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Direttori

Mariella MuscarielloUniversità degli Studi di Napoli “Federico II”

Mariangela TartaglioneUniversità degli Studi di Napoli “Federico II”

Comitato scientifico

Maria Rosaria AlfaniUniversità degli Studi Suor Orsola Benincasa

Giuseppe MerlinoUniversità degli Studi della Basilicata

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LE SIBILLE

Il mondo femmineo dell’intuizione, questopiù rapido contatto dello spirito umano conl’universale, se la donna perverrà a renderlo,sarà, certo, con movenze nuove, con scatti,con brividi, con pause, con trapassi, con vor-tici sconosciuti alla poesia maschile.

Sibilla Aleramo

Se si considera improrogabile la messa in discussione delconcetto di canone alla luce del fruttuoso dialogo tra scrit-tura ed esperienza femminile del mondo, si configura piùche urgente la sfida di trasformare il sistema letterario inuno spazio di condivisione e di identificazioni incrociate,un luogo misto in cui leggere le pluralità di un pensierosessuato e situato e in cui vagliare la questione dell’inclu-sione in uno (o più) canoni mantenendo e valorizzando ledifferenze.

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Mariangela Tartaglione

Nel nome della madre

Neera, Sibilla Aleramo, Alba de Céspedes e Anna Banti

Premessa diLaura Guidi

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I edizione: febbraio

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Le donne son venute in eccellenza di ciascun'arte ove hanno posto cura.

Ludovico Ariosto  

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Indice

11 Premessa

Parte prima

17 Capitolo I Iconografie del materno 1.1 Dalle “fertili dee” alla Virgo Mater, 17 – 1.2 Le “nuove” italiane: dall’Unificazione all’emancipazionismo del primo Novecento, 20 – 1.3 «La guerra sta all’uomo, come la maternità sta alle donne», 23 – 1.4 Resistenza e Ricostruzione «dalla parte di lei», 35 – Indice bibliografico, 38. Parte seconda

43 Capitolo II La fertile aporia di Neera

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8 Indice

2.1 Il paradosso di Neera. L’(anti)femminismo tra costruzione saggistica e invenzione narrativa, 43 – 2.2 L’esperienza del materno nella filigrana narrativa: le «eroine vulnerabili» de La trilogia della donna giovane, 53– 2.2.1 «Tutto è destino»: Teresa, 56 – 2.2.2 Matrimonio versus maternità: L’indomani, 59 – 2.2.3 Lydia, la «sognatrice ribelle», 65 – Indice bibliografico, 69.

73 Capitolo III Sibilla dichiara guerra: Una donna 3.1 Come un fiume in piena: la carica sovversiva di Rina/Sibilla, 73 – 3.2 «Chiedevo al dolore se poteva divenire fecondo»: la rinascita nel libro, 78 – Indice bibliografico, 87.

91 Capitolo IV Le donne di Alba de Céspedes. Nessuno torna indietro 4.1 Una storia per otto: alla conquista della “nuova donna”, 91 – 4.2 Le intellettuali perturbanti: Silvia e Augusta, 94 – 4.3 Emanuela e Stefania: madre e figlia sul “ponte” di Amazonia, 98 – Indice bibliografico, 105. 107 Capitolo V Artemisia. La ricostruzione della linea materna

5.1 L’ingegno delle donne tra storia, arte e fiction, 107 – 5.2 Come di madre in figlia: Anna, Artemisia e Annella, 113 –Indice bibliografico, 122.

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9 Indice

125 Appendice 131 Indice dei nomi

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Premessa

Chi mai a scuola, accanto a Pascoli, Verga, D'Annunzio, ha studiato le biografie e le opere di scrittrici come Neera, Sibilla Aleramo, Alba de Céspedes, Anna Banti?

