Le scuole ci sono 40 Carlo Paniccià Cantare laliturgia · Dell’assemblea e del coro. Raccomanda...

17
Tutte le foto del dossier documentano i momenti importanti della 66ª Settimana liturgica nazionale a Bari (27-30.8.15): canti e cori si sono succeduti nelle varie celebrazioni, eucaristiche e no, sotto la supervisione di don Antonio Parisi, autore della musica dello spartito ufficiale (fotoservizio di Giuliano Censi). Tutti i parroci sanno le difficoltà legate a una buona azione liturgica, della quale una parte essenziale ha il canto. Dell’assemblea e del coro. Raccomanda Musicam sacram 5 (5.3.1967): «Perciò i pastori di anime sappiano convenientemente applicare, anche alle celebrazioni senza canto, cui il popolo partecipa, la distribuzione degli uffici e delle parti, propria dell’azione liturgica celebrata in canto, curando soprattutto che vi siano i ministri necessari e idonei e sia favorita la partecipazione attiva dei fedeli». a cura di Antonio Parisi, Silvano Sirboni e Giuliano Censi a cura di Antonio Parisi, Silvano Sirboni e Giuliano Censi SOMMARIO Il canto liturgico: luci e ombre 34 Ci sarebbe da fare... 36 Antonio Parisi Da Pio X al Concilio 36 Vincenzo De Gregorio Le scuole ci sono 40 Carlo Paniccià Prima dei canti, insegnare a cantare 43 Franco Gomiero Suonare è pregare 46 Pierangelo Ruaro La partecipazione attiva 48 Domenico Donatelli Cantare Cantare la liturgia la liturgia DOSSIER DOSSIER VITA PASTORALE N. 2/2016 - 33

Transcript of Le scuole ci sono 40 Carlo Paniccià Cantare laliturgia · Dell’assemblea e del coro. Raccomanda...

Tutte le foto del dossier documentanoi momenti importanti della 66ª Settimanaliturgica nazionale a Bari (27-30.8.15):canti e cori si sono succeduti nelle variecelebrazioni, eucaristiche e no, sottola supervisione di don Antonio Parisi,autore della musica dello spartito ufficiale(fotoservizio di Giuliano Censi).

Tutti i parroci sanno le difficoltà legate a una buona azioneliturgica, della quale una parte essenziale ha il canto.

Dell’assemblea e del coro. Raccomanda Musicam sacram 5(5.3.1967): «Perciò i pastori di anime sappiano

convenientemente applicare, anche alle celebrazioni senzacanto, cui il popolo partecipa, la distribuzione degli uffici

e delle parti, propria dell’azione liturgica celebrata in canto,curando soprattutto che vi siano i ministri necessari

e idonei e sia favorita la partecipazione attiva dei fedeli».

a cura di Antonio Parisi, Silvano Sirboni e Giuliano Censi ��� a cura di Antonio Parisi, Silvano Sirboni e Giuliano Censi ���

SOMMARIO

� Il canto liturgico: luci e ombre 34

� Ci sarebbe da fare... 36Antonio Parisi

� Da Pio X al Concilio 36Vincenzo De Gregorio

� Le scuole ci sono 40Carlo Paniccià

� Prima dei canti,insegnare a cantare 43Franco Gomiero

� Suonare è pregare 46Pierangelo Ruaro

� La partecipazione attiva 48Domenico Donatelli

CantareCantarela liturgiala liturgia

DOSSIERDOSSIER

VITA PASTORALE N. 2/2016 - 33

D opo 50 anni dalla riforma litur-gica è opportuno fare il puntodella situazione, quasi un ta-

gliando, per procedere più spediti econ più entusiasmo. È chiaro che, af-finché una riforma venga recepita eattuata, occorrono ben più di 50 an-ni. Il punto di partenza è sempre lostesso: spiegare i termini per chiarir-si le idee e procedere nella pratica.

E i termini della questione sonosempre quelli: perché cantare nella li-turgia? Qual è il senso e il significatodel canto liturgico? Cantare non percantare, ma pregare cantando. Contutte le questioni connesse: i ministe-ri musicali, la scelta dei canti e il re-pertorio, gli strumenti musicali, leforme musicali, il patrimonio stori-co, l’assemblea e il coro, la vera parte-cipazione, la solennità, i giovani, ilcanto gregoriano, la formazione.

Tutte queste questioni devono te-ner conto della realtà musicale italia-na: un’insufficiente formazione musi-cale. Sembra che lo Stato con la sua le-gislazione non aiuti tutto il settoremusicale: dalla scuola alle attività con-certistiche e di produzione di eventimusicali. Con sincerità dobbiamo am-mettere che stiamo attraversando unmomento di stanchezza, di appiatti-mento e di routine nelle nostre cele-brazioni. Ancora, sottolineo che tan-te liturgie sono animate da personecon poca preparazione sia liturgicache musicale. L’improvvisazione e ilpressapochismo la fanno da padrone.

Perché cantare nella liturgiaÈ la questione fondamentale da ri-

solvere, prima di procedere oltre. Il

canto nella liturgia da tanti operato-ri è ancora considerato come riem-pitivo e come una suppellettile di ar-redamento. Invece la grande svoltadel Vaticano II ha parlato del cantoliturgico come segno e simbolo: es-so diventa un segno sacramentale.

Quindi il canto liturgico non è piùun’arte a sé stante, ma è inserito nelvivo della celebrazione, a serviziodel rito e dell’assemblea radunata.Paolo VI ha affermato che la musi-ca è liturgia; quindi non sono le no-te o uno spartito che c’interessano,ma c’interessa il canto-preghiera.

Perciò il cantare nella liturgia non èsolo un problema musicale, è un pro-blema spirituale e liturgico. La musi-ca diventa segno del mistero e, cometutti i segni, deve rimandarci al di làdi sé stessa. Questa nuova concezionedel canto e della musica liturgica nonè ancora capita dalla maggioranza de-gli animatori, compreso il celebrante.La conseguenza di tale ignoranza èsotto gli occhi di tutti: non si prepara-no animatori musicali competenti; ilsacerdote per lo più affida la direzio-ne del canto a persone incapaci e igno-ranti; l’esecuzione è trasandata e ine-satta; la scelta dei canti ubbidisce a cri-teri personali e poco liturgici. In unasola parola, si canta tanto per cantare.

Il canto liturgico: luci e ombreIl canto liturgico: luci e ombre

� 50 anni di riforma in Italia

CANTARE LA LITURGIA CANTARE LA LITURGIA DOSSIERDOSSIER

Stiamo attraversando un momento di appiattimento nelle celebrazioni.In molte chiese manca la guida del canto dell’assemblea. Certe liturgiesono animate da persone con poca preparazione liturgica e musicale.Il punto centrale è la formazione; perciò bisogna ripartire dai seminari.

34 - VITA PASTORALE N. 2/2016

L’assemblea liturgica

Il Vaticano II ha affermato che l’as-semblea è il soggetto celebrante. Ciònon significa che tutti cantano tutto,ma ciascuno svolge i propri ministeriordinati, istituiti o di fatto. Non sia-mo in una riunione di condominio,non è una riunione di soci, ma è unaecclesia di convocati da Dio perl’ascolto della Parola e per il rendi-mento di grazie attraverso l’eucari-stia. Il canto dell’assemblea si è svi-luppato, se confrontato con ciò cheavveniva prima della riforma quandoil popolo radunato assisteva e potevacantare solo qualche canzoncina de-vozionale, al termine della messa.

Occorre però che tutta l’assem-blea prenda coscienza che il cantarenon è facoltativo, ma fa parte di unapartecipazione viva e autentica. Ènecessario educare l’assemblea alcanto, guidarla e sostenerla; alcuniriti prevedono il canto dell’assem-blea, perciò innanzitutto all’assem-

blea vanno insegnate le risposte, idialoghi, le acclamazioni. È un’ope-ra non solo liturgica che svolgiamo,ma anche educativa e culturale.

I ministri del cantoBisogna far cantare il sacerdote;

ancora troppi celebranti stanno zittidurante una messa festiva e solenne.Cantare il prefazio, la dossologia e al-tre intonazioni fa parte del proprioministero ed è richiesto dal rito stes-so. In tante celebrazioni non è pre-sente il salmista-cantore; una figurache va riscoperta, prendiamo esem-pio dalla figura del cantore nelle sina-goghe ebraiche. In molte chiese man-ca la guida del canto dell’assemblea,presenza indispensabile se vogliamoche l’assemblea canti. Il direttore delcoro e l’organista completano, insie-me ai cantori, le varie ministerialitàdi fatto presenti nella celebrazione.Si è investito poco sulla loro forma-zione e professionalità, sono figureprovvisorie, passeggere e poco pre-parate; non hanno compreso di svol-gere un servizio ministeriale.

Quale coroin chiesa?Anche in questo ca-

so, non è stata risoltala funzione del coroall’interno della cele-brazione. Tanti coricantano soltanto e –aggiungo – a voltecantano male. Mancala consapevolezza disvolgere un ministe-ro, pertanto tutto è provvisorio edeseguito in maniera spontanea. Ilcoro svolge una funzione ministe-riale e quindi deve essere investitodi tale consapevolezza, passandoda un semplice cantare ciò che piùpiace al vero canto sacro.

Naturalmente è presente ancorala falsa concezione della vera solen-nità; si chiama un coro polifonicoper rendere più solenne la celebra-zione, col rischio di emarginare oescludere il canto dell’assemblea.La vera solennità è data da un’as-semblea che insieme al coro e ai mi-nistri canta pregando e lodando ilSignore. Alcuni risolvono il proble-ma facendo cantare tutto all’assem-blea; anche questa soluzione è scor-retta e inesatta liturgicamente.

Scelta dei canti e repertorioNel 2009 è stato pubblicato da

parte della Cei il Repertorio nazio-nale di canti per la liturgia e nellapremessa venivano indicati i criteriper una scelta adeguata dei canti.

Innanzitutto la pertinenza rituale;il canto da eseguire nel rito non è uncanto qualsiasi, ma deve esprimereil momento rituale che si sta viven-do. La verità dei contenuti in rappor-to alla fede vissuta nella Chiesa edespressa nella liturgia. L’espressionelinguistica, un linguaggio poetico eadatto alla liturgia. La qualità dellacomposizione musicale; non ognimusica può entrare nel rito: musicabanale e brutta non diventa automa-ticamente musica liturgica, perché èuna musica che piace. L’effettivacantabilità per un’assemblea me-dia; quanti sono attenti alle esigenzemusicali dell’assemblea? Ritmo mu-sicale, intervalli, melodia, armonia,sono adatti alla nostra assemblea?

Il Repertorio ha lanciato una sfida eha voluto dare indicazioni non esclusi-ve; ma quanti lo conoscono, lo consul-

tano e lo sperimenta-no? Non sarebbe il ca-so di rilanciarlo?

Gli strumentiAncora sono presen-

ti equivoci di fondo sul-la scelta degli strumen-ti musicali all’internodella celebrazione. Sicontrappone uno stru-mento all’altro, seguen-do criteri storici o musi-

cologici e non criteri liturgici. Va ri-scoperta la funzione ministerialedell’organo e dell’organista, così pergli altri strumenti. Non esiste un solostrumento liturgico, ma tutti posso-no entrare nella celebrazione se ri-spettano il rito, le persone, l’architet-tura della chiesa, la cultura dell’as-semblea, l’acustica del luogo.

La formazioneÈ il punto fondamentale e basila-

re di tutto il discorso fin qui fatto:occorre prepararsi per svolgere unministero musicale all’interno dellacelebrazione. Purtroppo in questi50 anni si è creduto che fosse suffi-ciente mettere le mani su una tastie-ra o impugnare una chitarra e tuttoera a posto. Quanti suonano ancora

Il canto liturgico: luci e ombreIl canto liturgico: luci e ombre

Antonio Parisi

������

Bari, celebrazione del 28 agosto in cattedrale.In basso a sinistra: il coro diretto da don

Antonio Parisi (primo piano nella foto a destra).Cantare nelle celebrazioni non è solo un

problema musicale, ma spirituale e liturgico.

