Percorsi dell’adozione - il rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

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Università degli Studi di Parma Facoltà di Lettere e Filosofia Corso di Laurea in Psicologia PERCORSI DELL’ADOZIONE IL RAPPORTO CON IL BAMBINO REALE NEL RACCONTO DEI GENITORI Relatore: Prof.ssa Maria Pia Arrigoni Correlatori: Prof. Gian Luca Barbieri Prof.ssa Laura Fruggeri Laureando:

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DisclaimerLa parola adozione richiama a sé una vastità di questioni e un’articolazione di problematiche davvero impensabili ad un profano o a chi si accosta a tale campo di indagine senza una approfondita conoscenza dello stesso. Le variabili in gioco sono tantissime. Queste, intrecciandosi tra loro, danno vita ad un affascinante e ambiguo gioco di specchi che rende il panorama alquanto complesso di fronte ad ogni possibilità di interpretazione. «Sembra che si arrivi sempre un giorno dopo» per usare le parole di Jolanda Galli nel convegno tenuto a Reggio Emilia nel maggio 2002.È un’istanza ricca di risorse ma anche di rischi, che richiede un’attenzione costante e continua nel tempo: un percorso senza fine che va seguito con la stessa cura prima, durante e dopo, senza lasciare alcuna fase al caso. Non bisogna dimenticare che si tratta di un incontro tra persone che non si conoscono, che hanno idee, età, a volte culture e lingue diverse, e ciò può generare difficoltà di vario tipo. Un ambito che, oggi più che mai, è all’ordine del giorno. I tanti cambiamenti legislativi riflettono un incremento esponenziale delle richieste. La nuova legge (N°149 del 2001) ha approntato dei cambiamenti tali da paralizzare nel vero senso della parola le adozioni. Emerge l’esigenza di una cultura nuova che sappia riflettersi sulle modalità e sull’organizzazione dell’iter seguito dai servizi. Gli aspiranti genitori si trovano sempre più frequentemente di fronte alla sterilità. Per questo problema, che colpisce in linea generale tutti i paesi industrializzati occidentali, si possono fornire mille interpretazioni: l’innalzamento dell’età media di matrimonio e il procrastinare l’inizio della genitorialità anche per motivi economici sono solo alcune tra le tante ipotesi. I servizi sociali devono così affrontare una miriade di domande, eseguite da coppie a volte poco o male informate su che cosa significhi veramente adottare un bambino, quali siano tutti gli elementi implicati in questo percorso e le mille difficoltà che gravano come peso aggiuntivo sul compito già complesso di genitore. «Molte delle coppie che chiedono di adottare un bambino non hanno informazioni sull’adozione, sui bambini, sulle procedure e le difficoltà, nonostante sui mass media compaiano quasi quotidianamente notizie sui differenti aspetti dell’adozione» (Galli, 2001).Di fronte ad un tale incremento delle domande non fa da contraltare una disponibilità sufficiente di minori e quindi i tempi per ottenere un bambino si fanno molto lunghi, molte domande restano insoddisfatte, molte coppie si rivolgono a canali alternativi, a volte illegali, per raggiungere il loro scopo. Annamaria Dell’Antonio (2001) è consapevole delle tante problematiche che accompagnano questo campo d’indagine: «è idea diffusa che ottenere un’adozione sia difficile».I percorsi che occorre seguire per ottenere la tanto agognata “idoneità” sono poi molto lunghi, fatti di incontri con vari operatori e figure giudicanti, di domande e osservazioni per fornire una valutazione sulla propria capacità di essere genitore. Si tratta di un giudizio che si estende all’intera persona, a come si è. Non c’è da stupirsi se i servizi e i tribunali finiscano per assumere, nelle menti delle coppie, caratteristiche persecutorie e invasive. Di qui altre svariate difficoltà: da parte dei servizi nello svolgere il loro lavoro; da parte dei genitori nel vivere il percorso adottivo non tanto come una formazione, o comunque un periodo necessario prima di ottenere il bambino, ma come un momento di interminabile supplizio all’insegna della paranoia e dell’ansia. Morral Colajanni (1997) sostiene infatti che «i percorsi istituzionali non aiutano ad integrare ma […] propongono, causano e rinforzano aspetti persecutori e scissioni. [Le coppie che decidono di adottare sono poste] di fronte ad un giudizio esterno [che] solleva nel loro interno una sorta di crisi sulla capacità di essere genitori o meno».Un genitore naturale accetta

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Università degli Studi di Parma

Facoltà di Lettere e Filosofia

Corso di Laurea in Psicologia

PERCORSI DELL’ADOZIONEIL RAPPORTO CON IL BAMBINO REALE

NEL RACCONTO DEI GENITORI

Relatore:

Prof.ssa Maria Pia Arrigoni

Correlatori:

Prof. Gian Luca Barbieri

Prof.ssa Laura Fruggeri

Laureando:

Massimiliano Anzivino

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Anno accademico 2001-2002

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

«Le mamme adot t ive sono come

le ruote d i scorta de l la macchina:

devono essere de l la ste ssa misura

di que l le che partono

e si usano quando que l le a l t re

s i rompono»

(una bambina adot ta ta ) 1

1 In Galli, J. (2002).

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INDICE

Ringraziamenti 9

Presentazione 11

Il Progetto di ricerca 15

PARTE I : Aspetti teorici ed introduttivi 19

1.La teoria dell’attaccamento 21

Traumi infantili e attaccamento 25

“Base sicura” 28

“Holding” 29

“Contenimento” 31

2.Studi sull’adozione 33

Natura-cultura 34

Fattori di r ischio e fattori di protezione 37

“Patterns of adoption” 41

Disturbi legati all’adozione 48

Adolescenza 52

Meccanismi difensivi 54

3.Bambino immaginato, fantasticato e reale 57

Vuoto e spazio mentale 62

4.Aspetti specifici dell’adozione 65

Sterilità 66

Sessualità 71

Elaborazione del lutto 73

Rivelazione 76

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5.Gruppi 81

Gruppo bioniano 82

Gruppo Balint 84

6.”Narrazione e psicoanalisi” 85

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PARTE II : La ricerca sui Servizi Sociali di Carpi 87

1.Una fotografia dei Servizi Sociali di Carpi 89

Obiettivi della ricerca 90

Strumenti e procedimento 92

Le cartelle 93

L’iter dell’adozione 95

Risultati 97

Divisione degli argomenti 99

Come operano i Servizi 100

2.Legislazione 105

PARTE III : La ricerca sul gruppo del dopo adozione 109

1.Il gruppo del dopo adozione 111

2.Ricerca 115

3.“Questionari” 117

Strumento utilizzato 118

Ricerca sui genitori PMA 121

Consegna 128

Risultati 129

4.“Descrizioni” 149

Strumento utilizzato 150

Consegna 151

Griglia per analisi dei dati 152

Contributi narratologici 154

Risultati 173

5.Osservazioni conclusive 183

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Riferimenti bibliografici 189

Riferimenti legislativi 197

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Appendice I

A.Ricerca sui Servizi Sociali di Carpi III

B.“Questionari” XVII

C.“Descrizioni” XXI

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RINGRAZIAMENTI

Ogni lavoro è sempre il frutto dell’opera di più persone, anche di chi

non ha partecipato attivamente alla stesura o alla progettazione dello

stesso. Come al soli to i ringraziamenti sono rivolti a tantissimi, dai

professori, agli esperti del settore, ai familiari e amici.

Un ringraziamento particolare va alla Professoressa Maria Pia Arrigoni

che ci ha seguito in questi due anni con grande attenzione e affetto,

dispensandoci consigli utili e sagge indicazioni. A lei i l r ingraziamento

più grande.

Vengono poi tutti coloro i quali hanno collaborato direttamente al

progetto, la Dottoressa Valeria Confetti e la Dottoressa Daria Vettori che

hanno proposto tale r icerca e che si sono sempre dimostrate disponibili

lungo tutto il percorso che ci ha condotto alla stesura finale del lavoro;

tutto lo staff dei Servizi Sociali di Carpi, in particolare la Dottoressa

Liana Balluga che ha curato la parte burocratica e amministrativa e

l’assistente sociale Lina Anticati con la quale abbiamo lavorato a stretto

contatto per diversi mesi. Non dimentico la Dottoressa Piergiuseppina

Fagandini che ha dimostrato grande professionalità e disponibili tà di

fronte alle mie mille domande.

Un sentito grazie va anche al Professor Gian Luca Barbieri , sempre

disponibile e attento dispensatore di utili consigli , e alla Professoressa

Laura Fruggeri in veste di correlatrice.

Un altro grande ringraziamento va alle due colleghe e compagne che mi

hanno accompagnato in questa avventura e con cui ho condiviso momenti

di sconforto e di euforia e che sono state la spinta più grande per

terminare il lavoro.

Non mi dimentico dei genitori che hanno partecipato con grande

disponibilità ed entusiasmo alla r icerca e che sono i veri protagonisti di

tutto questo lavoro.

Grazie anche alla mia famiglia e a tutte le persone che ruotano intorno

ad essa ed alla mia vita più intima e personale: in tanti modi diversi mi

sono stati tutti di grande aiuto.

Grazie a tutti .

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

PRESENTAZIONE

«Per la maggior parte de l le persone

i l dono più grande consi ste

ne l l ’e ssere t rovate e u t i l i zzate »

(Winnicot t , 1968) 1

La parola adozione richiama a sé una vastità di questioni e

un’articolazione di problematiche davvero impensabili ad un profano o a

chi si accosta a tale campo di indagine senza una approfondita

conoscenza dello stesso. Le variabili in gioco sono tantissime. Queste,

intrecciandosi tra loro, danno vita ad un affascinante e ambiguo gioco di

specchi che rende i l panorama alquanto complesso di fronte ad ogni

possibilità di interpretazione. «Sembra che si arrivi sempre un giorno

dopo» per usare le parole di Jolanda Galli nel convegno tenuto a Reggio

Emilia nel maggio 2002.

È un’istanza ricca di r isorse ma anche di r ischi, che richiede

un’attenzione costante e continua nel tempo: un percorso senza fine che

va seguito con la stessa cura prima, durante e dopo, senza lasciare alcuna

fase al caso. Non bisogna dimenticare che si tratta di un incontro tra

persone che non si conoscono, che hanno idee, età, a volte culture e

lingue diverse, e ciò può generare difficoltà di vario tipo.

Un ambito che, oggi più che mai, è all’ordine del giorno. I tanti

cambiamenti legislativi riflettono un incremento esponenziale delle

r ichieste. La nuova legge (N°149 del 2001) ha approntato dei

cambiamenti tali da paralizzare nel vero senso della parola le adozioni.

Emerge l’esigenza di una cultura nuova che sappia riflettersi sulle

modalità e sull’organizzazione dell’iter seguito dai servizi.

Gli aspiranti genitori si trovano sempre più frequentemente di fronte

alla sterili tà. Per questo problema, che colpisce in linea generale tutti i

paesi industrializzati occidentali , si possono fornire mille

interpretazioni: l’ innalzamento dell’età media di matrimonio e il

1 Confronti e contrasti nella comunicazione bambino-madre e madre-bambino.In Winnicott, D. H. (1987).

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procrastinare l’ inizio della genitorialità anche per motivi economici sono

solo alcune tra le tante ipotesi .

I servizi sociali devono così affrontare una miriade di domande, eseguite

da coppie a volte poco o male informate su che cosa significhi veramente

adottare un bambino, quali siano tutti gli elementi implicati in questo

percorso e le mille difficoltà che gravano come peso aggiuntivo sul

compito già complesso di genitore. «Molte delle coppie che chiedono di

adottare un bambino non hanno informazioni sull’adozione, sui bambini,

sulle procedure e le difficoltà, nonostante sui mass media compaiano

quasi quotidianamente notizie sui differenti aspetti dell’adozione »

(Galli , 2001).

Di fronte ad un tale incremento delle domande non fa da contraltare una

disponibilità sufficiente di minori e quindi i tempi per ottenere un

bambino si fanno molto lunghi, molte domande restano insoddisfatte,

molte coppie si r ivolgono a canali alternativi , a volte il legali, per

raggiungere il loro scopo.

Annamaria Dell’Antonio (2001) è consapevole delle tante

problematiche che accompagnano questo campo d’indagine: «è idea

diffusa che ottenere un’adozione sia difficile» .

I percorsi che occorre seguire per ottenere la tanto agognata “idoneità”

sono poi molto lunghi, fatti di incontri con vari operatori e f igure

giudicanti, di domande e osservazioni per fornire una valutazione sulla

propria capacità di essere genitore. Si tratta di un giudizio che si estende

all’ intera persona, a come si è. Non c’è da stupirsi se i servizi e i

tr ibunali f iniscano per assumere, nelle menti delle coppie, caratteristiche

persecutorie e invasive. Di qui altre svariate difficoltà: da parte dei

servizi nello svolgere il loro lavoro; da parte dei genitori nel vivere il

percorso adottivo non tanto come una formazione, o comunque un

periodo necessario prima di ottenere il bambino, ma come un momento di

interminabile supplizio all’insegna della paranoia e dell’ansia. Morral

Colajanni (1997) sostiene infatti che « i percorsi ist ituzionali non

aiutano ad integrare ma […] propongono, causano e rinforzano aspetti

persecutori e scissioni. [Le coppie che decidono di adottare sono poste]

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

di fronte ad un giudizio esterno [che] solleva nel loro interno una sorta

di crisi sulla capacità di essere genitori o meno» .

Un genitore naturale accetta come una conseguenza inevitabile e

normale i suoi errori nell’accudire il proprio figlio. Lo stesso non accade

per i genitori adottivi che devono prendere in carico un fallimento non

loro e tollerarne però tutte le conseguenze negative di cui non sono

responsabili . Naturalmente, oltre alle problematiche derivanti da

mancanze subite prima dell’adozione dal bambino, esistono anche

difficoltà legate all’adozione in sé.

L’adozione poggia le sue basi su una doppia mancanza: la mancanza di

un figlio per i genitori, la mancanza dei genitori per il bambino.

L’obiett ivo è chiaramente quello di colmare vicendevolmente tale doppia

mancanza favorendo una doppia nascita, quella della coppia che diventa

genitore e quella del bambino che diventa figlio e persona. «Adottare è

uno scegliersi e un camminare insieme» (Dell’Antonio, 2001). E ancora:

«Adottato e adottante sono individui che si sono scelt i e si scelgono per

istaurare vincoli che non esistono per linea biologica » (Morral

Colajanni, 1992).

Perché ciò si realizzi alla coppia è demandato il compito di trovare

dentro di sé delle risorse aggiuntive che consentano di elaborare la

mancanza biologica e la mancanza dell’esperienza di “pieno”.

L’esperienza di vuoto, f isico e mentale, costituisce, soprattutto per la

generatività materna, un limite doloroso; con l’adozione una donna può

trovare una modalità diversa e nuova di donarsi, trasmettendo al bimbo

adottato affetto, attenzioni, parole.

Per tutti questi fattori è indispensabile che la complessità dei percorsi

adottivi venga accompagnata e sostenuta dal lavoro di operatori

qualif icati , responsabili e coordinati nelle diverse aree di

professionalità. L’adozione ha bisogno di essere pensata, di r itrovare

propri spazi e tempi prima di gettarsi nella dinamica del fare. L’adozione

ha la necessità di essere “scoperta” per quello che è, nelle sue

caratterist iche, rischi e r isorse, al di là di opinioni precodificate e di

fuorvianti pregiudizi.

Questo sarà l’intento di tale lavoro diviso in tre parti .

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Nella prima vengono esposti alcuni aspetti teorici con particolare

riferimento alla teoria dell’attaccamento di Bowlby e ai contributi di

Winnicott e Bion; dopo di che si espongono gli studi che hanno indagato

l’ambito dell’adozione cercando di mettere in r isalto non solo gli aspetti

negativi, ma anche le molte risorse presenti; poi l’ indagine si sposta

sulla tematica del passaggio dal bambino immaginato/fantasticato al

bambino reale, esponendo anche alcuni spunti rispetto al concetto di

vuoto e di spazio mentale; vengono trattati successivamente alcuni

argomenti che abbiamo definito specifici dell’adozione, poiché in

letteratura costituiscono dei cardini del discorso, attraversando

trasversalmente molti dei contributi da noi analizzati; infine la parte

teorica ed intruduttiva si chiude con una descrizione dei gruppi, con

esplicito riferimento all’opera di Bion e Balint su tale strumento di

lavoro, e con la presentazione della prospettiva esposta nel l ibro

Narrazione e psicoanalis i di Arrigoni e Barbieri (1998).

La seconda parte costituisce la presentazione di una ricerca comune

eseguita in collaborazione con le colleghe Lisa Agosti e Silvia Govi.

Tale ricerca ha l’obiettivo di fornire una descrizione il più possibile

esaustiva del lavoro svolto dai Servizi Sociali di Carpi nel campo

dell’adozione.

La terza ed ultima parte costituisce una ricerca eseguita singolarmente

i cui protagonisti sono i genitori adottivi che hanno ottenuto il bambino

e partecipano ad un gruppo di incontro mensile e facoltativo. Sono stati

indagati i vissuti dei genitori in relazione al rapporto instaurato con il

f iglio adottivo uti lizzando due differenti strumenti: un “Questionario”

già impiegato per analizzare gli stessi vissuti nei genitori sottoposti a

procreazione medicalmente assistita, e una “Descrizione” , ovvero la

compilazione di una specie di diario in cui raccontare una giornata

trascorsa con il proprio bambino.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

IL PROGETTO DI RICERCA

La proposta di effettuare una ricerca sull’adozione è stata avanzata nel

maggio 2001 da due psicologhe impegnate da diversi anni nel settore: la

Dottoressa Valeria Confetti e la Dottoressa Daria Vettori. Queste si sono

messe in contatto con l’Università di Parma, in particolare con la

Dottoressa Maria Pia Arrigoni, per fissare alcuni incontri in cui

discutere la loro idea e prospettarne la futura realizzazione sul campo.

A questi incontri hanno partecipato anche i tre studenti interessati ai

possibili sviluppi di tale area di ricerca in vista della stesura della tesi di

laurea. Gli incontri si sono tenuti alternativamente presso le aule

dell’Università di Psicologia di Parma e presso lo studio della Dottoressa

Confetti di Reggio Emilia. Ad essi hanno partecipato, in diversi

momenti, oltre alle già citate Dottoresse e ai tre studenti dell’Università

di Psicologia (Massimiliano Anzivino, Lisa Agosti e Silvia Govi), anche

alcuni esperti del settore o addetti ai lavori: i l Dottor Andrea Landini

(neuropsichiatra infantile e psicoterapeuta), la Dottoressa Eugenia

Iacinti (operatrice dei Servizi Sociali che si occupano di adozione a

Parma), la Dottoressa Piergiuseppina Fagandini (neuropsichiatria

infantile esperta in neonatologia).

Si è trattato di discussioni aperte in cui ogni partecipante ha potuto

portare un proprio personale contributo alla tematica trattata. Al termine

di ogni discussione, di circa due ore, si t iravano le f ila del discorso

cercando di calarsi anche nella dimensione operativa della r icerca. Ci si

aggiornava poi all’incontro successivo con il compito di approfondire,

attraverso ulteriori r iflessioni personali o approfondimenti bibliografici ,

gli argomenti trattati ed emersi.

L’idea di base era quella di approfondire l’argomento dell’adozione,

tematica che a giudizio delle due psicologhe non aveva goduto,

soprattutto negli ultimi anni di incredibile boom delle r ichieste, di

un’adeguata rif lessione. La sensazione che si avverte nel settore è che

occorra rif lettere su ciò che sta accadendo oggi nel campo dell’adozione.

Essa nasconde mille insidie e problemi sempre nuovi. Quanto si avverte

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

a livello di sensazione necessita però di una sistematizzazione e qui si

inserisce il nostro lavoro.

Le due psicologhe hanno esposto la necessità di affiancare al loro

operato, difficile e sempre in via di sviluppo, uno spazio di riflessione

che possa aprire nuove porte e creare nuovi spunti di analisi , sia sul

piano teorico che su quello pratico-organizzativo. Nei servizi manca un

gruppo di rif lessione seria capace di confrontarsi su quello che viene

fatto per l’adozione. Non si r iesce a lasciare spazio al pensiero, a

prendere una giusta pausa per acquisire e metabolizzare gli elementi

complessi dell’adozione: la negazione prende tutti , genitori e operatori.

La direzione in cui incanalare tale approfondimento non era del tutto

chiara e gli incontri , tenutisi da maggio a novembre 2001 con cadenza

mensile, sono stati orientati ad una creazione successiva e per piccoli

passi di un piano di azione, alla r icerca anche dell’impostazione di tre

diversi argomenti per tre diverse tesi di laurea.

Si è puntato sullo sviluppo di una indagine sul campo, con un piano

sperimentale di t ipo non quantitativo. La ricerca quindi ha assunto nel

tempo i contorni di un’indagine esplorativa di carattere qualitativo.

I l punto di partenza è stato rintracciato in una analisi di archivio

presso i Servizi Sociali di Carpi (analisi comune ai tre studenti implicati

nel progetto), per ottenere un quadro un po’ più chiaro e numericamente

definito della dimensione dell’adozione a Carpi negli ult imi vent’anni

(vedremo successivamente tale indagine nel dettaglio).

Nei vari incontri l’ idea di fondo emersa, da cui si è parti t i e che ha

costituito il f i lo conduttore di tutto il percorso di r iflessione e ricerca, è

stata quella di fornire ai genitori adottivi implicati nell’analisi una sorta

di restituzione : lavorare sui genitori dando l’ idea di una restituzione che

sia di aiuto alla coppia parentale come agli operatori. Ricercare quali

sono state le principali difficoltà incontrate e come si sarebbe potuto

operare per alleviarle. Si è puntato molto sulla volontà di non

trasmettere un senso di inquisizione, bensì di aiuto. Questo concetto è

stato più volte sottolineato assumendo le sembianze di vero e proprio

obiettivo della ricerca.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Altro concetto cardine emerso negli incontri è l’ intenzione di non

insistere con questionari pesanti e anagrafici o con richieste troppo

gravose a genitori che hanno già dovuto affrontare tutta una serie di

“esami”, i l più delle volte vissuti con forti componenti persecutorie.

Abbiamo quindi evitato di raccogliere tutte quelle notizie anagrafiche

che ci sarebbero state indispensabile per definire un campione.

Inoltre un altro aspetto non trascurabile, comunque collegato ai fattori

precedenti, è stato la diff icoltà di reperibilità sul territorio di genitori

adottivi disponibili a sottoporsi ad una ricerca, quantunque lo scopo di

base fosse quello di aiutare chi si troverà ad affrontare, dopo di loro, i l

faticoso percorso dell’adozione.

Nella tesi da me eseguita la scelta è caduta sul gruppo condotto dalla

Dottoressa Confetti: come vedremo in seguito si tratta di un gruppo con

caratterist iche tali da venire incontro agli assunti che abbiamo esposto

sopra: restituzione, r ichieste non inquisitorie, disponibili tà.

Per lo studio di tale gruppo sono stati utilizzati due tipi di strumenti: un

questionario util izzato nell’ambito della procreazione medicalmente

assistita (PMA) e che ben si adatta allo studio nel campo dell’adozione

(vedremo poi le caratteristiche dello strumento nel dettaglio); la

“Descrizione di una giornata con tuo figlio” , strumento simile a quello

util izzato dai Servizi Sociali di Carpi e modificato rispetto a quello di

ispirazione (vedremo poi i motivi).

Per quanto riguarda i dati anagrafici le richieste sono state delimitate

dalla volontà di mantenere l’anonimato e di rendere la consegna in tal

modo più leggera e meno simile a quelle effettuate con i servizi. Si è

giunti così al compromesso di r ichiedere solo tre indicatori oltre al nome

e cognome (comunque coperti da diritto di privacy): età, occupazione,

numero di f igli .

L’indagine ci ha dato la possibilità di tracciare una fotografia di tale

gruppo e di estrapolarne alcune caratteristiche che possono fungere da

spunto per studi successivi.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

PARTE PRIMA :

ASPETTI TEORICI ED INTRODUTTIVI

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

1.

LA TEORIA DELL’ATTACCAMENTO

Gli studi sull’attaccamento costituiscono un punto cardine di tutta la

psicologia e si connettono strettamente, e per ovvi motivi, alla tematica

dell’adozione. I l capostipite di questi studi in ambito psicologico è John

Bowlby, padre della teoria dell’attaccamento .

Essa ha come oggetto di interesse la propensione dell’uomo a str ingere

relazioni emotive intime con individui che si prendono cura di lui.

L’attaccamento è visto quindi come una componente basilare della natura

umana che estende i suoi effetti lungo il corso di tutta l’esistenza, alla

r icerca di protezione e sostegno. Tale ricerca viene considerata come una

caratterist ica fondamentale della salute mentale e di un efficace

funzionamento della personalità.

Bowlby ha sviluppato il suo apparato teorico come una variante della

teoria delle relazioni oggettuali . Essa ha incorporato concetti provenienti

dalla teoria dell’evoluzione, dall’etologia, dalla teoria del controllo e

dalla psicologia cognitiva. Bowlby insiste molto sul comportamento

osservabile piuttosto che concentrarsi sul mondo interno, e in questo è

molto evidente l’influenza della collaborazione con Hinde e degli scritt i

di Tinbergen, due massimi esponenti dell’etologia. Secondo Holmes

(1993) Bowlby ha basato la «[…] sua nuova teoria dell’attaccamento in

parte sulla scoperta dell’etologia e in parte sulla sua crit ica della

psicoanalisi» , f inendo per costruire un vero e proprio nuovo paradigma.

«La teoria dell’attaccamento […] diviene isolata dalla terraferma della

psicoanalisi, sviluppando in tal modo proprie idee e un proprio

linguaggio» . Oggi tali aree stanno comunque dando luogo ad un

avvicinamento e ad una certa sovrapposizione.

