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Mensile di attualità e cultura dei Castelli Romani e dintorni Anno IX/9 – settembre 2000 DIFFUSIONE GRATUITA Associazione Culturale Photo Club CONTROLUCE - Via Carlo Felici 18-20 Monte Compatri CONTROLUCE NOTIZIE IN... Francesco Barbone, Nunzio Gambuti, Mario Giannitrapani Alessandra Greco, Mauro Leva, Luca Marcantonio Gelsino Martini, Fabrizio Natalini, Luca Nicotra Nicola D’Ugo, Giovanni Vitagliano Lorenzo Pompeo, Biagio Salmieri Carla Sbaraglia, Valeria Scillieri Armando, Marcella Scopelliti

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Mensile di attualità e cultura dei Castelli Romani e dintorni Anno IX/9 – settembre 2000

DIFFUSIONE GRATUITA

Associazione Culturale Photo Club CONTROLUCE - Via Carlo Felici 18-20 Monte Compatri

CONTROLUCENO

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Francesco Barbone, Nunzio Gambuti, Mario Giannitrapani

Alessandra Greco, Mauro Leva, Luca Marcantonio

Gelsino Martini, Fabrizio Natalini, Luca Nicotra

Nicola D’Ugo, Giovanni Vitagliano

Lorenzo Pompeo, Biagio Salmieri

Carla Sbaraglia, Valeria Scillieri

Armando, Marcella Scopelliti

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Notizie in… CONTROLUCE settembre 20002

NOTIZIE IN… CONTROLUCEMensile di attualità e cultura

dei Castelli Romani e dintorni

EDITORE

Associazione CulturalePhoto Club Controluce

Via Carlo Felici 18-20 – MONTE COMPATRI (RM)

tel.069486821 – 069485935 – 069485336fax 069485091e-mail [email protected]

DIRETTORE RESPONSABILEDomenico Rotella

REDAZIONEMirco Buffi, Alberto Crielesi,Claudio Maria Di Modica, Nicola D’Ugo,Armando Guidoni, Mauro Luppino,Tarquinio Minotti, Salvatore Necci,Francesca Vannucchi

REGISTRAZIONE TRIBUNALE DI ROMAN.117 DEL 27 SETTEMBRE 1992Gli articoli e i servizi sono redatti sotto laresponsabilità degli autori. Gli articoli nonfirmati sono a cura della redazione.Finito di stampare in proprio il 28 settembre 2000

HANNO COLLABORATOFrancesco Barbone, Nunzio Gambuti,Mario Giannitrapani, Alessandra Greco,Mauro Leva, Luca Marcantonio, GelsinoMartini, Fabrizio Natalini, Luca Nicotra,Lorenzo Pompeo, Biagio Salmieri, CarlaSbaraglia, Valeria Scillieri, MarcellaScopelliti, Giovanni Vitagliano

Illustrazioni di:antonio e Roberto Proietti.

In copertina:da “scene” 1999 02 - disegno a tecnicamista di antonio

Il giornale viene diffuso attraverso lepagine del nostro sito Webwww.controluce.it e distribuitogratuitamente a tutti i soci.

VISTO DA…

Luigi Pengue, questo era il suo nome, maper tutti noi era il Maestro Cavaliere, aven-do prestato il servizio militare in cavalle-ria durante la prima guerra mondiale. Oggi,a distanza di tanti anni, lo ritrovo ancorapresente nella mia mente, in una forte emo-zione di riscontro e in netto contrasto con

quanto oggi la scuola sa dare ai ragazzi.Quella sua figura così ricca di umanità edi pazienza, in un ambiente dove la cultu-ra non era ritenuta ancora così importan-te, per quell’esigenza vitale di forza lavo-ro necessaria per far fronte alle tante dif-ficoltà di quell’era contadina tutta manua-le, dove tra il vivere e sopravvivere nonc’era poi tanta differenza. Ricordo conquanto amore ci raccontava di EdmondoDe Amicis, e poi quella sua grande pas-sione per la bella calligrafia. Ripeteva con-tinuamente che la scuola bisogna amarlae che nessuno deve sentirsi diverso: ric-co o povero troverà sempre la stessa ac-coglienza. Per questo ci raccontava spes-so la storia di un ragazzo che, costretto alavorare nei campi per la troppa povertàdella sua famiglia, non poteva frequenta-re in modo normale la scuola, ma che ave-va tanta voglia di imparare a leggere escrivere. Un giorno quel ragazzo fu trova-to seduto sul pavimento davanti alla portadell’aula, tutto preso ad ascoltare ciò cheil maestro diceva ai suoi alunni, mentreprendeva appunti scrivendo con una pen-na fatta con uno zeppetto di legno appun-tito e un vasetto d’inchiostro ricavato dabacche di rovi. Il maestro, che casualmen-te si trovò a uscire dall’aula, si vide davan-ti questa inaspettata scena e, resosi contodella situazione, invitò il ragazzo ad anda-re a casa, con la promessa che ogni gior-no sarebbe andato da lui per insegnarglitutto quanto aveva voglia di sapere. E quan-do qualcuno di noi non si comportava pro-prio a modo, tirava fuori dalla tasca untemperino, e preso un legnetto loappuntiva, facendoci capire che non era

Quel caro maestro che non potrei dimenticarePerché ci sono ragazzi che non amano andare a scuola?

necessario avere una stilografica con pen-nino d’oro per scrivere bene, quel legnettoera più che sufficiente. Allora noi chie-devamo scusa, ma lui ci aveva già perdo-nato. Oggi, purtroppo, non è più così. Cisono ragazzi che non amano andare a scuo-la, perché spesso non si sentono amati ocapiti da chi dovrebbe insegnare loro, ol-tre che la didattica, la solidarietà, l’ugua-glianza e tutti quei valori morali che sonol’essenza della vita. Ma cosa ancora peg-giore è che ci sono maestri incapaci ditrasmettere agli alunni quei valori che nonsiano soltanto nozioni di storia, di geo-grafia, di matematica, di letteratura, per-ché sono loro stessi a esserne sprovvisti.Insegnare non è come andare in ufficio oin fabbrica , ma è qualcosa che sta al disopra di una normale prestazione di lavo-ro. La Scuola, quella con al «S» maiusco-la, non è un ministero o una banca, ma ne-cessariamente deve risultare il punto diriferimento della società in cui si vive. Perciò che sto dicendo, sento già un mormo-rio di critiche, ma soltanto di chi non sen-te la propria coscienza del tutto serena,perché i tanti insegnanti che danno l’ani-ma, in un contesto divenuto tanto diffici-le da gestire, sanno che ho ragione e loroper primi subiscono le conseguenze diquesta realtà. Perché qualcuno non provaa domandare ai ragazzi di qualche istitutodi una scuola elementare, media o supe-riore se la difficoltà maggiore è recepireuna nozione di storia, di matematica, difilosofia ecc. oppure dialogare con il pro-prio insegnante? È utopia immaginare unafigura d’insegnante come MarcoColumbro in Caro Maestro, oppure diSilvio Orlando in Compagni di branco,o ancora quella splendida figura di PaoloVillaggio in Io speriamo che me la cavo?Forse è chiedere davvero troppo, ma ba-sterebbe molto meno per rendere a un ra-gazzo una scuola normale. Cos’è oggi lascuola? Spesso è lo specchio di questanostra società malata, perché anche lascuola si è uniformata al resto, o meglio,come usano dire i ragazzi: siamo tutti, oquasi tutti clonati, come in qualsiasi altrocampo lavorativo (qualcuno potrebbe dire,ad avercelo) in cui operiamo. In un istitu-to romano di scuola media, non statale,un ragazzo si è rivolto a una compagna diclasse chiamandola «sporca ebrea». M.,ragazzo di grande sensibilità, corso in di-fesa della mortificata compagna, ha mol-lato tre o quattro ceffoni di buona fatturaall’arrogante compagno di classe. La pre-side, non laica, in un giudizio non certa-mente salomonico ha pensato di risolve-re il grave episodio di razzismo, addebi-tando a M. tre debiti formativi. Tanto, poi,per mettere a posto la nostra coscienza sipuò sempre andare a chiedere scusa aLungotevere De’ Cenci.

Nunzio Gambuti

Edmondo De Amicis

coloro che intorno parlanosorgenti

andando oltre ho incontrato teti ho visto l’attesaracchiusa da scene di movenze correntilibertà t’ho chiamatalibertà sognavi

scovando ragionidivieni autrice del non avere

quando alla mentein un’isola desertanon oltre te e meantonio voci

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Notizie in… CONTROLUCEsettembre 2000 3I NOSTRI PAESI

Pubblichiamo il programma delle escursioni e del corso diriconoscimento di alberi e piante organizzate da Reseda, incollaborazione con il WWF Castelli Romani, per iniziare acapire la natura, per conoscere il proprio territorio e inizia-re a difenderlo. Il corso è destinato ad adulti, ragazzi e do-centi (riconosciuto dal Provveditorato agli Studi).PROGRAMMA DEL CORSO1. Incontro teorico con l’ausilio di diapositive e dispense,durata due ore. Il territorio dei Castelli Romani, gliecosistemi presenti, la loro ecologia e la loro difesa. Sa-bato 16 settembre ore 17.00 presso il Crea a Nemi.L’incontro teorico sara ripetuto alla fine delle escursioniin programma per chi si fosse iscritto a corso già iniziato.2. Escursione facile al sentiero dei Fiori (bacino cratericodel Lago di Nemi) alla scoperta di ecosistemi di macchiamediterranea e alberi di montagna, i vecchi orti e le nuoveopere in difesa della natura. Domenica 24 settembre, ore9.00 presso il Crea. Pranzo al sacco. Fine escursione ore16.00 a Nemi.3. Escursione facile e breve al Bosco dei Cappuccini(Albano) per osservare l’elevata biovarieta di specie pre-senti in questa piccola area naturale. Sabato 30 settembreore 16.00 ingresso al Bosco, davanti all’ingresso dellachiesa (sopra la scalinata), ore 18.00.4. Escursione lunga sul Monte Artemisio (cresta e colatelaviche), boschi di castagno e particolarita botaniche. Do-menica 15 ottobre, alle ore 9.00. Piazzale cimitero Velletri.Pranzo al sacco. Ore 17.00.5. Escursione facile nel Bosco del Cerquone, l’ultimo bo-sco planiziale dei Castelli Romani, con enormi quercecentenarie. Domenica 29 ottobre, ore 9.00. Piazza Romaa Nemi. Pranzo al sacco. Ore 16.00.Per iscrizioni e informazioni potete rivolgervi al CREA, in Corso Vitto-rio Emanuele II, 18; tel. 06 9368027; e-mail: [email protected] .La quota di partecipazione all’intero corso è di lire 100.000 (lezione teorica,guida per le escursioni e dispense). La quota di iscrizione al singolo in-contro o escursione è di lire 25.000.

CAMPO AVVENTURANei boschi intorno al Lago di NemiOrganizzato da Reseda - Onlus in collaborazione con ilWwf Castelli Romani.Corso di vita all’aria aperta: un’immersione totale nellanatura per scoprirla, apprezzarla, viverla assieme ai coeta-nei. La vita al campo permette di acquistare autonomia esviluppare un forte senso sociale e di mettere in praticagioiosamente regole di vita ecologiche.Il campo e residenziale, si dorme in tenda.Il campo inizia a Nemi venerdi 6 ottobre alle ore 17.00 efinisce domenica 8 ottobre alle ore 18.30.Per ragazzi e ragazze dagli 11 ai 16 anni.La quota di partecipazione e di lire 60.000. Il programmadel campo è un vero e proprio corso di vita all’aria aperta.Come organizzare e realizzare un’escursione, fare un ac-campamento, cucinareall’aria aperta, costruire capanne e rifugi, utilizzare le cor-de e i metodi di salvataggio e pronto soccorso, orientarsicon le carte e la bussola. E inoltre a rispettare e conoscerela natura, gli alberi e gli animali.Per tutte le attività, svolte sempre in condizioni di massi-ma sicurezza, sono previsti veri e propri corsi con istrut-tori esperti e della zona.Per informazioni e iscrizioni potete rivolgervi al Crea in via VittorioEmanuele, 18, a Nemi; tel. 06 9368027.

CASTELLI ROMANI

Educazione ambientaleGià disponibili presso il Crea i programmie le proposte sull’educazione ambientale

Già nel mese di febbraio ho avuto modo, per diretta espe-rienza, di analizzare i problemi inerenti al trasporto (pub-blico o privato) con annessi servizi che dalla provinciac’immettono nel cuore della capitale e viceversa.Per chi, come me, non è abitudinario di trasporti pubblici èfacile cadere in trabocchetti e giungle normative.Il fatto. Acquisto due biglietti metro (per me e un amico),entriamo in stazione e, dopo pochi metri, mi accorgo dellamancanza del timbro sul mio biglietto. Torno indietro perannullarlo e senza spiegazioni l’inserviente mi chiede undocumento. Circa dieci minuti dopo mi si consegna un ver-bale, senza la possibilità di contestazione ed errato nellaforma: mi si riconosce «sprovvisto del titolo di viaggio».Presento un regolare ricorso, ricevendo per risposta unalettera già prestampata con « … spiacenti … ma …». Nonso se qualcuno ha letto le mie spiegazioni, di certo una man-cata timbratura della macchina si è tramutata in una multasonante: l’organizzazione amministrativa del Cotral ha fun-zionato. Peccato che la stessa situazione non è presente supullman e metro.Non di rado i pullman passano senza fermarsi, chi li usa(come i miei figli per andare a scuola) ne conosce tutti idisagi, non di meglio avviene nel metro o nei mezzi cittadi-ni. Con fare ironico il «Garante dell’Autority» ci rammen-ta che il rapporto qualità/prezzo dei nostri servizi è tra ipeggiori in Europa. Una cosa è certa: paghiamo senza sape-re cosa prendiamo e senza diritto al posto. Quanti di voi co-noscono il senso del B.I.T. (biglietto a tempo integrato) o iregolamenti di ogni ditta di trasporti? È con rammarico edisappunto che conosciamo disagi e disfunzioni. L’acquistodi biglietti o abbonamenti non ci considerano clienti da tute-lare che casualmente possono trovarsi in errore, bensì marioliche acquistano sì i biglietti, ma poi non li usano truffandocosì la società. Continuo a sentire un gran parlare di miglio-ramenti e funzionalità, ma nelle rare occasioni che mi si pre-sentano ritrovo immancabilmente l’Armata Brancaleone Ita-liana.Nella speranza che, in futuro, oltre a riconoscimenti ai di-pendenti con orologi e prossime parure, la società di tra-sporti pubblici si accorga dei clienti che chiedono un nor-male servizio nel reciproco rispetto.

Gelsino Martini

CASTELLI ROMANI

Trasporti: quale rapporto con i clienti?I clienti chiedono un normaleservizio nel reciproco rispetto

“I Pittori di Piazza Grassi”ringraziano

Siamo un gruppo di artisti che in Piazza Grassi a Fiumicinohanno creato il loro “Salotto”, per scambiare tra loro e percomunicare al pubblico la necessità di fare arte in tutte lesue forme, dalla pittura alla scultura,alla letteratura, allaceramica, alla musica, al teatro.È con questo spirito aperto e dinamico che ci muoviamoed affrontiamo conentusiasmo nuove esperienze.Siamo quindi grati al comune di Monte Compatri che ci haospitato dandoci la possibilità di stabilire nuovi ed interes-santi contatti.Augurandoci che tutto ciò porti ad una lunga ed interessan-te collaborazioneringraziamo.

