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A.N.P.I. Associazione Nazionale Partigiani d’Italia Sezione Esquilino-Monti-Celio “don Pietro Pappagallo” - Roma ______________________________________________________________________________________ ___________________________________________________________________ Blog: http://anpiesquilino.blogspot.com/ Contatti: [email protected] 1 Le SS italiane. I carnefici nazisti al servizio di Hitler La storia dei reparti delle SS italiane (SS "SchutzStaffeln", "squadre di protezione" ovvero il reparto di polizia di partito e guardia personale di Hitler, fondata nel 1925) è ancora oggi poco conosciuta e studiata. Rare le ricerche su questa pagina tra le più inquietanti della Repubblica Sociale di Salò. Ma chi erano, e che compiti avevano le SS italiane? Chi erano le SS italiane Le SS italiane furono un corpo militare composto da italiani che giurarono obbedienza ad Hitler e che operarono al fianco dei nazisti occupanti contro chi combatteva per la libertà e la democrazia in Italia; furono impiegati essenzialmente in operazioni di polizia con funzione repressiva antipartigiana, contro la popolazione e nei campi di prigionia e di sterminio. Eloquenti, a tal proposito, le parole di Ricciotti Lazzero: “Nelle loro file ci fu di tutto: idealisti, illusi, fanatici, profittatori, gente in buona e malafede, persone che colsero l'occasione per rientrare in Italia dai campi di concentramento, individui violenti, altri che credevano in un nuovo ordine europeo all'ombra della svastica e ne volevano essere i forgiatori e anche prigionieri messi di fronte all'alternativa: o con noi o al muro” (1). Così, a commento del libro di De Lazzari, Franco Giustolisi: “Divisa tedesca. Armi tedesche. Sul cinturone la sinistra fibbia con il teschio incrociato dalle ossa. L'unica differenza: le mostrine rosse sulla giubba. Uccisero i loro connazionali a Sant'Anna di Stazzema, a Marzabotto, a Fivizzano, a Bucine, a Cavriglia, a Civitella della Chiana e altrove. Ci sono le testimonianze dei sopravvissuti che hanno raccontato il loro stupore sentendo quei massacratori parlare la loro lingua, qualche volta addirittura con inflessioni locali. Si avventarono con i loro simboli di morte, che fecero diventare effettivi, su bimbi in fasce che potevano essere loro figli. Su donne che potevano essere loro madri o sorelle. Su vecchi, dell'età dei loro padri, che forse non erano mostri, ma mostri generarono. Sono, anzi erano, per fortuna, le SS italiane”. L'esistenza di reparti armati di SS formato da militari italiani, fu proposta direttamente da Mussolini fin dal suo arrivo in Germania, a metà settembre del 1943 (anche se non si saprà mai se la sua richiesta fu spontanea o manovrata), dopo la sua liberazione dalla prigionia sul Gran Sasso. Il Duce illustrò il suo progetto al quartier generale dell'esercito tedesco, a Rastenburg, direttamente ad Hitler, che lo sottoscrisse delegando Himmler per l'attuazione. Venne così istituita, il 2 ottobre del 1943, un'unità combattente formata da volontari italiani, "affiliata" (Bestandteil) alle Waffen-SS. Tra i diciotto ed i ventimila furono in totale i volontari italiani - la cifra esatta non si è mai riusciti a definirla con certezza - che si posero al totale servizio della Germania. Il giuramento al Fuhrer e la propaganda Nel composito quadro delle milizie e delle forze armate della RSI (2) le SS italiane costituirono in questo contesto un corpo a parte. A metà novembre del 1943, dopo un periodo addestrativo presso il poligono Feldstetten di Muensingen, nella Germania sud-occidentale, tra le colline del Giura svevo, a 40 chilometri da Stoccarda, i volontari italiani prestarono giuramento di fedeltà ad Hitler come comandante supremo delle forze armate dell'Asse. Questa la formula utilizzata: Giuro davanti a Dio questo sacro giuramento, che combattendo per la mia patria Italiana contro i suoi nemici, sarò incondizionatamente obbediente al comandante supremo delle Forze Armate tedesche, Adolfo Hitler e sempre disposto a dare la mia vita per questo giuramento.