Attive tra la fine dell'Ottocento e la metà del Novecento, diversissime tra loro, sono tutte ugualmente rilevanti per aver messo in luce le castranti forme assunte dal sistema patriarcale nei loro tempi "moderni"; per aver denunciato la persistente impossibilità per le donne di scegliere i propri destini e di sviluppare le proprie potenzialità; per aver raccontato, attraverso le loro eroine, la grettezza e l'ipocrisia della vita privata borghese, che avevano sperimentato e sofferto in prima persona. Voci dissonanti dal coro di esaltazione della donna come "angelo del focolare", le scrittrici di quest'epoca di inquietudini e di grandi mutamenti sono state oggetto di quel "femminicidio" metaforico che Federico Sanguineti, in un incontro svoltosi a Napoli nel 2007, riscontrava nei manuali scolastici di letteratura italiana.

Ancora oggi, dopo decenni di riletture e analisi critiche, in Italia

come all'estero, la conoscenza delle quattro scrittrici protagoniste del libro di Mariangela Tartaglione é riservata a una nicchia, per lo più specialistica, di lettrici e (ancor meno) lettori.

Ed é un peccato: perdiamo in tal modo la possibilità di osservare, attraverso lo sguardo penetrante di donne non conformiste, una fase cruciale della storia italiana, un'epoca che vede entrare in crisi l'ottocentesca fiducia nelle "magnifiche e progressive" sorti del mondo, che nelle carneficine di massa delle due guerre mondiali può constatare, al contrario, i tremendi pericoli insiti nello stesso avanzamento della scienza e della tecnologia usate a fini di potere e distruzione.

La crisi delle utopie politiche universalistiche del secondo Ottocento, in particolare dell'internazionalismo socialista e di quello femminista e dei movimenti pacifisti, lascia spazio all'adesione di massa ad aggressivi nazionalismi, cui non sono estranee le donne. In

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Premessa 12

Italia, come in tutto l'Occidente, le emancipazioniste, alla vigilia della Grande guerra, si dividono: disperdendo le potenzialità della forte rete femminista internazionale d’inizio secolo, molte abbandonano la prospettiva di una "sorellanza universale" per ridisegnare il loro ruolo nella cornice angusta del nazionalismo, e rielaborano la rappresentazione romantico-ottocentesca del materno nella figura nazionalista della "madre spartana".

La nuova schiera delle nazionaliste italiane confluisce in gran parte nel fascismo, movimento virilista come pochi, ma interessato a mobilitare le masse femminili, valendosi anche delle capacità organizzative e intellettuali delle ex emancipazioniste, ora rivestite dei panni di "femministe latine". Coraggiose minoranze di attiviste, intellettuali, donne comuni, rimangono fedeli a ideali universalistici e pacifisti di "sorellanza" durante la Grande guerra, resistono alla propaganda del regime fascista; fino all’importante partecipazione femminile alla Resistenza nel 1943-45, oggi riportata alla luce da una storiografia innovativa che ha rimesso in discussione il paradigma stesso del movimento di liberazione, facendo emergere, accanto alla lotta armata, le numerose forme – in molti casi femminili – di resistenza senz'armi.

Mariangela Tartaglione ripercorre, in una prospettiva inedita e interessantissima, le vite e le opere delle quattro scrittrici italiane, penne coraggiose e audaci, molto diverse tra loro, eppure accomunate dal ruolo centrale che il materno occupa nei loro scritti e nelle loro esistenze. Dall'Unità al secondo dopoguerra, la funzione materna, pur se di volta in volta rielaborata, resta, nella società italiana, il ruolo tout court delle "vere" donne. La Costituzione, nell'affermare con chiarezza il principio dell'eguaglianza tra i sessi si porrà molto più avanti rispetto alla società appena uscita dal fascismo, indicando un traguardo da raggiungere, non certo una realtà in atto. Coloro che si distaccavano, anche solo parzialmente, dall'identificazione con il materno, che ambivano ad esprimersi in altre dimensioni, erano guardate con sospetto, isolate, se non stigmatizzate da categorizzazioni psichiatriche. Di conseguenza, non c'é scrittrice vissuta in quest'epoca che non si sia dovuta misurare col

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Premessa

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materno: nella propria vita e nel "doppio" dei propri personaggi femminili.