I Pittori di Piazza Grassi

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Notizie in… CONTROLUCE settembre 20004 I NOSTRI PAESI

CASTELLI ROMANI

Lettera apertaSono indignato!In macchina non vedevo l’ora di arrivare a casa per accen-dere il modem e dare sfogo alla mia amarezza..Stasera ero su alla collina di Tuscolo con due amici. Vistele condizioni meteo avevamo deciso di salire su al Tuscoloper approfittare del grande vento che da tutta la giornatasferzava con inusuale intensità le nostre zone. Avevamo deiteloni coi quali abbiamo giocato a far gonfiare le vele. Dopouna ventina di minuti, verso le 22, essendoci messi propriosulla collina spartiacque tra l’interno della Valle Latina el’esterno della cinta tuscolana, proprio dove più forti arri-vavano le raffiche, non è stato affatto difficile distinguerenel buio due focolai; uno proprio sottostante la nostra po-

sizione - giù a val-le di fronte il ri-storante CasalMolara - e l’altroa ovest, sulla no-stra destra in mez-zo ai pini.In pochissimi mi-nuti, alimentatedall’incredibilevento, le fiammesotto di noi sisono estese a vi-sta d’occhio: ora

divoravano l’erba su di un circolo irregolare di una ventinadi metri di diametro.Avevamo i cellulari con noi ed è stato immediato mettervimano per avvisare le autorità.Ma qui iniziano le stranezze. Mi attacco letteralmente altelefonino, ma nè il 112 dei VVFF, nè il 113 di pronto in-tervento danno segni di vita. Solo dopo un buon numero ditentativi il mio amico riesce ad avvisare i vigili. Una voceaffrettata ci rincuora: due “macchine” sono già partite. Ri-prendiamo i nostri giochi, ma è penoso constatare che orail “cerchio” s’è allargato a più di 50 m di diametro e lelingue di fuoco stanno attaccando il ripido versante e risal-gono con preoccupante velocità la collina, mentre grossenuvole di fumo ci avvolgono.Ormai non è più tempo per le distrazioni, riprendiamo icellulari fino a ritrovare la stessa voce che con fastidio ciliquida “sono già sul posto…”Ma di autobotti e di lampeggiatori, nemmeno un riflesso.Preoccupati, decidiamo di scendere giùal Ristorante per andare il più vicino pos-sibile. Forse i vigili sono già lì e per unbuffo gioco prospettico siamo noi a nonvederli. Siamo già di ritorno verso ilpiazzalone, quando un volontario dellaProtezione Civile fende il buio con la suatorcia. “Finalmente” gridiamo, e lo gui-diamo sul ciglio della collina perché sirenda conto della gravità dell’incendio edella suaubicazione. Poi dopo un breve scambio,lo riacompagnamo alla sua auto dove, colsuo telefono privato, avvisa di nuovo leautorità competenti di cui ancora, però, non si vede l’ombra.Non soddisfatti, decidiamo ugualmente di scendere, per ren-derci conto di persona di questa misteriosa assenza. Per-corriamo velocemente la strada per Grottaferrata, ma dopoqualche curva ci si para di fronte un triste spettacolo: sulbordo della pineta, a ridosso della carreggiabile, parte unlungo fronte di fuoco che risale il pendio.Qualche auto passa ma non sembra interessata a quanto sta

succedendo.Solo un signore è lì fermo, preoccupato quanto noi del ri-schio che la pineta stava correndo. Io e Daniele non aspet-tiamo tempo: con in mano qualche vecchia coperta risalia-mo fino alle fiamme e tentiamo di soffocarle, mentre Ro-berto si dà da fare come unforsennato per richiamarei vigili e la Forestale, ma èinutile perchè i nostri mez-zi sono inadeguati e subitoi focolai si riattizzano.Stentiamo a credere a quelche sta avvenendo, nella piùsconfortante assenza di soc-corsi e con la frustrazionedi nonpoter fare nulla.Scendiamo sulla Tuscolana-Anagnina e solo lì i nostrisospetti prendono corpo:non c’è proprio il becco diuna autobotte, nemmenouna volante, nulla. Le autosfrecciano e la sterpaglia sopra le nostre teste arde.Andiamo fino in fondo, se ci hanno ripetuto che le due mac-chine sono uscite, allora andiamo a sincerarcene direttamentein caserma, solo lì potremo avere qualche spiegazione.A Frascati, alla Caserma dei VVFF ci apre un ragazzoche con la testa fa capolino dalla stanza operativa; ap-prezza il nostro interventismo e la disponibilità, ma nonpuò far altro che ripeterci di avere comunicato lesegnalazioni e di farci constatare di persona, che le dueunità sono effettivamente uscite...ma per andare dove sel’incendio è al Tuscolo? Ci dice che anche a RoccaPriora ci sono focolai, ma allora perchè nei luoghi doveeravamo noi dopo un’ora esatta - attorno alle 23 - anco-ra non s’era visto nessuno? Il giovane, presumo di leva,ci ringrazia, ma non siamo contenti e torniamo di nuovoalla pineta per accertarci che non fossero stati aggreditii grossi alberi da fusto.Non notiamo fiamme alte, ma inevitabilmente alimentatodal vento, ora il fronte si è spostato molto più su ed è quasiimpossibile rintracciarlo, tanta strada ha percorso e sfug-gendo così alla visuale che si ha dalla strada.I lettori immaginano le nostre considerazioni al rientro, dopola mezzanotte e un quarto. Ve le risparmio perchè sono

intuibili da chiunque.Il solito pastore-piromane che per ave-re pascoli più verdi, appicca su più frontiil fuoco? E se riesce a farlo con tale ef-ficacia e precisione ogni anno che pas-sa, allora sono due le ipotesi.O questo pastore è dotato di poteriparanormali, sa rendersi invisibile e su-scitare le fiamme col solo pensiero pernon lasciare traccia alcuna dei suoi mi-sfatti ( e non siamo in Barbagia dove cisono centinaia di pastori..), oppure le au-torità che devono vigilare all’integritàdei nostri residui boschi, quelli che

come eroici testimoni strenuamente sidifendono dalla morsa dell’urbanizzazione e dell’incuria,latitano inspiegabilmente.Vorremmo capire di più, compremndere cos’è sucesso..maforse solo l’arrivo della pioggia, stasera, ha evitato l’enne-simo italico scempio della disattenzione divenuta Costu-me.Tre amici che amano l’oasi di verde e storia di Tusculum

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Notizie in… CONTROLUCEsettembre 2000 5

Anche in questa edizione dell’anno2000 il Centro Culturale e la ConsultaFemminile di Colonna partecipano condiverse iniziative culturali alla Sagra del-l’uva organizzata dalla Pro Loco.Nei giorni 30 settembre e 1° ottobre sisvolgerà la tradizionale rassegna di Arteed Artigianato, ospitata nelle cantine delcentro storico, giunta ormai alla V edi-zione, che vedrà esposte le opere dipittura e scultura di affermati e braviartisti. Per la sezione Artigianato, l’arti-sta torinese Odilla esporrà le sue por-cellane dipinte. Una mostra particolaresarà dedicata alla Tailandia, che esporràoggetti di artigianato, tessuti, gioielli efiori, in una atmosfera magica dal profu-mo orientale.Per quanto riguarda la pittura, quest’an-no si replica con la II edizione della garaestemporanea di pittura «Colonna na-scosta», di cui a fianco il relativo bando.Il giorno 29 settembre l’anfiteatro diParco Tofanelli di Colonna ospiterà lospettacolo organizzato in collaborazio-ne con la sede locale della Unione Na-zionale Scrittori.

COLONNA

Sagra dell’uva e delle pescheAttività Centro Culturale e Consulta Femminile

SAN CESAREO

Risse da bettolaSiamo costretti nel duemila adassistere a liti degne di pollai

popolati da presuntuosigalletti e vanitose galline

Sono circolati per diversi giorni in tut-to il paese alcuni volantini composti efotocopiati in proprio in cui qualchebacchettatore dei comportamenti (al-trui) ha deciso di esprimere tutta la pro-pria indignazione per presunti malcostu-mi di governanti e personaggi in vista. Iquali, evidentemente, hanno ferito laprofonda moralità del censore che ècosì passato all’attacco. Insulti pesantiscritti in versi (a proposito, chissà se icompilatori dei volantini hanno mai let-to i versi di qualche poeta o visto qual-che film che non sia con Pierino), allu-sioni mica tanto velate, poco mancavache venissero allegate foto dei perso-naggi in atteggiamenti sconvenienti.Replica immediata degli offesi nellostesso stile dell’accusa (hai visto maiche un linguaggio più pulito non sareb-be stato capito). Finita l’epoca dei DonCamillo e Peppone, in cui i contrastierano forti ma in fondo c’era un impre-scindibile e profondo rispetto ed affet-to tra i contendenti, siamo costretti nelduemila ad assistere a liti degne di pol-lai popolati da presuntuosi galletti e va-nitose galline. Chi parla molto di cornae di malefatte, evidentemente conoscel’argomento molto da vicino, forse inprima persona, per poterlo affrontare.Fino a quando i cittadini dovranno sop-portare queste schifezze a base di offe-se, prepotenze e insulti? Fino a che pun-to queste cose andranno avanti? Verràanche il giorno in cui per dar sfogo alleproprie rabbiosità, frustrazioni,impotenze e voglie di violenza si arri-verà all’aggressione fisica solo per an-tipatia? In paese non sono nuovi gli epi-sodi di minacce, intimidazioni, aggres-sioni, acidi sui tetti delle macchine, let-tere minatorie ecc. Evidentemente que-sto clima degno del Bronx sta bene atutti, ed è l’unico modo che i prepoten-ti conoscono per farsi sentire e incute-re timore. Perché, è chiaro, chi è total-mente privo di valore e valori, chi è unpovero fallito, non conosce altro me-todo che la violenza (sia fisica che ver-bale) per mettersi in mostra. Tra pocotroveremo teste di cavallo davanti alleporte. Tuttavia, il cane che obbedisce alpadrone non per affetto ma per pauradelle bastonate, prima o poi morde. Ec’è chi dice che il clima che si respirain un piccolo centro è molto diverso daquello presente in città perché la gentesi conosce tutta e si è tutti amici. Menomale!

Luca Marcantonio

Due anni or sono una nota casa,costruttrice d’apparecchi d’illumina-zione, lanciava uno slogan e una sfida:«Chi ha rubato la via lattea?». Ilchiaro riferimento all’inquinamentoluminoso delle città non è dubbio: dif-ficile è illuminare e contemporanea-mente osservare il cielo sopra di noi.Da alcuni anni un lento e costante flus-so politico, con la via lattea, si èimpossessato della fine settimana deiroccaprioresi. Luglio e agosto rappre-sentano per i partiti il «week-endpride» della presenza e possesso so-ciale–amministrativo di Rocca Priora.L’apertura del ristorante «Piazzale P.Pallottini» è il sogno accarezzato nellungo inverno, non da meno del famo-so locale «ex Pineta».Arriva l’estate e sfolgoranti fari accen-dono la sera. I partiti sono presenti, di-retti, indiretti o in gestione. I localiaprono i battenti e stancamente ilfrastornante liscio invade icommensali. Così, in una fase deca-dente, sulle nostre teste non vi è più ilcielo. Sotto i riflettori «pasta & pesca»rimpinzano le povere casse dei partiti.Con il Patrono, santo dimenticato, sanRocchittu, l’ex pineta è facile preda,per i giovani un rifugio.Da bambini correvamo dalle «casi

ROCCA PRIORA

Chi ha rubato la via lattea?Perduto il piacere di seguire con gli occhi una stella cadente

spallate» allu «pullaru», pe’ la «cina»finu a «denanzi alla chiesa». Lu«vicolu de mezzu» co’ la piazza vivevai giorni della gente.Oggi tace il borgo, asfissiato dai mo-tori, oppresso dalle automobili, nonvissuto nelle strade, impantanato neiweek-end di partito, con diecimila abi-tanti dormienti non integrati nellastruttura sociale.L’ipocrisia del politico, intento a tra-scinare un «fiume di turisti» per ungiorno due o tre nel nostro paese, hadimenticato i giorni della gente e il si-gnificato di turismo.Il fiume di turisti passa lasciando de-triti e scorie, da gennaio a dicembre ilbuio. Strutture turistiche inesistenti,programmi solo scritti, territorio ab-bandonato agli assalti domenicali e alcemento. La parola d’ordine del nostropaese è: P.R.G. Unico obiettivo: quan-ti metri cubi, dove e per chi. Turismo,vita sociale, a redini salde in mano aipartiti.Il nuovo millennio ci restituirà la vialattea?E tu cittadino, troverai il tuo camminoper il borgo con il piacere di parlare,discutere alzando gli occhi per segui-re una stella cadente?

Martini Gelsino

I NOSTRI PAESI

Il lato nascostoAlcune pagine di riflessioni tese a scoprire illato nascosto delle cose: dal punto di vista deibambini, dei sofferenti, dell’amore tragico edell’amore grottesco. Partecipano l’attriceMarina Viganelli, il coro di gospel di Frascati,balletti orientali e musicisti. Invitiamo a parteci-pare a queste iniziative che caratterizzanoculturalmente la sagra dell’Uva di Colonna.

Carla Sbaraglia

Centro culturale comunaleBando di concorsoII gara estemporanea di pittura“Colonna nascosta”Premio unico £ 1.000.000Iscrizioni dalle ore 08.00 del giorno 30 settembreTimbratura delle tele in Piazza Vittorio EmanueleI concorrenti provvederanno alle tele ed ai coloriIl soggetto dei dipinti sarà uno scorcio di Colonnaa scelta dei concorrenti.La gara si svolgerà per le vie e le piazze di Colonnaper tutto il giorno 30 settembre 2000.Consegna delle opere alla Commissione entro leore 24.00 dello stesso giorno.Tassa di iscrizione L 50.000Numero minimo 10 iscritti

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Notizie in… CONTROLUCE settembre 20006

6) Centrali idroelettriche

Le centrali idroelettriche sono il modo più semplice perprodurre energia elettrica. Ma il loro impatto sull’ambien-te è rilevante. Sono costituite da una turbina idraulica, cioèazionata dall’acqua, che fa girare un alternatore; l’acquadeve naturalmente trovarsi a un livello più alto di quellodella turbina e deve essere convogliata, con opportunimezzi, fino alla turbina stessa. La spinta dell’acqua sullepalette della turbina provoca la rotazione di quest’ultima e,quindi, del rotore dell’alternatore, che genera l’energiaelettrica.Partendo dall’alto, cioè dal livello superiore, troveremoquindi:– un serbatoio d’acqua ad alta quota;– una condotta per portare l’acqua fino al livello dellaturbina (condotta forzata);– organi di intercettazione (paratoie, valvole ecc) sia supe-riormente che inferiormente alla condotta;– organi di regolazione, per graduare la quantità d’acqua e,quindi, la potenza di funzio-namento dell’impianto;– la turbina;– un bacino per la raccoltadell’acqua a bassa quota.Proviamo ora a calcolare lapotenza che può essere ero-gata da una centrale idroe-lettrica. Ricordiamo che sidefinisce potenza la quanti-tà di energia erogata in unsecondo, cioè il lavoro com-piuto in un secondo. Ricor-diamo anche la definizionedi lavoro come prodottodella forza per lo sposta-mento nella direzione della forza.Il calcolo, quindi, è molto semplice: la forza è costituita dalpeso dell’acqua, e la direzione della forza è quindi laverticale: lo spostamento nella direzione della forza èquindi il dislivello tra il bacino superiore e la quota dellaturbina. La potenza è quindi data dal peso dell’acqua chepassa nell’unità di tempo (il secondo) moltiplicato per ildislivello. Il peso dell’acqua nell’unità di tempo viene dettoportata ponderale; quindi, la potenza è data dalla portataponderale moltiplicata per il dislivello.Per esempio, supponiamo di avere:

Portata dell’acqua: 160 metri cubi/secondo (160.000Kg/s);Dislivello: 750 metri.

La potenza sarà data, in Watt, da (circa):

160.000 x 10 x 750 = 1.200.000.000 Watt

ENERGIA PER TUTTI

Le fonti di energiaUna facile esposizione per capire tutto dell’energia (8a parte)

Proseguiamo con la presentazione di una serie diarticoli divulgativi relativi al tema «energia».Ora sappiamo come viaggia l’energia elettrica,ma ancora sappiamo poco di come viene genera-ta; è quello che si vedrà in seguito.

Il 10 tiene conto delle unità di misura, come si può control-lare riandando alle definizioni delle varie unità.Per comodità, esprimiamo ora la potenza in Megawatt,cioè in milioni di Watt: la potenza di quest’impianto saràdata da 1.200 Megawatt.Il motivo per cui spesso occorre cambiare le unità dimisura è per avere numeri non troppo grandi e non troppopiccoli; è una cosa che facciamo tutti abitualmente senzapensarci, ma talvolta può produrre qualche difficoltà. Sipensi comunque a come sarebbe stravagante misurare ladistanza tra due città in centimetri o lo spessore di unalamiera in chilometri, e ci si rassegnerà a dover accettaresempre nuove unità. Nelle prossime pagine ne troveremoancora altre, ogni volta adatte alla circostanza.Tornando alle centali idroelettriche e all’esempio fatto,possiamo confermare che un impianto con le caratteristi-che indicate esiste realmente: è quello del Lago Delio. inLombardia, presso il confine con la Svizzera. Il serbatoioinferiore nel quale viene raccolta l’acqua dopo aver azionatola turbina è nientemeno che il lago Maggiore.Possiamo naturalmente avere la stessa potenza diminuen-do il dislivello e aumentando la porata, o viceversa. Esisto-no infatti centrali idroelettriche con salti (cioè dislivelli)inferiori a 600 metri, mentre ne esistono altre con saltisuperiori ai 1.000 metri, fino a 1.400 metri (Centrale diSan Fiorano, in Val Camonica). Al variare del dislivello,varia anche il tipo di turbina più adatta, per cui avremo:– per salti elevati, turbine tipo Pelton (1.200-1.800 m);

– per salti medi, turbine tipoFrancis (meno di 2.000 m);– per salti piccoli, turbinetipo Kaplan (da 5 a 32 m).I tre tipi di turbine differi-scono tra loro sia come ca-ratteristiche costruttive checome modalità di alimenta-zione dell’acqua. Nelle tur-bine Francis e Kaplan l’ac-qua non viene inviata suun’unica paletta come nellaPelton, ma su tutte le palet-te contemporaneamentemediante un distributore diforma anulare che circondala ruota. La turbina Pelton

viene detta «ad azione», mentre le altre due sono dette «areazione». Evitiamo di scendere in ulteriori dettagli de-scrittivi superflui per questa trattazione.Alcune centrali sono realizzate con più salti successivi, equindi a vari livelli (Centrale sul fiume Pescara). In questocaso, ciascun bacino inferiore diventa bacino superiore peril salto successivo, e così via.Vediamo ora come si fa a formare il serbatoio superiore,cioè l’immenso recipiente nel quale viene raccolta l’acquache serve per azionare la turbina.Occorrono ovviamente due cose: un bacino, cioè un avval-lamento naturale o artificiale, impermeabile sul fondo esulle pareti, perché l’acqua non filtri e venga dispersa; e unamassa d’acqua per riempirlo.Il bacino può essere in alcuni casi semplicemente il letto diun fiume, che in questo caso viene sbarrato con una «traver-sa», costituita da una particolare opera in muratura (o partein muratura e parte metallica). L’acqua viene derivata subi-to a monte di quest’opera. Naturalmente, poiché la portata

