconosciuto, passato per caso davanti alla loro casa. Era taciturno,
solitario e spesso quasi scontroso, con una paura del mondo che non
ho mai capito, e con una paura dei propri sentimenti ancora
maggiore.
Si guardava sempre intorno, osservava ma non diceva, memorizzava
ma stava in silenzio. A Giulia non dava fastidio, perché lei conosceva
ogni suo pensiero ed espressione, ogni sguardo malinconico e ogni
sussulto improvviso. Sapeva quando gli piaceva fare colazione, cosa
preferiva nelle giornate di pioggia, sapeva cosa lo faceva irritare,
anche se non lo avrei mai visto lamentarsi. Giulia sapeva quando
doveva lasciarlo stare, quando i suoi giochetti lo infastidivano e
quando invece voleva essere consolato o abbracciato. Ma accadeva
raramente. E in momenti come quelli, troppo intimi per un estraneo,
troppo anche per me, scivolavo via senza essere visto, con un groppo
alla gola e una strana sensazione nello stomaco.
C‟erano giornate, come quella di dodici anni fa, in cui bastava ridere
per capirsi. Non solo per loro due, perché spesso la loro sintonia mi
contagiava.
Tra le accoglienti mura di casa Paolo era diverso, si lasciava andare;
mai troppo, mai del tutto, ma erano i momenti più belli, quelli che
avrei ricordato con uno strano sorriso sulle labbra. La paura del
mondo esterno svaniva tra le braccia, sul seno e sulla pancia di Giulia
che, sul divano, lo accoglieva davanti a sé per stringerlo,
avvolgendolo nel suo calore femminile. A volte osservandoli,
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 223 ~
pensavo di vedere una madre e un bambino ai suoi primi mesi di vita,
nel ventre, accoccolato, senza alcun timore del futuro. Mi piaceva
rimanere a guardarli mentre giocavamo, perché avevo la sensazione
di godere di uno spettacolo raro: ripensandoci ora, devo ammettere
che avevo ragione.
A volte, nella loro piccola casa, restavamo per ore a giocare, ridendo
come pazzi, oppure ci stendevamo sull‟enorme letto della loro
stanza, a guardare il soffitto. Ci piaceva considerarlo un cielo
personale, sul quale potevamo dipingere stelle a nostro piacimento.
Su quell‟azzurro pastello Giulia vedeva sempre astronavi, alieni dalle
mille braccia o UFO dagli occhi sofisticatissimi, capaci di arrivare a
spiare perfino la vita sulla Terra: quando raccontava mi faceva venire
i brividi, sembrava quasi credere alle proprie parole e noi, in silenzio,
con il fiato sospeso, ci lasciavamo trascinare dalla corrente
impetuosa della sua immaginazione, finché non finiva e soffiava
fuori tutta l‟aria in un potente sospiro.
A Paolo non piaceva la fantascienza, era un appassionato del fantasy,
ma non l‟avrei mai scoperto se non fossi entrato nella loro casa:
aveva un libreria fornitissima, serie di romanzi e di fumetti rare e
non, complete e interrotte dagli autori, tutte catalogate e disposte con
ordine, ma quasi tutte un po‟ consumate per le mille volte in cui le
aveva tirate giù e rilette, con la testa sul cuscino e i piedi in alto,
appoggiati sul muro. Quando guardava il nostro cielo segreto creava
davanti a sé universi sconfinati che io non sarei mai stato in grado di
vedere in tutte le loro sfaccettature, perché erano troppo complessi e
contraddittori; ma sapevo che Giulia era capace di osservarli nei
pensieri di Paolo e di ricostruirli nella propria mente esattamente
come lui li aveva ideati. La vedevo, estremamente concentrata,
mentre restava a guardarlo parlare, con le labbra un poco dischiuse;
quando lui aveva cominciato ormai da qualche minuto, Giulia
chiudeva gli occhi e li strizzava, formando quelle rughe sulla fronte
che le vedevo solamente quando si impegnava al massimo.
Da parte mia, io nel nostro cielo personale non potevo che vedere tre
ragazzi che giocavano a prendere dalla vita quello che offriva; ma
non l‟avrei mai confessato a Giulia e Paolo, perché si sa che quando
sveli un tuo desiderio, finisce per non avverarsi. Erano giorni in cui
ancora ero superstizioso e pregavo e facevo scongiuri perché quel
periodo bellissimo non finisse mai. Ma la felicità ha un prezzo,
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 224 ~
spesso chiede più di quanto siamo in grado di offrire. Ci toglie quello
che abbiamo per offrirci qualcos‟altro e non importa che a noi lo
scambio non sembri equo, non ci chiede il permesso.
A volte Giulia me lo diceva, sottovoce, quando Paolo scendeva in
cucina a prendere da bere.
“Non ti sembra strano?”
Le chiedevo cosa, perché a volte si comportava con me come se
dovessi capire da solo.
“Intendo questa felicità. Non è strana? Non è troppo bella?”
Alzavo le spalle. Nel cuore le sue stesse angosce, le sue stesse
domande.
“Nico”.
“Dimmi”.
“Non sono mai stata infelice”.
Faceva quell‟espressione buffa e poi rideva, cancellando il discorso
con quel suono. Ma a me restava impigliato in gola e le parole che
avrei voluto pronunciare non uscivano; ero un codardo e avevo
troppa paura, coprivo col silenzio la verità che volevo negare.
Paolo tornava, osservava Giulia e lei rideva, gli chiedeva perché ci
avesse messo così tanto. Lui stava in silenzio e le lanciava
un‟occhiata così profonda che a volte ne avevo quasi paura; Giulia
abbassava lo sguardo sul videogioco tacendo all‟improvviso, le sue
mani correvano sui tasti, ma sentivo che ingoiava la paura. Come me.
Paolo si sedeva accanto a lei e le metteva un braccio intorno alle
spalle, stringendola con noncuranza. Versava da bere a tutti,
ridevamo, una strana serenità tornava al suo posto.
Vivevamo così, nel silenzioso accordo di non parlare della paura che
tutto finisse, di quella strana sensazione di ingiustizia che invadeva
ognuno di noi. Perché ci era destinata quella felicità? Perché proprio
a noi? Ma le domande non avrebbero trovato risposta in nessun
modo, così finimmo per soffocarle sotto strati di scorza e gioie che
accumulavamo anno dopo anno.
La nostra amicizia cresceva, ormai ero per loro come un fratello. E le
cose non cambiavano. Ora preferivamo birra all‟acqua, pizza alla
torta della mamma, ma eravamo sempre lì, in camera o nel grande
salotto, eravamo sempre noi.
Cadde tutto solamente quando compimmo diciotto anni.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 225 ~
La scuola finì senza che ci accorgessimo di averla anche solo
frequentata. Il grande edificio rosso in mattoni venne sostituito da
una sfilza di abitacoli grigi e tristi e ci preparammo a vivere nello
stesso appartamento in città, anche se saremmo andati in università
differenti. Eravamo felici di non separarci, felici di condividere una
vita nuova.
Poi, una sera, mentre eravamo seduti a tavola e ridevamo,
commentando quanto Giulia fosse negata in cucina, Paolo ricevette
una lettera. Era sigillata; si alzò con una strana espressione, prese la
posta che suo padre aveva appena appoggiato su un mobile e si passò
una mano sul viso. La girò una, due volte, leggendo e rileggendo
mittente e destinatario. Percepii una strana sensazione alla bocca
dello stomaco; accanto a me, sentivo lo sguardo bruciante di Giulia
attraversare Paolo.
Alla fine aprì la lettera. Ne tirò fuori un foglio stampato; i suoi occhi
scivolarono veloci sule righe e alla fine lo sguardo gli si fece sottile.
Sembrava felice. Ma io avrei detto il contrario.
Finalmente ci guardò e disse quella frase che mi sarei ricordato per
sempre.
“Vado ad Harvard”.
Il nostro mondò si spaccò in mille pezzi, con un fragore assordante
che ci intontì. Giulia saltò in piedi, i suoi occhi di gatta
fiammeggiavano, tremava. Fu la prima volta in cui li vidi litigare
seriamente. Giulia piangeva, Paolo pure e si tiravano addosso posate,
cuscini, parole.
Dopo quell‟episodio provammo ad andare avanti, ma non era più la
stessa cosa. Quando salutammo Paolo all‟aeroporto il nostro cuore
smise quasi di battere.
Lo fece totalmente quando, qualche mese dopo, ricevemmo la
notizia.
Ci stavamo abituando alla sua assenza, ci scriveva continuamente,
veniva a trovarci spesso. Ma era lontano, troppo per i nostri gusti.
Ogni tanto vedevo Giulia guardare distrattamente il cielo, con gli
occhi spenti. Sapevo che Paolo faceva lo stesso, a mille chilometri di
distanza.
Una notte mi svegliò il grido di Giulia. Corsi nella sua stanza,
piangeva, scossa dai singhiozzi, pronunciava frasi sconnesse; le
dicevo “E‟ solo un incubo, un incubo”, ma lei continuava.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 226 ~
Gridava. E diceva “è morto!”, piangeva e diceva “è morto!”
Paolo era morto, in un incidente. Ce lo dissero il giorno dopo. Giulia
era stata la prima a saperlo, lo aveva sentito dentro di sé, quella notte.
Un parte di lei se ne era andata per sempre.
Da quel giorno non fu più la stessa. E non attraversò che un inverno,
da quella notte.
Mi chiedevo che fine avesse fatto la mia felicità.
Sentivo che la Vita, alla fine, era venuta a riscuotere il suo prezzo.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 227 ~
Sara Gamannossi
Lettera (mai spedita) a mio Padre
A me il mare non piace particolarmente. Diciamo che è bello e che si
và al mare quando si ha tempo, e se si ha tempo allora si è in vacanza
(o disoccupati...).
Le vacanze mi piacciono molto perchè in vacanza ci si riposa e anche
se alla fine uno passa la vacanza pensando a quando dovrà andare a
scuola o al lavoro... è meglio pensarci che andarci... no?
Beh... delle mie vacanze al mare mi piace la compagnia... sì,
insomma... siete voi la mia compagnia, proprio voi che state
leggendo! E anche se può sembrare una compagnia semplice e
banale... sono le cose semplici e banali che cerco nella vita, perchè la
vita è come un dipinto e sono i colori ed i dettagli – anche quelli più
piccoli ed insignificanti all‟apparenza – a rendere un dipinto finito e
particolare.
Tutti nella vita abbiamo delle passioni e dei sogni che pensiamo
siano di impossibile realizzazione, sian in cielo che in terra che in
mare.
A te, Babbo, non serve il cielo e non serve la terra... il tuo sogno
balla con le onde, fra i delfini... nel mare...
E se è il mare ad attrarti tanto, ti auguro di passarci più tempo che
puoi, perchè se realizzi un sogno sei già a metà del dipinto, e
continueremo insieme questo quadro, onda dopo onda, e se ci sarà
vento, ci copriremo, se sarà caldo sopporteremo e se ci sarà da
ballare... balleremo.
Ed alla fine del dipinto, a fine vita, farai parte del mare anche tu, ed il
vento sussurrerà il tuo nome, e sarai parte di quelle onde che ti
piacciono tanto, e ballerai con i delfini tra la spuma delle onde ed la
luce del sole.
Ti voglio bene Babbo.
Sara.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 228 ~
Jessica Grandolfo
Il destino ferisce tutti
Quest'acqua è così fredda è queste piastrelle sono così lisce mi danno
i brividi mi sento più leggera. Mi sento avvolgere da una coperta
fatta d'acqua ..sento gli occhi appesantirsi..sempre di più..ma ora che
ho gli occhi chiusi mi sento libera non voglio riaprirli. “Non
voglio..no!” Penso riaprendo gli occhi “il lago?..Ma come?” Penso
stupita: “ Jessica ! Questa voce non può essere ..impossibile..no..no
no no” penso chiudendo gli occhi “dai svegliati!” Penso..poi li riapro
“no! Non mi volto..non esiste..è solo un sogno.. “ “Jessica !” Mi
volto “Gezim!” ..è solo un sogno “ma che diavolo fai?” “E‟ solo un
sogno” mi ripeto “ma che dici??” Mi urla contro “no..impossibile..tu
non puoi essere qui! Perchè andavi via?” Che cosa?quindi..penso poi
guardo i suoi vestiti poi i miei..e poi capisco “è martedì” mi dico
sotto voce “si è allora?” mi chiede “ti amo” dico abbracciandolo “tu
sei pazza..perchè andavi via?” “No ora sono qui tu sei qui conta solo
questo!” “Ok!” dice baciandomi.
“Da riapri gli occhi” questa voce non è di Gezim- riapro gli occhi!
“Dove sono?” chiedo sconvolta “sei in piscina stavi annegando”
“non sono morta? chi mi ha salvato?” Chiedo arrabbiata “io” dice il
bagnino impaurito dal mio tono di voce “oh! Grazie mille davvero la
vita non è la tua e ti intrometti pure! Cretino!” Dico andando via “ma
stai bene? Sei matta per caso?” “Si! ciao!” gli urlo. Perciò era un
sogno..quindi lui è davvero..io non m sono fermata- penso “basta!”
Mi dico alzandomi e andando via dalla piscina.
“Perchè ti volevi uccidere??” Mi volto di scatto “mi hai fatto
prendere un colpo“ -stupido bagnino penso “scusa. È che non dovevi
farlo” “faccio quello che voglio” ”posso almeno sapere il perchè?”
“Perchè dovrei parlarne con te” “perchè so che vuoi raccontarlo a
qualcuno e ora ne hai l'occasione!” “Ok. sediamoci lì” dico indicando
una panchina.
“Non so da dove cominciare..ecco io non sono normale..io rovino la
mia vita mi faccio dei problemi solo per sentirmi qualcuno per dire
che ho una vita movimentata questo però mi costa la mia felicità ..ho
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 229 ~
i sensi di colpa che mi risucchiano che mi assillano e non riesco a
vivere .. perciò ho fatto quello che ho fatto!” “Perchè ti senti in
colpa?” “Mi sento in colpa per tutto..ma quello che mi ha distrutto è
stato quello che ho fatto quel martedì..vedi lui era perfetto lo avevo
conosciuto il 17 Giugno..era un giovedi..quella mattina pioveva..ero
con degli amici al bar poi è arrivato lui..ci ho provato lo stesso giorno
che l'ho conosciuto, il giorno dopo gli ho raccontato tutto di me
sapevo di potermi fidare..io li piacevo lui piaceva a me..mi ricordo
quando siamo andati in un negozio e li ho fatto provare delle
magliette era bellissimo! Mi ero divertita e innamorata.. la nostra
panchina.. quel sabato eravamo solo io e lui a piazza pallone nella
quarta panchina a destra a partire dall'entrata principale.. eravamo
come fidanzati .. quello sguardo a cui non potevo mentire.. quei
capelli..la sua delicatezza ..avevo rovinato tutto quel martedì sapevo
di dover baciarmi con lui usando la lingua ma non ne ero capace
avevo paura di sbagliare che mi mollasse perchè sono una bambina
così mi alzai e andai via..lui era così bello non lo meritava..poi”
“ferma! Io vado ciao” “cosa? Che hai?” “Che ho?? Tu lo ami
ancora!” “Allora??” Si ferma china la testa “tu mi piaci” dice
sottovoce “non lo immaginavo” “dovevi..” viene e mi abbraccia “se
vuoi possiamo essere felici insieme” “Come??” “Insieme” dice
sorridendo “vai avanti” sospiro chiudo gli occhi vedo il viso di
Gezim..riapro gli occhi! “Ok” prendo la sua mano e cominciamo a
camminare non so dove o per quanto ma è un nuovo inizio. Io sono
felice.
“Dove ha detto che era la panchina..allora quarta panchina a destra a
partire dall'entrata principale” “eccola!!!.. Vediamo che c'è scritto
“non dovevi seguirmi non dovevi attraversare la strada non dovevi
morire! Mi odio è colpa mia..ti amo” Jessy “cosa fai ??” Mi volto di
scatto è Jessica! “Niente” “scusa non immaginavo..” comincia a
correre ..la seguo “ferma!” “No! Non dovevi..avevi promesso che
non saresti mai venuto a vedere la panchina!” “mi dispiace!” Le urlo
dietro “io lo amavo..ti odio!” “Lo ami ancora??” Lei si ferma in
mezzo alla strada per rispondere.. ora a pensare a cosa avrebbe detto
ci sto male..prima di potermi rispondere un macchina la investì..morì
sul colpo! Non volevo andasse così ..la amavo..lei no! Lei amava lui
era parte di lei e lui si era ripreso quella parte lui la voleva ancora lei
ed era riuscito a riprendersela! ..Forse se morissi potrei
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 230 ~
rivederla..vorrei solo un minuto per vedere i suoi occhi..dicono che
chi possiede gli occhi che brillano è speciale..lei era speciale!!!
sperano siano felice sono nati per stare insieme e sono morti per la
stessa causa però vorrei dire una cosa “Jessica se mi ascolti...ti amo”.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 231 ~
Sabrina Iavarone
Ho assaggiato la normalità, ma l‟ho sputata
Prologo
La luce del Sole mi ferisce gli occhi, perché il Sole t'inganna, lo vedi
nascosto dietro le nubi grigie e pensi di poterlo guardare, invece, fa
male lo stesso. Fa male come il toc-toc che sentirò quando verranno a
prendermi e mi faranno uscire, come un condannato a morte, quando
dev‟ essere condotto alla sedia elettrica. La differenza è che a me
della meta non importa, di cosa ho fatto o di cosa mi accadrà non
m'importa, se sono colpevole o innocente, se la pena è adeguata
oppure no. M'importa che nell'ordine regolare delle cose il mio nome
non c'è e non so se mai ci sarà, purtroppo non sono abbastanza acuto
da capirlo e nessuno al di fuori della superficie cubica di questa
stanza lo sa. Forse potrei dare tutti i pezzi a qualcuno abbastanza
arguto da riuscire a completare questo puzzle.
La mia massa è troppo piccola rispetto a quella della Terra.
Non posso prendere le misure al mio cervello.
Temo terribilmente che il Sole m'inganni.
Ho assaggiato la normalità, ma l'ho sputata.
Mi stanno stretti i comuni costumi, mi sta stretto il corso comune di
una vita comune.
Non voglio il migliore amico, la comitiva del sabato sera, la
fidanzata fissa, il sette in latino.
Li ho assaggiati e li ho sputati uno dopo l'altro.
Hanno un sapore un po' stantio, perché sono cibi che esistono da
sempre e da smezzare in compagnia.
Sono un po' insipidi, sono di quei cibi che un‟ora dopo non sai più di
cosa sapevano. Sono di quei sapori che non aggiungono nulla al
repertorio della tua lingua.
Se quei sapori fossero un luogo, sarebbero una palude, piccola e
chiusa, con l'acqua grigiastra, dove crescono canne di bambù.
Se quei sapori fossero un'emozione, sarebbero di quelle che vivi
perché aspetti sempre un nuovo sviluppo, un apice che non arriva
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 232 ~
mai, perciò le molli deluso.
Se quei sapori quei luoghi quelle emozioni fossero una vita, non
vorrei che fossero la mia, forse è un‟idea comune, forse no,
lasciatemi comunque seguire quest‟utopia, lasciatemi affidare la mia
esistenza al Caso, lasciatemi essere preda delle mie farneticazioni.
Inverno
Oggi è il primo giorno dell‟anno e voglio lasciarmi
straordinariamente andare a una tipica tradizione: i buoni propositi.
Peccato che io abbia soltanto un buon proposito per questo nuovo
anno, cui non sono nemmeno sicuro di poter affibbiare questo nome,
poiché si tratta di un‟azione vantaggiosa nei miei confronti, ma che
non mi richiede alcuno sforzo: si tratta di fuggire.
Fin da bambino ho avuto questo slancio, un certo fascino verso la
fuga come emblema del cambiamento in positivo, il simbolo del Me
Idealista che un giorno avrebbe preso il controllo di tutte le altre
microscopiche parti del mio essere.
Quel giorno è oggi.
Ieri ho trascorso l‟ultimo giorno in compagnia della mia famiglia. La
solita festa di Capodanno nel solito ristorante di lusso, luogo perfetto
per ostentare la propria ricchezza e di cui vantarsi con gli amici
durante i giorni seguenti. Stavolta è stato più semplice sopportare
quest‟appuntamento annuale, questa fiera della vanità, poiché sapevo
che non avrei mai più visto nessuna delle persone che mi
circondavano. Questo pensiero di certo non mi rendeva malinconico,
anzi, mi sollevava il morale, mi faceva sentire superiore, mi
trasformava ogni sorriso di circostanza in un ghigno. È stato questo
pensiero a farmi sopportare non il lusso in sé, ma la pacchiana
ostentazione di questo da parte della mia famiglia, che dimostrava a
qualunque occhio a malapena perspicace la nostra estrazione
borghese e non alta come nei loro scopi, perché un vero ricco è
assuefatto da ciò che ha e non ha bisogno di ostentare un bel niente.
