Le Politiche di Contrasto alla Povertà: tra innovazioni e ... · “Modelli di welfare e modelli...
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Le Politiche di Contrasto alla Povertà: tra innovazioni e vecchie logiche
categoriali. Il caso di Napoli.
Maria Dentale, [email protected]
Titolo della sessione
“La lotta alla povertà fra sussidi economici e interventi di welfare locale”
Paper per la IX Conferenza ESPAnet Italia
“Modelli di welfare e modelli di capitalismo.
Le sfide per lo sviluppo socio-economico in Italia e in Europa”
Macerata, 22-24 settembre 2016
* Affiliazione/email
Le politiche di contrasto alla povertà: tra innovazioni e vecchie logiche categoriali.
Premessa: Quante proposte di intervento? Accuratezza del targeting e impatto delle
politiche sociali nella città di Napoli. Uno sguardo d’insieme.
Le trasformazioni socioeconomiche che hanno accompagnato l’Italia e gli altri paesi europei
nel processo di transizione post-industriale, hanno avuto dei risvolti molto significativi sulla
modificazione e conseguenziale ricalibratura1 del sistema di welfare, nonché configurazione
degli strumenti di protezione sociale.
La fine della società del pieno impiego con tutte le sue ripercussioni, quali diversificazione
contrattuale, precarizzazione lavorativa, quindi assenza di garanzie e divaricazione della
forbice tra inwork e outwork ha comportato notevoli cambiamenti sicchè <<dinanzi a questo
quadro e all’estendersi del numero dei lavoratori poveri (working poor), intrappolati nel
rischio di povertà anche se titolari di un qualche rapporto di lavoro –per almeno sei mesi
all’anno- già nel 2002 autorevoli analisti proponevano “a partial basic income for workers2”.
A dieci anni da quell’auspicio e a oramai un lustro dall’inizio della crisi globale, che è
divenuta recessione in Europa, è forse necessario introdurre almeno un “minimum european
income to fight poverty?”>>3.
Il mancato recepimento delle raccomandazioni europee riguardanti l’implementazione
strutturale di uno schema di reddito minimo - un contributo di ultima istanza, che se
opportunamente correlato ad interventi di integrazione sociale, consenta di vivere degnamente
- ha rappresentato non solo un fattore di forte criticità per l’allineamento del sistema di
welfare nazionale al <<modello sociale europeo>> ma ha confermato la consuetudine, poi
divenuta prassi, di introdurre interventi parziali, concepiti secondo una logica meramente
sperimentale che ha finito col proiettare la politica in un raggio d’azione limitato nel tempo, e
limitante nella selezione del target dei beneficiari. Causa di ciò “il livello particolarmente
basso della spesa sociale, spesso all’origine dell’adozione di provvedimenti estemporanei che
in assenza di schemi nazionali di riferimento e di consistenti finanziamenti di risorse,
rischiano di rivelarsi inefficaci, designando un panorama di diritti differenziato a livello
regionale, fintanto che locale4.
Nonostante la accuratezza con cui viene stabilita la “definizione del target degli aventi diritto,
con il suo corredo di misure da usare per la valutazione della situazione economica dei
richiedenti e di strategie capaci di prevedere i rischi di aggiramento dei criteri fissati e
controllare la veridicità delle dichiarazioni rese”5 , la macchina amministrativa, quantunque
complessa, ha mostrato più di una volta che, nella declinazione delle strategie di targeting, il
grado di validità ed attendibilità delle informazioni strutturali sull’unità fiscale risulta
1 Ferrera M., 2006.
2 W. Strengmann-Kuhn, 2002.
3 Bin Italia; 2012, 33.
4 Gambardella D.; 2012.
5 Gambardella D., in Quaderni CIES, 2/2013; 225.
duramente messo alla prova dalla scarsa veridicità delle autocertificazioni rese note all’atto
della presentazione della domanda.
Prendendo atto che i sistemi di targeting influenzano strutturalmente le proposte di politica
sociale, che a loro volta “modellano e preselezionano le caratteristiche dei beneficiari di
assistenza”6, bisognerebbe accogliere la proposta di “affiancare alle misure di reddito minimo
un insieme di indicatori indiretti capaci di fornire misure delle spese familiari necessarie per
la sopravvivenza”7.
Uno degli esempi più concreti in cui è emerso che la crescente complessità
dell’implementazione di una misura di contrasto alla povertà sia riconducibile ad una
molteplicità di fattori di natura tecnica - come la determinazione dei criteri e delle soglie di
accesso all’intervento - e di natura contestuale - con riguardo al forte peso del sommerso e
dell’economia informale - è la sperimentazione nazionale del Reddito Minimo di Inserimento
(RMI), introdotta con il decreto istitutivo n. 237/1998.
Nella città di Napoli, ed in tutti i Comuni coinvolti, la misura si è rivelata strutturalmente
inefficace e soggetta a tutti quei limiti derivanti dalla oramai consolidata prassi della politica
italiana a fare della frammentarietà e provvisorietà dell’intervento l’unica opzione
formalmente percorribile in regime di scarsità di risorse o in assenza di una più specifica
continuità programmatoria sul versante delle politiche di contrasto alla povertà, già intuibile
dalla breve stagione della sperimentazione.
Dopo la dismissione dell’esperienza nazionale del RMI, il giudizio di segno
complessivamente negativo sulla <<stagione regionale8>> delle proposte di reddito minimo è
dipeso in modo determinante dagli scarsi risultati raggiunti in concreto.
Dopo soli tre anni di sperimentazione, anche l’esperienza campana del Reddito di
Cittadinanza (RdC) è stata abrogata nel 2010, senza una formale discussione dei suoi esiti in
Parlamento o in Consiglio Regionale, così come previsto dal regolamento attuativo.
In Campania l’esperienza del Comune di Napoli si è distinta non solo per i grandi numeri
della povertà, essendo qui pervenuto il 23% delle domande sul totale di quelle presentate in
Regione, ma soprattutto per le rigide condizionalità impresse al processo di targeting da una
prova dei mezzi di per sé oggetto di discussione. Di fatti, la politica regionale è stata esposta
non solo “a tutti i limiti di una misura a bando con una scarsa dotazione di risorse che [per
tanto ha finito] per escludere dal beneficio una larga parte delle domande pure giudicate
ammissibili”9 ma ha altresì sollevato una polemica sulla denominazione di un intervento, che
laddove avrebbe dovuto assicurare agli effettivi beneficiari il legittimo riconoscimento di
diritti spettanze, ha collocato l’esperienza tra “la titolazione più ambiziosa che si possa
utilizzare - <<reddito di cittadinanza>>: un reddito universale, non selettivo, slegato da
qualsiasi obbligo - e un piano di attuazione costretto da un forte vincolo di finanziamento e
6 Saraceno C.; 2002.
7 Gambardella D.; in Quaderni CIES, 2/2013, 227.
8 Bin Italia, 2012.
9 Gambardella D. , in Quaderni CIES, 2/2013, 226.
informato a criteri a dir poco convincenti, una situazione economica e sociale
drammaticamente deteriorata” per cui essa ha finito con l’assumere i caratteri di un sussidio
per i poveri”10
.