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Notizie in… CONTROLUCEsettembre 2000 7

dell’acqua è pari a quella del fiume e quindi sarà variabile,anche la potenza lo sarà nello stesso modo.Per ottenere invece una potenza più stabile, conviene accu-mulare l’acqua in un grande bacino, da sfruttare poi neimomenti di necessità. Quindi, occorre in questo caso unagrande opera di sbarramento, per evitare che l’acqua rac-colta defluisca verso il basso: questa grande opera è quellache viene chiamata «diga». Con la costruzione di una diga,si vengono a creare enormi bacini, veri e propri laghiartificiali: ne è un esempio il Lago Cecita o Mucone, chesi trova sulle montagne della Sila, in provincia di Cosenza.Fatto il bacino, occorrerà riempirlo; e a questo ci pensamadre natura, con le piogge, se questo è sufficiente; se nonlo è, ci pensa l’uomo, rimandando l’acqua nel bacino me-

diante una pompa dopoaverla sfruttata permuovere la turbina.Ciò può essere fattocon una pompa che sitrova sullo stesso assedella turbina, ma sepa-rata da essa (disposi-zione ternaria) o addi-rittura usando la turbi-na stessa come una

pompa); infatti, la turbina, se fatta ruotare da un motoreelettrico, diventa una pompa, in opportune condizioni.Quest’ultimo tipo di centrale viene detta «Centrale dipompaggio», ed è attualmente molto diffuso (Lago Delio,San Fiorano, Chiotas-Piastra).Da quello che si è detto, è chiaro che le centrali idroelet-triche non sono comunque in grado di fornire potenza concontinuità, perché il loro funzionamento è comunque lega-to a fenomeni naturali solo limitatamente prevedibili. Percui, esse non vengono adoperate per coprire in modopermanente i grossi carichi costanti (il cosiddetto «carico

di base») ma vengono usate per le punte di carico di duratalimitata.Resta da dire dell’impatto ecologico di una centrale idro-elettrica. Anche se in effetti dal punto di vista dell’inquina-mento atmosferico e ambientale è certamente il modo piùpulito di produrre energia elettrica, il suo impatto conl’ambiente è notevole, soprattutto per la presenza delladiga. Il principale elemento di rischio è infatti legato allapossibilità di cedimento della diga, ipotesiche non si realizza frequentemente, ma nonimpossibile, come dimostrano alcunidisatri effettivemente accaduti negli StatiUniti, in Francia e anche in Italia. Quelloavvenuto in Italia risale al 9 ottobre 1963 esi riferisce alla diga del Vajont, pressoBelluno. In questo caso, come forse moltiricorderanno, non fu la diga a crollare, mail bacino a traboccare per effetto delloslittamento e della caduta in esso di una falda montana;l’inondazione che ne seguì provocò la pressoché totaledistruzione del paese di Longarone e la morte di 2.000persone.Disastri del genere possono essere resi poco probabilimediante numerosi provvedimenti di sistemazione dei ba-cini montani, come palificazioni, rimboschimenti eseguitiin modo idoneo, drenaggi, argini ben sistemati, briglie ecc.Tutte queste operazioni richiedono l’intervento di numero-si tecnici ed esperti e la conoscenza di molti fenomeni cheapparentemente poco hanno a che fare con l’energia elet-trica. Alcuni di questi interventi presuppongono una vera epropria politica del territorio e abbracciano notevoli esten-sioni di terreno.Come conclusione, possiamo senz’altro asserire che l’im-patto sull’ambiente di una centrale idroelettica è di notevo-le entità.

Giovanni Vitagliano

ENERGIA PER TUTTI

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Notizie in… CONTROLUCE settembre 20008

Gli Stati Uniti si apprestano a effettuare il test di un inter-cettore-chiave del progettato scudo spaziale Echelon. Il test,che riesuma il vecchio progetto di Reagan delle «guerrestellari» (Star Wars), prevede il lancio di un razzo«Minuteman II» dotato di una testata non attiva.Il progetto rischia di minacciare i già fragili accordi per ildisarmo nucleare. Greenpeace ha inviato a Clinton una let-tera chiedendogli di fermare l’operazione. «Signor presi-dente, lei ha il dito sul bottone delle Guerre Stellari. Lasollecitiamo a toglierlo e a fare del mondo un posto piùsicuro per tutti.» Alla luce dei recenti passi internazionaliconcordati da Stati Uniti e Russia, l’effettuazione del testprevista è un grave passo indietro. Le parole del premiercinese a proposito del programma missilistico americanoconfermano tutte le preoccupazioni.(Fonte: Greenpeace)

Armando

Scudo spaziale EchelonSi cerca di riavviare il progetto

Minacciati gli accordi sul disarmo

DOVE VIVIAMO?

Migliaia di persone in tuttoil mondo stanno inviandomessaggi di condanna per lacosiddetta caccia «scienti-fica» alla balena;Greenpeace chiede agli ita-liani di partecipare attiva-mente alla campagna in di-fesa delle balene, con un faxo un e-mail all’ambasciatagiapponese.Dall’inizio della stagione dicaccia le baleniere giappo-nesi hanno catturato 27grandi cetacei; tra questi uncapodoglio e quattro bale-ne di Brydes, specie chevengono cacciate per la pri-ma volta dal 1986, quandoè entrata in vigore la

moratoria della caccia alla balena.«Quanto ancora il Giappone continuerà a sfidare l’opinione pubbli-ca internazionale e a minacciare le misure internazionali di prote-zione ambientale?» ha domandato John Frizell, responsabile della

campagna balene di GreenpeaceInternational, ribadendo che «laComunità Internazionale haespresso da tempo la propria op-posizione alla caccia alla balenamascherata da supposte finalitàscientifiche. Questa caccia allabalena non ha nulla a che vederecon la scienza, ma con il lucrativomercato della carne di balena.»Infatti la carne dei cetacei cattu-rati sarà venduta come speciali-tà gastronomica sul mercatogiapponese. Sfruttando l’espe-diente giuridico della finalitàscientifica, il Giappone catturaogni anno oltre cinquecento ba-lene. La decisione di estendere lacaccia al Pacifico settentrionalesarebbe finalizzata alla raccolta didati sul rapporto tra le balene e leloro prede; si tratta, in realtà, diuna pretesa sconfessata dalla stes-sa Commissione Baleniera Inter-nazionale (Iwc). Lo scorso luglio,infatti la Iwc tenutasi ad Adelaide,in Australia, aveva espresso la pro-pria opposizione al programmabaleniero giapponese. Una riso-luzione dai toni forti faceva nota-

re come il comitato scientifico della Commissione Baleniera Inter-nazionale non avesse convalidato tale programma, e invitava il Giap-pone a non portare avanti l’iniziativa. A fine agosto a Tokyo i rappre-sentanti di molte nazioni, tra cui anche l’Italia, hanno chiesto al Giap-pone di porre fine al programma «scientifico» baleniero; appelli per-sonali in tal senso sono stati inviati dal Presidente degli Stati Uniti, dalPrimo Ministro Britannico e dal Premier neozelandese.Greenpeace chiede al Giappone di interrompere subito il proprioprogramma baleniero, di annullare i permessi di caccia e di richia-mare in porto la propria flotta.(Fonte: Greenpeace)

Valeria Scillieri

Basta con la caccia alla balenaCon la scusa della finalità scientifica, la carne dei

cetacei viene venduta sul mercato giapponese

La bella Ve-nezia, metadei turisti,potrebbe ri-manere vitti-ma della suastessa lagunaprima diquanto previ-sto. Città-s i m b o l odell’innalzamentodelle acque,

tra il 1897 e il 1980 il livello del mare si è alzato di 2,7millimetri l’anno.A minacciare la «culla» degli innamorati non è solo il pro-gressivo scioglimento delle calotte polari, ma anche la«spinta verso il fondo dell’Adriatico» provocata dai pozzidi captazione delle acque per uso industriale e domestico,e da opere umane che hanno sostanzialmente modificato lamorfologia della laguna.Per salvare Venezia è necessario promuovere le energierinnovabili; rifornendosi di energia solare, grazie a pannel-li fotovoltaici di ultima generazione al silicio cristallino.Greenpeace ha promosso tale tema ai visitatori del Festivaldel cinema e il mondo del cinema ha accolto l’appello perle energie pulite, che è stato sottoscritto da Paolo Villag-gio, Gabriele Salvatores, Giuseppe Tornatore, Citto Maselli,Francesco Salvi, Davide Riondino, Dario Vergasola, PeterMullan e dalla madrina del Festival Chiara Caselli.(Fonte: Greenpeace)

Valeria Scillieri

Salviamo Venezia

I balenieri commerciali hannosfruttato quasi tutti i grandiCetacei, portandone alcunespecie e molte popolazioni vi-cino all’estinzione, soprattuttodopo l’adozione dell’arpioneesplosivo sparato dalcannoncino (a partire dal1864) e delle navi “fabbrica”(impropriamente dette navi“fattoria” dall’inglese factoryships. Malgrado ciò, il com-mercio internazionale dei pro-dotti di balena, che era enor-me, anche se è ora molto di-minuito, non è cessato del tut-to. Eppure esistono oggi sosti-tuti naturali e sintetici di tutti iprodotti dei grandi cetacei, aprezzi competitivi.

Baleniera olandesedel XVIII secolo

Menwith -InghilterraStazioni diricezione disegnali dasatellite

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Notizie in… CONTROLUCEsettembre 2000 9

A causa della posizione geografica edegli impegni internazionali assunti,

negli ultimi anni l’Italia ha visto aumen-tare il numero dei rifugiati residenti nelterritorio nazionale, i quali, pur poten-do lavorare nel paese ospite in base allaConvenzione di Ginevra del 1951, han-no serie difficoltà di integrazione.

In alcune regioni i problemi sono mag-giori visto che la quantità di sbocchi la-vorativi è limitata anche per gli italiani;in altre località le possibilità di inseri-mento nel mondo del lavoro sono mol-teplici, ma non vengono utilizzate a cau-sa della mancanza di alloggi, visto chemolti locatori non sono disponibili adaffittare appartamenti agli stranieri.La situazione è aggravata dal fatto che,dopo avere risolto problemi qualiorientamento, lingua e sussistenza me-diante lavori saltuari o l’inserimento incircuiti assistenziali, queste personesono comunque prive di quei rapporti

Il Consiglio Italiano per i Rifugiati«informali» tanto importanti nell’ano-malo mercato del lavoro in Italia. È inbase a tali presupposti che il ConsiglioItaliano per i Rifugiati (Cir) gestisce datre anni il progetto «Da assistiti a ri-sorse» (Daar), finanziato dalla Com-missione Europea e finalizzato a for-nire un sostegno al processo di inte-grazione dei rifugiati legalmente resi-denti in Italia, nonché i mezzi e gli stru-menti necessari per l’inserimento nelmercato del lavoro.Mediante l’individuazione di nuove ediverse aree (Bologna, Como, Romaecc.) di operatori territoriali e la crea-zione di una rete che coinvolga Enti lo-cali, associazioni di categoria, organiz-zazioni non governative e sindacali, ilprogetto vuole creare le condizioni perl’inserimento dei rifugiati nel tessutosocio-economico italiano. Personalequalificato, infatti, assicura consulen-za e orientamento al lavoro anche at-traverso l’elaborazione di progetti in-dividuali di inserimento per coloro cheintendano avviare un’attività di lavoroautonomo, frequentare corsi di forma-zione, stage o effettuare tirocini for-mativi. Il Cir vorrebbe coinvolgere nelprogetto ex manager in pensione, chepotrebbero aiutare il rifugiato nella ri-cerca di un lavoro dipendente o nell’av-vio di un’attività autonoma mettendo adisposizione le conoscenze e la rete dicontatti personali acquisiti nella vita

professionale. Questi potrebbero lavo-rare in favore del rifugiato, offrendogratuitamente i loro servizi di consu-lenza e orientamento, presso la sede delCir. Vista la natura degli incarichi, do-vrebbero avere, preferibilmente, espe-rienza in gestione del personale e del-le risorse umane, oltre alla conoscen-

za delle principali lingue veicolari.Chi volesse offrire la propria disponibilità edesperienza, può inviare il proprio curriculumvitae all’e- mail [email protected] o unfax all’utenza 06 4874848.Non dobbiamo dimenticare che i rifu-giati, costretti a fuggire dal loro paesea causa di persecuzioni di natura poli-tica, sono spesso persone con un altolivello di scolarizzazione e di cultura;possono quindi costituire elementi diarricchimento per la società italiana,trasformandosi da «assistiti» a «risor-se» importanti, produttive e feconde.

Valeria Scillieri

Dal 1° gennaio2000, il progetto«Azione Comune2000» fornisce inItalia accoglienza aprofughi, richie-denti asilo e rifu-giati di qualsiasi

provenienza; questo, già sperimentatoin un programma parzialmente analo-go terminato il 31 dicembre scorso, èapparso come il primo tentativo strut-turato e coordinato di porre in essereun nuovo modello d’accoglienza.Capofila del progetto, finanziato dallaCommissione Europea e cofinanziatodal Ministero dell’Interno, è il Consi-glio Italiano per i Rifugiati (Cir), par-tecipano molti altri enti e associazio-ni che collaborano strettamente peroffrire ai profughi, richiedenti asilo erifugiati, un’accoglienza altamentequalificata che garantisca sicurezza edignità ai beneficiari, favorendo anchela realizzazione concreta di ogni sin-golo progetto di vita. L’accoglienza in«Azione Comune 2000» è affiancatada attività trasversali quali orientamen-to sociale, legale, corsi di lingua ecc.e supportata dalla formula «contribu-

Azione comune 2000ti alloggio» attraverso la quale sonogli stessi fruitori del servizio ad atti-varsi per trovare una soluzione al pro-blema dell’alloggio e a proporla al-l’ente erogatore. Le destinazioni deiprofughi verso i centri di «Azione

Comune 2000» sono coordinate da unservizio di Banca Dati Posti, gestitodell’Ics, ideato allo scopo di fornireil più efficace incontro tra la doman-da e l’offerta di assistenza nell’inseri-mento in ogni struttura; ad essa è stataaffiancata una Banca Dati Servizi, ge-stita dalla Casa dei Diritti Sociali, con-cernente i servizi proposti, tra i qualila mediazione interculturale offerta dalCies.

DIRITTI UMANI

Di fatto, però, il progetto si scontracon l’incertezza del diritto e delle pro-cedure relative alla possibilità di la-vorare dei richiedenti asilo in Italia;tale incertezza influisce anche su quan-ti hanno ottenuto un permesso di sog-giorno per protezione temporanea,scaduto lo scorso 30 giugno, per cuiincontrano molte difficoltà di inseri-mento nel mondo del lavoro. Nel ten-tativo di abbattere tutte le problemati-che del caso, i partner di Azione Co-mune, le organizzazioni, gli enti e leistituzioni locali hanno collaborato inuna molteplicità di realtà per la gestio-ne di piccoli centri disseminati sul ter-ritorio e sono stati coinvolti nel pro-gramma promuovendo la creazione oil rafforzamento di «reti locali» indi-spensabili per la qualità dell’acco-glienza.Il progetto ha realizzato un passo im-portante verso la creazione, in Italia,di una piattaforma di organizzazionigovernative e non nel campo dell’asi-lo, attuando una stretta cooperazionetra soggetti profondamente diversi maoperanti nello stesso settore e con lemedesime finalità.

Valeria Scillieri

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Notizie in… CONTROLUCE settembre 200010

Fin dall’antichità, l’homo sapiens ha sentito la necessitàdi creare strumenti che lo assi-

stessero nelle sue varie attività. Inparticolare, una gran rilevanza e dif-fusione hanno sempre avuto gli stru-menti per calcolare, dai primi rudi-mentali abaci in uso presso le piùantiche civiltà fino agli attuali cal-colatori elettronici. Nelle varie pun-tate ricostruiremo brevemente lastoria di tali strumenti, mostrandoanche alcune curiosità, come l’im-propria attribuzione a Pitagora del-l’omonima tavola di moltiplicazio-ne e alcune sue semplici ma curio-se proprietà.

La mano: primo strumentoLa mano ha costituito, e costitui-sce tutt’oggi, lo strumento piùsemplice e naturale d’aiuto all’uo-mo per svariati compiti, materialie no. Con la mano egli è in grado divestirsi, mangiare, bere, eseguiresforzi fisici, salutare, minacciare,parlare attraverso un linguaggiogestuale. Non sorprende dunqueche l’uomo, anche per contare efar di conto, prima ancora di co-struire altri strumenti, abbiasfruttato le straordinarie possi-bilità delle sue mani. «Certo, –dice Georges Ifrah, insigneesperto di numerologia– per l’al-to numero delle sue parti ossee edelle articolazioni corrispon-denti, per la disposizioneasimmetrica delle dita e la lororelativa autonomia, infine, per ildialogo permanente che essa in-trattiene col cervello, la manodell’uomo costituisce la piùstraordinaria concentrazione na-turale di risorse in questo cam-po» [1].Le possibilità offerte dalle mani per conta-re sono svariate e furono utilizzate dai po-poli antichi, dall’Estremo Oriente fino alMediterraneo.La maniera più banale è quella di rappresen-tare con le dita i numeri interi a cominciaredall’unità, come si fa con i bambini perinsegnare loro a contare. Si tenga presenteche il termine anglosassone digit, ormaientrato nell’uso universale per indicare ilconcetto di cifra, deriva dal latino digitus,che significa dito.Un metodo, molto diffuso nell’Antico Im-pero dell’Egitto faraonico e nell’ImperoRomano, era basato su ben definitegestualità delle mani, simili al linguaggiodei sordomuti, che permetteva di contarefino a 99 su una mano e fino a 9.999 suentrambe le mani (figura 1). Gli scavi archeologici hannoportato alla luce molti gettoni romani di osso o avorio cheportano una doppia rappresentazione dei numeri: su una

Voglia di calcolareBreve storia degli strumenti

faccia la rappresentazione tramite le mani e sull’altra ilnumerale romano (figura 2).Un’altra tecnica, tutt’oggi diffusain India e nella Cina meridionale,consisteva nel contare per mezzodelle 14 falangi (figura 3) o delle15 giunture delle dita di ciascunamano (figura 4). Il «grassello» delpollice contava come giuntura.I Cinesi estesero notevolmente lepossibilità di rappresentazione deinumeri tramite le mani, conside-rando ciascuna giuntura delle ditasuddivisa in tre parti: sinistra, cen-tro e destra. Introdussero, poi, alivello soltanto strumentale, il prin-cipio posizionale nella numerazio-ne. Ogni dito, infatti, rappresenta-va un ordine di unità. Nel sistemadecimale, cominciando dalla manodestra, il mignolo stava per le unitàsemplici, l’anulare per le decine, ilmedio per le centinaia ecc., prose-guendo la numerazione, con lo stes-so criterio, nella mano sinistra. Le

parti sinistra, centrale e destradelle tre articolazioni delle ditarappresentavano le unità sempli-ci, per un totale di nove, comevuole il sistema di numerazionedecimale. In conclusione, conuna mano si arrivava a rappresen-tare fino al numero 99.999 e conentrambe le mani si poteva arri-vare fino al numero9.999.999.999 (figura 5). Contale sistema, oltre che contare,si era in grado di eseguire tutte leoperazioni aritmetiche fino al-lora conosciute.