VITA PASTORALE N. 2/2016 - 35

a orecchio o con soli accordi; oppu-re conoscendo solo il giro di do mag-giore per la chitarra? La musica èun’arte e un linguaggio che vannoassimilati con tecnica, mestiere, ap-plicazione, impegno e studio conti-nuo. Non ci si può improvvisare or-ganisti o direttori o solisti senza unvero e serio percorso formativo.

Come rilanciare la musica liturgi-ca nelle nostre parrocchie? Io mi so-no convinto in questi anni che biso-gna partire dai seminari; formaremusicalmente i futuri responsabilidelle comunità liturgiche. Perchépoi essi diventeranno parroci, vesco-

vi, cardinali, direttori di uffici di cu-ria, responsabili di vari settori.

Invece chi è in attività pastorale de-ve convertirsi e impegnarsi nella curaliturgico-musicale della propria as-semblea, individuando animatoricompetenti, formandoli, seguendo unpercorso formativo e spirituale dei co-risti, impegnando risorse materialiper sostenere tale formazione. Il futu-ro della musica di chiesa sarà il futurodella liturgia; nel modo in cui si evolve-ranno le nostre assemblee liturgiche,così progredirà la musica liturgica.

Antonio Parisiwww.musicasacra-bari.it

S ono ben note le vicende che du-rante il conclave del 1903 perl’elezione del successore di

Leone XIII portarono, solo in se-conda battuta, alla designazionedel cardinale Giuseppe Sarto a Pa-pa. Diventava successore di Pietroun uomo di Chiesa che provenivadalla vita pastorale fatta di parroc-chia, di uffici diocesani, di ministe-ro episcopale in una piccola sep-pur vetusta e significativa diocesi,prima, e patriarca poi di una sedeprestigiosa come Venezia.

Ed era, Venezia, alle prese con iproblemi che in quegli anni affron-tava ogni grosso nucleo urbano,nell’evoluzione della società chesi affacciava alle trasformazionidovute alla nuova economia indu-striale. Il Papa che proveniva dal-la cura d’anime aveva ben cono-sciuto i bisogni del popolo di Dioche nutriva la sua fede soprattuttonella liturgia.

Musica sacra e profana

I decenni ultimi del 1800 aveva-no alimentato, nella pratica del can-to in chiesa, il desiderio di una musi-ca adeguata alla verità dell’azione li-turgica. Il confine musicale tra il tea-tro e la chiesa era quasi inesistente.Indubbiamente la scansione del ca-lendario cristiano aveva alimentatola vita musicale del popolo, non so-

lo per il canto strettamente liturgi-co. Le feste solenni pasquali e nata-lizie segnavano i generi musicali ele forme strumentali: finanche l’or-gano ne aveva avuto forte impulsocon le voci della gioia pasquale rap-presentate dalle uccelliere e le sug-gestioni natalizie evocate dalle zam-pogne (registri dello strumento).

Le solenni liturgie cantate conaccompagnamento strumentale

Da Pio X al Concilio

Prima di Pio X, che vienedalla parrocchia e dal popolo,la musica sacra attingevaallo stile e al linguaggiodi quella dei teatri;ma il Papa richiamail gregoriano e la polifonia.Ovviamente il latinola fa da padrone.E ci vorrà il Concilioa cambiare il clima:la gente si appropria della liturgia...

CANTARE LA LITURGIA CANTARE LA LITURGIA

C ompiti concreti per un futuroprossimo:

� dare in mano ai fedeli il Repertorionazionale di canti per la liturgia;� attivare corsi formativi in ognidiocesi;� istituire per ogni celebrazionedomenicale la guida del canto

DOSSIERDOSSIER

Celebrazione di inizio presiedutaCelebrazione di inizio presiedutaal Teatro Petruzzelli, riaperto nelal Teatro Petruzzelli, riaperto nel2009 dopo l’incendio del 1991.2009 dopo l’incendio del 1991.

� Excursus storico

Ci sarebbeda fare...

36 - VITA PASTORALE N. 2/2016

permettevano il godimento, inchiesa, della bella musica, dellagrande musica, che veniva esegui-ta attingendo allo stile e al linguag-gio di quella ascoltata nei teatri ditutta Europa e delle due Ameri-che; anche qui la società, anchequella ecclesiale, si organizzavasul modello di quella europea.

Una seconda occasione di ascoltodi bella musica, per la gente, eraquella che dalle festività religiosedava modo alle bande musicali dieseguire, come ampliamento e riso-nanza della chiesa, la musica dellafesta in piazza: la banda portava a

tutti, agli artigiani, ai contadini, allaborghesia provinciale e agli operai,le più belle pagine dell’amato melo-dramma italiano, da Rossini e Belli-ni fino a Verdi e alle ultime novitàdi Puccini, Mascagni e Leoncavallo.

A mano a mano, però, il prevale-re modaiolo della musica teatraleaveva sconvolto e travolto le cele-brazioni in canto. Dalla penna didon Guerrino Amelli, il protagoni-sta del forte richiamo alla verità li-turgica del canto in quei decenni,leggiamo della «pessimità della mu-sica generalmente in uso nelle chie-se, della soverchia bramosia deldrammatico, la poca e niuna curan-za del sacro testo interpretato el’evidente proposito di allettare isensi e di mettere a prova la fralez-za umana affascinandola, anzichédi elevare la mente e il cuore allacontemplazione di Dio».

Da Pio XIl clima culturale e pastorale nel

quale Pio X era vissuto era, quin-di, tale da consentirgli, nel momen-to in cui poteva assumere delle de-cisioni sul canto della Chiesa delsuo tempo, di avere idee chiare epoter raccogliere istanze non daprotagonista, ma da pastore atten-to e sensibile. Come sempre è acca-duto nella storia della Chiesa, legrandi svolte teologiche e pastora-li sono state avviate quando unsentire diffuso ha trovato nella per-sonalità, che al momento giusto di-venta anche autorità, la capacitàdi raccogliere e indirizzare bisognie urgenze. Nel nostro caso, davve-ro, si è cambiata la musica!

È interessante notare il fatto chein quegli anni i cattolici italiani,chiusi nelle strette maglie della“Questione romana” che sembravasoffocare e dominare la vita dellaChiesa, non abbiano permesso chele questioni politiche, derivanti dal-le difficilissime problematiche traItalia e Papa, avessero il predomi-nio. Dal “basso”, dalla vita liturgi-ca, si fanno sentire istanze che invo-cano nelle chiese musica degna ecanto trasparente. La musica «è og-getto dell’arte in genere e dell’artesacra in specie e in parità di circo-stanze preferiamo un lavoro menoartistico, purché sia veramente litur-gico, ad un altro lavoro anche som-

mo in fatto d’arte, ma non conve-niente alla chiesa»; così si esprime-va il Comitato permanente per la ri-forma della musica sacra, in un in-contro tenuto a Soave nel 1889.

«La musica sacra, come parte in-tegrante della solenne liturgia, nepartecipa il fine generale, che è lagloria di Dio e la santificazione deifedeli»: questo è il preludio che scri-ve il santo Papa nel motu propriosulla musica sacra. È evidente il fat-to che il latino, l’unica lingua liturgi-ca, era il supporto di una storia mu-sicale della Chiesa dal peso enormeed è, allora, altrettanto evidente chepermanendo il latino, le forme musi-cali e i linguaggi artistici costruiti inlatino avrebbero avuto un peso fon-damentale: era l’imponenza straor-dinaria di melodie, generi e formesedimentati da due millenni circa.

Da qui il richiamo del Papa alcanto gregoriano ed alla polifoniaclassica. Sul modello, poi, della po-lifonia classica, si sarebbero crea-te le composizioni proprie del XXsecolo che avrebbero dato al cantodella Chiesa dignità artistica e bel-lezza con personaggi di altissimovalore: Perosi, Casimiri, Refice,per citarne solo alcuni.

Il gregoriano e la polifoniaPer quel che riguarda il gregoria-

no, ci si sarebbe accorti ben prestoche esso non è mai stato il cantodel popolo. A meno che per grego-riano non s’intendano la de Ange-lis (la meno gregoriana di tutte lemesse!), le antifone mariane crea-te nel 1800, i pochi inni e sequen-ze con qualche salmo e cantico diuso comune e semplici.

Pio XI, nel 1928 esprimeva il suoentusiasmo scrivendo nella costitu-zione Divini cultus: «Nel primo an-no del nostro pontificato un coroimmenso di chierici di ogni nazioneaccompagnò colle melodie gregoria-ne la solenne liturgia da noi celebra-ta nella basilica vaticana». Chierici,appunto. Gli faceva eco Pio XIInell’enciclica Musicae sacrae disci-plina: «Nella celebrazione dei riti li-turgici si faccia largo uso di tale can-to e si provveda con ogni cura affin-ché sia eseguito con esattezza, digni-tà e pietà». Ma l’aveva definito, po-co prima, un canto dai «mezzi musi-cali semplici e facili» (!?).

������

dell’assemblea;� celebrare nelle grandi feste il Ve-spro solenne cantato;� fondare in ogni diocesi un corodiocesano;� creare una scuola diocesana dimusica per la liturgia.

Link utili: www.chiesacattoli-ca.it (nella sezione “Uffici” clicca-re su “Liturgico”); www.psalli-te.net; www.musicadellalitur-gia.wordpress.com; www.musica-sacra-bari.it. a.p.

Vincenzo De Gregorio

VITA PASTORALE N. 2/2016 - 37

La polifonia, intanto, subiva leconseguenze della progressiva chiu-sura delle Cappelle musicali. I colpiassestati ai patrimoni fondiari e im-mobiliari di cattedrali, di monasterie di chiese, prima dal dominio fran-cese di inizi Ottocento, poi dal neo-nato regno d’Italia nel decennio1860-70, avevano annullato le risor-se per mantenere in vita i professio-nisti della musica in chiesa. Si co-mincia a parlare di Scholae canto-rum. Ne nascono in ognirealtà ecclesiale, piccola egrande, ma soprattuttonei seminari che proprionei primi decenni del No-vecento vengono istituitisu scala regionale per laformazione del clero.

Nell’orario curricularedei futuri presbiteri, leore di canto saranno unappuntamento fisso e digrande valore. Dobbia-mo a quei preti, formatiin quegli ambiti, la curae l’attenzione posta alcanto liturgico in tutta laChiesa italiana fino alConcilio.

Il popoloe... le donneIl vero nodo, però, della

partecipazione del popolocon il canto, alle celebra-zioni liturgiche era e rima-neva la lingua latina. Il po-polo può cantare nella sualingua e con le sue melo-die solo nelle celebrazioniextraliturgiche. Il barnabi-ta padre Alessandro Ghi-gnoni aveva levato alta laprotesta contro la margi-nalizzazione del popoloche non canta perché rim-piazzato dalle scholae e dalle corali.A Torino, nel congresso del 1905,denuncia: «I cantori e le cantorie so-no un surrogato della ecclesia, delpopolo». La struttura delle celebra-zioni cantate e solenni, però, vietaal popolo di cantare: lo ribadiscePio XII in Musicae sacrae discipli-na del 1955: i canti religiosi popola-ri «nelle messe celebrate in formanon solenne possono mirabilmentegiovare affinché i fedeli assistano alS. Sacrificio». Chi canta, dunque,

in chiesa? I cori, dei ragazzi soprat-tutto. Ma le celebrazioni con gliadulti sono in genere silenziose.