E’ altrettanto necessario precisare che proprio le condizioni di cronicità della povertà a Napoli
hanno finito col preformare l’impatto delle politiche pubbliche. Accanto alla incapacità degli
indicatori di bisogno economico di calcare la validità, affidabilità ed attendibilità delle
autocertificazioni rese in sede di presentazione delle domande, ulteriori fattori concorrenti al
fallimento della misura sono da riferire ai problemi inerenti al finanziamento della
sperimentazione e ai criteri di valutazione per la determinazione dell’entità del trasferimento
monetario, diversi se imputati alla capacità del sussidio di integrare il reddito familiare fino ad
una soglia di povertà stabilita in base alla composizione della famiglia, oppure sulla base di
altri criteri stabiliti in “cifra fissa” quando l’importo erogato prescinde dalla composizione e/o
dai bisogni della famiglia.
Per l’esperienza del RMI, la determinazione della posizione della famiglia in graduatoria era
stabilita calcolando un indice additivo che teneva conto di tutta una serie di fattori riguardanti
la composizione familiare ed occupazionale dei componenti il nucleo. La misura era rivolta
alle persone in condizioni di difficoltà, per le quali prevedeva un’integrazione del reddito
disponibile fino ad una soglia ritenuta indispensabile per condurre una vita minimamente
dignitosa. Questo reddito soglia, indicizzato annualmente e riparametrato in base alla
numerosità familiare del nucleo tramite un’apposita scala di equivalenza, finiva col
determinare anche l’importo del contributo erogato che si attestava sul valore dato dalla
differenza tra il limite massimo fissato ed il reddito mensile effettivamente percepito dal
nucleo familiare. In questo caso, i principali errori riguardanti la misura del trasferimento
economico possono essere riferiti alla mancata considerazione della variabilità territoriale nel
costo della vita, essendo la soglia di riferimento uniforme su tutto il territorio nazionale11
.
Nel caso del RdC, si è avuto modo di sostenere che il criterio di povertà assoluta al di sotto
dei 5 mila euro annui, aveva il solo merito di intercettare le famiglie in grave stato di
indigenza, al contempo tagliando fuori dall’intervento un’ampia quota di potenziali famiglie
aventi diritto. Anche se i 350 euro mensili hanno contribuito all’incremento dei redditi di tutte
le famiglie, il beneficio prodotto dal trasferimento non può essere ritenuto analogo per tutto il
panel degli aventi diritto, sia perché la situazione di partenza non risultava uguale per tutti, sia
perché la diversa composizione familiare aveva degli effetti significativi sulla nuova entrata,
evidentemente di diverso peso se rapportata ad una famiglia di tre o di cinque componenti12
.
La rassegna delle esperienze locali del RMI e del RdC ha confermato la tendenza, insita nella
storia dell’Ente Locale, ad operare un restringimento dell’accesso in graduatoria,
intercettando quella quota di poveri in genere al di sotto della linea di povertà e
complessificando il panorama dei diritti spettanze per i beneficiari ammissibili, con un
eventuale esubero di inoltri d’ufficio al Comune. E’ chiaro che questo modo di procedere è in
10
Agodi M.C. , De Luca Picione G.L., 2010, 40. 11
CIES, 2001. 12
Amaturo E.;Gambardella D., Morlicchio E.; 2007
netta controtendenza al generale principio dell’universalismo selettivo che pure ispira la
consistenza della relazione tra sostenibilità finanziaria ed accuratezza del targeting.
In effetti, una misura di contrasto della povertà non soggetta a limitanti vincoli di
finanziamento dovrebbe consentire a tutti gli ammissibili di beneficiare di un’erogazione a
sportello non solo più tempestiva ma evidentemente molto più perequativa. Non soltanto il
RMI e l’esperienza regionale del RdC hanno risentito, come suddetto, di tutte le limitazioni
derivanti dall’assenza di una giusta dotazione di risorse in bilancio, ma anche nella più recente
sperimentazione della Nuova Carta Acquisti, la maggior parte dei Comuni sperimentatori
(eccetto i due casi delle città di Bologna e Milano) ha proseguito con una logica a bando13
.
Tramontata la sperimentazione su base nazionale del RMI, il corso più recente delle politiche
di contrasto alla povertà è stato caratterizzato dalla sperimentazione della Nuova Carta
Acquisti (NCA) estesa alle dodici città italiane con più di 250.000 abitanti, a regime nel 2014
e conclusasi l’anno successivo.
Dalle prime anticipazioni sul monitoraggio della sperimentazione, aggiornate dal Ministero al
Settembre 2014, unitamente alle sommarie informazioni raccolte, da chi scrive, dalle
Assistenti Sociali impegnate nel progetto napoletano della NCA, si evidenzia una prima
inarcatura dell’approccio <<necessariamente prudente>> seguito nella definizione dei rigidi
criteri di accesso all’intervento. Il basso take up della misura, a fronte dell’estrema selettività
della prova dei mezzi, ha fatto sì che una parte consistente delle risorse stanziate dal
ministero non verrà impegnata, dileguando i timori iniziali circa la mancata copertura
dell’intervento.
Paradossalmente, proprio in una città ad elevata complessità sociale come Napoli la politica
ha avuto un debole impatto, perdendo l’occasione di estendere un beneficio prezioso alle tante
famiglie a rischio di esclusione sociale. I nuclei familiari beneficiari raggiunti non hanno
riferito situazioni di povertà multidimensionale, ma solo di forte deprivazione economica
dovuta alla immediatezza nella perdita di occupazione. Questo dato è all’origine
dell’inefficacia della tipologia di investimento sociale sottesa alla componente attiva della
misura, e dunque causa della debole tenuta dei programmi di accompagnamento sociale, mal-
adattatisi al tipo di famiglia povera inquadrata dal decreto ministeriale.
Come per le precedenti esperienze di reddito minimo, questa mancata quadratura del centro
viene ancora una volta addebitata alle forzature della prova dei mezzi con una sola differenza
ancor più pretestuosa per la valutazione di efficacia della stessa misura: la NCA a Napoli,
diversamente dalle precedenti esperienze del RMI e del RdC, non può definirsi uno
strumento all’incrocio tra “vincoli di bilancio e pressioni dal basso”14
. Questo perché le
risorse c’erano ma non sono state spese, oppure non potevano esser spese in virtù dei vincoli
proibitivi derivanti dal means testing.
13
Saraceno, Intervista del 14 Gennaio 2014 pubblicata sul sito www.secondowelfare.it. 14
Morlicchio E., in Amaturo E.; Gambardella D.; Morlicchio E.; 2007
“Nella logica a maglie strette”: la sperimentazione del RMI e del RdC a Napoli.
Con la sperimentazione nazionale del Reddito Minimo di Inserimento il Comune di Napoli si
è avvicendato nell’esperienza della modernizzazione delle politiche di contrasto alla povertà,
per la prima volta inserite in schemi programmatori definiti a livello centrale. Fino ad allora,
l’assenza di uno schema nazionale di reddito minimo aveva determinato una situazione
definita da Chiara Saraceno “da cuis regio eius religio”15
, vale a dire che a seconda del luogo
di residenza si aveva più o meno diritto all’accesso ad una qualche misura di sostegno al
reddito. Con il RMI non solo il legislatore ha recepito nell’ordinamento costituzionale il
concetto di esclusione sociale, ma ha formalmente definito le nuove sorti di politiche
capabilizzanti, tese a combattere la povertà attraverso forme di capacitazione ed attivazione16
.