L’abacoLa costruzione di strumenti percomputare è comune a tutti i po-

poli dell’antichità. Essi sono stati utilizzatianche dopo l’introduzione dei sistemi dinumerazione scritta, sia perché il calcolostrumentale è più rapido, sia perché fino atempi abbastanza recenti erano veramentepoche le persone che sapevano leggere, equindi in grado di utilizzare la numerazionescritta.I primi a costruire un abaco furono, allostato attuale delle fonti storiche disponibi-li, i Babilonesi, che intorno al V, IV sec.a.C. utilizzavano già uno strumento di mar-mo di forma rettangolare, su cui eranoincisi due gruppi di undici linee verticaliattraversate da una linea orizzontale. Nel-l’isola di Salamina, è stato ritrovato unesemplare di tale abaco (figura 6).

L’abaco a polvereGli antichi Fenici, gli Ebrei e poi i Greci, gli Etruschi e iRomani usavano come strumento di computazione unatavoletta rettangolare di legno o una lamina di bronzo,

CURIOSITÀ STORICHE

Figura 1

Figura 2

Figura 3

Figura 4

di Luca Nicotra

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Notizie in… CONTROLUCEsettembre 2000 11

unità al quale la scanalatura era riser-vata. Cominciando da destra, la primascanalatura era quella delle unitàfrazionarie, la seconda era dedicataalle unità semplici e sopra di essa figu-rava il numerale I, la terza era dedicataalle decine e aveva sovraimpresso ilnumerale X, la quarta scanalatura eraquella delle centinaia e aveva il corri-spondente numerale C, e così via. Al-l’interno di ciascuna scanalatura, se-condo i modelli di abaco che si susse-guirono nel tempo, erano disposti tan-ti sassolini (calculi, da cui il terminecalcolare) o dischetti (abaculi) omonetine (denarii supputatorii) quan-ti erano le unità di quell’ordine darappresentare. Se in corrispondenza diciascuna scanalatura, iniziando dallaprima a sinistra non vuota, si scrive ilnumerale corrispondente all’ordinedelle unità della scanalatura tante vol-te quanti sono i calculi in essa conte-nuta, si ottiene la rappresentazionescritta del numero indicato dall’abaco,secondo il sistema di numerazioneadditivo romano1. Il numero era, quin-di, pensato come somma delle unitàdei vari ordini. Di tale abaco, utilizza-to dai Greci e dai Romani, esistononumerose citazioni nella letteraturaclassica (Polibio, Plutarco, Erodoto,Lisia, Orazio). Basti ricordare quelladi Orazio, il quale nella Satira I, 6,descrive i fanciulli che si recano ascuola portando a tracolla la tavolettae la cassettina contenente i calculi:«Causa fuit pater bis, qui macro pauperagelloNoluit in Flavi ludum me mittere, magniQuopueri magnis e centurionibus orti,Laevo suspensi loculos tabulamquelacerto,Ibant octonis referentes idibus aera.»Come fossero eseguiti i calcoli conl’abaco a lapilli, com’è anche chiamatoil tipo d’abaco precedentemente descrit-

to, non è stato tramandato ed è perciò sostanzialmente scono-sciuto, anche se sono state avanzate varie congetture. Ciò cheè certo è che il suo uso doveva essere semplice e rapido,essendo esso usato dai ceti non colti e dai ragazzi a scuola,come ci racconta Orazio. Dell’abaco a lapilli sono pervenutefino a noi due testimonianze iconografiche: un’effigie incisa

CURIOSITÀ STORICHE

chiamata abak dai Fenici, avak dagliEbrei, αβαχ dai Greci, apcar dagli Etru-schi, abacus dai Romani. Il significatocomune ai tre termini è quello dell’anticaparola fenicia abak (polvere), dalla qualederivano. Infatti, sulla tavoletta aderiva,per mezzo di un collante, della polvere dicolore verde (pulvis hyalinus) in modoche su di essa si potessero tracciare conuna bacchetta (radius) simboli numericie figure geometriche, utilizzandola cosìcome noi oggi usiamo la lavagna.L’abaco a polvere è menzionato da nume-rosi autori antichi. Cicerone (106-43a.C.) ne parla nelle sue TuscolanaeDisputationes (Quaestio V,23):« … ex eadem urbe humilem homunculuma pulvere et radio excitabo, qui multisannis post fuit Archimedes»,da cui risulta, com’è a tutti noto, cheArchimede usava tale tipo di abaco, perdisegnare figure geometriche.Anche Virgilio (70-19 d.C.) lo cita nellesue Egloghe (III,40):« … si quis fuit alterDescripsit radio totum qui gentibusorbem».Persio (34-62 d.C.) scrive nella Satira I:«Nec qui abaco numeros et secto inpulvere metas,Scit risisse vafer, multum gaudereparatus.Si cynico barbam petulans nonariavellat.»Marziano Capella (sec. V d.C.) nella suaenciclopedia sulle sette arti libertali DeNuptiis Philologiae et Mercuri, scritta informa allegorica, lo descrive ampiamentenei libri dedicati alla Geometria e all’Arit-metica:«Patent denique jam ingressurae artesquae decentem quamdam, atque hyalinipulveris respersione coloratam velutmensulam gestitantes. Illud quippe quodgerulae detulerunt, abacus nuncupatur,res depingendis designandisque oppor-tuna formis. Quippe ubi vel linearesductus, vel circulares flexus, vel triangulares abradunturaufractus» (Liber VI, De Geometria).«Sic abacum perstare jubet, sic tegmine glauco panderepulvereum formarum ductibus aequor.» (Liber VII, DeArithmetica).

L’abaco a lapilliSuccessivamente, iRomani usarono unaltro tipo di abaco,costituito da una ta-voletta rettangolaresulla quale eranopraticate alcunescanalature paralle-le al lato minore, aldi sopra di ciascunadelle quali si trova-vano impresse lelettere del sistemadi numerazione ro-mano, che indicava-no l’ordine delle

Figura 5

Figura 6

Figura 7

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nella gemma calculatoria conservata al gabinetto delle meda-glie della Biblioteca Nazionale di Parigi e un’altra scolpita inun sarcofago romano conser-vato al Museo Capitolino diRoma. Nella gemmacalcolatoria di Parigi è rappre-sentato un ragazzo seduto da-vanti a un tripode contenente icalculi e che regge con la manosinistra la tavola2. Nel sarcofa-go romano, invece, è rappre-sentato uno schiavo che tienefra le mani una tavoletta condei sassolini3.L’uso dell’abaco a lapilli (fi-gura 7) si protrasse fino al-l’inizio del sec. XVI, com’ètestimoniato dallo scolio aBeda il Venerabile delNoviomago (Scholia inBedam, cap. De Digitatione):«Est et alia numerorum ratioper calculos, in tabula deli-neata, ductibusparallelispositos quae et ipsavetus est, neque ab usurecessit: nisi quod lococ a l c u l o r u m ,nummie nuncutantur, atquehujus est et fuitusus inn u m e r a n d i ss p e c i e b u snegotialibus.»

L’abaco a botto-niIn una lettera in-viata al Lipsio, il15 marzo 1593, ein una successivainviata alCamerario, il 18agosto dello stes-so anno, il Velserodescrisse un terzo tipo di abaco usato dai Romani, detto«abaco a bottoni»4. Nel 1853, il padre gesuita Garrucci trovòun esemplare di abaco a bottoni che oggi definiremmo diformato tascabile, e che fu poi conservato al museoKircheriano5. Si tratta di unalamina di bronzo, lunga 11,5cm e larga 9,4 cm, recantenove scanalature parallele allato minore divise in due partida una linea orizzontale (figu-ra 8). Ciascuna scanalaturadella parte inferiore contienequattro bottoni (aerae), adeccezione della seconda dadestra che ne ha cinque. Lescanalature superiori hannoinvece ciascuna un solo bot-tone, che vale cinque unitàdell’ordine della scanalaturacui appartiene. Iniziando dadestra, le prime due scanala-ture sono dedicate alla rappresentazione delle unità frazionarie:la prima, priva della parte superiore, è dedicata alla semionciaS (semis), al quarto d’oncia ⊃ (sicilicus), e al sesto d’oncia Z

(sextula), mentre la seconda è riservata alle once. Le succes-sive scanalature dell’abaco sono dedicate rispettivamente alle

unità sem-plici I, alledecine X,alle centi-naia C,alle mi-gliaia (I) ,alle deci-ne di mi-gliaia ((I)),alle centi-naia di mi-g l i a i a(((I))), aim i l i o n i((((I))))6.La rappre-sentazio-ne di un

numero era effettuata spostando entro ciascuna scanalatura,verso la linea di separazione fra le due parti dell’abaco, unnumero di bottoni pari al numero di unità da rappresentare perciascun ordine, tenendo presente che un bottone superiore

vale cinque uni-tà dello stessoordine. Peresempio, il nu-mero otto erarappresentatospostando, nel-la terza scanala-tura delle unitàsemplici, versola linea orizzon-tale tre bottoniinferiori e quel-lo superiore.L’uso dell’aba-co a bottoni ven-ne meno già nel

secolo XIV, vale a dire due secoli prima rispetto all’abbando-no dell’abaco a lapilli, probabilmente per la ragione cheessendo più complicato di quello a lapilli, era utilizzato

Figura 8

Figura 10

Figura 9

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soprattutto dai ceti più abbienti, i quali vennero per primi aconoscenza sia del nuovo abaco a co-lonne sia del nuovo sistema posizio-nale di numerazione scritta. Questoutilizzava le cifre indoarabiche diffu-se nell’Occidente europeo nel secoloXIII, principalmente per opera diLeonardo Pisano detto Fibonacci, chenel suo celeberrimo Liber Abaci(1202) non solo illustrò il nuovo si-stema, ma espose anche, utilizzando-lo, tutta l’aritmetica elementare allo-ra nota. Probabilmente, la diffusionein Europa del sistema posizionale edelle cifre indoarabiche avvenne gra-dualmente attraverso gl’intensi con-tatti commerciali dei ricchi mercanti italiani con il mondoorientale, particolarmente fiorenti nel Basso Medioevo (se-coli XI-XIII). Tali mercanti conoscevano, per motivi di conta-bilità commerciale, il modo di calcolare basato sul principiodi posizione e sulle cifre indiane, già in uso in oriente. In ognicaso, si tenga presente che nel 1156 appariva nel MondoOccidentale la prima traduzione in latino, con il titolo Liberalgorismi de numero indorum, dell’opera scritta negli anni800-825 dal matematico arabo Mohammed Ben Musa dettoAl Khovarizmi, nella quale è illustrato il sistema di numerazio-ne posizionale usato dagli Indiani già dal secolo V. Tuttavia, ilmerito della diffusione di tale sistema in Occidente è dovutoall’opera citata di Leonardo Pisano, che ebbe grandiffusione e influenza in Europa.

L’abaco ad anelliSi ritiene che i primi Cristiani diffusero in Cinal’abaco nel secolo XIII circa, almeno nella formaattuale dello swan-pan (figura 10), come è chia-mato l’abaco dai cinesi. Questa tesi è confortatadalla notevole rassomiglianza fra lo swan-pan el’abaco tascabile dei Romani: al posto delle scana-lature ci sono delle aste verticali, e al posto deibottoni delle palline che possono scorrere lungotali aste. In particolare, come nell’abaco a bottoniromano, l’abaco cinese è diviso verticalmente indue parti da un’asticciola orizzontale, e per ogniasta ci sono due palline superiori e cinque inferiori. Ogni asta,come nell’abaco romano, corrisponde a un ordine decimale,e spesso le prime due da destra sono dedicate rispettivamenteai centesimi e ai decimi, per cui l’ordine delle unità corrispon-de alla terza asta, quello delle decine alla quarta, e così via. Ilnumero di unità di ogni ordine è ottenuto spostando verso latraversa orizzontale il numero di palline necessarie, tenendopresente che ogni pallina della parte superiore vale cinqueunità dell’ordine corrispondente all’asta entro cui è infilata. Intal modo, sembrerebbe che lo swan-pan possieda per ogniasta due palline in più rispetto al necessario, una superiore euna inferiore, poiché per rappresentare il numero massimo diunità di ciascun ordine, cioè nove, è sufficiente spostare versola traversa di separazione una pallina superiore, che vale 5, equattro inferiori, che valgono 4. In realtà le due palline ineccedenza servono per rappresentare risultati parziali di addi-zioni, sottrazioni, moltiplicazioni e divisioni, superiori a nove.Nel 1.600 circa, tramite i contatti in Korea con i cinesi, igiapponesi lo modificarono l’abaco cinese dall’originariomodello 2/5 nel al modello 1/4,7 ottenendo il loro soroban(figura 11), tutt’oggi in uso in Giappone presso i negozi einsegnato nelle scuole. I cinesi e i giapponesi erano moltoabili nel calcolo strumentale e ancor oggi la cultura dell’abacoè molto diffusa in Cina e in Giappone. Il 12 novembre 1946,cioè agli albori dei calcolatori elettronici, a Tokyo si tenne unacuriosa competizione sportiva di velocità fra un operatore aldi calcolatore elettricheonico e un abachista, con un risultato

davvero incredibile: la palma della vittoria spettò all’abachista!

La Mensa Pithagorica. Dall’abacoall’algoritmoL’osservazione attenta dell’abaco sug-gerisce in quale modo, probabilmen-te, avvenne il passaggio dall’anticoabaco romano alla sua versione me-dioevale, l’«abaco a colonne», che ri-sulta ormai uno strumento di calcoloin perfetta sintonia con il sistema po-sizionale di numerazione scritta, tantoda perdere la sua ragion d’essere.Infatti, l’abaco descritto precedente-mente, nelle sue varie forme costrut-tive, contiene esso stesso l’idea del

valore posizionale delle cifre, in quanto ogni scanalatura èdedicata a un ordine di unità e quindi pone in evidenza il diversopeso dei calculi secondo la scanalatura cui appartengono. Peresempio, tre calculi entro la scanalatura delle unità semplicihanno evidentemente un valore diverso (tre unità semplici) daquello di altrettanti calculi contenuti nella scanalatura dellecentinaia (tre centinaia). Insomma, la rappresentazione di unnumero fornita dall’abaco (rappresentazione strumentale) eradecisamente posizionale fin da tempi antichissimi, mentrequella scritta (rappresentazione per numerali) era additiva.Ebbene, l’applicazione del principio di economia alla rappre-sentazione dei numeri per mezzo dell’abaco portò a trasferire

il principio di posizione anche alla scrittura.Per intendere pienamente il significato di questaasserzione, conviene esaminare più a fondo l’ideache sta alla base del principio di posizione.Il sistema utilizzato per numerare si basava, già datempi remoti, sulla possibilità di pensare un nume-ro come somma delle sue unità semplici raggrup-pate in gruppi di potenze della base del sistema dinumerazione adottato. In particolare, nel sistemadi numerazione decimale, che è a base dieci, isuccessivi gruppi contengono tante unità sempliciquante ne indicano le successive potenze naturalidel numero dieci. In altri termini, un numero qual-siasi è considerato come somma di 100=1, 101=10,102=100, 103=1000 unità ecc. Tali gruppi, a loro

volta, sono considerati essi stessi unità complesse, rispettiva-mente del primo ordine o semplici, del secondo ordine odecine, del terzo ordine o centinaia, del quarto ordine omigliaia ecc. In tal modo, nel sistema decimale, dieci unità diun certo ordine formano un’unità dell’ordine immediatamen-te superiore. Per rappresentare un numero, sarebbe quindinecessario un doppio sistema di rappresentazione: un insiemeinfinito di simboli per le unità dei vari ordini superiori al primo(nel sistema decimale le decine, centinaia ecc.) e un insiemefinito di simboli per rappresentare il numero di unità diciascun ordine che per definizione è, al massimo, pari alla basemeno uno ( nove, nel sistema di numerazione decimale).Ora, è interessante osservare che tali simboli possono esseresia oggetti che segni scritti, in entrambi i casi conservando laloro identica funzione di sostitutivi di entità matematiche.Nel caso della scelta di simboli-oggetto, si ha l’abaco nelle suavarie forme. Per rappresentare le unità semplici si usanooggetti-simbolo tutti uguali fra loro (per esempio i calculi) inquantità pari al numero massimo di unità ammissibile per ogniordine (nove nel sistema decimale), oppure in quantità mino-re, se si conviene di assegnare ad alcuni di tali simboli-oggettoun valore diverso, come avviene nell’abaco a bottoni, ove ilbottone superiore vale cinque bottoni inferiori, in altre parolecinque unità. La distinzione dei vari ordini di unità è affidataalla diversa posizione delle scanalature in seno all’abaco.Se, invece, i simboli sono dei segni scritti, si ottiene unsistema di numerazione scritta. In particolare vogliamo mo-