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    Le SS italiane. I carnefici nazisti al servizio di Hitler La storia dei reparti delle SS italiane (SS "SchutzStaffeln", "squadre di protezione" ovvero il reparto di polizia di partito e guardia personale di Hitler, fondata nel 1925) è ancora oggi poco conosciuta e studiata. Rare le ricerche su questa pagina tra le più inquietanti della Repubblica Sociale di Salò. Ma chi erano, e che compiti avevano le SS italiane? Chi erano le SS italiane Le SS italiane furono un corpo militare composto da italiani che giurarono obbedienza ad Hitler e che operarono al fianco dei nazisti occupanti contro chi combatteva per la libertà e la democrazia in Italia; furono impiegati essenzialmente in operazioni di polizia con funzione repressiva antipartigiana, contro la popolazione e nei campi di prigionia e di sterminio. Eloquenti, a tal proposito, le parole di Ricciotti Lazzero: “Nelle loro file ci fu di tutto: idealisti, illusi, fanatici, profittatori, gente in buona e malafede, persone che colsero l'occasione per rientrare in Italia dai campi di concentramento, individui violenti, altri che credevano in un nuovo ordine europeo all'ombra della svastica e ne volevano essere i forgiatori e anche prigionieri messi di fronte all'alternativa: o con noi o al muro” (1). Così, a commento del libro di De Lazzari, Franco Giustolisi: “Divisa tedesca. Armi tedesche. Sul cinturone la sinistra fibbia con il teschio incrociato dalle ossa. L'unica differenza: le mostrine rosse sulla giubba. Uccisero i loro connazionali a Sant'Anna di Stazzema, a Marzabotto, a Fivizzano, a Bucine, a Cavriglia, a Civitella della Chiana e altrove. Ci sono le testimonianze dei sopravvissuti che hanno raccontato il loro stupore sentendo quei massacratori parlare la loro lingua, qualche volta addirittura con inflessioni locali. Si avventarono con i loro simboli di morte, che fecero diventare effettivi, su bimbi in fasce che potevano essere loro figli. Su donne che potevano essere loro madri o sorelle. Su vecchi, dell'età dei loro padri, che forse non erano mostri, ma mostri generarono. Sono, anzi erano, per fortuna, le SS italiane”. L'esistenza di reparti armati di SS formato da militari italiani, fu proposta direttamente da Mussolini fin dal suo arrivo in Germania, a metà settembre del 1943 (anche se non si saprà mai se la sua richiesta fu spontanea o manovrata), dopo la sua liberazione dalla prigionia sul Gran Sasso. Il Duce illustrò il suo progetto al quartier generale dell'esercito tedesco, a Rastenburg, direttamente ad Hitler, che lo sottoscrisse delegando Himmler per l'attuazione. Venne così istituita, il 2 ottobre del 1943, un'unità combattente formata da volontari italiani, "affiliata" (Bestandteil) alle Waffen-SS. Tra i diciotto ed i ventimila furono in totale i volontari italiani - la cifra esatta non si è mai riusciti a definirla con certezza - che si posero al totale servizio della Germania. Il giuramento al Fuhrer e la propaganda Nel composito quadro delle milizie e delle forze armate della RSI (2) le SS italiane costituirono in questo contesto un corpo a parte. A metà novembre del 1943, dopo un periodo addestrativo presso il poligono Feldstetten di Muensingen, nella Germania sud-occidentale, tra le colline del Giura svevo, a 40 chilometri da Stoccarda, i volontari italiani prestarono giuramento di fedeltà ad Hitler come comandante supremo delle forze armate dell'Asse. Questa la formula utilizzata: Giuro davanti a Dio questo sacro giuramento, che combattendo per la mia patria Italiana contro i suoi nemici, sarò incondizionatamente obbediente al comandante supremo delle Forze Armate tedesche, Adolfo Hitler e sempre disposto a dare la mia vita per questo giuramento.