Partito dagli studi condotti da Lorentz sull’imprinting, Bowlby ha

sottolineato l’ importanza dell’attaccamento nello sviluppo del bambino

ad una figura di r iferimento e la necessità che tale attaccamento si

realizzi all’ interno di un periodo finestra nella fase iniziale della vita

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

umana. Lorentz (1935) 1 parla di schemi fissi d’azione che si esplicano

fin dai primi momenti di vita (notissima l’osservazione delle anatre

appena nate). Nelle teorizzazioni di tale autore si parla di periodo

critico , o meglio di periodo sensibile : «alcune esperienze hanno effetti

sul comportamento con maggior pregnanza durante un certo periodo

piuttosto che prima o dopo» (Attil i , 1995). Possiamo utilizzare questa

chiave di lettura rispetto alla carenza di cure materne nell’essere umano.

Se tali cure non vengono fornite adeguatamente nel primo anno di vita i l

bambino non riesce a sviluppare un legame di attaccamento, oppure ne

costruisce uno molto precario. Gli effetti di tale distorsione si

r ipercuotono sullo sviluppo affettivo e comportamentale successivo. I

danni sono più l imitati nel caso in cui le cure materne siano deficitarie

in un periodo successivo a quello critico. Le carenze precoci, e quindi i

conseguenti effett i negativi, possono però venire attenuati, o addirittura

superati , grazie a fattori contestuali favorevoli. Ad esempio figure

allevanti , che si pongono in alternativa a quelle che non sono state in

grado di fornire cure adeguate al bambino, possono configurarsi come

importanti fattori di protezione. Questo è un dato che va nettamente a

favore dell’adozione, nella convinzione che questa possa spezzare la

continuità di condizioni svantaggiose per lo sviluppo infantile.

Se però le cure materne non sono adeguate e non si dispone di una figura

sostitutiva che compensi tale mancanza, i l bambino e i l futuro adulto

sviluppano il cosiddetto carattere anaffettivo (Bowlby, 1951) 2 , ovvero

l’ incapacità di stabilire rapporti significativi con le altre persone.

Sempre Bowlby sostiene che l’attaccamento può realizzarsi all’ interno

di un periodo abbastanza lungo (circa due anni-due anni e mezzo), ma

mai oltre tale l imite: qualsiasi esperienza positiva oltre tale periodo

crit ico non sortirebbe alcun effetto. Alcuni autori (Tizard, 1977; Hodges

e Tizard, 1989) 3 sono totalmente in disaccordo con la tesi di Bowlby,

1 Lorentz, K. (1935). Der Kupman in der Umwelt des Vogels. Journal fur Ornithologie, 83, 137-213, 289-423. Citato da Schaffer, H.R. (1996). 2 Bowlby, J. (1951). Maternal care and mental health. Ginevra: Organizzazione Mondiale della Sanità. Citato da Schaffer, H.R. (1996).3 Tizard, B. (1977). Adoption: a second chance. London: Open Books;Hodges, J., Tizard, B. (1989). IQ and behavioral adjustment of ex-istitutional adolescents. Journal of Child Psychology and Psychiatry, 30, 53-76.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

affermando che non vi è relazione causale tra la mancanza di esperienza

di attaccamento nei primi due anni e mezzo di vita e il successivo

sviluppo del carattere anaffett ivo. Anzi, bambini adottati anche ad età

molto più avanzate (7, 8 o anche 16 anni) tendono a presentare buoni

rapporti con i genitori adottivi, carichi di affetto e indirizzati verso la

formazione di un solido legame di attaccamento. Non esiste quindi

conferma dell’ipotesi dell’esistenza del periodo critico entro il quale

debba avvenire l’attaccamento. «Non è mai troppo tardi» (Schaffer,

1996): nell’ambito dell’adozione questo è molto più che una

rassicurazione.

Tornando a Bowlby. Egli può essere definito un etologo-psicoanalista

vista la sua formazione e il taglio particolare dato ai suoi studi e alla sua

notissima teoria. Egli si stacca, lo abbiamo già accennato, dall’ottica

psicoanalitica (soprattutto da quella di ispirazione freudiana): è r iuscito

a dare la giusta importanza alle esperienze reali del bambino senza

considerare solo le sue esperienze interne. Secondo la sua teoria (1969,

1973, 1980) i legami di attaccamento che vengono a svilupparsi in età

infantile continuano ad essere presenti e ad emanare la loro grande

influenza sul comportamento anche in età adulta: «e davvero la tendenza

a trattare gli altri nello stesso modo in cui siamo stati trattati noi stessi

è profondamente radicata nella natura umana; e in nessun momento ciò

è più evidente che nei primi anni. Tutti i genitori per favore ne prendano

nota!» (Bowlby, 1988).

Si tratta di un vero e proprio schema che, una volta sviluppato, tende a

persistere nel tempo, andando comunque incontro a variazioni a seconda

della relazione che si viene a costituire con i genitori: lo schema di

attaccamento è dunque una proprietà della relazione.

Il legame che si instaura tra bambino e madre viene considerato come la

r isultante di un sistema pre-programmato di schemi comportamentali che

conosce i l suo sviluppo nei primi mesi di vita e ha lo scopo di consentire

al bambino di mantenere una stretta prossimità con la f igura materna

stessa. Tale comportamento ha, come postulato della teoria, la funzione

biologica di assicurare protezione. «[…] lo stare in stretta prossimità

Citati da Schaffer, H.R. (1996).

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

con o l’avere facile accesso a qualcuno che è probabile ti protegga è la

migliore di tutte le polizze di assicurazione possibili» (Bowlby, 1988).

Non a caso Holmes (1993) definisce la teoria dell’attaccamento, nella

sua essenza, come una teoria spaziale: «quando sono vicino a chi amo

mi sento bene, quando sono lontano sono ansioso, triste e solo» .

La situazione di attaccamento la ritroviamo non solo nei bambini, ma

in tutte le persone di qualunque età che si vengono a trovare in

situazioni di stress e di angoscia. «[…] in nessuna età della vita una

persona è invulnerabile di fronte alle possibili avversità e […] in

nessuna età della vita una persona è impermeabile a un’influenza

favorevole» (Bowlby, 1988).

Il t ipo di attaccamento che si viene a creare in un individuo dipende

strettamente dall’esperienza che questo ha avuto nella sua famiglia.

Anche il comportamento genitoriale segue linee pre-programmate a

seconda delle condizioni che si vengono a verificare. Le modalità

peculiari con cui si manifesta dipendono comunque dalle esperienze

vissute. L’attaccamento dipende dall’esperienza avuta dello stesso e dal

successivo formarsi di modelli operativi interni, di sé stessi e della

f igura di r iferimento, che indirizzano il comportamento.

«Il concetto di modello operativo interno è stato usato da Bowlby (1969)

per descrivere la rappresentazione mentale delle relazioni che

consentono al bambino di fare predizioni sul comportamento probabile

dei suoi genitori (o delle figure di attaccamento) così che possa sentirsi

sicuro sapendo che i l genitore sarà disponibile quando ne avrà bisogno »

(Byng-Hall, 1995).

Mary Ainworth effettuerà importanti studi che consentiranno di

collegare determinati sviluppi emotivi e comportamentali nel bambino

con determinate esperienze di cure materne. Secondo l’Autrice i bambini

che hanno avuto esperienze negative di cure materne, e quindi di

attaccamento, sentono di avere paura di attaccarsi a qualcuno. Essi

temono di subire un altro e a volte ennesimo rifiuto carico di rabbia e di

angoscia conseguenti. In questa sede, per motivi di spazio, non

tratteremo i diversi pattern di attaccamento derivanti dagli studi di

Bowlby e Ainsworth.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Le idee di Bowlby non sono state r isparmiate da durissime critiche. Le

accuse riguardano l’eccessivo ruolo affidato alla figura materna e ai

singoli traumi vissuti dal bambino durante il periodo dell’ infanzia. Non

ha dato inoltre i l giusto peso agli altri rapporti interpersonali che il

bambino intrattiene con il padre, i fratelli e altre f igure significative.

Si tratta comunque di un contributo fondamentale per tutta la psicologia

e soprattutto per gli studi relativi ai primi momenti dello sviluppo

umano. L’adozione, con il suo bagaglio di sofferenza derivante da

esperienze precoci traumatiche, non può essere compresa appieno senza

la comprensione di tale teoria e dei concetti ad essa legati . Anzi, proprio

tali conoscenze hanno contribuito fortemente a porre maggior attenzione

e sensibil ità all’età infantile e alle problematiche di questa fase di

sviluppo.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Traumi infantili e attaccamento

Molti studiosi si sono occupati degli effetti patologici derivanti da

prolungate istituzionalizzazioni o frequenti cambiamenti nella f igura di

attaccamento (soprattutto quella materna) a partire dai primi mesi di

vita: è stato così possibile studiare e valutare il significato e le

conseguenze dell’esperienza di abbandono nell’infanzia, accrescendo

l’ importanza attr ibuita alle componenti affettive oltre che a quelle

nutritive della relazione caregiver-bambino. Tali risultati sono ancora

più significativi se consideriamo che « f ino a poco tempo fa si sosteneva

che il bambino non soffriva se la separazione dalla madre avveniva

quando era molto piccolo» (Morral Colajanni, 1992).

Tra gli Autori che si sono occupati di tale tematica ricordiamo, oltre a

John Bowlby (1949, 1944), Lauretta Bender (Bender e Yarnell, 1941;

Bender, 1947), Dorothy Burlingham e Anna Freud (1942, 1944), William

Goldfarb (1943, 1955), David Levy (1937), Renè Spitz (1945, 1946,

1965) e Harlow (1959)

In particolare gli esperimenti di Harlow sul benessere da contatto sono

stati fondamentali per giungere alla scoperta dell’esistenza di una base

genetica autonoma nello sviluppo dell’attaccamento.

Spitz invece ha fornito importanti studi sulla deprivazione materna,

mettendo in evidenza la sofferenza che si attiva di fronte alla mancanza

di un rapporto di t ipo esclusivo: «[…] queste scoperte sono state così

frequentemente citate per mostrare i devastanti effetti che ha sullo

sviluppo la mancanza di un maternale precoce anche quando sono

esaudite le più evidenti esigenze fisiologiche (fame, sete, riparo) »

(Eagle, 1984). Lo stesso Spitz (1958) puntualizza come tale mancanza

può portare anche alle estreme conseguenze della morte nonostante

l’appagamento delle esigenze fisiche.

I bambini hanno bisogno di alcune condizioni di base per potersi

sviluppare e crescere. Queste condizioni non si possono fermare alla cura

del corpo, ma si devono necessariamente allargare al bisogno di amore,

elemento indispensabile per la crescita emotiva dell’essere umano.

Emerge da tutte queste ricerche come l’inadeguatezza di cure durante la

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

prima infanzia abbia una notevole influenza sullo sviluppo della

personalità del bambino. Il modo con cui i genitori (o comunque le

f igure parentali) trattano loro figlio determina fortemente lo sviluppo

dello schema di attaccamento di questo durante la prima, seconda

infanzia e adolescenza.

Nessuna madre però può essere considerata malevole, anche se

dispensatrice di cure non soddisfacenti. Le strategie comportamentali da

lei adottate dipendono dall’esperienza infantile vissuta dalle madri stesse

in passato. Alcune ricerche affermano che questa non è comunque la sola

variabile implicata nel determinare lo sti le genitoriale: la cultura di

appartenenza, ad esempio, impone dei comportamenti sociali particolari

anche per quanto riguarda l’attaccamento (K.E.Grossman e K.Grossman;

1981; Hinde, 1982) 1 .

L’esperienza dell’abbandono assume inoltre significati e pesi diversi a

seconda dell’età in cui avviene. É risaputo che un bambino abbandonato

ad un’età molto precoce (prima dei sei mesi di vita) ha effetti meno

devastanti di uno abbandonato in età avanzata, in quanto il primo ha

maggiori possibilità di sviluppare un attaccamento alternativo con altre

f igure di r iferimento rispetto al secondo. Resta i l fatto comunque che

ogni esperienza di abbandono, qualsiasi sia l’età in cui avviene, è un

evento profondamente traumatico per ogni essere umano. Nel bambino

tale trauma si può ripercuotere in difficoltà psicologiche di vario t ipo e

di apprendimento, angoscia di separazione, sentimento di lutto e di

perdita. «[…] l’esperienza di abbandono rimane dentro le persone e può

riemergere a diverse riprese: può essere all’ inizio della scuola,

all’asilo, i l giorno che per la prima volta vengono lasciati dai nonni per

andare al cinema. Possono essere tanti i momenti di abbandono, ma

l’importante è che la presenza rassicurante dei genitori, faccia capire

1 Grossman, K.E., Grossman, K. (1981). Parent-infant attachment relationships in Bielefeld: a research note. In K. Immelman, et al. (eds). Behavioral Development: The Bielefeld Interdisciplinary Project. Cambridge: Cambridge University;Hinde, R.A. (1982). Attachment: some conceptual and biological issues. In C.M. Parkes, J. Stevenson-Hinde (eds). The Place of Attachment in Human Behavior. London: Tavistock Institute Press. Citati da Attili, G.(1995).

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

che non è un abbandono definitivo, ma che è un tipo di separatezza che è

anche un tempo di riunificazione» (Galli , 1997).

Nonostante la pesantezza della situazione di partenza emerge la

possibilità di scorgere una capacità di recupero. Tali bambini quindi

possono trarre grandi vantaggi dal miglioramento del loro ambiente di

vita e delle cure ricevute. È fondamentale sperimentare una figura di

attaccamento importante, stabile e qualitativamente adeguata.

Occorrono “cure materne abbastanza buone” (per dirla con Winnicott) ,

la mancanza delle quali impedisce ai bambini di realizzarsi anche solo

come bambini piccoli. Nell’aggettivo “materne” non vi è alcuna

intenzione di escludere altre figure importantissime come quella del

padre. Si vuole invece dare risalto alla funzione materna presente in chi

si prende cura del bambino, qualsiasi sia il suo sesso o grado di

parentela.

«Non è forse vero che la madre ha comunicato con il bambino? Essa ha

detto: “sono attendibile non perché io sia una macchina, ma perché so

ciò di cui hai bisogno e me ne preoccupo e voglio darti proprio quello di

cui hai bisogno. È questo ciò che chiamo amore a questo stadio del tuo

sviluppo”» (Winnicott, 1968) 1 .

Vediamo ora nel dettaglio tre concetti fondamentali per comprendere

l’adozione e le sue dinamiche, tre concetti appartenenti a tre autori

diversi: Bowlby, Winnicott e Bion. Stiamo parlando, r ispettivamente, del

concetto di “base sicura” e di quelli , che ad esso si avvicinano, di

“holding” e “containing” . Si tratta di aspetti molto vicini l’uno all’altro

e che possono essere visti come facenti parte di un’evoluzione

concettuale che va dal fisico al mentale: la “base sicura” di Bowlby è

l’espressione della concretezza di un oggetto di cui è necessaria la

presenza per garantire protezione e sicurezza; l’ “holding” di Winnicott

mantiene una componente fisica nell’ idea di tenere, ma si tratta di un

tenere che comincia a prefigurare degli aspetti interni; i l “contenimento”

di Bion è completamente mentale, fondandosi su di una elaborazione

psichica. Naturalmente, per motivi di spazio, sarò costretto a

1 Confronto e contrasti nella comunicazione bambino-madre e madre-bambino.In Winnicott, D.H. (1987).

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

semplificare al massimo l’esposizione di argomenti che richiederebbero

ben più di un paragrafo per comprenderne a pieno tutte le sfumature ed

implicazioni. Per ulteriori approfondimenti r imandiamo ai testi dei

r ispettivi Autori citati in bibliografia.

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Page 33: Percorsi dell’adozione - il rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

“Base sicura”

La caratteristica principale dell’essere genitore è, secondo Bowlby,

quella di fornire una “base sicura” da cui un bambino, o un adolescente,

possa partire per affacciarsi sul mondo esterno e a cui possa ritornare

sapendo per certo che sarà il benvenuto, nutrito sul piano fisico ed

emotivo, confortato se triste, rassicurato se spaventato. In sostanza

questo ruolo consiste nell’«essere disponibili , pronti a rispondere

quando chiamati in causa, per incoraggiare e dare assistenza, ma

intervenendo attivamente solo quando è chiaramente necessario »

(Bowlby, 1988).

Tale base sicura ha una grandissima influenza sulle componenti emotive

dello sviluppo del bambino. Quando un genitore accudisce il proprio

figlio lo fa con la funzione di contribuire alla sopravvivenza di questo, i l

quale a sua volta sviluppa attaccamento verso il genitore per ridurre il

r ischio di incorrere in pericoli.

La base sicura consente di acquisire quella sicurezza e quella f iducia

che permettono di andare alla scoperta del mondo esterno. Secondo

questa prospettiva, i problemi che spesso i bambini adottivi manifestano

nell’apprendimento scolastico possono essere interpretati come dovuti

all’ incapacità, o comunque difficoltà, ad interiorizzare la f igura di

r iferimento e quindi, a l ivello simbolico, una base sicura. Questo

impedisce loro di potersi lanciare verso la conoscenza della realtà

esterna sconosciuta, in questo caso delle nozioni scolastiche: è come se

il loro pensiero fosse bloccato da un’esigenza più forte.

Le esperienze precoci di abbandono mettono a dura prova la capacità dei

bambini di costruire e sperimentare una figura che possa fungere da base

sicura. I loro sforzi sembrano così concentrarsi sul controllo rispetto a

tale punto di r iferimento, con la paura costante di essere nuovamente

abbandonati.

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Page 34: Percorsi dell’adozione - il rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

“Holding”

Winnicott ha cominciato a studiare i bambini partendo dall’esperienza di

pediatra. La sua pratica di osservazione è stata organizzata, oltre che in

ambiente ospedaliero, anche e soprattutto negli isti tuti per bambini

sfollati negli anni della guerra, istituti in cui la maggior parte dei

bambini si presentavano come deprivati o delinquenti.

Egli si discosta da Freud in quanto considera e studia la coppia

bambino-madre quasi come un’unità psichica. «Non esiste l’entità

bambino: […] ogni volta che si trova un bambino si trovano cure

materne e senza cure materne non ci sarebbe un bambino» (Winnicott,

1965). Riconosce quindi la grande importanza che riveste i l contributo

della madre al benessere fisico ed emotivo del bambino attraverso

l’ identif icazione empatica con i bisogni di quest’ultimo. Utilizza a tal

proposito l’espressione “maternage abbastanza buono” , intendendo con

questa espressione qualcosa che è buono quanto basta, ma non “troppo”.

Winnicott parla di una “madre normalmente devota” nella quale ripone

grande fiducia circa le sue abilità e il suo intuito nel sentire e capire i

bisogni del f iglio. Essa ha i l compito di consentire al bambino di

sperimentare una fusione iniziale da cui via via occorre innestare un

processo di distanziamento e separazione tramite l’esposizione a

frustrazioni graduali. Ogni madre è in grado, semplicemente in quanto

madre, di fare delle cose e di farle bene. Essa è devota al compito di

accudire il proprio bambino. Questo permette al bambino di formare la

f iducia indispensabile perché possa evolversi e svilupparsi verso mete di

maggiore complessità. L’acquisizione di tale intuito da parte della madre

avviene grazie alla sua capacità di identif icazione nei confronti del

f iglio. Quest’ultimo parte da quello stato che possiamo definire di

fusione, in cui sente di essere una cosa sola insieme alla madre (una vera

e propria i l lusione di onnipotenza); poi, successivamente, r iesce a sentire

ed affermare la sua autonomia. All’inizio del rapporto col proprio figlio

la madre si trova avvinta da una grandissima e totale preoccupazione.

Questo stato ha una durata di qualche settimana, dopo il quale ha inizio

il processo di profonda identif icazione col bambino.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

I l termine “holding” , per Winnicott, estende il suo significato a tutto

quello che una madre è e fa nel periodo in cui si trova di fronte al suo

bambino appena nato. «La cosa principale è l’holding fisico che è la

base di tutti gli aspetti più complessi dell’holding e di ciò che fornisce

l’ambiente in generale» (Winnicott , 1965).

Winnicott utilizza anche il termine “handling” intendendo con esso il

modo con cui si tratta, si maneggia fisicamente qualcosa e il modo in cui

si fronteggia psicologicamente e praticamente una situazione. In questo

siamo vicini alle posizioni di Bowlby viste in precedenza, ma, come

afferma Holmes (1993): « i l compito principale dell’ambiente di

contenimento è, come l’attaccamento, la protezione, sebbene, in

contrasto con Bowlby, Winnicott lo descriva in termini esistenziali

piuttosto che etologici» .

Il momento in cui mettere in campo tali aspetti è molto delicato e spesso

le madri si allarmano al solo pensiero dell’ importanza di ciò che stanno

facendo. Rammentarglielo è del tutto deleterio secondo Winnicott: molto

meglio è che vengano lasciate in una situazione ist intiva, poiché la

consapevolezza di sé le porta a commettere degli errori.

Winnicott ha dedicato alcuni suoi contributi al tema specifico

dell’adozione 1 . Secondo l’Autore spesso, alla base della sofferenza dei

bambini, soprattutto quelli adottati , vi è « l’esperienza traumatica di non

essere stati tenuti abbastanza bene» . E in questo caso il termine tenere o

contenere ha un’eccezione ben più vasta del semplice tenere in braccio.

Tale compito non può essere assolutamente portato avanti da una madre

che non accetta o si vergogna di un’anomalia del f iglio.

Nell’adozione ci scontriamo con bambini che non sono stati tenuti

bene, e anzi sono stati proprio lasciati andare danneggiando le loro

sicurezze. Per questo al genitore adottivo è demandato il compito di

essere molto attento alle componenti di cura del bambino, in modo tale

che questi possa ricostruire dentro di sé la sensazione di essere tenuto e

accettato per quello che è. Spesso però l’adozione, soprattutto quella

internazionale, si accompagna ad una difficoltà da parte dei nuovi

1 Due bambini adottati; Le trappole dell’adozione; Figli adottivi e adolescenza.In Winnicott, D.H. (1996)

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

genitori di soddisfare tale necessità del bambino : « i l messaggio

proveniente dai genitori adottivi può […] essere ambiguo se non

contraddittorio: essi gli vogliono bene, ma non tanto per quello che è

[…] quanto piuttosto come potenziale bambino e adulto bianco »

(Dell’Antonio, 1994), come oggetto che si adatta ai propri desideri

indipendentemente dall’ identità f in lì costruita e dalle esperienze vissute

in precedenza.

Il bambino ha bisogno di essere “tenuto” nella sua totalità, con i suoi

difetti , le sue carenze, i l suo dolore: questo è i l compito più difficile di

chi si r ivolge all’adozione.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

“Contenimento”

Sin dall’ inizio, lo abbiamo già detto, i l ruolo della madre è fondamentale

per lo sviluppo del bambino e della sua salute mentale. Essa fornisce un

ambiente facilitante tale da permettere l’evolversi dell’ individuo

secondo i propri processi di crescita naturali e le interazioni con

l’ambiente, e nel r ispetto del proprio bagaglio genetico.

Bion parla del concetto di “containing” attraverso una serie di aspetti

teorici di non semplice ed immediata comprensione: il modello

contenitore-contenuto , la relazione tra le “posizioni schizoparanoide” e

“depressiva” , i concetto di “reverie” , “funzione alfa” ed “elementi

beta” ed altr i ancora. Tratteremo solo alcuni di tali concetti per ragioni

di spazio ed economia del discorso.

La teoria di Bion non è semplice e nemmeno i suoi testi . I l suo

linguaggio unisce la psicoanalisi di matrice kleiniana con uno sforzo di

trasformare questo modello teorico in astratto, con delle sigle, delle

forme per generalizzare il discorso. Sembra un ibrido tra un l ibro di

psicoanalisi e uno di f isica.

Secondo lo psicoanalista inglese il bambino ha la profonda necessità di

disporre di un “contenitore” per i contenuti dei propri pensieri. Tale

contenitore ha la funzione di depurare tali pensieri dalle componenti

distrutt ive e di consentire lo sviluppo del pensiero del bambino.

Solitamente è la madre che si configura come contenitore ricettivo e

metabolizzatore delle emozioni del bambino e realizza la funzione di

“reverie” : «[…] la fonte psicologica che provvede al bisogno di amore e

di comprensione del bambino […] lo stato mentale aperto alla ricezione

di tutti gli “oggetti” provenienti dall’oggetto amato, quello stato cioè

capace di recepire le identificazioni proiettive del bambino» (Bion,

1962).

La madre si pone «[…] come un contenitore effettivo delle sensazioni del

lattante, e con la sua maturità riesce a trasformare con successo la fame

in soddisfazione, i l dolore in piacere, la solitudine in compagnia, la

paura di stare per morire in tranquillità. [È la] capacità della madre di

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

essere aperta alle proiezioni-necessità del bambino » (Grinberg, Sor e de

Bianchedi, 1991).

Nell’adozione è molto evidente come il pensiero sia in qualche modo

sospeso dalla mancanza di un contenimento adeguato. «[…] l’ insieme di

emozioni, di esperienze a cui le emozioni si collegano e di pensieri che

alla vita emotiva danno coesione e significato, si vengono a determinare

solo se è possibile l’ incontro con un’altra mente che contribuisca a

definirne i l significato» (Artoni Schlesinger, 1996). Secondo Ammaniti e

Stern (1995) è la madre ad essere in grado «di fornire una matrice

(Odgen, 1985) 1 , uno spazio contenitivo silenziosamente attivo, nel quale

possono realizzarsi l’esperienza psicologica e fisica [del bambino]»,

provvedendo ad uno spazio mentale in cui egli possa cominciare a

generare le sue esperienze.

Possiamo pensare ai tre soggetti di tale percorso (operatori, genitori e

bambini) come a tre elementi rappresentabili all’interno di cerchi

concentrici: gli operatori contengono le ansie e le paure dei genitori , i

quali a loro volta si prendono cura dei pensieri sofferenti del bambino.

La sensazione e l’esperienza dell’essere contenuti sono fondamentali per

contribuire alla formazione di quello che Bion chiama “ l’apparato per

pensare i pensieri” ovvero, semplificando al massimo, lo sviluppo del

pensiero derivante da una condizione di frustrazione e dalla conseguente

metabolizzazione di tale sofferenza che porta a tollerare tale

frustrazione. «La componente psichica – l’amore, la sicurezza,

l’angoscia - richiede, con quella somatica, un processo analogo alla

digestione» (Bion , 1962). Tale processo trova nella funzione contenente

e di “reverie” della madre le linee essenziali per i l suo sviluppo.