Figura 11

Figura 12

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strare il processo di evoluzione dall’abaco al sistema dinumerazione scritta posizionale.Si potrebbe pensare dapprima di usare al posto dei calculi deiRomani, usati per rappresentare con ogget-ti le unità semplici, dei simboli scritti.Questi devono essere diversi l’uno dall’al-tro e tanti quante sono le unità semplici,cioè nove nel sistema decimale. Tali sim-boli scritti sono detti «cifre». Dentro cia-scuna scanalatura dell’abaco si potrebbequindi porre la cifra che indica il numero diunità dell’ordine corrispondente alla sca-nalatura, sostituendo così i calculi (figura12). Successivamente, si può pensare dieliminare anche le scanalature o colonne, erappresentare i diversi ordini delle unitàanch’essi con segni o simboli scritti. Uti-lizzando, per esempio, le attuali cifre, ilnumero 2.467 si potrebbe scrivere nel se-guente modo:

1000 100 10 1 2 4 6 7

cioè ponendo sotto al simbolo di ciascunordine (nel nostro caso 1, 10, 100 ecc.) la cifra che indica ilnumero di unità di quell’ordine che contribuisce alla forma-zione del numero in questione. Tale tipo di scrittura, che nonè ancora posizionale ma semplicemente moltiplicativa, fu inuso fin da tempi antichissimi presso le popolazioni orientali(Cinesi).8Essa non è altro che la trasposizione grafica dell’abaco: alposto delle scanalature ci sono le cifre 1, 10, 100 ecc. cheindicano i vari ordini di unità, e al posto dei calculi ci sono lecifre che indicano le unità semplici dei vari ordini. Il principiodi economia suggerisce, poi, di evitare d’inventare e scriveresimboli diversi per indicare i vari ordini, che sono, fra l’altro,infiniti.Tali simboli diventano superflui, e quindi possono esseresoppressi, se si conviene di affidare alla posi-zione delle cifre, indicanti il numero di unitàdei vari ordini, il compito di specificare l’ordi-ne delle unità stesse. Si ha così il ben notoprincipio posizionale applicato alla numera-zione scritta. È però necessario, a questo pun-to, introdurre un altro simbolo, lo zero, perindicare l’assenza di unità. In tal maniera, perrappresentare in forma scritta un numero, co-munque grande esso sia, risultano sufficienti isimboli grafici (cifre) utlizzati per indicare leunità semplici e lo zero, vale a dire 10 nelsistema decimale. È l’affermazione del princi-pio di economia, che successivamente infor-merà di sé tutta la scienza moderna, trovando lasua massima espressione nel formalismo ma-tematico, cui ricorrono sempre di più le scien-ze sperimentali e d’osservazione (astronomia).È su tali osservazioni che dovette attuarsi un’im-portante modifica dell’abaco a bottoni degliantichi Romani, la quale consistette nel sosti-tuire i calculi con un unico gettone posto al disopra di ciascunascanalatura e portante impressa la cifra designante il numerodi unità di quell’ordine rappresentato dai calculi prima presen-ti fisicamene entro le scanalature e ora soppressi. Il terminegettone deriva dal latino iacere, che significa gettare. Infatti,i calculi erano gettati entro le scanalature: il gettone sostituìcosì di nome e di fatto l’operazione del «gettare i calculi»,soppressa nel nuovo abaco. Tali cifre9, impresse nei gettoni,furono chiamate apici o figure d’abaco per ovvi motivi, ederano molto somiglianti alle cifre arabe (figura 12).

Questa variante dell’antico abaco romano fu attribuita, dallatradizione, ai Neopitagorici della scuola alessandrina, il chespiega i nomi Mensa Pithagorica o Tavola Pitagorica o Arco

Pitagorico con i quali fu battezzato il nuo-vo abaco a colonne, il cui significato eramutato profondamente, in quanto esso, ol-tre a fornire uno strumento per calcolare,consentiva ora di rappresentare un numeronel nuovo sistema posizionale per mezzodi numerali, a meno dello zero. Successi-vamente, furono aboliti i gettoni e le cifrefurono scritte direttamente sopra le colon-ne. Dunque, fu sempre più manifesta l’iden-tificazione concettuale di quest’ultimo tipod’abaco con l’algoritmo o algorismo10,termine con cui inizialmente era chiamatoil sistema di numerazione posizionale neipaesi latini, tant’è che i matematici italianidei secoli XII e XIV usavano indifferente-mente i due termini, abaco e algoritmo, perriferirsi al sistema numerico posizionale.Quest’ultimo rese obsoleto l’uso dell’aba-co, che era giustificato principalmente dalledifficoltà di eseguire i calcoli con il vec-chio sistema di numerazione additivo, ri-

sultando invece con esso più facili e rapidi. Infatti, il nuovosistema di numerazione posizionale dava la possibilità sia dirappresentare i numeri con maggior economia di simboli, siadi semplificare i procedimenti del calcolo scritto, e pertantovanificò il vantaggio dell’abaco, decretandone, almeno inEuropa, la definitiva scomparsa. Con l’identificazione fraabaco e algoritmo si concluse la disputa fra abachisti ealgoritmisti, vale a dire fra coloro che sostenevano i vantaggi delcalcolare per mezzo dell’abaco oppure con il sistema di nume-razione scritta.

Un errore di trascrizioneVerso la fine del primo libro dell’Ars Geometrica di SeverinoBoezio11 sono contenute la descrizione e le regole d’uso

dell’abaco neopitagorico, il quale è menziona-to proprio con il nome Mensa Pithagorica.Questo abaco, detto anche abaco di Boezio,ebbe particolare diffusione nelle scuoleclaustrali medievali, per opera del teologo ematematico francese Gerberto (950-1003d.C.), divenuto papa col nome di Silvestro II nel999.Nel riprodurre successivamente il manoscrit-to dell’Ars Geometrica, il copista, per errore,sostituì l’abaco neopitagorico con la comunetavola di moltiplicazione, di aspetto assai simi-le, conservando però per quest’ultima il nomedi Tavola Pitagorica12, che, dunque, non deveil suo nome né a Pitagora né ad alcuno dei suoiseguaci, bensì soltanto a un errore di trascri-zione.

Il quipuUn sistema ingegnoso, quanto semplice edeconomico, per rappresentare i numeri e far di

conto, è quello utilizzato dagli Incas, popolazione precolom-biana, il cui fiorente impero corrispondeva agli attuali territoridel Perù, della Bolivia e dell’Ecuador. Questa grande civiltà, icui inizi risalgono soltanto al secolo XII, pur non conoscendoné la ruota né la scrittura, almeno nel senso abituale deltermine, mostra segni di alto livello culturale, come traspare,fra le altre cose, dall’ingegnoso metodo adottato per rappre-sentare i numeri e fare i calcoli. Il loro «abaco» era costituitoda un sofisticato sistema di cordicelle a nodi, il quipu o quipo,che significa nodo. Esso assolveva altre molteplici funzioni,

Figura 13

Figura 14

CURIOSITÀ STORICHE

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essendo utilizzato da specializzati funzionari dell’impero, iquipucamayocs o guardiani dei nodi (figura 13), anche perrappresentare eventi religiosi, come calendario, come regi-stratore di rilevazioni statistiche,come delatore di messaggi. Il quipuera formato da una cordicella prin-cipale, lunga circa 60 cm, alla qualeerano legate numerose altre cordi-celle. Il sistema utilizzato era ildecimale. Le unità semplici eranorappresentate con altrettanti nodiraggruppati in gruppi corrispondentiai diversi ordini, unità semplici, de-cine, centinaia ecc. Tali gruppi era-no opportunamente distanziati lun-go la stessa cordicella (figura 14).

Il chimpuUn sistema derivato dal quipu ètuttora usato dagli indios del Perù edella Bolivia. Lo strumento, a cor-dicelle e nodi, si chiama chimpu(figura 15). I vari ordini sono rap-presentati da successive cordicelle: una singola cordicellacorrisponde alle unità semplici, due cordicelle legate assiemecorrispondono alle decine, tre cordicelle legate assiemecorrispondono alle centinaia ecc. Le unità semplici sonorappresentate da altrettanti nodi. Pertanto 5 nodi su una singolacordicella rappresentano il numero cinque, 5 nodi su duecordicelle legate assieme rappresentano il numero cinquanta,5 nodi su tre cordicelle legate assieme rappresentano ilnumero cinquecento e così via.

Il nepohualtzitzinRecenti scavi archeologici hanno portato alla luce, nell’Ame-rica centrale, l’abaco utilizato dagli Aztechi nei secoli X-XI,molto simile agli abaci cinese e giapponese, ma differente nelnumero di palline situate nelle parti inferiore e superiore, 3 e4 rispettivamente.

Lo ScotyIn Russia l’abaco, detto scoty o scet o schot, ha la medesimastruttura, ad aste o fili verticali e palline, degli abaci cinesee giapponese, con la differenza che su ogni filo ci sonodieci palline e non è diviso in due parti. Il sistema dinumerazione rappresentato è il decimale e ogni filo èdedicato a un ordine di unità. Il numero di unità di ciascunordine è ottenuto spostando verso il bordo superiore del-l’abaco il corrispondente numero di palline. Per facilitarecon un solo colpo d’occhio la lettura del numero di unità diciascun ordine, le palline quinta e sesta sono di coloredifferente dalle altre.

Luca Nicotra

Note:1 Nel sistema di numerazione additivo, un numero è ottenuto persomma dei numeri indicati da opportuni simboli, i quali hanno ilmedesimo valore quale che sia la loro collocazione all’interno dellarappresentazione dell’intero numero. In realtà il sistema dei Romaniè un misto fra sistema additivo, sottrattivo e moltiplicativo, cioè èadditivo in senso lato, in quanto sottrazioni e moltiplicazioni sonoriconducibili a addizioni. Per esempio i Romani rappresentavano ilnumero 43 con il numerale XLIII, in cui i simboli X, L e Irappresentano rispettivamente dieci, cinquanta e uno. Nella primaparte del numerale è fatta la sottrazione fra cinquanta e dieci (XV),mentre nella seconda parte si sommano tre volte l’unità (III). Inoltre,per rappresentare il numero novemila, per esempio, usavano ilnumerale IXM, che rappresenta il numero in questione comeprodotto fra nove (IX) e mille (M). Altro carattere spurio del sistemadi numerazione romano era costituito dalla base del sistema, che era

duplice: dieci (base primaria) e cinque (base ausiliaria). Infatti,usavano numerali particolari per rappresentare raggruppamenti diunità in base cinque: V per cinque, L per cinquanta, D per cinque-

cento ecc. Inoltre, la parte frazionariaera a base dodici, poiché l’unità sem-plice, detta dai Romani axis, era divisain dodici once. Il loro sistema era dun-que additivo, decimale e quinario per laparte intera, duodecimale per la partefrazionaria.2 Chabauillet, Catalogo n. 1898; Orioli,«Sopra uno specchio coi Dioscuri, e lagemma così detta calcolatoria esisten-te a Parigi», in Bullett. Istit., 1865, pp.152-157.3 Del Museo Capitolino, tomo IV,tav. 20, Fulgoni, Roma 1782.4 Velseri, «Epistolae ad Viros Illustres»,in Opera Omnia, Norimberga 1682,pp. 820-842.5 Garrucci, «Notizia di una tavolettacalcolatoria romana», Bullettino Ar-cheologico Napolitano, Nuova se-

rie, anno II, Decembre 1853, pp. 93-96.6 I numerali indicati sono quelli arcaici (cfr. figura 9).7 La caratteristica fondamentale di un abaco è il numero di anelli opalline o più in generale di contatori che si trovano in ciascun filo delledue parti, solitamente superiore e inferiore, in cui è diviso l’abaco.Così si dice che lo swan-pan è un abaco 2/5, cioè ha su ogni filo duepalline sopra e cinque palline sotto la linea orizzontale di separazione,mentre il soroban è un abaco 1/4 ecc.8 G. Libri, Histoire des sciences mathematiques en Italie, 1, Paris1838, pp. 202-203.9 Non comprendevano ancora lo zero.10 Il termine algoritmo deriva dalla latinizzazione di Al Khovarizmi,soprannome del matematico arabo Mohammed Ben Musa vissutonel sec. IX, indicante la provincia persiana del Korassan da cuiproveniva.11 Risalente molto probabilmente, secondo le moderne indaginifilologiche, al secolo XI e invece attribuita a Severino Boezio (480-526 d.C.), per il fatto che negli antichi manoscritti essa si trovaassieme all’opera De Institutione Arithmetica, compilata dallostatista romano, come rifacimento dell’opera di Nicomaco di GerasaIntroduzione Aritmetica del I secolo d.C.12 V. G. Enestrom in Bibliotheca Mathematica (2) 8 (1894), apagina 120, e P.Tannery in L’Intermediaire des Mathematiciens4(1897), nelle pagine 162-163, citano la sostituzione dell’abaconeopitagorico con la tavola di moltiplicazione.

Bibliografia1. G. Ifrah, Storia universale dei numeri, Mondadori, Milano 1989.2. R. Bombelli, Studi archeologico-critici circa l’antica numera-zione italica, 1, Roma 1876.3. V. G. Enestrom, Bibliotheca mathematica, (2) 8, anno 1894.4. P. Tannery, L’Intermediaire des Mathematiciens, 4, anno 1897.5. S. Boezio, De Institutione Arithmetica, Lipsia 1867. A cura diG. Friedlein.6. M. Charles, Comptes Rendus hebdomadaires des Sciences del’Academie des Sciences de Paris, 16, anno 1843; 17 anno 1843;64 anno 1867.7. B. Boncompagni, Bollettino di bibliografia e storia dellescienze matematiche, 10, anno 1877; 14 anno 1881.8. E. Narducci, Bollettino di bibliografia e storia delle scienzematematiche, 15, anno 1882, 14

Siti Internet:htpp://www.ee.ryerson.ca:8080/ielf/abacushtpp://www.show.it/china/abaco.htmhtpp://hawk.hama-med.ac.jp/dbk/abacus.htmlhtpp://www.cut-the-knot.com/blue/Abacus.html

Figura 15

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Notizie in… CONTROLUCE settembre 200016

Una delle frasi del movimento studentesco, alla fine degli anni Settanta, era: «La famiglia è una camera agas, avvelena anche te, digli di smettere.» Lo slogan neparodiava uno pubblicitario, ed era in voga nel gruppomilanese di Re nudo, quelli del Parco Lambro, per chi se nepuò ricordare.Licia Maglietta (della factory di Martone) avrà una quaran-tina d’anni, come Francesca Neri, d’altronde. Fra le tanterecensioni che ho letto su questo film, nessuno lo ha

accostato a Matrimo-ni di Cristina Comen-cini, interpretato pro-prio dalla Neri. Ep-pure…Eppure i due film na-scono in modo ugua-le, una delle tante gio-vani del Settantasette,ormai quarantenne,scoppia, stanca di ma-riti distratti e ambi-ziosi, di famiglie in-cubo (quelle di Re

Nudo, per capirsi), di una vita monotona e sempre eguale,fa un gesto (la Neri saliva su un treno, la Maglietta fal’autostop, nulla è casuale. Treno/autostop: ecco le diffe-renze vere fra Comencini e Soldini) e abbandona il tettoconiugale, il marito distratto e ambizioso, i figli assenti e

odiosi, l’orrendo trantran della vita quoti-diana.Matrimoni c’era di-scretamente piaciuto,anche se poi la butta-va in pochade, il filmfiniva in vacca, fracornuti, rimpianti edoveri (la lusingafacilona della com-media all’italiana era

dietro l’angolo e la Comencini, con Liberate i pesci, si èimpastoiata fino in fondo), Pane e tulipani ci è piaciuto dipiù.La sceneggiatura del film della Comencini era firmataanche da Roberta Mazzoni, quella di questo film da DorianaLeondef, già coautrice de Le acrobate del-lo stesso Soldini e de La parola amoreesiste di Mimmo Calopresti (in questi gior-ni è in uscita anche il suo Femminile, sin-golare, che ha scritto con Claudio DelPunta).C’è, forse, una nuova scrittura femminileche riesce a descrivere questo sfascio conleggerezza e ironia, usando le facce giuste,oltre dalla Maglietta, splendida nella suatrasformazione, nella sua presa di coscien-za (si può dire?) dimostrata persino nel-l’abbigliamento, nella maniera di cammi-nare, nel reinserimento nella vita reale, aBruno Ganz (un’icona di un certo cinemaminimalista europeo), a Marina Massironi, che in questofilm si libera dell’ambiguo ed esaltante ruolo di Musa deltrio Aldo, Giovanni e Giacomo, a Antonio Catania (inMatrimoni l’abbandonato era Diego Abatantuono, che squal-lidi mariti i quarantenni di Salvatores!), a un ispirato Felice

CINEMA

«Pane e tulipani»: povere mogli, che tragedia la loro vita…Un bel film, per pensare e tornare a sognare ancora una volta

Andreasi, fioraio anarchico che si nutre di aglio e caccia leclienti monarchiche.La storia è presto detta, dopo una visita familiare a Paestum,fra finte griffe, telefonini e padelle in acciaio, reggiseni etristezze dopolavoristiche, Rosalba, casalinga pescarese,viene dimenticata all’autogrill dal marito e dall’intero tor-pedone (figli, amiche, vita) con cui viaggiava. Rosalba è unagoffa, non è a suo agio nella sua vita, si perde le cose, sichiude nei bagni, vive male il suo essere quello che è.Ma fa un gesto (comele Neri), decide diprendersi una vacan-za dalla sua vita, vuolvedere Venezia, rara-mente bella e privatacome in questo film.Da quel momento co-mincia un road movie–legittimato ai suoiocchi dalla battuta,che Rosalba dice pergiustificare il suo comportamento: «Sono di passaggio»,a cui le viene risposto: «E chi non lo è?»– che la porterà aconoscere una serie di disinseriti (drop out) della societàcivile, il cameriere Fernando Girasoli (Bruno Ganz), excantante, delittuoso per gelosia che l’accoglie in casa,l’amica Grazia (la Massironi), massaggiatrice olistica eanima in pena che le aprirà il suo cuore, l’anarchico epoetico fioraio Fermo (Andreasi), una serie di vinti, o dinon integrati, dotatiperò di una qualità: lasolidarietà di chi sen-te col cuore.Girasoli, Grazia, Fer-mo… Tutto casuale?Oltre alle musiche ealla fotografia, checontribuiscono a co-struire questogioiellino di affasci-nante presa (Soldini ha fatto un film comico e lieve, e cisembra sempre più abile a descrivere le donne della nostragenerazione: forse solo Giuseppe Bertolucci è alla suaaltezza), una segnalazione particolare a Giuseppe Battiston,un esordiente, che dipinge un’immagine buffa e accattivante

di idraulico vittima di ansiosa madre medi-terranea, un grasso elefante (un altro gof-fo) che trova, nel film, l’inatteso amore,liberandosi di tubi, bulloni e vascheidromassaggio per giocarsi un’altra vita, eun ironico cameo di Don Backy, che ciriporta ancora a Francesca Neri, passandoper Adriano Celentano.In Pane e tulipani la casalinga Rosalbariscoprirà la musica, l’amica troverà l’amo-re, il cameriere tendenzialmente suicidaritroverà la voglia di vivere…Troppo ottimismo?Troppa tenerezza?Forse.