La riforma conciliare della litur-gia provocherà l’appropriazione delcanto nella liturgia della chiesa daparte della gente. Il documento chesancirà tutto questo, il Musicam sa-cram, del 1967, ridefinisce la deno-minazione di musica sacra. Essacomprende «il canto gregoriano, lapolifonia sacra antica e moderna

nei suoi diversi generi, la musica sa-cra per organo e altri strumenti le-gittimamente ammessi nella litur-gia, e il canto popolare sacro, cioè li-turgico e religioso». Una vera e pro-pria pedagogia del canto nella cele-brazione viene suggerita dallo stes-so documento: «Tra la forma solen-ne più completa delle celebrazioniliturgiche, nella quale tutto ciò cherichiede il canto viene di fatto canta-to, e la forma più semplice, nellaquale non si usa il canto, si possono

avere diversi gradi, a seconda dellamaggiore o minore ampiezza che siattribuisce al canto. Tuttavia, nelloscegliere le parti da cantarsi, si co-minci da quelle che per loro naturasono di maggiore importanza: pri-ma di tutto quelle spettanti al sacer-dote e ai ministri, cui deve risponde-re il popolo, o che devono esserecantate dal sacerdote insieme con ilpopolo; si aggiungano poi gradual-mente quelle che sono proprie dei

soli fedeli o della solaschola cantorum».

Le categorie di solenni-tà e di festa sono così defi-nite: «Non c’è niente dipiù solenne e festoso nellesacre celebrazioni di unaassemblea che, tutta,esprime con il canto lasua pietà e la sua fede. Per-tanto la partecipazione at-tiva di tutto il popolo, chesi manifesta con il canto,si promuova con ogni cu-ra», e seguono alcune indi-cazioni pratiche. In tuttoquesto, le donne? Quantooggi è prassi e normalità –le donne che cantano nelcoro – non lo è stato mai.Rossini si premurava nel1865 di scrivere a Liszt, al-lora a Roma, perché insi-stesse presso Pio IX e«permettesse alle donnedi cantare nelle chiese uni-tamente agli uomini».

Dalla riforma liturgicain poi non si affronta nean-che l’argomento: esse so-no presenti nell’assembleache canta, nella schola enei cori. Anche questoaspetto ci aiuta a compren-dere il cammino compiu-to dalla Chiesa in quest’ul-

timo secolo da quando quel Papa, ilprimo in epoca moderna provenien-te dalla parrocchia, ha richiamatol’importanza del canto nella liturgiacome espressione della fede vissutae della carità praticata.

Vincenzo De Gregoriodirettore emerito delConservatorio

di musica San Pietro a Majelladi Napoli;consulente musicale

dell’Ufficio liturgico nazionale;preside del Pontificio istituto

di musica sacra in Roma

La polifonia, intanto, subiva leconseguenze della progressiva chiu-sura delle Cappelle musicali. I colpiassestati ai patrimoni fondiari e im-mobiliari di cattedrali, di monasterie di chiese, prima dal dominio fran-cese di inizi Ottocento, poi dal neo-nato regno d’Italia nel decennio1860-70, avevano annullato le risor-se per mantenere in vita i professio-nisti della musica in chiesa. Si co-mincia a parlare di Scholae canto-rum. Ne nascono in ognirealtà ecclesiale, piccola egrande, ma soprattuttonei seminari che proprionei primi decenni del No-vecento vengono istituitisu scala regionale per laformazione del clero.

Nell’orario curricularedei futuri presbiteri, leore di canto saranno unappuntamento fisso e digrande valore. Dobbia-mo a quei preti, formatiin quegli ambiti, la curae l’attenzione posta alcanto liturgico in tutta laChiesa italiana fino alConcilio.

Il popoloe... le donneIl vero nodo, però, della

partecipazione del popolocon il canto, alle celebra-zioni liturgiche era e rima-neva la lingua latina. Il po-polo può cantare nella sualingua e con le sue melo-die solo nelle celebrazioniextraliturgiche. Il barnabi-ta padre Alessandro Ghi-gnoni aveva levato alta laprotesta contro la margi-

in chiesa? I cori, dei ragazzi soprat-tutto. Ma le celebrazioni con gliadulti sono in genere silenziose.

La riforma conciliare della litur-gia provocherà l’appropriazione delcanto nella liturgia della chiesa daparte della gente. Il documento chesancirà tutto questo, il Musicam sa-cram, del 1967, ridefinisce la deno-minazione di musica sacra. Essacomprende «il canto gregoriano, lapolifonia sacra antica e moderna

avere diversi gradi, a seconda dellamaggiore o minore ampiezza che siattribuisce al canto. Tuttavia, nelloscegliere le parti da cantarsi, si co-minci da quelle che per loro naturasono di maggiore importanza: pri-ma di tutto quelle spettanti al sacer-dote e ai ministri, cui deve risponde-re il popolo, o che devono esserecantate dal sacerdote insieme con ilpopolo; si aggiungano poi gradual-mente quelle che sono proprie dei

soli fedeli o della solaschola cantorum».

Le categorie di solenni-tà e di festa sono così defi-nite: «Non c’è niente dipiù solenne e festoso nellesacre celebrazioni di unaassemblea che, tutta,esprime con il canto lasua pietà e la sua fede. Per-tanto la partecipazione at-tiva di tutto il popolo, chesi manifesta con il canto,si promuova con ogni cu-ra», e seguono alcune indi-cazioni pratiche. In tuttoquesto, le donne? Quantooggi è prassi e normalità –le donne che cantano nelcoro – non lo è stato mai.Rossini si premurava nel1865 di scrivere a Liszt, al-lora a Roma, perché insi-stesse presso Pio IX e«permettesse alle donnedi cantare nelle chiese uni-tamente agli uomini».

Dalla riforma liturgicain poi non si affronta nean-che l’argomento: esse so-no presenti nell’assembleache canta, nella schola enei cori. Anche questoaspetto ci aiuta a compren-

CANTARE LA LITURGIA ���CANTARE LA LITURGIA ���DOSSIERDOSSIER

Chi è giovane non può ricordare che le donne non cantavano nei cori...

38 - VITA PASTORALE N. 2/2016

S pesso si ascoltano e leggono la-mentele sul fatto che le nostreassemblee liturgiche non canta-

no, rimangono mute o, peggio, ven-gono zittite. Altre volte il “pianto” èper la mancanza di operatori che siimpegnino a suonare o a guidare an-che il canto più semplice. Il proble-ma è trovare persone che si renda-no disponibili ad animare le celebra-zioni liturgiche con il canto.

Questa necessità fa sì che fre-quentemente nelle nostre comunitàvengano incaricate persone di buonavolontà, ma con un deficitario “abc”musicale, magari appreso in formatotalmente autodidatta, e senza alcu-na preparazione liturgica. Spesso ilrisultato non raggiunge neanche ilminimo sindacale, perché la cosid-detta “buona volontà” non è suffi-ciente a far ottenere un’animazionemusicale liturgica di qualità. Può ac-cadere anche l’esatto contrario, in

cui si affida al diplomato di conserva-torio la cura dell’animazione musica-le sperando nella soluzione di tutti iproblemi, ma la preparazione acca-demica senza un’adeguata formazio-ne liturgica è e rimane zoppa.

Come risolvere questo problemache sta diventando sempre più diffu-so e annoso? Spingendo gli operato-ri a formarsi. In qualsiasi settoreprofessionale o di volontariato è ri-chiesta obbligatoriamente la forma-zione di base e ciò deve essere an-che per chi suona e canta nelle no-stre chiese. È una necessità, perchél’importanza dei momenti canori esonori fa sì che essi non possano es-sere affidati all’improvvisazione,ma debbano essere creati e interpre-tati con consapevolezza.

A cominciare dal preteIl primo formatore deve essere il

presbitero, che deve saper introdurre

all’ars celebrandi, saper spiegare aglioperatori almeno l’Ordinamento ge-nerale del Messale Romano indican-do cosa è fondamentale, cosa è acces-sorio o inutile. Basti pensare al neces-sario canto del Santo o al dimenticatocanto alla frazione del pane, l’Agnellodi Dio, litania biascicata per privilegia-re un inesistente canto allo scambiodella pace; come anche restituire de-coro al salmo responsoriale con, alme-no, il canto assembleare del ritornel-lo... Il presbitero non può esimersi daquesta attività di formazione che deveessere spinta anche a far comprende-re l’importanza dei dialoghi in cantotra lui, celebrante, e l’assemblea.

Se il presbitero-parroco non rie-sce in questa forma di catechesi, èbene spingere gli animatori musica-li a formarsi negli istituti diocesanidi musica per la liturgia. Diversediocesi sono dotate di queste scuoleche hanno il compito di formare glioperatori del canto delle comunitàparrocchiali. Torino, Bari, Milano,Reggio Emilia, Messina: sono soloalcune di quelle che da tantissimianni lavorano in questo settore inve-stendoci con convinzione e ottenen-do eccellenti risultati.

Le scuole ci sonoLe scuole ci sono� La formazione dei responsabili musicali Carlo Paniccià� La formazione dei responsabili musicali Carlo Paniccià

CANTARE LA LITURGIA CANTARE LA LITURGIA DOSSIERDOSSIER

Le lamentele sul canto nella liturgia si sprecano: dalle assemblee muteo lasciate a sé stesse alla mancanza di operatori qualificati, operatoriinadatti o di buona volontà ma senza preparazione... Come risolvereil problema? Rivolgendosi alle strutture diocesane e ai corsi già in atto.

Concelebrazionedei vescovi (da destra)

Felice Di Molfetta,Francesco Cacucci

e Claudio Maniago.

40 - VITA PASTORALE N. 2/2016

I corsi della Cei

Per le diocesi prive di questi stru-menti formativi la Conferenza epi-scopale italiana ha messo a disposi-zione da molti anni le proprie strut-ture formative mediante il suo Uffi-cio liturgico nazionale con due pro-poste specifiche: il corso di base peranimatori musicali “Musica liturgi-ca on-line”, erogato in modalitàe-learning , e il corso di alta specia-lizzazione “CO.PER.LI.M.” con ilcompito di formare i responsabilidiocesani di musica liturgica.

“Musica liturgica on-line” è statoattivato dalla Cei nel 2008 per sop-perire alla carenza di scuole di mu-sica liturgica sul territorio naziona-le. Inizialmente consisteva in uncorso annuale di formazione di ba-se erogato in modalità on line e ri-volto agli animatori musicali dellecelebrazioni liturgiche. L’iniziativaè diretta a tutti gli animatori, orga-nisti, direttori di coro e cantori chegià operano in parrocchia e che de-siderino affinare le proprie compe-tenze musicali in ambito liturgico.I requisiti di accesso richiesti sonol’attività liturgico-musicale e unaminima capacità di lettura della mu-sica: qualora questa capacità di let-tura non ci fosse, è previsto un cor-so specifico per insegnarla.

La didattica è erogata all’internodi un’aula virtuale, equipaggiata ditutte le funzionalità necessarie alleattività di apprendimento e intera-zione. I supporti didattici allo stu-dio sono sempre disponibili per ildownload e consistono in dispensedi approfondimento e chiarimento,lezioni video utili a illustrare argo-menti che necessitano di un suppor-to visivo, esercitazioni e verifichenecessarie a verificare il livello diapprendimento raggiunto.

Dal 2011 il percorso di studi di“Musica liturgica on-line” si artico-la in tre anni: corso base (1° an-no), corso intermedio (2° anno),corso avanzato (3° anno). A chitermina positivamente il primo an-no viene rilasciato un attestato dipartecipazione, mentre chi termi-na il triennio consegue il diplomain “Musica liturgica on-line” rila-sciato dall’Ufficio liturgico nazio-nale della Cei. Al termine di ognianno è previsto un incontro resi-

������

denziale di quattro giorni per ap-profondimenti con i docenti. Dallasua attivazione più di 800 personehanno frequentato il corso di for-mazione di base, di queste oltre300 hanno completato il corso ba-se e 54 il corso avanzato.

Il CO.PER.LI.M., Corso di perfe-zionamento liturgico-musicale, èstato attivato dalla Cei nel 1994con il compito di formare i respon-sabili diocesani di musica liturgi-ca. È un percorso di studi indirizza-to a musicisti diplomati presso iConservatori di musica o presso lescuole e Istituti diocesani di musi-ca liturgica. Destinatari sono i di-rettori di coro e organisti delle cat-tedrali o basiliche, gli insegnantidelle scuole diocesane, i responsa-bili degli uffici diocesani di musicaliturgica. L’intento è preparare i re-sponsabili a livello diocesano.