Nell’ambito dell’esperienza adottiva le problematiche aggiuntive

derivanti da tale condizione richiedono, a maggior ragione, la possibili tà

di disporre di un contenitore capace di accogliere e depurare le emozioni

dolorose del bambino da una parte e dei genitori dall’altra.

1 Odgen, T.H. (1985). On potential space. International Journal of Psycho-Analysis, 66, 129. Citato da Ammaniti, M., Stern, D.N. (1995).

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

2.

STUDI SULL’ADOZIONE

Esiste la tendenza, nel campo degli studi sull’adozione, a studiare

solamente quegli aspetti che vengono considerati devianti, tralasciando

quelli cosiddetti normali. È come se si volesse andare a cercare per forza

qualcosa di patologico, qualcosa che non funziona. Un’analisi che va alla

r icerca delle problematiche e poco delle r isorse. Si tratta di un

pregiudizio che influenza fortemente la ricerca e l’opinione sociale circa

il concetto di adozione.

È un immaginario diffuso quello che vede l’adozione come una

situazione anomala e a rischio. A questo contribuiscono in buona parte i

commenti mass mediatici che spesso presentano l’adozione come la

spiegazione per un doloroso fatto di cronaca inducendo ad infauste,

quanto inopportune, generalizzazioni. Oggi però l’adozione è divenuta

una realtà molto diffusa che assume proporzioni raffrontabili a quelle

della nascita naturale e della procreazione medicalmente assistita.

Proprio questa sua maggiore visibilità sociale spinge per ottenere un

riconoscimento rispetto al dirit to di vivere una genitorialità “normale”. I

genitori adottivi , inoltre, non possiedono un modello proprio di

genitorialità, ma prendono in presti to quello dei genitori naturali a cui

cercano di uniformarsi, ma che inevitabilmente finisce per presentare

delle scollature rispetto al loro particolare percorso.

Interessante a tal proposito è il contributo di Lucilla Castelfranchi

(1992), la quale r itiene sia importante eliminare l’equiparazione tra

genitorialità adottiva e naturale, in una prospettiva che guarda alle

differenze per comprendere tutte le specificità dei percorsi

dell’adozione. Un grande obiettivo sarebbe quello di riuscire a fare

r iferimento ai genitori adottivi non in quanto tali , ma come adulti che si

apprestano a vivere o stanno vivendo un’esperienza di genitorialità, che

manifestano il bellissimo proposito di prendersi cura di un bambino che

ha bisogno di una famiglia.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Non è un compito facile, soprattutto perché i contesti sociale ed

ist ituzionale tendono a muoversi secondo linee di pregiudizio verso tale

tipo di genitorialità e questo tende ad influenzare inevitabilmente non

solo chi si occupa e chi vive nell’adozione, ma anche chi, come

noi, cerca di studiare tale campo di indagine.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Natura-cultura

L’ambito dell’adozione è stato molto indagato rispetto alla possibilità di

effettuare studi interessanti sull’influenza relativa delle componenti

genetiche ed ereditarie sull’ individuo. A tal proposito è interessante

quanto affermano Emiliani e Molinari (1995) rispetto all’infanzia: «ogni

civiltà ha dovuto affrontare nell’educazione l’ impegno verso i bambini e

questo argomento è stato investi to in modo ricorrente e privilegiato

dall’antinomia classica natura-cultura, innato-acquisito che domina

incontrastata tutti gli scenari culturali, storici e politici» .

Molto uti lizzato è l’approccio consistente nello studio di bambini

cresciuti con genitori non naturali f in dalla tenera età, messi a confronto

con le caratteristiche psicologiche sia di questi (genitori adottivi) che

dei genitori biologici. Tale modalità di studio ci consente di verificare

l’ influenza dei fattori genetici isolandola da quella degli effetti

ambientali . Se i risultati indicano somiglianze con i genitori naturali ,

queste vengono interpretate come una prova di influenza genetica. Al

contrario, la somiglianza con i genitori adottivi va a favore

dell’ influenza dei fattori ambientali . «Babies born to one set of parents

and raised by another tell us a lot about the relative influence of genes

and the environment. […] The interaction beetween genes and

environment is believed to be both subtle and complex» (Howe, 1998).

I bambini adottati sono più simili ai genitori biologici ( influenza

predominante dei geni) o ai genitori adottivi (e in questo caso

l’ influenza predominante è quella ambientale)?

La credenza predominante nel ventesimo secolo è quella che dà maggior

importanza alle componenti ambientali , anche se occorre porre

attenzione alle alte correlazioni che legano figli e genitori naturali

r ispetto ad alcune variabili , come ad esempio peso e malattie.

L’ambiente sociale creato inizialmente dai genitori adottivi ha una forte

influenza sui bambini, i quali assumono caratteristiche più simili a

quelle dei loro genitori adottivi r ispetto a quelle dei genitori naturali ,

benché le loro caratteristiche ereditarie continuino a giocare un ruolo

importante anche dopo l’abbinamento.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Si tratta di studi di non semplice realizzazione che presentano, come

tutt i gli esperimenti sull’argomento, alcune l imitazioni e difficoltà che

ne riducono la generalizzazione dei risultati: i genitori biologici non

sono sempre rintracciabili e disponibili ; i bambini spesso vengono

accoppiati a genitori adottivi che presentano caratteristiche simili a

quelle dei genitori naturali .

Alcuni studi (Horn, 1983) 1 sono stati effettuati attr ibuendo grande

attenzione all’ intelligenza e agli effetti che hanno su di essa le

componenti biologiche ed ambientali . I l r isultato che emerge dalla

maggioranza di tali studi indica come la correlazione tra QI (quoziente

intellettivo) di bambini adottati e QI dei loro genitori biologici sia

significativamente superiore a quella tra i primi e i genitori adottivi.

Tale dato può essere interpretato come l’influenza dei fattori genetici

ereditari sull’intell igenza. Ma allo stesso tempo, all’interno degli stessi

studi, si r iscontra che il QI medio dei bambini è più simile a quello dei

genitori adottivi , soprattutto se il QI della madre naturale è basso.

È opinione diffusa che la possibilità di vivere in un ambiente

privilegiato e r icco di st imoli possa essere un fattore determinante

nell’ innalzamento del QI. In questo caso l’ interpretazione cadrebbe a

favore dell’influenza di fattori ambientali .

Un altro aspetto molto studiato è quello relativo alla personalità.

Alcuni studi (Lohelin, Horn e Willerman, 1981; 1989) 2 hanno messo in

evidenza la mancanza di somiglianza tra persone che vivono insieme,

indipendentemente dal grado di parentela genetica. Ciò porta

all’ interpretazione che i tratti di personalità non subiscono grosse

influenze nella loro formazione né di t ipo ereditario né di t ipo

ambientale. Altri studi invece (Mednick, Moffit t e Stack, 1987) 3

1 Horn, J.N. (1983). The Texas adoption project: adopted children and their intellectual resemblance to biological and adoptive parents. Child Development, 54, 268-275. Citato da Schaffer, H.R. (1996). 2 Loehlin, J.C., Horn, J.M., Willerman, L. (1981). Personality resemblance in adoptive families. Behavior Genetics, 11, 309-330;Loehlin, J.C., Horn, J.M., Willerman, L. (1989). Modeling IQ change: evidence from Texas adoption project. Child Development, 60, 993-1004. Citato da Schaffer, H.R. (1996).3 Mednick, S.A., Moffit, T.E., Stack, S. (1987). The causes of crime: new biological approaches. New York: Cambridge University Press. Citato da Schaffer, H.R. (1996).

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

propendono per il versante dell’ influenza genetica, soprattutto riguardo

lo sviluppo di atteggiamenti criminali.

Lo stesso discorso vale per alcuni tratti quali l’estroversione e i l

nevroticismo (Henderson, 1982).

Tutta questa varietà di studi e r icerche può venire raggruppata sotto

l’etichetta comune di “genetica del comportamento” o “genetica

comportamentale”. Si tratta di un fi lone di r icerca che si occupa dello

studio dei tratti e dei comportamenti nel tentativo di capire quanto i geni

ne influenzino l’espressione. Nel far questo non nega però l’ importanza

del ruolo dell’ambiente. Ogni comportamento o tratto non è mai

determinato da un solo gene, ma sempre da molti geni che agiscono

insieme all’ interno di ambienti diversi. Geni e ambiente sono legati da

un rapporto di correlazione reatt iva: i geni causano lo sviluppo

dell’ambiente e a sua volta l’ambiente generato dai geni influenza lo

sviluppo individuale.

Lo sviluppo individuale poi viene determinato in minima parte dalle

esperienze condivise (famiglia), mentre lo è in massima parte da quelle

non condivise (scuola, amici…) (Plomin et al. , 1990) 1 . La vita in

famiglia quindi non è la sola responsabile dello sviluppo del bambino e

dei suoi eventuali problemi, rendendo ancora più difficile stabilire cosa

va imputato ai geni e cosa all’ambiente.

Abbiamo rapidamente effettuato un excurcus all’interno della

letteratura che ha utilizzato l’adozione come oggetto di indagine nella

diatriba natura-cultura. La sensazione è quella di un panorama di studi e

di risultati molto complesso e contraddittorio. Non ci sono dati certi in

una direzione o in un’altra e questo aspetto risulterà una costante anche

negli studi che andremo ad analizzare successivamente. La

contraddittorietà di tali r isultati rende quantomeno discutibile

l’esplicitazione di giudizi molto rigidi e definitivi rispetto all’adozione e

r ispetto a chi ne è protagonista. Abbiamo così optato per un

1 Plomin,R., Chipuer, H.M., Loehlin, J. C. (1990). Behavioral genetics and personality. In L.A. Pervin (a cura di) Handbook of Personality: Theory and Research. New York: Guilford Press, 225-243. Citato da Pervin, L.A., John, O.P. (1997).

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

atteggiamento molto cauto nell’esplicitazione di pareri conclusivi,

lasciando aperte alcune domande.

Vediamo quindi ora come l’adozione viene inquadrata e indagata dalla

letteratura corrente.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Fattori di rischio e fattori di protezione

«Cosa ne pensi de l fa t to d i essere sta ta adot ta ta? »

«Cosa ne penso de l fat to che c i s iamo adot ta t i ! »

(una bambina adot ta ta ) 1

Gabriella Merguici (2001) usa un’immagine molto forte per descrivere

un minore abbandonato. Afferma infatti che la personalità di questo può

essere definita «“a forma di gruviera”, con tanti buchi, alcuni dei quali ,

i più piccoli, si sarebbero potuti chiudere, altri ridurre, mentre i più

grandi sarebbero rimasti tali nonostante le cure affettuose e le

attenzioni dei nuovi genitori» . La stessa Merguici, all’ interno del

medesimo contributo, traccia poi un’altra bell issima immagine del

genitore adottivo: «un esperto restauratore preparato al “recupero e

alla manutenzione” di quell’opera d’arte incompiuta che è la

personalità del bambino» .

In queste due immagini possiamo ritrovare l’essenza dei concetti di

r ischio e protezione. Da una parte abbiamo un minore che ha subito una

grave perdita che lo espone alla possibilità di avere dei “buchi” troppo

grandi da rimarginare per poter affrontare la vita. Dall’altra i genitori

adottivi che si dedicano con amore alla cura di un oggetto prezioso,

cercando di limitare quei danni che il tempo ha cagionato.

Jolanda Galli , esperta professionista del settore da molti anni, dedica

grande attenzione all’argomento dei fall imenti adottivi. La sua ottica

però non vuole assolutamente porsi come pessimistica e giudicante.

Possiamo vederla come un approccio di t ipo preventivo ( «siamo

consapevoli che i l rischio di fallimento è insito nell’adozione ma

pensiamo anche che questo si possa in molti casi prevenire») , teso alla

messa in luce di precise problematiche spesso taciute. «[…] la scarsa

attenzione posta allo studio psicosociale delle coppie, le modalità

collusive con gli adulti richiedenti l’adozione, oppure la scarsa

attenzione posta alla specificità di questo lavoro, anche per la

svalutazione dello stesso da parte del sistema giuridico, che non sempre

tiene conto delle controindicazioni all’adozione provenienti dal lavoro

1 In Dell’Antonio, A. (2001).

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

svolto dallo psicologo e dall’assistente sociale, partecipano attivamente

a creare condizioni favorenti i l fall imento, piuttosto che il buon esito

dell’adozione» (Galli , 2001).

Alle coppie è demandato il compito di essere preparate a gestire dei dati

di realtà: quanto più sarà approfondito il lavoro, non solo durante

l’ indagine socio-psicologica, ma anche prima di essa, maggiori saranno

le probabilità di successo. I l punto principale è cercare di rallentare il

processo, aprire una riflessione nella coppia che sembra bloccata nel

pensiero a causa delle sofferenze provate.

L’esperienza clinica dell’adozione ha consentito di identif icare quali

sono quei fattori di r ischio che esistono prima ancora che l’adozione si

compia, quelli cioè che risiedono nella storia personale di ogni partner,

nella coppia e nel bambino. Quando parliamo di r ischio ci r iferiamo ad

un concetto alquanto complesso, che si si tua al confine tra normalità e

patologia e definisce quegli eventi o comportamenti che possono, ma non

necessariamente lo faranno, dare il via ad un percorso evolutivo non

adattativo. Gli esiti di qualsiasi percorso sono sempre connotati da una

certa imprevedibilità ed incertezza per il futuro, dovuti all’interazione di

diversi fattori variabili in base a situazioni e contesti . Così l’esperienza

dell’adozione, prima di essere considerata solamente un indicatore di

r ischio, andrebbe attentamente considerata rispetto ad una complessità di

fattori. Primo fra tutti l’interazione tra r ischi e r isorse, queste ultime

spesso trascurate nell’ indagine sull’adozione. La capacità di attivare tali

fattori spesso è i l primo passo verso il superamento di una situazione di

difficoltà, anche se l’esito finale è sempre frutto di una serie di processi

complessi e interattivi che coinvolgono diverse componenti. Le coppie

non vanno valutate solamente rispetto a ciò che non funziona. Occorre

dedicare uno spazio anche e soprattutto alle potenzialità che risiedono in

esse.

Per esporre meglio tale concetto ci rifacciamo ad un contributo di

Francescato, Cagnetti e Grego (1996) sulle famiglie r icostituite. In tale

campo, affermano le Autrici, vi è la tendenza a concentrarsi sui problemi

che esistono all’ interno di tali famiglie. Si ignorano totalmente quei

potenziali aspetti positivi comunque esistenti, innestando un processo di

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

profezia autodeterminantesi: «se i membri della famiglia ricostituita si

aspettano solo problemi e difficoltà, allora questi si verif icheranno. Se

invece i potenziali positivi vengono identif icati , le aspettative saranno

presumibilmente più positive» .

I l discorso può essere ampliato all’ambito dell’adozione, molto spesso

inquadrata secondo un modello di deficit invece che di potenziali r isorse.

Tali potenzialità sono l’aggancio per poter innestare un processo di

elaborazione interiore e per prepararsi all’adozione.

I l rapporto che si verrà ad instaurare con gli operatori è fondamentale

per valorizzarne le risorse e circoscriverne i l imiti: «se la coppia si

sentirà accolta, sarà ben più disposta a costruire quello spazio

necessario per accogliere ed elaborare la propria sofferenza »

(D’Andrea, 1999).

Anche Jolanda Galli , durante la sua relazione al convegno “Alla scoperta

delle radici” , tenuto a Carpi nel 1997, afferma: «[…] se non si utilizza

il tempo che i servizi pubblici mettono a disposizione delle persone che

vogliono affrontare l’esperienza dell’adozione per pensare, per

rif lettere, per interrogarsi e soprattutto per comprendere quelli che sono

i propri l imiti e le proprie risorse, per non fare il passo più lungo della

gamba, può accadere di buttare dalla finestra una potenzialità che è

quella di fare una buona adozione» . Si apre qui l’idea di una

collaborazione profonda e di reciproca fiducia tra genitori ed operatori,

obiettivo che fino ad oggi è ancora lontano dal concretizzarsi.

Adottare significa riuscire a trovare una coppia capace di garantire

«una comprensione empatica e facilitante di un processo riparatorio

interno al dramma vissuto, per garantire […] un futuro privo di ulteriori

traumi» (Morral Colajanni, 1997).

L’operatore che si accosta alla conoscenza della coppia deve adoperarsi

per cogliere quali sono le r isorse reali che essa può mettere in campo.

Nel fare ciò occorrerebbe esimersi dall’ancorarsi ad un modello ideale di

famiglia perfetta, modello che per vari motivi non può essere ricalcato

dalla nuova famiglia adottiva, ma non per tale ragione quest’ultima ha

minore dignità della prima.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Lanza e Sabatello (1996) affermano che l’arrivo di un bambino porta

sempre con sé una serie di cambiamenti che sovvertono la dinamica e gli

equilibri interni ed esterni della coppia. Questa va così incontro alla

r ichiesta di un notevole sforzo nel tentativo di r icostruire un nuovo

equilibrio psicoemotivo: compito non semplice, soprattutto per la coppia

adottiva, considerando quanto essa sia spesso già molto provata

emotivamente dalle vicende che hanno condotto finalmente alla

genitorialità. È risaputo che l’ ingresso di un nuovo membro all’interno

della famiglia ne aumenta inevitabilmente la complessità e ne richiede

un delicato processo di adattamento. Si tratta di un adattamento che

Wilma Binda (1987) considera incastonato di aspetti di gratificazione e

aree di difficoltà, sia sul versante organizzativo che su quello

relazionale.

Afferma Alessandra Santona durate i l seminario formativo “La

preparazione della coppia all’adozione internazionale” , tenutosi a

Montecatini tra ottobre e novembre 2001, che « le figure genitoriali

interiorizzate hanno una trama di rappresentazioni e reazioni che

costituiscono un codice che ha in sé aspetti di vincolo e di risorse » . La

formazione della coppia e le dinamiche che questa deve attraversare nel

suo sviluppo sono importanti aspetti da prendere in considerazione nel

processo dell’adozione.

Annamaria Dell’Antonio (2001) riassume bene il fulcro del nostro

discorso affermando che « l’adozione viene presentata come una cosa

bellissima, ma le difficoltà ci sono» . Affrontarle con equilibrio e

preparazione è la sfida più grande che si propone chi vive a stretto

contatto con essa.

Ora passiamo a proporre una rassegna di contributi che tendono a

proporre una visione dell’adozione di t ipo negativo. Pare che, secondo la

maggioranza degli Autori citati , la parola adozione non possa essere

considerata separatamente da aggettivi prettamente negativi: difficile,

problematica, rischiosa. Inoltre l’impressione che abbiamo ricevuto da

tale r icerca bibliografica è la presenza di giudizi molto forti e pesanti

r ispetto alla condizione di genitorialità adottiva, giudizi che a volte

assumono la consistenza di sentenze e verità inconfutabili .

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

“Patterns of adoption”

David Howe (1998) ha fornito un interessante contributo circa il campo

dell’adozione e nel suo libro “Pattern of Adoption” ne analizza vari

aspetti .

Parlare di adozione comporta tante domande. Howe si chiede se

l’adozione possa essere considerata una forma soddisfacente di

genitorialità sostitutiva; se i bambini adottati siano a rischio di disturbi

psicologici più gravi r ispetto ai figli naturali ; se si possa rilevare un

miglioramento rispetto ai bambini che restano in famiglie

economicamente e socialmente svantaggiate. Il fulcro della sua analisi

r iguarda la messa in evidenza dei fattori da prendere in considerazione

quando si valuta l’ impatto dell’esperienza dell’adozione sui bambini,

nella consapevolezza della scarsità di studi e di ricerca in tale campo.

Quando parliamo di adozione occorre proporre una distinzione

preliminare. Utilizzando macrocategorie a scopo esplicativo, esistono

due tipi fondamentali di adozione: quella che riguarda bambini “piccoli”

(adottati prima dei sei mesi d’età) e quella che invece ha come

protagonisti bambini più “grandi” (dopo i sei mesi di età).

Secondo uno studio di Seglow (1972) 1 i l 90% dei bambini vengono

adottati prima del terzo mese di vita. Questo dato ha come implicazioni

il fatto che esiste una molti tudine di bambini “grandi” che ha scarsissime

probabilità di trovare una famiglia disposta a prendersi cura di loro.

I genitori adottivi provengono solitamente da classi sociali agiate o

comunque medie, anche se in proposito ci sono studi discordanti

(Hoopes, 1970) 2 che affermano invece come solo il 31,8% appartenga

alla classe media, mentre ben il restante 68,2% a classi inferiori.

Le madri che danno il loro bambino in adozione sono più giovani

r ispetto ai genitori adottivi, oltre che rispetto alle donne che vivono da

sole con il loro figlio; hanno più probabili tà di vivere in condizioni

1 Seglow, J., Pringle, M.K., Wedge, P. (1972). Growing Up Adopted. Windsor: NFER.Citato da Howe, D. (1998).2 Hoopes, J. , Sherman, E., Lawder, E., Andrews, R., Lower, K. (1970). A Follow-up Study of Adoption (Vol.II): Post-placement Functioning of Adopted Children. New York: Child Welfare League of America.Citato da Howe, D. (1998).

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

povere; sono meno istruite; i l 71% non ha marito e i l 18% è sposata non

con il papà naturale del loro figlio (Seglow, 1972).

Per quanto riguarda lo sviluppo fisico dei bambini adottivi, questi

hanno più probabilità di essere affetti dalla sindrome alcolica fetale, dal

virus dell’AIDS, di soffrire di difficoltà di apprendimento, di presentarsi

goffi e scoordinati e con un basso peso corporeo (Seglow, 1972). Tutti

questi fattori negativi alla nascita però non sono irreversibili . Anzi

possono essere compensati e dar luogo ad un perfetto sviluppo fisico.

Questo spiega perché i bambini adottati presentano comunque,

nonostante le precarie condizioni di partenza, uno sviluppo fisico buono.

Essi realizzano il loro sviluppo fisico potenziale che era stato rallentato

da difficoltà iniziali .

Per quanto concerne lo sviluppo delle capacità cognitive anche in

quest’ambito troviamo in letteratura varie difficoltà ai danni dei bambini

che vengono adottati , soprattutto per quanto concerne lo sviluppo del QI

(Plomin e DeFries, 1985) 1 . Anche in questo caso però essi possono

raggiungere il loro pieno potenziale cognitivo se adeguatamente seguiti

(Wachs, 1992) 2 .

Rispetto allo sviluppo socio-emozionale la serie di problematiche

presentata da tali bambini sembra non attenuarsi o r isolversi nonostante

l’adozione e i miglioramenti che tale condizione comporta sotto vari

aspetti . I bambini adottivi quindi presentano problemi scolastici, ostili tà,

dipendenza, ansia, poca popolarità, aggressività, depressione,

comportamento disadattivo, difficoltà nelle relazioni coi pari. Inoltre in

età adulta presentano una maggiore instabilità lavorativa, gravidanze

precoci, difficoltà nelle relazioni intime, bassa autostima, problemi di

personalità, abuso di sostanze (Witmer, 1963; Raynor, 1980) 3 .

1 Plomin, R., DeFries, J. (1985). Origins of Individual Differences in Infancy: The Colorado Adoption Project. New York: Academic Press.Citato da Howe, D. (1998). 2 Wachs, T.D. (1992). The Nature of Nurture. Newbury Park: Sage, CA. Citato da Howe, D. (1998).3 Witmer, H.L., Herzog, E., Weinstein, E., Sullivan, M. (1963). Independent Adoptions. New York: Russel Sage Foundation;Raynor, L. (1980). The Adopted Child Comes of Age. London: Allen & Unwin.Citato da Howe, D. (1998).

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Studi clinici sulla salute mentale dei bambini adottati evidenziano

come questi abbiano più incontri con personale che si occupa di salute

mentale (Brodzinsky, 1987) 1 . Questo dato può essere dovuto a vari

fattori: i genitori adottivi sono più inclini ad inviare i propri figli a

servizi di igiene mentale oltre ad avere maggiori r isorse economiche e

culturali per poterlo fare. D’altro canto i bambini adottivi , secondo

l’Autore, hanno effett ivamente maggiori problemi di comportamento che

giustificano tali interventi, quindi presentano maggiori r ischi di disturbi

socio-emozionali. Se i bambini però sono adottati prima dei sei mesi di

età (“piccoli”) hanno minori probabilità di avere problemi di

comportamento disadattivo e problemi psichiatrici (Bohman e

Sigvardsson, 1990) 2 .

È stato indagato il l ivello di soddisfazione dei genitori adottivi

(Raynor, 1980), tema che si presume sia legato, secondo una relazione

inversa, alle problematiche presentate dai bambini adottati . Tali studi

hanno fatto emergere alti l ivelli di soddisfazione. Ben l’85% si dichiara

molto soddisfatta. D’altra parte esiste un 5% di genitori che al contrario

si dichiara molto insoddisfatta e i l dato interessante e che questi hanno

adottato tutti bambini maschi ( i bambini maschi adottati sono

maggiormente a rischio di disadattamento emotivo rispetto alle femmine,

e presentano un rapporto di contatto coi servizi di salute mentale di 3 a

1). I l giudizio di soddisfazione dipende in grandissima parte da quanto i

genitori hanno vissuto l’esperienza dell’adozione come veloce e

semplice.

Alcuni studi si sono preoccupati di scoprire quali siano i fattori che

contribuiscono al successo di un’adozione. L’area indagata con maggiore

attenzione è quella relativa alle caratteristiche di chi adotta, e in questo

caso un modello che viene spesso utilizzato è quello che vede il bambino

1 Brodzinsky, D.M. (1987). Adjustment to adoption: a psychosocial perspective. Clinical Psychological Review, 7, 25-47. Citato da Howe, D. (1998).2 Bohaman, M., Sigvardsson, S. (1990). Outcome in adoption: lessons from longitudinal studies. In D. Brodzinsky, M.Schechter (eds). The Psychology of Adoption. New York: Oxford University Press. Citato da Howe, D. (1998).