Ad effetto, l’art. 1 del decreto legislativo n. 237/1998 enuncia che <<trattasi di una misura di
contrasto della povertà e dell’esclusione sociale attraverso il sostegno delle condizioni
economiche delle famiglie esposte al rischio di marginalità e l’avvio di specifici programmi di
inserimento>>.
Da una più attenta analisi della governance locale della misura e delle rilevazioni oggettive
registrate dal monitoraggio degli interventi articolatisi nelle due fasi in cui si è protratta la
sperimentazione, non sono mancate criticità e malfunzionamenti, nella maggior parte dei casi
derivanti da un adattamento disfunzionale dei criteri integrativi della prova dei mezzi previsti
dalle singole realtà locali. “Forse la principale ragione del fallimento della sperimentazione è
da attribuire proprio alla grande eterogeneità dell’applicazione, legata alle diversità locali e
più in generale alla scarsità di capacità e risorse della pubblica amministrazione necessarie per
governare una misura che al contempo richiedeva: valutazione della prova dei mezzi, capacità
di controllo, attuazione dei percorsi di inserimento. L’assenza di politiche attive di questo
genere a livello nazionale, infatti, ha mostrato un deficit di risorse omogenee su tutto il
territorio per la gestione dei percorsi di inclusione sociale e lavorativa dei beneficiari del
RMI”17
.
D’altronde, la realizzazione di una politica di lotta alla povertà e all’esclusione sociale
<<attiva>>, mediante la predisposizione di piani di accompagnamento sociale, ha richiesto
non solo l’esistenza di disponibilità finanziarie a livello nazionale, bensì una buona
organizzazione burocratico-amministrativa, nonché organico-professionale nel campo della
progettazione degli interventi a livello locale.
E’ risultato evidente che “lasciare ampi spazi di manovra alle amministrazioni locali in
aspetti cruciali-come la prova dei mezzi- dell’attuazione di un intervento nazionale possa
essere causa di frammentazioni territoriali incontrollate che rischiano di togliere elementi di
certezza e quindi di trasparenza all’istituto e alla situazione di bisogno che fronteggia. In
contesti ad elevata complessità sociale, l’attuazione di uno schema di reddito minimo può
restare invischiato in una rete di sovraccarico funzionale, ovvero configurarsi come “l’unica
15
Saraceno C., 2004, 46. 16
Sen A., 2000. 17
Busilacchi 2013, 163-164.
fonte di reddito legale in aree afflitte da disoccupazione cronica, dove la vasta maggioranza
della popolazione residente è composta da outsiders privi di opportunità di lavoro
nell’economia formale e di possibilità di attuare prestazioni di assicurazione sociale18
”. Un
aspetto che ha contraddistinto l’esperienza napoletana del RMI è il basso take up della misura
a fronte della mancata copertura finanziaria delle domande ritenute per principio ammissibili,
ma per circostanza non finanziabili. Nel merito, su un totale di 17.549 domande finanziate,
solo 4055 nuclei hanno visto riconoscersi il beneficio. “In un quadro siffatto il rischio è che
uno schema di reddito minimo perda la sua funzione precipua, quella di rete di sicurezza
generalizzata, volta al contrasto della povertà finanziaria più grave, per diventare un
equivalente funzionale degli assenti e comunque inaccessibili schemi di mantenimento del
reddito per i disoccupati”19
.
Interessanti esercizi di valutazione20
hanno documentato la sostanziale similarità della
condizione pre-intervento condivisa dal campione di famiglie beneficiarie con quelle non
ammesse.
Attingendo ai dati messi a disposizione dal Dipartimento dei Servizi Sociali del Comune di
Napoli, Carmela Castiello mette a confronto due sub campioni di nuclei familiari beneficiari e
nuclei familiari non ammessi alla sperimentazione. Se l’obiettivo principale della ricerca è
stato quello di fornire una valutazione dei primi esiti del RMI a Napoli, poiché l’intervallo
intercorso tra la prima erogazione monetaria e le interviste cui sono stati sottoposti i
beneficiari (circa due anni) era evidentemente troppo breve perchè si potesse parlare di una
vera e propria valutazione d’impatto, si può tuttavia confermare che l’esclusione dalla misura
è stata in massima parte dovuta a motivi di ordine formale e cioè alla mancanza di
informazioni sullo stato occupazionale o sull’iscrizione al collocamento di qualche soggetto21
.
Infatti, se si potesse “ricostruire una media del disagio, rispettivamente per i nuclei
beneficiari e per quelli non beneficiari che hanno fatto richiesta del RMI, la differenza
dovrebbe essere positiva”22
. In realtà i dati confermano che la scarsità delle risorse in bilancio
ha comportato una necessaria esclusione dalla graduatoria dei potenziali aventi diritto,
purtroppo non ammessi per via dei vincoli di bilancio alla platea dei beneficiari e per nulla
differenti dai beneficiari proprio per quanto attiene alla condizione pre-intervento. Valutazioni
conclusive che trovano una generale conferma nel rapporto di ricerca condotto nel 2005 da
Gambardella D. e Morlicchio E. sulla lista delle famiglie beneficiarie e non ammesse alla
sperimentazione del RMI. Dunque, la mancata addizionalità delle caratteristiche dei
beneficiari della misura rispetto alle domande respinte per motivi formali, costituiva l’esito di
una forzatura impressa nel processo di targeting dalla logica a maglie strette che ha vincolato
la fase iniziale di accesso alle provvidenze del welfare.
Rispetto al relazionamento del trasferimento monetario alla sottoscrizione di un “Programma
di Aiuto Concordato e Individualizzato” (P.A.C.I) “le aspettative relative al lavoro, nei
18
Ferrera, Londra, 2005, 16. 19
Sacchi 2005, 21. 20
Si vedano i contributi di Castiello C., 2006; Gambardella D, Morlicchio E., 2005. 21
Castiello C., 2006. 22
Ibidem, 52
beneficiari, sono risultate così frequenti da far concludere che tutti i beneficiari intervistati
avrebbero accettato un lavoro regolare anche se questo significava dover rinunciare al
RMI”23
.
Inoltre, l’assenza di occupati nel gruppo di controllo, ovvero nei nuclei familiari non
ammessi24
, fa presupporre che non si siano instaurati percorsi di dipendenza dal welfare da
parte di chi aveva usufruito, due anni prima, del provvedimento. In questo contesto, di
indubbia rilevanza è la discrepanza tra la bassa percentuale di programmi di inserimento
lavorativo - data la condizione di precarietà occupazionale degli stipulanti impegnati nei
progetti di presa in carico – e la tipologia di investimento proposta dai servizi sociali
territoriali. Ciononostante sarebbe abbastanza ingenuo considerare l’inserimento lavorativo
quale indicatore dell’efficacia dell’intervento. In un contesto come il mercato del lavoro
napoletano, caratterizzato da un elevato tasso di disoccupazione, non è quello degli ingressi al
lavoro il dato più rilevante25
.
In questo caso, la maggiore difficoltà di uscita dalla disoccupazione dipenderebbe proprio da
fenomeni di persistenza dei soggetti in situazioni di povertà non connessi all’assistenza ma
evidentemente dovuti ad una “paralisi del reticolo”26
che dovrebbe attivare una riflessione
sulla necessità di promuovere politiche pubbliche in grado di rafforzare la rete sociale a
sostegno delle famiglie povere, in questo modo migliorando le potenzialità proattive dei
giovani ed il loro inserimento nel mercato del lavoro.