Il corso dura due anni ed è arti-colato in tre sessioni di studio. Es-so offre una preparazione adegua-ta sia nel campo liturgico che inquello propriamente operativo. Intutta Italia non esiste una scuolacon un simile percorso formativo.Dal 2009 il corso viene attivatoogni due anni per permettere ai do-centi di poter seguire meglio i cor-sisti in tutto il denso iter di studi enel 2015 l’intero piano di studi è

stato riveduto e aggiornato. In ven-ti anni i partecipanti sono stati335, provenienti da tutte le regio-ni ecclesiastiche italiane, oltre acinque corsisti provenienti da fuo-ri Italia. Hanno completato il cor-so degli studi, con la discussionedella tesi finale, in 101.

Questo corso ha fatto sì che ve-nisse costituito nel 2009 il coro na-zionale “Giovanni Maria Rossi”con la finalità di essere promotoredi una corretta animazione liturgi-ca-musicale in tutti i suoi aspettisia tecnici che di partecipazione at-tiva. Dalla sua attivazione ad oggiil coro “Giovanni Maria Rossi” haanimato i principali eventi dellaChiesa cattolica italiana.

In occasione della pubblicazio-ne del nuovo Rito delle esequie(2011), il coro ha registrato tutti inuovi interventi in canto delle anti-fone e dei salmi contenuti nel cdaudio allegato al libro liturgico co-me ausilio per il celebrante e perl’assemblea. Oltre a questo impor-tante contributo ha registrato an-che tutti i nuovi interventi in cantodelle antifone, dei salmi e delle ac-clamazioni contenuti nel libro litur-gico del Rito del matrimonio (2ªedizione 2004). Attualmente il co-ro è diretto da Marco Berrini, diret-tore di fama internazionale.

Corsi degli Istituti pontifici

Oltre alle iniziative diocesane edella Cei non si possono dimentica-re i percorsi di studio specialisticidei Pontifici istituti di musica sa-cra di Roma e Milano. Il Pontificioistituto di musica sacra di Roma(PIMS) è stato fondato da san PioX nel 1910 per l’insegnamento del-le discipline liturgico-musicali sot-to il profilo pratico, teorico e stori-co promuovendo «la conoscenza ela diffusione del patrimonio tradi-zionale della musica sacra e favori-re espressioni artistiche adeguatealle odierne culture; rendere, perincarico della Chiesa madre di Ro-ma, un servizio alle Chiese localidi tutto il mondo, in vista della for-mazione dei musicisti di chiesa edei futuri insegnanti nell’ambitodella musica sacra».

Il Pontificio istituto ambrosianodi musica sacra (Piams) è stato fon-dato nel 1931 dal beato cardinaleSchuster, arcivescovo di Milano, ecanonicamente eretto dalla Sedeapostolica nel 1940. È un centrodi studi di natura accademica confinalità scientifiche, didattiche epastorali in ambito liturgico-musi-cale, con particolare riguardo al ri-to e al canto ambrosiani. Analoga-mente al Pontificio istituto di musi-ca sacra di Roma, al quale è conso-ciato, è abilitato a conferire gradiaccademici con valore canonico.

Le possibilità di formazione cisono tutte e per tutte le misure e ta-glie: con un po’ di buona volontàpossiamo finirla di piangerci ad-dosso e permettere di far cantarele nostre assemblee con maggioreslancio e qualità.

Per approfondimenti e informa-zioni: iniziative di formazione Cei,www.chiesacattolica.it/liturgia;Pontificio istituto di musica sacra,www.musicasacra.va; Pontificioistituto ambrosiano di musica sa-cra, www.unipiams.org/it.

Carlo Panicciàdocente di “Musica liturgica

on-line” e CO.PER.LI.M;vicedirettore Ufficio liturgico

della diocesi diMacerata-Tolentino-Recanati-

Cingoli-Treia;direttoredella Cappella musicale

della cattedrale di Macerata

Corsi degli Istituti pontifici

Oltre alle iniziative diocesane edella Cei non si possono dimentica-re i percorsi di studio specialisticidei Pontifici istituti di musica sa-cra di Roma e Milano. Il Pontificioistituto di musica sacra di Roma(PIMS) è stato fondato da san PioX nel 1910 per l’insegnamento del-le discipline liturgico-musicali sot-to il profilo pratico, teorico e stori-co promuovendo «la conoscenza ela diffusione del patrimonio tradi-zionale della musica sacra e favori-re espressioni artistiche adeguatealle odierne culture; rendere, perincarico della Chiesa madre di Ro-ma, un servizio alle Chiese localidi tutto il mondo, in vista della for-mazione dei musicisti di chiesa edei futuri insegnanti nell’ambitodella musica sacra».

Il Pontificio istituto ambrosiano

CANTARE LA LITURGIA CANTARE LA LITURGIA DOSSIERDOSSIER

Le possibilità di formazione ci sono tutte e per tutte le misure e taglie...

42 - VITA PASTORALE N. 2/2016

D a dove partire. Diciamo subitoche su questo punto non è statafatta molta strada. Si sarebbe

dovuto investire molto di più in que-sto campo e con obiettivi concreti. Ilcanto nella catechesi e la catechesi at-traverso il canto è rimasto un idealeche non ha avuto tanto successo.Specialmente negli anni del rinnova-mento della catechesi si pensava cheil canto avrebbe potuto caratterizza-re la nuova catechesi, non semplice-mente come elemento di alleggeri-

mento o di relax, ma anche come ele-mento che consentisse alla catechesidi cambiare forma, diventando an-ch’essa un incontro con il Cristo ri-sorto nell’esperienza dell’ascolto edel dialogo. Non si proponeva il can-to per rendere gli incontri un po’ piùvivaci e gioiosi, ma per dire che gli in-contri con Cristo risorto fanno canta-re e avvengono cantando.

La presenza del Risorto che si rea-lizza nell’incontrarsi per la cateche-si ha, infatti, molte somiglianze con

quella che si realizza nell’incontrar-si per la celebrazione eucaristica.La catechesi prepara e inizia alla ce-lebrazione eucaristica non solo per-ché spiega come avviene e qual è ilsenso delle cose che si fanno, ma an-che perché introduce atteggiamentie gesti che poi si ritrovano nella cele-brazione eucaristica e più in genera-le in tutte le celebrazioni liturgichedi una comunità cristiana.

Il canto dei cristiani è legato allaloro esperienza pasquale che avvie-ne ogni volta che si riuniscono nelnome del Signore e trascorrono nel-lo stupore e nella gioia quel lorostare insieme che li aiuta a familia-rizzare con Gesù e con gli altri ra-gazzi e adulti del gruppo, li educaal dialogo con lui e tra di loro, su-scita le risposte e le scelte di vitacoerenti con il suo insegnamento,traduce in preghiera e canto la loroinvocazione e la loro gratitudine.

Se la catechesi non è questo, è dif-ficile farci stare il canto e sostenereche si tratti di un elemento impor-tante e necessario anche per essa. Èla stessa identica difficoltà che si ri-scontra a far cantare i cristiani amessa. Non c’è la percezione, né laconsapevolezza, che si stia vivendoun evento pasquale. Poco o nulla sifa perché sia riconosciuta la presen-za e l’azione del Risorto nelle varieazioni rituali e soprattutto nelle per-sone che le compiono. Poco o nullasi fa per stanare i cristiani dall’indi-vidualismo con cui sono abituati astare alla messa, ecc. ecc.

Sono convinto che la carenza piùgrave che impedisce di cantare sianella catechesi che nella liturgia – evorrei aggiungere anche nella vitaquotidiana, perché poco o nulla sicanta anche in casa o in famiglia – èla consapevolezza di essere dei risor-ti e di vivere un’esperienza pasqualesimile a quella dei primi discepoli,che ci consente di vedere il Signoree di riprendere il cammino della vitaquotidiana rinfrancati dalla sua com-pagnia e dal dono del suo Spirito.

Per questo da quasi quarant’an-ni personalmente mi batto su que-sto punto. Non basta avere cantibelli e piacevoli per far cantare lagente e soprattutto i ragazzi. Civuole anche il contesto. Occorreche le persone si sentano immersein un evento. Durante una festa di

quella che si realizza nell’incontrar-si per la celebrazione eucaristica.La catechesi prepara e inizia alla ce-lebrazione eucaristica non solo per-ché spiega come avviene e qual è ilsenso delle cose che si fanno, ma an-che perché introduce atteggiamentie gesti che poi si ritrovano nella cele-brazione eucaristica e più in genera-le in tutte le celebrazioni liturgichedi una comunità cristiana.

Il canto dei cristiani è legato allaloro esperienza pasquale che avvie-ne ogni volta che si riuniscono nelnome del Signore e trascorrono nel-lo stupore e nella gioia quel lorostare insieme che li aiuta a familia-rizzare con Gesù e con gli altri ra-gazzi e adulti del gruppo, li educaal dialogo con lui e tra di loro, su-scita le risposte e le scelte di vitacoerenti con il suo insegnamento,traduce in preghiera e canto la loroinvocazione e la loro gratitudine.

Se la catechesi non è questo, è dif-ficile farci stare il canto e sostenereche si tratti di un elemento impor-tante e necessario anche per essa. Èche si tratti di un elemento impor-tante e necessario anche per essa. Èche si tratti di un elemento impor-

la stessa identica difficoltà che si ri-scontra a far cantare i cristiani amessa. Non c’è la percezione, né laconsapevolezza, che si stia vivendoun evento pasquale. Poco o nulla sifa perché sia riconosciuta la presen-za e l’azione del Risorto nelle varieazioni rituali e soprattutto nelle per-sone che le compiono. Poco o nullasi fa per stanare i cristiani dall’indi-vidualismo con cui sono abituati astare alla messa, ecc. ecc.

Sono convinto che la carenza piùgrave che impedisce di cantare sianella catechesi che nella liturgia – evorrei aggiungere anche nella vitaquotidiana, perché poco o nulla sicanta anche in casa o in famiglia – è

Prima dei canti,insegnare a cantare

� Il canto nella catechesi dei ragazzi e degli adulti Franco GomieroIl canto nella catechesi dei ragazzi e degli adulti

������

Anche il canto è cosa su cui impegnarsi e investire capacità professionale e mezzi economici.

Il problema del canto nella catechesi è lo stesso della partecipazionealla liturgia. Il cristiano canta non perché ha una bella voce, ma perché siaccorge che nel suo cuore sta succedendo qualcosa che lo fa scoppiare.Cantare però è anche un linguaggio da imparare, e ci sono i problemi...

VITA PASTORALE N. 2/2016 - 43

compleanno tutti cantano Tanti au-guri, anche le persone stonate.

L’evento base per i cristiani è l’in-contro con il Cristo risorto, è l’espe-rienza pasquale che ci dona di fareogni volta che, rispondendo al suoappuntamento, ci facciamo trovareinsieme e lui lo mettiamo al centrodella nostra compagnia e delle no-stre attenzioni, raccogliendo senti-menti e atteggiamenti che la sua pre-senza e la sua parola suscitano, ma-nifestando con canti e gesti di frater-nità la gioia che ci riempie il cuore.

È inutile che ci giriamo intorno.Il problema del canto è solo l’ice-berg di un problema più ampio,quello di una vita cristiana vissutain Cristo e nella Chiesa, aperta alleesigenze dell’umanità con cui si vi-ve e si soffre, sempre disponibileal dono di sé e delle proprie coseper un futuro migliore.