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

come un recipiente passivo e prodotto finale di appropriate o non

appropriate pratiche educative.

All’interno di tale area sono state indagate cinque caratteristiche: lo

status socio-economico, le caratteristiche fisiche, le capacità genitoriali ,

la composizione della famiglia adottiva, le modalità con cui viene

affrontato il significato dell’adozione.

Status socio-economico: i genitori adottivi tendono ad appartenere a

classi sociali agiate (anche se in precedenza abbiamo citato studi

discordanti in tal senso) e questo fattore contribuisce fortemente

nell’aiutare il bambino ad adattarsi nella scuola e nella vita in generale

(Raynor, 1980). Alcuni studi (Kornitzer, 1968; Jafee e Fanshel, 1970) 1

sono in disaccordo con tale r isultato e affermano come, più che la classe

sociale, sia importante la qualità dello stile genitoriale.

Caratterist iche fisiche dei genitori adottivi: essi tendono ad avere

un’età media più alta r ispetto ai genitori naturali (30 anni contro 19) e

questo dato riguarda soprattutto le madri (Fergusson, 1995) 2 . Essi hanno

poi maggiori probabili tà di incorrere in problemi di salute (Seglow,

1972). Questi dati però non possono essere considerati dei buoni

predittori del l ivello di adattamento del bambino, come può esserlo

invece i l fatto che molto spesso tali genitori hanno alle spalle un

maggior numero di anni di matrimonio (McWhinnie, 1967) 3 .

Evidentemente la stabilità familiare costituisce una risorsa importante

per il bambino, il quale può trarre da esso un giovamento che si r if lette

su altre aree della sua vita.

Stile e qualità genitoriale: questi aspetti si traducono nel modo con cui

vengono trattati i bambini, nella sensazione che si ha circa l’adozione,

nei problemi legati all’inferti l i tà e nella relazioni tra i coniugi (Seglow,

1 Kornitzer, M. (1968). Adopted Children and Family Life. London: Putman;Jafee, B., Fanshel, D. (1970). How They Fared in Adoption: A Follow-up Study. New York: Columbia University Press.Citato da Howe, D. (1998).2 Fergusson, D.M., Linskey, M., Horwood, L.J. (1995). The adolescent outcomes of adoption: a 16 year longitudinal study. Journal of Child Psychology & Psychiatry, 36 (4), 597-616.Citato da Howe, D. (1998).3 McWhinnie, A.M. (1967). Adpted Children: How They Grow Up. London: Routledge & Kegan Paul.Citato da Howe, D. (1998).

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

1972). La relazione tra questi fattori e il buon adattamento del bambino

è tutto fuorché lineare e causale. Infatti le difficoltà temperamentali dei

bambini possono causare una genitorialità povera (Maurer, 1980) 1 .

Rispetto a questa variabile è importante considerare le caratteristiche del

matrimonio in quanto la qualità della relazione tra i partners influenza

grandemente il clima emotivo e sociale della famiglia oltre che i l modo

di relazionarsi coi figli . Viene molto enfatizzato dalla letteratura il fatto

che il matrimonio sia stabile, felice e soddisfacente per entrambi i

partners (McWhinnie, 1967).

Le attitudini e abilità di chi adotta hanno implicazioni importanti. Ciò

che il genitore dice, fa, pensa e sente influenza molto lo sviluppo del

bambino. La genitorialità dovrebbe essere responsiva, emozionalmente

sicura, accettante, con disciplina coerente, incoraggiante, concedere

libertà di sviluppo secondo le proprie linee, entusiasta dell’adozione,

dispensatrice di amore per il bimbo, con strategie di reciprocità (Wachs,

1992). I l tutto indirizzato verso la realizzazione di un attaccamento

sicuro, un’alta autostima e una buona competenza nel problem solving.

Composizione del nucleo familiare: le due variabili fondamentali in

questo caso sono le dimensioni della famiglia e la presenza di eventuali

altr i fratelli al suo interno. In genere le famiglie adottive tendono ad

essere di piccole dimensioni ( la maggioranza ha un bambino e al

massimo due), al contrario dalle famiglie da cui provengono gli

adottandi (Seglow, 1972). I l fatto di essere figli unici aumenta la

probabilità di avere problemi di adattamento (soprattutto nei maschi)

(Bohman, 1970) 2 , ma, d’altro canto, la presenza di figli naturali in

famiglia porta i bambini adottati a vedere in modo negativo l’adozione

(Hoopes, 1970). Quindi possiamo affermare che avere fratell i è un

fattore sia di r ischio che di protezione per i f igli adottati .

Affrontare il significato dell’adozione: i genitori adottivi devono

necessariamente convivere con molte difficoltà, molte delle quali

1 Maurer, R., Cadoret, R., Colleen, C. (1980). Cluster analysis of childhood temperament data on adoptees. American Journal of Orthopsychiatry, 50, 522-534.Citato da Howe, D. (1998).2 Bohman, M. (1970). Adopted Children and Their Family. Stockholm: Proprius Press.Citato da Howe, D. (1998).

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

aggiuntive rispetto al compito di genitore naturale (Kirk, 1964) 1 : devono

interagire con molte persone per avere i l bambino, non sono certi del

loro status di genitori nell’adozione anche dopo aver avuto il bimbo, non

sono certi del t ipo di relazione che stabiliscono col il bambino,

affrontano molti conflit t i a causa della continua tensione che si viene a

creare tra i processi di integrazione e differenziazione (paradosso

dell’adozione), devono integrare all’interno del sistema familiare un

nuovo membro che ne va ad alterare gli equilibri, affrontano il problema

della r ivelazione dell’adozione.

Di fronte a queste difficoltà, secondo la classificazione di Kirk, i

genitori adottivi possono rigettare le differenze r ispetto alla genitoriali tà

normale, simulando di essere una famiglia normale. Questo però l i porta

a chiudersi in sé stessi proprio perché sentono la differenza come un

handicap e questa, nel lungo periodo, creerà delle problematiche nel

bambino a cui non è stata data la possibilità di r if lettere sull’adozione.

Oppure possono accettare le diversità r iconoscendo che ci sono delle

differenza tra la famiglia attuale e quella di provenienza. Ciò è di grande

aiuto per la costruzione dell’identità dei bambini.

La terza via consiste nell’accettare le differenze addirit tura insistendo

su di esse , accentuandole (Brodzinsky, 1987). I bambini adottati qui non

vengono visti come parte integrante della vita familiare, ma come

totalmente alieni da essa. Questa opzione crea nei bambini sensazioni di

negazione, abbandono, problemi di identif icazione, scarsa competenza

sociale.

Esiste anche una quarta modalità di porsi consistente nel distinguere

poco le dif ferenze (Kaye, 1990) 2 . Queste non vengono rifiutate, ma i

genitori non sentono tali differenze come un problema nelle relazioni

familiari .

I bambini adottivi necessitano, per poter sviluppare un forte senso di

sé, di costruire e sentire un grande senso di appartenenza. Perché ciò

1 Kirk, H.D. (1964). Shared Fate: A Theory of Adoption and Mental Health.New York: Free Press.Citato da Howe, D. (1998).2 Kaye, K. (1990). Acknowledgement or rejecton of differences? In: D.Brodzinsy, M. Schechter (eds). The Psychology of Adoption. New York: Oxford University Press.Citato da Howe, D. (1998).

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

possa realizzarsi occorre apertura, onestà e accettazione delle differenze

alla base della comunicazione familiare.

Brodzinsky (1987; 1990) 1 espone il “modello di stress e coping

nell’adattamento dell’adozione” rifacendosi e adattandolo ai lavori di

Erikson sullo sviluppo psicosociale (1963) 2 . Secondo tale modello i

bambini adottati hanno gli stessi compiti di sviluppo dei non adottati più

alcuni peculiari dell’adozione. Il successo in questi compiti extra

r ichiede responsabilità, empatia, accettazione, f lessibilità nei genitori

adottivi per far sì che i bambini capiscano cosa significhi adozione per

loro e per gli altri . In questo modo potranno capire chi sono ai loro occhi

e a quelli delle persone che li circondano. Il successo in questi compiti

extra f inisce per migliorare la propria autostima e sicurezza, due

importanti fattori di protezione.

Nelle persone adottate può esistere un elemento di insicurezza nelle

relazioni con gli altr i: si tratta della paura di essere abbandonati.

Rispetto a tale aspetto possono reagire con due modalità differenti: in

modo internalizzato chiudendosi in sé stessi, oppure in modo

esternalizzato con forme di comportamento oppositivo (Bagley, 1993) 3 .

Compito dei genitori adottivi, di fronte a queste manifestazioni di

difficoltà, è capire ed accettare tali emozioni per far sentire i f igli sicuri.

I genitori che adottano però tendono a divenire ipercoinvolti ,

iperprotettivi , possessivi: tutti aggettivi che tendono a ricevere una

connotazione negativa. Maggiore è il calore e l’accettazione, migliore

sarà l’adattamento dei bimbi.

Tutta questa lunga dissertazione e r ivisitazione di parte della

letteratura raccolta da Howe ci offre uno spunto di r iflessione rispetto al

significato di tali dati . Pare che dietro all’ impostazione seguita da tali

indagini si erga un modello culturale e pedagogico molto rigido e che

ragiona per vecchi luoghi comuni. L’idea di adozione come istituto

1 Brodzinsky, D. (1990). A stress and coping model of adoption adjustment. In: D.Brodzinsy, M. Schechter (eds). The Psychology of Adoption. New York: Oxford University Press.Citato da Howe, D. (1998).2 Erikson, E. H. (1963). Childhood and Society, 2nd edn. New York: Norton.Citato da Howe, D. (1998).3 Bagley, C. (1993). International and Transracial Adoptions. Aldershot: Avebury.Citato da Howe, D. (1998).

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

negativo è stata f inora il leit-motiv di buona parte dei contributi citati .

Non è difficile capire come il concetto di adozione venga visto rispetto

ad un modello di genitorialità normale.

Tali studi hanno poi la pretesa di porsi come elementi indicativi del

comportamento che i genitori adottanti dovrebbero tenere, come

portatori di una verità acquisita e al di sopra delle parti . La rigidità di

alcune affermazioni ci porta più vicini ad un atteggiamento dogmatico e

assolutistico che ad indagini di t ipo meramente conoscitivo.

Forse, più che studiare l’adozione rispetto al nostro modello di

genitorialità-tipo, dovremmo sforzarci di guardare all’adozione come una

genitorialità differente che presenta caratteristiche specifiche che non

traggono giovamento da alcun tipo di confronto con la cosiddetta

normalità, se non giudizi svalutanti.

Un genitore adottivo è sottoposto a carichi di stress aggiuntivi per ovvie

ragioni che approfondiremo strada facendo nel corso di questo lavoro.

Ma affermare che il legame genitoriale si viene a creare attraverso

maggiori difficoltà, non ci consente di chiamare in causa le categorie

della patologia o di poter interpretare ogni comportamento come la

manifestazione di un percorso distorto.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Disturbi legati all’adozione

L’adozione, lo abbiamo già visto, viene considerata portatrice di una

serie di problematiche aggiuntive rispetto ad uno sviluppo normale, sia

nei bambini che nei genitori. Per quanto riguarda i primi questi devono

fare i conti con il dolore di passate esperienze di abbandono o di

deprivazione, se non di maltrattamento. I secondi hanno l’ incombenza di

assumere i l ruolo parentale (nella maggioranza dei casi un ruolo nuovo)

e di rispondere alle esigenze di riparazione del f iglio. «Impegnarsi a

fare i genitori significa […] mirare in alto. Inoltre, poiché fare i l

genitore con successo è una chiave di volta per la salute mentale delle

nuove generazioni, abbiamo bisogno di sapere tutto il possibile riguardo

alle molteplici condizioni sociali e psicologiche che influenzano in senso

posit ivo o negativo lo sviluppo di tale processo» (Bowlby, 1988).

Le esperienze sfavorevoli che vengono vissute nel rapporto coi

genitori durante l’infanzia hanno un impatto decisivo nel determinare i

disturbi cognitivi nel bambino. Ancor di più quando le esperienze di

separazione si r ipropongono riattivando situazioni di stress psicologico.

I l bambino può perdere fiducia negli adulti e in se stesso rispetto alle

proprie capacità di costruire legami affettivi e quindi manifestare

angoscia e comportamenti antisociali .

I primi anni di vita poi sono fondamentali per quanto riguarda lo

sviluppo adeguato e sano di molte funzioni cognitive e comunicative,

prima fra tutte lo sviluppo del linguaggio. In questa prospettiva è di

primaria importanza che i l bambino possa disporre di una buona qualità

di cure da parte del caregiver. Facendo riferimento alle categorie di

Thomas e Chess (1977) 1 , esistono prove valide secondo le quali cure

materne premurose e sensibili portano anche il bambino “difficile” a

svilupparsi bene (Sameroff e Chandler, 1975) 2 . D’altro canto un bambino

1 Thomas, A., Chess, S. (1977). Temperament and development. New York: Bremner/Mazel.Citato da Schaffer, H.R. (1996).2 Sameroff, A.J., Chandler, M.A. (1975). Reproductive risk and the continuance of caretaking causality. In F.D. Horowitz, et al. (eds). Review of Child Development Research, vol.4. Chicago: University of Chicago Press.Citato da Bowlby, J. (1988).

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

“facile” può essere condotto ad uno sviluppo disturbato se incontra cure

insensibili (Sroufe, 1983) 3 .

Tra i genitori adottivi, come del resto tra i genitori normali, esistono

naturalmente coppie più abili di altre nel rapporto coi bambini. Le

agenzie d’adozione, però, selezionano, preparano e approvano solo quei

genitori che appaiono migliori nel crescere i bambini. L’aspettativa che

ne conviene è che i bambini adottivi avranno pochissimi problemi.

Purtroppo non è così. Questo perché l’adozione (sia per chi adotta che

per chi viene adottato) è un fatto emozionalmente non neutro che deriva

da esperienza di forti lutt i . Inoltre il temperamento e il comportamento

dei bambini influenzano la qualità di cure genitoriali r icevute.

Tizard (1977) afferma che le coppie senza figli e i bambini senza

genitori hanno più probabili tà di soffrire di problemi inerenti i l dare e il

r icevere affetto e i l mantenere relazioni durature. Quindi l’adozione,

date queste premesse, appare come una soluzione alle necessità

emozionali di entrambe le parti , evitando però che tale incontro divenga

solamente un atto compensatorio e r iparatore del dolore fin lì provato.

Abbiamo riscontrato in letteratura come i bambini adottati debbano

fare i conti con due turbative essenziali: l’angoscia di separazione e il

lutto. La capacità di elaborare tali sofferenze viene considerata,

soprattutto dagli operatori del settore, alla base del buon esito

dell’adozione.

Un dato che ritorna spesso è quello secondo cui i bambini adottivi

incontrano molti problemi a scuola: difficoltà di concentrazione, di

apprendimento, di comportamento. Questi possono essere determinati dal

dover affrontare un passaggio difficile da una situazione di dipendenza

ad una di autonomia, dalla protezione alla responsabilità. Le capacità

simboliche necessarie per effettuare tale passaggio sembrano esser

insufficienti nel bambino adottivo, incapace di mantenere dentro di sé il

legame parentale, base sicura da cui partire per dare avvio

all’apprendimento. Resta l’angoscia dell’abbandono che paralizza i l

3 Sroufe, L.A. (1983). Infant-caregiver attachment and patterns of adaptation in pre-school: the roots of maladaptation and competence. In M. Perlmutter (eds). Minnesota Symposium in Child Psychology, vol.16. Minneapolis: University of Minnesota Press. Citato da Bowlby, J. (1988).

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

pensiero sovraccaricandolo e non lasciando così spazio creativo per la

conoscenza.

Bowlby afferma che le minacce di abbandono hanno gli stessi esiti

patologici delle separazioni reali . Spesso queste vengono usate come

un’arma molto potente con lo scopo di controllare i l comportamento del

bambino stesso. Inevitabilmente questi finirà per conformarsi ai desideri

dei genitori, senza possibilità di realizzarsi per quello che realmente

prova ed è.

«[…] alla base di alcuni disturbi psicopatologici quali i cosiddetti

deficit di attenzione accompagnati da iperattività, i l disturbo oppositivo-

provocatorio, disturbi dell’apprendimento, frequentemente diagnosticati

dai clinici in bambini adottati , [vi è] la riattivazione del trauma

dell’abbandono nel sentimento di perdita della continuità relazionale »

(Viero, 2001).

Tutte queste problematiche, a cui abbiamo brevemente accennato, ci

r icordano quanto, per essere preparati ad affrontare lo spinoso campo

dell’adozione, occorra una preparazione vastissima: in materia di dirit to,

di sviluppo emotivo, di clinica. Occorre che ci si addentri al suo interno

guidati da operatori qualificati capaci di effettuare analisi adeguate del

singolo caso, in modo da evitare insuccessi prevedibili: i “fallimenti

adottivi” (per citare il t i tolo del l ibro di Jolanda Galli pubblicato nel

2001).

In base agli studi fatti e all’esperienza degli operatori , esiste accordo sul

fatto che l’adozione sia una buona cosa e che molto spesso vada incontro

ad esiti favorevoli . Winnicott (1954) 1 però afferma che «un’adozione

fall ita è di soli to disastrosa per il bambino, al punto che sarebbe stato

meglio per lui che non si fosse nemmeno tentato» .

È bene inoltre non trascurare la percezione che hanno i genitori del

f iglio adottivo. Chiaramente percepirne le differenze rispetto ad un

figlio naturale è doloroso e può formare una barriera nei suoi confronti .

È molto più soddisfacente e semplice vederli come simili . Ciò però

1 Le trappole dell’adozione.In Winnicott, D.H. (1996).

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

nasconde alcuni pericoli da non sottovalutare, come la creazione di

aspettative che possono venire frustrate.

Alcuni studi hanno indicato l’esistenza di variabili fondamentali nel

contribuire alla creazione di un buon adattamento dopo l’abbinamento

con il nuovo figlio adottivo: la soddisfazione nel ruolo di genitore,

l’accettazione del ruolo di f iglio adottivo, i l calore emotivo nei confronti

del bambino, la compatibili tà tra genitori nel prendere le decisioni e la

soddisfazione rispetto al matrimonio, i l parlare dell’adozione (Berry,

1992) 1 .

È opinione diffusa che molti problemi possano essere evitati se si

r ivela al bambino la verità circa il fatto di essere adottato, soprattutto se

ciò gli viene detto in età precoce. Le semplici informazioni non sono di

per sé sufficienti. I bambini adottati hanno bisogno di poter fare

affidamento su persone che li sostengano nella ricerca della verità e che

siano comprensivi verso la necessità di vivere le emozioni legate alla

loro origine. Rispetto a tale tema, però, si sono creati anche molti

malintesi, come vedremo più avanti .

Altro aspetto da prendere in considerazione è la possibili tà che i l

bambino adottato possa disporre di una buona stabilità familiare, tale da

consentire la creazione di quella base sicura da cui partire per esplorare

il mondo e conoscere se stesso.

Durante l’adolescenza i f igli adottivi si differenziano da quelli

naturali . Essi vivono questo periodo della loro vita con maggiore

tensione rendendosi goffi e impacciati . Sono ragazzi che necessitano di

maggiore attenzione e maggiori spiegazioni. Nel prossimo paragrafo

tratteremo questo tema in modo più dettagliato.

Molta attenzione va dedicata all’evitare di rintracciare le cause dei

disturbi di un bambino adottato sempre e soltanto nelle proprie origini

ed esperienze passate. Il bimbo sente molto profondamente i sentimenti e

lo stato d’animo dei suoi nuovi genitori e può soffrire di tale situazione

indipendentemente dal dolore provato per l’abbandono e per le

esperienze precedenti l’adozione.

1 Berry, M. (1992). Contributors to adjustment problems od adoptees: a review of the longitudinal research. Child and Adolescent Social Work Journal, 9, 525-540.Citato da Howe, D. (1998).

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Secondo Lanza e Sabatello (1996) i bambini adottivi tendono ad essere

segnalati e seguiti dai servizi psichiatrici con frequenza maggiore

rispetto agli altri (come abbiamo già visto nei paragrafi precedenti) .

Questo dato però va valutato con cautela, in quanto i bambini adottivi

vengono segnalati anche quando i loro problemi non sono così

significativi da giustif icarne l’ intervento dello specialista. «[È] come se

fosse per loro facilitata la strada del ricorso alle isti tuzioni » .

L’adozione viene quindi spesso inquadrata come un fattore di r ischio che

merita un’attenzione particolare.

Gli stessi Autori sottolineano comunque i grandi successi ottenuti

dall’ istanza dell’adozione. Molte f igure genitoriali sostitutive infatti

sono riuscite ad aiutare i bambini a svolgere il proprio filo della vita,

all’ insegna di quell’amore indispensabile per vivere. Questo ci pare il

contributo più grande che i genitori adottivi possano dare e i l punto di

partenza da cui cominciare ad inquadrare i l tema dell’adozione.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Adolescenza

L’età adolescenziale è per molti esseri umani «un periodo della vita che

ha molti aspetti di discontinuità» (Ammaniti e Stern, 1985). Si tratta di

un periodo di crisi dovuto a vari fattori come i cambiamenti f isici, le

trasformazioni sessuali, l’oscillazione degli stati d’animo, solo per

citarne alcuni. Tali sconvolgimenti, che hanno inizio nella pubertà,

sembrano non trovare nell’adottato un apparato psichico in grado di

tollerare l’ impatto di tale metamorfosi.

Per un giovane adottato poi a queste problematiche e compiti di sviluppo

se ne aggiungono altr i caratteristici della sua condizione. «Sono

dell’avviso che sebbene nell’infanzia adottiva […] i problemi siano già

suff icientemente consistenti, con l’arrivo dell’adolescenza, tendono

notevolmente ad amplificarsi»(Galli , 2001).

Il pensiero di essere figlio di una madre sconosciuta e di una terra

lontana può diventare insopportabile. Ai genitori è demandato i l compito

di essere pazienti e comprensivi rispetto a un momento di passaggio

molto complesso nella vita dei loro figli adottivi.

L’adolescenza è considerata un evento critico all’ interno del ciclo di

vita familiare. «L’ingresso di un membro della famiglia nell’adolescenza

è uno di tali eventi critici, un momento particolare di “crisi” potenziale

per l’equilibrio familiare: le modalità abituali di funzionamento sino a

quel momento sperimentate risultano infatti inadeguate ed occorre

operare una riorganizzazione, tramite l’attivazione di nuovi processi di

adattamento» (Zani, 1993). La qualità di tale adattamento è strettamente

legata a quella delle relazioni all’ interno della famiglia, specie quelle

che intercorrono tra genitori e f igli . Proprio qui emerge quella che

Fausta Ferraro (1996) considera la complessità delle funzioni genitoriali ,

ovvero «[…] la capacità di mantenere uno sguardo di accompagnamento

a distanza» .

Il processo di trasformazione si articola in una dialett ica tra autonomia e

dipendenza, compito sempre più difficile dati i cambiamenti sociali

odierni e carico di ambivalenze e di componenti dinamiche.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Per quanto riguarda i l caso specifico dei genitori adottivi « la

problematica adolescenziale diventa […] acuta e gli stessi genitori ne

vengono coinvolti perché, nella necessità di ridefinire il rapporto con lui

(il bambino) essi devono ripensare il loro ruolo genitoriale e ciò fa sì

che si ripresentino in loro, soprattutto se non sono state

convenientemente elaborate e risolte, le problematiche connesse con i

sensi di inadeguatezza ad esso e con il t imore di perdere l’affetto del

f iglio che avevano caratterizzato il momento della loro scelta di

adottare» (Dell’Antonio, 1994).

Si presentano difficoltà nel confrontarsi con le proprie ansie e nel

r idefinire i reciproci rapporti . Perché l’adolescente adottato possa essere

in grado di affrontare i compiti di sviluppo legati a questa fase della vita

ha la necessità di recuperare una dimensione personale data dal r icordo

delle esperienze precedenti l’adozione e, nel caso di adozione

internazionale, del paese di origine.

Occorre stabilire un dialogo all’ interno della famiglia, «[…] un percorso

che partendo da realtà personali diverse permetta di elaborare obiett ivi ,

sti l i di vita ed anche valori da tutt i condivisi e riconosciuti come

“propri”» (Dell’Antonio, 1994). Da questa base diventa più agevole per

il neoadolescente incamminarsi verso la costruzione di una propria

autonomia ed identità. «[…] le diverse “proposte identitarie” con cui il

minore entra in contatto, nel corso del suo processo di socializzazione,

tendono a scontrarsi e sovrapporsi con un impatto violento che provoca

vari e differenti terremoti identitari» (Harrison, 2001).

Durante l’adolescenza, infine, acquisisce grande importanza il gruppo

dei pari . I coetanei infatti rappresentano un importante attore sociale che

contribuisce alla ricerca dei processi identitari , grazie all’offerta di un

forte senso di appartenenza al gruppo e di differenziazione rispetto al

mondo adulto. I ragazzi adottati possono avere difficoltà ad inserirsi in

un gruppo di coetanei per vari motivi: a causa di discriminazioni r ispetto

alla condizione adottiva, oppure per le difficoltà a mettere in atto il

processo di separazione dalle figure genitoriali . Non ci sono comunque

dati che affermino che i ragazzi adottati non possano usufruire

dell’appoggio di questo gruppo di socializzazione. Come non ci sono dati

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

certi e inoppugnabili che asseriscano che solo l’adolescenza adottiva

vada considerata un’istanza a r ischio, quando siamo circondati da esempi

di adolescenti coinvolti in veri e propri drammi familiari che

appartengono alla categoria dei f igli cosiddetti normali.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Meccanismi difensivi

L’adozione viene considerata un’esperienza con forti componenti

traumatiche. Come in tutte gli eventi della vita che hanno a che fare con

situazioni complesse e dolorose, anche in essa chi vi è coinvolto mette in

gioco una serie di difese psicologiche. Quando parliamo di difesa

psicologica facciamo riferimento ad un’ «operazione psichica […] messa

in atto per ridurre o sopprimere ogni turbativa che possa mettere in

pericolo l’ integrità dell’Io e il suo equilibrio interno» (Galimberti ,

1999) . L’individuo riesce così a mantenere un equilibrio emotivo di

fronte alle tante turbative incontrate durante la propria esistenza.