È inutile dire come finisce (per me bene), ma, una voltatanto, vincono i nobili di cuore. E credetemi, è belloqualche volta che succeda, magari solo dentro a un film.Il sito Web del film è all’Url: http://www.luce.it/film/paneetulipani

Fabrizio Natalini

PANE E TULIPANI

Regia: Silvio Soldini.Interpreti: Licia Maglietta (Ro-salba), Bruno Ganz (Fernando),Giuseppe Battiston (Costantino),Marina Massironi (Grazia), Feli-ce Andreasi (Fermo), TatianaLepore (Adele).Distribuzione: Istituto Luce.Durata: 115'.Origine: Italia, 2000

Licia Maglietta è la protagonista diPane e tulipani. L’attrice napoletana

interpreta la parte di Rosalba

Rosalba in una scena del film

Grazia e Rosalba

Costantino e, sullo sfondo, Rosalba

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Notizie in… CONTROLUCEsettembre 2000 17LETTERATURA

Il Dio, il tempo, gli uomini e gli angeli di Olga TokarczukIl villaggio e il mondo rurale nella giovane narrativa polacca

OLGA TOKARCZUC

Dio, il tempo, gli uomini e gli angeliEdizioni e/o, Roma 1999pp. 251, Lit. 25.000

La scrittrice polacca Olga Tokarczuk

La comparsa di un nuovo autore (in questo caso autrice) che scrive in unalingua ‘esotica’ come il polacco susci-ta tra i pochi conoscitori di quella lin-gua e letteratura un grande interesse euna certa curiosità. Devo ammettereche prima dell’uscita di Dio, il tempo,gli uomini e gli angeli non avevo pre-stato attenzione alla scrittrice. La pub-blicazione della traduzione italiana harappresentato quindi anche per meun’occasione per conoscere di questagiovane autrice polacca, che ha presen-tato il libro a Roma, presso l’IstitutoPolacco di Cultura, il 6 giugno scorsodurante un incontro animato.Il romanzo, uscito recentemente in Ita-lia, è per ora l’unico in italiano dei quat-tro che ha scritto. L’edizione originalerisale al 1996, mentre la traduzionefrancese (Dieu, le temps, les hommeset les anges, Robert Laffont) è uscitaa Parigi nel 1998 ed è stata seleziona-ta dalla giuria del Prix du MeilleurLivre Etranger. L’opera in questione erastata a suo tempo selezionata anche dalpremio Nike in Polonia ed eletta mi-glior libro dalla giuria dei lettori. Nel1997 Olga Tokarczuk ha ottenuto, sem-pre in Polonia, uno dei più prestigiosiriconoscimenti: il premio della Fon-dazione Koœcielski. L’edizione italia-na pone quindi all’attenzione dei let-tori nostrani un vero e proprio feno-meno della narrativa polacca degli ul-timi anni. Il debutto italiano dellaTokarczuk e il risultato di un’onda edi-toriale che, partita dalla Polonia, haraggiunto prima la Francia e la Germa-nia, mentre Dom dzienny, dom nocny(La casa di giorno e la casa di notte), ilquarto romanzo della scrittrice, usci-to nel 1998, è ancora inedito in Italia.Nata nel 1962 a Sulechòw, OlgaTokarczuk si è laureata in psicologiaall’Università di Varsavia. Attualmen-te vive a Walbrzych, in Slesia. Il suo

primo romanzo, Podró¿ ludziKsiêgi (Il viaggio del popolo delLibro), risale al 1993, mentre ilsuo secondo romanzo, E. E., èuscito due anni più tardi.Mentre degli altri suoi romanzinon ho potuto che farmi un’ideavaga dalle poche notizie che sonoriuscito a trovare, l’opera in que-stione si è imposta alla mia atten-zione prima di tutto per una corag-giosa scelta che l’autrice perseguein maniera coerente nel corso ditutto il romanzo: il punto di vistanon è tanto quello dei personaggiche si susseguono sulla ribalta del-la narrazione, ma è piuttostol’ambientazione, il villaggio diPrawiek (impropriamente tradot-

to come «Alfa») e la natura, i boschi, ifiumi che circondano il villaggio e for-mano nello stesso tempo i confini diun mondo arcaico e fiabesco, comeindica la parola prawiek, che in polac-co equivale più o meno all’espressio-ne «tempi remoti». (Anche il titolo ita-liano scelto dal traduttore, Dio, il tem-po, gli uomini e gli angeli, è un vero eproprio arbitrio, modellato letteral-mente su quello della traduzione fran-cese dell’anno precedente e, in quantotale, segnalato dall’autrice stessa nelcorso dell’incontro di Roma.)Il romanzo si apre con la descrizionedel luogo nel quale si svolgeranno leazioni dei personaggi. Il vero protago-nista della storia è il villaggio descrit-to nel primo capitolo, un piccolo lem-bo di mondo nel quale le stagioni e legenerazioni si danno il cambio allostesso modo. I capitoli successivi sonodedicati ognuno a un personaggio, chespesso ricompare dopo qualche pagi-na o qualche capitolo: l’autrice perse-gue la scelta diframmentare iltessuto narrativoin tante piccoletessere che, solose viste nel loroinsieme, forma-no un grandemosaico nel quale l’uomo e la naturaappaiono armoniosamente compene-trati. Tutto un secolo di storia vienecosì ripercorso attraverso le vicendedei personaggi che abitano questo pic-colo spazio con le loro piccole storie,che offrono al lettore un punto di vistainedito su quelle vicende storichespesso tragiche apprese perlopiù suilibri di storia. Così ecco che le granditragedie come la prima e la secondaguerra mondiale, lo sterminio degliebrei e il regime comunista assumononel romanzo della Tokarczuk un signi-

ficato del tutto nuovo e diverso daquello con cui siamo soliti pensarle,quasi fossero elementi di disturbo ri-spetto a quel senso biologico della vitascandita dai ritmi della natura. I russiprima, i tedeschi poi e ancora i russisono gli elementi «esterni» che turba-no, ma solo temporaneamente, l’ordi-ne delle cose.Proprio per questo il critico più scal-tro e smaliziato, dietro la patina del«realismo magico» di targa latinoame-ricana, ben visibile in questo lavorodella scrittrice polacca, vi scorge l’an-tica tradizione dell’idillio polacco, conl’idealizzazione della vita agreste qua-le misura di tutte le virtù, cantato datanti poeti rinascimentali polacchi.Allo stesso tempo la scelta di rinun-ciare al punto di vista del protagonistaci appare coerente con gli orientamen-ti letterari postmoderni di molta lette-ratura contemporanea. Tuttavia la pe-culiare fase che sta attraversando unpaese come la Polonia (il completa-mento di una complessa transizioneverso la società postindustriale) offreal critico stimolanti spunti di riflessio-ne.Proprio in quest’ultimo decennio incui in Polonia tutto è enormemente evelocemente cambiato, il mondo rura-le, dove si era ancora conservato il tra-dizionale e arcaico legame tra l’uomoe la natura, è maggiormente investitoda queste trasformazioni. Il romanzoin questione recupera il mondo dellecredenze popolari, delle tradizioniagrarie proprio nel momento in cui lamodernità lo sta facendo scomparire.Tuttavia il pregio maggiore della scrit-trice è quello di evitare l’approcciorealistico e descrittivo, e di lavorarepiuttosto sulle suggestioni di questo

mondo arcaico erurale, sui ri-flessi che pos-sono offrire an-che alcuni sem-plici oggetti(uno dei più beicapitoli del libro

è, a mio avviso, quello dedicato al ma-cinacaffè, oggetto che nella mia me-moria è legato a un magnifico sonettodel Belli).Alcune delle molte storie che attraver-sano questo luogo, che è metafora dellibro stesso, appaiono solide e com-piute anche da un punto di vista narra-tivo, come ad esempio il personaggiodella Spigolatrice, la contadina chevive in una catapecchia ai margini del-l’universo di Prawiek, oppure la figuradel castellano Popielski, impegnato inun misterioso gioco interminabile con

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Notizie in… CONTROLUCE settembre 200018

Questo saggio, tradotto dall’origi-naletedesco per merito di Gioachino Lisied edito nell’ormai lontano 1966 –aquanto ci risulta non più ristampato–ha l’apparente veste del consuetomanualetto introduttivo alla preistoria.Nasconde però una messe di dati e in-formazioni più che soddisfacenti, di cuici si avvede solo dopo un’attenta ecompleta lettura, e costituisce una sto-ria delle ricerche del tutto originale,specie per l’assenza completa, ancoroggi, di uno studio di questo tipo nelpanorama editoriale e specialisticonostrano (saggi dello stesso ambitodisciplinare si soffermano difatti mag-giormente su aspetti di tipo metodo-logico). Difatti la narrazione delle prin-cipali scoperte dei vari cicli di pitturae arte quaternaria è scandita e organiz-zata per decenni a cominciare dal 1833fino al 1960, con una dovizia edesaustività di riferimenti a persone,ambienti, avvenimenti filosofici ebibliografia da stupire per la dimenti-canza che questa ricerca ha subito, so-prattutto per un pubblico di cultori eappassionati del settore. Dice giusta-mente l’autore che «l’arte dell’epocaglaciale è venuta alla luce come unameraviglia, incomprensibile ed incom-presa, soprattutto insospettata. Questomondo era scomparso, nessuno al mon-do ne poteva più sospettare l’esisten-za»; esso difatti emerse improvvisa-mente dal grembo profondo della ter-ra sconvolgendo letteralmente tutte leopinioni allora consolidate e i pregiu-dizi scientifici del tempo. Tra i reso-

LETTERATURA

I ritrovamenti e l’arte dell’epoca glaciale spiegati da Herbert KuhnEd. Mediterranee

conti più avvincenti anche la certezzaacquisita, dopo ritrovamenti avvenutinegli anni 1862-90 della frequenzacultuale maddaleniana (15-10.000a.C. cairca) della grotta sacra e mira-colosa di Lourdes, cui la celebreBernadette aveva da poco ridato la con-sacrazione. Anche l’uomo di Cro-Magnon prese appunto nome dall’omo-nimo precipizio roccioso situato pres-so Les Eyzies, ove nel 1868 venne allaluce un gran numero di scheletri, e lecui seguenti scoperte sonodettagliatamente elencate dal Kuhn.Vengono ripercorse con minuzia e do-vizia di particolari tutte le vicissitudi-ni dell’intrigata questione diMarcelino de Sautuola e la grotta diAltamira scoperta nel 1868; sono in-fatti discussi il totale scetticismo ac-cademico e il duro colpo per il nuovodogma darwinista-progressista che por-tò vergognosamente i principali scien-ziati del tempo a definire Sautuola unmentitore e truffatore, nonché succes-sivamente ad attaccare anche l’auten-ticità dell’arte della grotte diRouffignac in Francia e di Schulerlochin Germania. Gli stessi profili profes-sionali di due studiosi, giganti dell’ar-te preistorica, come Obermaier eBreuil, vengono delineati nei variegaticontesti d’indagine con tutto ilcorollario delle molteplici grotte fran-cesi allora scoperte. Si dovrà attende-re il 1940 per la seconda straordinariae più importante scoperta dopoAltamira; alcuni giovani vicino il vil-laggio di Montignac, accompagnati da

un cane di nome Robot, vedono que-st’ultimo inoltrarsi in una buca alla cac-cia di un coniglio: sarà la cavità oveentrando scorgeranno le stupende pit-ture e graffiti (quasi 800raffigurazioni). La grotta, divenuta poimeta di veri pellegrinaggi di circa10.000 persone, sarà fortunatamentechiusa al pubblico in seguito al proli-ferare di alghe verdi sulle pitture. Emo-zionante inoltre la descrizione partico-lare del celebre «stregone» di TroisFrères: «sulla testa esso porta corna direnna, nelle mani le zampe di orsi, hala barba a pizzetto del bisonte e la codadel cavallo. Il corpo è ricoperto da lar-ghe strisce di colore rosso scuro, essoè il signore degli animali, mai dimen-ticherò i suoi profondi, rotondi occhi,che dopo più di diecimila anni, mi os-servavano misteriosamente dall’oscu-rità della grotta.» La cronistoria dellescoperte, narrata come un romanzo,giunge fino agli anni Sessanta edevidenzia che la preziosità dell’operaconsta appunto nel racconto di primamano ricevuto dall’autore da molti de-gli scopritori stessi, con cui era in ami-cizia e a diretto contatto negli scavi.Questo libro, peraltro meritevole diesser letto per cogliere la straordina-ria storia della riscoperta delle originipaleolitiche dell’arte, necessita nonsolo di una riedizione, ma soprattuttodi un aggiornamento scientifico tale darenderlo ancor più fruibile per gli stu-denti e gli studiosi di storia dell’arte edell’archeologia.

Mario Giannitrapani

se stesso, o quella di Izydor, una spe-cie di «idiota» del villaggio che riescea guadagnarsi da vivere con gli inden-nizzi per le raccomandate da lui spedi-te e non giunte a destinazione. I branimeno efficaci mi paiono invece le lun-ghe tirate di carattere esoterico-postmoderno, come quella del capito-lo «Il tempo degli elementi quadrupli»,oppure le considerazioni di caratterepiù ‘metafisico’ disseminate qua e là:in sostanza i brani più cerebrali, chepaiono di impaccio all’indubbio talen-to narrativo dell’autrice.Nel complesso il merito maggiore del-l’opera è quello di risultare convincen-te: i personaggi che abitano a Prawiekci appaiono altrettanto vivi e credibilidei personaggi del felliniano Amarcord–naturalmente con le dovute distinzio-ni di tempo e luogo– e le loro storiepotrebbero essere quelle raccontate

dai vecchi seduti sulla panchina di fron-te alla loro casa in uno dei tanti villag-gi polacchi. Non a caso le pagine mi-gliori sono proprio quelle in cui il filodella narrazione si dipana in manierachiara, più concreta e semplice.Quello che Prawiek i inne czasy cipropone (una traduzione letterale deltitolo potrebbe essere «Prawiek e glialtri tempi», che si ricollega alla strut-tura del libro, nel quale il titolo di tuttii capitoli è «il tempo di…» seguito dalnome di un personaggio) è in sostanzaun recupero in chiave postmoderna ditematiche della cosiddetta narrativa«contadina», un filone che nella lette-ratura polacca del nostro secolo è val-so persino un dimenticato premioNobel con il romanzo-epopea Ch³opy(I contadini) di W. Reymont, in unmomento in cui il mondo rurale e ar-caico sta scomparendo. L’inevitabile

componente naïf è bilanciata da unacerta dose di intellettualismo, e que-sta miscela dosata con sapienza ne hafatto uno dei best-seller polacchi de-gli ultimi anni. Il lettore italiano po-trebbe apprezzare il romanzo per lostesso motivo; altrimenti si dovrà ac-contentare di una buona narratrice chescrive in una lingua esotica da un vici-no paese semisconosciuto.In questo anno in cui sono scomparsedue grandi figure delle lettere polacchecome Gustaw Herling-Grudzinski eKaziemierz Brandys, giungono dallaPolonia nuovi autori e nuovi talenti ingrado di raccogliere e mettere a fruttostimoli e spunti della letteratura con-temporanea mondiale e questo, seppurenel rammarico per così grandi perdite,è indubbiamente un segnale positivo chefa ben sperare per il futuro.