La qualità della vita cristiana de-termina anche la qualità del canto eil suo ruolo determinante nei mo-menti in cui celebra colui che la faesistere e la fa funzionare. Si do-vrebbe arrivare a dire: «Dimmi checosa canti e ti dirò che cristianosei». Proprio perché il canto dei cri-stiani non è solo un fatto di culturao di tradizione, né serve solo per di-re qualcosa a Dio in maniera più no-bile, ma è un modo per raccontarela propria vita come vita che vieneda Dio e che porta alla comunionecon lui e con i fratelli. Se non c’è vi-ta cristiana è come non aver nullada cantare e nulla per cui cantare.

Il ruolo della catechesiCiò detto, non dobbiamo aspetta-

re di essere dei cristiani perfetti pri-ma di cantare. Occorre occuparse-ne fin da subito, non perdendo maidi vista che catechesi e liturgia costi-tuiscono il momento fondativo del-la vita cristiana e nello stesso tempoil momento della sua espressionesimbolica più importante. Ciò cheavviene in esse deve rispecchiarequello che si è e quello che si diven-ta giorno per giorno, quello che sisa fare nella vita personale e comu-nitaria e quello che lo Spirito Santofa desiderare di riuscire a fare con ilfuoco con cui brucia ogni egoismo einfiamma ogni volontà di bene.

L’una e l’altra hanno bisogno delcanto, di canti diversi, ovviamente,

non per fare delle catechesi o dellecelebrazioni più belle e più vivaci –il che non guasterebbe affatto –,ma soprattutto per dare ai cristianiche vi partecipano il gesto più ade-guato e più favorevole all’azionedello Spirito e della parola di Dio,che ogni volta produce e manifestal’incarnazione del Cristo risorto.

Difendere e promuovere il cantodei cristiani “con ogni mezzo”, comeesorta la costituzione liturgica, non èsemplicemente un’operazione cultu-rale. Significa difendere e promuove-re la maniera più adeguata di stare in-sieme alla presenza di Dio e di reagi-re al suo proposito di continuare adessere “Emmanuele” e di trasforma-re la sua Parola nella carne e nel san-gue di coloro che l’accolgono. Signi-fica difendere e promuovere spazidi libertà e di gratuità nel cuore diogni credente, affinché Dio vi possadepositare il seme della sua Parola elo Spirito lo faccia fiorire.

Cantare, però, è anche un lin-guaggio da imparare. Ci vuole an-che la scuola, indubbiamente, maci vuole anche la catechesi, che edu-chi e alleni al cantare al Signore edavanti al Signore insieme, non co-

me dei cantanti, ma come popolodi Dio, che ne riconosce l’azione eapre ad essa il proprio cuore. La ca-techesi è certamente uno dei mo-menti più adatti per imparare acantare alla maniera dei figli diDio salmi, inni e cantici ispirati,ma anche per spiegare il senso diciò che si canta durante la celebra-zione eucaristica e imparare quelloche serve per celebrare cantando.

La catechesi dev’essere in qual-che modo anche scuola di canto, siache si tratti della catechesi dei ragaz-zi, sia chi si tratti di quella degliadulti, diventati tali per la maggior

compleanno tutti cantano Tanti au-guri, anche le persone stonate.

L’evento base per i cristiani è l’in-contro con il Cristo risorto, è l’espe-rienza pasquale che ci dona di fareogni volta che, rispondendo al suoappuntamento, ci facciamo trovareinsieme e lui lo mettiamo al centrodella nostra compagnia e delle no-stre attenzioni, raccogliendo senti-menti e atteggiamenti che la sua pre-senza e la sua parola suscitano, ma-nifestando con canti e gesti di frater-nità la gioia che ci riempie il cuore.

È inutile che ci giriamo intorno.nità la gioia che ci riempie il cuore.

È inutile che ci giriamo intorno.nità la gioia che ci riempie il cuore.

Il problema del canto è solo l’ice-berg di un problema più ampio,quello di una vita cristiana vissutain Cristo e nella Chiesa, aperta alleesigenze dell’umanità con cui si vi-ve e si soffre, sempre disponibileal dono di sé e delle proprie coseper un futuro migliore.

La qualità della vita cristiana de-termina anche la qualità del canto eil suo ruolo determinante nei mo-menti in cui celebra colui che la faesistere e la fa funzionare. Si do-vrebbe arrivare a dire: «Dimmi checosa canti e ti dirò che cristianosei». Proprio perché il canto dei cri-stiani non è solo un fatto di culturao di tradizione, né serve solo per di-re qualcosa a Dio in maniera più no-bile, ma è un modo per raccontarela propria vita come vita che vieneda Dio e che porta alla comunionecon lui e con i fratelli. Se non c’è vi-ta cristiana è come non aver nullada cantare e nulla per cui cantare.

Il ruolo della catechesiCiò detto, non dobbiamo aspetta-

re di essere dei cristiani perfetti pri-ma di cantare. Occorre occuparse-ne fin da subito, non perdendo maidi vista che catechesi e liturgia costi-tuiscono il momento fondativo del-la vita cristiana e nello stesso tempoil momento della sua espressionesimbolica più importante. Ciò cheavviene in esse deve rispecchiarequello che si è e quello che si diven-ta giorno per giorno, quello che sisa fare nella vita personale e comu-nitaria e quello che lo Spirito Santofa desiderare di riuscire a fare con ilfuoco con cui brucia ogni egoismo einfiamma ogni volontà di bene.

L’una e l’altra hanno bisogno delcanto, di canti diversi, ovviamente,

non per fare delle catechesi o dellecelebrazioni più belle e più vivaci –il che non guasterebbe affatto –,ma soprattutto per dare ai cristianiche vi partecipano il gesto più ade-guato e più favorevole all’azionedello Spirito e della parola di Dio,che ogni volta produce e manifestal’incarnazione del Cristo risorto.

Difendere e promuovere il cantodei cristiani “con ogni mezzo”, comeesorta la costituzione liturgica, non èsemplicemente un’operazione cultu-rale. Significa difendere e promuove-re la maniera più adeguata di stare in-sieme alla presenza di Dio e di reagi-re al suo proposito di continuare adessere “Emmanuele” e di trasforma-re la sua Parola nella carne e nel san-gue di coloro che l’accolgono. Signi-fica difendere e promuovere spazidi libertà e di gratuità nel cuore diogni credente, affinché Dio vi possadepositare il seme della sua Parola elo Spirito lo faccia fiorire.

Cantare, però, è anche un lin-guaggio da imparare. Ci vuole an-che la scuola, indubbiamente, maci vuole anche la catechesi, che edu-chi e alleni al cantare al Signore edavanti al Signore insieme, non co-

me dei cantanti, ma come popolodi Dio, che ne riconosce l’azione eapre ad essa il proprio cuore. La ca-techesi è certamente uno dei mo-menti più adatti per imparare acantare alla maniera dei figli diDio salmi, inni e cantici ispirati,ma anche per spiegare il senso diciò che si canta durante la celebra-zione eucaristica e imparare quelloche serve per celebrare cantando.

La catechesi dev’essere in qual-che modo anche scuola di canto, siache si tratti della catechesi dei ragaz-zi, sia chi si tratti di quella degliadulti, diventati tali per la maggior

CANTARE LA LITURGIA CANTARE LA LITURGIA DOSSIERDOSSIER

Bibliografia

Gomiero F., Perché tutti i cristianicantino, CLV 1999, Roma; GomieroF., Il canto nella catechesi dei ragaz-zi, in RPL 260, 1(2007), pp. 53-60;Iniziazione cristiana anche con il can-to, in RPL 261, 2(2007), pp. 54-62;Un canto per la catechesi, in RPL263, 3(2007), pp. 55-58; Purché s’in-segni a cantare, in RPL 264,4(2007), pp. 56-62; Parlare e canta-re: un’integrazione necessaria, inRPL 264, 5(2007), pp. 64-72; Percantare ci vuole “entusiasmo”, inRPL 265, 6(2007), pp. 71-78. �

44 - VITA PASTORALE N. 2/2016

parte senza aver ricevuto niente diquello che serve per cantare. Conquesti poi non basterà neanche lacatechesi, perché solo pochi solita-mente vi partecipano. Bisognerà in-ventarsi qualcos’altro, per esempioal momento dell’accoglienza, maga-ri riservando i primi cinque minutialla presentazione e alla preparazio-ne dei canti in programma. Con unlavoro continuo e fedele che creauna specie di consuetudine si posso-no ottenere dei risultati inimmagi-nabili. Bisognerà, però, avere anchequalcuno che ci sappia fare.

Una pastoraleanche per il cantoQui tocchiamo un altro punto do-

lente della nostra pastorale, già incrisi per tante altre cose. Molto spes-so sia la catechesi dei ragazzi sial’animazione delle nostre assembleee dei nostri gruppi corali è affidata apersone di buona volontà con scar-sa preparazione e formazione litur-gico-musicale. È un problema serio.Se poi i parroci e i sacerdoti chiama-ti a presiedere le celebrazioni o nonsi preoccupano del canto o sono im-possibilitati a farlo, perché arrivano

all’ultimo momento dovendo spo-starsi da un paese all’altro, è quantomai necessario che si curi la forma-zione di qualche fedele laico, chepossa svolgere con competenza ilservizio dell’animazione musicaledella comunità e che almeno di tan-to in tanto possa dare una mano aicatechisti che non sanno come fare.

Anche il canto è una cosa impor-tante di cui occuparsi e in cui investi-re capacità professionale e mezzi eco-nomici. Non si tratta solo di trovarequalcuno che insegni qualche canto.Prima di insegnare dei canti, occorreinsegnare a cantare. Che vuol dire in-segnare ad essere delle persone chesi lasciano abitare dallo Spirito e san-no stupirsi e rallegrarsi ogniqualvol-ta Dio rivolge ad esse la Parola checambia destinazione alla loro vita.

Il cristiano canta non perché hauna bella voce, ma perché si accorgeche nel suo cuore sta succedendoqualcosa che lo fa scoppiare. Né can-ta perché qualcuno glielo impone,ma perché si sente libero e non ha pa-role da dire di fronte alla Parola chesi sta incarnando nella sua vita. È ri-masto come senza parole per dire eraccontare adeguatamente ciò cheDio sta facendo, ma vuole in qualchemodo sdebitarsi restituendogli il me-rito di ciò che è avvenuto, cantandoil suo silenzio fecondo e operoso.

Perciò, se vogliamo che i cristianicantino, dobbiamo soprattutto aiu-tarli a ritrovare il significato profon-do della loro partecipazione alla cele-brazione eucaristica e a starci da per-sone entusiaste. E se vogliamo che ilcanto dei cristiani nella liturgia nonsia solo esibizione o formalismo ri-tuale, dobbiamo stare attenti a ciòche sta succedendo nella loro vita edella loro vita, dal momento in cuimettono piede in chiesa fino al mo-mento in cui cantando o in silenzioescono e ritornano alle loro case.

Soprattutto dobbiamo fare inmodo che si sentano arca di Dio,come Maria, abitazione dei suoipensieri e dei suoi progetti più no-bili e più incredibili, dove non si co-nosce gesto più idoneo del cantoper esprimere lo stupore e la grati-tudine, la lode e la benedizione perquello che egli sta facendo.

Franco Gomiero parroco di Santa Rita da Cascia in Mestre (Ve)

parte senza aver ricevuto niente diquello che serve per cantare. Conquesti poi non basterà neanche lacatechesi, perché solo pochi solita-mente vi partecipano. Bisognerà in-ventarsi qualcos’altro, per esempioal momento dell’accoglienza, maga-ri riservando i primi cinque minutialla presentazione e alla preparazio-ne dei canti in programma. Con unlavoro continuo e fedele che creauna specie di consuetudine si posso-no ottenere dei risultati inimmagi-nabili. Bisognerà, però, avere anchequalcuno che ci sappia fare.