Ispirata a questi propositi è la legge regionale n. 2 del 19 Febbraio 2004 recante l’“Istituzione
in via sperimentale del Reddito di Cittadinanza-RdC” in Campania. La sperimentazione è
stata avviata nel 2006, nonostante la scadenza del bando indicasse la data di dicembre 2004.
Due provvedimenti hanno prorogato la misura nel dicembre 2008/09, fino alle nuove elezioni
regionali, quando nel giugno 2010 il nuovo governo di centro-destra ha decretato l’immediata
interruzione del provvedimento. L’elaborazione del progetto di valutazione sulla
sperimentazione napoletana del RdC rientra in un precipuo mandato valutativo
commissionato dal competente Assessorato alle Politiche Sociali nella II^ metà del 2006 nel
quadro di un più ampio protocollo d’intesa siglato dal Dipartimento di ricerca della facoltà di
Sociologia e il Comune di Napoli per l’analisi delle politiche sociali cittadine e del supporto
alla loro programmazione.
Gli obiettivi dell’attività di monitoraggio e valutazione vengono espressamente enunciati
nell’art. 8 della suddetta L.R. in cui si legge che “il monitoraggio, la valutazione e le verifiche
degli interventi, di cui ai sensi della legge presente, competono al dirigente del settore delle
politiche sociali e al dirigente del settore dell’Osservatorio Regionale del Mercato del Lavoro
–ORMEL- della Regione Campania, sulla base delle relazioni annuali dei Comuni Capofila e
di verifiche a campione”. Lo stesso articolo riconosce alla giunta regionale la possibilità di
“impartire direttive ai Comuni al fine di migliorare l’utilizzo dello strumento” istituendo “un
23
Ibidem, 122. 24
Ibidem 25
Saraceno C., 2002,3. 26
Corbisiero F, Zaccaria, in Gambardella D., Morlicchio E., 2005.
Osservatorio del Consiglio Regionale che controlla e valuta la gestione, i risultati e gli effetti
del provvedimento sul reddito di cittadinanza”. Contrariamente a quanto previsto dalla
normativa istruttoria, la sperimentazione è stata prematuramente abrogata nel 2010 senza
formale discussione in Parlamento o in Consiglio Regionale. Per cui il Rapporto di
Valutazione redatto sull’esperienza di Napoli ente capofila, prendendo atto delle risultanze
empiriche della sperimentazione, pone in evidenza lo scompenso tra gli obiettivi enunciati
dalla legge regionale a regia dell’intervento e le sue concrete articolazioni nelle varie
municipalità.
Rispetto all’ esperienza precedente, il RdC ha fatto la sua irruzione sullo scenario regionale
con un ambizioso progetto, definendosi quale “misura di contrasto alla povertà di natura non
categoriale”. Diversamente dalle condizioni normative del decreto istitutivo del RMI, che
prevedevano il calcolo di un indice additivo per la determinazione della posizione della
famiglia in graduatoria (stabilita tenendo conto di una serie di fattori quali: composizione
familiare, condizione occupazionale dei componenti adulti e la presenza di disabili oltre al
confronto del reddito familiare con la soglia di povertà relativa); la legge istitutiva del RdC ha
privilegiato il solo criterio della situazione economica complessiva del nucleo familiare, per
questo basando la formazione delle graduatorie beneficiarie sul confronto reddito/consumo. Il
target specifico della misura, così come stabilito dall’art. 1 comma 2 della suddetta legge, è
composto da quei nuclei familiari con un reddito Isee inferiore ai 5.000 euro annui con
priorità definite secondo il posizionamento in graduatoria fino all’esaurimento delle risorse.
Per gli aventi diritto la legge ha previsto la corresponsione di un trasferimento monetario di
350 euro mensili (per un massimo di 12 mensilità), unitamente alla sottoscrizione di Progetti
di Accompagnamento Sociale- P.A.S., la cui adesione, tuttavia, non rappresentava una
precondizione per l’accesso al beneficio economico e dunque, diversamente dalle prescrizioni
del decreto attuativo del RMI27
, non era vincolante. Per cercare di limitare i casi di frode,
l’articolo 3 del Regolamento di attuazione della legge regionale n. 2/2004 prevedeva che il
posizionamento in graduatoria e dunque l’accesso al beneficio, fosse commisurato alla
valutazione del valore più alto del reddito familiare tra quello attestato dall’ISEE e quello
risultante da una stima del reddito (Reddito Stimato o Presunto) calcolata sulla base delle
utenze domestiche riferite all’affitto, gas, telefono, energia elettrica, possesso di automobili o
motocicli28
.
Tuttavia, i limiti alla supposta intercambiabilità degli indicatori di reddito, unitamente alle
storture impresse alla modificazione delle soglie di reddito dalla governance territoriale della
misura hanno lasciato preludere le ragioni del“ giudizio di segno complessivamente negativo
27
Anche il vincolo alla obbligatorietà nella sottoscrizione di un progetto di presa in carico, così come previsto dal decreto istitutivo del RMI, ha subito delle deroghe da parte dei Comuni “se si considera la vasta gamma di reazioni degli Enti Locali al mancato adempimento, da parte dei beneficiari , dei programmi di inserimento sociale: dall’assenza di provvedimenti ad ammonimenti solo formali, da riduzioni dell’importo monetario a sospensioni temporanee se non addirittura a revoche del beneficio stesso”. 28
Amaturo.E., Gambardella D., Morlicchio E., 2007.
sulla stagione delle leggi regionali sul reddito minimo”29
, dipeso evidentemente dagli scarsi
risultati raggiunti in concreto.
Sebbene l’identificazione dell’Ambito di Zona come base territoriale di riferimento per
l’elaborazione delle graduatorie avesse rappresentato una scelta funzionale all’inserimento
della misura nei Piani di Zona e alla riduzione del peso complessivo di enti capofila come
Napoli (in cui l’elevata percentuale di poveri avrebbe impedito il finanziamento delle
domande in contesti con intensità di povertà comparativamente inferiore); il ricorso di più
graduatorie per la messa in bando della misura non solo rispecchiava la scarsità delle risorse
in dotazione di bilancio, ma ha avuto come conseguenza il differenziarsi di soglie d’accesso al
RdC diverse per Ambito territoriale. La modifica della soglia unica di povertà, non superiore
ai 5.000 euro annui, ha implicato un abbassamento dei requisiti reddituali richiesti e una
crescita della variabilità tra Province30
. In effetti, per 13 ambiti territoriali la soglia di accesso
si collocava tra i 1000 e i 1.500 euro ed in special modo per 4 ambiti territoriali, tra cui spicca
quello di cui Napoli rappresentava l’ente capofila, la soglia di reddito risultava inferiore ai
300 euro, e precisamente a Napoli era pari a 260 euro.
La sperimentazione napoletana del RdC31
è significativa per diverse ragioni: 1) in primo
luogo nel restituire una buona fotografia della povertà locale. A tal proposito si ricorda che
l’esperienza del Comune di Napoli si è distinta per i grandi numeri della povertà, essendo qui
pervenuto il 23% delle domande sul totale di quelle presentate in Regione ; 2) in secondo
luogo per la rimodulazione degli obiettivi dell’intervento messi a dura prova dalla scarsità
delle risorse in dotazione di bilancio dell’Ente Locale. Alcune cifre lasciano intendere il basso
take up della misura: su un totale di 34.766 domande raccolte nella prima annualità, di cui
28.572 ritenute ammissibili, solo 3469 sono state concretamente finanziate, in pratica il 12%
delle domande ammissibili.