Proprio intorno al rapporto delle quattro scrittrici con la dimensione materna si sviluppa questo libro. Nell'affrontare il tema della maternità, anche le ideologie delle autrici sembrano appannarsi, tanto che la "conservatrice" e antifemminista Neera sviluppa attraverso i suoi personaggi una denuncia alla gabbia di convenzioni che imprigiona l'esistenza femminile, che di conservatore ha ben poco. Teresa, Marta, Lydia, protagoniste della sua più nota trilogia, tentano di sottrarsi all'angustia del matrimonio borghese, con esiti diversi. Teresa, dopo un amore sfortunato e ostacolato, si rassegna ad una vita socialmente emarginata di "zitella"; Marta, che mal si adatta a un matrimonio senza amore, scopre nella maternità l'unica via di una possibile felicità; Lydia, dopo una giovinezza frivola e borghese, si suicida per un amore non corrisposto. Per le donne create dalla penna di Neera sembra non esserci scampo, se non nella maternità: ma é una maternità di cui la donna é protagonista assoluta, a suo modo trasgressiva nel relegare l'uomo a un ruolo secondario.

Ad esiti opposti perviene la vicenda, altrettanto sofferta, narrata in Una donna, romanzo autobiografico di Sibilla Aleramo. La protagonista, resistendo al ricatto postole dal marito, accetta di pagare il prezzo della ritrovata libertà con la separazione dal figlio. La scrittrice mette esplicitamente in discussione il modello sacrificale di maternità; solo come donna libera – scrive – potrà ritrovare un giorno un rapporto autentico con il figlio: una sfida radicale alla morale dominante, che molte delle sue amiche femministe non le perdonarono all'epoca.

In pieno fascismo, nel 1938, esce Nessuno torna indietro di Alba De Céspedes, immediatamente censurato come sovversivo e contrario all'etica fascista. In un convitto di suore, a Roma, si incrociano i destini di otto donne venute a compiere i loro studi superiori nella capitale. Silvia, che aspira alla carriera universitaria, pagherà la parziale realizzazione del suo sogno portandosi addosso il

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Premessa 14

cliché di donna "mancata", brutta e mascolina, con cui la donna intellettuale veniva, punitivamente, stigmatizzata all'epoca. Augusta, aspirante scrittrice in un mondo intellettuale dominato dagli uomini, fallisce e sviluppa un profondo disgusto verso l'intero sesso maschile. Emanuela, ragazza madre, dopo aver nascosto e odiato la sua bambina, vissuta come un insopportabile fardello, sceglie alla fine di partire con lei per ricominciare insieme una nuova vita in terre lontane.

Infine, Anna Banti, che nel 1947 pubblica Artemisia, storia romanzata di Artemisia Gentileschi. La vita di Artemisia si svolge tra brutalità maschile, maternità, vita artistica e l'impossibile tentativo di conciliare affetti familiari e professione. A differenza di altre figure letterarie, per le quali la piena adesione al ruolo materno, sia pur soggettivamente rielaborato, rappresenta l'unica soluzione all'infelicità, per Artemisia il riscatto di una vita segnata dalla violenza e dal lutto é nell'arte: nelle poderose figure di donna che, sulla tela, creano un immaginario di indomita forza femminile, ribaltando le rappresentazioni convenzionali.

Facendo suo un tema topico della critica letteraria femminista, Mariangela Tartaglione osserva, con gusto e arguzia, nonché con perizia di strumenti, come la relazione materna, così oscurata dal discorso patriarcale diventa il legame più costantemente presente nella narrativa di scrittrici italiane dalla fin de siècle. E, così, la ricerca di genealogie femminili si trasforma in uno dei principali e irrinunciabili motivi ispiratori di tutto il suo libro.