È per questo che voglio fuggire, per non avere un futuro nel senso
che s‟intende oggi, perché voglio cercare semplicemente me stesso,
senza migliorarmi né peggiorarmi, senza diventare qualcuno che non
sono mai stato e che quindi non sarò mai. Siamo in inverno, la
stagione in cui la natura si prepara a sbocciare ed io voglio seguirla.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 233 ~
Primavera
Sono trascorsi mesi settimane giorni, ho viaggiato chilometri su
chilometri, ho divorato luoghi e persone con gusto e voracità, sempre
più avido di nuovi fotogrammi da sbattermi sugli occhi e più
cammino più mi sembrano familiari le sensazioni che provano i
bulimici quando anche loro non riescono a colmare col cibo i vuoti
della loro anima. Non so se la mia malattia è peggiore o migliore, ma
so che nonostante la sua diversità ha qualcosa che la rende simile alla
bulimia. Io sono bulimico di luoghi, persone e storie. La differenza è
che la mia bulimia può rendermi solo un vincente, perché grazie a
essa ho sconfitto la paura di cambiare, ma sono anche consapevole
che questa malattia esprime tutto il mio egoismo, tutta la mia
indifferenza verso i sentimenti degli altri per me. Il resto del mondo è
soltanto una minaccia, un ostacolo all‟affermazione del vero me
stesso. Se non mi credete, immaginatemi qui, mentre vago per le
strade di Berlino, mentre mi sono spiattellate davanti agli occhi tutte
le immagini della città ideale che si era creata nella mia testa durante
questi anni di prigionia, mentre divento protagonista di tutte le storie
che ho sceneggiato nei miei sogni più selvaggi e in un nanosecondo
mi passa per la testa il pensiero “ è qui ”. Ed è allora che mi costringo
a pensare che, no, non è qui, non è da nessuna parte, perché quella
che tutti vogliono non sarà la mia vita. Anche se in un luogo diverso,
le storie delle persone sono sempre le stesse, restano comunque delle
spirali d‟illusioni e falsità, di dolori e insoddisfazioni. Devo
costringermi a ricordare perché sono qui: perché voglio sfuggire a
tutto questo, voglio avere un‟esistenza diversa, voglio essere il
rivoluzionario della vita. Adesso non mi rimane soltanto che
costringermi a pensare che anche Berlino nasconda la sua dose
d‟illusione, che Berlino è solo una tentazione più grossa delle altre.
Perché non mi serve più desiderare ora che ho tutto.
Estate
Mentre la stagione delle falsità per eccellenza rende gli uomini molto
più simili a uccelli selvaggi che a se stessi, costringendoli a migrare
temporaneamente e contemporaneamente verso sud, io voglio restare
uomo, quindi continuo il mio viaggio, ponendomi anzi come unico
limite l‟esplorazione del nord. Non m‟interessa quanto durerà
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 234 ~
quest‟estate soffocante come al solito, io salirò, finché le mie forze
me lo permetteranno. Non ho nessun ostacolo tranne me stesso: il
clima è mite, il resto del mondo è indifferente alla mia impresa, il
tempo che ho è una vita intera. A volte mi tornano in mente vaghi
ricordi della mia vita passata ed è come se fossero in bianco e nero,
perché quello era un tipo di esistenza senza colori, un‟esistenza
sempre bloccata da qualcun altro, che non poteva slanciarsi verso il
mondo esterno. Che fosse uno dei miei pochi amici o un parente, la
solfa era sempre la stessa: niente colori. Ora è così diverso, vedo il
mondo per la prima volta e non capisco come le persone possano
allontanarsi dalle meraviglie che hanno, da questi colori così
sgargianti.
Credo che oltre al mondo, stia vedendo per la prima volta anche la
felicità. Prima anche un effimero momento di allegria doveva essere
seguito da un lungo periodo d‟inferno, invece, adesso è come se le
mie mani fossero la felicità, sempre con me e in qualunque cosa
tocco. Perché legarsi a poche persone, sempre le stesse, ma in
continua mutazione, se si possono avere tante persone diverse ogni
giorno, senza doversi per forza sentire legati a loro? Perché cercare
ossessivamente l‟amore, qualcuno che ci possa completare,
diventando sempre più freddi e aridi via via che diventiamo delusi e
illusi dalle persone, se possiamo riempire ogni nostro giorno di
passioni, l‟unica cosa che effettivamente cerchiamo e che
effettivamente resta? Perché lasciare che il destino ci renda sempre
più insoddisfatti a causa della sua monotonia e limitatezza? Ma non
voglio più pensarci, non voglio continuare questo viaggio
ripetendomi i motivi della mia presenza qui, è inutile, sono i fatti che
parlano. Basta guardarmi le mani, questa pelle indurita dalle stagioni,
annerita dallo sporco, rafforzata dal lavoro, per capire qual è il
motivo: la felicità.
Autunno
Questa notte è successo un fatto che non mi accadeva dai tempi della
mia vita passata. Il mondo scorreva velocemente dietro le finestre
della mia stanza, in tutti i suoi colori i suoi suoni le sue storie,
frenetico e io volevo solo farne parte. Non c‟era apparentemente
nulla che potesse impedirmi di uscire da quella misera stanza e
vivere, ma proprio non riuscivo a muovermi, non riuscivo ad alzarmi
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 235 ~
da quel fottuto letto e lasciare quelle lenzuola disordinate, quelle due
testoline dai capelli scuri di cui non ricordavo né i nomi né i volti. E
più non riuscivo a uscire, più non capivo perché fossi ancora lì, più
cresceva in me un‟ansia tremenda che m‟irrigidiva ancora di più i
muscoli e penetrava nelle ossa. L‟ansia aumentava nel fondo del mio
stomaco, saliva fino ad arrivare in gola, bloccandomi il respiro. Gli
occhi diventarono enormi fin quasi a uscire dalle orbite, la mia pelle
secerneva litri di sudore gelido. Finalmente mi svegliai, uscì da quel
terribile incubo, anche se urlando, anche se la prima cosa che feci
appena sveglio, istintivamente, fu quella di vomitare a terra davanti
al comodino. Mi alzai dal letto e quasi correndo mi lavai di sfuggita,
infilai i vestiti della notte prima e presi le mie cose. Mentre uscivo di
fretta dalla stanza mi rincorsero le voci assonnate delle due anonime
ragazze che mi chiedevano dove andassi, ma le ignorai. Camminai
freneticamente tutto il giorno per le strade di Helsinki, una delle mete
che avevo scelto per il mio tour autunnale in direzione sud. Non
riuscivo a non pensare a quell‟incubo. Erano tante le domande che si
susseguivano nella mia testa, ma la prima di tutte era perché avessi
avuto un incubo proprio come ai vecchi tempi, nella mia vita passata,
ora che ero felice. Un‟altra domanda era cosa significasse
quell‟incubo. Perché d‟un tratto non riuscivo a vivere? Qual era il
motivo che mi bloccava? Poi all‟improvviso tutto fu chiaro. E fu così
che mi ritrovai a dondolare su un albero nel vento di Helsinki
impregnato di sale, con il respiro bloccato in gola per sempre,
proprio come nel mio incubo.
Questa è la storia di Marcello Sanseverino 1945-1964.
Il più grande ostacolo alla nostra felicità siamo noi stessi. E non
possiamo superarci.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 236 ~
Michela Lai
Un vero ritratto
“Signora Saragocchi, non si muova, la prego”.
“Sì, mi perdoni. Ma, sa, comincio a sentire un dolorino proprio qui,
al collo”.
“Manca poco, mi creda”.
Calò nuovamente il silenzio, nella piccola bottega del giovane Dessì,
un silenzio fragile, continuamente interrotto dai sospiri della donna e
dal respiro sommesso e a malapena percepibile del ragazzo, cui mano
indugiava sulle ultime pennellate del ritratto.
“Va bene. Credo di avere finito. Può alzarsi, se vuole”.
La donna obbedì, e con il suo pomposo abito roseo, adornato di pizzi
e merletti, scivolò curiosa fino al dipinto. Giovanni osservò il suo
volto divenire da impaziente a sorpresa, e da sorpresa a entusiasta.
Nel ritratto, lei vedeva se stessa: bassa, mora, vestita di una veste
purpurea che delineava in modo prezioso ma non geloso le sue
forme, in modo anche più delizioso di quanto realmente non riuscisse
a fare quel commiserabile pezzo di stoffa, costretto a contenere chili
su chili di grasso, unicamente dovuto ad una vita di ozi e sollazzi.
“E voi? Che ne pensate? Siete orgoglioso del vostro dipinto?”
“Sì, sì, è indubbiamente un bel ritratto”.
La Signor Saragocchi notò il suo scarso entusiasmo per quell‟opera e
Giovanni, pur di disfarsi di quella sgradevole presenza, stirò un
sorriso, e mascherò la sua intolleranza per quella presenza come una
stanchezza irriducibile per l‟arduo compito portato eroicamente a
termine.
“Beh, allora, credo che sia meglio lasciarla riposare, Mastro Dessì”
“Sì, e la tinta riposerà assieme al sottoscritto. Venite a prenderla
domani stesso”.
“Verrà un mio messo”.
Finalmente, la dama si fece accompagnare all‟ingresso, dove
Giovanni le porse il cappotto e il piumato e ingombrante cappello
violaceo, e la aiutò a salire nella carrozza.
“Arrivederla”.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 237 ~
“Le auguro buona notte, madama”.
Il cocchiere fece andare a trotto il cavallo; Giovanni osservò la
carrozza percorrere il viale al tramonto, e con anche più interesse,
notò un contadino, carico di legname, guardare stupefatto
quell‟animale così in forze usato per trainare una futile carrozza.
Insomma, gli uomini hanno le gambe per camminare! Ma per arare,
molto meglio un cavallo o un bue! L‟uomo scosse il capo e continuò
la sua marcia. Quando fu a una manciata di metri, Giovanni vi
riconobbe un viso noto.
“Checco! Che bello rivederti!”
“Ragazzone! È una settimana che non ci incontriamo! Il fatto è che è
stagione di raccolta, c‟è tanto da fare! Tu, invece, con tinta e
pennello, fai grandi affari! Non vedevo una carrozza così da quando
avevo solo cinque anni. Perfino allora avevo più denti di quanti non
me ne siano rimasti adesso!”
L‟uomo dalla folta barba sfoggiò un sorriso di soli quattro denti,
grigiastri e storti. Giovanni, però, non ne rimase disgustato: quello
era il sorriso più bello che lui avesse visto.
Si congedò in fretta e fece una passeggiata per i vicoli di Samugheo.
Entrò in un pub.
Un forte odore di vino e sigari permeava il locale, dove gli uomini,
alla fine di una giornata di lavoro, si ritrovavano per un momento di
serenità tra amici, fumo e alcool. Il ragazzo si sedette al bancone,
assorto nei suoi pensieri.
“Un boccale di birra, per favore” ordinò, senza nemmeno guardare in
faccia il barista.
“Arriva subito. Però, fa proprio effetto vedere un così bel ragazzo
che beve da solo”.
Quella voce ammaliante lo spinse ad alzare il capo: man mano che
gli occhi scorrevano dal basso in alto, si delineava una figura snella,
dalla pelle olivastra, occhi verdi e una cascata di capelli corvini.
Il viso della donna, in particolare, lo colpì. I suoi occhi erano vivi, la
pelle perfetta, non una traccia di ruga o imperfezione; ma quello
sguardo, invece, era incredibilmente segnato, geloso di un segreto
che, lui lo sentiva, avrebbe rivelato la vera natura di quella Afrodite.
“Non ho molto tempo per le donne. Mi sono trasferito da poco, ho
tutta un‟attività da far decollare. Io non sono di qui, sai?”.
“Lo avevo immaginato. Non molti qui parlano tanto bene l‟italiano”.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 238 ~
“Non serve a molto, in un paese dove la lingua è il sardo”.
La donna sorrise, mostrando una dozzina di perle immacolate
protette dalle rosse labbra carnose.
“Hai detto di avere un‟attività. Dunque sei un artigiano?” chiese,
servendogli la birra.
“Sono un‟artista”.
Lei parve illuminarsi “Davvero? E, dimmi, sei bravo?”
“Dicono di sì”.
“E tu cosa ne pensi?”
Giovanni scosse la testa, bevette un sorso di birra e rispose, più per
dividere quel fardello con qualcuno che per attirarne l‟attenzione.
“In generale, sono soddisfatto della mia arte, anche se posso ancora
migliorare. Quello che proprio non mi piacciono sono i ritratti.
Escono male”.
“Cioè? Il cliente non si riconosce nel dipinto?”
“No, no. Loro si riconoscono, eccome! Sono io che non ce li vedo
proprio”.
Bevette tutto di un fiato il boccale di birra “Non riesco a catturarne
l‟essenza” concluse.
Quando ebbe posato il bicchiere, il suo sguardo incrociò quello della
donna. Lo trovò più sicuro di quanto si sarebbe immaginato, uno
sguardo disarmante, indagatore, e allo stesso tempo intrigante.
“Non è molto bello, sai, vedere la vera essenza. Insomma, immagina
solo tutti questi corpi, spogliati del loro rivestimento terreno! Credi
che le loro anime debbano essere tutte così belle?”
“Un ritratto è per definizione una descrizione dell‟aspetto della
persona. Ma se questo aspetto è menzogna, la mia Arte stessa non
diventa anche essa una bugia? E se la mia Arte è bugia, non mento
anche io quando dico ad altri e a me stesso che sono un‟artista?”
“Per te l‟arte deve significare molto”.
Il ragazzo sorrise appena “Per me l‟arte è tutto”.
“In tal caso, ti prego di chiudere gli occhi”.
Giovanni, felicemente sorpreso, obbedì. Sentiva solo il suono delle
risate, i commenti degli uomini seduti ai tavoli alle sue spalle e il
vetro dei bicchieri che si incontravano nei brindisi, un‟orchestra che
suonava al ritmo del suo cuore. E poi, un dolce tepore alla fronte, il
calore di quelle labbra in cui in soli cinque minuti lui aveva sognato
di naufragare.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 239 ~
Quando però riaprì gli occhi, estasiato, la donna non c‟era più. Si
guardò attorno, uscì in strada, ma niente: si era come volatilizzata.
“Marchese, la prego, rimanga ancora cinque minuti fermo”.
“Certo, mastro Giovanni. L‟artista è lei. Ma faccia più in fretta! Ho
un‟asta tra poco!”
Dopo una notte insonne, il giovane Dessì era tornato al lavoro, con
un altro facoltoso cliente che aveva attraversato mezza Sardegna per
incontrarlo. Tuttavia, c‟era qualcosa di diverso.
Per la prima volta in vita sua, Giovanni osservava il modello,
osservava il ritratto, e finalmente tutto combaciava: quello era il vero
ritratto! Quella era la vera essenza di quell‟uomo! Mai la sua mano
era stata tanto pronta, mai la sua fantasia ansiosa di vedere terminata
un‟opera!
“Ecco, ho finito” disse orgoglioso.
L‟uomo abbandonò la sua postura da statua equestre e si avvicinò a
grandi passi al dipinto.
“Orrore!” Esclamò quello, vedendo il ritratto.
Giovanni, che già era preparato ad una ovazione per quella che ormai
considerava il suo capolavoro, rimase sconcertato di fronte al
disgusto del marchese. Non capiva: quelle sopracciglia folte, quel
sorriso malevolo unito alla calvizie, la giacca tinta appena di sangue,
non rispecchiava forse la vera di natura di un uomo cui fama di
“machiavellico sfruttatore di manodopera” lo aveva preceduto
perfino in un paesino come Samugheo? Non era forse questa
l‟immagine più fedele di quel discutibile personaggio?
Giovanni non lo seppe mai. Di certo, però, il marchese non lo pagò;
anzi, sentitosi personalmente toccato, minacciò una denuncia, mentre
spronava il suo cavallo nero. Il pittore stette lì, a guardare il dipinto
per ore, a ragionare sull‟accaduto. Volle sperare che fosse solo un
problema del marchese, incapace di accettarsi per come era, ma fu
un‟illusione che non durò un paio di ore: altre due donne si
presentarono, entrambe facoltose; Giovanni dipinse. E non vide una
lira.
Infine, sorpreso a pensare che il suo talento fosse svanito, chiese a
una donna sui quaranta, contadina e massaia, di farle da modella. E
lì, accadde qualcosa di davvero straordinario.
Quando la donna si alzò per vedere il ritratto, arrossì per la bellezza
che ne traspariva, una beltà che, a parer suo, andava ben oltre il suo
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 240 ~
vero aspetto. Era lei, non c‟erano dubbi: ma era semplicemente più
bella di quanto effettivamente fosse o, come credeva Giovanni, di
quanto lei credesse di essere.
Anche stavolta, purtroppo, non fu pagato: la donna non poteva
permettersi un simile lusso e, dato che era stato lui a proporle il
ritratto, glielo donò con piacere.
Quindi il suo talento non era svanito. E quando ripensò alla serata
precedente e alla donna del pub, comprese. Lei, forse quella che lì, a
Samugheo, sarebbe stata definita “stria”, cioè strega, aveva
semplicemente realizzato il suo desiderio. Corse al pub, la cercò in
tutto il paese, chiese di lei, ma era come se non fosse semplicemente
sparita, ma non fosse nemmeno mai esistita.
Giovanni aveva barattato la fama e il danaro con l‟arte più sublime:
se poi ciò fosse un bene o un male, dipendeva unicamente dal cuore
del suo cliente. Ben pochi però sentirono più parlare di un pittore di
nome Giovanni Dessì. Raramente un buon cuore si concilia con un
portafoglio generoso.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 241 ~
Giulia Lizzi
I colori del mare
Il mare, quel giorno, era di un celeste quasi dorato. Quell‟abisso
accoglieva in sé emozioni, gesti nascosti, segreti, confidenze,
promesse. La luna, che sera dopo sera arrotondava la sua forma,
rifletteva nobile la sua sagoma nell'acqua. Così come le stelle, stelle
sincere, curiose, quasi indiscrete, erano le uniche testimoni di quei
momenti in cui ci si dimenticava di tutto, nessun pensiero, via le
paure. Musica, note timorose di canzoni urlate al cielo, melodie
eterne, intonate a tutto volume. Musica, colonna sonora della nostra
fiducia, il nostro credere, con tutto il cuore, nel presente. Piccoli per
sempre. In città invece era una notte come un'altra, sfruttata, vacua.
Pioveva, settembre era alle porte, faceva molto freddo. Io e Sam
eravamo entrambe assorte nei nostri pensieri, forse gli stessi. Non le
chiesi nulla: né il motivo del broncio che da un paio di giorni le
oscurava il viso, né dove avesse la testa in quel momento, ma sapevo
per certo che non era lì; il suo cuore, i suoi sorrisi erano lo specchio
di molto, molto di più…
«La tua vita è qui!”, Le ripetevano sicuri i suoi amici, la sua famiglia.
Determinata, credendo in sé stessa e nelle sue idee, sapendo di essere
diversa da tutte le altre sue coetanee e avendo finalmente capito di
dover curare, proteggere, alimentare quella diversità che la
caratterizzava, replicò dicendo che la sua vita era nel luogo, nel
momento in cui si sentiva felice, linda, raggiante, pura. Laddove si
sentiva completa -pareva non le mancasse nulla e non nella città in
cui trascorreva la maggior parte del suo tempo. Io ero sempre dalla
sua parte, a prescindere da quello che diceva, faceva, contro tutti,
tutto. Eravamo io e lei, e lo saremmo state sempre e per sempre. La
mia vita è là, sussurrava tra sé. Per «là” s'intende un piccolo
campeggio in un'isola croata in cui, da quando avevamo cinque anni,
Sam ed io passavamo le nostre estati. Un posto in cui l'unica
attrazione per noi era il mare e tanti, un sacco di ricordi legati a
quell‟infinito cercarsi, contrastarsi di acqua e aria, onda e schiuma,
alta e bassa marea, urli e tacere improvviso. Ricordi come ombre
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 242 ~
silenziose che fanno parte di te, ti descrivono, ti arricchiscono, ti
perfezionano. Rappresentano il tuo passato, ma sono pronte a
spuntare fuori, nel tuo presente, da un momento all'altro, di soppiatto,
ma all‟improvviso. Sei legato a loro, inevitabilmente come un
bambino lo è alla sua mamma, invisibile cordone ombelicale che ti
nutre, giorno dopo giorno, e si nutre di te.