Considerati il basso take up della misura, l’esiguità del trasferimento monetario e soprattutto
la mancata parametrazione del contributo economico alla numerosità familiare (quale
conseguenza dell’adozione di una soglia assoluta di povertà), la stessa scelta del termine
“Reddito di Cittadinanza” appare in netta contraddizione alla natura fortemente selettiva,
benchè in prima istanza non categoriale, del provvedimento.
Se si prende atto tanto “della mancata corrispondenza tra intestatario ed effettivo utilizzatore
del contratto per l’energia elettrica o dell’automobile ovvero del motociclo” tanto
“dell’incidenza elevata dei contratti di locazione non registrati, per i quali quindi risultarono
nulle le spese per l’abitazione32
”, una prima ambiguità della strategia di targeting va riferita
alla ridotta capacità discriminante dell’indicatore di Reddito Stimato nel correggere la
tendenza dell’indicatore Isee a sottostimare la condizione reddituale del nucleo familiare.
Innanzitutto il valore certificato da ambedue le misure, nella maggior parte dei casi, si è
29
Bin Italia, 2012, 133. 30
Agodi M.C., de Luca Picione G.L., in Quaderni Cies, 3/2010. 31 Gambardella D., 2012.
32
Ibidem, 24.
rivelato prossimo o uguale a “0”, con il risultato che 1275 famiglie sono entrate in graduatoria
a pari merito. Inoltre, dall’inefficacia degli indicatori di bisogno economico nella selezione
degli aventi diritto era dipeso un effetto di iniquità tale che, quando diverse da “0”, le due
misure (Isee e Reddito Presunto), sono parse decisamente inattendibili, tant’è che il primo
valore del reddito stimato diverso da “0” ammontava a 0,83 centesimi di euro annui, e
l’ultimo a 260,22 euro, con uno scarto tra l’ultima famiglia beneficiaria e la prima esclusa di
soli 0,14 centesimi di euro33
.
In questa situazione, privilegiare gli indicatori di reddito in luogo di quelli di consumo è
sembrata la scelta migliore per stimare la povertà familiare, nella convinzione che fosse più
agevole tentare di rilevare il “reddito familiare disponibile” come somma complessiva di
denaro, a qualsiasi titolo percepito, che entra in famiglia. Come sottolineato da Gambardella
D.34
, l’indicatore di rilevazione del reddito familiare disponibile rappresenta una stima
sintetica ancor più estensiva dell’attestazione Isee poiché inserisce nel computo del reddito
familiare anche i trasferimenti statali percepiti. Il Valutatore ha considerato la frazione più
restrittiva del reddito equivalente mediano calcolato dalla Banca d’Italia nel 2006 per le sole
regioni meridionali, sostituendo il 60% con il 40% quale soglia di povertà relativa al di sotto
della quale il valore del reddito equivalente denuncerebbe situazioni di marginalità.
Dall’applicazione della soglia di povertà, il panel dei beneficiari è stato sottoposto ad
un’ulteriore procedura di analisi discesa dal confronto della loro situazione reddituale pre/post
intervento da cui è emerso che il RdC è riuscito ad attivare processi di cambiamento della
situazione economica familiare solo per quei nuclei che, per la loro composizione, sarebbero
stati in grado di fuoriuscire dalla cronica situazione di povertà. Conseguenza diretta
dell’applicazione di un trasferimento monetario dall’importo fisso non parametrabile a
seconda della numerosità familiare, responsabile dunque di un trattamento indifferenziato.
Da non trascurare, inoltre, la componente di attivazione prevista dal RdC, che nel quadro
della sperimentazione ha visto gli operatori delle equipe territoriali protagonisti di una
ostinata rincorsa all’aggancio delle famiglie beneficiarie35
. Il basso numero di PAS avviati e
la difficoltà di promuovere la partecipazione dei beneficiari è stata rubricata come un evento
inatteso evidenziato dall’implementazione della misura, per cui nelle intenzioni
dell’amministrazione comunale andava semmai contenuto il numero di PAS attivabili, in
ragione della scarsità delle risorse economiche messe a disposizione36
. A ciò si è unito lo
scarso dinamismo del mercato del lavoro napoletano che ha inciso particolarmente
sull’orizzonte chiuso dei PAS. Le risorse messe a disposizione dalla regione ad incentivo
dell’autoimpiego, in questo caso, non sono risultate spendibili poiché imponevano uno slancio
imprenditoriale che mal si adattava ad un contesto povero di risorse come quello napoletano.
Considerando la breve stagione della sperimentazione, è possibile ipotizzare che il complesso
strutturato di rapporti tra i diversi livelli territoriali di governo sia stato accompagnato da un
vero e proprio decentramento nella penuria, che ha riguardato complessivamente tutte le
33
Gambardella D., in Quaderni CIES, 2/2013. 34
Ibidem. 35
Gambardella D., 2012. 36
Ibidem.
articolazioni territoriali interessate dall’intervento ed opportunamente identificate nelle
organizzazioni d’Ambito. La complessa architettura normativa del provvedimento, che
interveniva a cascata sui Comuni, affidando alla loro diretta responsabilità l’attuazione
dell’intervento, ha poi tradito l’impostazione universalistica della politica. Un cambiamento di
rotta evidenziato dalla diversificazione delle soglie di accesso tra un ambito e l’altro, e più in
generale tra le stesse Province.
Così è accaduto che i livelli decentrati di governo hanno sostituito l’obiettivo principale
dell’intervento con una funzione suppletiva del governo centrale nel campo della
redistribuzione monetaria37
.
Senza contare inoltre che i ritagli contestuali della politica regionale nella città di Napoli
hanno risentito di tutta una serie di vincoli di natura economico- finanziaria e tecnico -
contestuale alla selezione degli aventi diritto, in questo modo comprovando la vischiosità
degli effetti perversi da cui queste politiche non sono in grado di svincolarsi: inefficacia dei
controlli amministrativi, trappola della povertà, basso take up della misura.
Uno sguardo più recente alle proposte programmatiche di contrasto alla povertà: la
Nuova Carta Acquisti.
Finita la stagione del Reddito Minimo di Inserimento, il corso più recente delle politiche
nazionali di contrasto alla povertà si caratterizza per l’introduzione in via sperimentale della
Nuova Carta Acquisti (NCA) istituita dal decreto legge n. 5/2012 (convertito con
modificazioni dalla legge n. 35/2012) e dal decreto interministeriale del 10 gennaio 2013.
Dopo i controlli di congruenza e di veridicità dei requisiti da parte dell’Inps, la
sperimentazione è stata avviata nei primi mesi del 2014 e si è conclusa nei mesi estivi del
2015.