«L’Io è vittorioso quando le sue misure difensive raggiungono lo scopo,

quando cioè esse gli permettono di arginare l’angoscia e la sofferenza e

gli assicurano, grazie ad una trasformazione degli ist inti , una certa

gratificazione anche in circostanze difficili , stabilendo così, nella

misura del possibile, un accordo armonico tra Es, Super-Io e le forze del

mondo esterno» (Freud, A. , 1936).

La psicoanalisi si è occupata molto di questi temi ed ha indicato diversi

t ipi di meccanismi difensivi che presentano notevoli differenze l’uno

dall’altro.

Nell’ambito dell’adozione emergono maggiormente alcuni tipi di

difese, anche se in linea generale tutte vengono in qualche modo

chiamate in causa. Carmen Morral Colajanni (1992) sostiene che le

famiglie coinvolte in una adozione problematica presentano difese

estremamente rigide in cui il bambino è depositario di una conflittuali tà

non risolta.

Purtroppo i genitori che si avvicinano pieni di speranze all’adozione

possono andare incontro ad una serie di problematiche molto ardue e di

lunga durata. Si dice che l’adozione è per sempre, che non si può

stabilirne a priori una fine. E spesso questo lungo percorso non si

conclude con l’agognata acquisizione di un bambino.

I servizi, secondo Morral Colajanni (1997), vengono demonizzati e visti

come in possesso della potenza e della creatività, contro una coppia

depositaria dell’impotenza. «Il percorso istituzionale […] propone

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

modelli di difesa molto primitivi e persecutori. Sarebbe auspicabile che

già dal primo momento si incontrasse un clima preparatorio,

trasformativo, di ri flessione ed elaborazione con il conseguente

arricchimento del mondo interno» .

I servizi divengono così un contenitore istituzionale facile oggetto della

proiezione di vissuti di t ipo persecutorio da parte della coppia.

A questa serie di difficoltà vanno poi aggiunti quei traumi che possono

aver portato alla decisione di adottare: un esempio tra tutti la steri li tà,

argomento molto difficile da affrontare e accettare. Si tratta di un lutto

che richiede molta forza per essere elaborato, e che spesso non conosce

un suo pieno superamento. Di fronte a tale situazione i genitori possono

esibire un senso di onnipotenza nel tentativo di annullare il l imite

procreativo. A tale onnipotenza può subentrare un opposto senso di

impotenza dovuto alle reali difficoltà in cui versa la coppia. Diviene

quindi importante accettare il l imite imposto dalla sterili tà.

L’elaborazione del lutto viene considerata, in ambito psicologico, una

componente chiave dell’esperienza dei genitori adottivi, che si trovano

costrett i a r inunciare all’ idea di poter procreare, di avere un figlio

proprio, di divenire un genitore naturale e “normale” come tutti gli altr i .

Altre difese estremamente rigide possono essere messe in campo dalla

coppia rispetto alla capacità di elaborare l’aspetto della rivelazione e del

passato del bambino. Si tende a negare tale passato, a “destorificare” il

minore negandone le sofferenze passate e i legami con i genitori naturali

e con la sua terra.

Si idealizza un bambino perfetto che venga a compensare la sofferenza

dei genitori, i quali a loro volta possono spostare su di lui alcune

sensazioni spiacevoli secondo il meccanismo dell’ identif icazione

proiettiva. Si può avvertire anche una certa difficoltà da parte del

bambino e dei genitori nell’integrare gli aspetti buoni e catt ivi di sé e

dell’altro secondo un meccanismo di scissione.

L’adozione quindi si viene ad inquadrare come una situazione di

trauma su trauma, una serie di difficoltà a livello psichico (e pratico)

che ne rendono difficoltosa la realizzazione. La mente umana però è

dotata della capacità di r iparazione, un meccanismo in grado di donare

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

valenze posit ive ad esperienze angoscianti. Così l’adozione passa da una

condizione di lutto ad una disponibilità ad accogliere. Adottare come

prendersi cura attivando la funzione genitoriale, passando dall’attenzione

all’oggetto, come elemento da riparare. alla funzione riparatrice della

mente collegata alle esperienze emotive.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

3.

BAMBINO IMMAGINATO, FANTASTICATO E

REALE

Ogni coppia genitoriale, qualsiasi sia la modalità con cui lo diventa,

costruisce delle aspettative riguardo all’idea del futuro figlio, crea

un’immagine del bambino. «Entrambi [i genitori] durante la gravidanza

sviluppano attese ed elaborano fantasie sul loro bambino, derivate a

loro volta dalle esperienze delle proprie relazioni passate, in cui

vengono integrate anche alcune eventuali percezioni reali » (Ammaniti e

Stern, 1995). In tal modo essi costruiscono una fantasia del bambino.

In psicoanalisi quando si parla di fantasia si fa r iferimento ad un

elemento che si trova in stretta relazione con la realtà che partecipa alla

sua organizzazione. Quando parliamo di realtà intendiamo una realtà

esterna ed oggettiva. Essa è distinta da quella interna definita «realtà

psichica, regno di immagini, sentimenti, pensieri, che occupano

metaforicamente uno spazio interno al soggetto» (Ammaniti e Stern,

1995).

L’idea di bambino nasce all’interno di uno spazio mentale

emotivamente molto forte in cui la rappresentazione dello stesso

bambino può essere più o meno flessibile. La letteratura su tale

argomento pone l’accento sul fatto che maggiore è tale f lessibilità,

migliore sarà l’adeguamento dei genitori al momento del contatto col

bambino reale, ovvero quello che esiste nella concretezza della

quotidianità. Come afferma Gandione (1998) aver desiderato, pensato,

immaginato il bambino «è necessario per poter entrare in contatto con

lui, ma il bambino della fantasia deve potersi integrare con il bambino

reale perché questo possa essere riconosciuto» .

I l bambino viene solitamente immaginato, come afferma Castelfranchi

(1992), nelle fattezze di «un neonato sano e bello che somigli alla

propria immagine idealizzata» : quello che viene chiamato bambino

immaginato. I l termine immaginato non è però correttissimo in

riferimento ai genitori adottivi, poiché questi ult imi non hanno alcuna

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

esperienza su cui basare le immagini del bambino, come accade per i

genitori naturali . Questi ultimi, rispetto ai genitori adottivi, possono

disporre di un processo biologico che agevola notevolmente la r iduzione

della distanza tra ciò che si immagina e ciò che si manifesta nel mondo

concreto: l’esperienza della gravidanza concede ai genitori di effettuare

un graduale passaggio di conoscenza dal bambino immaginario della

gestazione a quello reale della nascita. Inoltre la possibilità di ottenere

una prima immagine del bambino attraverso l’ecografia è un altro

elemento che facil ita tale processo (Gagliardi et al. , 1985; Di Cagno et

al. , 1986; Todros et al . , 1988) 1 .

Per fare riferimento allo stesso passaggio nella coppia adottiva sarebbe

più idoneo utilizzare l’espressione “bambino fantasticato” . Si tratta

della costruzione di un’immagine che non può fare affidamento su alcun

dato esperienziale diretto e che per questa ragione ci pare più adeguata a

descrivere l’immagine creata da questi genitori durante i l periodo

dell’attesa. La letteratura sull’argomento però insiste sull’espressione

bambino immaginato o immaginario quindi, per evitare confusioni

terminologiche, continueremo ad utilizzare questi termini.

Nell’adozione, specie quella motivata da problemi di sterili tà, può

succedere che i genitori entrino in competizione con le capacità dei

genitori biologici: non a caso i l r icorrente desiderio e l’aspettativa di

ottenere l’abbinamento con un bambino neonato rif lettono in parte la

volontà di rendere la propria esperienza genitoriale simile a quella

naturale. Questo porta, come affermano Lanza e Sabatello (1996), ad

opporre alla procreazione corporea una procreazione solo mentale che

appare come la «realizzazione di un’onnipotenza di pensiero» .

1 Gagliardi, L., Todros, T., Sanfelici, C., Di Cagno, L., Rigardetto, R. Bondonio, L., Gandione, M., Butano, C., Randaccio, S., Tacconis, M.L. (1985). La donna e i movimenti fetali: bilancio psicologico dell’impatto ecografico. Bologna: Monduzzi;Di Cagno, L., Rigardetto, R., Bondonio, L., Gandione, M. (1986). La relation mère-foetus: une comparaison entre le bébé “senti” et le bébé “vu” sur l’écran de l’echographie. II° Congrès international, 21-25 Juillet 1986, Paris (France), Association International de psychiatrie de l’enfant et de l’adolescent et des professions associèes. Paris: Expansion Scientifique Française;Todros, T., Sanfelici, C., Rigardetto, R., Bondonio, L., Gandione, M., Panettoni, G.L. (1988). Quantitative evaluation of foetal motor activity: longitudinal study. Boll.Soc.It.Biol.Sper., 9, 845-851.Citati da Gandione, M. (1998).

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Winnicott, come abbiamo visto in precedenza, ha sottolineato come

l’onnipotenza sia una condizione di partenza da cui parte lo sviluppo del

pensiero e che ha origine dallo stato di fusione iniziale tra mamma e

bambino. Nelle coppie di genitori naturali la separatezza è una

condizione che si crea a partire da un legame fusionale. Nell’adozione

invece si parte da una distanza e da questa si cerca di stabilire un legame

stretto e, successivamente, una relazione profonda in cui dare spazio al

r iconoscimento dell’altro.

Secondo Santona (2001) il bambino immaginato può essere investito

della funzione riparativa rispetto alla storia personale dei singoli membri

della coppia e della coppia stessa. Tale bambino assume le sembianze del

f iglio del bisogno, chiamato a lenire le difficoltà interne dei coniugi,

invece che un figlio del desiderio, frutto di affettività maggiormente

integrate ed elaborate.

La coppia, soprattutto la donna, f in dall’inizio della ricerca del

concepimento, porta già dentro di sé l’immagine del bambino. Anche

l’esperienza traumatica della sterili tà non può impedire l’esistenza di

tale immagine, ma solo la sua assenza (Santona, 2001): «L’immagine del

bambino prende, allora, forma nella coppia sterile in due direzioni: una

di mancanza, nel reale, e l’altra di presenza, nell’immaginario » . E

ancora: « l’elaborazione permette la gestazione di uno spazio altro dove

può essere presente il bambino reale» .

In una ricerca eseguita in Veneto (AA.VV., 2001) è emersa la

difficoltà da parte dei genitori adottivi ad ammettere di aver costruito

un’immagine interiore del bambino prima del suo arrivo. Tale difficoltà

è dovuta, secondo gli Autori, a due fattori principali: la presenza

concreta del bambino reale che toglie spazio alla rappresentazione di

quello immaginato e la r itrosia a r iconoscere i meccanismi proiettivi a

cui è legata tale produzione della mente. I genitori tendono inoltre a non

trovare, qualora ne accettino la passata esistenza, differenze tra il

bambino immaginato e quello reale, attivando processi di negazione e

r imozione di fronte a tale vissuto.

Gli stessi Autori sottolineano come « la capacità di elaborare la

diversità tra i l bambino reale e quest’ult imo ( i l bambino immaginato)

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

produce conseguenze significative per il futuro equilibrio delle

relazioni» . All’interno di tale elaborazione rientrano la capacità di

r iconoscere le proprie aspettative rispetto al bambino e al suo futuro

inserimento nel nuovo contesto familiare e sociale.

Avere accesso a questo processo di “digestione” è impresa ardua: per

tale ragione la coppia potrebbe avere bisogno di essere accompagnata in

tale processo da operatori che la aiutino ad accettare e tollerare la

discrepanza che frequentemente esiste tra le due dimensioni, quella

immaginata e quella reale. Facendo ciò i genitori possono arrivare a

sentirsi comunque legittimati nell’aver prodotto una fantasia del loro

bambino benché ciò li esponga a possibili delusioni nel confronto con la

realtà concreta. Ma è proprio grazie a tale elaborazione che la coppia si

apre verso l’accettazione di «quel bambino in carne ed ossa che la

realtà propone» .

I l t ipo di immagine costruito può avere delle ripercussioni sul rapporto

tra genitore e bambino. Broussard (1984) 1 ha realizzato degli studi in cui

emerge che gli esit i evolutivi dei bambini sono correlabili alla

rappresentazione che la madre possiede del proprio bambino ad un mese

di età e della relazione con cui essa si rapportava idealmente a lui. Non

si tratta quindi di un aspetto trascurabile in quanto va ad inserirsi

profondamente nella concretezza del rapporto genitore-figlio.

Francesco Viero (2001) indica nella frustrazione e nel dolore derivante

dalla mancata congruenza tra i l “figlio reale” e i l “figlio del desiderio”

degli aspetti centrali per quanto riguarda i fallimenti adottivi. L’aspetto

fondamentale dell’adozione, e della scelta della coppia idonea ad essa,

non è la mancanza di problemi al suo interno, bensì la capacità di farvi

fronte, di affrontare le difficoltà che esistono e che la vita proporrà. Il

bambino adottato rappresenta lo sconosciuto, l’estraneo, una situazione

di incertezza soprattutto rispetto ad un passato che non appartiene alla

coppia adottiva. Se ne deduce quanto sia insidioso affrontare il bambino

reale, portatore di un carico emotivo ed esperienziale spesso molto

pesante anche per genitori assai motivati e ben preparati a tale incontro.

1 Broussard, E.R. (1984). The Pittspburgh firstborns at age nineteen years. In J.D. Galeson, R. Tyson (a cura di). Frontiers of infant psychiatry. New York: Basic Books.Citato da Ammaniti, M., Stern, D.N. (1995).

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Rossana Dalla Stella (2001) parla del futuro genitore che, venuto a

contatto con il bambino vero, assegna a quest’ultimo la r inascita di un

fantasma contenuto nei recessi della mente e che coincide con il f iglio

idealizzato.

All’inizio, durante le prime fasi di incontro col bambino, i genitori

adottivi possono sentirsi ansiosi e incerti , t imorosi di non essere

accettati e di non riuscire a sviluppare e a far nascere un attaccamento

immediato. Inoltre i genitori possono essere perplessi dal fatto che il

loro desiderio di affetto immediato non venga esaudito e anzi vi sia una

certa difficoltà nel comprendere il comportamento del bambino.

La somiglianza fisica è un aspetto che aiuta molto nell’ identificazione e

nel r iconoscimento del proprio figlio. Tale dato manca nell’adozione,

soprattutto in quella internazionale, ed è una fonte aggiuntiva di

preoccupazione e disagio. Spesso i genitori cercano di superare tale

differenza, con la speranza di una casuale somiglianza fisica. Si cerca

così di diminuire l’estraneità del bambino che entra nella famiglia.

Dal punto di vista del bambino l’adozione viene a supplire ad

un’esperienza di perdita molto forte. La mancanza di cure adeguate nei

primi periodi di vita crea incertezza e ansia e questa si può ripercuotere

sulla nuova famiglia. Ai nuovi genitori è demandato il compito di

accogliere ed accettare i l bambino per come si presenta, per quello che è

ed è stato e cercare di garantire intorno a lui una certa continuità e

stabili tà. I l bambino imparerà così a lasciarsi alle spalle la mamma della

pancia , quella a cui deve la vita, per legarsi ai genitori del cuore, quelli

a cui deve l’origine dei suoi affetti .

La diversità fisica resterà un aspetto ineliminabile nel bambino, un

elemento che ricorda la sua origine. Gli operatori del settore battono

molto su questo punto invitando i genitori a fare in modo che

l’elaborazione della diversità sia continua e permanente.

Per tutti questi fattori divenire genitori adottivi si configura come un

percorso difficile, come del resto lo è qualsiasi t ipo di genitorialità. I l

passaggio dal bambino immaginato a quello reale viene considerato dalla

letteratura e dagli operatori un elemento molto importante per poter

affrontare al meglio il compito genitoriale. A tal proposito alcuni

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

strumenti sono stati approntati per valutare questo processo all’interno

dell’ indagine socio-psicologica con i genitori adottivi.

La ricerca che esporremo all’interno della parte III di questo lavoro

cercherà di mettere a fuoco tali elementi, soprattutto attraverso lo

strumento denominato “Descrizioni” .

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Vuoto e spazio mentale

L’adozione viene definita una “filiazione mentale” che comporta,

secondo Lanza e Sabatello (1996), una situazione di “vuoto di origine”

agli esordi della vita del bambino, e una di “vuoto in it inere” nella vita

della coppia: una doppia deprivazione che va alla ricerca di r iparazione.

Questo è un aspetto fondamentale che segna, insieme alla mancanza di

procreazione come atto psicofisico, una differenza con la genitorialità

biologica.

Danielle Quinodoz (1996) ha elaborato un concetto molto interessante

attraverso l’analisi di una paziente adottata. Questa, adottata all’età di

sei mesi, presenta la fantasia di non essere mai esistita prima

dell’adozione («I was born when I was six mounth old» , afferma la

ragazza in seduta), con una nascita che si può far r isalire al momento in

cui ha incominciato ad essere pensata. Il periodo precedente l’adozione

assume i connotati e l’aspetto di un vuoto-oggettuale (“ hole-object”) ,

creato dalla paziente per difendersi dalla sofferenza psichica e dagli

ist inti aggressivi verso l’oggetto stesso (in questo caso i genitori

naturali) . Sembra manchi nel suo mondo interno una rappresentazione

dei propri genitori biologici .

Tale concetto ci aiuta a comprendere quali sensazioni può provare un

individuo che deve confrontarsi ogni giorno con un passato indefinito e

con una nascita misteriosa e sconosciuta. Tale individuo può sentire di

essere nato dal niente e avere la sensazione di cadere nel vuoto. I l vuoto

è anche la conseguenza di una infinità di fantasie e di affetti che la

persona non è in grado di organizzare e a cui non riesce ad attr ibuire un

senso.

Un figlio adottivo incontra difficoltà aggiuntive rispetto ad un figlio

naturale nella costruzione della propria identità, poiché al suo interno

deve integrare le immagini dei genitori attuali con quelle fantasticate dei

genitori naturali . Come vedremo in seguito nel paragrafo dedicato

all’elaborazione del lutto, in questo processo è importante la

partecipazione di chi accompagna il bambino.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

L’importanza della “rivelazione” delle proprie origini e radici appare

quindi in tutta la sua grandezza e pregnanza. Questo tema però sembra

essere trattato come la panacea di tutti i mali, tanto da far passare l’ idea

che la rivelazione sia sufficiente per “chiudere” i buchi e r isolvere tutti i

problemi. Riempire tali mancanze può avere invece l’effetto opposto,

facendo emergere la convinzione che tali buchi non esistano o non

possano essere percepiti e pensati . La rivelazione assume un senso se

inserita in un processo di costruzione e ristrutturazione del rapporto con

i nuovi genitori, un processo che sappia integrare il passato e il presente

della storia del bambino e dei genitori adottivi .

Un individuo adottato, però, non può essere considerato solamente per

la dimensione di vuoto che lo accompagna a causa di vicende personali

di cui peraltro non è responsabile. Egli ha a disposizione un potenziale

spazio mentale all’interno del quale poter costruire nuove immagini e

nuovi legami capaci di r icostruire un nuovo equilibrio nella propria vita.

Qui i l lavoro e il ruolo dei genitori adottivi diviene fondamentale a

partire da un’accettazione incondizionata del bimbo, con la sua storia, la

sua cultura, la sua persona compresa nella totali tà.

Per i genitori non si tratta certo di un compito semplice. Le

problematiche che tali coppie hanno dovuto affrontare sono comunque in

agguato e possono creare qualche intoppo. Anche i genitori adottivi

conservano dentro di sé un vuoto che non è stato colmato. Il termine

colmare però può essere fuorviante. Quello che intendiamo è la capacità

di sperimentare l’esperienza del vuoto senza volerne rintracciare una

soluzione, ma sentir la, aprirsi verso questa per dare modo al pensiero di

emergere in tutta la sua potenzialità creativa. Bion afferma che il

pensiero nasce proprio dall’esperienza del non oggetto e dalla

frustrazione conseguente. «La tolleranza della frustrazione [è] di grande

importanza nel processo di formazione dei pensieri e della capacità di

pensare» (Grinberg, Sor e de Bianchedi, 1991).

Tornando allo specifico dell’adozione, Santona (2001) afferma che «si

deve poter trasformare una rappresentazione di vuoto, che può far

divenire infertile la mente della coppia, impedendogli di fantasticare un

figlio nato da altri o di farlo solo come surrogato di quello mai nato » . I l

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

vuoto non richiede di essere colmato, bensì di essere pensato e

trasformato. Quindi «[…] ogni deprivazione che chieda di essere

colmata ad ogni costo è ritenuta pericolosa per l’equilibrio adottivo, in

quanto può portare l’adulto all’uso del bambino come evitamento

dell’elaborazione» (Castelfranchi, 1992).

Anche la discrepanza che si avverte tra i l bambino immaginato e

quello reale può dare vita ad un senso di perdita, di mancanza, di lutto.

Tale stato, per quanto possa apparire negativo, «è necessario perché i l

bambino possa essere percepito nella sua realtà, unicità e separatezza »

(Gandione, 1998), innescando un forte bisogno di conoscersi

reciprocamente. In tal modo il bambino viene pensato, ovvero può

disporre di qualcuno che lo tiene nella sua mente, che capisce e dà

significato alla sua persona, che gli concede la possibil ità di dare avvio

alla sua capacità di pensiero.

In questo paragrafo abbiamo cercato di trasmettere quanto più

possibile una visione positiva del concetto di vuoto, visto più nelle sue

componenti di potenzialità che in quelle di mancanza. I l termine “vuoto”

richiama immagini di dolore e sofferenza; ma sono i sentimenti che

accompagnano il contatto con la realtà e la conoscenza.

I l nostro tentativo è stato ripensare l’adozione come un percorso di

conoscenza e di costruzione di un legame non solo affettivo, ma anche

mentale con i nuovi genitori, un legame che possa in qualche misura

sostituire il momento della nascita naturale. Il bambino per diventare

figlio ha la necessità di essere concepito e partorito dalla mente della

madre e r iconosciuto nelle proprie caratteristiche ed emozioni, in modo

da poter sentire di appartenere veramente e completamente alla nuova

famiglia come figlio e di avere la possibilità di vivere.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

4.

ASPETTI SPECIFICI DELL’ADOZIONE

Finora abbiamo delineato un quadro abbastanza articolato, e a volte

contraddittorio, di contributi r iguardanti l’adozione. Intorno a tali

argomenti possiamo rintracciare alcuni temi principali che ritornano

spesso in tutti i discorsi ad essa legati e che attraversano trasversalmente

la letteratura dedicata all’adozione

Ne abbiamo scelt i quattro. A nostro parere costituiscono le tematiche

che, secondo gli Autori, sono centrali e più di altre fanno emergere con

maggiore nitidezza i contorni definitori dell’adozione, i suoi significati e

le sue mille implicazioni.

L’analisi della letteratura ci ha così portato a scegliere l’argomento

della sterili tà, uno dei fattori principali che spinge alla scelta adottiva;

la sessualità come tema di indagine che si connette a quello

dell’ infertil i tà e che può avere implicazioni anche nella scelta di

affidarsi alla procreazione medicalmente assistita; l’elaborazione del

lutto come tematica centrale che viene sottolineata con forza dagli

operatori come il punto nodale di tutto il percorso adottivo; la

r ivelazione, aspetto considerato essenziale per lo stabilirsi di un rapporto

di fiducia e di condivisione con i nuovi genitori, anche se occorre fare

molta attenzione per non trasformare tale momento nella soluzione di

tutt i i mali.

Analizziamo ora nel dettaglio ognuno di tali aspetti cercando di

tracciarne un quadro completo rispetto a ciò che offre la letteratura a

r iguardo e, allo stesso tempo, proporre una visione critica di tali

contributi.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Sterilità’

«Nessun bambino nasce da l la panc ia de l la mamma,

tu t t i i bambini nascono da un aereo»

(un bambino adot ta to) 1

Le coppie che propendono per la domanda di adozione spesso presentano

un problema relativo alla procreazione. Tra questi la sterili tà è

sicuramente il principale e, soprattutto negli ultimi anni, è divenuta una

problematica in via di espansione. Questo è un dato che in letteratura

viene più volte ribadito senza però dimenticare la presenza di altri t ipi di

motivazione che avvicinano alla scelta adottiva.

La sterili tà è una problematica grave. Essa viene acutizzata dalla

stigmatizzazione che incontra rispetto alle sue componenti di privazione

e diversità.

Si può distinguere tra sterili tà e infertil i tà: la prima definita come

impossibili tà definit iva al concepimento, la seconda come incapacità di

r iuscire a portare a termine una gravidanza (AA.VV., 1991) 2 .

Secondo Farri Monaco e Peila Castellani (1994) il problema steril i tà (o

comunque difficoltà procreative in genere) riguarda un’ampia

percentuale della popolazione (15-20%): un dato che mostra chiaramente

quanto il fenomeno sia ampio e degno di attenzione, soprattutto nelle

società occidentali .

In campo sanitario una coppia viene definita sterile dopo due anni di

tentativi di fecondazione fallit i . Le cause sono ascrivibili tanto al

partner maschile che a quello femminile, mentre in passato dominava la

credenza di maggiori se non complete responsabilità a carico della

donna. Esistono anche casi di sterili tà cosiddetta di coppia: in questo

caso entrambi i coniugi sono portatori del problema, oppure non sono

stati individuati fattori certi di steri li tà ( steril ità sine causa) .

Frequentemente le coppie che intendono affrontare tale problematica

si dedicano molto attivamente a tentativi di procreazione assistita

1 In Dell’Antonio, A. (1994).2 AA.VV. (1991). Libro bianco sulla riproduzione assistita. Palermo: SIFES.Citato da Farri Monaco, M., Peila Castellani, P. (1994).