Solo un continuo via vai di spiagge che formano il lungo mare.
Eppure, in quelle spiagge simili, ma una diversa dall‟altra, che si
rincorrono, si inseguono, avevamo lasciato il nostro cuore, e con esso
la speranza che tutto l'anno potesse assomigliare a quel mese
paradisiaco. Confidenze di primi baci rubati sotto stelle straniere,
tentate spiegazioni di sogni ahimè inspiegabili, che solamente le
persone con cui li avevamo condivisi sarebbero state in grado di
capire… Programmazioni di future giornate insieme, durante le
vacanze natalizie, per Pasqua, in occasione di un compleanno, finite
col ritrovarsi l'estate dopo, cambiati, in fondo sempre gli stessi. Gli
stessi bambini divertiti tra sere vissute giocando a poker, a biliardo
senza sapere le regole - per il puro gusto di essere un'altra persona
per poche ore, indossare una maschera, forse invece togliere la
propria, una volta per tutte-, al molo a vedere le stelle cadenti. Un
giorno Sam ne vide una. Era con il suo ragazzo, primo amore
sloveno conosciuto la settimana precedente. Noi altri sedevamo
vicino a loro, forse un paio di metri più in là, solamente per non
sembrare curiosi, invadenti. Si baciarono a lungo, inesperti,
appassionati, e dopo pochi minuti si ritrovarono distesi, occhi puntati
al cielo, giovani sognatori in balia delle loro emozioni. Quando vide
la meteora che, protetta da un'aura abbagliante, fulgente, attraversava
il cielo senza fretta, pigra, come per esibirsi davanti a quegli occhi
spalancati, diva per pochi secondi, in tutta fierezza durante il suo
percorso, unica tra tante pose ferme, immobili come per non guastare
il momento di gloria della compagna, chiuse gli occhi e pensò ad un
desiderio da esprimere. Essere felice. Far tornare insieme i genitori.
Andare bene a scuola. Tante possibili necessità, alcuni capricci, le
passavano nella mente, un po‟ come loro, sì, proprio loro, i ricordi,
che all'improvviso si fanno spazio, prepotenti, per scombussolare la
realtà che con tanta fatica avevi cercato di riordinare. E basta una
canzone, un'espressione, un vestito, un colore per perderti, per
allontanarti dal mondo, per entrare in uno migliore, che più ti
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 243 ~
appartiene. Chiuse gli occhi e non seppe che cosa chiedere. E' solo
una stella cadente, pensò. Un appiglio, una soluzione virtuale alla
quale la gente fa affidamento, quando preferisce chiedere aiuto agli
astri piuttosto che conquistarsi una cosa da sé. Così strinse la mano di
Martin, sorrise e non chiese nulla a quel blu inimmaginabile,
immenso, indistinto. Si limitò a guardarlo.
Una delle cose che più amavamo al mondo, sia io che Sam, erano i
fogli bianchi. Che c'è di meglio di una storia ancora da scrivere, un
lieto fine ancora da inventare? Si hanno mille idee dinnanzi a quel
bianco spudorato, a tal punto da sentirsi niente a confronto, e poi,
quando la penna si avvicina timida alla carta, di colpo non si sa da
dove iniziare, se dire o no alcune cose, se vale la pena raccontarle,
condividerle. Ogni volta che rientrava a casa, in Italia, Sam si sentiva
come vuota, arrabbiata, incompresa: le mancava qualcosa. Pensava
fosse tutto finito. Pensava che ora sarebbe arrivato il momento di
mettere un punto a capo nella sua vita. Solo un foglio bianco davanti
a sé. Ma lei non era pronta per tutto ciò. Affatto. Non era pronta per
un “punto a capo”: una virgola, al massimo un punto esclamativo. Il
tempo passava come per infastidirla, turbarla, faceva tutto da sé,
consapevole di non poter contare su di lei. Le lancette della sua vita
ticchettavano sull‟orologio così velocemente, come per non fare tardi
ad un appuntamento importante. Cuore e fisico sempre distanti
chilometri, sorrisi distratti, sguardi spenti, apatici. Passava anche
l'inverno: pianti, sorrisi, carezze, discussioni, crisi, amicizie,
cercando il posto in cui si era perduto il cuore. Tutto scorreva senza
nemmeno bussare alla nostra porta per avvisarci di essere passato.
Un tintinnio, un libro, una risata, una foto. Si faceva di tutto per
lottare contro il tempo, per guadagnarsi il premio, il compenso da
non dimenticare. Lessi un racconto, un romanzo concentrato sulla
vita di adolescenti, con l'attenzione focalizzata su un'estate in
particolare: l‟estate del primo amore. Diamine, pensai, il potere delle
parole...libri, musica, film, aforismi. Questo è ciò che ti salva. E'
incredibile come queste abbiano la capacità di esprimere attimi,
sensazioni troppo rapide per riuscire a spiegare così, su due piedi. Mi
riconobbi in ogni singola parola di quel libro, in ogni spazio, in ogni
virgola, in ogni luogo, tempo. Parlava di noi. Sere belle da morire,
che vorresti potessero non finire mai. Iniziate con «ti ricordi...”, finite
con «lo ricorderemo...”. Pensare che la lontananza non può
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 244 ~
distruggere un legame così forte, così autentico, pretto. Non ce n'è
abbastanza. Utopie, aspirazioni, fantasie. Sogni che sembrava fossero
capaci di rompere ogni barriera, oltrepassare ogni confine naturale,
volare sopra ogni singolo centimetro che ci divideva. Ingenuità,
incoscienze. Sapevamo che i rapporti a distanza tra quindicenni
erano molto di più. E ci rendevamo anche conto di quanto quella
separazione fisica avrebbe potuto sfocare i nostri ricordi, affievolire
la voglia di vederci; poteva addirittura rendere monotone le nostre
giornate, far diventare abitudine tutto ciò che ci capitava. Spazzare
via l‟incantesimo come se non significasse nulla, come se non fosse
quella stessa magia la chiave di tutto. Ma la lontananza, neanche la
lontananza sarebbe riuscita ad infrangere un sogno. Neppure lei
poteva imporre il fatidico punto a capo che tanto temevamo, che
tanto terrorizzava Sam. E così ci limitavamo a mettere un punto, a
segnare con un tocco di inchiostro quel simbolo che rappresentava
tanto. Sicuri di poter riprendere a scrivere la nostra storia dalla parola
in cui ci eravamo fermati. E così l'estate dopo ricominciavamo a
vivere da dove eravamo rimasti. Di nuovo col «ti ricordi...”. Ancora
esperienze, sorrisi, soddisfazioni, naturalezza. Più maturi, più
consapevoli del modo in cui, una volta finita la vacanza, avremmo
potuto reagire. Ma non ci volevamo pensare, non volevamo farlo,
non ci faceva bene. E, una volta tornati a casa, essere come l'anno
prima, e quello prima ancora. Senza parole. Solo noi, contro tutto,
contro tutti. In fondo era questo ciò che volevamo, questo ciò di cui
avevamo bisogno. Noi eravamo quei ragazzi, quello il nostro mare, e
tutto ci si poteva chiedere, tranne di rinunciare ai sogni che tanto
avevamo aspettato, vissuto, conservato, protetto ad ogni costo. Erano
quelli i nostri sogni, erano loro, eravamo noi, i colori del mare.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 245 ~
Martina Loconte
Io e il mio miglior amico
Fine Marzo. Il sole sembra splendere come non ha illuminato mai,
per Martina; le emozioni che prova sono confuse, ma incredibilmente
stupende: gioia, sorpresa, felicità... forse anche un po‟ di tristezza, si
cela nei suoi occhi color nocciola. Ma non importa, sembra aver
dimenticato tutto il mondo, tutti i suoi problemi, che ultimamente
sono tanti: la scuola, dove ci sarebbe da recuperare qualche
insufficienza, l'amicizia con Leonardo, un suo amico che però è
troppo orgoglioso per ammettere di aver sbagliato ed infine la sua
ultima delusione d'amore con Francesco. Ma quelle poche volte che
Luca, il suo migliore amico, la viene a trovare a Roma, tutto si
dimentica, i problemi che sembrano enormi, diventano
improvvisamente minuscoli, quasi inesistenti. Forse è perché Luca
già solo a guardarlo ispira simpatia, oppure è per la sua risata strana,
o forse è perché riesce a sorprenderla sempre. Quel giorno, però, non
l'aveva chiamata; neanche un messaggio, come di solito le inviava
quando non poteva stare al cellulare. Erano le 12.00 ed ancora non si
era fatto sentire, non rispondeva ne' ai messaggi, ne' alle chiamate;
Martina cominciava a preoccuparsi e l'attesa si stava facendo sempre
più ansiosa. "Martina, sai darmi te la risposta?" La professoressa di
matematica interruppe le sue preoccupazioni. "Veramente
professoressa.." Martina cercava di scusarsi con un filo di voce. "Mi
scusi professoressa, non stavo attenta" "Vorrei da parte tua un po' più
di attenzione, perché se non stai attenta e poi non capisci, io non ti
rispiego l'argomento" Si scusò ancora, ma i suoi pensieri erano
ancora su Luca. Proprio in quel momento arrivò un suo messaggio:
“Ciao amore,scusa se non ti ho potuto rispondere ne' alle chiamate,
ne' ai messaggi, ma mio padre sta lavorando in una zona dove non c'è
campo ed io sto con lui. Domani ti chiamo che mi manchi da morire!
Un bacio”. Un enorme sorriso apparve sul suo viso, e un sospiro di
sollievo alleviò quelle due ore rimanenti, che passarono lentamente.
Appena uscita da scuola, si diresse verso la fermata del 409, che
portava a Torpignattara, insieme ad i suoi amici; proprio quando
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 246 ~
l'autobus stava per partire, le squillò il telefono: “Ciao mamma!” “Oi
Marti,allora? Come è andata a scuola?” “Tutto ok, te stai a casa?”
“Come non ti ricordi? Oggi avevo appuntamento dal parrucchiere e
tu mi devi raggiungere a Furio Camillo con la metro” “Oddio è vero!
E adesso come faccio? L'autobus è già partito!" “Scendi alla
prossima fermata, tanto sono 5 minuti a piedi dalla metro.” “Ok,
allora ci vediamo tra una ventina di minuti!” “Ok,comunque fai con
calma, tanto ancora sta facendo un'altra signora”. “OK, a dopo”.
Appena salutò la madre, le squillò nuovamente il cellulare,ma
stavolta era Eleonora, un'amica sua e di Luca che viene l'estate ad
Ostia con loro. “Ele!! Allora come va?” “Tutto male, Marti”. Riuscì
a dire singhiozzando “Cosa è successo? Dai racconta e non
piangere,ti prego.” “Valerio...” “Cos'è successo con Valerio??” “Mi
ha lasciata”. “Oddio...e perché? Mi dispiace tantissimo amore”.
“Sembra che le piace una ragazza di scuola sua... sto troppo male...
non ce la faccio”. Martina non sapeva cosa fare; Era molto strano,
conosceva Valerio e non era di certo il tipo da innamorarsi così, da
un giorno all'altro. Ad un certo punto le venne un'illuminazione.
“Stai a casa?” “Sì...- -Sto lì tra dieci minuti; abiti a Furio Camillo,
giusto?” “Si. Grazie mille Marti, sei una vera amica. A dopo.”
Mentre stava in metro pensava e ripensava alla storia della sua
amica: le pareva tutto così strano, li ha visti la settimana scorsa e
sembravano tanto innamorati. Forse la stava prendendo solamente in
giro... ma Valerio non è quel tipo di ragazzo: lei lo sapeva bene
perché è un suo ex... mentre i pensieri vagavano senza una meta le
porte della metro si aprirono proprio davanti a lei ed un ragazzo con
aspetto familiare le fece un sorriso: Francesco. Il cuore le si fermò
per una frazione di secondo ed i ricordi cominciarono a riemergere.
"Oi Marti!" "Ciao Frà!" Una ragazza le viene vicino "Eccomi!"
Martina la squadrò da capo a piedi: non molto alta, mora con gli
occhi chiari..."In fondo non ha niente più di me... se solo avessi meno
fianchi, un pò di pancetta in meno e... certo sarebbe bello avere i suoi
occhi azzurri chiari" Continuava a pensare e a ripensare a cosa aveva
più di lei. "Martina, lei è Miriana la mia ragazza, Miriana lei è
Martina, la mia ex." "Piacere!" "Piacere..." Uno sguardo di sfida si
nascondeva dietro gli occhi scuri di Martina. "Noi dobbiamo
scendere a questa fermata... ci vediamo!" "Ok! Ciao Frà,ciao
Miriana!" "Ciao!". Le porte si chiudono ed il finto sorriso di Martina
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 247 ~
si chiude insieme a loro. Una lacrima comincia a rigarle il viso e gli
occhi si fanno sempre più lucidi. La gente continuava a fissarla ma le
lacrime continuavano a scendere senza poterle fermare. Finalmente
però la metro si ferma alla fermata dove Martina doveva scendere; le
porte si aprono nuovamente e in attimo corre via. Prende le scale e,
ancora con le lacrime agli occhi, corre senza mai fermarsi; le gambe
cominciano a cedere e tutto le sembra più strano, come se il mondo
le fosse cascato addosso. Uscita da sotto la metro cerca di asciugarsi
le lacrime cerca di capire dov'è; quando finalmente focalizza la zona,
intravede un ragazzo che continua a fissarla. Martina si avvicina,
finalmente capisce chi è: Luca. Lascia cadere lo zaino a terra e
comincia a correre verso di lui. Ora le lacrime di tristezza si
trasformano in lacrime di gioia e intanto ride come una bambina,
come non rideva da tanto tempo. Luca accenna ad un sorriso e con
una mano fa per allontanarsi; ad un certo punto con la mano che
teneva nascosta dietro la schiena tira fuori tre rose rosse. "Prima di
sprecare tutte le lacrime adesso, aspetta di ascoltare quello che ho da
dirti" "Dai, lo sai che quando dici così mi metti paura!" "Allora..." le
porge la prima rosa "questa è per la tua bellezza... amore mio, sei la
persona più bella che conosco, perché ricorda, che non conta solo
quello che c'è fuori, come i fianchi o la pancia, ma anche quello che
c'è dentro e di sicuro, con quello che hai dentro, sei imbattibile!"
"Amore... non so che dirti davvero..." "Aspetta non ho finito" le
porge a seconda rosa. "Quest'altra è perché sei un'amica perfetta,
anche se a volte mi fai ingelosire, perché è questo che ti rende così
speciale, per me come per molte altre persone." "Oddio..." "Un
attimo, prima che dici qualsiasi altra cosa..." le porge l'ultima rosa
"l'ultima è speciale... questa è perché di tante persone al mondo...
circa sei miliardi di persone, hai scelto me, amore mio" "Amore...
questo è il regalo più bello che qualcuno mi abbia fatto... ne avevo
davvero bisogno... non sai quanto sei importante per me... penso che
sei una delle persone più importanti della mia vita e non voglio
perderti davvero mai. Ti prego, promettimi che ci sarai sempre, che
non ti dimenticherai ma di me, come hanno già fatto quasi tutti...
Promettimelo ti prego". Un sorriso si accese sul viso di Luca "io non
te lo giuro, Marti, perché so che sarebbe impossibile dimenticarti!
Ricordati che chi ti perde un giorno ti rimpiangerà, questo è poco ma
sicuro." Scoppiò in una risata euforica "Ma ora vorresti fare il
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 248 ~
saggio?!" "Ei, attenta a come parli che potrei anche lasciarti qui da
sola!" "Non lo faresti mai." "E come fai a saperlo?" Martina le si
avvicinò lentamente, lo guardò negli occhi e gli accarezzò la guancia.
"Bè, prima di tutto perché sei il mio migliore amico e non mi
lasceresti mai da sola" Si scansò leggermente e ricomiciò a ridere.
"Poi perché so troppe cose su di te, potrei ricattarti!!" Con aria
imbronciata si girò dall'altra parte. "Basta. E io che ci perdo pure
tempo." Cominciò piangere per finta. "Ora sei anche un attore
drammatico? Nooo,non ci posso credere! Me l'hai tenuto nascosto
per tutto questo tempo!" Scoppiarono a ridere tutti e due "No,
veramente qui l'unica attrice drammatica è stata Eleonora!". "Ahh si.
Ora mi devi spiegare anche questa cosa!" "Non c'è niente da
spiegare, mi ha aiutato a farti venire in questa direzione e,
ovviamente,tra lei e Valerio va tutto bene!" "E bravi! Ed io che mi
stavo anche preoccupando!" "Ei, amore, te mi devi anche spiegare
come mai piangevi all'uscita della metro." Il sorriso di Martina sparì
in un attimo e gli occhi le stavano diventando sempre più lucidi. Alzò
lo sguardo al cielo per paura che una lacrima potesse scendere sul
viso. Luca senza dire una parola le se avvicinò e l'abbracciò; "non ti
preoccupare, se non vuoi parlarne adesso ti capisco. Me lo spiegherai
quando ti sentirai meglio, ok?" Mentre le sussurrava questo
all'orecchio, Martina fece un cenno di testa e continuava ad
abbracciare Luca sempre più forte ma intanto delle lacrime
continuavano a scendere sul viso.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 249 ~
Sara Ludovico
La libertà
Era una fredda notte d‟inverno. La pioggia aveva da poco cessato di
battere insistente e in quel paesino, a ridosso di un fitto bosco, in una
casa fatta di legno, c‟era Stefano intento a guardare il grigio del cielo
che rendeva il paese ancor più cupo e desolato. I giardini di fronte a
casa sua erano vuoti e il vento gelido faceva girare lentamente una
giostrina. Stefano pensava al piano che aveva progettato. Aveva solo
dieci anni, e genitori buoni e gentili. Era un bambino molto bello:
capelli scuri e scompigliati, occhi castani, sguardo perso, pensoso,
dolce, malinconico. Lui sapeva bene che non era il paese il posto in
cui doveva vivere, bensì la foresta, il bosco. Amava gli animali, li
considerava suoi fratelli. Non preparò neanche uno zainetto per
mettere acqua, cibo o soldi. Non sarebbero serviti. Lì nel bosco,
avrebbe avuto tutto quello che gli sarebbe stato necessario. Sì, il suo
piano era proprio quello: scappare nella foresta e viverci per sempre.
Era ormai notte. Il papà e la mamma dormivano, come anche tutto il
paese. Solo lui e il bosco erano svegli. Lasciò un bigliettino con su
scritto:
“Non sono stato rapito, tranquilli. Sono andato a vivere in un posto in cui sarò felice e che mi appartiene. Addio” STEFANO Lo rilesse un paio di volte e poi s‟incamminò nel gelo della notte,
senza torce, senza nulla: solo con i vestiti che aveva addosso. La luna
piena illuminava di bianco le strade con piccole lastre di ghiaccio e,
in lontananza, il luogo in cui avrebbe incominciato la sua nuova vita,
quella che l‟avrebbe reso felice.
Nel folto del bosco assaporò ciò che non aveva mai assaporato: la
libertà. Da quando vi si era incamminato, non sentiva più scorrere
sangue nelle sue vene, ma linfa; le sue labbra avevano la consistenza
di una corteccia d‟albero. Scorse una grotta e vi entrò. Non c‟era
nessuno. Era umida, profumata di terra e di erba. Si distese sulla terra
calda e soffice, e si addormentò.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 250 ~
Nei giorni a seguire, anche il suo viso era mutato: era di un verde
pallido, come se si fosse trasformato in un vegetale.
Stefano era felice: in un mese aveva esplorato tutto il bosco, fatto
amicizia con i suoi più fedeli fratelli: gli animali. Con loro lottava per
gioco, li nutriva, li curava con delle erbe. E lo venivano sempre a
trovare. C‟erano linci, cervi, lupi, cinghiali e volpi. Queste ultime
riuscii ad accarezzarle quasi subito: dal primo momento, essi
sentirono che quel ragazzo non era un pericolo, e si fidarono.
La notte gli scoiattoli si addormentavano al suo fianco, ma la mattina
non li trovava mai.
Sì, Stefano era felice. Lui non apparteneva alla specie umana, l‟aveva
capito sin dall‟inizio. Per sopravvivere gli bastavano i frutti, le
bacche e i cibi offerti dalla natura, e la sorgente dietro la sua grotta
era più che sufficiente per dissetarlo e per dargli sempre forza ed
energia.