La sperimentazione ha coinvolto le dodici città italiane con più di 250.000 abitanti ( Milano,
Torino, Venezia, Verona, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Catania e Palermo),
ha individuato nelle famiglie con minori il target principale del trasferimento economico-
monetario alla cui erogazione si è affiancata la definizione di un progetto personalizzato di
assistenza e di inserimento socio-lavorativo. Come noto, l’articolazione dell’intero processo
di implementazione della politica ha richiesto una collaborazione inter-istituzionale tra il
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (in qualità di promotore politico-governativo);
l’Inps (in quanto soggetto attuatore), Poste Italiane (ente Gestore del Servizio), Isfol (Ente
formatore nonché referente incaricato per il monitoraggio della NCA) e il Comune
(responsabile della erogazione degli interventi insieme alle organizzazioni del III Settore
cittadino ed a tutta la rete locale dei servizi socio-lavorativi).
Il programma sperimentale è stato immaginato molto rigoroso nei termini delle verifiche del
possesso dei requisiti, ritenuto elemento cruciale per il successo di uno schema di reddito
minimo in un paese come l’Italia ad elevata economia sommersa. Poiché la NCA non si
rivolgeva ai nuclei familiari in povertà cronica, ma a quelli che a causa della perdita di lavoro
37
Morlicchio E., in Amaturo E., Gambardella D., Morlicchio E., 2007.
o dell’insufficienza di reddito percepito rischiavano di scivolarvi, il decreto ha considerato
quale condizione di accesso all’intervento, la presenza di almeno un componente del nucleo
per il quale, nei 36 mesi precedenti la richiesta del beneficio, fosse avvenuta la cessazione di
un rapporto di lavoro dipendente, ovvero, nel caso di lavoratori autonomi, fosse avvenuta la
cessazione dell’attività, ovvero, nel caso di lavoratori precedentemente impiegati con
tipologie contrattuali flessibili, potesse essere dimostrata l’occupazione nelle medesime forme
per almeno 180 giorni. Inoltre, il valore complessivo per il nucleo familiare di tali redditi da
lavoro, percepiti nei sei mesi antecedenti la richiesta, non doveva superare euro 4.000,00.
Come per la social card ordinaria, la normativa ha stabilito la consegna di una sola carta per
famiglia, ricaricata bimestralmente con un importo monetario variabile in ragione della
numerosità del nucleo familiare, escludendo le persone a carico ai fini Irpef diverse dal
coniuge e dai figli.
Il generale disallineamento tra l’approccio “necessariamente prudente”38
seguito dal Ministero
e le condizioni di contesto rintagliate dalla NCA ha avuto l’effetto di costruire in maniera
distorcente le liste degli inclusi mentre ampie sacche di disagio sono state lasciate evase. “La
paura che il numero di richieste fosse notevolmente superiore alle risorse disponibili ha
indotto molti dei 12 Comuni ad un approccio prudente nella raccolta delle domande, che ha
comportato l’introduzione di criteri ulteriori di selezione o la decisione di limitare la
possibilità di fare domanda ai nuclei familiari già in carico ai Servizi Comunali”39
, così come
è avvenuto per le due città di Bologna e Milano.
Se la sperimentazione della NCA ha risposto alla esplicita finalità di attuare una misura di
integrazione del reddito generalizzabile come <<strumento di contrasto alla povertà
assoluta>> (alla stregua della denominazione che avrebbe dovuto assumere l’intervento a
regime “Sostegno per l’Inclusione Attiva”- SIA) , allo stesso tempo è stato da principio
evidente come la sperimentazione avrebbe dovuto rivolgersi ad un sottoinsieme ridotto della
popolazione in condizioni di bisogno40
. Diversamente dalle altre esperienze passate in
rassegna, è emerso che la crescente complessità relativa all’implementazione di una misura di
contrasto alla povertà come la NCA non sia semplicisticamente riconducibile alla
considerazione del budget di risorse necessarie al suo finanziamento. Interpretando i primi
dati, aggiornati dal Ministero al Settembre 2014, la gran parte delle città ha impegnato tra la
metà ed i due terzi del totale delle risorse messe a disposizione dal Ministero. Rende ragione
di questo paradosso il combinato disposto tra numero relativamente basso di domande
raccolte e numero relativamente alto di nuclei familiari non in possesso dei requisiti richiesti.
Solo in tre casi (Catania, Palermo e Torino) le risorse impiegate superano il 95% del budget
totale disponibile e solo la città di Catania ha esaurito i fondi a disposizione. In due casi,
Venezia e Firenze, le risorse impiegate non superano nemmeno la metà dei finanziamenti
collocandosi appena al di sotto o al di sopra del 30% del budget disponibile. Tutte le città
hanno preceduto l’avvio della sperimentazione con le forme dell’avviso o bando pubblico ad
eccezione delle due città di Bologna e Milano che, come da decreto ministeriale, hanno
38
Quaderni della Ricerca Sociale flash, 2014, n. 29. 39
Guerra M.C., Tangorra R., Alss 3/2015,369. 40
Quaderni della Ricerca Sociale flash, 2014, n. 29
deciso di limitare l’elenco degli aventi diritto nell’ambito dei nuclei familiari già assistiti dai
propri servizi e selezionati sulla base di precedenti avvisi pubblici e regolamenti con finalità
analoghe a quelle della sperimentazione.
La rigida <<costruzione>> delle liste dei socialmente inclusi, non rispecchia solo un
approccio necessariamente prudente, con tutte le contraddizioni già enunciate, ma costituisce
un modo di affrontare la povertà in maniera assolutamente parziale. L’attenzione rivolta nel
definire con particolare rigore i requisiti che caratterizzano le forme di disagio lavorativo
ricalca l’approccio fortemente workfarista della misura, non senza conseguenze negative sul
versante della capacità di <<attivazione>> dei beneficiari, prospettata con l’affiancamento
delle misure di inclusione sociale al sussidio economico, e soprattutto sul versante dei
controlli del lavoro nero.
Così facendo, la stringenza dei requisiti d’accesso alla misura ha reso del tutto ininfluenti i
criteri di preferenza predisposti dalle città sperimentatrici, dimostrando come “ istanze
localmente rilevanti non abbiano giocato alcun ruolo nella definizione del target della Carta
Acquisti”41
, che nella selezione dei beneficiari ha finito col lasciare fuori quelle sacche di
disagio che non accedono al mercato del lavoro né regolare né irregolare, dunque tagliando
fuori i disoccupati o inoccupati di lungo periodo. Anche la predisposizione dei progetti di
attivazione si scontra con una serie di problematicità riferite generalmente alla carenza di
organico lamentata dai Comuni, che si è frapposta alla capacità di progettazione di interventi
innovativi, integrati e personalizzati. Questo ultimo aspetto viene largamente disatteso a
fronte della logica di tipo controfattuale che muoveva il disegno della valutazione. Come
sappiamo, infatti, i progetti di inclusione sociale hanno introdotto nella sperimentazione della
NCA la cosiddetta “variabile trattamento” a partire dalla quale valutare l’efficacia, o la
condizione di addizionalità derivante dall’effetto congiunto di sussidio economico e
inclusione sociale. A tal proposito i Comuni potevano decidere, procedendo con selezione
casuale, di destinare solo la metà dei beneficiari, e comunque non oltre i due terzi, ai progetti
personalizzati di presa in carico, che vista la logica casuale, a torto vengono definiti
individualizzati, essendo venuta a mancare una valutazione professionale del bisogno, pur
lamentata da più parti.