Una pastoraleanche per il cantoQui tocchiamo un altro punto do-

lente della nostra pastorale, già incrisi per tante altre cose. Molto spes-so sia la catechesi dei ragazzi sial’animazione delle nostre assembleee dei nostri gruppi corali è affidata apersone di buona volontà con scar-sa preparazione e formazione litur-gico-musicale. È un problema serio.sa preparazione e formazione litur-gico-musicale. È un problema serio.sa preparazione e formazione litur-

Se poi i parroci e i sacerdoti chiama-ti a presiedere le celebrazioni o nonsi preoccupano del canto o sono im-possibilitati a farlo, perché arrivano

all’ultimo momento dovendo spo-starsi da un paese all’altro, è quantomai necessario che si curi la forma-zione di qualche fedele laico, chepossa svolgere con competenza ilservizio dell’animazione musicaledella comunità e che almeno di tan-to in tanto possa dare una mano aicatechisti che non sanno come fare.

Anche il canto è una cosa impor-tante di cui occuparsi e in cui investi-re capacità professionale e mezzi eco-nomici. Non si tratta solo di trovarequalcuno che insegni qualche canto.Prima di insegnare dei canti, occorreinsegnare a cantare. Che vuol dire in-segnare ad essere delle persone chesi lasciano abitare dallo Spirito e san-no stupirsi e rallegrarsi ogniqualvol-ta Dio rivolge ad esse la Parola checambia destinazione alla loro vita.

Il cristiano canta non perché hauna bella voce, ma perché si accorgeche nel suo cuore sta succedendoqualcosa che lo fa scoppiare. Né can-ta perché qualcuno glielo impone,ma perché si sente libero e non ha pa-role da dire di fronte alla Parola chesi sta incarnando nella sua vita. È ri-masto come senza parole per dire eraccontare adeguatamente ciò cheDio sta facendo, ma vuole in qualchemodo sdebitarsi restituendogli il me-rito di ciò che è avvenuto, cantandoil suo silenzio fecondo e operoso.

Perciò, se vogliamo che i cristianicantino, dobbiamo soprattutto aiu-tarli a ritrovare il significato profon-do della loro partecipazione alla cele-brazione eucaristica e a starci da per-sone entusiaste. E se vogliamo che ilcanto dei cristiani nella liturgia nonsia solo esibizione o formalismo ri-tuale, dobbiamo stare attenti a ciòche sta succedendo nella loro vita edella loro vita, dal momento in cuimettono piede in chiesa fino al mo-mento in cui cantando o in silenzioescono e ritornano alle loro case.

Soprattutto dobbiamo fare inmodo che si sentano arca di Dio,come Maria, abitazione dei suoipensieri e dei suoi progetti più no-bili e più incredibili, dove non si co-nosce gesto più idoneo del cantoper esprimere lo stupore e la grati-tudine, la lode e la benedizione perquello che egli sta facendo.

Franco Gomiero parroco di Santa Rita da Cascia

in Mestre (Ve)

������

Il canto dei cristianiè legato alla loro

esperienza pasqualecon Cristo risorto.

Q ualche anno fa il vescovo dellamia diocesi doveva stendere iltesto di una lettera pastorale ri-

volta a tutti i cori e musicisti che ope-rano in liturgia. Parlando degli stru-menti, gli era venuto istintivo scrive-re che «le percussioni non si possonousare». Gli ho fatto notare che un’af-fermazione di questo tipo avrebbecreato parecchio disorientamento trai musicisti. Non tanto perché si deb-ba giustificare qualsiasi utilizzo diqualsiasi strumento, ma perché si trat-ta di un’affermazione di principio.

Il vescovo, bontà sua, non era ungran intenditore di musica, per cui fa-ticava a capire dove stava il proble-ma. Allora mi è venuta un’idea e gliho detto: «Che cosa sente, all’iniziodelle celebrazioni in cattedrale, quan-do esce dalla sacrestia e inizia la pro-cessione all’altare? Il sacrista che suo-na la campana, così l’assemblea si al-za in piedi e inizia il canto. Ebbene,quella campana è una percussione!Quindi non possiamo proibire le per-cussioni... perché noi le percussioniin liturgia le abbiamo già! E nessunoosa lamentarsi perché quello dellacampana è un suono perfettamenteintegrato nella celebrazione».

Certamente in altre situazioni lepercussioni si adattano con maggio-re difficoltà, e a volte addiritturavengono percepite come un distur-bo e un ostacolo alla preghiera. Maquesto può avvenire con qualsiasi ti-po di strumento o di sonorità: dipen-de dal contesto, dal tipo di assem-blea, dal tipo di canto, dal tipo dichiesa, e soprattutto da chi suona!

Il di più offertodallo strumentoIl tema degli strumenti musicali

in liturgia è un costante oggetto di di-scussione: la posizione più radicaleè quella di chi sostiene che solo l’or-gano è lo strumento adatto a interve-nire in liturgia; ma le polemiche han-no ormai durata pluridecennale cir-ca l’uso della chitarra e, più recente-mente, sulla presenza delle percus-sioni. A pensarci bene questo è il ter-mometro che dimostra una consape-volezza: la presenza di uno strumen-to in liturgia non è neutrale rispettoa quanto si celebra, ma al contrarioesso offre un di più qualitativo, unqualcosa di nuovo all’esperienza ce-lebrativa. Ovviamente, per lo stes-

so motivo, la presenza di uno stru-mento “sbagliato” può costituireun ostacolo al funzionamento dellacelebrazione e all’esperienza spiri-tuale che essa intende far vivere.

Si può cantare senza strumenti(lo si è fatto per tanti secoli), ma lapresenza di strumenti offre al can-to e alla preghiera cantata dellechances nuove, per non parlarepoi dell’opportunità offerta in cer-ti momenti dalla musica strumen-tale e dalla presenza del suono co-me sfondo, fondo sonoro, entro ilquale possono trovare maggior ri-salto, quasi fossero amplificati, igesti e le parole della liturgia.

Uno... “strumento”

Etimologicamente, il termine“strumento” deriva dal latino strue-re, col significato di “accumulare,accatastare” o “erigere”. A differen-za degli utensili, atti a modificare ospostare un oggetto, gli strumentinon sono principalmente destinatialla trasformazione delle cose, ben-sì a coadiuvare nella formazione diconoscenza e comprensione. Comegli strumenti scientifici (per esem-pio, termometri e telescopi) amplia-no l’estensione dei sensi umani, per-mettendoci di osservare e misurarecampi altrimenti inaccessibili, così

Q ualche anno fa il vescovo dellamia diocesi doveva stendere iltesto di una lettera pastorale ri-

volta a tutti i cori e musicisti che ope-Qvolta a tutti i cori e musicisti che ope-Qrano in liturgia. Parlando degli stru-menti, gli era venuto istintivo scrive-re che «le percussioni non si possonousare». Gli ho fatto notare che un’af-fermazione di questo tipo avrebbecreato parecchio disorientamento trai musicisti. Non tanto perché si deb-ba giustificare qualsiasi utilizzo diqualsiasi strumento, ma perché si trat-ta di un’affermazione di principio.

Il vescovo, bontà sua, non era ungran intenditore di musica, per cui fa-ticava a capire dove stava il proble-ma. Allora mi è venuta un’idea e gliho detto: «Che cosa sente, all’iniziodelle celebrazioni in cattedrale, quan-do esce dalla sacrestia e inizia la pro-cessione all’altare? Il sacrista che suo-na la campana, così l’assemblea si al-za in piedi e inizia il canto. Ebbene,quella campana è una percussione!Quindi non possiamo proibire le per-cussioni... perché noi le percussioniin liturgia le abbiamo già! E nessunoosa lamentarsi perché quello dellacampana è un suono perfettamenteintegrato nella celebrazione».

Suonare è pregare

CANTARE LA LITURGIA CANTARE LA LITURGIA DOSSIERDOSSIER

Polemiche infinite sull’uso della chitarra o sulle percussioni. Non esistonostrumenti buoni o cattivi. Dal Concilio in poi i documenti magisterialistanno ben attenti a non fare elenchi. Nella liturgia uno strumento èsuonato bene quando non è invadente, ma aiuta la preghiera, il canto...

� Strumenti e stili musicali

Il problema non è organoIl problema non è organoo non organo, ma se si riesceo non organo, ma se si riescea suonare bene lo strumento.a suonare bene lo strumento.

46 - VITA PASTORALE N. 2/2016

gli strumenti musicali dilatano le ca-pacità espressive del corpo, permet-tendoci di sondare l’universo intan-gibile del pensiero e dei sentimenti.

Scegliendo l’uno o l’altro stru-mento, i musicisti esplorano idee erivelano stati d’animo che altrimezzi non potrebbero rendere inmodo adeguato. I giudizi circa unsuono “buono” o “cattivo” sonoperciò tanto soggettivi quanto cul-turalmente determinati; suoni chepiacciono ad alcuni ascoltatori pos-sono irritarne altri, il cui orecchioè sintonizzato in modo differente.Mentre le proprietà fisiche di unostrumento – materiale, manifattu-ra, affidabilità, stabilità, ecc. – so-no valutabili oggettivamente, lasua efficacia musicale è strettamen-te connessa all’atteggiamentodell’ascoltatore, nonché al gusto eabilità dell’esecutore.

Ecco il motivo per cui il tema de-gli strumenti musicali non può esse-re affrontato in termini di princìpi:le percussioni possono apparireestranee in un normale contesto par-rocchiale, ma se quell’assemblea ve-

de la presenza di una comunità cri-stiana di provenienza africana, essetrovano tutta la loro legittimità.

Anche l’organo, pur essendo datenere «in grande onore, in quan-to strumento musicale tradiziona-le, il cui suono è in grado di ag-giungere notevole splendore allecerimonie della Chiesa, e di eleva-re potentemente gli animi a Dio ealle cose celesti» (SC 120), se du-rante la celebrazione viene utiliz-zato come se si fosse a un concer-to, cioè come se lo strumento fos-se al primo posto, davanti a tuttoe a tutti, non renderà mai un buonservizio liturgico, anche se l’esecu-zione può essere perfetta.

La saggia cautela della ChiesaDalla Sacrosanctum Concilium

in poi i documenti della Chiesa so-no bene attenti a non fare elenchi distrumenti permessi e strumenti proi-biti. Così, dopo aver invitato a tene-re in grande onore l’organo a can-ne, SC 120 aggiunge: «Altri stru-menti si possono ammettere nel cul-to divino, a giudizio e con il consen-so della competente autorità eccle-siastica territoriale, [...] purché sia-no adatti all’uso sacro o vi si possa-no adattare, convengano alla digni-tà del tempio e favoriscano vera-mente l’edificazione dei fedeli».

Tra i documenti degli anni succes-sivi, il passaggio forse più interes-sante si trova nella Nota pastorale Ilrinnovamento liturgico in Italia(1983, in occasione dei vent’annidalla Sacrosanctum Concilium):«Da quando la parola di Dio si è fat-ta carne e Dio ha scelto di essere lo-dato dalla lingua degli uomini, ogni“parola” autenticamente umana èstata assunta nel mistero dell’Incar-nazione e nessuna “lingua” umanapotrà mai essere esclusa. Tutto ciòdi cui l’uomo si serve per esprimerefede e disperazione, gioia e pianto,vita e morte, speranza e paura, tut-to è diventato “carne” dell’eternaparola di Dio e tutto è stato abilita-to a dare espressione all’inesprimi-bile. Proprio questa intenzione di fe-de obbliga la Chiesa [...] a non re-spingere nessuna delle nuove formenelle quali l’uomo contemporaneoama esprimere la comprensione cheegli ha di sé stesso, del mondo in cuivive e della fede che professa» (13).

Come usare gli strumenti?

Queste considerazioni, valide ini-zialmente per qualsiasi forma artisti-ca, se applicate agli strumenti musi-cali ci fanno concludere che non esi-ste uno strumento buono e uno catti-vo. Lo strumento non fa altro chepropagare un suono che di per sé èneutro: dipende dall’uso che se ne faper decidere se lo si può adottare nel-la liturgia. Suonare uno strumento èmolto più che produrre melodie, ar-monie o accordi. Lo strumento na-sce come prolungamento della perso-na e quindi, qualsiasi strumento suo-niamo, in qualche modo esprimia-mo noi stessi. Nella specifica espe-rienza della preghiera e della celebra-zione liturgica, suonare non è soloun sostegno al canto ma può e devediventare il proprio modo di prega-re, di celebrare, di stare davanti aDio e all’interno dell’assemblea.