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

(PMA). Negli ultimi anni si è assistito ad un aumento massiccio del

r icorso a tali tecniche di fecondazione artificiale. Tale dato sembra

esplicitare, a parere di alcuni Autori (Farri Monaco e Peila Castellani,

1994), la necessità di diventare genitori biologici a tutti i costi . I l l imite

viene avvertito come intollerabile e al medico viene demandato il

compito messianico di fornire una soluzione a tale dolore.

In una ricerca Americana dell’American Fertil i ty Society, (AA.VV.,

1991) è stata stabilita la percentuale di successo delle tecniche di

r iproduzione artificiale. Su 100 donne solo il 13% riesce a dare inizio ad

una gravidanza, ma ancora meno sono quelle che riescono a portarla a

termine con successo: il 7,8%. Pare che venga sempre più a galla un

bisogno di superare i l imiti inaccettabili , di poter dominare l’esistente.

L’onnipotenza non lascia spazio all’ insuccesso tanto da trasformarsi, nel

nostro caso specifico, in vero e proprio accanimento terapeutico.

Quando le coppie che hanno tentato la via della procreazione

medicalmente assistita giungono alla r ichiesta di adozione hanno alle

spalle una serie, a volte consistente, di tentativi infruttuosi che hanno

portato speranze e delusioni. Questo fatto genera un lutto all’ interno

della coppia che richiede, secondo le modalità seguite dai servizi che si

occupano di adozione, una adeguata elaborazione.

Quando parliamo di “lutto” intendiamo un’esperienza strettamente

legata alla vita e all’esistenza. Essa non si r iferisce solo alla morte, ma è

riconducibile ad ogni si tuazione di mancanza sul piano affettivo. Così

anche l’ impossibili tà a procreare può scatenare un’esperienza di lutto. La

possiamo vedere come una morte particolare riguardante una parte del

proprio sé e del desiderio di continuità generazionale. Inoltre, come

afferma Dalla Stella (2000), « i l sogno di dare alla luce un figlio, se da

una parte proietta certamente la coppia nel futuro, verso l’ immortalità

generazionale, dall’altra si radica nel passato individuale e sociale » .

Quindi, oltre ad una dimensione di proiezione futura, esiste, nella ricerca

della genitorialità, anche un forte ancoraggio alle proprie radici che si

manifesta nella ricerca di somiglianze fisiche nel bambino, anche se si

tratta di un bambino adottato.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Siamo di fronte a sentimenti molto forti che necessitano di una profonda

e lunga elaborazione mentale. Senza di essa la scelta adottiva sembra non

potersi esimere da spiacevoli fallimenti .

In una ricerca condotta in Veneto da Bonato, Lissandrini e Mirandola

(1995) emergono alcuni aspetti interessanti che possiamo aggiungere alla

nostra trattazione.

Gli Autori hanno studiato 232 schede (e quindi 232 coppie) esaminando

la f il iazione, le esperienze di aborto spontaneo e provocato, i percorsi

che portano alla scoperta della steril i tà e i conseguenti atteggiamenti

verso l’adozione, la sfera sessuale e le difficoltà a volte ad esse

implicate. Tutte le coppie che hanno costi tuito il campione sono state

giudicate dal Tribunale dei Minori idonee all’adozione. Circa il 73%

delle coppie non ha mai vissuto l’esperienza di iniziare una gravidanza.

I l 21% ha affrontato l’esperienza della perdita del bambino durante la

gravidanza con una media di circa 2 aborti per coppia. Solo una piccola

minoranza di coppie è riuscita ad avere figli biologici (6%).

Le coppie steril i tendono, al momento dell’abbinamento col bambino

adottivo, ad essere meno deluse delle coppie non steril i . Forse, secondo

gli Autori , i l fatto di non avere altre alternative per divenire genitore

non permette di avere verso il bambino quei sentimenti di delusione che

può invece provare con maggiore libertà chi ha la possibili tà di avere un

figlio naturale.

Emerge inoltre che le coppie sterili manifestano maggiori capacità

r iparative rispetto alle non sterili (a meno che non abbiamo elaborato

adeguatamente la propria condizione di sterili tà) .

La sterili tà quindi sembra costituire un parametro da tenere in grande

considerazione per garantire un buon esito del percorso adottivo. Non

esistono prove del fatto che genitori sterili non possano rivestire

adeguatamente il ruolo genitoriale. La condizione sine qua non pare

essere la possibili tà di elaborare il lutto derivante dalla scoperta di non

poter avere figli .

Nel percorso di acquisizione della genitorialità biologica i l periodo della

gravidanza può essere considerato un periodo provvidenziale. In esso

infatti la donna e futura madre può trovare il tempo per effettuare quel

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

graduale cambiamento che la porta da un tipo particolare di

egocentrismo ad un altro. Lo stesso processo riguarda i padri o le

persone che decidono di diventare genitori attraverso l’adozione. In

quest’ultimo caso il genitore acquista consapevolezza dell’idea di

adottare e si mette al lavoro in attesa del momento in cui il bambino

viene a materializzarsi.

Si sostiene possa essere di fondamentale importanza quindi un periodo

di preparazione, sia quando la genitorialità viene acquisita naturalmente

tramite la gravidanza, sia quando questa giunge attraverso l’adozione.

Chiaramente la possibil ità che ha una madre biologica di stabilire una

profondità di rapporto col proprio figlio è molto grande. Pensiamo solo

all’esperienza dell’allattamento che costituisce un mezzo di

comunicazione molto profondo, una vera e propria “ canzone senza

parole” , per usare un’espressione di Winnicott (1957) 1 , un nutrimento

del corpo ma anche del cuore e della mente.

Lo spazio dell’attesa è uno spazio sia f isico che mentale in cui avviene

una trasformazione, in cui si immagina e si crea l’idea del proprio

bambino. E questo vale sia per la genitorialità naturale che per quella

adottiva. La gravidanza facilita la creazione di tale spazio trasformativo

grazie alle trasformazioni ormonali che avvengono nel corpo e, di

conseguenza, nella mente delle madri. È utile r icordare poi quale

significato rivesta per la coppia madre-bambino la fase intrauterina,

soprattutto a livello emozionale. Nell’adozione la mancanza di tale

esperienza necessita di essere compensata attraverso un ripensamento e

un’elaborazione del dolore legato a tale assenza. A tal proposito abbiamo

già esposto il concetto di vuoto con tutte le implicazioni che esso

comporta. Inoltre il genitore adottivo dovrà confrontarsi con le

esperienze passate del bambino che ha condiviso la fase intrauterina con

un'altra madre. Ed è proprio entro questi l imiti e tali difficoltà che la

genitorialità adottiva trova la sua forza e la sua originali tà, dotandosi

della cultura per “colmare” il vuoto di un figlio proprio. La difficoltà sta

nel dover «articolare un passaggio dal fuori al dentro, anziché dal

1 Il contributo della psicoanalisi all’ostetricia.In Winnicott, D.H. (1987).

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

dentro al fuori così come avviene partendo dall’esperienza stessa della

gravidanza. […] di fronte si ha un bambino già separato nel corpo, che si

muove da subito in un altro spazio generazionale» (Dalla Stella, 2000).

Di fronte al desiderio frustrato di non poter realizzare la gravidanza

biologicamente, la coppia sembra rifugiarsi nell’azione più che nella

r iflessione, affidandosi alle mani del medico per ottenere il f iglio tanto

desiderato. Allo stesso modo anche l’adozione assume spesso i connotati

dell’agire prima ancora di aver meditato ed elaborato a fondo la scelta

adottiva. La frustrazione e la sua intollerabili tà generano fretta.

Sappiamo che oggi la decisione di avere il primo figlio è stata

posticipata di molti anni per vari motivi, non da ultimo quello

economico-occupazionale. Questo ha determinato come conseguenza un

aumento delle difficoltà di concepimento nel momento in cui f inalmente

avviene la fatidica decisione. Per quanto concerne l’adozione la

letteratura mostra come spesso nei servizi ci si trovi di fronte a coppie

che iniziano una gravidanza subito dopo la presentazione della domanda

di adozione, al termine dello studio di coppia, dopo l’ottenimento

dell’ idoneità, dopo l’abbinamento con il bambino. Lo stesso dato è stato

riscontrato all’interno dello studio sui Servizi Sociali di Carpi. È come

se tutti questi eventi e l’adozione in generale costi tuissero dei veri e

propri fattori di “sblocco psicologico” (Galli , 2001).

Le gravidanze interrotte possono essere collegate ad un difetto

nell’elaborazione della propria identità di genere e identità corporea. I l

tutto si ipotizza possa farsi risalire a problematiche emotive

nell’ infanzia. Oppure i fattori chiamati in causa possono essere riferiti

alla confli ttualità latente e non consapevole esistente tra i coniugi. In

questi casi, dopo la separazione, i l rapporto con un partner diverso può

portare una gravidanza inaspettata.

Gli operatori , impegnati nella consultazione per valutare l’ idoneità

all’adozione, notano come la coppia neghi con forza i l dolore collegato

alla sterili tà. Anzi spesso sembra proprio mancare addirittura di

consapevolezza. I l dolore viene riferito alla mancanza del f iglio e non

alla sterili tà. Pochi sono quelli che si sono rivolti a psicologi, al

contrario tutti raccontano storie di vita scandite da svariate e

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

interminabili visite mediche. Non a caso nel momento in cui sono

invitati dagli operatori a rif lettere sulla mancanza e sul lutto procreativo

si sentono smarriti e molto stupiti .

Dalla consultazione risulta sovente come la sterili tà f isica si accompagni

a quella mentale: la coppia infatti non solo non riesce ad esprimere

emozioni, ma non riesce neppure a pensare, immaginare, simbolizzare i l

f iglio e l’essere genitore. Lo strumento del “Diario di cinque anni

dopo” , come vedremo successivamente, va ad agire proprio su queste

componenti deficitarie, cercando di scoprirle e, se possibile, attivarle.

Quando le coppie vengono giudicate non idonee all’adozione vivono

molto negativamente tale decisione del tr ibunale. Esse si sentono

giudicate incapaci per la seconda volta, incapaci come genitori biologici

ed ora anche come genitori adottivi. Di fronte a tale rifiuto spesso si

attivano meccanismi di difesa volti al controllo e alla negazione della

sofferenza e del fall imento.

Le procedure di valutazione sono vissute in modo molto negativo dai

genitori adottivi e forse a ragione. Questi ultimi per difendersi attaccano

gli operatori , accusandoli di adoperarsi in modo persecutorio e selettivo.

Anche nel caso in cui si verif ichi l’abbinamento a volte si possono

riscontrare segnali di disagio, sia riguardo le procedure di valutazione,

che vengono vissute in modo intrusivo, sia r iguardo l’adozione stessa.

Creare uno spirito di collaborazione e di ascolto reciproco potrebbe

facilitare il percorso adottivo e limitare al massimo tali vissuti negativi,

aiutando la coppia ad innestare un processo di r iflessione riguardante la

scelta adottiva e, nel caso trattato specificatamente in questo paragrafo,

la sterili tà.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Sessualità’

Sappiamo che i 3/4 delle coppie che giungono all’adozione hanno dovuto

affrontare il problema della sterili tà e quindi lunghe trafile medico-

terapeutiche che hanno condotto a scindere nell’atto sessuale le

componenti della procreazione da quelle della r icerca di piacere. Queste

ultime, di conseguenza, vengono molto penalizzate (Bonato, Lissandrini

e Mirandola, 1995). Gli insuccessi nei tentativi di procreazione assistita

portano ad associare i fallimenti e le conseguenti frustrazioni all’atto

sessuale che ne risulta ancor di più sminuito.

L’area sessuale diventa oggetto di profonde modificazioni nella

relazione di coppia dopo la perdita della sua finalità procreativa.

D’Andrea (1999) sostiene che la coppia deve riscoprire la sessualità

come un valore di reciproco scambio affettivo e di piacere per evitare

che la sterili tà biologica si trasformi nella “morte del desiderio” .

Esistono anche casi di coppie non sterili che dietro la r ichiesta

dell’adozione nascondono problemi nei rapporti sessuali, f ino

all’estremo dei cosiddetti matrimoni “bianchi”. È innegabile che in

questo caso occorra una profonda riflessione perché i l bambino non si

tramuti nella soluzione del problema di coppia. Jolanda Galli , nel corso

del Convegno tenuto a Reggio Emilia nel Maggio 2002, ha sottolineato

come a volte, dietro ad una presunta sterili tà, si nasconda una scarsità, o

addiri ttura la mancanza, di rapporti sessuali.

Da tali considerazioni si evince come l’aspetto della sessualità sia

alquanto spinoso e molto spesso venga trascurato dalle coppie, ma anche

dagli operatori che temono di creare sofferenze aggiuntive e inutili .

Del resto si potrebbe aprire un interminabile dibattito in merito al diri tto

che si arrogano gli operatori di trattare argomenti tanto personali e

intimi. Oppure, ancora peggio, di formulare giudizi circa l’adeguatezza o

meno della vita sessuale della coppia.

Bonato, Lissandrini e Mirandola (1995) parlano nel loro studio di una

percentuale pari al 15% di coppie che manifestano difficoltà sessuali

medie o gravi. Spesso tale dato emerge in associazione a racconti relativi

alla sterili tà e ai tentativi di fecondazione assistita.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Si tratta, secondo gli Autori , di un settore di indagine che, per quanto

problematico, e forse proprio per questo motivo, andrebbe approfondito.

Occorrono le dovute cautele e la dovuta preparazione, ma la difese e le

resistenze sono ri tenute più dannose dello sforzo di comunicare aspetti

delicati della propria vita intima. Si sostiene inoltre che lo studio della

sessualità sia legato ad aspetti imprescindibili per chi deve dare una

valutazione dell’ idoneità all’adozione: lo sviluppo della personalità, lo

sviluppo delle capacità genitoriali , la capacità r iparativa verso il

bambino sono considerati tutti aspetti che non possono essere conosciuti

se non vengono affrontati i vissuti e le esperienze sessuali. I l solo fatto

di spiegare il collegamento tra adozione e sessualità può costituire già

una buona motivazione a parlarne di più e con meno remore.

L’importante è non giungere ad estremi di intrusività tali da scatenare

ulteriori reazioni difensive delle coppie.

Per molte coppie i colloqui per l’adozione possono essere importanti

indicatori di difficoltà di relazione da affrontare con attenzione. Tali

colloqui sono tesi alla creazione di spazi di r if lessione e confronto sia

con l’operatore che con il partner stesso allo scopo di «ridare vita alle

fantasie, al desiderio e alle aspirazioni [in modo da permettere] alla

coppia di ricostruire quello spazio di intimità, incontro, progettualità,

che l’ostacolo dell’ infertili tà aveva “congelato”» (D’Andrea, 1999).

Evidentemente gli incontri con lo psicologo sono ritenuti importanti non

solo dal punto di vista valutativo, ma terapeutico, se si pensa che siano

capaci di trasformare la relazione di coppia. Tornano così gli

interrogativi riguardo i pregiudizi che accompagnano gli aspiranti

genitori adottivi . Perché mai tali genitori debbono essere considerati

portatori di problematiche a vari l ivelli? Per quale motivo essi devono

dimostrare e acquisire la patente di buoni genitori, mentre a nessun

genitore naturale viene fatta una simile r ichiesta?

Si tratta di domande che non conoscono una risposta soddisfacente che

metta d’accordo tutte le forze chiamate in causa: genitori , bambini ed

ist ituzioni.

La nostra idea è di r iconoscere l’ importanza del lavoro dei servizi che

operano per garantire al bambino la sistemazione migliore possibile, ma

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

i l monito è quello di non lasciare che tale obiettivo porti a

comportamenti inquisitori tali da intaccare la dignità personale di chi

viene sottoposto a tali indagini.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Elaborazione del lutto

«L’origine de i bambini ha luogo

quando sono pensat i»

(Winnicot t , 1966) 1 .

La lunghezza delle procedure che separano la coppia dal f iglio adottivo

viene considerata come un momento indispensabile per poter utilizzare

l’esperienza della mancanza come una spinta all’elaborazione dei

pensieri. Perché ciò accada è indispensabile che i lutti , sperimentati e

tuttora sentit i dalla coppia e dal bambino, possano essere affrontati e non

considerati come tabù, né tanto meno come presenze incombenti del

passato: si tratta di esperienze di cui si può parlare.

Può succedere che il vissuto legato alla sterili tà faccia riferimento ad

una sensazione riguardante l’“essere privati” piuttosto che la

“mancanza” (Santona, 2001). Questo rende più complesso i l lavoro di

accettazione che sta alla base dell’elaborazione di una perdita.

Adottare è una gravidanza affettiva, molto faticosa, sentita come

interminabile e diversa, ma che va vissuta come tale.

L’adozione è l’ incontro tra due perdite. Genitori e bambini possono

sviluppare una proficua relazione se riescono nel difficile compito di

identif icarsi l’uno nella sofferenza dell’altro.

I bambini adottivi hanno bisogno di elaborare il lutto e in questo sono

simili ai loro nuovi genitori, anche se si tratta di lutti differenti;

comunque aumentano lo stress emotivo e di conseguenza la vulnerabilità

di fronte ai problemi.

Può succedere che i genitori, dinanzi a tale dolore, si rifugino

nell’adozione per tamponare la propria sofferenza. Così facendo possono

confondere lo scopo principale dell’adozione, consistente nel cercare la

famiglia per il bambino e non il bambino per la famiglia (Merguici,

2001). Tale inconveniente è ancor più palese nel caso dell’adozione

internazionale vista come più rapida, sicura e maggiormente rassicurante

1 L’inizio dell’individuo.In Winnicott, D.H. (1987).

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

nel « taglio netto e definitivo del cordone ombelicale» tra bambino,

genitori naturali e terra di origine.

Annamaria Dell’Antonio (1994) afferma che l’adozione va vista come un

incontro tra persone con problemi non risolti che possono realizzare una

storia comune se sono in grado di capire le esigenze e il lutto dell’altro.

I l trauma vissuto rappresenta il non contenimento, la non contenibilità.

Si tratta cioè di quei contenuti che la mente non è stata in grado di

contenere: l’abbandono, i successivi soggiorni in istituti non adeguati, i

passaggi da un istituto all’altro o da una famiglia affidataria all’altra.

Per questo si fa appello, come proposto dal modello bioniano (1962),

alla funzione di “reverie” dei genitori: si tratta di quella capacità che

consente al genitore adottivo di vivere una sorta di gravidanza mentale e

permette al bambino di trovare finalmente un adeguato contenitore per

tutt i questi eventi dolorosi. Si va così verso la creazione di un legame

mentale tra genitore e f iglio.

Secondo Rossana Dalla Stella (2000) lo psicologo che si relaziona con

la coppia aspirante all’adozione deve misurarsi con un lutto procreativo

ancora in atto. Un lutto non ancora risolto in una adeguata elaborazione.

Pare che la coppia non voglia r inunciare «a quel figlio sognato che solo

il corpo poteva fabbricare» (Dalla Stella, 2000).

L’elaborazione del lutto consente di effettuare quel delicato e

fondamentale passaggio dal bambino immaginario, frutto del desiderio

dei genitori, al bambino reale, quello che entrerà in rapporto con la

famiglia. In questo modo si può dare avvio ad un processo di reciproca

conoscenza e passare dalla diade alla triade, costruendo uno spazio fisico

e mentale per un terzo membro della famiglia.

Risulta però difficile per la coppia trovare tale spazio di rif lessione.

Antonio D’Andrea (1999) afferma che la coppia tende a spingersi sulla

strada del fare e dell’agire, piuttosto che su quella dell’attesa riflessiva e

del pensiero.

Claudia Artoni Schlesinger (1996) conclude il suo contributo con una

splendida frase, facendo riferimento al concetto già visto di “hole-

object” (vuoto dell’oggetto) di Quinodoz (1996), ovvero la mancanza di

rappresentazioni dei genitori naturali avvertita da alcuni f igli adottivi.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Scrive la Schlesinger: « i l buco nero di cui parlano gli astrofisici non è

affatto vuoto, ma è pieno di elementi così f i t tamente imbricati da non

permettere i l passaggio della luce. [L’obiettivo] è tentare di mandare un

po’ di luce in quella direzione, nella speranza che qualche particolare,

anche se apparentemente piccolo, si i l lumini».

Abbiamo visto tutta una serie di contributi derivanti da vari Autori

circa il tema dell’elaborazione del lutto. Si tratta di un tema centrale

all’ interno dell’adozione tanto che anche in paragrafi dedicati ad altr i

argomenti emerge l’ importanza di creare uno spazio di rif lessione. Tale

spazio riguarda i genitori, i bambini e anche gli operatori che entrano in

contatto con questi .

L’esperienza di perdita accompagna il bambino abbandonato e

trascurato; i genitori sono alle prese con la sterili tà e il

r idimensionamento del desiderio di un bambino proprio. Devono

confrontarsi con il difficile percorso adottivo, disseminato di

complessità e a volte dolorosi fallimenti; gli operatori dei servizi

possono veder frustrati lunghi mesi di lavoro di fronte alla restituzione

di un bambino.

L’idea di fondo è quella che un problema, per essere superato, non

ammette scorciatoie: r ichiede di essere affrontato e pensato in tutte le

sue componenti. Elaborare il lutto diventa così un’espressione che si

avvicina molto al concetto di vuoto, a ciò che abbiamo visto essere una

risposta a tale condizione. L’essere umano, di fronte al dolore di una

perdita, tende a dimenticare piuttosto che ripensare al trauma subito.

Crediamo quindi che tali aspetti meritino la grande attenzione che viene

loro dedicata, nel tentativo di far emergere le potenzialità positive insite

in tutte le situazioni dolorose e di crisi . La possibilità di far nascere da

una situazione traumatica un solido legame mentale ed affettivo sta alla

base della creazione di una storia familiare in cui tale trauma viene

integrato. L’obiettivo è i l r iconoscimento della storia presente e della

realtà di quel nucleo relazionale.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Rivelazione

«Sapere da dove si v iene ,

permet te d i a f f rontare megl io

i l proge t to che guarda verso i l fu turo,

verso i l “dove si va”»

(Gal l i , 1995)

«Un ponte non si può cost rui re

se non partendo contemporaneamente

da due punt i d i appoggio,

che si saldano ne l punto di incontro»

( I l cost rut tore d i pont i ) 1 .

Quello della r ivelazione è un tema che nasconde molte insidie e che non

si può circoscrivere ad un preciso momento temporale: la r ivelazione è

per sempre, perché non ne esiste una sola, bensì ce ne sono tante.

Tale tematica un tempo veniva relegata ai margini, nella ferma

convinzione della bontà della scelta di propendere verso i l si lenzio circa

le vere origini del bambino. Oggi però, per tutta una serie di motivi, non

ultima una differente preparazione dei genitori e degli operatori , i l

quadro si è rovesciato e le differenze non possono più essere nascoste o

dimenticate. I l tempo passato non può più rimanere un «“tempo

congelato”, con tutti i connotati negativi e di rigidità e di paura che

questo comporta» (D’Andrea, 2000).

Perché ci sia r ivelazione, secondo Francesco Viero (2002) 2 , occorre

essere prima in contatto con le proprie verità. Se c’è chiarezza interna

rispetto ad esse, le difficoltà nell’accogliere quelle del bambino vengono

di molto ridimensionate. I l bambino adottivo ha bisogno di nutrirsi di

una mente fertile. È compito degli adulti fornirgliene una cominciando

dall’acconsentire ad ascoltare le tante domande che pone e si pone il

bambino. Anche le r isposte che vengono date vanno viste non nell’ottica

di un colmare, di una rendere sazi, ma di un rimanere in attesa, dando

spazio al pensiero.

1 In D’Andrea, A. (2000).2 In Galli, J. (2002).

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

I bambini adottati vivono uno stato di ambivalenza: da una parte si

sentono legati ai genitori naturali che gli hanno dato la vita, ma che poi

li hanno abbandonati; dall’altra condividono la loro quotidianità con i

genitori adottivi che sono estranei alla loro origine e spesso alla loro

cultura, ma a cui devono tantissimo. Purtroppo la relazione che

intrattengono oggi con i loro nuovi genitori adottivi può trovare

difficoltà a raggiungere la profondità relazionale primitiva e naturale.

Così, una volta cresciuti , tali figli adottivi possono sentire il bisogno di

andare alla ricerca delle proprie origini e tale r icerca può assumere le

sembianze di un tormento fino alla sua realizzazione. «La necessità di

appartenere, strettamente legata al senso di identità, è presente

nell’essere umano per tutta la vita» (Santona, 2001).

È fondamentale conoscere la storia del bambino precedente

all’adozione. Da essa dipenderanno molte delle sue vicende future. I l

poter conoscere tali esperienze precoci, che hanno creato e creano

tutt’ora difficoltà allo sviluppo emotivo del bambino, consente di

prevedere quali saranno le r ichieste a cui dovranno rispondere i nuovi

genitori adottivi: se semplicemente dovranno accudire i loro bambini,

oppure dovranno curarli r ivestendo un ruolo quasi “terapeutico”.

L’adozione infatt i può assumere le sembianze di una terapia e per i

genitori adottivi è molto importante aiutare i loro figli , forse più di

quanto lo è per i genitori naturali .

«[…] quando si consegna un bambino a due genitori non si offre loro un

simpatico diversivo, si altera tutta la loro vita. Se tutto va bene,

passeranno i prossimi venticinque anni cercando di risolvere il problema

che gli abbiamo proposto. Se poi invece le cose non vanno […] , l i

avremo avviati sul difficile cammino della delusione e della tolleranza

alla frustrazione» (Winnicott , 1953) 1 .

La rivelazione dell’adozione: spesso essa viene considerata con

pericolosa superficialità da parte della coppia ignorando le inevitabili

difficoltà che tale disattenzione porterà in futuro. Rivelare sembra

1 Due bambini adottati.In Winnicott, D.H. (1996).

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

connotarsi sacralmente come la confessione di un segreto gelosamente

tenuto nascosto fino ad allora.

Alcuni Autori r itengono che il silenzio riguardo alla realtà adottiva del

bambino sia frutto di una negazione e nasconda un conflitto irr isolto tra

l’ istanza biologica e quella mentale. «Il f iglio adottivo ha due origini,

quella biologica legata alla procreazione, e quella affettiva legata

all’adozione. Certamente quest’ultima prevale sull’altra, perché il

riconoscimento e il cammino di ogni essere umano avvengono nella

relazione affettiva e nella condivisione, e non nella semplice origine

biologica» (Farri Monaco e Peila Castellani, 1994).