Un giorno, però, era arrivato un temporale, e gli animali si erano
rifugiati nella sua grotta. Stefano, mentre parlava con loro, sentì un
grande insieme di passi. Anche i suoi fratelli lo udirono, e si
immobilizzarono. Il bambino sbirciò senza farsi vedere, e, nonostante
la fitta pioggia, vide un grande numero di carabinieri che avanzavano
a passo di marcia diretti nella sua grotta.
Stefano si tirò subito indietro, e balbettò:
“ Sono arrivati, fratelli. Scappate, vi prego! Hanno i fucili, capite?
Forza!”.
Gli animali corsero fuori ma, invece di scappare, andarono in contro
ai decisi uomini in divisa.
“No, no!” Pensò Stefano.
“Levatevi di mezzo, sudici animali! O vi uccideremo!” Gridarono.
“Non ci provate!” Urlò Stefano, uscendo di scatto dalla grotta.
“Ah, vagabondo, sei qui!” Esclamò il più anziano. “ Tua madre sta
morendo dal dolore! E noi ti abbiamo cercato dalla mattina in cui sei
scomparso. Come ti è saltato in mente di scappare nel bosco?! Vieni,
su, si torna a casa!”
“Questa”- sottolineò Stefano – “è la mia casa.”
Il carabiniere stava per replicare con ironia, quando sentirono un urlo
di pianto:
“Stefano! Stefano! Il mio bambino!”.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 251 ~
La mamma gli corse incontrò e lo strinse a sé. Ma ad un certo punto
allentò la presa, come fossilizzata, perché il figlio le mormorò
qualcosa, che nessuno sentì.
Con le lacrime agli occhi la madre si alzò e gli sussurrò: “ Sì, figlio
mio.”
-“Vai mamma, e non voltarti,” disse sorridendo alla madre.
La madre raccomandò la stessa cosa ai carabinieri perplessi, e
Stefano sparì.
Nei giorni seguenti, infatti, i carabinieri, per curiosità, tornarono a
cercarlo, ma era sparito. Anche gli animali era scomparsi. L‟unica
sua prova di esistenza, fu una frase che scrisse su un biglietto
ingiallito:
“ La libertà: una gioia per pochi, una speranza per tanti. Amatela e cercatela, combattetela e proteggetela, come ho fatto io”.
Erano le ultime parole di Stefano per il mondo, ma era un
insegnamento che pochi avrebbero compreso, perché solo chi ama la
libertà, la cerca, combatte per averla e la protegge con tutte le proprie
forze può capirne davvero il senso.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 252 ~
Marika Manzella
I have a dream
“È tardissimo” pensai appena parcheggiai il motore davanti alla
Cittadella. Presi il borsone e mi misi a correre. Mi diressi verso la
piscina e corsi nello spogliatoio. In due secondi ero già con
l‟accappatoio e correvo in direzione del bordo vasca.
“Sei in ritardo Alissa” disse il mio allenatore Peppe. “Lo so, scusa”
risposi pentita.
Mi tuffai e poi…silenzio. Finalmente ero nel mio habitat naturale.
Mi chiamo Alissa Hope e ho 16 anni. Da come avrete capito faccio
nuoto e da ben 12 anni. Il mio unico e più grande sogno è arrivare ai
nazionali. Sono sempre arrivata ai regionali, piazzandomi anche fra
le prime tre, ma mai ho fatto il tempo che avrei dovuto fare per
arrivare al mio obiettivo principale. Avevo sempre qualche secondo
in più rispetto al tempo stabilito e per chi fa nuoto capisce che due o
tre secondi sono molto difficili da scendere. È quasi impossibile,
all‟età che ho, abbassare ancora i miei tempi. Il fisico cresce,
matura…cambia. Ma eccomi qui, ormai “vecchia”, a cercare di
raggiungere il mio sogno, il mio obiettivo.
Quando entro in acqua è come se tutto il resto del mondo sparisse. Ci
sono solo io e quell‟eterna riga nera. Mi rilasso e scordo ogni cosa.
“Alissa?” Sentii dire. Mi svegliai di colpo dalle mie riflessioni e
tornai alla realtà. Erano tutti fermi e mi stavano guardando. “Che
figuraccia!” Pensai.
“Alissa, hai capito cosa ho detto?” Mi chiese Peppe. “No, scusa”
risposi abbassando gli occhi.
“Non solo vieni in ritardo per di più non stai neanche attenta. Stavo
dicendo che si devono fare 4 serie da 6 volte i 100 m proprio stile. Tu
li devi fare tutti a delfino, casomai ne alterni qualcuno a stile va
bene?” Disse l‟allenatore. “Si” risposi.
Dai suoi occhi azzurri si poteva vedere che l‟arrabbiatura era passata.
Lui era fatto così, non era capace di arrabbiarsi. Era il mio secondo
padre. Mi aveva cresciuta lui fin da quando avevo 5 anni. Mi aveva
insegnato i segreti del nuoto, i segreti per essere forte e riuscire a
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 253 ~
superare gli ostacoli. Peppe sa tutto di me, più di mia madre e mio
padre. Mi ripete sempre che il nuoto è lo specchio dell‟anima e che
quindi la nuotata viene influenzata dalle emozioni; ecco perché mi
conosce così bene; ma è sempre arrabbiato con me. Non conosco il
motivo per cui mi tratta così, forse perché sono quella che combina
più guai o quella che fino ad ora non ha ancora combinato niente di
decente ma, mi è sempre addosso, mi corregge sempre, mi
rimprovera quando non sto attenta, nonostante siano gli altri a fare
confusione…però mi piace, mi fa capire che a me ci tiene davvero,
anche se a volte esagera, come dice Silvia. Lei è la mia migliore
amica. Siamo cresciute insieme in questa piscina. Ci siamo sempre
l‟una per l‟altra nei momenti difficili, specialmente dopo delle gare
andate male. La nostra passione ci aveva rese sorelle.
“Alissa” urlò. Oh no, Peppe aveva già dato il via.
Questa volta era davvero arrabbiato, così partii subito. Incominciai
con la prima bracciata a delfino, poi la seconda, la terza… poi di
nuovo quel dolore. Era ormai troppo tempo che mi faceva male la
spalla ma avevo paura a dirlo a qualcuno. Se lo avessi detto mi
avrebbero fatta visitare e non so come sarebbe andata a finire.
Nel delfino la metà sinistra del corpo fa gli stessi movimenti della
destra, allo stesso tempo. Il colpo di gambe è dall'alto verso il basso
con un movimento simmetrico e simultaneo, è come se la parte
inferiore del nostro corpo si muovesse come un‟onda. Le braccia si
muovono contemporaneamente, facendo più sforzo di qualsiasi altro
stile. Ma questo era il mio stile, non potevo abbandonarlo.
Mi fermai e mi sedetti a bordo vasca. Mi mancavano solo 3 secondi
per fare il tempo per i nazionali nei 200m delfino e dovevo
mettercela tutta; non potevo lasciarmi abbattere da uno stupido
dolore perché ero ad un passo dal mio sogno, anzi ero a tre secondi di
distanza dal mio sogno. Poi ricominciai a nuotare, con un obiettivo in
testa, un obiettivo che avrei raggiunto, nonostante il forte dolore.
Tornai a casa alle 19.00. Sistemai il borsone e, di nascosto da mia
madre, presi il ghiaccio e lo misi nella spalla destra. Alleviò Il dolore
che dopo qualche minuto cessò, poi andai a letto e in pochi minuti
sprofondai nel buio. L‟indomani mattina ero in piena forma, mi
sentivo forte e molto determinata e quindi non vedevo l‟ora che
arrivasse pomeriggio e dopo 5 ore di stressante lezione a scuola,
arrivò.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 254 ~
Aspettai che tutti si buttassero in acqua e poi raggiunsi Peppe.
“Peppe…non riuscirò a fare il tempo per i nazionali se non mi alleno
un po‟ di più” gli dissi.
“Aly, mi dispiace ma penso che per te gli allenamenti che fai, siano
più che sufficienti” mi disse con un tono dolce. “Non è vero!” Urlai
fin troppo forte.
“Alyssa hai 16 anni. Non ti puoi “massacrare”con gli allenamenti.
Hai la scuola, devi pensare anche allo studio, non puoi lasciare
materie a causa del nuoto. E poi le ragazze della tua età escono, si
divertono, perché non devi farlo anche tu?”
“Io non sono come le ragazze della mia età!” Ribattei.
“Me no sono accorto e sai quando? Quando avevi 5 anni che, anziché
giocare con le bambole come le altre bambine, venivi qua, e mi
chiedevi di allenarti. Quando io dicevo no, ti spogliavi e ti buttavi,
anche se in piscina non c‟era nessuno. So che questa è la tua casa,
Alissa, so che è l‟unico posto dove sei te stessa, ma devi saper anche
divertirti, avere amici e vivere la tua adolescenza”.
“Per favore” dissi con gli occhi dolci. “Non ti arrendi mai vero?”
Disse sfiorandomi il viso. “ È questo che adoro di te: la tua
determinazione. Ti servirà tanto, non solo nel nuoto, ricordalo! Ma
adesso non ti do ragione, mi dispiace”.
“Uffa” sbottai. “Ora va ad allenarti!” Disse in tono scherzoso
dandomi un colpetto nel sedere.
L‟indomani pomeriggio mi allenai da sola in corsia 6. Il dolore non
lo sentivo, avevo imparato che ogni volta, prima dell‟allenamento,
mi prendevo un antidolorifico di nascosto, così per tutto
l‟allenamento stavo tranquilla. Mi allenai con impegno, pensando
alle persone che avevano fiducia in me, che mi credevano capace di
cose assurde, come fare il tempo per i nazionali.
Passarono i giorni sempre con la stessa routine e sempre con la stessa
determinazione, anzi no…forse quella aumentava. La notte che
precedeva le gare fu molto difficile: ero nervosa, avevo paura e come
se non bastasse, due immagini contrapposte si alternavano nella mia
testa: io che vincevo l‟oro e arrivavo ai nazionali; ed io che piangevo
per non esserci riuscita. Era come se il destino non avesse ancora
scelto cosa fare di me e del mio futuro. Nei pressi di Lentini,
precisamente alle 8.42 dell‟indomani, mi incominciarono a tremare
le mani e le gambe. Non riuscivo a stare ferma a causa del
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 255 ~
nervosismo e della paura di qualcosa di invisibile. Ma ero
consapevole che questa paura non avrebbe fatto altro che peggiorare
le cose.
Alla fine del riscaldamento andai nello spogliatoio a cambiarmi il
costume e poi andai in vasca e mi sedetti nelle panchine ad aspettare
il mio turno. Costrinsi me stessa a non pensare alla gara, a pensare a
qualsiasi cosa tranne a quella maledetta gara, ma era un po‟ difficile
non pensarci quando ti ritrovi in mezzo a migliaia di ragazzi e
ragazze in costume che piangono o urlano di gioia dopo le loro gare;
mentre accanto a te c‟è un‟enorme cassa acustica dove fuoriesce la
forte voce di uno dei giudici che annuncia le prossime gare; era
difficile soprattutto se davanti a te c‟era il tuo allenatore, con una
cartelletta in una mano, un cronometro dall‟altra e con la sua potente
voce che fa il tifo ad un tuo compagno di squadra. E così pensi a
quando sarà il tuo turno, a quando il giudice chiamerà la tua batteria
dicendo la corsia a cui sei stata assegnata, pensi a quando il tuo
allenatore farà il tifo per te, dandoti consigli mentre gareggi
fregandosene del fatto che non lo sentirai, pensi a quando tutto sarà
finito e uscirai dall‟acqua piangendo di gioia o di dolore per aver
vinto o perso la gara più importante della tua vita. Stavo per
piangere, me lo sentivo. Le lacrime mi bruciavano gli occhi, ma le
costrinsi a stare li, dove sarebbero dovute stare. Ero lì, ad un passo
dal mio obiettivo finale, questa è la mia ultima occasione, se sbaglio
è finita…per sempre. Dovevo scendere almeno 3 secondi per poter
andare alle nazionali e quando capii che erano troppi era già troppo
tardi. Appena mi chiamarono feci un grande respiro e, passando sotto
gli occhi indagatori del pubblico, mi andai a sedere nella sedia
davanti al blocco della corsia numero 5 per fare i 200 metri delfino.
Era il mio momento. Silvia era lì, insieme alla mia mamma, a
sostenermi con la sola forza dello sguardo. Peppe era dietro di me,
insieme a tutta la mia squadra, con le mani congiunte, e il volto teso.
Mentre ero seduta ricordai una cosa e mi sentì male: l‟antidolorifico.
Avevo scordato di prenderlo! L‟unica cosa che feci fu sperare,
sperare che il dolore non si facesse vivo. Non potevo fare altro.
L‟arbitro fischiò due volte, segno che dovevamo avvicinarci ai
blocchi. Accanto a me la mia più grande rivale, Dalia Calabri. Un
altro fischio. Segno che dovevamo salire sul blocco. Ricordai a me
stesa che il 5% della paura che provavo era davvero paura ma il 95 %
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 256 ~
era amore, puro amore per un qualcosa che mi avrebbe cambiato la
vita!
“Apposto…” disse la voce. Un profondo respiro e poi… “Biiii”. E mi
tuffai in quell‟immensa distesa di acqua cristallina che aspettava solo
me. Incominciai a fare le bracciate in automatico, come se fossi
programmata per quello! Finiti i primi 75 metri incominciai a
guardarmi intorno e vidi che il mio sogno si stava avverando:
eravamo io e Dalia. Il resto non esisteva più. Ma poi…successe
qualcosa; qualcosa che non doveva accadere, che non dovevo sentire:
la mia spalla stava cedendo. Non riuscì più a spingere la giusta
quantità di acqua per poter accelerare. Era la mia fine. “Non posso
rinunciare” pensai “è la mia ultima occasione”. Così ripresi ad
accelerare, nemmeno io so come. Dalia era un po‟ più avanti di me
adesso, ma la stavo recuperando, cercando di trascurare quell‟atroce
dolore che sentivo all‟altezza della cuffia della spalla, ignorando le
lacrime che scendevano per quel dolore insopportabile. Eravamo
giunti ai 125 metri e poi successe tutto in un secondo. Un rumore
sordo che sentì nella spalla non mi fece più alzare il braccio destro e
per un momento, si sentì solo il mio urlo riecheggiare nella piscina.
Io ero ferma al centro della vasca, piegata in due che mi tenevo la
spalla mentre due uomini si tuffavano per farmi uscire dalla vasca.
Continuavo ad urlare, era più forte di me. Era come se dei pugnali
stessero attraversando la mia spalla. Quando mi portarono fuori
riuscì a vedere Dalia Calibri arrivare prima e fare il tempo per i
nazionali e poi…buio.
“…perché è svenuta?” Diceva una voce femminile: mia madre.
“E‟ svenuta perché durante la gara ha trascurato il dolore che a mano
a mano aumentava e il corpo non riusciva più a reggere, ma
nonostante tutto lei ha continuato finché la cuffia dei rotatori non si è
lacerata del tutto e il cervello non ha più retto il dolore. L‟abbiamo
operata ma la cuffia è molto debole in quanto è stata trascurata e
quindi se ritorna a nuotare a livello agonistico c‟è la possibilità del
90% che ricapiti e poi non sarà più operabile a meno che non
mettiamo una protesi; ma anche in quel caso non potrà tornare a
nuotare” stava dicendo qualcuno. Dopo che mi arrivarono tutte le
parole capii il senso della frase. Aprii di colpo gli occhi e vidi che mi
trovavo della stanza di un ospedale. I miei genitori si accorsero del
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 257 ~
leggero movimento e si girarono. Mia madre stava piangendo e mio
padre era pallido.
“Il…nuoto…” riuscì a dire debolmente. “Mi dispiace tesoro…” disse
mia mamma tra le lacrime.
E poi mi crollò il mondo addosso. Fino a qualche ora prima ero a un
passo dal mio sogno…adesso mi aveva lasciato a piedi.
Uscii dall‟ospedale qualche giorno dopo. La prima cosa che feci fu
andare in piscina. Era vuota e arieggiava uno strano silenzio intorno.
Erano le 21.00. Mi sedetti sul blocco e guardai l‟acqua e, per un
momento, rividi quel momento; quella gara; quel tuffo; quella
bracciata e quel dolore che aveva distrutto la mia ultima occasione
per sognare.
“Aly…” disse Peppe arrivando da dietro e facendomi sobbalzare per
lo spavento “come stai?”
“Come vuoi che stia? Non posso più nuotare. Era tutta la mia vita e
adesso…ho perso tutto”.
“Non hai perso tutto. Si è chiusa solo una piccola porta della tua vita,
vedrai che se ne aprirà un‟altra.”
“Io non voglio che se ne apra un‟altra…io voglio che si riapra
quella” dissi piangendo.
Peppe sapeva quanto stavo male, quanto avevo bisogno di lui
soprattutto in quel momento; così mi abbracciò. Restammo così forse
per ore ma non importava, non c‟era più una scadenza nella mia vita.
Non avevo un tempo limite da superare e soprattutto non avevo un
sogno da realizzare.
Passarono i giorni ed io andavo avanti con la mia vita, anche se non
era del tutto completa. Ma a completarla fu Peppe, quando una
mattina venne in classe.
“Lo so che è presto. È passato meno di un mese dall‟incidente ma io
avevo pensato una cosa. Se dici di no va bene, ti capisco” mi disse
una volta usciti dall‟aula. Sembrava nervoso. Lo guardai accigliata e
lui continuò. “Volevo sapere se ti andava di fare l‟allenatrice dei
piccoli”.
“Sarebbe fantastico” risposi felicissima. Io ormai avevo rinunciato al
mio sogno. Perché non far sognare gli altri? Perché non aiutarli a
realizzare i propri sogni, come aveva fatto Peppe con me? Perché
non provarci almeno? Io avevo perso il mio, ma avrei aiutato gli altri
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 258 ~
a trovare il loro sogno e a raggiungerlo. Se è una sfida…che ben
venga!
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 259 ~
Stefano Moretto
La mia casa
L'ultima cosa che riusciva a ricordare, prima che il suo casco
infrangesse il parabrezza della macchina, era la maledizione che
aveva invocato contro l'autista, e soprattutto contro il fatto che quella
macchina non era inglese. Se avesse avuto la guida a destra avrebbe
almeno potuto colpire il tizio che, bucando il rosso, aveva messo
sotto lui ed il suo motorino.
Si risvegliò gridando. Per la spinta che si dette per poco non cadde
dal letto, come a quanto pareva era già toccato alle sue lenzuola.
Impiegò quasi un minuto a normalizzare il respiro, mentre il cuore
continuava a battere come impazzito. Dopo qualche minuto riuscì a
realizzare dove si trovasse. Era in camera sua. Una domenica
mattina. I suoi erano già usciti, nessuno era stato svegliato dal suo
urlo.
Fu sollevato nel constatare questo, anche se si rese conto che
quell'incubo aveva rovinato la sua domenica mattina.
Svogliatamente si alzò in piedi e tirò sul letto le coperte che aveva
scalciato durante il sonno. Dopo essersi lavato la faccia ed essersi
svegliato quanto bastava si lasciò andare sul divano, ma non prima di
essersi assicurato di avere il telecomando a portata di mano. Premette
il pulsante per accendere la tv, che con un sonoro "Zap" si illuminò.
Dopo qualche secondo comparve sullo schermo un tizio in giacca e
cravatta, che a quanto pare stava stilando un elenco di notizie. Il Tg
mattutino. In quel momento non gli andava di sapere quante persone
erano morte la sera precedente. Ultimamente era esplosa una specie
di moda, dove la domenica mattina veniva stilato un rapporto di
morti del sabato sera, che andavano dall'incidente automobilistico
fino all'overdose, nei casi più estremi. Stava per cambiare canale,
quando una notizia attrasse la sua attenzione: un ragazzo, di circa la
sua età, era stato investito mentre tornava a casa in motorino.
L'automobilista, dal tasso alcolico decisamente sopra la norma, aveva
bucato il rosso. Il ragazzo aveva sfondato di testa il parabrezza, ma
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 260 ~
grazie al casco integrale nessuna scheggia di vetro aveva danneggiato
la testa. Il fatto era avvenuto a due isolati da lì.
Gli ritornò in mente il sogno che lo aveva fatto svegliare. Ma no, era
ridicolo. Si ricordava perfettamente della strada che aveva fatto. Era
partito dal pub, dove aveva lasciato i suoi amici, aveva preso il
motorino, era passato per quell'incrocio, e poi...