Lorenzo Pompeo

LIBRI

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Notizie in… CONTROLUCEsettembre 2000 19RACCONTO

LolalalilaGli occhi di Lolalalila, come d’incanto, si rasserenarono

Troppi anni fa c’era una ricciolina dagli occhi azzurri comel’estate che abitava dove abitavano i nostri avi. Passava le suegiornate fra la casa e la spiaggia dove raccoglieva conchiglie.Non a tutti piacevano le conchiglie, perché a molti facevanovenire in mente quello che c’era stato dentro. Lolalalila losapeva, così faceva vedere solo quelle tanto vecchie e ammac-cate da apparire irriconoscibili.A Lolalalila avevano detto: «Vedi, le conchiglie sono comenoi, non come gli alberi e l’erba. Come tu hai i riccioli, così imolluschi avevano i loro gusci.»«E dove sono i molluschi che avevanoi gusci?» chiese la bimba.«I molluschi non ci sono più, gli ècapitata una cosa molto brutta. Quel-lo che è capitato ai molluschi è tantobrutto da rendere orrendo agli occhidi molti di noi anche i loro involucri.Non avertene a male, Lolalalila, maper molti le cose stanno così.»Lolalalila trovava che le conchiglieerano una diversa dall’altra. E sicco-me una volta la mamma l’aveva messain castigo per le lamentele dei viciniche proprio non sopportavano la vistadi quelle forme orrende che gli ricor-davano la propria vulnerabilità,Lolalalila teneva le conchiglie da par-te in un posto che conosceva solo lei.Un giorno andando nel bosco trovòben tre conchiglie che non aveva maivisto: una dai colori cangianti dell’az-zurro, una a forma di occhio e unaterza tanto liscia da sembrare fattadall’uomo. Le portò in un posto par-ticolare, dove molti aghi di gineproformavano un tappeto compatto.Lolalalila mosse le foglie del suolo e scavò una piccola fossanel terreno. Poi prese le tre conchiglie e le avvolse in uninvolucro prima di sotterrarle e ricoprirle del terriccio e dellefoglie di ginepro rimosse. Aveva delle mani talmente sensibilialla materia da far apparire intatto qualsiasi terreno toccassecon le dita.Sapendo di questo astio degli uomini per le conchiglie, comin-ciò a disegnarne le forme in segreto, diventando abile arendere le profondità e i rilievi dei gusci, le spirali e leimboccature. Chiunque la conosceva sapeva che era un’abiledisegnatrice e spesso le signore e i signori del vicinatoandavano da lei, si toglievano i vestiti e si facevano ritrarrenudi. Lei li raffigurava nei modi più vari, fedele a quel detto chevuole che ciò che vediamo con l’occhio nudo è raddrizzatomiseramente dall’occhio della mente. Ma a coloro menoaddentrati in questi pensieri regalava il disegno lineare di unobiettivo da 50mm, di modo che se ne andassero via contenticoi loro ritratti da esporre negli ampi soggiorni delle lorodimore.Segretamente disegnava conchiglie.Erano passati tanti anni da quando era solo una bambina e tuttiora la conoscevano come una delle persone più squisite delbosco. Non mancavano mai di invitarla alle loro riunioni e simostravano gli uni gli altri i disegni e i dipinti che Lolalalilaaveva fatto per loro. Nessun artista di tutto il pianeta sapevadisegnare così meravigliosamente come Lolalalila.Durante le sue passeggiate Lolalalila guardava la spiaggia e ilmare. Sapeva tanto delle conchiglie da accorgersi delle diver-se forme nello stesso genere. Raccogliendole e studiandole

negli anni, si accorse che erano mutati il mare e la terra che lericeveva.A un amico che conosceva questa sua segreta passione per lanatura confidò un suo sospetto: «L’uomo sta distruggendo ilmare.» Il suo viso era tirato e gli occhi lucidi come la pietrabagnata dai marosi. Sotto i suoi occhi l’amico vide trasparirealcune rughe fitte e sottili che non aveva mai notato.«Che dici, Lolalalila?» cercò di distrarla l’amico. «L’uomoama la vita! Non farebbe mai una cosa simile!»Lolalalila lo guardò perplessa. «Vieni, ti faccio vedere,» disse

all’amico posando su un sasso la ta-volozza, e lo condusse con sé doveconservava le conchiglie. L’amicoraccolse i vestiti e la seguì preoccu-pato. Davanti a sé si trovò una miriadedi gusci di tutti i tipi raccolti in setto-ri. Li guardò imbarazzato, quasi inor-ridito.«Vedi queste conchiglie, Marmì?»chiese Lolalalila. «Sono dello stessotipo e hanno la stessa età. Sono giova-nissime.»«Come fai a dirlo?» chiese Marmì.Lolalalila gli spiegò come si contanogli anni nella materia, gli fece vederele spirali e le increspature, i riflessidei colori alla luce del sole. Marmìera perplesso, non ci capiva niente.Ma una cosa la capiva, che Lolalalilasi stava mettendo in un grosso guaio.«Butta via questi gusci, Lolalalila…»implorò Marmì guardandosi alle spal-le per paura che qualcuno potessepassare nei paraggi.«Perché, Marmì? Lo capisci? Ucci-dono le creature nel mare!» disse

Lolalalila caparbia e indispettita. E le tornò negli occhi losguardo fiero e combattivo che Marmì, come chiunque altronel bosco, conosceva bene, e di cui, come chiunque altro, erafiero. Ma in quel momento la fierezza cedeva alla paura eMarmì avrebbe desiderato che quello sguardo di ghiaccioinfiammato non le si accendesse sul viso. Avrebbe dato qua-lunque cosa per vederla calma e serena, con i capelli ondeg-gianti nel vento e gli occhi celesti come il sereno sul mare.«Butta via questi gusci, Lolalalila…» ripeté Marmì più deciso,ma senza alcuna speranza. Rimase a guardarla dispiaciuto. Gliocchi di Lolalalila, come d’incanto, si rasserenarono e baciòbrevemente Marmì sulle labbra. Poi gli carezzò affettuosa-mente i capelli. Marmì rimase spaesato a guardare il mare allesue spalle, con le labbra ancora intenerite dal bacio di Lolalalila.Fece pochi passi in disparte, sull’alto promontorio a strapiom-bo sul mare, poi tornò da Lolalalila e la prese sotto il braccio.«Ricopri tutto, Lolalalila. Si fa tardi,» le disse.«Dimentica quello che hai scoperto. Tienilo per te. Ti prende-rebbero per pazza altrimenti,» aggiunse, proseguendo il cam-mino verso casa.«Sono convinta che c’è di peggio, che noi non viviamo persempre… o almeno, non ciascuno di noi,» disse Lolalaliladesolata, con un filo di voce che pareva un mormorio.Marmì la guardò triste e imbarazzato. L’accompagnò fino acasa, poi, meditabondo, si diresse a casa propria.La sera c’era una festa nel bosco, pieno di luminarie, chiassosae ridanciana. Marmì vide Lolalalila ridere e scherzare, passan-do dalle braccia di un uomo a quelle di un altro, ballare eamoreggiare forsennata come mai l’aveva vista. Ma sapeva

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Notizie in… CONTROLUCE settembre 200020

troppo bene che i suoi modi erano più controllati in pubblicodi quanto fossero in privato, e trovava che l’esibita allegrezzadi Lolalalila fosse accesa d’una luce tetra, che nonpreannunciava nulla di buono. Lolalalila era troppo disponibileal riso e allo scherzo per essereveramente in sé, benché rides-se e scherzasse volentieri incompagnia, e non fosse in al-cun modo timida. Ma quel suofare sembrava dettato da un de-siderio di liberarsi di un pesoche aveva tenuto troppo a lungoper sé sola, come una sorta diliberazione. E Marmì sapeva diche peso si trattasse.Il giorno dopo, nel pomeriggio,tutta la gente del bosco era intumulto. Setacciavano fra i ca-stagni e molti si dirigevano alladimora di Lolalalila per vederecosa facesse. Lolalalila non erain casa, passeggiava solitariafra gli alberi pensando a quello che gli uomini andavanofacendo agli uomini.Quando trovarono le conchiglie il tumulto fu irrefrenabile.Entrarono nella casa di Lolalila e non trovandola la cercavanodovunque nel bosco e sulle rocce a strapiombo sul mare.

RACCONTO

Dopo il disperato appello di una prestigiosa rivista letteraria i maggiori poeti del nostro paese si riuniro-no. Questa volta erano tutti decisi a prendere risoluzionichiare e definitive, ad uscire dall’ambiguità, dalla condi-zione di subalternità, o, peggio ancora, di asservimentorispetto alle case editrici. Decisero di costituire un sinda-cato per difendere i loro interessi e per conquistare unadignità professionale.Naturalmente furono rispettate tutte le regole, furonoelette le cariche, presidente, amministratore, direttore.Furono costituite le commissioni per elaborare le propo-ste da sottoporre all’assemblea generale.La prima risoluzione che ottenne subito un consenso gene-rale fu quella di attuare uno sciopero ad oltranza; si trattavadi uno sciopero dimostrativo, che avrebbe dovuto sempli-cemente dare un segnale alla controparte della reale capa-cità contrattuale del neonato sindacato.Quindi fu indetto uno sciopero per la settimana successiva,che iniziò puntualmente secondo la risoluzione adottatadal sindacato e con la prevista settimana di preavviso.I poeti da quel giorno si rifiutarono di pubblicare e discrivere. Inizialmente la cosa fu solo oggetto di scherno; amolti sembrava semplicemente assurdo uno sciopero dipoeti. Tuttavia, mano a mano che i giorni passavano, i primia preoccuparsi del protrarsi dell’agitazione furono i criticimilitanti. Lo sciopero li privava di materie prime. Senzanuovi versi non avrebbero potuto fare il loro mestiere. Lapreoccupazione dei critici si estese ben presto alle caseeditrici, in particolare alle case editrici pirata, quelle che,per intenderci, speculano pubblicando a spese dell’autore.Anche le case editrici più affermate condivisero la preoc-cupazione dei critici, a cui si sommò anche quella deigiornalisti. Il fatto che non avrebbero potuto né gli uni négli altri stroncare, insultare gli autori, diffamare le loroopere poetiche li rendeva depressi. Il fatto è che anche lecase editrici più affermate non avrebbero più potuto stron-care le timide ambizioni dei poeti esordienti, cosa che dava

Il sindacato dei poetiI poeti da quel giorno si rifiutarono di pubblicare e di scrivere

Lolalalila aveva tenuto viva l’idea della morte attraverso igusci, un ricordo degli avi che per gli uomini immortali eradiventato una insopportabile offesa alla loro più recente egrande conquista. Era una pazza o era malvagia?, si chiesero in

molti: tutti la conoscevano peruna persona tutt’altro che squili-brata, dotata anzi di virtù che moltidi loro avevano sempre ammira-to.Marmì la vide entrare in uno spiaz-zo del bosco scortata da uomini edonne. Più si avvicinava e più lepersone intorno a lei si facevanorade e mature, finché soltanto ipiù anziani le erano intorno.Prima di entrare nella grotta,Marmì vide il suo volto distruttodalla stanchezza e dal dolore. Main quel volto segnato dalla soffe-renza riconobbe i tratti del visoche aveva sempre conosciuto, glizigomi ampi e la delicata fattezza

del mento, le labbra volitive e carnose che ora apparivanocome illividite e sottili. E per un attimo credette di indovinarenei suoi occhi lo sguardo fiero e combattivo di sempre. Poi lagrotta si chiuse silenziosamente, e di Lolalalila non si disse piùniente.

Nicola D’Ugo

particolare soddisfazione a tutti i redattori. Non sapevanopiù come sfogare la loro acredine.La cosa naturalmente ebbe delle serie conseguenze nelleloro vite familiari. Ora che non si potevano sfogare con ipoeti, lo facevano su mogli e figli. Poco a poco tutto ilmondo della cultura e della carta stampata fu percorso dauna crescente preoccupazione.Cominciavano a diffondersi appelli e proclami che dichia-ravano ormai morta la poesia. A quel punto il timore sidiffuse a macchia d’olio. Anche gli insegnanti delle scuolecominciavano a preoccuparsi. Gli alunni non ne volevanoproprio sentir parlare di poesia e prestavano sempre menoattenzione alle lezioni di letteratura. In alcune scuole igenitori decisero di boicottare le lezioni di letteraturasottraendo i loro figli alla scuola in quelle ore, che defini-vano «ore morte». Senza parlare degli atenei, delle decinee decine di cattedratici disoccupati e delle centinaia ecentinaia di libri che si stavano trasformando giorno dopogiorno in carta da macero.A quel punto la cosa preoccupò anche il Presidente dellaRepubblica che, in un appello accorato, pregò i poeti didesistere da quello sciopero a oltranza che aveva provocatoconseguenze così gravi e inaspettate.I poeti, da parte loro, non si aspettavano di scatenare un talputiferio. Tuttavia erano soddisfatti dei risultati che eranoriusciti ad ottenere. Indissero perfino una manifestazionenazionale nella capitale.Quando si sedettero al tavolo delle trattative con la contro-parte, stato e rappresentanti delle maggiori case editrici,riuscirono ad ottenere una pensione ed una retribuzionecontrattuale.Proprio appena firmato il nuovo contratto della categoria sivide un grande arcobaleno che splendeva nelle campagnepoco distanti dalla capitale, segno che di lì a poco sarebbetornato il sereno e che la vita sarebbe ricominciata ascorrere come prima.

Lorenzo Pompeo

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Notizie in… CONTROLUCEsettembre 2000 21L’ANGOLO DELLA POESIA

Capisco che le veneCapisco che le vene sono un fiotto vivo,una rete, una grande città di sangue caldo.

Ho simpatia per questo corpo, e in casa ho messo un ospite.Un ospite che mangia, dorme, e fa la guardia.

Comunichiamo secondo un linguaggio antico,il corpo lo apprende e lo va sillabando.

Almost for crash between two spokensAnd having a little mouth and little sightHe calls me from an avorium grolla—gorgeous—And smell, and heat, and smile awakening the brightshaky shaggy door,Brightening a lightness smelling potWho had never shined before.*

Doveogni sillabaè una cellula.

Alessandra Greco

* «Quasi per rottura fra due linguaggiE avendo una piccola bocca e poca vista (visualità, campovisivo, finestra, apertura)Egli mi chiama da una grolla d’avorio –meraviglioso–E odore, e calore, e sorriso risvegliano la luminosa tremantepelosa porta,Illuminando una pentola odorosa di luceChe non aveva mai brillato prima.»

Girandola venezianaForse un giorno andando nell’estatetiepida d’un lieve rezzo inusitatoti troverò daccanto, nudo gomitoa gomito, in una calle inaspettata,cosí stretta, cosí nostra e l’oscuratua veste attillata, azzurri gli occhi,da un rigo nero sottolineati.E voleranno colombi sul tuo capo,e il cappellino nero con una rosaappuntata, la bocca tua socchiusae sbarrate le palpebre, e la tua boccaaperta ridanciana e ferina, gli occhidi felina nel riso piú stretti, d’alile mani avranno un guizzo che m’afferranoe i tuoi seni liberi e generosisapranno farsi stringere, abbracciandoci.Saranno parole in fila ad infinitum,una dietro l’altra saltellanti,e risa e palpeggiamenti sottili,e strizzatine e spinte a non finire.Leggermente ogni cosa ci parrànostra, Venezia una culla di umanitàsalvifica. Il sole eterno raggiovivifica il presente, e gira la gondolanel mare mai in deriva, tu viva,ancora viva, ed io per te. Miracoli.

Nicola D’Ugo

Navigatori assassiniBambini su un cerchiobambini ballerinifamosi oggi, ma domani?Il viaggiatore scoprivanuove civiltàfuori l’umanitàuna foresta selvaggiaNuove gentireligioni diversemedici diversimedici paranormaliCorpo scissoStravolgente,strabiliantetribù uccise dall’ignoranzadei popoli civilizzatiPercezioni e visionisofferenza e felicitàdei veri figli del mondoNavigatori assassinisi confondonotra la folladivoratori di potererisplendevano e risplenderannoSempre fra quelle mura.

Mauro Leva

Le paroledifformi dal proiettilemeno colgono nel segnoquanto più grande è l’oggettocui mirano.

Per ovviare a ciòritengo Dio un microbo.

Biagio Salmeri

FotoUna foto caduta in terra,

ricordo di un tempo che fu.I contorni ancora nitidi

–eppure il pensiero è così sfuocato–

Tre volti che non sono più,tre bambini che giacciono

accanto ad un paio di vecchie scarpesul pavimento della stanza.

Raccolgo quel momentoconsumato dal Tempo,

lo ripongo al suo posto;nell’archivio di ciò che fu.