I genitori mostrano di trovarsi in grande imbarazzo e difficoltà

nell’affrontare tale argomento e sono molto incerti circa le modalità con

cui comunicare tale informazione: quando? come? Si vengono a creare

degli ostacoli insidiosi alla comunicazione.

Spesso i bambini capiscono tutto ancor prima che i genitori gliene

abbiano parlato e si siano accorti di tale consapevolezza. Anche per

questo prolungati tabù e bugie sull’adozione possono nascondere pericoli

per la relazione genitore-figlio.

«Il problema è i l mistero, la conseguente mistura di fantasia e di realtà,

e il peso delle emozioni potenziali di amore, di rabbia, di orrore e di

disgusto, che sono sempre in agguato ma che non possono mai essere

vissute. Se l’emozione non viene vissuta, non ce la si può lasciare alle

spalle» (Winnicott, 1955) 1 .

Non esistono regole precodificate o più giuste di altre per r ivelare

l’adozione. Forse l’essere autentici e sinceri, sia nelle parole come nello

sti le di vita, è la strada più semplice da seguire. L’autenticità è un fatto

fondamentale per vitalizzare i l funzionamento mentale.

L’adulto deve porre al centro il bisogno del bambino e cercare di mettere

ordine dentro di lui , contenerne le angosce non solo con le parole, ma

anche col gioco, con la dimensione del fare, soprattutto quando il

bambino non è ancora in grado di ascoltare.

1 Figli adottivi e adolescenza.In Winnicott, D.H. (1996).

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Parlare ai bambini in età scolare della loro adozione va bene, ma non

hanno le capacità cognitive per capire tutte le connotazioni e

implicazioni dell’essere adottati . Inoltre l’impatto di venire a

conoscenza della vera natura del loro lutto può portare problemi di

comportamento, emozionali , cambiamenti atti tudinali, senso di perdita.

Artoni Schlesinger (1996) sostiene che il r ivelare le notizie reali sul

passato del bambino può costituire un evento traumatico. L’Autrice, più

che alla rivelazione di fatti concreti , pone grande attenzione alle origini

intese come stato mentale, grazie al quale il bambino può riconoscere di

appartenere ad un proprio contesto ambientale le cui radici risalgono

fino ai momenti precedenti la nascita. «[…] quello che succede al

bambino adottivo è la perdita dello scrigno della sua memoria, la

perdita del testimone della sua prima vita, di colei o coloro con cui

sarebbe possibile condividere vissuti e riconoscere pensieri comuni » per

poter andare alla scoperta di ciò che sentono dentro, ma a cui non sanno

dare un nome.

I l f iglio adottivo, per usare un’espressione di D’Andrea (1999), si

trova posto in mezzo « tra la faglia biologica e quella adottiva» : una

posizione che può attivare purtroppo uno stato di crisi d’identità. Per

r isolvere tale stato di incertezza ha bisogno che « i genitori adottivi

sappiano riconoscere e accogliere come ricchezze le tre doti di cui il

bambino è portatore: il suo corpo, il suo nome, la sua storia» .

È terribile per un bambino adottato giungere a conoscere da altr i la

verità circa l’essere stati adottati . Per lui , infatti , la persona di cui nutre

una profonda fiducia diventa un traditore: si sente ingannato e questo è

l’aspetto più doloroso. Più della scoperta fatta.

Tutti noi abbiamo costruito un romanzo della nostra vita: lo stesso

deve fare i l bambino adottato. Perché ciò accada, egli ha bisogno di

essere guidato, che qualcuno, usando le parole di Jolanda Galli (2002),

gli fornisca « i l f i lo per infi lare le perline della collana» . Nel compiere

tale operazione l’adulto deve considerare non le proprie esigenze e i

propri tempi, bensì quelli del bambino: deve sapersi fare forza quando è

restio a parlare e saper altresì aspettare quando i tempi non sono maturi.

L’aspetto fondamentale è parlare insieme con il f iglio, a qualunque età,

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

cogliendo tutte le occasioni che si presentano quotidianamente,

ascoltando ed interrogandosi insieme a lui.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

5.

GRUPPI

Diversi Autori hanno osservato come i genitori adottivi mostrino il

desiderio di avere un confronto con altr i genitori che hanno affrontato il

loro stesso percorso (Castelfranchi, 1992; Farri Monaco e Peila

Castellani, 1994). Da tale necessità nasce la proposta di formare gruppi

di genitori adottivi che, al termine del percorso, sentono il bisogno di

mantenere un contatto con gli operatori ed altre famiglie. I l gruppo viene

quindi ad inquadrarsi come un “contenitore” al quale possono rivolgersi

le coppie e le famiglie che lo ritengono opportuno. Questo servizio

rientra nell’ottica dell’accompagnamento a lungo termine delle famiglie

adottive. I gruppi, soprattutto quando sono misti , cioè formati da

genitori in attesa del bambino e genitori che hanno ottenuto

l’abbinamento col minore, hanno grandi potenziali tà nel r idurre l’ansia e

la paura, nell’aiutare a capire ciò che l i aspetterà nel prossimo futuro,

nel contribuire ad un prezioso arricchimento.

Come possiamo definire un gruppo? Usando le parole di Galimberti

(1992) lo possiamo considerare «un insieme di individui che

interagiscono tra loro influenzandosi reciprocamente e che condividono,

più o meno consapevolmente, interessi, scopi, caratteristiche e norme

comportamentali» .

Nel nostro studio abbiamo usufruito della collaborazione di un gruppo

formato da una ventina di genitori giunti al compimento del percorso

adottivo. Questo gruppo viene condotto dalla Dottoressa Valeria Confetti

a Carpi una volta al mese e segue una impostazione a metà strada tra il

gruppo di tipo Bioniano e quello tipo Balint.

Vediamo brevemente il significato di tali termini.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Gruppo bioniano

Wilfred Bion è stato un autore che ha lasciato un’impronta importante

all’ interno della psicoanalisi e della psicologia in generale. La maggior

parte delle sue idee nascono dall’attività svolta con i gruppi: egli infatti

ha lavorato a lungo servendosi di tale strumento.

Bion è convinto che « l’essere umano [sia] un animale gregario. Non

può evitare di essere membro di un gruppo, anche in quei casi in cui

l’appartenenza al gruppo consiste nel comportarsi in modo da dare la

sensazione di non appartenere ad alcun gruppo » . E ancora: «nessun

individuo, per quanto isolato, può essere marginale rispetto a un

gruppo» (Grinberg, Sor e de Bianchedi, 1991).

Durante questa esperienza, che lo terrà impegnato per parecchi anni e

che ne segnerà tutto il pensiero successivo, Bion formula alcune ipotesi

che sono divenute dei capisaldi per il lavoro con i gruppi. C’è la

consapevolezza dell’esistenza di molte forze in interazione all’interno di

essi: l’ interesse di Bion viene subito catturato dal clima emotivo che si

sviluppa all’interno dei gruppi e da come tale contesto condizioni il

comportamento dei membri partecipanti. Bion osserva come i membri,

che si r itrovano per realizzare uno scopo ben preciso e determinato,

appaiano dedicarsi a comportamenti e a pratiche che, al contrario, non

sembrano dirette al raggiungimento di tale obiettivo. La grande carica

emotiva, venutasi a creare all’interno del gruppo, influenza

massimamente i partecipanti , indirizzandone inconsapevolmente

l’attività, e tende ad influenzare il terapeuta stesso. Si ha la netta

impressione che il gruppo funzioni come un tutto, come un’unità

indipendente dagli apporti individuali e, proprio attraverso

l’osservazione del gruppo stesso (e non dei suoi singoli membri), si

apportano nuovi significati alle situazioni emergenti. Molto

sinteticamente emerge un dato di fatto, ovvero «quando varie persone si

riuniscono per svolgere un compito, si possono individuare due tipi di

tendenza: una diretta alla realizzazione del compito, l’altra che sembra

opporsi ad esso» (Grinberg, Sor e de Bianchedi, 1991). Nel gruppo

esistono due forze che si equilibrano: la tendenza a compiere qualcosa, a

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

raggiungere un risultato prefisso, e la difficoltà che il gruppo funzioni

come un gruppo di lavoro. Tutte le volte che si crea un gruppo c’è una

grande serie di forze inconsce che si incontrano ( “assunti di base” ) ,

ovvero delle linee, delle forze che ostacolano il lavoro. Quindi da un

lato la forza, dall’altro la resistenza.

Bion arricchisce la sua analisi di molti concetti teorici come

“mentalità di gruppo” , “cultura di gruppo” , “assunti di base” , “gruppo

in assunto di base” , “gruppo di lavoro” , “cambiamento catastrofico” ,

“mistico” ed altr i ancora. Per motivi di spazio però non verranno trattati

all’ interno di questo lavoro e r imandiamo alla bibliografia per ulteriori

approfondimenti.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Gruppo Balint

Per quanto riguarda la definizione “gruppo tipo Balint” ci r iferiamo

all’opera dello psicoanalista ungherese agli inizi del secolo scorso.

Balint è convinto della necessità di una comprensione olistica del

malato, ovvero comprenderne le caratteristiche nella totalità aldilà di

approcci settoriali che separano psichico ed organico. Per questo auspica

una formazione di medici volta a sviluppare la sensibil ità per gli aspetti

interpersonali della terapia. A tal fine crea dei gruppi di formazione la

cui caratteristica di base è la mancanza di distinzione tra chi insegna e

chi apprende: esiste solo una messa in comune di esperienze diverse.

Ogni componente porta un caso al gruppo e questo si confronta tramite

gli apporti di ognuno alle problematiche emergenti. I l conduttore del

gruppo rimane un po’ in disparte, ovvero evita di dare consigli e

rassicurazioni, si astiene dal direzionare le dinamiche del discorso pur

r imanendo molto att ivo in ambito interpretativo.

Questo t ipo di approccio al lavoro di gruppo proposto da Balint ha in

sé vari aspetti positivi: i partecipanti sono più maturi poiché

maggiormente consapevoli di sé, c’è maggiore attenzione verso i bisogni

dell’altro e si ha maggior r iguardo nel considerare gli effetti

inconsapevoli delle proprie azioni.

Ogni componente del gruppo giunge gradatamente a r iconoscere e

controllare gli aspetti emotivi della comunicazione grazie ad un’attenta

analisi dei propri bisogni e resistenze.

«Ogni misconoscimento di sé si trasforma in opacità nella comprensione

dell’altro» (Vegetti Finzi, 1986).

Le idee di Balint hanno trovato grandi consensi, soprattutto in I talia

dove operano tutt’oggi vari gruppi di formazione che seguono questo

tipo di orientamento.

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6.

“NARRAZIONE E PSICOANALISI”

Paola Marion (2000) afferma che oggi il tema riguardante la narrazione

si trova in un momento particolarmente fecondo all’ interno del vasto

panorama psicoanalitico italiano. Cita a tal proposito tre interessanti

contributi di recente pubblicazione: Raccontami una storia di Dina

Vallino (1998), La psicoanalisi come letteratura e terapia di Antonino

Ferro (1999) e Narrazione e psicoanalisi di Arrigoni e Barbieri (1998).

La nostra analisi si concentrerà sui contributi offerti da quest’ultima

opera, la quale offre molti spunti di r if lessione per il lavoro che verrà

presentato successivamente.

Dietro i racconti dell’adozione si nascondono informazioni profonde

sul comportamento e sullo sviluppo umano: le modalità con cui le

persone si raccontano sono indicatori di vari aspetti relativi alla loro

esistenza: possono offrire informazioni ed emozioni che altrimenti non

trapelerebbero.

I l concetto di “narrazione” ha in sé una forte componente dinamica: è

un concetto pragmatico che include non solo l’azione, ma anche gli

aspetti contestuali (quando parliamo dal “narrato” invece si fa

r iferimento alle componenti lessicali , semantiche e sintattiche di un

testo). Inoltre si tratta di un concetto che comprende in sé la conoscenza

nel senso di narrare inteso come far conoscere.

Le persone narrano e si narrano storie per dare un significato alla

propria vita e queste storie diventano il punto di ancoraggio per ogni

nuova situazione o avvenimento dell’esistenza.

Maria Pia Arrigoni e Gian Luca Barbieri hanno realizzato un’analisi

attenta e interessante circa la possibili tà di utilizzare le categorie della

narrazione in ambito psicoanalitico, nella considerazione di quanto sia

«continua […] l’opera di tessitura e ritessitura narrativa che si sviluppa

in analisi» (Ferro, 1998).

Il l ibro sviluppa il concetto di narrazione, muovendosi tra i concetti di

emittente e destinatario, comunicazione dialogica, l ingua e parola,

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

narrazione orale contrapposta e confrontata con quella scrit ta, tempo e

personaggi; definisce inoltre come narrazione e interpretazione si

collocano all’interno della psicoanalisi .

Gli strumenti uti lizzati sono quelli della semiologia e della narratologia,

soprattutto quanto è stato indagato e teorizzato da quest’ultima corrente

di studio negli ultimi anni. Queste concettualizzazioni sono di grande

aiuto al lavoro dello psicoanalista, specie nell’ambito del lavoro clinico,

alla scoperta di strade alternative per la r icerca di ulteriori significati .

Esse possono fornire «uno sguardo dall’esterno, da un’altra angolatura

rispetto a quella della relazione terapeutica, che offre strumenti per una

rif lessione sull’atteggiamento mentale del paziente» (Ferro, 1998).

Come vedremo in seguito nella nostra r icerca abbiamo utilizzato molte

delle intuizioni tratte da tale libro, soprattutto per quanto riguarda

l’analisi dello strumento delle “Descrizioni” , in cui ci siamo serviti

abbondantemente delle categorie d’analisi della narratologia che

descriveremo successivamente nel dettaglio.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

SECONDA PARTE :

LA RICERCA SUI SERVIZI SOCIALI DI

CARPI

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

1.

UNA FOTOGRAFIA DEI SERVIZI SOCIALI DI

CARPI

La ricerca che andiamo a presentare ha lo scopo di fornire un’immagine,

i l più dettagliata possibile, dei Servizi Sociali di Carpi in merito al

lavoro svolto nel campo dell’adozione dal 1975 al 2001. Si tratta di una

realtà certamente di piccole dimensioni, ma che nel corso degli anni ha

saputo rif lettere sul suo operato apportando innovazioni e nuovi spunti

di rif lessione all’ interno del percorso adottivo. Questa stessa ricerca si

configura come un’opportunità per i Servizi Sociali di Carpi di

approfondire tematiche e verificare il proprio lavoro sotto vari aspetti .

La situazione riscontrata a Carpi non è generalizzabile al contesto

italiano, essendo una città con caratterist iche socioeconomiche non

rappresentative della situazione nazionale. Essa però ci può essere di

grande aiuto, configurandosi come una guida rispetto a diversi aspetti

dell’ambito dell’adozione: come operano i servizi, com’è strutturato

l’ iter dell’adozione, quali metodologie vengono util izzate per la

valutazione dei genitori.

Tale indagine ha costituito un punto di partenza importante per il

nostro progetto, aiutandoci ad acquisire dei dati numerici ed una

maggiore dimestichezza con tutto ciò che riguarda tale ambito di studio.

Si tratta del punto di partenza da cui avranno origine tre diverse tesi di

laurea, come avremo modo di approfondire in seguito.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Obiettivi della ricerca

Per delineare gli obiettivi della nostra ricerca comune presentiamo la

lettera originale consegnata ai Servizi Sociali di Carpi per richiedere la

disponibilità a cominciare un progetto di collaborazione con

l’Università di Parma. Gli obiettivi si sono poi via via chiariti e meglio

definiti durante il lavoro svolto sul campo.

Spettabili Servizi Sociali del comune di Carpi,

l’Università di Parma, in collaborazione con altri professionisti

dell’area psicologica (Dott. Daria Vettori , Dott . Valeria Confetti , Dott .

Andrea Landini) è interessata ad aprire un percorso di ricerca sul tema

dell’adozione.

Tale ricerca è ancora in fase di studio e come primo approccio ci pare

necessario eseguire una ricerca di archivio rispetto ai dati disponibili

sulle famiglie che hanno usufruito del vostro servizio di adozione negli

ultimi vent’anni.

Per questo motivo vorremmo aprire con voi una collaborazione.

Vi saremmo grati se voleste metterci a disposizione la documentazione

disponibile riguardo alle famiglie e ai bambini da queste adottate.

Vorremmo servirci dello spoglio delle cartelle e di quanto altro

materiale è disponibile presso il vostro servizio per eseguire una

raccolta anonima di informazioni: sesso, età di adozione, provenienza,

caratteristiche dei genitori e quanto altro ancora emerge dalle cartelle.

Naturalmente l’Università di Parma si farà garante di un uso corretto

dei dati e rispettoso della privacy dei soggetti da cui gli stessi dati

derivano direttamente.

I l lavoro verrà effettuato da alcuni studenti iscritt i all’ult imo anno del

Corso di Laurea in Psicologia presso l’Università di Parma. I

nominativi ed eventuali informazioni vi verranno comunicati al momento

del contatto col vostro servizio.

Vi inviamo quindi, come da voi espressamente richiesto tramite la Dott.

Daria Vettori, un progetto di fattibili tà della ricerca.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Riassumiamo in alcuni punti gli obiettivi che tale ricognizione si

propone:

- come primo obiettivo ci proponiamo di eseguire un’attenta ricerca

bibliografica;

- il nostro secondo obiettivo si prefigge di raccogliere la vostra

testimonianza riguardo la formulazione e la concretizzazione del

vostro progetto sull’adozione;

- il terzo obiett ivo riguarda l’analisi approfondita delle cartelle;

- come quarto infine ci proponiamo di individuare le possibili

ricadute della nostra indagine sull’organizzazione del servizio e

proporre eventuali indicazioni per ulteriori ricerche.

Speriamo di essere stati sufficientemente esaurienti e chiari

nell’esposizione di questo progetto e siamo a vostra disposizione per

ulteriori chiarimenti.

Vi ringraziamo fin d’ora per la vostra gentile disponibilità.

Cordiali saluti

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Strumenti e procedimento

Dopo aver ottenuto il consenso, il gruppo di ricerca ha incontrato, presso

lo stabile dei Servizi Sociali di Carpi, i principali responsabili del

settore adozione del servizio: l’assistente sociale Lina Anticati , la

responsabile del settore amministrativo Dottoressa Liana Balluga, la

psicologa Dottoressa Cinzia Sgarbi. Sono state esposte nuovamente le

linee essenziali del nostro progetto di r icerca, ovvero il tentativo di

tracciare un quadro numericamente completo delle adozioni seguite dai

Servizi Sociali di Carpi negli ultimi vent’anni, e da questo poi trarre

util i indicazioni per tracciare nuove proposte di approfondimento.

Lo strumento scelto a questo scopo è stato lo spoglio delle cartelle: gli

studenti incaricati avevano libero accesso agli schedari contenenti tutte

le cartelle di ogni singola coppia. Questi schedari e le cartelle in esse

contenuti venivano, attraverso lo spoglio sistematico di ogni loro parte,

ordinati in ordine cronologico sia rispetto all’anno della richiesta di

adozione sia rispetto ai vari documenti componenti ogni singola cartella.

I l tutto sotto la supervisione dell’assistente sociale che, in tutte le annate

da noi prese in esame (dal 1975 al 2001 comprese), è stata sempre

presente e ha seguito personalmente ogni caso insieme a varie psicologhe

succedutesi negli anni.

Attraverso questo spoglio sistematico e r iordinamento siamo stati in

grado di capire alcuni aspetti fondamentali:

- quali documenti compongono una cartella;

- qual è il percorso burocratico, legislativo e sociale che ogni coppia

deve seguire per adottare;

- come le cartelle sono cambiate negli anni a seguito di cambiamenti

sociali e legislativi e nell’organizzazione del servizio stesso;

- dati numerici precisi circa numero di r ichieste, numero di

adozioni, numero, sesso e nazionalità dei bambini adottati ;

- quali strumenti sono stati inseriti e quali abolit i nel corso degli

anni.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Tutti questi dati ci forniscono sia le dimensioni del lavoro svolto dai

Servizi Sociali di Carpi che quelle del fenomeno adozione.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Le cartelle

Lo spoglio delle cartelle ci ha permesso di entrare in contatto con un

mondo di cui non sospettavamo l’esistenza: un mondo molto complesso e

articolato che ci ha portato alla conclusione che ogni cartella costi tuisca

un universo a sé stante. Per questo motivo diviene difficile qualsiasi

lavoro di categorizzazione e di inquadramento numerico.

Oltre ai documenti che tra poco andrò a descrivere, in ogni cartella

compaiono elementi molto singolari e caratteristici di ogni storia, come

cartoline, biglietti di ringraziamento, articoli di giornale: aspetti che

hanno l’effetto di condurre verso l’ interiorità di un processo che

coinvolge profondamente l’emotività sia dei genitori che degli operatori.

La difficoltà di questo lavoro di ricerca quindi è stata acuita da questo

tipo di complessità, certamente una fonte di arricchimento, ma che, sui

grandi numeri, f inisce per creare una sorta di confusione da gestire con

grande attenzione.

Le cartelle sono essenzialmente composte da un’ossatura di base

costituita dai seguenti documenti:

- la prima richiesta (i genitori chiedono al Tribunale dei Minori e,

dopo il 1983, ai Servizi Sociali , di poter cominciare l’indagine

socio-psicologica per avere un bambino in adozione);

- una relazione (dopo una serie di incontri , che possono occupare un

periodo variabile di durata che si aggira intorno ai 4-6 mesi,

l’assistente sociale e lo psicologo stilano una relazione in cui

emergono tutti gli aspetti significativi tratti dai colloqui. Tale

relazione viene inviata al Tribunale dei Minori che decide

sull’idoneità dei genitori ad adottare);

- un decreto di idoneità all’adozione (fornito dal Tribunale dei

Minori);

- un documento riguardante l’accoppiamento di un minore alla

coppia dichiarata idonea (si tratta dell’affido cosiddetto pre-

adottivo, una specie di periodo di prova che ha la durata di circa

un anno in cui il minore e la coppia vivono insieme);

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

- una relazione al termine dell’affido pre-adottivo (l’assistente

sociale e la psicologa stilano un’altra relazione, del tutto simile

alla prima, in cui tracciano la si tuazione attuale r ispetto al

rapporto col bambino);

- un decreto di adozione (il bambino diviene a tutti gli effetti f iglio

della coppia attraverso questo documento emanato dal Tribunale

dei Minori) .

Questi sono i documenti di base che si rintracciano in quella che

possiamo definire una cartella tipo, ma non mancano cartelle in cui

compare solo una prima richiesta ( i genitori hanno rinunciato, oppure

hanno avuto un figlio naturalmente o attraverso la procreazione

medicalmente assistita) , oppure cartelle che si fermano al decreto di

idoneità (non è stato possibile trovare un bambino per l’eventuale

abbinamento con la coppia), oppure ancora cartelle con documenti

relativi all’adozione internazionale (ad esempio i documenti

dell’associazione interpellata, i documenti provenienti dall’estero).

La varietà e la variabilità sono all’ordine del giorno in ogni cartella e

per questo l’assistente sociale Lina Anticati ci è stata di fondamentale

aiuto per orientarci in questo mare di informazioni.

Per quanto riguarda l’evoluzione negli anni abbiamo potuto constatate

come siano stati introdotti via via nuovi strumenti per arricchire la

conoscenza della coppia da parte degli esperti :

- “Diario di una giornata di 5 anni dopo” (descrizione di una

giornata immaginata dalla coppia tra 5 anni: tale strumento ci sarà

di ispirazione per la creazione del nostro strumento definito

“Descrizioni”);

- questionario 1 (strumento appositamente costruito ed usato dai

Servizi Sociali di Carpi in sostituzione del questionario proposto

dal Tribunale dei Minori);

- “lettera ai genitori naturali” (i genitori immaginano di scrivere

un’ipotetica lettera ai genitori naturali del bambino).

1 Si tratta di un questionario diverso da quello che verrà utilizzato nel corso della ricerca sui genitori adottivi esposta nella parte III di questo lavoro.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Si tratta comunque di cambiamenti non sistematici, ovvero non vi è un

momento cardine che funge da punto di partenza per l’util izzo di tale

nuova metodologia. Si trovano infatti cartelle in cui compaiono tali

novità in anni diversi e cartelle che nello stesso anno sono diverse in

questo senso.

Un’altra importante novità apportata negli ult imi anni riguarda la

notazione della partecipazione o meno al gruppo dell’anno di affido

preadottivo seguito dalla Dottoressa Daria Vettori.

Molte coppie che hanno partecipato a tale gruppo hanno poi proseguito

l’esperienza con la Dottoressa Confetti (gruppo post-affido), a

dimostrazione del fatto che l’esperienza ha avuto esiti positivi

suscitando l’intenzione di continuarla anche al di fuori dell’i ter adottivo

obbligatorio.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

L’iter dell’adozione

L’iter dell’adozione costi tuisce un percorso alquanto complesso sia per

chi lo deve affrontare che per chi lo deve gestire.

In esso si intrecciano molti soggetti che vanno dal giudice del Tribunale

dei Minori agli operatori dei servizi sociali , da chi gestisce le

associazioni a tutta una serie di addetti ai lavori che rendono

sicuramente difficile riuscire a destreggiarsi senza problemi all’ interno

di tale “matassa”.

Negli anni poi le leggi sull’adozione sono state oggetto di costanti

cambiamenti a volte anche radicali e questo di certo non ha semplificato

le cose: ancora oggi, a quasi un anno di distanza dall’approvazione della

nuova legge (n°149, 2001), i servizi e gli operatori stessi si trovano in

grandi difficoltà nel cercare di gestire questi nuovi cambiamenti. È

facile immaginare quindi quali problematiche si trovino di fronte i

genitori che giungono carichi di speranze ai servizi per poi dover

affrontare un lungo percorso ad ostacoli. Inoltre essi sono messi di

fronte al fatto che molto difficilmente, alla f ine di tutto, potranno veder

soddisfatte le proprie aspettative.