E poi? La sua mente si fece improvvisamente buia. Il non riuscire a
ricordare quello che era successo dopo aver passato l'incrocio lo fece
rabbrividire un attimo, ma in fondo era stanco, ed in quel momento
anche suggestionato.
Sentì le palpebre pesanti, e decise che forse in quel momento un altro
po' di riposo lo avrebbe aiutato a rischiarirsi le idee.
Quando riaprì gli occhi si sentì come immobilizzato. Aveva male
dappertutto, e la luce bianca intorno a lui lo stordiva. Nell'aria
vibrava un rumore forte, troppo forte, gli stava perforando la testa.
Era in una stanza stretta, ci stavano dentro a malapena il lettino sulla
quale era sdraiato e le due persone accanto a lui. La cosa strana era
che la stanza si muoveva, sballottandolo a destra e a manca. Una
delle due persone accanto a lui, in camice bianco, lo stava tenendo
fermo. Gridava qualcosa, cercando di sovrastare il rumore della
sirena. Una costola rotta. Forse aveva bucato un polmone. Dovevano
iniettargli qualcosa, non capì di cosa si trattava. Continuava a sentire
male dappertutto, era stordito ed il non potersi muovere lo stava
facendo entrare nel panico. Agitava furiosamente gli occhi, cercando
di capire dove fosse.
Sono in un'ambulanza?!
Continuò a guardarsi attorno, disperato. Infine si arrese e volse gli
occhi al cielo. Un cielo stellato, pieno di punti lucenti come se tutta
la città si fosse spenta improvvisamente.
Perché riesco a vedere il cielo?
Quando riaprì gli occhi, il tg era appena arrivato allo sport. Aveva
dormito per poco tempo, ed il sogno che aveva fatto si era presentato
di nuovo. Normale, succede spesso che si riprenda un sogno da dove
lo si è lasciato... niente di cui allarmarsi. Si spostò in cucina, dove
trovò sua madre intenta a preparare qualcosa. Un toast, forse.
Non eravate usciti?
Era tornata da poco. Non l'aveva voluto svegliare, e gli stava
preparando la colazione. Strano, non si ricordava di precedenti simili,
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 261 ~
ma l'odore era troppo invitante per dire qualcosa contro. Si appoggiò
al mobiletto dietro di lui, giocherellando un po' con gli oggetti
presenti sopra di esso. Una matita, un rotolo di nastro adesivo, un
portachiavi a forma di casco. Sua madre si girò, mostrando il piatto
che aveva in mano. Sopra c'era un toast dal quale proveniva un
intenso odore di formaggio fuso. Il ragazzo fece per avvicinarsi, ma
sua madre era già diretta verso la porta.
Dove vai? Io sono qui!
La donna si girò. Sembrava proprio strana, la vedeva sfumata come
se fosse dietro ad un vetro sporco. Gli diceva di non essere sciocco,
che in quel momento non era lì. Era in ospedale, in coma. Il piatto
era diventato rosso, e si diffuse uno strano odore di ferro. Le lacrime
della donna si mischiarono al sangue che aveva invaso il pavimento.
Davanti a lui c'erano i suoi genitori. Avevano gli occhi lucidi,
avevano pianto. Sentiva di nuovo un dolore lancinante da ogni
estremità del corpo, ed i medici gli consigliarono di rimanere
immobile.
Ho fatto un incubo tremendo...
Intorno a lui si levò una risatina generale, nonostante fossero tutti
molto tristi. I medici stavano togliendo tutti gli strumenti ed i
macchinari dalla sala, ma furono quelli che risero di più. I suoi
genitori invece si limitarono ad una risatina nervosa. Sua madre era
sull'orlo di piangere, e si stringeva a suo padre. Le risate erano
scomparse, forse non erano mai esistite. Un medico si avvicinò a
loro, dicendogli che era ora.
Ora? Ora di cosa? Mi dimettete?
Sua madre si avvicinò a lui, gli carezzò il volto, gli dette un piccolo
bacio sulla fronte, poi abbracciò suo padre, che le sussurrava
qualcosa. Non riusciva a sentire. Un medico staccò i cavi che lo
collegavano al macchinario lì vicino. Si sentì soffocare.
Cosa? Cosa state facendo?
Ci fu un lungo e monotono suono digitale al momento di staccare gli
ultimi fili. Una piccola nenia, interrotta dal pulsante premuto da uno
dei camici bianchi. Gli mancava l'aria, i suoni gli parvero più
distanti, i colori smisero di esistere.
Mamma! Papà! Dove andate?
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 262 ~
Qualcuno alzò il lenzuolo bianco del suo letto, coprendo la testa. Non
riusciva a respirare, i pensieri si affollarono nella sua mente finché il
buio non calò definitivamente. Un ultimo grido.
Non lasciatemi!
“Mi dispiace” disse il dottore. Era abituato a quella frase di
circostanza, ma non si sarebbe mai potuto abituare alle espressioni
distrutte a cui assisteva mentre la diceva. Lasciò soli i due genitori
davanti al corpo del ragazzo, ormai coperto dal lenzuolo bianco.
“Era un bravo ragazzo...”
“Lo so. Adesso è in un posto migliore, è a casa. Un giorno lo
rivedremo.”
I loro passi, lenti, pesanti, si allontanarono dalla sala.
“L'avevo preparato per lui... non mi ero accorta che... non era
tornato...”
Disse debolmente la donna, prendendo un piccolo toast dalla borsa.
L'aveva ricoperto con un po' di pellicola, perché il ragazzo lo potesse
mangiare appena fosse stato sveglio. Passarono accanto al cestino, e
lì gettò via quel piccolo fagotto.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 263 ~
Giuditta Natale
L‟inferno può attendere
Mi prendi una mano.
Il mio cuore esulta, le mie labbra ti implorano di lasciarmi. Non
siamo più quei bambini dispettosi.
Non siamo più i compagni di giochi delle nostre estati, vero?
Continui a non ascoltarmi. Continui a percepire ciò che desidero.
Te la avvicini alla bocca, gustandoti il mio profumo.
La baci. Mi baci. Sento la stessa calda sensazione che provochi alla
mia mano, sulle mie labbra.
James, ti prego, continua.
"James, ti prego, smettila".
Non so chi abbia deciso che in questa nostra storia, quella cauta
debba essere io. Adesso capisci.
Adesso, qualcosa ti riporta alla realtà.
I tuoi occhi grandi e castani dicono addio a questo attimo rubato.
Guardi dritto le mie fessure turchesi. Ho capito.
Partire per la Francia mi sembrava l'unica cura per la mia malattia.
Laggiù eri briciole. Piccoli frammenti di una esistenza fragrante. Un
fastidioso ricordo.
La mia vita procedeva senza rimpianti.
Il desiderio di te mi aveva tramutata in donna, ma altri ne traevano
beneficio. Mantenendo pura la mia anima.
Ero sicura. Il matrimonio di Roxanne doveva essere l'ennesima prova
della mia guarigione.
Dovevo saperlo. A Parigi tendiamo a sopravvalutarci. Sempre.
Tu eri lì. I tuoi ventiquattro anni scolpiti in un fisico da nuotatore.
Capelli bruni spettinati, gli occhi di chi, in fondo, rimarrà sempre un
po' bambino. Riapri il mondo oscuro dal quale ero fuggita.
Sono una delle damigelle. Tu il testimone. Da tabù a clichè. Fa quasi
ridere.
E mi osservi. Per tutto il tempo. Non ti importa del matrimonio del
tuo migliore amico. Non ti importa della vertiginosa scollatura che
porta la Venere nera in abito bianco. Non ti importa se è presente
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 264 ~
tutta la nostra famiglia. Non ti importa se qua ci sono più di trecento
persone. Anche fossero mille, non ti importa.
Mi guardi. Dentro. Indaghi. Cerchi te stesso.
Mi gela la mente. Mi ribolle il sangue.
“Mi sei mancata.”
Tre lettere. Un tempo erano solo due. Più difficili. A noi proibite.
La pioggia incessante di questa Inghilterra richiama ricordi. Profumi
e lacrime.
Ci svelammo la verità quando la pioggia ci costrinse in una rimessa
abbandonata. L'odore di ruggine e terra bagnata. Ti dissi addio in
una giornata come questa. Confondendo le mie lacrime con quelle
del cielo.
Ed oggi, mi sento come allora. In balia di questo destino amaro.
Ti avvicini. Fai una battuta per poter rimanere solo con me.
“Dominique.”
Ci siamo, vero? E' sempre la stessa verità. Verità che è come una
malattia. E noi siamo terminali. Il nostro cuore ha un cancro che
nemmeno il buon senso e la distanza riesce a curare.
Mi parli. Mi sorridi.
Sgretoli con ogni tua parola le mie convinzioni e corazze.
Ancora non capisco da dove provenga questa tua forza.
Forse è solo così. Siamo nati sbagliati. Nata per starti vicino e
soffrire. Per adesso ti basta questo. A me basterebbe per sempre.
Sei qui. Mi chiedi di ballare.
Sembra una cosa così innocente. Vorrei che lo fosse.
Dietro questi cugini impacciati, due amanti desiderosi.
Chi sospetterebbe mai che appena sfioro la tua pelle mi sento morire.
E muoio.
Muore in me quel freno di razionalità che mi ha sempre
contraddistinto.
Quello che ti avrebbe allontanato. Quello che avrebbe detto basta
dopo il primo giro di valzer. E invece continuiamo a danzare. Come
se fosse un addio. Come se non ci fosse fine. A un passo dall'oblio.
L'inferno può attendere.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 265 ~
Giulia Ortu
Puzzle
Avevo otto anni quando comprai il mio primo puzzle da diecimila
pezzi. Uno di quelli che hanno la stampa del cielo.
Lo comprai in un negozio di antiquariato, dove lavorava una donnina
anziana. Con molte rughe alla base degli occhi. Lo comprai e corsi
subito a casa. Ci misi tre giorni per finirlo e notai qualcosa di strano.
C'erano diverse sfumature di blu su quella stampa, con quattro
nuvole bianche. Al centro c'era una tessera con una diversa sfumatura
di azzurro. Non era il colore giusto. La forma era perfetta la tessera
entrava correttamente. Ma il colore era differente. Il giorno dopo lo
riportai alla signora nel negozio di antiquariato. Lei aprì la scatola e
tolse la tessera di colore diverso. Se la rigirò tra le mani e mi chiese
'' Come ti chiami, bambina?'' ''Mi chiamo Sue, signora.'' Sorrise e
andò a frugare dentro le scatole degli altri puzzle per trovare delle
tessere della stessa forma. ''Non chiamarmi signora. Mi fa sentire
vecchia, chiamami Lolita.'' Aveva l'accento messicano. ''Vedi Sue,
quel puzzle, rappresenta la tua anima.'' ''La mia?'' Chiesi, un pò
perplessa. ''Si tesoro, proprio la tua. Diciamo che tutte le anime
hanno un colore diverso. Con diverse sfumature. Le nuvole
rappresentano le persone a cui tieni, che perderai nel corso della tua
vita.'' Tornò da me con dieci tessere della stessa forma della prima.
Tutte di una sfumatura diversa di blu. ''Vedi queste?'' E mi fece
vedere le diverse tessere che aveva disposto accuratamente sul
tavolo. ''Queste sono i tuoi amori. I ragazzi che amerai nel corso della
tua vita. Ce ne saranno con forme diverse e colori uguali alla tua
anima. Altri invece avranno la forma giusta, ma il colore di una
sfumatura diversa.'' Intanto provava le tessere per vedere se il colore
era quello esatto. ''Il tuo scopo nella vita sarà trovare la tessera giusta.
Della forma giusta. E dello stesso colore della tua anima. Bada bene,
però. Deve avere anche la giusta tonalità di colore.'' E così facendo
mise la tessera giusta al suo posto. ''Ecco fatto.'' E mi sorrise. Mentre
me ne andavo mi girai, con una domanda che mi frullava nella testa.
''Lolita, tu l'hai trovata?'' ''Cosa, tesoro?'' Scrollai le spalle e risposi ''
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 266 ~
la tessera perfetta.'' Sorrise, e delle rughe le si formarono sotto gli
occhi. ''Si, l'ho trovata.'' Soddisfatta di quella risposta me ne tornai a
casa. Rimasi legata a quella donna, e nel corso della mia adolescenza
entrai spesso nel suo negozio. Otto anni dopo, quella piccola donna
morì di cancro. Piansi la sua morte per tre giorni. Il terzo giorno
rifeci il puzzle che avevo comprato otto anni prima in quel negozio.
Quel giorno lo finii in mezz'ora. Girai il puzzle e dietro incollai un
cartoncino, per tenerlo unito. Attaccai un fil di ferro dietro, e lo
appesi in camera. C'erano ancora le nuvole e le diverse sfumature di
blu. Tolsi la tessera di mezzo. Quella che ero andata a cambiare.
Lasciai un buco in mezzo. Presi il pennarello nero indelebile, e sopra
una nuvola scrissi “Lolita”.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 267 ~
Alessandra Passaretti
Scegli di scegliere
Pioveva una pioggia leggera quel pomeriggio d'Agosto, Anne
camminava senza meta fra le strade intrecciate della città deserta,
continuando a domandarsi cosa fare.
Nelle precedenti settimane aveva viaggiato per tutta l'America alla
ricerca dell'ispirazione, quell'ispirazione che avrebbe dovuto
condurla a decidere che fare del suo futuro.
Ma oltre a conoscenze interessanti, tramonti su Venice Beach e
pomeriggi interi spesi a fare shopping nella Grande Mela non era
riuscita a trovare una risposta.
Una risposta alla domanda pù frequente, quella che non faceva che
ripetersi ormai da più di un anno.
Che voglio fare della mia vita?
Esasperante. Come può mai un adolescente decidere del proprio
futuro con la tranquillità con cui decideva di indossare un abito per
una festa?
Anne era una ragazza abbastanza intelligente d'altronde, era
simpatica a tutti quelli che la incontravano, dicevano che aveva un
certo.. fascino? Era senza dubbio una persona carismatica,
abbastanza stravagante a tratti, certo, ma senza dubbio una persona
magnetica.
Ma tutto ciò non contava molto essendo il 20 agosto e dovendo
decidere del proprio futuro. No non contava affatto.
Girò a destra nella stretta stradina, continuando a seguire il profumo
ignoto che la indirizzava nel suo cammino.
Aveva analizzato più volte le sue possibilità, medicina, economia,
lettere, scienze politiche.. tutto sembrava piuttosto insensato. Niente
le ispirava davvero qualcosa.
Perchè doveva per forza seguire dei corsi? Perchè un foglio di carta
con su scritto che aveva seguito delle lezioni e dato degli esami
avrebbe dovuto renderla più interessante, più intelligente o più
competente rispetto ad una persona che non aveva conseguito degli
studi universitari?
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 268 ~
Il suo sogno era viaggiare, perdersi tra le foreste equatoriali,
camminare fra le piramidi in Egitto e poi godere dell'alba sulla cima
delle rovine Maya in Messico.
Esiste una laurea che ti permette tutto questo?
Nella strada ciottolata iniziava una rapida discesa, ed Anne prudente
si sfilò i sandali in cuoio per non scivolare, li ripose nella piccola
borsetta che aveva a tracolla ed iniziò a correre.
Che bella sensazione.
La pioggia leggera si infittì appena, bagnandole i capelli, che ora
aderivano al suo volto pallido come alghe marine.
Il vento portava con sè il sapore del mare, l'aria salmastra e un pò
dolce le riempiva i polmoni mentre scendeva sempre più
velocemente la strada bagnata, ripida e priva di ostacoli, la strada che
la indirizzava senza scampo verso il suo destino.
Mentre avanzava con il sapore dell'acqua tra le labbra e gli occhi
socchiusi sfiorati dai capelli bagnati intravide la fine della stradina
ciottolata, ed il terreno che la ricopriva prepotente verso una
scogliera nero pece.
Continuava a correre.
E gli scogli si avvicinavano sempre di più.
Anne non aveva paura, forse era un pò incosciente oppure
semplicemente curiosa, fatto sta che non rallentò nemmeno quando i
suoi piedi affondarono nel terriccio bagnato ricoprendosi di terra fino
alle caviglie esili.
Avanzava a fatica ora, perdendo un pò di velocità ma non di grinta.
Atterrò con le mani sugli scogli bagnati, a palmi aperti, come se
fosse una bambina in corsa disperata per "fare tana" in una partita di
nascondino con gli amici.
Respirava affannosamente, con il viso inclinato verso il basso, i
capelli oro bagnati e lucenti tutti intorno.
Sentiva il rumore delle onde infrangersi contro gli scogli più in
basso, e i gabbiani volare in alto, nel cielo grigio gridando per la loro
fame.
Iniziò la scalata verso le stelle, senza paura alcuna di scivolare e
cadere giù, le sue mani aderivano perfettamente alla roccia bagnata e
nera, ed i suoi piedi si muovevano sicuri nelle cavità fatte apposta per
lei.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 269 ~
Raggiunse la cima con pochi ed agili movimenti, quando ormai la
pioggia si era esaurita e il cielo turbinava irrequieto.
Il vento sopra gli scogli era più forte e gli abiti leggeri bagnati dalla
pioggia le aderivano addosso a tratti, staccandosi poi con violenza
come strappati da grandi mani invisibili.
Teneva le braccia e le gambe aperte, come un uomo vitruviano
disegnato su di lei.
Il sapore delle onde che si infrangevano schiumose tutto intorno le
disegnavano la pelle ed il viso con macchie salate.
Anne non sapeva cosa volesse fare da grande, e forse non le
importava davvero.
Era quella sensazione che lei cercava, quella sensazione che nessun
libro mai avrebbe potuto trasmetterle, nessuna lezione, nessuna
ricerca, nessun tomo o antologia.
Anne sentiva il sapore della libertà e della natura nei suoi capelli, fra
le punta delle dita, nelle narici, attraverso i suoi occhi castani beveva
avidamente il mistero della vita.
Piegò leggermente le ginocchia, strinse le braccia al petto come per
abbracciarsi e si lanciò.
Si lanciò nel sapore del mare, nel grido dei gabbiani, nella pioggia
leggera di agosto, perdendosi fra le onde del mare infinito.
Anne Rowens concluse così la sua lettura, l'aula con più di 300
studenti disposti circolarmente intorno a lei assorbiva ancora la
musicalità del suo racconto, attoniti dalle sue parole.
“Questa è la mia vita, e questo è il mio libro, certo ora non posso
invitare tutti voi a lanciarvi da una scogliera per scegliere il vostro
futuro o comprendere quale sia il vostro destino, ma l'unica cosa che
voglio che capiate è che scegliere chi siete e chi vorrete essere sarà la
vostra più grande avventura”.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 270 ~
Antonio Pellicano
L‟obiettivo (im)possibile.
Una vecchia abitazione nel bel mezzo del bosco. Così comincia la
nostra storia, una nuova avventura, speranzosa di avvolgerti e di
trascinarti con sé, in quel mondo costituito da infiniti punti di
domanda. Un‟abitazione rude e scolorita, tenuta malamente, e
circondata da una fitta vegetazione, capace di rendere quel posto
tetro, scarsamente rassicurante, e adatto a fantasticherie di ogni
genere. La gente, ebbene sì, non si premura mai di farsi gli affaracci
suoi, e continua imperterrita a far circolare insistentemente dicerie.
E‟ risaputo, dopotutto, che il mistero attrae un po‟ tutti, incuriosisce e
ammalia, facendoti leggermente rabbrividire, ma è quel brivido che ti
spinge ad affrontare le paure, a scaraventarti oltre l‟oscurità, alla
ricerca dell‟obiettivo. Fatto sta che quella casa era nota a tutti gli
individui che risiedevano nel paese. Non si sapeva, con sicurezza, chi
occupasse l‟interno della celeberrima e tenebrosa dimora, ma da quel
che si mormorava in giro si udivano non di rado strani rumori, il
ticchettio costante ed insistente di qualcosa, che precedeva il classico
suono di passi, in un celere susseguirsi avanti e indietro. Chiacchiere
infondate, però, che non allarmavano eccessivamente la popolazione:
alcuni, infatti, preferivano volontariamente accantonare la questione
e non pensarci più di tanto, ritenendo la notizia una bufala; altri,
invece, nutrivano la seria consapevolezza che qualcuno dimorasse
nella rinomata abitazione, ma nessuno possedeva un animo così
coraggioso da affrontare il rischio, il pericolo imminente. Almeno
finché si presentò agli occhi altrui un uomo sconosciuto, dalla barba
folta, e dagli occhi di un azzurro lancinante, che sottolineavano
maggiormente la sua audacia; la si leggeva chiaramente nelle iridi, in
quello sguardo perforante, che ti trafigge l‟animo e non ti abbandona
più. Ecco, lui si chiamava Maximilian, ma preferiva di gran lunga il
nomignolo “The Killer.” Sì, esatto: colui che va, ammazza, e ritorna,
pienamente soddisfatto e tronfio di aver conseguito l‟obiettivo
prefissatosi. La gente del luogo lo considerava un po‟ fuori di testa,
dal momento che il ragazzo palesava inizialmente una sicurezza
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 271 ~
davvero inaudita, deciso quanto mai a raggiungere la tetra dimora,
per farvi in seguito capitolino, in un ingresso esibizionistico, e per
svelare, in questo modo, a tutti la presenza o no di qualcuno al suo
interno.