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    Già alla fine di novembre, mentre le Forze Armate della Repubblica di Salò andavano ancora costituendosi, ben 13 battaglioni furono trasferiti nell’Italia Settentrionale con compiti di “sicurezza”. Tranne due battaglioni inviati a contrastare lo sbarco degli americani ad Anzio, le SS Italiane furono quasi esclusivamente impiegate dai tedeschi in operazioni di polizia e di lotta antipartigiana nelle regioni del Nord Italia. Quando fece rientro in Italia sempre a fine novembre, fu il generale di brigata delle Waffen-SS Peter Hansen, di origini cileno con fama di duro, ad assumerne per primo la direzione operativa, dipendendo a sua volta dal generale obergrueppenfuerer Karl Wolff, comandante supremo delle SS e della polizia tedesca nell'Italia occupata. Per motivi di salute Hansen fu sostituito al comando dell'unità italiana temporaneamente da Gustav Lombard (dal 28 ottobre al 6 dicembre) e poi da Eugen von Elfenau (dal 6 dicembre ala fine di gennaio 1944). Tutti i gradi più importanti erano tedeschi, i nomi dei volontari venivano inviati a Berlino e gli stessi ordini per gli ufficiali superiori erano dati in lingua germanica. Al vertice della legione vi era l’ispettorato del generalmajor Pietro Mannelli (con funzione anche di ispettore arruolamenti) dell’SS oberfuehrer Erick Tschimpke (anche ispettore stampa e propaganda). Dall’ispettorato dipendeva il convalescenziario di Griffa sul lago maggiore trasferito nella seconda metà del ’44 all’ospedale campo dei fiori a Varese. Vi era inoltre il reparto ausiliarie della marchesa Wally Sandonnino. Il settore stampa curava la pubblicazione di “Avanguardia europea”, il settimanale che sarà l’organo di stampa ufficiale delle Waffen SS Italiane poi ridenominato semplicemente in “Avanguardia”. Il giornale aveva sede a Milano in Viale Monte Santo 3 e il 7 ottobre 1944 dalle sue pagine definì Himmler, tra gli ideatori dei campi di sterminio, “un grande europeo”. Sulla stessa rivista scrissero il teorico italiano del razzismo Giovanni Preziosi e Carlo Borsani. L'equipaggiamento era scarso e vario, frutto delle rimanenze dei magazzini tedeschi ed italiani. La giubba era quella italiana, i pantaloni erano modello rotondo (rundbundhosen) dei paracadutisti o quelli del regio esercito. Le divise, a differenza delle SS tedesche, ebbero mostrine rosse. I gradi erano ordinati secondo la gerarchia tedesca. Sui berretti e sugli elmetti il "teschio d'argento" e le due SS stilizzate dipinte in vernice bianca. Unici segni distintivi: un'aquila su fascio littorio romano (per evidenziare la propria nazionalità) e, verso la fine del 1944, il simbolo delle tre frecce incrociate racchiuse in un cerchio da portare sulla mostrina destra. Sul cinturone la sinistra fibbia con il teschio incrociato dalle ossa. L'armamento era abbastanza misero, anche se i Tedeschi avevano fatto razzia di armi nelle caserme: non fidandosi del tutto dei volontari italiani, razionavano fucili e cartucce. Il vitto era buono per tenere alto il morale dei soldati. Il Comando tedesco depositava su un conto bancario la paga dei belligeranti a favore delle famiglie, per consolidare la dipendenza dalla Germania. Non erano salari esaltanti (42 marchi, ed un marco equivaleva a 10 lire, al mese per un soldato semplice celibe, 63 se sposato, più 18 marchi per ogni figlio entro i sedici anni; 84 marchi ad un sergente celibe e 123 se sposato; 126 o 162 al sottotenente; 170 o 215 al Capitano; 200 o 260 al maggiore; 245 o 315 al tenente colonnello; 310 o 400 al colonnello; 380 o 495 al maggiore generale; 450 o 585 al tenente generale), ma contribuivano all'arruolamento. Vi era anche un incentivo speciale di 1.000 lire a fine mese per i soldati che si erano distinti nella lotta ai partigiani, nella cattura di armi e depositi di materiali e nello sventare atti di sabotaggio. Tra coloro che aderirono alle SS anche un cappuccino dei Frati Minori, padre Eusebio (al secolo Eugenio Zappaterreni) (3). Va precisato che nelle SS italiane, il cui motto era Il nostro onore si chiama fedeltà, in realtà, non tutti si unirono agli ex alleati germanici volontariamente.