Laura Guidi

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Parte prima

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Capitolo I

Iconografie del materno

1.1 Dalle «Fertili Dee» alla Virgo Mater Sedimentate archeologie di figurazioni materne si rintracciano

con persistenza nel sostrato culturale e immaginifico italiano da tempi inenarrabili; il culto della Dea Mater, simbolo di fertilità e di fecondità – della terra come delle donne –, trova testimonianza in antichissime statuette votive1 dell’Alto Paleolitico, che danno corpo all’idea collettiva di “madre” nell’Italia preistorica; senza braccia né piedi, la piccola testa delle statuette si perde nel gigantesco corpo dotato di seni enormi e di un singolare tratto distintivo – una precisa incisione nel basso ventre – che segnala, con inequivocabilità, come sia proprio l’atto riproduttivo a marcare il più riconoscibile dei tratti iconografici e simbolici esistenti per la figura materna. Le statuette, infatti, del tutto private di caratterizzazione, incarnano la femminilità in senso assoluto, lasciandola collimare con l’idea di fecondità e di riproduzione, e racchiudono in sé – anticipandolo – il significato intero della storia simbolica del materno, che trova la sua espressione più esasperata con l’avanzare del Cristianesimo come fede predominante e poi ufficiale dell’Impero Romano.

La nuova religione si orienta, invero, nella medesima direzione di esaltare e sacralizzare l’essenza femminea quale forza fertile e generatrice: il ruolo delle donne nell’Impero, com’è noto, risiede unicamente nel rifornire di braccia le famiglie, legate a un’economia a stampo agro-artigianale, subordinando così qualsiasi ulteriore potenzialità femminile alla mera responsabilità riproduttiva. La sostanza distintiva delle donne, insomma, sta tutta nella sua

1 Si fa riferimento alla serie di ritrovamenti archeologici recanti il nome di “Venere di Grimaldi”, come suggerisce Paolo Graziosi in L’arte dell’antica età della pietra (1956), trovati nella grotta di Grimaldi (Imperia) e risalenti al 20.000 a.C..; cfr. l’immagine in Appendice p. 125.

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Capitolo I

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contiguità con il mondo naturale e con il rispetto dei ritmi biologici – mestruazioni, gravidanza, cura filiale e menopausa – in esatta corrispondenza con i cicli vitali delle stagioni e della fertilità dei suoli; se, perciò, la donna è emanazione della natura e sua integrazione, l’uomo, al contrario, – impostando la società sul diritto positivo, la religione monoteista cristiana, la proprietà privata e la monogamia – ne incarna il dominio supremo, lo sfruttamento e l’intervento per appagare bisogni e necessità.

L’esaltazione della funzione delle donne come atto riproduttivo è di certo stigmatizzata nell’immaginario italico collettivo, con la massiccia presenza di Maria nell’iconografia cristiana, a partire dal V e VI secolo, in seguito al concilio di Efeso, quando si fa corollario dell’unione misterica della natura divina e umana di Cristo proprio la "promozione" di Maria da madre del corpo umano in cui il Verbo si è incarnato a Madre di Dio (Theotokos). Così la costruzione simbolica di Maria come Mater Dei trattiene in sé una paradossale contraddizione, ben dichiarata nell’accezione ossimorica di Virgo Mater, con cui notoriamente il mondo cristiano si riferisce a Maria per connotare, andando al di là di qualunque assunto bio/logico, una donna che, pur non macchiata né “corrotta” dal peccato sessuale, assolve con perfezione la sua responsabilità di madre sacrificale. E così, inoltre, nell’inventario delle figurazioni mariane, Maria diventa universalmente Mater – di Cristo, e perciò dell’umanità intera –declinando, nella variante popolare e radicata di Mater Dolorosa totalmente protesa all’abnegazione di sé per il Figlio, «[…] the tradition of mythical fertility goddesses who wept for their sacrificial victims» (Della Fazia Amoia, 2000: 36).

Dunque, in tutto il mondo cristiano – e con una pressione storica e culturale più insistente in Italia, «[…] where religious morality and idealization colored not only the paintings and statues of Madonna and child but the whole popular view of life and of woman’s role in it» (Della Fazia Amoia, 2000: 42) – il simbolo per antonomasia della diade inscindibile madre-figlio è appunto l’icona rassicurante e conciliatoria della Madonna col Bambino, in cui Maria, mitizzata fino a perdere qualunque traccia di umanità, è impiegata nel tempo come exemplum comportamentale di donna mite e remissiva, perfettamente allineata al dominio della legge del Padre. Nella