Passavano i giorni, trascorrevano inesorabili i minuti e i secondi, e
l‟ansia cresceva sempre più, in un turbinio di emozioni che rendeva
l‟uomo vistosamente impacciato, in preda ad un‟evidente crisi di
panico. In qualche arcano modo, comunque, cercava di dissimulare
lo sgomento purtroppo palese, capace di destare una certa
preoccupazione persino tra gli uomini del paese, anche loro bramosi
di porre fine all‟insolita faccenda che concerneva l‟abitazione e il suo
contorno. Poi, finalmente, arrivò l‟atteso dì: un giorno d‟inverno,
caratterizzato da una temperatura davvero bassa, e dal consueto gelo
che, in un baleno, ti avvinghia, lasciandoti la stranissima sensazione
di essere appena stato prosciugato dai ricordi più belli. Bardato di
tutto punto, Maximilian avanzava con passo cadenzato, con la tipica
espressione seria in volto, gli occhi appena socchiusi, ed un sorrisetto
sornione che, talvolta, faceva capitolino increspandosi sulle labbra.
Alcuni uomini del luogo gli stavano dietro, alle calcagna, almeno
sino ad un breve pezzo di strada, di quel terreno così duro ai piedi,
che quasi quasi riesce a farti arrestare l‟incedere. Ma il ragazzo
procedeva, mostrando un‟apparente tranquillità, e cercando
soprattutto di imprimersi coraggio, quell‟audacia che conosceva
benissimo, e che gli era servita nei momenti avversi. Più procedeva,
più la distanza che lo separava dalla vagheggiata destinazione
diminuiva. Gli abitanti del paese, ormai, non si vedevano né udivano
più. Fermi. Come statue di cera. Con lo sguardo fisso dinanzi a loro,
in attesa dell‟evolversi della situazione. Un frangente ostico, che
vedeva il nostro Maximilian come unico e indiscusso protagonista;
arricciava delicatamente il naso ad ogni passo, le mani lungo i
corrispettivi fianchi, ed i capelli di un castano ramato visibilmente
scarmigliati. E..poi, ecco lì l‟abitazione: arrivato a destinazione.
Davanti a lui, si ergeva la dimora, attorniata da quell‟atmosfera di
mistero, che sancisce solo pericoli. – Ce la posso fare – si ripeteva
Maximilian, prendendo coraggio, ed annuendo meccanicamente alle
sue stesse parole, per valorizzare ancor di più la sua tesi. Non si
udivano, per il momento, rumori nei pressi dell‟abitazione, ma ci
piace sottolineare per il momento.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 272 ~
E il ragazzo, con un sospiro, optava nel procedere verso l‟ingresso
della casupola, cercando quantomeno di produrre il minimo rumore,
per evitare di svegliare qualche fantomatico mostro o creatura. –
Uno, due, tre – ecco, gli ultimi passi prima della verità. La porta
d‟ingresso, improvvisamente, emise un insolito rumore, prima di
spalancarsi. Così, di botto. Come se mossa da un filo incantato,
invisibile ad occhio nudo anche dopo un‟accurata e minuziosa
analisi. L‟espressione del ragazzo non tardò a mutare, a trasformarsi
in una ben più spaurita; il cuore faticava a battere regolarmente, e
Maximilian poteva soltanto deglutire, lasciando semplicemente
spazio al tempo. Chi vivrà, vedrà. Un sano principio, valido anche in
quel frangente indubbiamente ostico. Il baldo giovane, però, si
faceva ugualmente coraggio, riempiendosi i polmoni di sana aria
fresca, prima di insinuarsi all‟interno del nuovo ambiente, accolto da
una luce praticamente assente. Buio tutt‟attorno. E per di più,
s‟iniziava chiaramente ad udire un rumorino nelle vicinanze. “ C‟è
qualcuno, eh?” Alzava volutamente il tono di voce il ragazzo, per
farsi sentire, per far capire a tutti che lui, beh, c‟era riuscito, aveva
raggiunto il suo scopo, era stato l‟unico a mostrare il valore di un
uomo, nonostante i rischi cui andava incontro.
Il sangue continuava a pulsargli nelle vene, forte e chiaro, e come se
non bastasse, l‟emicrania era ritornata, non lasciando tanto spazio ad
eventuali fughe disperate. In difficoltà, quasi si trovasse contro un
muro da scavalcare mano a mano per arrivare dalla parte opposta e
raggiungere il traguardo. – BOOM! – Ad interrompere il breve
intermezzo di tranquillità, un rumore assordante. Maximilian
visibilmente accigliato attendeva, intanto, con le braccia ancora
lungo i corrispettivi fianchi, e le gambe appena divaricate, pronto per
passare all‟attacco, per compiere un eventuale balzo e fiondarsi verso
qualcuno o qualcosa.
“Chi c‟è lì, fatevi avanti!” Un ordine perentorio, senza remore, che
gli faceva spuntare quasi gli occhi fuori dalle orbite, in un tentativo
assurdo di assottigliare maggiormente lo sguardo alla ricerca di una
possibile figura. Ma niente, tutto scuro attorno a lui. Quasi volessero
regalargli un ambiente degno da cimitero. Un segno inequivocabile
del destino, attimi infuocati che accendevano il nervosismo e la
speranza, emozioni disparate celate dall‟espressione allarmata del
giovane. “Mostratevi immediatamente, vigliacchi!” Annunciava,
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 273 ~
evitando di balbettare più del dovuto, con il solito tono di voce che lo
contraddistingueva: afono. Utile, a dire il vero, in certe occasioni, per
allontanare possibili scocciatori, incutendo loro timore. Ma allora la
questione era dissimile, con svariati interrogativi che lo assediavano,
tempestavano la sua povera mente, ma lui non cedeva, no, aveva un
obiettivo da conseguire, un risultato da portare a termine,
un‟occasione per manifestare il suo coraggio, la sua tenacia, la
ricerca spasmodica del traguardo.
E seppure una figura indistinta si avvicinasse lestamente nel buio,
Max non si avvedeva di nulla, privo della cosiddetta vista bionica,
privo delle peculiarità che caratterizzano un supereroe; perché in
fondo era un uomo, un individuo normale, non avvezzo però
all‟atteggiamento consueto di omologarsi alla massa, dal momento
che le persone vere si differenziano sempre e comunque, lasciando
ripetutamente un segno tangibile lungo il percorso. Intanto, la figura
sibilava a pochi passi da lui, e gli faceva segno di non arrendersi,
perché i sogni vanno coltivati, e nonostante l‟oscurità ti avvolge,
bisogna necessariamente proseguire, consci che nulla è perduto,
giacché la risalita è sempre dietro l‟angolo.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 274 ~
Sonia Pratillo
Mio nonno
“Sonia io devo andare a casa di nonna domani mattina. Visto che non
devi andare a scuola vuoi venire con me?” mi dice mamma dalla
cucina.
“Mmmh” le rispondo.
“Cosa?”
“Uh mà, no!!!”
E‟ tutto buio e io corro. Corro cercando qualcosa; se qualcuno mi
chiedesse cosa stessi cercando, non saprei rispondergli; so solo che
devo correre, scappare il più lontano possibile da qualcuno o
qualcosa nascosto nell‟oscurità. All‟improvviso, mentre sto correndo,
mi ritrovo nella casa dei miei nonni. Sono tutti morti da così tanto
tempo che quasi non ricordo la loro fisionomia. Vedo lei, mia nonna,
seduta sulla solita poltrona vicino al camino, sia d‟estate che
d‟inverno, anche se d‟estate il fuoco del camino è spento; e lui, mio
nonno, seduto sulla solita sedia a sdraio di fronte alla televisione. Lo
guardo e lui inizia a parlare della guerra, di quanto e come lui e i suoi
compagni abbiano combattuto, di Mussolini… ed io lo guardo
annoiata perché non mi interessa ciò di cui sta parlando. Annoiata,
come può esserlo solo una bambina piccola che ignora la vita. Lo
guardo, una volta, due, tre…gli vado vicino e piccole lacrime, mentre
lo guardo, iniziano a scorrere lente sul mio viso. Mio nonno che non
ha più i denti in bocca ormai, tranne due o tre, mi guarda e mi
sorride. Mi asciuga le lacrime e voltandosi verso mia madre le dice:
“Pasqualì accendi la luce che Sonia ha paura del buio”. Mia madre
accende la luce e mio nonno mi fa sedere in braccio a lui.
“Vuoi vedere una cosa bella?” mi dice, ed io annuisco.
Mi porta sopra nella stanza che lui chiama dei ricordi, anche se è
semplicemente un ripostiglio e tira fuori da uno degli scaffali uno
scatolone e una scatolina rossa.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 275 ~
Apre lo scatolone e tra le numerose carte tira fuori la sua vecchia
divisa da bersagliere. Istintivamente allungo le mani e lui me la dà.
La poggio sul mio corpo ma è troppo grande per me.
“Questa non te la posso dare. Tra qualche giorno dei signori se la
verranno a prendere perché non so cosa devono farne…” Io lo
guardo, con la testa completamente alzata perché è altissimo, un
gigante, e con gli occhi spalancati.
“Però questa te la regalo” dice porgendomi la scatolina. L‟apro e tiro
fuori qualcosa, ma non ricordo cosa. So solo che non mi interessa e,
con la sfacciataggine di una bambina di cinque anni, la poso a terra e
me ne vado ancheggiando. O meglio, arrivo fino alla porta e mi volto
a guardare mio nonno. “Questa è tua e te la metto qui. Quando la
vuoi te la vieni a prendere.” Mi sorride e dopo aver richiuso la porta
della stanza si va a risedere sulla sedia a sdraio guardandomi, con
quel suo mezzo sorriso fanciullesco, fare il giro del tavolo tante di
quelle volte da perdere l‟equilibrio.
L‟ultima cosa che mi ricordo del mio sogno è che mentre mamma mi
prende la mano per andarcene, volto solo la testa e apro e chiudo la
mano destra in segno di saluto verso il nonno, il mio nonno, e che
anche lui dopo avermi fatto l‟occhiolino mi imita…
Quando mi sveglio, ho il volto rigato dalle lacrime perché il mio
nonno non c‟è più, perché è morto da tanto tanto tempo e, per quanto
desiderassi sognarlo, in sette anni lui non si è mai affacciato sui miei
sogni.
Ora, dopo sette anni, l‟ho sognato. Ora, quando avevo perso la
speranza.
Si dice che quando sogni un morto significa che qualcosa deve
succedere, o che questo ti vuole dire qualcosa. Forse vuole
semplicemente che io vada a trovarlo al cimitero.
Grazie alla mia fortuna, la macchina di mamma stamattina non parte.
Devo scegliere: andare con lei o lasciarle la mia adorata 500 nuova di
zecca…ok, l‟accompagno!
Partiamo alle 9:30. Alle 10:30 ho un appuntamento con una mia
amica ed ho già avvertito mamma che per quell‟ora ce ne andremo.
Povera mamma, o accettava o accettava perché la sua unica
alternativa era tornare a piedi.
Arriviamo a Sant‟ Andrea del Pizzone e quando scatta la serratura e
la porta si apre ciò che i miei occhi vedono è completamente diverso
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 276 ~
da ciò che avevano memorizzato tempo addietro. È vero che la casa è
disabitata da un bel po‟ di tempo, ma non avrei mai pensato che
versasse in un tale stato di abbandono.
Il tempo di crearci un varco senza toccare niente e di aprire la porta
che dà sulle scale, che arrivano tutti i miei zii. Tutti insieme saliamo
al piano superiore e mio zio apre “la stanza dei ricordi”.
È proprio come nel mio sogno eppure non ricordo di esserci mai
entrata prima. Mentre mamma e i miei zii rovistano tra gli scatoloni
in cerca di non so che cosa, io mi guardo intorno e tra gli scatoloni
non individuo lo scatolone… e neppure la scatolina. Scendo giù e
aiuto mia zia a portare la scaletta al piano di sopra per poter arrivare
ai ripiani più alti.
Resto fuori sul balcone ad aspettare che tutto finisca. Sono le 10:20 e
mamma ancora non si è decisa ad andarsene. In più la mia compagna
mi sta tempestando di squilli.
Rientro nella stanza, con l‟intento di chiamare mamma e mi ricordo
di quanto mi fossi pentita, quando studiavo la seconda guerra
mondiale, di non aver mai prestato ascolto alle parole di mio nonno.
Rientro giusto in tempo per vedere mia zia lanciare una scatolina
rosso sbiadito a mio zio.
“È mia!!!” urlo.
Nessuno mi ascolta e mio zio posa la scatolina su un tavolino vicino.
Mi avvicino, la prendo ed esco fuori. La apro ed è come se avessi già
vissuto questo momento. La apro talmente lentamente che neanch‟io
so come riesco a contenere l‟eccitazione per averla trovata,
finalmente.
Quando apro il coperchio mi salgono le lacrime agli occhi: contiene
tantissime lettere legate l‟un l‟altra da un filo rosso e soprattutto un
foglietto con su scritto a caratteri cubitali: “Cosa pensi? Non è che
non ci sono proprio più. Sono qui, non mi vedi? E ti voglio sempre
bene. Il tuo noioso nonno”
Apro le lettere e man mano leggo la storia di un soldato italiano e di
una giovane donna innamorati, mio nonno e mia nonna, che si
sposarono nel 1942, quando la guerra era appena iniziata, ma che
poterono dar luce al frutto del loro amore, mio zio, solo nel 1946.
C‟erano fotografie di ragazzi che a sedici, diciassette anni già
imbracciavano il fucile e che non erano, non potevano essere
spensierati come i ragazzi di oggi. Combattevano con l‟unico scopo
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 277 ~
di proteggere la loro terra, la loro famiglia, e pregavano con il cuore
affinché la guerra finisse.
Mio nonno non c‟è più, è volato in cielo tra gli angeli.
Non l‟ho neanche più sognato…l‟ultima volta che l‟ho visto avevo
11 anni.
È stata la prima persona la cui morte mi ha sconvolto; la prima
persona che nonostante gli anni che passano mi manca sempre di più;
quella a cui penso quando muore qualcuno a me caro; la principale o
forse l‟unica che mi abbia fatto capire il senso di una frase, detta
tante di quelle volte da essere sminuita: “Solo quando un persona non
c‟è più, ti accorgi di quanto fosse importante”.
Al cimitero ci sono andata. Ho sorriso alla sua fotografia ed ho
attaccato con lo scotch vicino al marmo la mia risposta:
Cosa penso? Penso che sei proprio il Mio nonno. Si, lo so che sei qui con me, ti sento anche se quando sto male, quando tu non mi dici che mi devo mettere nel letto; quando rido, piango o mi arrabbio, tu non ci sei a rimproverarmi con lo sguardo. Sento la mancanza dei tuoi occhi, perché nessuno nella nostra famiglia li ha belli come i tuoi; nessuno rimprovera mamma perché non mi fa mangiare.. che poi guardandomi mi dice: “Sei così magra.” Perché tu sei così diverso da me…eppure mi hai sempre difeso a spada tratta. Mi manchi nonno perché non ti posso più dire: “Ti voglio bene.”
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 278 ~
Teresa Lara Pugliese
Panico
I Cani Arrabbiati stanno in cucina col loro astio amaro. Ringhiano
passandosi lo zucchero, sciacquando i piatti, buttandosi sul divano.
Sono tre. Ognuno: una testa, un orgoglio, la convinzione di tenere la
verità sotto la lingua.
Parlano senza dirsi nulla, comunicano come bestie diverse.
Sono ciechi. Non si accorgono della malinconia che ci si è adagiata
addosso. Siamo diventati cinerei; il restante di una combustione
lenta: muscoli, occhiaie e frustrazione.
Vorrei correre. Stancare le gambe e buttarmi ansimante a terra;
assaporare l‟illusione sudata che tutto sia finito. Così scappo. Ma
piano, con le pantofole ai piedi; non sto vivendo un film.
Salgo le scale di marmo: uno, due, tre, quattro, cinque, sei… Tredici.
Secondo piano. Entro in bagno. Qui almeno non mi troverò le
vecchie bambole davanti agli occhi, le foto di posa sorridenti, i libri
impolverati, il letto disfatto. Meglio un gabinetto, credetemi, un
ambiente tre per tre per sbollire, per vedere ciò che non posso
elaborare; dove è difficile parlare alla porcellana vecchia all‟acqua
fredda agli asciugamani usati.
Chiudo la porta a chiave anche se è inutile. Tanto nessuno verrà a
bussare, a chiedermi “che ci fai là dentro? Tutto bene?”
Le loro voci continuano a ronzarmi nelle orecchie, come api.
Perderanno mai il pungiglione?
Mi osservo allo specchio. Le lacrime scendono sporche finendomi in
bocca; sono nere perché miste a mascara.
Spingo le labbra verso i denti: gli incisivi le accarezzano come
coltelli.
Chi ha deciso che dovevo vivere tutto questo?
Il respiro inizia a diventare affannoso. Apro la bocca e anso. La mia
voce potrebbe far intendere a un immaginario spione un piacere in
appagamento.
Ma io sono sola. Maledettamente. Sola con la mia paura che vorrei
urlare (e non posso). Disarmata al mio corpo stesso che si accascia
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 279 ~
sul pavimento. Poggio la guancia sulla piastrella quadrata: l‟armonia
(geometrica) che non raggiungerò.
E che importa dei capelli stirati appena ieri? Che si ungano pure
dello schifo a terra del pianto macchiato del fard sciolto.
È un mostro che sta venendo fuori. M‟infiamma il petto, m‟arrossa la
faccia. Aiuto sussurro.
Stringo i pugni, avvicino le spalle. Striscio fino al water, unico
appiglio per non sprofondare, e lo afferro alla base. Non mi fa effetto
la macchia giallastra lì vicino.
Vorrei morire. Mi sento. Morire.
Qualche minuto. Poi mi calmo. Allora i brividi salgono dalle gambe
mordendo le cosce, il torace, il collo. Succede sempre così.
Tiro giù l‟accappatoio e lo uso come fosse una coperta, un abbraccio
di spugna.
Le loro voci non le distinguo più, ne sento solo il rumore. I tre Cani non si sono accorti neanche che li ho lasciati giù: mio fratello, mio
padre, mia madre. Per avere una crisi di panico.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 280 ~
Martina Saviano
Il profumo di una nostra Dublino
Tutt'ora mi appare incredibile che mi abbia chiamato. Che abbia
comprato quel biglietto e che ora io sia all'aeroporto ad aspettarla.
Spesso lanciamo segnali nascosti anche a noi stessi o, forse, solo a
noi stessi, frasi buttate li per caso “vienimi a trovare quando vuoi”,
”ti aspetto un giorno..”, ”Ti porterò a bere una guinness al pub sotto
casa mia..” E poi quando l'altra persona li coglie e li realizza ci si
sente spiazzati, storditi e confusi. Non so come sentirmi, sono
confuso, non mi dispiace che lei stia venendo qui, non mi dispiace
affatto eppure questa cosa mi scombussola. Ho i miei piani, ho
l'università, ho una casa che pago ogni mese fior di quattrini perchè
ho deciso di vivere solo ed ora un'altra persona sta piombando nel
mio appartamento, nel mio nascondiglio. Ed è tutta colpa mia.
Io poi sono un ragazzo introverso, solitario e soprattutto poco
loquace mentre lei è una bomba ad orologeria. Oddio, sulla mia casa
si sta abbattendo un uragano.
Insomma la gente dovrebbe saper riconoscere gli inviti falsi da quelli
sinceri...Dio, sono un'ipocrita!
Sono un grandissimo ipocrita! E‟ un anno che le ripeto di venire ed
in realtà l'ho detto solo per cortesia, solo perchè è “giusto” farlo?