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    Oltre ai casi di arruolamento per genuino entusiasmo fascista, non isolati furono quelli per sfuggire allo spaventoso trattamento riservato dai tedeschi ai "traditori di Badoglio" (4) e di diserzione, a volte tragicamente conclusisi con la fucilazione. Dai centri di reclutamento (Cars, centri di addestramento per le truppe destinate alla guerriglia antipartigiana) in Germania per Italiani destinati alle divisioni SS le fughe si moltiplicavano. Il I° Battaglione SS "Debica", costituito da tre gruppi, era l'unico reparto ad essere indicato fin dalla sua costituzione come reparto SS; si era formato a Debica, presso Cracovia, in Polonia, da cui rientrò nel febbraio del 1944, quando venne firmato da Mussolini e dal Ministro della Giustizia Pisenti un bando che comminava la pena di morte ai renitenti ed ai disertori. Il bando doveva scadere il 28 febbraio, ma, visti gli scarsi risultati, fu fatto scivolare all'8 di marzo (5). Sempre a febbraio venne anche fondata la I Brigata d'Assalto della Legione SS Italiana. Complessivamente i battaglioni della Waffen Militz italiana furono tredici, con circa 14.000 uomini, che vennero dislocati nella Pianura Padana, lontano dal fronte vero e proprio, con compiti di sicurezza interna, in senso di lotta ai ribelli, caccia ai partigiani. Il 6 marzo Himmler stabilì che gli Italiani che avevano prestato giuramento di fedeltà ad Hitler e combattevano nelle SS o nella Wehrmacht potevano ricevere tutte le decorazioni come i soldati tedeschi; nello stesso mese entrarono in funzione in tutto il territorio della Repubblica di Salò i centri di arruolamento delle SS italiane gestite dall'Ispettorato delle Legioni Volontari Italiani, al cui vertice c'erano Piero Mannelli ed Erich Tschimpke: in tutto 29 uffici principali e 6 secondari. Tutte le città italiane vennero invase dai manifesti realizzati, come le cartoline, dalla matita fascista di Gino Boccasile, che incitavano i giovani ad arruolarsi per l'onore della Patria e per continuare la lotta al fianco dei camerati tedeschi; anche sui giornali apparvero bandi di arruolamento. Tutti i volontari venivano schedati, selezionati: la loro vita veniva passata al setaccio e nei registri dell'amministrazione militare tedesca venivano inseriti anche i nomi e gli indirizzi dei familiari. Una precauzione chiara, ed espressa in chiare parole, di rivalsa e di punizione nel caso di eventuale diserzione. Il 17 marzo 1944 i volontari italiani SS, guidati da Carlo Federigo Degli Oddi, parteciparono alla controffensiva tedesca nel settore di Anzio e Nettuno per contrastare le truppe alleate ivi sbarcate. Sul numero 4 di "Avanguardia", il giornale delle SS italiane, comparve il primo articolo riguardante l'impegno sul fronte laziale: “Sul fronte di Nettuno, nel corso di azioni di pattuglie e di tentativi d'infiltrazione del nemico, unità della Legione SS italiana hanno decisamente contrattaccato ristabilendo prontamente la situazione precedente. I volontari della nuova Italia, alla prova del fuoco, hanno dimostrato eccellente spirito combattivo ed ottimo morale”. Le SS italiane combatterono a fianco dei nazisti tedeschi per nove settimane su un fronte di cinque chilometri e mezzo. Su 640 uomini ne caddero 340. Dopo la breve parentesi sul fronte laziale, i volontari SS ritornarono alla lotta contro i partigiani, durante la quale furono autori di eccidi e di rastrellamenti. Gli stermini Ma il contributo di orrore e di ferocia delle SS italiane si espresse anche in altri campi: nei corpi delle polizie speciali che infestarono l'Italia (assai noto il caso della cosiddetta "banda Carità", guidata da uno dei più sanguinari torturatori della RSI che operò a Firenze, Padova e Vicenza, e che si presentava come ufficiale delle SS) e, soprattutto, con funzioni da carcerieri, nel lager-crematorio della Risiera di San Sabba, unico campo con forno crematorio in Italia, quasi nel cuore di Trieste, tristemente noto come "Stalag 339". A San Sabba, quindi, c'erano, tra gli aguzzini, anche gli italiani, con la divisa delle SS, persone terrificanti che non esitavano un istante a picchiare, insultare e torturare compatrioti poveri o ricchi, partigiani, ebrei, semplici antifascisti o gente incappata per caso in qualche rastrellamento.