Considerati i limiti della sperimentazione, dunque, non sembrano affatto anacronistiche le
previsioni che vari addetti ai lavori avevano riservato alla NCA prima ancora che alla misura
fosse dato pieno avvio. Largamente disattesa infatti è stata l’estensione della sperimentazione
all’intero contesto nazionale che, secondo la disciplina definita dal decreto interministeriale
del 10 gennaio 2013, e unitamente alla riprogrammazione delle risorse del fondo di rotazione
ex lege 183/1987, già destinate ai programmi operativi 2007/2013, ha confermato lo scenario
di provvisorietà ed ambiguità della previsione di estendere la NCA alle otto regioni del
mezzogiorno.
La forza della consuetudine a replicare la struttura di interventi frammentari e disorganici, si è
resa evidente anche solo volgendo lo sguardo alla riprogrammazione dei fondi dedicati nel
settore del contrasto alla povertà.
41
Busso S., Meo A., Alss 3/2015, 383.
Se fosse soltanto una questione di costi, non si spiegherebbero i motivi per cui, nonostante la
rimodulazione dei fondi a sostegno della sperimentazione, l’inasprimento dei criteri di
accesso e le tecnicalità dell’intervento hanno riecheggiato il categorialismo della vecchia
social card, nonché selezionato secondo stringenti procedure il target dei beneficiari, in questo
modo affiancando questo limite alla mancata estensione della misura su tutto il territorio
nazionale. Senza contare che il combinato disposto tra approccio necessariamente prudente ed
estrema selettività dello strumento ha alimentato il rischio che “la lunga sperimentazione di
una misura categoriale favorisca di fatto la legittimazione di questa categorialità anche a
regime”42
.
Dunque il Sia, quale prosecuzione naturale della nuova NCA, ha rappresentato “l’ennesima
occasione mancata”43
, in un paese come l’Italia dove spesso si intende per sperimentazione
ciò che invece rappresenta un chiaro orizzonte di provvisorietà più o meno categoriale.
Alcune anticipazioni44
sulla sperimentazione della Nuova Carta Acquisti nella città di
Napoli.
Il carattere prevalentemente familiare della povertà nella città di Napoli rappresenta un valido
indicatore a partire dal quale progettare politiche sociali di impatto, in grado di intervenire su
consolidate arretratezze e capaci di selezionare in maniera efficace ed adeguata il target della
politica, arginando le frodi legate alla presenza di attività lavorativa sommersa. In questo
senso, la su richiamata stringenza dei requisiti di selezione degli aventi diritto ha condensato,
sul fronte dei requisiti riconducibili alle caratteristiche occupazionali dei componenti il
nucleo familiare, tutta la sua innovatività, superando la logica dei controlli a campione ex-
post e disponendo una valutazione ex-ante delle informazioni auto-dichiarate negli archivi
amministrativi dell’Inps, dell’Agenzia delle Entrate e dei Comuni stessi. Sulla fragile
architettura della misura, responsabile del basso teke up e della esigua percentuale di risorse
impegnate per il proseguimento della sperimentazione (solo il 60% di quelle stanziate dal
Ministero) abbiamo a disposizione qualche dato aggiornato dal Ministero al Settembre 2014
quando la NCA era stata avviata da pochi mesi. Complessivamente, su un totale di 2881
domande presentate, 1518 sono le domande non idonee per mancata verifica dei requisiti,
1362 le domande idonee dopo la verifica dei requisiti e 1357 i nuclei familiari beneficiari
della carta acquisti.
Più da vicino, l’incongruenza tra gli obiettivi del programma e le sue concrete realizzazioni,
ha causato tutta una serie di criticità, in parte relative ad indicatori di contesto, ed in parte
riconducibili all’impatto della misura sulla platea dei potenziali beneficiari. L’effetto
congiunto tra scarso dinamismo del mercato del lavoro ed enorme peso dell’economia
informale ha influito in maniera distorcente sulle relazioni tra livello di copertura, generosità
dell’intervento ed obblighi previsti da parte dei beneficiari come contropartita del trattamento
economico erogato.
42
Saraceno C., 20/12/2013 www.lavoce.info. 43
Saraceno C., intervista web, www.secondowelfare.it. 44
Essendo nota l’indisponibilità, mostrata a più Enti di Ricerca, nell’accesso alle banche dati comunali, il riferimento va alle sommarie informazioni reperite, da chi scrive, a seguito dei colloqui tenuti con le Assistenti Sociali impegnate nella sperimentazione della NCA. Alcune riproduzioni verbali sono riportate in corsivo.
Poiché l’intento della prova dei mezzi era quello di impattare su una categoria di persone che,
a causa della recente perdita di lavoro, poteva rischiare di scivolare in situazioni di povertà
cronico-degenerativa, la scelta del target è ricaduta su una fetta precisa e definita di
beneficiari molto diversa da quella tipologia di utente che abitualmente si rivolge ai servizi
sociali territoriali.
Così, la sperimentazione della Nuova Carta Acquisti, non ha permesso di fare significativi
passi in avanti anche e soprattutto perché si è scontrata con un target di persone che non ha
mostrato proprio la mentalità di rivolgersi ai servizi sociali ma li guarda con diffidenza o
indifferenza.
Il comune di Napoli, come le altre città sperimentatrici, si è disposto ad avviare una
complessiva attività di monitoraggio e valutazione della misura attraverso la
somministrazione dei complessi questionari di entrata e di uscita dalla sperimentazione
predisposti dal Ministero.
L’art . 9 della legge 35/2012, puntualmente rielaborato dall’ Isfol per la formazione delle
equipe di lavoro investite nella sperimentazione napoletana, precisa che l’obiettivo principale
della Valutazione della misura, auspicabilmente soggetta ad estensione sul territorio
nazionale, consiste nell’accertare l’efficacia dell’integrazione del sussidio economico con i
servizi a sostegno dell’inclusione attiva, nel favorire il superamento della condizione di
bisogno. Individuando nella contro-fattualità del disegno sperimentale la logica
funzionalmente percorribile - in vista della rilevazione dell’effetto differenziale prodotto dal
mix di misure attive e passive, rispettivamente tra gruppo dei trattati nei progetti
personalizzati di presa in carico, e gruppo di controllo, esposto soltanto alla percezione del
contributo economico- il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha disposto la
somministrazione dei complessi questionari di entrata e di uscita dalla sperimentazione,
opportunamente corredati dalla compilazione assistita della Scheda per la progettazione della
Presa in Carico, prevista per la metà e non oltre i 2/3 dei NFB afferenti al gruppo di “trattati”.
Se l’obiettivo della sperimentazione fosse stato semplicemente quello di rintagliare lo spazio
di vita dei beneficiari, attualizzando il proprio status con la raccolta delle informazioni
correnti, la dimensione qualitativa del questionario sarebbe stata indagata mediante il rispetto
degli strumenti di volta in volta validati dall’ Isfol. Ma se si cominciano a sommare alle
difficoltà nel monitoraggio delle informazioni-per la mole dei dati da raccogliere e da
confrontare, per il calendario di appuntamenti da fissare e per gli inconvenienti derivanti dalla
caduta campionaria- anche i problemi dovuti allo sfasamento nei tempi di erogazione del
contributo monetario- rispetto alla imputazione dei dati, alla indisponibilità dei NFB afferenti
al gruppo dei trattati nella stipulazione del progetto di presa in carico, e all’assenza di un
quadro sanzionatorio da comminare nei casi di mancata ottemperanza delle norme previste dal
decreto- allora il quadro risulta più variato, complicato e rarefatto dagli ostacoli frapposti di
volta in volta alla realizzazione del programma.