Prescindendo dagli aspetti tecnici,che purtroppo non sempre sono pre-senti in chi suona (non è raro trovareorganisti che accompagnano per ac-cordi, chitarristi che non leggono lamusica e percussionisti che ignoranol’esistenza di una grammatica ritmi-ca...), la risposta più semplice è chegli strumenti vadano usati come “stru-menti”, cioè funzionali a un progettoin cui vengono inseriti, a cui devonoservire. Nella liturgia uno strumentoè suonato bene quando non è inva-dente, non copre, non viene percepi-to come padrone, ma come un aiutoalla preghiera, al canto, all’ascoltodei cristiani che celebrano.

Poiché la Chiesa cristiana ha sem-pre privilegiato il canto rispetto allamusica strumentale, con la motiva-zione che solo la voce è in grado diportare la Parola, per cui un canto èfondamentalmente un testo accom-pagnato e valorizzato da una melo-dia (= musica a servizio delle paro-le), lo strumento chiamato ad accom-pagnare deve rimanere sempre in se-condo piano, anche se presente, ri-spetto alle parole che vengono canta-te. Contemporaneamente, però, lostrumento ha anche il compito di so-stenere armonicamente il canto e ditenerlo a ritmo o comunque far sìche non si trascini troppo. Il difficile,l’arte, sta proprio nel trovare l’equili-brio tra questa presenza di stimolo eil pericolo dell’invadenza. �

de la presenza di una comunità cri-stiana di provenienza africana, essetrovano tutta la loro legittimità.

Anche l’organo, pur essendo datenere «in grande onore, in quan-to strumento musicale tradiziona-le, il cui suono è in grado di ag-giungere notevole splendore allecerimonie della Chiesa, e di eleva-re potentemente gli animi a Dio ealle cose celesti» (SC 120), se du-rante la celebrazione viene utiliz-zato come se si fosse a un concer-to, cioè come se lo strumento fos-se al primo posto, davanti a tuttoe a tutti, non renderà mai un buonservizio liturgico, anche se l’esecu-zione può essere perfetta.

La saggia cautela della ChiesaDalla Sacrosanctum Concilium

in poi i documenti della Chiesa so-no bene attenti a non fare elenchi distrumenti permessi e strumenti proi-biti. Così, dopo aver invitato a tene-re in grande onore l’organo a can-ne, SC 120 aggiunge: «Altri stru-menti si possono ammettere nel cul-to divino, a giudizio e con il consen-so della competente autorità eccle-siastica territoriale, [...] purché sia-

Come usare gli strumenti?

Queste considerazioni, valide ini-zialmente per qualsiasi forma artisti-ca, se applicate agli strumenti musi-cali ci fanno concludere che non esi-ste uno strumento buono e uno catti-vo. Lo strumento non fa altro chepropagare un suono che di per sé èneutro: dipende dall’uso che se ne faper decidere se lo si può adottare nel-la liturgia. Suonare uno strumento èmolto più che produrre melodie, ar-monie o accordi. Lo strumento na-sce come prolungamento della perso-na e quindi, qualsiasi strumento suo-niamo, in qualche modo esprimia-mo noi stessi. Nella specifica espe-rienza della preghiera e della celebra-zione liturgica, suonare non è soloun sostegno al canto ma può e devediventare il proprio modo di prega-re, di celebrare, di stare davanti aDio e all’interno dell’assemblea.

Prescindendo dagli aspetti tecnici,che purtroppo non sempre sono pre-senti in chi suona (non è raro trovareorganisti che accompagnano per ac-cordi, chitarristi che non leggono lamusica e percussionisti che ignoranol’esistenza di una grammatica ritmi-

������

Pierangelo Ruaro

VITA PASTORALE N. 2/2016 - 47

L a riforma liturgica voluta dal con-cilio Vaticano II ha fatto dellapartecipazione attiva dei fedeli al-

la celebrazione il suo punto di forza.Già il movimento liturgico sorto allafine del XIX secolo aveva sollevato ilproblema della forte clericalizzazionedella liturgia e del conseguente allon-tanamento dei fedeli dal culto pubbli-co ufficiale della Chiesa. La liturgia insostanza non toccava più la vita dellagente, non nutriva la spiritualità, noncostituiva più la fonte della sua fede.

Per queste ragioni i Padri concilia-ri vollero esprimere in maniera ricor-rente il principio della partecipazio-ne attiva dei fedeli nella Sacrosanc-tum Concilium quale nuova via persanare la frattura secolare tra popolodi Dio e azione liturgica: «È ardentedesiderio della madre Chiesa che tut-ti i fedeli vengano formati a quellapiena, consapevole e attiva partecipa-zione alle celebrazioni liturgiche,che è richiesta dalla natura stessa del-la liturgia e alla quale il popolo cri-stiano, «stirpe eletta, sacerdozio rega-le, nazione santa, popolo acquistato»(1Pt 2,9; cf 2,4-5), ha diritto e dove-re in forza del battesimo» (SC 14).

La novità del ConcilioI Padri inoltre raccomandano di

preferire «una celebrazione comuni-

taria caratterizzata dalla presenza edalla partecipazione attiva dei fedeli[...] alla celebrazione individuale equasi privata» (27) e, nelle istruzioniofferte per la riforma dei libri e dei ri-ti, al fine di promuovere tale parteci-pazione attiva esortano a curare «leacclamazioni dei fedeli, le risposte, ilcanto dei salmi, le antifone, i canti,nonché le azioni e i gesti e l’atteggia-mento del corpo, [...] anche, a tempodebito, un sacro silenzio» (SC 30).

Il Concilio in sintesi intende porrefine alla situazione che vede i fedeli“assistere” passivamente alla litur-gia «come estranei o muti spettato-ri» (SC 48) e auspica che ciascunodi essi divenga “attore”, cioè “sogget-to” della celebrazione. La liturgia ri-formata dunque pone al centro delsuo celebrare l’assemblea: un’assem-blea tutta ministeriale, presieduta

da un ministro ordinato, e servita dadiaconi, accoliti, lettori, cantori.Un’assemblea che veda fiorire al suointerno vocazioni e ministeri e che,nell’azione liturgica, lasci trasparirela ritrovata immagine di Chiesa-cor-po di Cristo dove, secondo l’Aposto-lo, tutte le membra, ben compagina-te, ciascuna secondo le proprie pecu-liarità, partecipano al buon funzio-namento dell’intero corpo.

Il ruolo del coroIn questo nuovo assetto, che con-

templa l’assemblea celebrante alcentro dell’azione liturgica, il corovede ridefinita la sua funzione e vo-cazione: esso è assemblea, parte in-tegrante di essa; i cantori che ne fan-no parte sono fedeli chiamati, perinclinazione e talento, a svolgere unservizio all’intera comunità.

La partecipazione attiva

CANTARE LA LITURGIA CANTARE LA LITURGIA DOSSIERDOSSIER

Il canto rappresenta in modo visibile il principio della partecipazioneattiva dei fedeli alla liturgia. Questo punto fondamentale della riformaconciliare sana i guasti del forte clericalismo precedente. Ma qualisono i ruoli del coro, se ce n’è uno, e di un’assemblea ben formata?

� Il ruolo dell’assemblea e del coro

48 - VITA PASTORALE N. 2/2016

Non più dunque dei semplici per-formers o mestieranti, ma ministri delcanto e della musica. Il coro (e sottoquesto termine intendiamo inglobarele scholae cantorum, le cappelle musi-cali, i cori parrocchiali, a voci pari, avoci dispari, o anche un minuscologruppo di poche voci) nella mens del-la riforma liturgica deve «curare l’ese-cuzione esatta delle parti sue proprie,secondo i vari generi di canto, e favo-rire la partecipazione attiva dei fedelinel canto» (Musicam sacram 19).

Esso «fa parte dell’assemblea deifedeli e svolge un suo particolare uffi-cio» (MS 23) all’interno della cele-brazione. Pertanto «sia assicurata aciascuno dei suoi membri la comodi-tà di partecipare alla messa nel modopiù pieno, cioè attraverso la parteci-pazione sacramentale» (MS 23) e, ol-tre a quella musicale, «anche un’ade-guata formazione liturgica e spiritua-le, in modo che dalla esatta esecuzio-ne del loro ufficio liturgico, derivinon soltanto il decoro dell’azionesacra e l’edificazione dei fedeli, maanche un vero bene spirituale pergli stessi cantori» (MS 24). Per que-sto il rapporto tra coro e assembleaè osmotico, l’uno non può non te-ner conto dell’altra e viceversa.

Purtroppo bisogna ammettereche a 50 anni dall’evento conciliare

questo ideale alto non è sempre pie-namente attuato e realizzato. Assi-stiamo spesso a celebrazioni solen-ni accompagnate da “supercori”, ca-paci di cantare anche a 4, 5 o 6 vo-ci, magari timbricamente vicini a so-norità operistiche, ma lontani anniluce dal sonum che sostiene e pro-muove il canto assembleare. Quil’assemblea è schiacciata in un’ana-cronistica assistenza alla celebrazio-ne, quale muta spettatrice.

Partecipazione attivaNondimeno conosciamo celebra-

zioni parrocchiali (questo aggettivopurtroppo è passato a definire in sen-so dispregiativo diverse realtà non-ché quella musicale) dove, in forzadi una malintesa partecipazione atti-va dei fedeli (dove tutti fanno tutto enon esiste alcuna ministerialità),non vi è un gruppo musicalmentequalificato capace di guidare il can-to dei fedeli e tutto viene delegato aun volontario (o gruppo di volonta-ri) sovente giovane strimpellatoreestemporaneo. Questo gioco al ri-basso chiaramente coinvolge anchela scelta del repertorio: si opta permusica sciatta e banale, testi teologi-camente poveri, canti inadeguati enon pertinenti all’azione rituale.

Insomma il postconcilio è stato in

prevalenza dominato da questi ecces-si, estremismi deformanti, salvo alcu-ne felici e benauguranti eccezioni.Tuttavia gli errori commessi da alcu-ni soprattutto nella prima fase di rice-zione della riforma liturgica non infi-ciano affatto la bontà del progetto ori-ginario, come taluni nostalgici bandi-tori di sventura amano far credere.La partecipazione attiva auspicata daSC resta assolutamente un valore dacustodire e promuovere, anzitutto at-traverso la formazione del clero e deilaici. I Padri ci avevano avvertito:«Non si può sperare di ottenere que-sto risultato, se gli stessi pastori d’ani-me non saranno impregnati, loro perprimi, dello spirito e della forza dellaliturgia e se non ne diventeranno mae-stri, [per questo] è assolutamente ne-cessario dare il primo posto alla for-mazione liturgica del clero» (SC 14).

Nella sua esortazione apostolicapostsinodale Sacramentum caritatis,Benedetto XVI precisava a riguardo:«Ancora pienamente valida è la racco-mandazione della costituzione conci-liare Sacrosanctum Concilium, cheesortava i fedeli a non assistere alla li-turgia eucaristica “come estranei omuti spettatori”, ma a partecipare“all’azione sacra consapevolmente,piamente e attivamente” (SC 48)»(52). Questo non significa ingenera-re dell’attivismo sfrenato nell’assem-blea liturgica, e neppure scadere inquel “comunismo” livellante che vuo-le tutti uguali e necessariamente im-pegnati allo stesso modo, ma promuo-vere una ministerialità il più possibilediffusa e qualificata, dove ognuno hauna sua vocazione e competenza e inforza di ciò esercita il suo servizio. Inquest’ottica l’assemblea può parteci-pare attivamente all’azione liturgicaanche attraverso un ascolto del coro,laddove l’ordo celebrandi lo preveda.