Mi vergogno di me stesso! Non pensavo di essere quel tipo di
persona.. Ma quanto tempo ci mette questo aereo? Non mi fa bene
pensare, mi fa capire che persona sono e ciò non va affatto bene...
Non è nemmeno arrivata e già mi ha sconvolto la vita, perfetto,
prevedo dei giorni molto interessanti..
D'altronde però potrebbe essere un'esperienza piacevole, potrebbe
dimostrarsi una persona tanto calma e posata da non apportare
cambiamenti molto radicali alla mia vita..
“Ciao! Finalmente!”
Fa cadere la sua valigia enorme, mi salta addosso e mi da per sbaglio
un dolorosissimo calcio nello stinco. Siamo spalmati per terra, al
centro dell'aeroporto, la gente ci guarda con aria riluttante. Perfetto,
mi rimangio tutto.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 281 ~
Lei ride, si alza ed aiuta me ad alzarmi.
“Su, alzati non vorremmo passare tutta la giornata qui!”
“Certo che no” rispondo sarcasticamente.
Recupero il valigione e ci dirigiamo verso l'uscita.
“Come è andato il viaggio?”
“Benissimo, sono riuscita ad accaparrarmi il posto vicino al
finestrino, ho dovuto litigare con una bambina ma alla fine ho vinto
io!”
“Cosa?”
“Ho litigato con una bambina odiosa, voleva per forza il posto
finestrino!”
Oddio, ma chi mi sto portando in casa!
“Comunque che facciamo ora?”
“Prima di tutto ti porto a casa, posi le valigie, ti lavi, fai tutto quello
che vuoi e poi andiamo a mangiare”.
Facciamo il biglietto e saliamo sul bus che ci porta a O'Connell
Street. Le lascio di spontanea volontà il posto finestrino altrimenti ho
paura che mi morda.
“Sai i consigli che mi desti due anni fa prima di trasferirmi qui mi
sono stati davvero utili. Sono perfino riuscito ad accettare che non ci
siano né miscelatore né bidet”.
Faccio una piccola risata ma lei non mi sta ascoltando. Ha lo sguardo
fisso sulla città che scorre velocemente. E' rapita da ciò che si trova
al di là del finestrino. In questo momento è bellissima, in questo
momento guardando quegli occhi sognanti e speranzosi mi rendo
conto che ho fatto la cosa giusta, che tutto questo ha un senso.
“Ehi, mi senti?”
Scuote la testa e mi guarda con aria quasi spaventata.
“Si certo, scusami ero sovrappensiero...Dimmi”.
“Nulla, non volevo disturbarti, dicevo solo che i tuoi consigli mi
sono stati d'aiuto”.
“Mi fa molto piacere. Io amo questa città ed è bellissimo essere qui
di nuovo, grazie”.
“Non devi ringraziarmi, è bello averti qui”
Il Bus si ferma. E' incredibile che siano passati già quaranta minuti.
“Su andiamo ci aspetta una bella passeggiata!”
“Come sono sciocca non ti ho nemmeno chiesto dove abiti!”
“Abito a Liffey Street”
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 282 ~
“Bene andiamo!”
Solitamente per arrivare a casa impiego dieci minuti ma questa volta
è impossibile andare veloci, lei si ferma in ogni angolo e inizia a
raccontare aneddoti interminabili su cosa abbia fatto qui, su cosa
abbia detto li e via dicendo.
E' estenuante eppure vederla così felice mi fa stare bene. So di non
averne il diritto, non sono io la causa della sua felicità, io sono
solamente lo strumento che le ha permesso di essere felice eppure per
mezzo secondo voglio concedermi l'illusione di essere io il motivo
per cui i suoi occhi profondi brillano tanto...
Saltella da un lato all'altro della strada come una bambina
impaziente, emette stridolini assurdi, non guarda nemmeno dove
va...Io sono a pochi passi da lei la osservo in silenzio e sento il
profumo di un futuro del tutto diverso da quello che immaginavo
quando sono arrivato qui...
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 283 ~
Andrea Scopelliti
L‟audizione
Il giorno dell‟audizione pioveva a dirotto. Una pioggia tanto fitta,
densa e costante, che sembrava dovesse durare all‟infinito. Le strade
erano deserte e lungo il viale alberato che portava a quel grande
edificio in stile Liberty in cui si trovava la sede del conservatorio,
regnava il silenzio più assoluto. Il ticchettio delle gocce d‟acqua che
cadevano incessantemente si sentiva appena e accompagnava il passo
sommesso di Carlo che avanzava nella nebbia. Indossava l‟abito
nuovo che sua madre gli aveva regalato pochi giorni prima per
l‟occasione e sopra portava una lunga giacca color fumo di Londra,
appartenuta per decenni a suo padre che sosteneva sempre che
giacche come quelle dei suoi tempi non ne avrebbero più fatte. Era
da mesi, forse da anni che Carlo aspettava quel giorno e si era
promesso innumerevoli volte che quando sarebbe arrivato non lo
avrebbe scordato mai più. Avrebbe voluto che il tempo si potesse
dilatare e che lo spazio si potesse modellare perché quel giorno
sarebbe dovuto rimanere inciso nella sua memoria per sempre, come
un qualcosa di assolutamente perfetto. Più volte gli era stato chiesto
di cosa avesse paura, che cosa temesse più di ogni altra cosa, Carlo
però fino ad allora aveva risposto di non essere mai stato un pavido e
che non c‟era nulla di cui avesse realmente paura. Sapeva bene però
che se qualcuno gli avesse rivolto la stessa domanda quella mattina
di Marzo, il giorno dell‟audizione, la sua risposta sarebbe stata ben
diversa: l‟idea di poter dimenticare anche solo un singolo istante di
ciò che stava vivendo in quel momento lo terrorizzava; era l‟oblio
che temeva, il nulla dopo di lui. Quella terribile sensazione di vuoto
lo stava accompagnando da quando, pochi attimi prima, aveva
varcato la porta di casa e per quanto cercasse di distogliere la mente
da quel tetro pensiero non riusciva a concentrarsi su nient‟altro,
nemmeno sulla sua tanto amata musica, che lo aveva accompagnato
fin dalla più tenera età e che ora gli avrebbe potuto dare un‟immensa
soddisfazione, se solo l‟audizione fosse andata bene. Vedeva nella
sua mente un groviglio informe di note, accordi e pentagrammi, tutti
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 284 ~
che sprofondavano nell‟oblio dopo essere stati avvolti dal caos.
Sapeva che avrebbe dovuto liberarsi la testa da quelle inutili e fatali
congetture il prima possibile perché non sarebbe riuscito a suonare
con la mente tanto appesantita eppure più cercava di pensare ad altro,
più aveva paura, paura di vivere troppo intensamente, paura di come
si sarebbe giudicato alla fine, paura delle fatali aspettative da parte di
tutti, anche da parte di se stesso. La sua carriera, il senso stesso della
sua vita, i sacrifici di vent‟anni, si racchiudevano tutti in
quell‟occasione, non doveva né poteva fallire. La pioggia poi lo
appesantiva ancora di più e prolungava quella terribile agonia di cui
lui era l‟artefice e il protagonista. Il tempo che impiegò a percorrere
quel lungo viale gli parve interminabile e quando fu davanti al
portone di quel palazzo che da anni ormai era diventato la sua
seconda casa, esitò un attimo prima di spingere la porta che si
richiuse alle sue spalle con un cigolio sinistro. L‟atrio del palazzo era
buio e deserto, la fioca luce prodotta da un candelabro appeso al
soffitto era decisamente insufficiente per illuminare quel grande
spazio e Carlo pensò che fosse un vero peccato non dare abbastanza
risalto ad un ambiente tanto fastoso e regale. Le ombre tremolanti
che si stagliavano contro le pareti avevano un che di spettrale e
misterioso e per un attimo Carlo fu percorso da un brivido di terrore
che lo scosse talmente da fargli quasi perdere l‟equilibrio; non
appena si riprese fu pervaso da un‟ansia e da un‟inquietudine che gli
offuscavano la vista e pensò che avrebbe fatto meglio ad uscire un
attimo a prendere un po‟ d‟aria ma ormai era dentro e l‟ora
dell‟audizione era inspiegabilmente vicina, così decise di farsi
coraggio e di continuare. Attraversò l‟atrio quasi di corsa come se
avesse voluto lasciarsi alle spalle le terribili sensazioni di un attimo
prima e raggiunse la grande scala di marmo bianco che portava al
piano di sopra. Ogni gradino era un passo in più verso quel tanto
temuto oblio che lo assillava da quando era sceso in strada e ormai
non era più nemmeno sicuro di voler andare fino in fondo a
quell‟esperienza sconvolgente. Quando arrivò in cima alla scala si
accorse che gli mancava il respiro e che stava sudando sebbene
l‟ambiente fosse gelido; non riusciva a ricordare nemmeno i titoli dei
brani che aveva studiato nei sei mesi precedenti e che aveva scelto di
proporre alla giuria. Davanti a lui si apriva un ambiente del tutto
identico al grande atrio del piano sottostante e sulla destra vide un
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 285 ~
tenue fascio di luce proveniente da una porta semiaperta dove lo
attendeva quel giudizio fatale che aspettava da tempo. Con passo
debole ed esitante raggiunse la porta da dove proveniva quella luce,
la spinse leggermente con la mano ed entrò nella sala dell‟audizione.
La stanza era illuminata da sei giganteschi candelabri e Carlo fu
talmente abbagliato da quella luce a cui i suoi occhi non erano
abituati che per un attimo ebbe la vista offuscata. Quando riuscì ad
aprire nuovamente gli occhi si rese conto che a parte un grande
pianoforte a coda con un panchetto davanti, la stanza era
completamente vuota. Della giuria non c‟era la minima traccia e anzi
sembrava che quegli ambienti fossero abbandonati da anni. Carlo
pensò di trovarsi in un sogno, pensò che tutto quello fosse solo frutto
della sua immaginazione, ma più cercava di ridestarsi, più si rendeva
conto che tutto ciò che lo circondava era assolutamente reale. Fu in
quel momento che si sentì come attirato al centro del grande salone,
percepiva una forza misteriosa che lo spingeva verso il pianoforte e
non ebbe la forza di opporsi. Mentre attraversava la grande stanza a
lunghe falcate si accorse della presenza di una grande pendola sulla
parete che segnava le dodici. Si ricordò che quello era l‟orario
dell‟audizione, si sedette al pianoforte, chiuse gli occhi e cominciò a
suonare. Quella che uscì dalle corde del piano fu una musica
celestiale, una melodia che avrebbe trasmesso a chiunque
un‟emozione inenarrabile, era qualcosa di assolutamente divino,
qualcosa che Carlo non aveva mai suonato prima di allora. I dodici
rintocchi della pendola furono completamente assorbiti da quel
suono divino che risvegliò il palazzo. La musica entrava nelle stanze
buie e fatiscenti per l‟incuria ridandogli nuova vita, si insinuava negli
anfratti delle porte e delle finestre, dirompeva travolgente lungo le
scale di marmo trascinandosi con sé una forza impressionante: la
forza dello stupore e della meraviglia che un tempo avevano
contraddistinto la storica sede del conservatorio. Nessuno sa dire di
preciso per quanto tempo Carlo, il pianista, rimase in quella stanza
avvolto dalla sua musica, alcuni dicono che sia morto per l‟emozione
troppo forte che provò ascoltando quelle note, altri affermano che
dopo giorni e giorni che era al pianoforte si sia semplicemente
stancato e sia tornato a casa, altri ancora sostengono che sia diventato
parte stessa dell‟edificio e che sia ancora lì, dopo tanti anni, a
suonare quella musica, la sua musica. La leggenda narra che ogni
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 286 ~
anno verso la fine di Marzo dalle finestre di quel palazzo si alzi una
musica leggera e soave che solo in pochi riescono a sentire e che
quella musica non sia nient‟altro che l‟anima di Carlo, il pianista, che
attraverso i tasti del piano ha trovato il modo per sfuggire all‟oblio,
per non essere dimenticato, ha trovato insomma quella tanto ambita
pace e felicità che per anni aveva cercato.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
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Irene Stacchiotti
Il braccialetto rosso del destino Settimana della moda di Milano. Sfilo disinvolta, elegante e leggiadra lungo la passerella. L‟abito ambrato è reso ancora più bello dal leggero contrasto con la pelle olivastra. Le luci donano riflessi dorati alla stoffa. Lo stretto corsetto mi fascia la schiena e quasi mi toglie il respiro. Il vestito si apre poi in una splendida gonna di tulle che mi arriva al ginocchio. Indosso un bracciale di perle rossastre. Mi sento bella, bellissima come una dea… Già immagino lo stuolo di fotografi, giornalisti e fans pronti ad accerchiarmi. Ok, forse sto un tantino esagerando, ma questo è il bello dei sogni.
La realtà è un po‟ diversa: non sono una modella ma una
quindicenne, non bellissima, non un genio e con una bassa
considerazione di me stessa. Sono molto fantasiosa, adoro leggere e
non mi annoio mai. Il mio hobby preferito? Curiosare nell‟armadio
della mamma e provare tutti i vestiti, scarpe e accessori che
stuzzicano il mio interesse fingendo di essere quello che non sono.
Ho creato il caos in poco più di venti minuti (magliette buttate sul
letto, scarpe sparse a terra, rossetti aperti…). Ho cinque minuti per
mettere tutto a posto prima che torni la mamma.
“Sofy, sono a casa!” Entra in camera e io sfodero un sorriso
innocente. “Ciao mamma!”. “Tesoro, che stai facendo?” Mi domanda
corrugando la fronte. “Niente, sto solo mettendo in ordine” “forse
questa volta la scampo!”. “Davvero? Che pensiero gentile! Per la
cronaca, i vestiti dovrebbero essere riposti nell‟armadio e non usati
come tappeti! Quella sotto il letto non è la mia gonna?”. “Come non
detto” “Quale? Non me ne ero neanche accorta… ooh come è tardi!
Dimenticavo che ho una cosa importante da fare, questione di vita o
di morte”. “Certo, scappa prima che mi incavoli! Ahh, Sofy? Hai
visto quel bracciale rosso che ti piace tanto?”. “No mamma, è da un
po‟ che non lo vedo”, rispondo cercando di sembrare convincente e
nascondendo il braccio dietro la schiena.
Prima ora di scuola e sto ancora dormendo. Oggi è una di quelle
giornate durante le quali i professori interrogano gli ultimi a non
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 288 ~
avere un voto ma fortunatamente non sono tra quelli. Si prospetta
una mattinata tranquilla, almeno per me. Mi cade l‟occhio sul
braccialetto, è così bello che non sono riuscita a toglierlo. Non so
cosa fare, forse potrei assistere all‟interrogazione e prestare
attenzione… meglio di no: l‟espressione del professore mi spaventa,
è quella di un sadico che prova un‟innaturale piacere a torturare
quella sua povera vittima tremante. Decido quindi che la cosa
migliore sia mettermi a spettegolare.
E‟ l‟intervallo. Mi accorgo dei brontolii provenienti dal mio stomaco
e penso di mettere a tacere quelle sonore e imbarazzanti proteste con
una pizza. Prendo i soldi ed uscendo inciampo sulla borsa all‟ultimo
banco. Già immagino la figuraccia: mi vedo sdraiata sulla pancia in
mezzo al corridoio e circondata da persone piegate in due dal ridere.
Di certo non mi sarei mai aspettata di trovare due braccia a
sorreggermi, ma soprattutto non mi sarei mai aspettata che
appartenessero al ragazzo di cui sono perdutamente innamorata da
tempi immemorabili e al quale non ho mai avuto il coraggio di
rivolgere una singola parola. Nel giro di un millesimo di secondo
divento talmente rossa in viso da essere scambiata per un pomodoro.
Non so se questo incontro-scontro sia stata una fortuna o un‟enorme
sfortuna che mi fa apparire ai suoi occhi grandi e azzurri, una goffa
ragazza impacciata e distratta.
“Stai bene, Sofia?” “Si tutto bene, grazie per… emmh… l‟aiuto”.
“Figurati!”. Faccio per staccarmi da lui, a malincuore, si intende.
Non ci riesco perché il braccialetto è rimasto impigliato alla sua
felpa. Strattono il braccio e ci ritroviamo sotto una cascata di perle
rossastre. Non siamo soli in quel corridoio ma per me è come se lo
fossimo e qualcosa in cuor mio mi dice che per lui è lo stesso. Si
china a raccogliere tutte le perle ad una ad una, poi comincia a
sistemare il bracciale. Guardandomi mi sussurra: “Non possiamo
mica lasciarlo così, questo è il bracciale rosso del destino”. “Perché il
bracciale del destino?” Gli domando. “Perché prima che mi cadessi
tra le braccia non avevo mai avuto il coraggio di parlarti”. Incredibile
come quell‟unica frase pronunciata dalle sua labbra abbia il potere di
spedirmi, con un biglietto di sola andata, a sfiorare le stelle. Mi
prende la mano e mi mette il bracciale. Mi alzo sulle punte, fino a
guardarlo dritto negli occhi e gli dico soltanto: “Grazie”. Nei miei
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
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pensieri aggiungo “perchè esisti non soltanto nelle mie fantasie ma
anche nella realtà”.
Settimana della moda di Milano. Sfilo e mi sento bella. Sotto le luci
abbaglianti mi rendo conto che non mi stanno aspettando fotografi,
giornalisti o fans ma il mio fidanzato, il ragazzo che ho sempre
amato. No, non è un sogno, è molto meglio.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 290 ~
Arianna Testa
Come le margherite a Primavera
L‟antico paese era lì da molte, moltissime primavere, ma quell‟anno
la primavera fu speciale. Al mattino Margherita si risvegliò con il
picchiettio dei passeri che danzavano sul balcone, ricolmo di fiori
bagnati dalla brezza del mattino. Quando la ragazza mise la testa
fuori, si sentì come se avesse ricevuto una nuova anima: quell‟aria
pulita, fresca e fine le entrò dentro, rinnovando ogni parte di se
stessa. Di fretta si vestì e corse dal panettiere, che alle dieci in punto
caricava il pane fresco e profumato nel furgoncino e lo distribuiva
nelle frazioni del paese situate in periferia. Tutta affannata,
Margherita arrivò al forno… ma fu una corsa inutile, perché
furgoncino, panettiere e odorose pagnotte di pane erano già andati
via. La ragazza si ricompose, mise al suo posto il ciuffo che le
cadeva penzoloni sul viso ed entrò. Accontentatasi dei panini, si
affrettò verso casa, preoccupata per la reazione della madre, che quel
giorno non avrebbe avuto pane fresco a tavola.
Durante il tragitto, immersa nei suoi tristi pensieri, sussultò al suono
del clacson di un‟automobile. Emozionata si voltò e… no, non era
possibile, era lui, Marco! Il ragazzo col quale era cresciuta e di cui si
era scoperta improvvisamente innamorata… Il giovane accostò e,
con la sua aria un po‟ timida e sognante, che faceva sciogliere
Margherita, le chiese di poterla riaccompagnare a casa. La ragazza,
più impacciata di lui, in quel momento pensò a un milione di
complicazioni: se Marco fosse a conoscenza del suo interesse nei
suoi confronti, se avesse dovuto invitarlo a bere un caffè, cosa
avrebbe potuto dirgli, se era o no in ordine… Alla fine diede un
taglio a tutto quel tramestio mentale e, con un sorriso che più
smagliante non si poteva, rispose: “molto volentieri!”
In un lampo arrivarono a casa e, presa dalle chiacchiere, Margherita
non si accorse di essere di fronte al cancello. Quando se ne rese
conto, fu presa dal panico e, senza sapere neanche lei cosa stesse
facendo, invitò il ragazzo a scendere per un caffè, pentendosene
quasi subito perché, una volta entrati, avrebbe dovuto tenere a bada
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 291 ~
la madre, che aveva il vizio di parlare troppo. Marco, ovviamente,
accettò con entusiasmo l‟invito e inserì la prima marcia per poter
entrare nel vialetto d‟ingresso. Le ruote dell‟auto non avevano
neanche completato il primo giro che la madre di Margherita era già
fuori dal portone a scrutare attentamente chi fosse alla guida, accanto
alla sua preziosa figliola. Quando capì che era proprio quel preciso
ragazzo, fece salti di gioia e quasi si gettò sull‟automobile. Invitò
calorosamente entrambi ad entrare, fece in modo che sedessero vicini
e preparò lei stessa il caffè.