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    Fascisti e nazisti avevano trasformato la Risiera in prigione provvisoria per i soldati italiani catturati dopo l'8 settembre 1943 e, successivamente, verso la fine del 1943, fu trasformato in Polizeihaftlager (campo di detenzione di polizia). Chi finì in quel lugubre edificio? Migliaia di soldati italiani che erano stati catturati dai nazisti in Grecia, in Jugoslavia, in Albania e lungo la costa Adriatica, perfino alcuni superstiti della divisione Acqui, che si era battuta eroicamente a Cefalonia contro i nazisti, furono gettati nel forno crematorio. Poi gli ebrei, gli antifascisti, i rastrellati, i partigiani italiani ed un gran numero di partigiani sloveni, croati e serbi che si battevano, con Tito, contro gli occupanti fascisti e nazisti. Ne furono portati a Trieste da tutta la Dalmazia. I pochi superstiti ricordano ancora, per esempio, la fine del partigiano italiano vicecomandante della formazione partigiana "Osoppo", al quale fu orrendamente passata la carta smeriglio sugli occhi per poi spingerlo nel fuoco. Si calcola che nella Risiera vennero sterminate dalle tremila alle cinquemila persone. Altre migliaia rimasero prigioniere in quelle celle per poi essere trasferite nei campi di sterminio di Dachau, Mauthausen e Auschwitz. Quasi sempre chi finiva in Germania ed in Polonia per essere portato a morire veniva accompagnato a destinazione proprio dalle SS italiane, insieme a quelle ucraine e russe, che parteciparono anche a tutta una serie di rastrellamenti sui monti intorno a Trieste. Per costruire il forno crematorio della Risiera era sceso fino a Trieste lo specialista Erwin Lambert, ufficiale delle SS che, in versione più grande, aveva già costruito i forni di Treblinka e Sobibor. Il "collaudo" del forno della Risiera venne portato a termine nei primi giorni dell'aprile del 1944, quando furono "passati per il camino" i 71 corpi degli ostaggi fucilati al poligono militare di Opicina. Si trattava della rappresaglia ad un attentato partigiano. Dopo la "prova di funzionamento" il forno prese a marciare regolarmente. Quando le vittime venivano "preparate" e poi colpite alla testa dal boia (un ucraino o un italiano) gli altoparlanti della Risiera venivano alzati a tutto volume perché da fuori non si sentissero le urla di chi era in fila in attesa della morte. Altre volte erano i cani lupo ad abbaiare al momento opportuno. Ci sono le testimonianze dei sopravvissuti che hanno raccontato il loro stupore sentendo quei massacratori parlare la loro lingua, qualche volta addirittura con inflessioni locali. Il 9 marzo 1945 venne ufficialmente adottata per le SS italiane la denominazione “29a Divisione Waffen SS Italia”, più precisamente la "29 Waffen-Grenadier-Division der SS Italienische Nr.1", un "ordine" di "uomini razzialmente e fisicamente scelti", come recitava un loro manuale, seguito "spiritualmente" dal cappellano Don Gregorio Baccolini. Il 25 aprile del 1945 il comandante Franz Binz ordinò la ritirata ai suoi legionari, nello stesso momento in cui Mussolini stava andando a Milano a trattare, tramite il cardinale Schuster, con il Comitato di Liberazione Nazionale. Binz, in ritirata, riuscì ad impossessarsi di dodici autocarri