A tal proposito ho ancora vivo il ri-cordo della messa della notte presie-duta da Papa Francesco nel Nataledel 2014. In quell’occasione fu ese-guito all’interno del Credo III l’Et in-carnatus est della Messa in DO mino-re (K 427) di Mozart. Il maestro dellaCappella musicale pontificia “Sisti-na”, monsignor Palombella, nella pre-sentazione del cd che contiene il livedi quella celebrazione annota: «L’ese-cuzione di tale musica [...] fu una spe-cifica richiesta di Papa Francesco,che portò necessariamente a studiare

������

Domenico Donatelli

Ognuno ha una sua vocazione e competenza, e in forza di ciò esercita il suo servizio.

VITA PASTORALE N. 2/2016 - 49

– per quanto possibile – la miglioremodalità di proporre questa musicasecondo una “pertinenza celebrati-va”, sottraendola quindi a una meracomprensione “concertistica” all’in-terno della celebrazione eucaristica».

E benché la sequenza rituale inquella occasione abbia subito un no-tevole squilibrio temporale (il soloEt incarnatus di Mozart dura13’36’’!) bisogna riconoscere che ilgrado di partecipazione dell’assem-blea, in quella sorta di sospensionedel ritmo celebrativo, è stato altissi-mo: tutti i presenti ricordano lostraordinario silenzio orante venu-tosi a creare in basilica che, accom-pagnato dal gesto dell’inginocchiar-si, permise di gustare, attraverso unascolto empatico, le parole della fe-de sul mistero dell’incarnazione.

L’assembleaLa partecipazione dell’assemblea

al canto liturgico conosce quindi di-verse declinazioni. Per delle esempli-ficazioni ci rifaremo alla liturgia del-la messa, non solo “fonte e culmine”della vita della Chiesa ma anche pro-totipo rituale di molte altre celebra-zioni. All’assemblea spettano anzitut-to le risposte ai dialoghi con coluiche presiede e le diverse acclamazio-ni della celebrazione che, in forza delgenere letterario e della forma musi-cale, esigono il canto di tutti: «Le ac-clamazioni e le risposte dei fedeli alsaluto del sacerdote e alle orazioni,costituiscono quel grado di partecipa-zione attiva che i fedeli riuniti devo-no porre in atto in ogni forma di Mes-sa per esprimere e ravvivare l’azionedi tutta la comunità» (OGMR 35).

Occorre, quindi, saper identifica-re tali acclamazioni, riconoscerne lefunzioni proprie attingendo all’OG-MR ed esprimerle con l’adeguata for-ma esecutiva; è possibile distinguerequattro tipi di acclamazioni liturgi-

che: l’acclamazione-grido (ad esem-pio, Amen, Kyrie eleison, Parola diDio, Luce di Cristo, Credo, ecc.), l’ac-clamazione di saluto e dialogo (adesempio, «Il Signore sia con voi. Econ il tuo spirito», «In alto i nostricuori. Sono rivolti al Signore», ecc.),l’acclamazione-inno (si pensi al Sanc-tus o al Gloria della messa) e infinel’acclamazione-jubilus (ad esempio,Alleluia). A questi gesti sonori a cuil’assemblea non deve mai rinunciaresi aggiungono anche il salmo respon-soriale, che può lodevolmente esserecantato dall’assemblea (per la partedel ritornello) in alternanza con il sal-mista, la litania alla frazione del pane(Agnello di Dio), costituita dall’alter-nanza tra solo (o coro) e assemblea,il Padre nostro e la professione di fe-de che, in forza del testo e del conte-sto, non ammettono deleghe.

Questi gli interventi intonati chestrutturano una celebrazione parte-cipata attivamente dal popolo. Icanti succitati pertanto devono es-sere cantati anche dal coro che – loricordiamo – è parte qualificatadell’assemblea celebrante.

Qualcuno sarà sorpreso dal fat-to di non aver ancora sentito men-zionare i canti d’ingresso, di offer-torio e di comunione. Questi ulti-mi rappresentano i cosiddetti can-ti del proprio, oggi diremmo an-che canti rituali, poiché accompa-gnano riti peculiari quali l’ingres-so dei ministri, la processione del-le offerte e la processione di comu-nione. Questa tipologia di cantopuò essere eseguito «alternativa-mente dalla schola e dal popolo, odal cantore e dal popolo, oppuretutto quanto dal popolo o dalla so-la schola» (OGMR 48). Qui l’ese-cuzione da parte del solo coro co-stituisce l’extrema ratio.

Se vi è un canto che possa dirsiprerogativa esclusiva del coro que-sti è il cosiddetto canto finale, inrealtà non contemplato dall’OG-MR, che si limita a segnalare il con-gedo come invito a tornare alle pro-prie «opere di bene lodando e bene-dicendo Dio» (OGMR 90), ma difatto entrato nella prassi celebrati-va. Questo è il momento in cui il co-ro può offrire ai fedeli anche saggidelle proprie capacità cimentando-si in repertori più complessi.

Le istanze della liturgia rinnova-ta possano trovare nuova accoglien-za nei tanti animatori musicali del-le nostre liturgie e ai nostalgici deifasti del passato, ai sostenitori del-le scholae gloriose a detrimentodella riforma conciliare, basti medi-tare ancora sulle parole che PapaFrancesco ha rivolto alla Chiesache è in Italia: «L’ossessione di pre-servare la propria gloria, la propria“dignità”, la propria influenza nondeve far parte dei nostri sentimen-ti. Dobbiamo perseguire la gloriadi Dio, e questa non coincide conla nostra. La gloria di Dio che sfol-gora nell’umiltà della grotta di Bet-lemme o nel disonore della croce diCristo ci sorprende sempre» (Di-scorso ai rappresentanti del V Con-vegno ecclesiale nazionale, Firen-ze 10 novembre 2015).

Domenico Donatelli ofm cap

– per quanto possibile – la miglioremodalità di proporre questa musicasecondo una “pertinenza celebrati-va”, sottraendola quindi a una meracomprensione “concertistica” all’in-terno della celebrazione eucaristica».

E benché la sequenza rituale inquella occasione abbia subito un no-tevole squilibrio temporale (il soloEt incarnatus di Mozart dura13’36’’!) bisogna riconoscere che ilgrado di partecipazione dell’assem-blea, in quella sorta di sospensionedel ritmo celebrativo, è stato altissi-mo: tutti i presenti ricordano lostraordinario silenzio orante venu-tosi a creare in basilica che, accom-pagnato dal gesto dell’inginocchiar-si, permise di gustare, attraverso unascolto empatico, le parole della fe-de sul mistero dell’incarnazione.

L’assembleaLa partecipazione dell’assemblea

al canto liturgico conosce quindi di-verse declinazioni. Per delle esempli-ficazioni ci rifaremo alla liturgia del-la messa, non solo “fonte e culmine”della vita della Chiesa ma anche pro-totipo rituale di molte altre celebra-zioni. All’assemblea spettano anzitut-to le risposte ai dialoghi con coluiche presiede e le diverse acclamazio-ni della celebrazione che, in forza delgenere letterario e della forma musi-cale, esigono il canto di tutti: «Le ac-clamazioni e le risposte dei fedeli alsaluto del sacerdote e alle orazioni,costituiscono quel grado di partecipa-zione attiva che i fedeli riuniti devo-no porre in atto in ogni forma di Mes-sa per esprimere e ravvivare l’azionedi tutta la comunità» (OGMR 35).

Occorre, quindi, saper identifica-re tali acclamazioni, riconoscerne lefunzioni proprie attingendo all’OG-MR ed esprimerle con l’adeguata for-ma esecutiva; è possibile distinguerequattro tipi di acclamazioni liturgi-

che: l’acclamazione-grido (ad esem-pio, Amen, Kyrie eleison, Parola diDio, Luce di Cristo, Credo, ecc.), l’ac-clamazione di saluto e dialogo (adesempio, «Il Signore sia con voi. Econ il tuo spirito», «In alto i nostricuori. Sono rivolti al Signore», ecc.),l’acclamazione-inno (si pensi al Sanc-tus o al Gloria della messa) e infinel’acclamazione-jubilusl’acclamazione-jubilusl’acclamazione- (ad esempio,Alleluia). A questi gesti sonori a cuil’assemblea non deve mai rinunciaresi aggiungono anche il salmo respon-soriale, che può lodevolmente esserecantato dall’assemblea (per la partedel ritornello) in alternanza con il sal-mista, la litania alla frazione del pane(Agnello di Dio(Agnello di Dio( ), costituita dall’alter-nanza tra solo (o coro) e assemblea,il Padre nostro e la professione di fe-de che, in forza del testo e del conte-sto, non ammettono deleghe.

Questi gli interventi intonati chestrutturano una celebrazione parte-cipata attivamente dal popolo. Icanti succitati pertanto devono es-sere cantati anche dal coro che – loricordiamo – è parte qualificatadell’assemblea celebrante.

Qualcuno sarà sorpreso dal fat-to di non aver ancora sentito men-zionare i canti d’ingresso, di offer-torio e di comunione. Questi ulti-mi rappresentano i cosiddetti can-ti del proprio, oggi diremmo an-che canti rituali, poiché accompa-gnano riti peculiari quali l’ingres-so dei ministri, la processione del-le offerte e la processione di comu-nione. Questa tipologia di cantopuò essere eseguito «alternativa-mente dalla schola e dal popolo, odal cantore e dal popolo, oppuretutto quanto dal popolo o dalla so-la schola» (OGMR 48). Qui l’ese-cuzione da parte del solo coro co-stituisce l’extrema ratio.

Se vi è un canto che possa dirsiprerogativa esclusiva del coro que-sti è il cosiddetto canto finale, inrealtà non contemplato dall’OG-MR, che si limita a segnalare il con-gedo come invito a tornare alle pro-prie «opere di bene lodando e bene-dicendo Dio» (OGMR 90), ma difatto entrato nella prassi celebrati-va. Questo è il momento in cui il co-ro può offrire ai fedeli anche saggidelle proprie capacità cimentando-si in repertori più complessi.

Le istanze della liturgia rinnova-ta possano trovare nuova accoglien-za nei tanti animatori musicali del-le nostre liturgie e ai nostalgici deifasti del passato, ai sostenitori del-le scholae gloriose a detrimentodella riforma conciliare, basti medi-tare ancora sulle parole che PapaFrancesco ha rivolto alla Chiesache è in Italia: «L’ossessione di pre-servare la propria gloria, la propria“dignità”, la propria influenza nondeve far parte dei nostri sentimen-ti. Dobbiamo perseguire la gloriadi Dio, e questa non coincide conla nostra. La gloria di Dio che sfol-gora nell’umiltà della grotta di Bet-lemme o nel disonore della croce diCristo ci sorprende sempre» (Di-scorso ai rappresentanti del V Con-vegno ecclesiale nazionale, Firen-ze 10 novembre 2015).

Domenico Donatelli ofm cap

CANTARE LA LITURGIA ����CANTARE LA LITURGIA ����F I N E

Bibliografia

Costa E., Celebrare cantando. Manuale pratico per l’animatore musicale nella li-turgia, San Paolo 1994, Cinisello Balsamo; Parisi A., La musica liturgica in Italia.Cinquant’anni di fatti, idee, speranze, Edizioni Messaggero Padova 2013; RainoldiF., Per cantare la nostra fede. L’istruzione Musicam Sacram. Memoria e verifica nelXXV di promulgazione, ElleDiCi 1993, Leumann (To); Rainoldi F., Psallite sapien-ter. Note storico liturgiche e riflessioni pastorali sui canti della messa e della liturgiadelle ore, CLV 1999, Roma; Sabaino D., Animazione e regia musicale delle celebra-zioni. Note di metodo e di merito, CLV 2008, Roma; Stefani D., Le forme musicalidella liturgia rinnovata, ElleDiCi 1984, Leumann (To). �

DOSSIERDOSSIER

Non “assistere”, ma partecipare alla liturgia.

50 - VITA PASTORALE N. 2/2016