Sulla valutazione del disegno sperimentale ha inciso negativamente lo sfasamento tra i tempi
previsti dal decreto (per la somministrazione dei questionari, per la predisposizione dei
progetti e per l’accreditamento bimestrale), e i tempi effettivi in cui si è adempiuto alle
scadenze. Gap, in larga parte dovuto al mancato coordinamento inter-istituzionale tra la
molteplicità di attori impegnati nel programma o ad una serie di errori tecnici per cui è
capitato che l’accredito della prima tranche sia partito in anticipo rispetto alla
somministrazione dei questionari in entrata. Anche il numero dei questionari in uscita risulta
abbastanza esiguo, senonché dovuto al gap tra timing conclusivo della sperimentazione e
validazione dei questionari da parte dell’Isfol, inviati solo nell’aprile 2015, mentre l’ultima
tranche del trasferimento è stata percepita nel precedente mese di marzo. In quest’ultimo caso,
la caduta campionaria ha rappresentato l’effetto diretto dovuto all’assenza di precisi strumenti
sanzionatori da comminare ai nuclei inadempienti.
Una proposta poteva essere quella di vincolare l’ultimo accredito alla somministrazione dei
questionari di uscita al fine di mantenere un coerente aggancio con le famiglie beneficiarie.
Relativamente al ritardo nell’invio dei questionari oggetto di valutazione da parte del
ministero, è risultato ragionevole dubitare che tale disegno sia fattibile in maniera adeguata:
gli onerosi adempimenti in tema di acquisizione delle informazioni possono forzatamente
scadere a riti burocratici o, all’opposto, una diffusa sospensione degli accrediti bimestrali può
ingenerare tensioni sociali, tenuto conto in particolare delle condizioni di grave disagio
economico dei beneficiari45
.
Il Comune di Napoli ha deciso di attivare percorsi personalizzati di inserimento socio-
lavorativo per non oltre la metà dei nuclei familiari beneficiari. Ai fini della predisposizione
dei progetti di presa in carico, l’amministrazione si è avvalsa della rete sociale già attivata
dagli operatori del Progetto PAS (Percorsi di Sostegno ed Accompagnamento Sociale)
avviato pochi mesi prima l’inizio della sperimentazione in collaborazione con gli organismi
del III Settore cittadino.
L’avvicendamento tra la data di stesura del capitolato d’appalto per l’affidamento delle
attività del progetto PAS e l’avvio della sperimentazione è una informazione molto rilevante
ai fini di una prima valutazione della capacità di investimento sociale della NCA, il cui
adattamento al target d’utenza si è rivelato del tutto inadeguato e per giunta poco conforme
alla domanda di aiuto delle famiglie raggiunte. Il nuovo Capitolato dei Programmi di
Sostegno e di Accompagnamento Sociale, approvato qualche mese prima le disposizioni
ministeriali sulla sperimentazione della misura, intercettava un target di utenza composto
prevalentemente da famiglie multiproblematiche, con disagio sociale oltre che lavorativo.
Inevitabilmente, gli interventi realizzati dagli operatori delle équipe territoriali mal si
adattavano alle condizioni di contesto rintagliate dal decreto istitutivo della misura, la quale si
rivolgeva ad una platea di aventi diritto, composta da famiglie con problemi di inserimento
lavorativo più che sociale, perciò dunque non motivate alla partecipazione ai programmi di
inserimento sociale, in quanto non referenti di situazioni di estremo disagio.
Nella maggioranza dei Nuclei Familiari estratti casualmente tra i beneficiari e rientranti nel
gruppo dei trattati, non erano presenti problematiche di tipo sociale, con la conseguenza che
anche il lavoro sociale degli operatori di frontiera si è svuotato di significato. Molti utenti
45
Spano, Trivellato, Zanini, 2013, 36
hanno lamentato l’inutilità della percezione di un sussidio economico come quello della NCA,
ancor più se limitato nel tempo e non accompagnato da prospettive di inserimento lavorativo.
Nodo cruciale della componente attiva della NCA, dunque, è ancora una volta lo scarso
dinamismo del mercato del lavoro locale, che ha presentato un grosso limite per la
sperimentazione, o addirittura, sulla scorta delle precedenti esperienze del RMI e del RdC, un
“fallimento già previsto e dunque prevedibile”. In assenza di una adeguata attivazione
istituzionale, il rischio cui si incorre è uno scivolamento verso lavori de-professionalizzanti e
dequalificanti, perciò non rispettosi della dignità del singolo.
Il debole impatto della misura ha prodotto effetti sullo stesso disegno di valutazione, costretto
ad indagare nelle pieghe del provvedimento alla ricerca di effetti non scontati, di successi
difficili, di produzione di piccoli cambiamenti su altrettanti piccoli numeri fornendo una
lezione di apprendimento a partire dai fatti di una politica46
.
Paradossalmente, da un primo confronto tra i Comuni aderenti alla sperimentazione (dati
ministero 2014), è proprio nelle regioni del Sud, dove più alta è l’incidenza e l’intensità della
povertà, che il programma sperimentale non funziona. Ovviamente, come sopra enunciato, il
basso take up della misura ha rappresentato un effetto inatteso dell’approccio necessariamente
prudente seguito dal ministero, il cui intento doveva essere quello di contenere il numero delle
domande ammesse, e non di certo limitarne in nuce l’ammissibilità con requisiti selettivi e
oltremodo rigidi. Pur considerando l’elevato grado di complessità sociale, la città di Napoli
viene ricompresa tra quelle che hanno impegnato poco più della metà degli stanziamenti
disposti dal ministero.
Sul versante dell’investimento sociale della misura, è molto probabile che anche il sommerso
abbia impedito ai nuclei beneficiari trattati la partecipazione al progetto di presa in carico,
senza contare che il problema del lavoro nero può aver inficiato nella sua complessità tutta la
sperimentazione napoletana, allargandone l’incidenza anche al gruppo delle famiglie non-
trattate e ricomprese nel confronto previsto dal disegno della valutazione controfattuale.
Nonostante l’importanza che le risorse finanziarie hanno nel determinare l’entrata e l’uscita
dei beneficiari dai percorsi di assistenza, in tutte le sperimentazioni passate in rassegna si è
avuto modo di dimostrare che l’esito, in termini di durata e di successo delle singole misure, è
dipeso particolarmente dalle strategie di applicazione dell’intervento a livello locale, con
riguardo alle modalità con cui le differenti forme di sostegno economico sono state integrate e
combinate con altri settori collaterali di policies.
Poiché l’impatto delle politiche sociali non è potuto prescindere dal ruolo cruciale che le
caratteristiche del contesto giocano sui meccanismi definitori delle condizioni di accesso
all’intervento, sul suo configurarsi pragmaticamente, sulle opportunità occupazionali fornite
dal mercato del lavoro a Napoli, e sul prevalere di una tipologia di programma di inserimento
su un’altra, in tutti i casi, il profilo stesso dei beneficiari ha risentito notevolmente delle
46
Lumino R., 2013.
caratteristiche del mercato del lavoro, delle ridotte chances occupazionali e del peso
dell’economia informale.
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