prelevati a dei partigiani per proseguire verso Somaglia. Bersagliato dall'aviazione alleata, tentò di raggiungere la Brianza, ma il giorno 30 si arrese a Gorgonzola, nei pressi di Milano, ai carri armati americani, senza sparare un colpo. In conclusione va inoltre ricordato che molti italiani furono inquadrati anche in altre Divisioni Waffen SS dopo l'8 settembre 1943. La maggior parte di essi ottenne il privilegio di portare le mostrine della SS sin dall'inizio, a differenza dei loro camerati della 29esima Divisione. Gruppi di soldati italiani combatterono in Ucraina contro le forze sovietiche (novembre 1943); gli italiani della Lah, reduci dal fronte russo, vennero assegnati, nella primavera del 1944, alla 12esima Divisione Hitlerjugend, che combatté in Normandia contro gli alleati. In Grecia, la 4 Divisione SS Polizei arruolò centinaia di italiani della milizia e dell'esercito intorno a Volos; in Jugoslavia, un migliaio di italiani vennero aggregati alla 7 Divisione SS Prinz Eugen ed altri combatterono in Croazia. Anche nella 28esima Divisione SS Wallonie vennero impiegati nostri volontari. Marco Foroni

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    Riferimenti bibliografici e fonti (1) I testi e le ricerche effettuate e storicamente approfondite in merito alla vicenda storica delle SS italiane non sono molte. Tra i rilevanti: - Ricciotti Lazzero, Le SS italiane, Rizzoli, 1982 - Sergio Corbatti - Marco Nava, Sentire-Pensare-Volere - Storia della Legione SS Italiana, ed. Ritter, 2001 - Primo De Lazzari, Le SS Italiane, Teti Editore, 2002, prefazione di Arrigo Boldrini, - Marco Novarese, La Legione SS Italiana", in rivista "Storia del XX Secolo", dicembre 1997 - Massimiliano Afiero, Italiani nelle Waffen SS, in rivista "Storia del Novecento, luglio 2001 - Franco Giustolisi, L’armadio della vergogna, Nutrimenti, 2004 - Gianni Oliva, L’ombra nera – Le stragi nazifasciste che non ricordiamo più, Mondandori, 2007 - Mimmo Franzinelli, RSI La Repubblica del duce 1943-1945, Mondadori, 2007 - Monica Fioravanzo, Mussolini e Hitler – La repubblica sociale sotto il Terzo Reich, Donzelli 2009 (2) Guardia Nazionale Repubblicana, Brigate Nere, XMas. (3) Già cappellano della divisione alpina Julia, venne assegnato alla base atlantica di Bordeaux: Operò in Normandia per favorire l'arruolamento dei volontari italiani nella 17.SS-Panzer-Division "Gotz von Berlichingen", che era in corso di costituzione nella zona di Tours. Incontrò diversi ufficiali tedeschi; si occupò della costituzione di un battaglione di 500 uomini guidati dal maggiore Marenghi, inviandone rapporto al Duce. (4) Un gruppo di prigionieri italiani internati (I.M.I) aderì alla proposta del Maggiore Fortunato, ex comandante del XIX Battaglione del VI Bersaglieri con il Csir, tra i primi a schierarsi al fianco dei Tedeschi. Dei circa 700.000 militari italiani deportati con lo status di IMI, solo poco più di 100.000 di dichiararono disponibili a prestare servizio per la Germania o la Rsi come combattenti o lavoratori (per approfondimenti Avagliano - Palmieri, Gli internati militari italiani, Einaudi 2009) (5) "La repubblica di Salò", di Giorgio Bocca, Editore Laterza, Roma-Bari,1977.

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