Per tutto il tempo non tolse mai gli occhi di dosso al povero Marco,
che sottopose a un serrato interrogatorio, lanciando nel contempo
sguardi d‟intesa, neanche troppo velati, a Margherita. La ragazza era
imbarazzatissima: aveva accanto il ragazzo che tanto l‟affascinava,
non solo per l‟aspetto fisico, ma piuttosto per il suo carattere dolce,
sensibile e solare insieme, e dunque spiava ansiosa il suo
atteggiamento, nella speranza di scorgervi i segni di un‟identica
attrazione; l‟altra cosa che la tormentava, poi, era quel che poteva
esserci nella testa di sua madre, la quale sicuramente già aveva
scritto il loro futuro insieme.
Erano ormai le undici e Marco decise che era ora di andare. Si
alzarono tutti, anche la signora madre, ma un‟occhiata molto
eloquente di Margherita la rimise nuovamente a sedere. Fu, dunque,
lei sola ad accompagnare il ragazzo dei suoi sogni: sulla soglia lo
guardò come se fosse la cosa più bella al mondo, ma lui non lasciò
trasparire alcuna emozione; allora Margherita, per darsi un contegno,
simulò una certa freddezza nel salutarlo, ma inaspettatamente lui si
avvicinò pericolosamente al suo viso e le parlò con intensa dolcezza,
dicendole di non essere mai stato lì e indicando il fiume che
s‟intravedeva nel fitto bosco poco lontano. La ragazza gli rispose che
sarebbero potuti andare insieme e lui immediatamente la interruppe:
“domani, a quest‟ora!”
Margherita era incredula, sognante, vibrante e nel voltarsi per
chiudere il portone c‟era già la madre che le chiedeva cosa fosse
successo, ma la ragazza con passo lieve e vaporoso la ignorò e si
ritirò nella sua stanza. Non dormì, non mangiò e freneticamente
attese le undici dell‟indomani. In netto anticipo arrivò lui davanti al
cancello e Margherita si precipitò ad aprirlo: questa volta si sentiva
molto più spigliata, perché la madre non c‟era e si ripeteva che lui
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 292 ~
era lì, per lei… Marco scese dall‟auto e gli occhi di entrambi si
allacciarono gli uni agli altri così saldamente che il saluto formulato
a mezz‟aria si dissolse come vapore. Passo passo, si avviarono per la
stradina che portava al fiume. Quello fu un percorso memorabile:
risero, parlarono e si scambiarono battutine punzecchianti.
Arrivarono finalmente al fiume: l‟acqua gelida emanava freschezza e
scorreva lenta, il verde tenero dei pioppi faceva ombra nel clima un
po‟ incerto della primavera e le margherite occhieggiavano tra l‟erba.
Marco si tolse la felpa e si sedette, facendo cenno a Margherita di
raggiungerlo. Parlarono ancora a lungo, poi silenzio. L‟uno guardò
l‟altra, le mani si cercarono da sé e lentamente i loro volti si
avvicinarono, unendosi nel bacio tanto desiderato.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 293 ~
Lucia Torricella
I bambini che non sognano
Tempo fa i bambini non esistevano, o meglio eravamo noi a non
notarli, perchè si confondevano con la gente comune.
Forse vi chiedete come sia possibile che un bambino alto quasi un
metro e venti, si possa confondere con la gente che ogni giorno
percorre le strade di grandi e piccole città trafficate.
Eppure era così...
In questa realtà che sembra davvero essere molto lontana dalla
nostra, i bambini possedevano tutti i diritti che avrebbero dovuto
avere:Libertà, Libertà di Pensiero e di Parola, Privacy, Gioco,
Affetto, Cibo, Rispetto, Istruzione, Educazione, Informazione,
Salute...
In poche parole questi bambini avevano il Diritto alla Vita.
Venivano ascoltati dai grandi e quando sbagliavano venivano corretti
e ricevevano la spiegazione calma e pacata dell'errore, traendone
insegnamento concreto.
L'unica cosa che non veniva corretta era il loro modo di pensare, in
quanto i grandi di quel tempo avevano compreso che il pensiero
dell'uomo non va condizionato con la forza o con altri strumenti
perchè ognuno ha un proprio modo di pensare e di recepire ciò che lo
circonda.
Qualcuno potrebbe dire che questa era una cosa cattiva, che ragazzi
giovanissimi riflettono con la mente di un infante e che la loro parola
non dovrebbe essere presa in considerazione.
Così si fa l'errore madornale di non ascoltarli.
Un errore grande che la popolazione di quel passato remoto non fece;
essa ripose infatti una maggiore fiducia nelle loro capacità favorendo
l'istruzione.
I ragazzi studiavano ed erano felici di vivere perché non si sentivano
mai soli in quanto avevano dei genitori che, fieri dei propri figli, non
gli facevano mai mancare affetto e amore.
Erano tempi belli.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 294 ~
I progressi si vedevano ed erano tutti positivi: per esempio, a sette
anni un bambino sapeva già articolare un discorso sul futuro disastro
ambientale con un ragazzo di sedici. Nelle città si vedevano bambini
seduti sugli scalini della scuola intenti a ripassare la lezione del
giorno con il libro in mano; e le mamme insegnavano ai bambini ad
accettare le caramelle dagli sconosciuti senza aver paura che i piccoli
venissero rapiti al mercato nero degli organi; infatti, questi ragazzi,
diventati prodigio crescendo, avevano trovato la cura a moltissime
malattie; la gente era diventata meno egoista e più aperta: le bambine
vivevano felici ed intraprendenti, portavano i capelli lunghi, senza
che qualcuno o qualcosa le obbligasse a coprirli, e quando nasceva
una bambina nessuno era triste, anzi si faceva festa tutti i giorni con
parenti e amici cari.
Poi, non si sa come, questo mondo scomparve, ed i diritti dei
bambini furono calpestati.
Ora ci sono Paesi vuoti, Paesi dove le risa dei bimbi che giocano
nelle strade cede il posto al tuono delle bombe; e in questi Paesi le
scuole sono vuote e le fabbriche sono piene; ci sono ragazzi che
espongono la testa al sole ogni giorno per portare nelle loro case un
po' d'acqua e la stessa acqua che a noi ci da la vita, con essa la
maggioranza di loro trova la morte.
Ci sono bambini che a sette anni imbracciano un fucile più grande di
loro e che hanno paura della loro stessa ombra quando si riflette,
facendo strani disegni sulla sabbia rovente.
Ci sono ragazzi soli nelle loro case, che non dormono nel loro letto,
che non vogliono parlare e quelli che un giorno li vedi uscire e
quando tornano a casa non sono più loro; giovani che a casa non
sono mai tornati.
Esistono bambine con il capo coperto, che non le senti mai parlare e
spesso ti chiedi se esse siano mute. Ragazze che non hanno mai
scelto il loro destino: era già tutto scritto e deciso prima che fossero
nate. Altre ancora che non hanno mai visto al luce e non hanno mai
scoperto che cosa significasse la parola “vivere”.
Eppure i ragazzi sono uguali a quelli che abitavano il mondo in
passato.
Ma allora perchè i bambini bagnano il loro letto, perchè hanno paura
di uscire, perchè non riescono a trovare la strada per tornare a casa,
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 295 ~
per quale motivo, io mi chiedo, questi bambini che non sono, hanno
smesso di sognare il giorno in cui hanno aperto gli occhi?
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 296 ~
Giulia Vecchioni
Disperazione e Coraggio.
“Forza ragazzi, è pronta la cena!”
Gabriella aprì il forno per estrarre il suo bel pollo arrosto, annusò il
dolce odorino e la bocca fu invasa da un‟acquolina insolita. Lei non
aveva mai fame, era una donna che teneva al suo fisico perciò
l‟aveva abituato a dei regimi alimentari molto rigidi e sani.
-Mi avete sentito?! Ancora davanti alla televisione? Io prima o poi
brucerò quel maledetto oggetto! Giovanni prendi il piccolo. Mio Dio,
mi trovo con quattro uomini dentro casa. Come farò? Povera me!
Marco, amore mio, tu sei il padre dei tuoi figli, chiamali ti prego, che
a me non danno retta!
Era la prima volta che ci pensava, era vero: viveva con quattro
uomini, lei era l‟unica donna. Neanche una femmina era riuscita a
partorire, nessuna piccola donna. Solo maschiacci, i suoi maschiacci.
Per fortuna che quella sera a tavola c‟erano solo Giovanni il
secondogenito che aveva tredici anni, Giacomo l‟ultimo arrivato di
un anno e suo marito, Marco. Il primogenito Davide era fuori con gli
amici, aveva appena compiuto diciotto anni ed era la sua prima uscita
ufficiale notturna con l‟auto. Le aveva promesso di non bere, e lui
era un ragazzo su cui si poteva contare.
“Via le mani Giò. Servo io”.
“Fai come ti dice, se no tua madre ti mangia”
A quel punto Gabriella rise, anzi rise come una matta, adorava
quando il suo maritino faceva il sarcastico.
“Mamma, ma come ti sei vestita? Anche a cena sei così elegante?!”
Si guardò: aveva una camicia bianca messa sotto ad una gonna nera,
calze nere con delle alte scarpe nere lucide che le facevano apparire
le gambe ancora più lunghe.
“Hai ragione, meglio che mi vada a cambiare! Marco, servi tu! A
proposito sai quando torna Davide?”
“Lo so io, mamma. Ha detto che tra una mezzoretta è qua”.
“Bene. Ritorno subito, voi intanto incominciate”.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 297 ~
Prima di lasciare la stanza, fece una carezza accompagnata ad una
smorfia al suo piccolino seduto sul seggiolone.
Uscì dalla cucina, attraversò la grande sala e percorse le scale di
legno pregiato che portavano al piano di sopra, dove c‟erano le
camere da letto: stanza matrimoniale, stanza di Davide, stanza di
Giovanni e quella del piccolino Giacomo. Ognuna aveva un bagno
personale, e in più quella dei coniugi aveva un stanza-armadio
grandissima dedicato a Gabriella, grande amante della moda. Si tolse
la altissime scarpe e i suoi piedi la ringraziarono per questo gesto, si
sfilò le calze e la camicia. Si infilò un maglione di cashmere grigio
con un paio di jeans, in più ciabatte e calzini per i suoi piedi.
“Finalmente mamma, già mi sono mangiato una coscia!” Comunicò
ufficialmente Giovanni con uno sguardo allo stesso tempo serio e
divertito.
I tre maschiacci ridevano felici (anche il piccolo) e ben presto anche
Gabriella cascò nei loro buffi discorsi e incominciò a intonare risa
felici.
“Ha suonato il campanello della porta, Marco vai tu, per piacere?”
Lo disse con un pizzico di ansia. Chi poteva essere a quell‟ora? Per
Davide era ancora presto, lui stava in giro fino all‟ultimo minuto. E
non aspettavano altre visite. Si alzò e andò con il marito alla porta.
Nel tragitto si ripeteva tra di sé che era una stupida a pensare a cose
tragiche, era una serata tranquilla, passata in famiglia. Niente poteva
rovinarla.
“Salve Signori. Siamo della polizia” sorrise con complicità” temo
che sarà davvero difficile dirvelo- ora era imbarazzato e rivolse al
Gabriella uno sguardo colmo di tristezza” vostro figlio, Davide”, si
interruppe “ha avuto un incidente. E.. non ce l‟ha fatta”.
Il coraggioso poliziotto che aveva avuto il coraggio di dare la notizia
aveva tentennato, ma ora, spiegando l‟incidente, parlava
obiettivamente e con lucidità.
“E‟ stata colpa di una macchina, il conducente era ubriaco e gli è
letteralmente venuto contro frontalmente. E‟ morto sul colpo. Non ha
sentito niente”.
La mente di Gabriella si offuscò. Non capiva più niente. Ma di una
cosa era sicura: suo figlio stava bene. Corse in sala, prese il cellulare.
Urlò all‟agente: “Lei si sbaglia, mio figlio è vivo. Guardi adesso lo
chiamo. Davide, Davide”.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 298 ~
Inutile dire che nessuno rispose.
La donna era impazzita e continuava a urlare, grida disperate, grida
di dolore, come se le avessero appena strappato il cuore. Un dolore
talmente forte stava provando, indescrivibile. Si accasciava a terra,
piangeva. Suo maritò si buttò su di lei con le lacrime agli occhi.
“Zitta, sta‟ zitta. Per l‟amor del cielo!”
Singhiozzava. Stettero lì, sul pavimento, abbracciati per quasi
mezz‟ora.
Intanto Giovanni aveva ascoltato tutto e fissava senza espressione il
pavimento. Anche il piccolo era ammutolito. Il poliziotto se ne era
andato, lasciando vicino alla porta un numero a cui chiamare per
ulteriori informazioni.
Nessuno si muoveva. Silenzio.
Ad un tratto un grido ruppe la quiete. Gabriella si alzò di scatto, si
aggirò per la casa,occhi da matta, labbra tese, e cominciò a
farneticare.
Giovanni pianse.
“Mamma non fare così ti prego. Mi fai paura”.
Lei continuava imperterrita mentre Marco, riprendendosi dallo choc
iniziale aveva appena chiamato il dottore.
Ora Gabriella faceva davvero paura, persino al marito. Era diventata
matta. Oramai il marito aspettava solo che quel maledetto
campanello suonasse.
Suonò. Grazie al cielo. Fece accomodare il dottore che studiò la
situazione dopo una breve descrizione dettagliata del coniuge. Era
sotto choc. Le diede dei sedativi. Dopo due minuti dormiva sul
divano. Il dottore salutò e porse le sue condoglianze.
Ora Marco doveva fronteggiare tutto da solo. La prima cosa da fare
era pensare. Pensare un poco. Era successo tutto così in fretta: un
attimo fa stavano mangiando felici e l‟attimo dopo avevano perso un
figlio e un fratello. Davide, il suo Davide. Ormai Marco sapeva di
aver appena perso una parte di se stesso. Una parte molto importante.
Ma cosa valeva piangerci su? Ormai era successo e ora Davide
avrebbe preferito che lui agisse con molta calma e lucidità. Ma
soprattutto che non avesse dimenticato i suoi altri figli. Si girò verso
di loro. Erano spaventati, e colmi di tristezza. Gli rivolse un sorriso,
ma poi si rese conto che quel sorriso era bagnato di lacrime.
Giovanni si avvicinò con timidezza, allora Marco lo prese e lo
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 299 ~
abbracciò. Un abbraccio profondo e colmo di amore. In quell‟istante
Giacomo pianse, ma quando si ritrovò al calduccio sotto le braccia di
papà, ritrovò la serenità. Restarono per un‟ora in quella posizione.
Abbracciati, piangendo.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 300 ~
Nora Venditti
Flashback
L'acqua scorreva impetuosamente lenta quel sabato pomeriggio e
senza che Abbie se ne rendesse conto si ritrovò a ripensare alla sua
nascita.
Sua madre le raccontava sempre di come piovesse quel giorno e di
quel sentimento così potente e profondo che l'aveva immersa mentre
sentiva quel piccolo corpicino uscire da lei, dopo 9 mesi. Capirai,
diceva sempre, solo quando avrai un figlio.
Suo padre non aveva assistito a quel cocktail di sentimenti perchè si
trovava dall'altra parte del mondo a combattere sul fronte. "Per la
patria", ripetevano tutti.
Ebbe il grande onore di conoscerlo il suo quinto compleanno.
Ricordava quel giorno come fosse ieri. Circondata da amici e parenti
aveva espresso il suo desiderio e le candeline non avevano fatto in
tempo a spegnersi che un uomo in uniforme aveva varcato la soglia
del giardino in festa.
Non somigliava di certo alla foto che la mamma le aveva fatto
vedere. I capelli castani erano decisamente più lunghi, la barba
incolta, gli occhi penetranti trasmettevano un misto di dolore e
impazienza.
Il primo anno passato insieme a suo padre fu strano. Si svegliava nel
cuore della notte urlando, era spesso di cattivo umore e non faceva
altro che fumare davanti alla TV. Poi un pomeriggio, rientrando da
scuola, sentì sua madre gridargli contro con tanta violenza e rabbia
che sperò di non farla mai arrabbiare.
Ma da quel giorno non vide più suo padre fumare incurante del
mondo. Anzi, diventò il padre che ogni amica invidiava.
Furono giorni molto felici per Abbie e l'ingenua illusione che tutto
quello potesse durare oltre l'infinito si spense qualche giorno prima
del suo tredicesimo compleanno.
Seduta in cucina tentava di fare i compiti, ma l'eccitazione per il
Natale in arrivo era troppa. Non sarebbe durata. Sentì un colpo, poi
un urlo e una macchina. Vide suo padre correre verso la porta e tentò
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 301 ~
di raggiungerlo ma fu spinta via dalla sua mano in modo brutalmente
protettivo.
Il resto è solo confusione. Tutto ciò che conosceva andò in pezzi con
la morte di sua madre. Il suo mondo diventò reale e freddo.
E adesso, mentre era lì distesa, quasi sorrise ripensando a quanto suo
padre cercò di non farle mancare nulla, di amarla il doppio, di
proteggerla il doppio, di essere il doppio. Anche quando si innamorò
di Garret. Aveva all'incirca diciassette anni e quello fu il suo primo
vero amore. La timidezza con lui non esisteva, e il dolce sapore dei
suoi baci scioglieva i dubbi. Fare l'amore con lui era così travolgente,
così passionale, così potente.
Ora, un anno dopo, sapeva che non avrebbe mai più rivisto Garret e
nemmeno suo padre. Sapeva che quel flashback significava soltanto
la parola Fine.
Eppure aveva impresso così a fondo i fermo-immagine della sua vita
da poter rivivere tutto all'infinito.
Gli occhi iniziavano a bruciare e capì che mancava qualche secondo.
Si costrinse ad aprirli e vide una folla cosparsa di pioggia.
"Spero che abbiano vissuti i bei momenti della vita", pensò. Un treno
stava arrivando. Toccava a lei salirci. Sorridente, vide sua madre. Era
arrivata.
~ Le Storie e le Poesie di Io Racconto ~
~ 302 ~
Ringraziamenti
ll Premio Nazionale Io Racconto è giunto alla sua terza edizione, compiendo
grandi passi da quando, nel 2008, ha preso il via con l‟invito, rivolto ai lettori di
Firenze Trova, di contribuire con piccoli racconti ai contenuti del giornale. Tutto
questo non sarebbe stato possibile senza lo sforzo congiunto del personale di
Assopiù Editore e dell‟Associazione Culturale Musa, entrambi di Firenze, degli
sponsor che hanno creduto in noi e nel nostro progetto, come Euronics, Siae,
Carapelli, OPE. Grazie a Regione Toscana, Provincia di Firenze, Comune di
Firenze che ci concedono il loro patrocinio. Voglio anche ringraziare gli amici e
partners che svolgono con passione il loro lavoro, ci arricchiscono con la loro
amicizia e collaborano con noi al buon esito del Premio: grazie quindi a Romano
Editore di Firenze, a Racconti di Città, alla Compagnia delle Seggiole, FIAF,per
l‟aiuto concreto, la disponibilità, lo spirito di gruppo. Grazie anche a Claudio
Gherardini e Martina Manescalchi che hanno seguito i numerosissimi amici del
gruppo di Facebook dal quale ha avuto origine la Giuria dei Lettori. Questa
giuria e la giuria di esperti, si sono accollate un notevole lavoro di screening e
giudizio: a loro tutta la mia stima e la mia profonda riconoscenza. Un sentito
ringraziamento anche al Dr. Giancarlo Passarella che cura i nostri rapporti con la
stampa e ci segue fino dall‟inizio.
Tutto questo è tanto ma sarebbe niente se gli autori non avessero creduto in noi e
nel nostro progetto. Grazie, dunque, ai 1.300 iscritti a questa terza edizione: grazie
per esservi messi in gioco e averci resi partecipi delle vostre opere, interessanti,
commoventi, divertenti, istruttive. Grazie ai partecipanti junior delle varie sezioni:
narrativa, poesia, fotografia, testi di canzoni. A loro l‟augurio di continuare nel loro
percorso artistico cogliendo sempre maggiori successi, con i complimenti della
redazione per il buon livello dei loro elaborati.
Un grandissimo grazie a tutti i tecnici che hanno reso possibile lo svolgimento del
Premio, primo fra tutti Roberto Gasparri e, per la stampa dei libri, Valerio
Marucelli, Furio Raggiaschi, Marco Nuti. Un grazie di cuore a Rachele Ignesti, per
il suo preziosissimo lavoro di editing.
Concludo con le scuse verso coloro che involontariamente non ho nominato: hanno
comunque tutta la mia riconoscenza.
Donatella Bellucci
Coordinatrice