Marcella Scopelliti

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Notizie in… CONTROLUCE settembre 200022 ARTE

Andrew Wyeth e i Quadri di HelgaEra l’autunno del 1987 quando vidi per la prima volta un dipintodi Andrew Wyeth. Era sulla copertina del Newsweek o delTime, tenuta fra le mani da un passeggero della metropolitanadi New York. E in quei giorni lo avrei visto in continuazionequel dipinto, nelle librerie e nei cartelloni pubblicitari: unadonna inghirlandata di foglie, dura nei lineamenti, gli zigomialti, tutto l’opposto della leggiadria classica che si respiraguardando un dipinto del Quattrocento italiano, o leggendo unnostro poeta del Trecento. Eppure in qualche misura miaffascinava, e lo trovavo particolarmente bello. Al tempo, anzi,lo trovavo bellissimo. Era il volto diHelga, e in quei giorni la mostra deiquadri e disegni dedicatile dal pittoreamericano era un evento che, partitodall’esposizione alla Galleria Nazio-nale d’Arte di Washington, avrebbeattraversato l’America. Preso dal fa-scino di Helga, guardai più volte lacopertina del catalogo nelle librerieamericane, finché una sera, di ritornodal Museo d’Arte di Saint Louis, deci-si di acquistarne una copia, che miprecipitavo a leggere appena ero nellamia camera da letto, dopo le conver-sazioni serali. Non sapevo della famadel pittore e del chiacchiericcio ame-ricano a riguardo, ma capivo che il motivo di tanto clamore eradovuto alla volontà di Wyeth di vendere una serie di alcunecentinaia di pezzi insospettati, che non avevano interrotto inalcun modo il suo lavoro pittorico ed erano rimasti ignotiperfino alla moglie: i ritratti di Helga, una donna di trentott’anniche lavorava nelle vicinanze della casa del pittore, e qualchealtro della figlia, una ragazzina che sembrava una copia ringio-vanita di Helga.La vendita in blocco dei 238 quadri (oli, tempere, disegni) a uncollezionista americano aveva mosso le alte sfere musealistatunitensi e si era giunti, attraverso l’interessamento delcollezionista, a organizzare una mostra itinerante di due anni,che sarebbe passata per i maggiori musei americani, da Bostona Houston, a Los Angeles, San Francisco e Detroit.Sfogliando le pagine del catalogo, ero sempre più affascinatodalla solitudine di Helga, una solitudine tranquilla, in mezzo auna natura non altrettanto serena. Ipaesaggi desolati, le praterie, glialberi fatiscenti e le assi della casache parevano essere prossime allafine della loro funzione pavimenta-le, muraria e di copertura, mi sug-gerivano una tranquillità e una pacefittizie, poiché in realtà per me rap-presentavano un motivo di deside-rio e, quindi, di tensione. Ma ten-sione verso cosa? Verso la naturaaspra, verso la solitudine, verso lafatiscenza o verso Helga? Helga eraun’idea, bella a pensarla, e quindinon mi posi queste domande in quelmomento, né nei mesi successivi,quando di ritorno in Italia trovai chela fama di Helga aveva varcato l’oce-ano. Mi accontentai, al momento,di guardare dal vivo altri dipinti di Wyeth, che mi piacquero, mache vennero in qualche modo subito offuscati dalle solitudinimetafisiche di De Chirico e dai nudi di Modigliani, dispostinelle sale attigue del Museo d’Arte Moderna di New York.Fu un pomeriggio a casa di un amico che qualcosa emerse piùchiaramente. Sfogliando il catalogo con altri amici pittori, il

mio amico mi disse che questo Wyeth, di cui non aveva sentitoparlare, era un abile disegnatore, ma che non reggeva ilconfronto con Bonnard, con quei ritratti d’interni, quei detta-gli che erano sparsi qua e là nei suoi dipinti, e quel gioco dicolori e luci che caratterizza la pittura francese del secondoOttocento. Wyeth, in definitiva, mancava di spessore. O, comedisse il mio amico: era troppo americano. In questo fuid’accordo, poiché ponendomi di fronte a un suo dipinto nevenivo affascinato, ma se cercavo di entrare più in profonditànon trovavo niente. Era soltanto l’idea iniziale suggerita dalla

sua pittura che mi colpiva. E ancora micolpisce, così, in superficie.Guardando Bonnard, Modigliani oBronzino questo non mi succede, né icosiddetti minori della pittura senesedel Trecento, così vivi di carnalitàanche nei ritratti delle Madonne del-l’umiltà: di fronte a questi dipinti siresta in qualche modo ammirati, e piùli si osserva più emergono elementiestetici che continuano a richiamarealla mente altri scenari, luoghi cheabbiamo visitato e immaginato, storiediverse, situazioni affatto dissimiliche, nel momento in cui si guarda eriguarda un quadro, si trovano richia-

mati insieme, come in un’epifania. I dipinti di Wyeth, invece,richiamano uno scenario, lo portano in rilievo, ma evitano ogniulteriore richiamo di altri scenari della memoria, rifiutanoogni sorta di epifania premeditata, ossia di un riconoscimentodi elementi, tenuti separatamente in noi, che vengono richia-mati insieme in una unità imprevista che sentiamo vera, e di cuiriconosciamo successivamente un carattere universale. Daqui l’idea del “Perché non ci ho pensato io?” che si ponel’artista o il poeta rispetto a un’opera d’arte. Nel caso di Wyethquesto processo non avviene. E non avvenendo si è parlato dilui, sminuendone la validità dell’opera, come di un granderitrattista e disegnatore, se non proprio illustratore, di unottimo pittore di mestiere, un pittore raffinato e popolare. Dalpunto di vista storico-estetico bisogna ammettere che, data lalogica “epifanica” che è alla base della concezione ufficialedell’arte, questo può facilmente essere creduto come vero.

Dal Romanticismo in poi si è pro-grammaticamente puntato sull’ope-ra d’arte come rivelazione di un’uni-tà del sentire, anche se si è dovutoattendere il secondo Ottocentofrancese perché si avesse qualcheesito dello stesso rilievo dell’arteche si cercava di rimpiazzare con lenuove idee. Ma il fatto che gli im-pressionisti e simbolisti francesiche frequentavano il salotto del po-eta Stéphane Mallarmé, e, succes-sivamente, James Joyce, T. S. Eliote Virginia Woolf, puntassero consuccesso la loro attenzione sul-l’epifania, ha reso l’arte (anche quel-la letteraria) una sorta di formaespressiva che dovesse seguire icanoni di un successo e di un abito

che quegli artisti e poeti si erano fatti su misura, portando cosìle accademie a una sorta di forma intellettualistica, in cui ci sipassa quello che è più facile passarsi: teorie e tecniche.Se l’arte è più grande in misura della sua capacità di richiamarepiù scenari alla mente in una singola opera in modo unitario,è evidente che l’opera di Wyeth, così come le migliori

Autumn (Autunno)

Overflow (Straripamento)

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Notizie in… CONTROLUCEsettembre 2000 23ARTE

vignette e i migliori fumetti, è da ritenersi un’arte minore.Tutt’altro che epifanica l’arte di Wyeth spiazza, ma non adeffetto. I suoi sono paesaggi desolati, personaggi solitari inmezzo alla natura. E non c’è nulla di conclusivo nel suosguardo: l’inquadratura taglia fuori scenari imprevedibili, in-sidie probabili, la natura esprime la sua forza attraverso la suapermeabilità nella scena, attraverso la sua onnipresenza. Tuttol’opposto della pittura romantica di Turner: in Wyeth non c’ènulla di eclatante, tutto è mitigato in un realismo che sa pocodel romanzo o del poema epico e molto della fiaba. E Helga,come qualsiasi personaggio dellefiabe, è impermeabile aun’introspezione psicologica. È unadonna nella natura che sta per contosuo, che non ci permette un contat-to maggiore di quello dello sguardoo della immedesimazione: noi pos-siamo essere al posto di Helga ofuori della scena come voyeur, mala freddezza delicata di Wyeth nonconsente di immaginarci accanto alei, in conversazione con il suopersonaggio, non ci lascia immagi-nativamente interferire con la suavita. Possiamo solo ammirarla nel-la sua solitudine in mezzo alla natu-ra o ammirare noi stessi pensando-ci al suo posto, sentirci come lei ofuori della scena, decisamente so-litaria. Gli scenari del pittore del Maine non sono fatti che diquella solitudine resa in tinte e tratti variegati, in cui la naturanon ha bisogno di urlare la propria presenza selvatica, indomita,non addomesticabile, perché è già ovunque in modo selvaggio,ma non devastante, né minaccioso. Lo sguardo del pittore chenon chiude a tutto tondo il paesaggio, e neppure gli interni,lascia fuori della tela l’avventura dell’uomo, la sua storia, i suoidolori e le sue felicità. Ma ciò che lascia ancora più decisa-mente fuori è il suo destino, ad eccezione di quello che ècomune a tutti gli uomini: la vita, qui e ora, e la morte, poi.Ma nel caso di Helga non si avverte alcun disagio, né alcunaansia. Il personaggio è nell’accettazione di sé, della propriacondizione umana, senza preoccupazioni per l’avvenire. Que-sto contrasto fra la natura selvaggia e la tranquillità di Helga èaddolcito dalla curiosità del personaggio, dal suo ammirare lanatura (come in Autumn: un modo poetico per dire “autunno”in americano), la quale tende di con-seguenza ad abbellirla, a invaderla diluce (come nel dipinto Day Dream:“Sogno diurno”, ma anche, forse,“Sogno ad occhi aperti”, in cui ilsogno ad occhi aperti non è quellodi Helga, ma di chi la guarda mentredorme), o rivelarne la delicata, inti-ma bellezza, sfilandola via dall’oscu-rità, così come la pittura si avvaledella luce per creare contrasti visivi(Night Shadow, “Ombra notturna”).La ritrattistica di Wyeth fa spessopensare alla fotografia. L’effettoprodotto è indubbiamente tale, mabasta osservare l’intera collezionedei Quadri di Helga (HelgaPictures) per accorgersi che dei238 pezzi della collezione solo treo quattro hanno un cielo azzurro: in quasi tutti il cielo è resocon un bianco sporco, calcinato. L’effetto di dispersione e dipervasione leggera della natura è realizzato attraverso a unavarietà selezionata di toni cromatici, che si distribuiscono inzone ideali, secondo una grammatica che evita qualsiasi gene-re di contrasto. Questo smorza il razionalismo di fondo in un

quadro d’insieme che conserva un sapore cromatico unitario,fortemente evocativo di un mondo fiabesco che fa dell’ignotodella vita un motivo esperienziale, di crescita. E, nel caso diHelga, una donna adulta, si traduce in una avventura continuadella vita, più vera dell’uso retorico delle fiabe, in cui si fissaarbitrariamente un termine alla fragilità umana e allamaturazione interiore.Si è osservata una certa somiglianza con il pittore americanoEdward Hopper. In effetti, oltre alle evidenti differenzestilistiche e ambientali date dalla colorazione uniforme e dal

contesto urbano di Hopper, en-trambi gli autori isolano i perso-naggi nello spazio, ponendoli alcentro di una vicenda senza esito,come in sospensione. Ma se lamarginalità di Hopper è all’inter-no del contesto sociale, reclusa inuna razionalizzazione della vitadell’uomo, resa pittoricamentedalle forme plastiche e dai vuotifra le figure, Andrew Wyeth alcontrario esprime una natura li-bera e affrancata dalle costrizionisociali, come si nota nei dipintifortemente caratterizzati, più chedal nudo, dal naturismo. La naturae il nudo non sono più un atto dimero voyeurismo, poiché la nudi-tà di Wyeth non esprime la sen-

sualità propria delle preoccupazioni della pittura europea diquesto secolo, con uomini e donne che si spogliano di nasco-sto o si ritrovano intimamente liberi solo fra quattro mura olontani da occhi indiscreti, come in Degas, Bonnard, Modigliani,Schiele e altri autori. Né rientra nel puritanesimo americano,con le sue etichette formali. Se per la maggior parte dei pittoriil nudo rappresenta uno strumento discorsivo e non solo unaforma di affrancamento ideale, in Wyeth tale aspetto scompa-re. Come per Emerson e Whitman, due padri fondatori dellacultura americana, il naturismo di Wyeth è la mera accettazio-ne dell’uomo nella natura, senza orpelli, al punto che l’operadell’artista americano non implica alcun rapporto diretto fra ilfruitore di un dipinto e i personaggi rappresentati, a meno chenon passi prima nell’accettazione della natura, che entri nellascena, che non cerchi in Helga il primo interlocutore diretto,ma, eventualmente, un secondo interlocutore con cui condivi-

dere il rapporto con la natura, cosìcome lo vive Helga nella sua sere-nità. Da qui il suo distacco, e l’in-capacità nostra di penetrare l’inti-mità del personaggio. E la scena incui si trova, in cui Wyeth ci invitaa entrare, non richiede alcuna de-strezza tipica delle società indu-strializzate, così come non richie-de alcuna struttura tipica delle so-cietà rurali. Eppure, nonostantequesti contenuti della pittura diAndrew Wyeth, può capitare divedere un suo dipinto in una me-tropolitana newyorkese. E rima-nere colpiti dall’immagine di unadonna incoronata da uno stranoserto di foglie, e pensare che l’au-tore volesse imitare Botticelli.

A tredici anni di distanza dal primo incontro con un’opera diWyeth, non solo non ho dimenticato i Quadri di Helga, mal’autore mi stimola a pensare a forme pittoriche più sottili diquelle “meramente” avanguardistiche, e a evitare affrettateconclusioni sulle arti visive “maggiori” e “minori”.

Nicola D’Ugo

Barracoon (Reclusorio)

Night Shadow (Ombra notturna)

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Notizie in… CONTROLUCE settembre 200024

“La nostra canzone è prima da tre settimane”, sussurra-va Fred Bongusto. Il massimo del massimo: me ne sto sullaspiaggia a rosolarmi al sole di luglio, tu...”esci come Veneredall’onda” , la nostra canzone capeggia la hit parade... lavita non può offrire di più: Tutti hanno la“nostra canzone”, colonna sonora e carto-lina evocativa dell’ amore giovanile. E c’èun perchè.Da millenni, dalle danze tribali ai baccanaliromani, dalle carole medievali ai minuettisettecenteschi, dai valzer dell’ottocentoalle canzoni del secolo testè trascorso, èstato alla musica affidato, fra l’altro, unruolo...paraninfo (basti pensare alla mat-tinata ovvero serenata).Secondo secolare costume è quindi lamusica il passaggio obbligato perapprocciare il sesso opposto. Va bene perchi sa cantare e ballare, per gli stonati èun momento terribile. Giovanni è un dra-go con le formule chimiche, studia biolo-gia, nel suo futuro c’è la farmacia dellozio. Magari potesse avvicinare la bocca al-l’orecchio di lei e sussurrarle dolcemen-te... la formula dell’acidodesossiriibonucleico; egli, invece, balla come un orso e vafuori tempo. Deborah, un fisico non proprio da top model,

La nostra canzonedopo dieci ore di negozio dovrebbe trasformarsi in unaNatalia Estrada e, per farsi notare da lui, farsi una bella bal-lata sul cubo della discoteca. Capirai! Ballerina: facile adirsi. Ma dietro quei volteggi leggeri ci sono anni di alle-

namento senza sosta, muscoli di ferro ingambe di velluto e glutei da spaccarci lenoci. Oltre (una cosuccia) il talento e ilsenso del ritmo. Non è il caso di Deborah.Però, poichè Dio li fa e poi li accoppia,altrimenti si estinguerebbe il genere, pa-gato il faticoso scotto alla musica, anchegli stonati si conoscono, si piacciono, ini-ziano una vita di coppia e, pur se della mu-sica non può fregargliene di meno, ricor-dano con nostalgia la canzone galeotta.Poichè in questi casi l’unica musica è quelladei vent’anni, si va a livelli generazionali. Isessantenni ragazzi degli anni sessanta sicommuovono con Paoli e Peppino di Ca-pri, ma a chi ha dieci anni di meno, guai atoccargli Venditti e Baglioni. Per quelliancor più giovani durano ancora i DuranDuran, mentre gli adolescenti stanno viven-do il tempo delle mele con Ricky Martin eLou Bega. Ma a metà del ventunesimo se-

colo, saran per loro cavoli amari ballare il “Mambo n.5”!Francesco Barbone

“Ho tr ovato!” esclamò Archimedeuscendo dal bagno nudo ed esultanteper aver scoperto la legge sui corpi ba-gnati che porta il suo nome. Se un vigi-le lo avesse multato per oltraggio alpudore, gli avrebbe risposto che unoscienziato non bada a simili sciocchez-ze.La stessa risposta mi avrebbe dato ilprofessor Boborskj, mio misteriosocondomino, se gli avessi fatto rilevareche era uscito con una scarpa marronee una nera.

Alto, magro, ieratico, lunghi capelli precocemente imbian-cati, sguardo perso dietro grosse lenti, di origine polacca(forse), lavorava come fisico ricercatore a Frascati (cre-do). Era sempre immerso nei massimi sistemi e interagivacuriosamente col suo prossimo, di cui facevo, purtroppo,parte.Dopo la terza volta che, in pochi giorni, l’amministratoreaveva fatto cambiare la serratura del portone che trovava-mo regolarmente scassinata, noi condòmini stavamo all’ertaper scoprire l’autore del gesto vandalico. Finché la veritàsaltò fuori.Il professore dimenticava regolarmente le chiavi; risolvevapertanto il problema di aprire sia il portone condominialeche il portoncino del suo appartamento, scassinando abil-mente le serrature con un temperino che (quello sì!) porta-va sempre con sé!Un’altra volta, dallo scambio di informazioni tra condòmini,risultò che non era possibile attingere acqua dai rubinettidurante la notte. Di giorno però l’impianto idrico funzio-nava regolarmente!La chiave del mistero fu ancora il prof. Boborskj. Scoprim-mo che lo scienziato, insofferente del rumore notturnodell’autoclave, si avventurava nelle tenebre fra i meandrisotterranei del palazzo e, scassinata la porta della fontana

Eureka!col solito temperino, chiudeva l’acqua, placando così i suoinervi e assetando i condomini nottambuli.Una volta una scampanellata lunga e improvvisa mi feceaccorrere alla porta del mio appartamento e me lo vidi da-vanti, agitatissimo: “Avvocato! -mi urlò- Lei deve fare qual-cosa, ho fatto l’incidente!” Dall’affannoso racconto risultòche il professore, dovendo uscire d’urgenza con la macchi-na, aveva trovato il vialetto d’ingresso sbarrato dall’auto diun condòmino; ergo, al fine di rimuovere l’ostacolo, si eragettato a tutta forza con la sua macchina contro l’auto insosta sul passo carrabile!In un giorno di pioggia vedo Boborskj avanzare a larghi passisul marciapiede, centrando varie pozzanghere con abbon-danza di schizzi fangosi. Ad un tratto il professore si fermae, rivolgendo in basso uno sguardo al fulmicotone, escla-ma: “Pozzanghera! Non mi bagnare!!!”Un bel giorno il professore sparì. Si mormorò di un incari-co ad Harvard. Chissà, forse un giorno lo scienziato pren-derà il Nobel per la fisica.Forse, per ritirare il premio, si presenterà davanti al Re diSvezia. In mutande.

Francesco Barbone

Archimede

Lou Bega

SATIRA E COSTUME

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