I tempi poi sono decisamente lunghi e non potrebbe essere altr imenti

data la delicatezza della questione e la ormai cronica difficoltà nel

soddisfare le crescenti domande di adozione.

Molto spesso le coppie si trovano spiazzate di fronte a tali difficoltà e

lasciano a metà il cammino intrapreso.

L’adozione, oggi più che mai, si identif ica sempre più con l’adozione

internazionale e questo porta ulteriori pesi da affrontare, sia di t ipo

emotivo, ma anche e soprattutto di t ipo economico: pensiamo che per un

bambino bianco neonato, afferma Jolanda Galli (2001), si pagano fino a

100-150 milioni di vecchie lire e che addirittura, nel momento in cui si

va a prendere i l bambino, occorre una guardia del corpo personale!

I percorsi seguiti dall’adozione internazionale non sono omologabili tra

loro. Ogni storia sembra a sé nelle modalità di incontro, abbinamento,

burocrazia…

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

L’operatore ha anche i l compito, attraverso la sua presenza, di

assicurare il r icordo dell’adozione per contrastare le forti tendenze alla

idealizzazione e per aiutare la coppia ad avviare il processo di

trasformazione del proprio desiderio di genitoriali tà nella scelta di

essere genitori.

Nel tempo abbiamo notato come i colloqui si siano evoluti

modificando anche gli obiettivi: « i colloqui di consultazione hanno

subito […] negli ultimi anni profonde trasformazioni: da selett ivi stanno

diventando incontri di maturazione. […] Questo percorso in qualche

modo, può essere anche autonomo dalle finalità per cui è richiesto;

rimane comunque un percorso di crescita» (D’Andrea, 2000).

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Risultati

Lo scopo di questa r icerca è eminentemente esplorativo, un’indagine di

t ipo qualitativo che mira all’esplorazione del vasto campo dell’adozione

per poter formulare ipotesi che possano eventualmente essere sviluppate

in seguito.

Come abbiamo già visto siamo partiti da una ricerca d’archivio: si

tratta di «una ricerca eseguita su dati che i l ricercatore non ha

contribuito a raccogliere e in cui il ricercatore stesso esamina e sceglie

i dati per l’analisi» (McBurney, 1994).

I l materiale è stato fornito dai Servizi Sociali di Carpi (Modena): si

tratta delle cartelle raccolte a partire dall’anno 1975 fino all’anno 2001

in cui sono presenti le indagini socio-psicologiche sui singoli casi

(coppia) che hanno fatto richiesta di adozione.

Il lavoro svolto è stato di ordinamento del materiale di ogni cartella

(ordinamento cronologico di tutti i documenti in cartella). Sono state poi

identif icate alcune variabili per costruire una griglia in cui sono stati

inseriti i dati delle cartelle.

Se ne è r icavata una fotografia del lavoro svolto dai Servizi Sociali di

Carpi in più di vent’anni di attività nel campo dell’adozione. I r isultati

sono esposti nelle tabelle e nei grafici inserit i in Appendice.

Vediamo in modo sintetico gli elementi salienti emersi da questa

indagine preliminare 1 :

-156 coppie adottanti (solo 12 di queste sono state r igettate);

-99 bambini adottati (nessuno di questi è stato resti tuito);

-16 bambini maschi, 18 femmine italiani; 44 maschi, 21 femmine

stranieri;

-27 bambini provenienti dal Brasile, 13 dalla Russia, 9 dall’India, 3 dal

Perù e dal Messico, 2 dalla Romania e dalla Colombia, 1 dalle Filippine,

dal Cile, dalla Polonia, dal Marocco, dall’Argentina;

-i bambini sono stati adottati tra 1 mese e 12 anni di vita, con picchi tra

1 mese e 6 mesi (18) e tra 1 e 2 anni (17);

1 I risultati vengono esposti in modo più dettagliato in Appendice.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

-nel corso degli anni si è assistito ad un consistente aumento delle

r ichieste, specie di adozioni internazionali, con picchi negli anni ’90

(1996).

Dallo spoglio delle cartelle sono state tratte altre informazioni util i :

-49 coppie hanno scrit to il “Diario di una giornata di 5 anni dopo” ;

-19 coppie hanno scrit to la “Lettera ai genitori naturali” dei loro figli

adottati;

-13 coppie hanno compilato il questionario proposto dal Tribunale dei

Minori e 16 il questionario proposto dai Servizi Sociali di Carpi;

-46 coppie hanno seguito gli incontri di gruppo con la Dott. Vettori

(anno di affido preadottivo)

-10 coppie si incontrano nel gruppo seguito dalla Dott. Confetti (post-

adozione)

Partendo da tali dati è stato possibile avere una panoramica più

dettagliata del fenomeno adozione a Carpi e si sono così individuate

alcune possibili aree di indagine da trattare con maggiore attenzione.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Divisione degli argomenti

In base a tali r isultati , che abbiamo brevemente esposto, sono state

individuate tre possibili aree di indagine:

1 Indagine di confronto tra la realtà dei Servizi Sociali di Carpi e il

territorio regionale e/o nazionale in merito alla pratica dell’adozione.

Particolare attenzione viene rivolta ai cambiamenti legislativi e ad

eventuali differenze statistiche significative.

2 Indagine sul contenuto delle relazioni di f ine indagine socio-

psicologica (ex istruttoria): ricerca dei cri teri d’idoneità, dei

cambiamenti evolutivi delle relazioni e delle correlazioni tra le

caratterist iche del genitore e del bambino richiesto.

3 Indagine sul gruppo seguito dalla Dott. Valeria Confetti (post

adozione) con somministrazione di alcuni strumenti di indagine.

Ognuno di questi argomenti viene sviluppato da uno studente diverso. Il

presente lavoro si centra sul punto 3.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Come operano i servizi

Abbiamo scelto i Servizi Sociali di Carpi per vari motivi. I Servizi stessi

si sono dichiarati interessati ad una verifica del loro operato. Essi inoltre

costituiscono un esempio significativo del modo di operare in Emilia

Romagna nel campo dell’adozione.

La disponibilità alla collaborazione è dimostrata dal fatto che i Servizi

Sociali di Carpi ci hanno dato la possibilità di disporre della

supervisione dell’assistente sociale che ha seguito personalmente tutte le

coppie che hanno fatto domanda di adozione a Carpi dal 1975 ad oggi.

L’assistente sociale è un operatore di r iferimento sia durante che dopo

la conclusione dell’ iter adottivo. La sua è una presenza rassicurante:

r isponde a molte domande e colma tutta una serie di dubbi e perplessità

r iguardo l’iter adottivo. Favorisce così l’orientamento della coppia che

sente di muoversi in una dimensione meno sconosciuta.

I l lavoro dell’assistente sociale e dello psicologo, che nell’adozione si

trovano fianco a f ianco, non viene mai scisso, ma si fonda su una

interdisciplinarietà arricchente e chiarificatrice.

Per tali motivi risulta evidente quanto possa essere stato importante, per

il buon esito della nostra ricerca, poter usufruire dei consigli e della

guida di una tale figura professionale con un così ampio bagaglio di

esperienza.

I l r icorso ai servizi è reso indispensabile dalle leggi in vigore in

merito all’adozione. Ad essi infatti è demandato i l compito di effettuare

una conoscenza della coppia richiedente, fissare degli incontri con

questa in modo da informarla sull’adozione e allo stesso tempo valutarne

l’ idoneità all’abbinamento con un bambino. Da sempre tale pratica

valutativa è oggetto di grandi polemiche e spesso malintesi . Abbiamo già

accennato a tali aspetti nella prima parte di questo lavoro.

I servizi costituiscono l’anello di congiunzione tra le coppie aspiranti e

il contesto ist ituzionale che sancirà i l soddisfacimento o meno di tali

aspirazioni. Molto spesso il suo ruolo viene svalutato, se non reso

addiri ttura inutile, dal r icorso da parte della coppia, in caso di

valutazione negativa, ad altr i servizi o addirit tura a canali alternativi.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Inoltre le decisioni prese dal Tribunale dei Minori a volte non

rispecchiano l’esito dei colloqui e la relazione stilata dal servizio.

Si tratta quindi di un ruolo delicato che cerca di unire al compito

valutativo una funzione di contenimento per le ansie e le paure dei

genitori. I servizi devono essere in grado di fornire informazioni precise

e delineare un quadro completo di cosa significa adottare, in tutti i suoi

r isvolti . I l compito che gli operatori si prefiggono è quello di

trasformare una prassi burocratica in un percorso conoscitivo e di

crescita parallela dei vari attori implicati . Alla coppia viene offerta una

serie di colloqui per conoscere l’adozione e conoscere sé stessi

attraverso il dialogo e l’ascolto. Gli operatori r itengono che sia

importante condurre i genitori a riconoscere dentro di loro i propri

sentimenti e ad acquisire la capacità di “pensare i pensieri” per usare un

termine caro a Bion (1962). In tal modo possono elaborare il loro dolore

e determinarne nuovi significati . Possono trasformare i l “tempo

dell’attesa in tempo della vita” (D’Andrea, 2000) per rendersi

disponibili ad accogliere un figlio. Perché ciò avvenga è necessario che

la coppia senta di essere accolta e rassicurata.

Le aspettative che i genitori si sono costruite rispetto al loro bambino

adottivo sono un oggetto importante della consultazione. L’operatore ha

il compito di assicurarsi che tali prefigurazioni siano flessibili per

potersi adattare alla realtà ed evitare spiacevoli delusioni. Spesso infatti

si è di fronte ad aspettative molto vicine all’idealizzazione e per questo

molto vulnerabili una volta messe a confronto col bambino reale.

Le coppie durante la consultazione tendono a fornire di sé un’immagine

molto posit iva nella convinzione che questo sarà decisivo per ottenere

l’ idoneità. D’Andrea (2000) parla a tal proposito dell’ambivalenza del

“dover apparire” . Per questa ragione l’operatore deve essere molto

attento a cogliere quei segnali nascosti che possono essere indicatori di

difficoltà: disposizione dei coniugi nella stanza, sguardi reciproci.

I l momento della consultazione inerente la r iflessione sulla sterili tà è

uno dei passaggi più difficili dell’iter adottivo. La coppia è molto restia

a parlare di tale argomento, perché carico di una sofferenza già lasciata

alle spalle nella speranza di ottenere un figlio con l’adozione. Si tratta

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

invece di una riflessione ri tenuta indispensabile per poter creare quello

spazio creativo in cui andrà accolto il bambino.

Oggi più che mai, dato il sempre maggior sbilanciamento tra r ichieste

di adozione e bambini dichiarati adottabili , ai servizi è demandato il

compito di mettere in moto negli aspiranti genitori adottivi un processo

di rif lessione, di pausa rif lessiva in cui metabolizzare appieno gli

elementi di base della loro scelta e le conseguenze di questa sulla loro

vita. Proprio a questo proposito Jolanda Galli , durante il Convegno

tenuto a Reggio Emilia nel maggio 2002, ha esposto un’interessante

metodologia di lavoro basata su un lavoro di gruppo con le coppie

aspiranti l’adozione.

Se questi genitori mantengono inalterata la loro decisione di adottare,

i servizi stilano la relazione in cui emerge la valutazione della coppia.

Spetta al Tribunale dei Minori pronunciarsi in merito all’ idoneità di

questa all’adozione. La scelta r icade su quella coppia che tra tante

dimostra di avere i requisiti migliori e più adeguati r ispetto alle

necessità del minore da adottare. Per questa ragione coppie che risultano

idonee possono non vedere accolta la loro domanda per diversi anni o,

nella peggiore delle ipotesi, addirittura mai, perché altre coppie sono

state r itenute meglio in sintonia con i bisogni del minore in questione.

Una volta effettuato l’abbinamento tra il minore e la coppia si dispone

un periodo di prova definito “anno di affido preadottivo” sul quale i

servizi sociali sono chiamati ad un’opera di supervisione.

Esistono anche le situazioni definite “affidamento a r ischio giuridico” in

cui la famiglia di origine non è d’accordo sullo stato di adottabilità del

proprio figlio, ma il Tribunale dei Minori decide, nell’interesse del

bambino, di affidarlo ad un’altra famiglia. La durata di tale affido è però

imprevedibile, come è imprevedibile l’esito di tale controversia. Per la

coppia adottiva tale situazione si connota con forti componenti di

incertezza rispetto al futuro.

Nel caso di minori adottati ad un’età avanzata i l periodo di affido

preadottivo può essere prolungato per favorire l’adattamento in una

situazione molto complessa.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Per quanto riguarda l’adozione internazionale, partita in I talia intorno

alla f ine degli anni settanta, possiamo constatare una crescita vertiginosa

del r icorso a tale isti tuto. Una nuova consapevolezza socio-culturale ha

portato le coppie intenzionate ad adottare a muoversi in direzione

dell’estero in un’ottica di solidarietà transculturale. All’inizio si è

trattato quindi di adozioni legate più a prospettive aperte al dramma

della sofferenza dell’infanzia mondiale che non alla mancanza di un

figlio proprio.

Presto i l quadro muta drasticamente e le motivazioni si fanno molto

diverse. Le richieste aumentano enormemente non supportate da un

numero equivalente di bambini adottabili e da adeguate riflessioni

personali sull’adozione. Emergono fenomeni inquietanti come il

commercio di bambini sotto l’ottica dell’appropriazione più che

dell’apertura ad accogliere.

I l bambino straniero che viene adottato soffre della perdita dei propri

genitori e a questa deve aggiungere anche quella della sua terra. Un

completo sradicamento alle radici che va a minare la sua “identità

etnica” e comporta, quasi inevitabilmente, l’assimilazione passiva della

nuova cultura. Annamaria Dell’Antonio (1994) afferma a tal proposito

come le differenze riscontrate da tali bambini nel nuovo ambiente non

riguardino solo l’etnia e la razza, ma anche e soprattutto la provenienza

da culture in cui la concezione dell’allevamento di un bambino è

diametralmente opposta rispetto a quella tipica del paese dei genitori

adottivi. I bambini adottati inoltre possono sentirsi come un oggetto di

possesso in questo passaggio da un paese all’altro, senza la possibili tà di

decidere nulla o di sapere con precisione cosa sta succedendo nella loro

vita.

La disponibilità all’adozione internazionale oggi sembra esser un

espediente per aumentare le probabilità di successo più che una scelta

consapevole e meditata a fondo. Non stupisce quindi il fatto che i

genitori si trovino in grosse difficoltà una volta di fronte ad un bambino

appartenente ad un’altra cultura che ne ha già in parte forgiato la

personalità e l’identità. «[…] l’allevamento di un bambino di un’altra

razza -o anche solo di un’altra etnia- è compito più arduo

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

dell’allevamento di un bambino appartenente fin dalla nascita alla

cultura di chi lo cura, anche in rapporto ad una non sempre facile

accettazione delle persone di colore nell’ambiente in cui i l bambino

viene immesso» (Dell’Antonio, 1994).

In questo paragrafo abbiamo delineato le modalità operative dei servizi

che si occupano di adozione. Analizzando la letteratura abbiamo

constatato come molto spesso gli psicologi, o comunque gli operatori,

util izzino uno sti le normativo proprio della giurisprudenza nel descrivere

ciò che a loro avviso i genitori “devono” fare. Forse tale atteggiamento,

che non riguarda solamente il campo dell’adozione, è in parte dovuto

alle r ichieste stesse di chi si rivolge alle figure professionali nella

speranza di ottenere una risposta alla domanda “cosa devo fare?”. È

indicativo come la maggior parte delle indicazioni rivolte, nel nostro

caso, ai genitori adottivi si pongano come specie di postulati . Si ha

l’ impressione che le coppie vengano considerate non in grado di pensare

autonomamente, come se avessero la necessità di affidarsi a qualcuno

che le sappia guidare e consigliare. Questo non accade per i genitori

naturali , benché spesso le indicazioni siano riferibili anche al loro

specifico compito genitoriale. L’impressione è che i genitori naturali ,

per il solo fatto di aver concepito naturalmente il bambino, siano ri tenuti

capaci di far crescere loro figlio nel modo migliore. Per i genitori

adottivi invece la loro incapacità procreativa sembra rif lettersi, secondo

gli operatori , nell’ incapacità di accudire il bambino se non attraverso

una costante “supervisione”.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

2.

LEGISLAZIONE

L’adozione è un campo strettamente legato sia ai cambiamenti delle leggi

che e a quelli socio-culturali . I l lavoro sull’adozione ha portato a

r ilevare tali mutamenti e a proporre norme legislative più adeguate

all’evolversi di tale ambito.

Nel 1942 la legislazione tutelava gli interessi degli adulti che,

impossibili tati ad avere figli naturali , vedevano messa in crisi la

continuazione del proprio patrimonio e del nome di famiglia.

Nel 1967 (legge n° 431) viene introdotta l’“adozione speciale” che

sancisce i l passaggio dalla tutela principale dell’adulto a quella del

minore e dei suoi bisogni.

La legge n° 184, che vedremo più oltre, è il completamento di questo

percorso con la trasformazione dell’“adozione speciale” in “adozione

normale”: si delinea cioè un unico istituto giuridico per poter dare una

famiglia al minore che ne è privo.

Ricordiamo che il minore è il protagonista dell’adozione e gli sforzi

della legislazione sono tesi a limitare i casi in cui il minore ne diviene

invece la vittima.

Per quanto riguarda i l panorama odierno le leggi principali , ovvero le

linee guida che hanno segnato il passo nel campo dell’adozione negli

ultimi anni, sono essenzialmente 4:

1 Legge 4 maggio 1983, n° 184: “Disciplina dell’adozione e

dell’affidamento dei minori”

2 Legge 31 dicembre 1998, n° 476: “Ratifica ed esecuzione della

convenzione dell’Aja del 29 maggio 1993 sui diritt i dei minori”

3 Legge 1 dicembre 1999 n° 492: “Regolamento per la costituzione,

organizzazione e funzionamento della commissione per le adozioni

internazionali”

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

4 Legge 28 marzo 2001, n° 149: “ Modifiche alla legge 4 maggio

1983 n° 184”.

Vediamo brevemente quali sono i punti salienti di ognuna di esse

analizzandole nel dettaglio:

1 La legge n° 184 del 1983 si riferisce soprattutto all’adozione

nazionale italiana. Dopo un ampio dibattito socio-politico-

culturale, i l minore viene considerato soggetto di diritt i e

all’adulto è demandato il compito della sua formazione

psicoaffettiva.

Sancisce 5 punti:

- la coppia deve essere unita in matrimonio da almeno tre anni;

- la differenza di età tra chi adotta e chi viene adottato deve

essere superiore a 18 anni ma non superare i 40 (anche se sono

ammesse delle deroghe);

- la coppia che si propone per l’adozione deve possedere le

capacità di fornire educazione, istruzione e mantenimento dei

minori che adotteranno;

- la domanda per l’adozione deve essere presentata dalla coppia

stessa al Tribunale per i Minori (la domanda decade dopo 2 anni e

si possono presentare più domande anche a tribunali diversi). I l

Tribunale avrà l’incarico di effettuare l’abbinamento coppia-

bambino e di vigilare sul buon andamento del periodo di affido

preadottivo. (Dal 1989 la coppia fa domanda di idoneità

direttamente ai servizi sociali rivolgendosi al Tribunale dei Minori

solo al termine dell’indagine socio-psicologica);

- si passa da “un diritto sui minori” ad “un diritto per i minori”:

la famiglia viene riconosciuta come dirit to fondamentale per il

minore ed è quindi fondamentale far sì che i minori che ne sono

privi possano trovare una famiglia che si occupi di loro e possa

quindi garantirgli un ambiente familiare idoneo alla crescita.

2 La legge n° 476 del 1998 è di fondamentale importanza per quanto

riguarda le adozioni internazionali che divengono maggiormente

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

controllate e regolamentate. Si tratta dell’adattamento

dell’ordinamento alla Convenzione de L’Aja del 1993 che

“scommette” su un’ibrida privatizzazione operativa tramite “enti

autorizzati”. Vediamone i punti salienti:

- per adottare all’estero occorre passare obbligatoriamente dalle

autorità preposte dei paesi di provenienza dei minori, dagli enti

autorizzati e dall’autorità centrale;

- si tutela maggiormente l’interesse e i dirit t i del minore

straniero nel tentativo di sostenere i diri tt i dell’infanzia già

all’ interno del paese di provenienza (principio di sussidiarietà);

- i l bambino adottato all’estero ha necessità di un sostegno

maggiore dovuto alle difficoltà aggiuntive derivanti dalle sue

origini;

- viene richiesta la disponibilità della coppia all’adozione

internazionale. Le esperienze precedenti del minore straniero non

possono essere cancellate, ma anzi la coppia deve favorirne

l’elaborazione. Per questo motivo la coppia stessa ha necessità di

r icevere un’adeguata preparazione e sostegno da parte degli enti

locali;

- viene bandita ogni forma di “fai da te” nelle modalità di

adozione

- gli enti autorizzati hanno il compito di mettersi in contatto con

le autorità centrali straniere e di curare le procedure di adozione;

- le coppie adottanti possono avvalersi di alcune agevolazioni:

·astensione obbligatoria dal lavoro per i 3 mesi successivi

all’entrata in I talia del minore straniero,

·congedo dal lavoro per il periodo di permanenza nel paese

straniero,

·assenza dal lavoro fino al raggiungimento dei 6 anni di età da

parte del minore;

- i l bambino è visto come un soggetto altro dalla coppia: è un

individuo con propri interessi , dotato di una propria individualità

che i genitori devono accettare e r ispettare costruendo verso di lui

un dialogo di confronto;

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

- i servizi sociali non hanno solo un compito di controllo, ma

devono offrire la possibilità di riflessione e crescita all’interno del

percorso dell’adozione svolto dalla coppia;

- la relazione stilata dai servizi sociali va inviata al Tribunale

dei Minori entro 4 mesi dalla data di r ichiesta presentata dalla

coppia.

3 La legge n° 492 del 1999 è un’estensione della legge appena

esposta (n° 476 del 1998), in quanto vengono definiti i compiti e

le funzioni della commissione per le adozioni internazionali.

Tale commissione:

- ha sede presso la presidenza del Consiglio dei Ministri a

Roma;

- rappresenta l’autorità centrale i taliana in materia di adozione;

- è preposta alla raccolta di dati e statist iche sull’adozione

internazionale

- fornisce un elenco delle caratteristiche necessarie agli enti

autorizzati per poter operare (periodicamente viene fornito

l’elenco ufficiale degli enti r iconosciuti dallo Stato).

4 La legge n° 149 del 2001 pone l’accento sulla priorità della

disciplina dell’adozione: il diri tto del minore a una famiglia. Tale

legge prevede alcuni punti fondamentali :

- i l minore ha diri tto ad essere educato all’ interno della propria

famiglia e di ottenere condizioni di vita migliori se la famiglia non

fosse in grado di offrirgliele. L’adozione viene quindi vista come

soluzione estrema conseguente ad una accertata e irreparabile

condizione di abbandono;

- r imane intatto e anzi viene rafforzato il principio di

sussidiarietà (vedi sopra legge n° 476, 1998);

- i l minore ha diritto non solo ad essere educato e mantenuto

dalla propria famiglia di origine, ma anche di crescere al suo

interno; lo stato di adattabilità del minore non può derivare da una

semplice condizione di povertà della famiglia di origine. Per poter

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

effettuare tale dichiarazione occorre l’accertamento della

mancanza sia dell’assistenza materiale che di quella morale da

parte della famiglia stessa. Questa inoltre può avvalersi di appositi

interventi di sostegno;

- la differenza di età tra genitori adottivi e minore da adottare va

dai 18 ai 45 anni (sono però ammesse delle deroghe);

- per valutare la stabilità del rapporto di coppia non è più

necessario che i coniugi siano sposati da 3 anni. È sufficiente che

la coppia abbia convissuto per almeno 3 anni prima del matrimonio

che rimane comunque un vincolo;

- la domanda di idoneità decade dopo 3 anni dopo la

presentazione della stessa (può essere rinnovata);

- i l minore ha il dirit to di essere informato circa la sua

condizione di adottato e la coppia ha i l dovere di informarlo nei

modi e nei termini che ritiene più opportuni;

- l’adottato che giunge all’età di 25 anni ha il diritto di accedere

ad informazioni riguardanti la propria origine ed identità, i l nome

dei genitori biologici (a meno che questi non abbiamo espresso i l

volere di non essere riconosciuti) .

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

PARTE TERZA :

LA RICERCA SUL GRUPPO DEL DOPO

ADOZIONE

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

1.

IL GRUPPO DEL DOPO ADOZIONE

L’esperienza dell’i ter adottivo porta alcuni genitori a sentire la necessità

di non interrompere il rapporto con gli operatori. Di qui la proposta di

formare dei gruppi di discussione anche dopo l’anno di affido

preadottivo. I l nostro lavoro si concentra su quest’area.

I l gruppo in questione si incontra in modo facoltativo e partecipano a

tali incontri solo genitori che hanno avuto il bambino, quelli cioè che,

dopo l’anno di affido pre-adottivo, hanno ricevuto il decreto legislativo

che attesta che il bambino è effettivamente loro figlio. I bambini di tali

coppie, nel momento in cui hanno avuto inizio gli incontri di gruppo,

presentavano un’età variabile tra 1 e 3 anni, salvo alcune eccezioni.

Si tratta di un gruppo numeroso formato da una decina di coppie. Il fatto

che partecipino anche gli uomini ci fa capire come l’adozione faccia

scattare una modalità genitoriale differente: i padri sono una presenza

attiva (parlano dei loro bambini e delle sensazioni che provano verso di

loro, si lamentano dei rapporti della madre col bambino). È un gruppo

abbastanza stabile (prosegue da circa due anni) anche se possono entrare

coppie nuove.

Gli incontri vengono tenuti a Carpi una volta al mese, i l sabato

pomeriggio, e sono organizzati con discussioni su argomenti svariati

portati dagli stessi partecipanti i quali si dispongono in cerchio insieme

all’operatore che conduce l’ incontro. I l concetto di fondo è che ognuno

porta al gruppo le proprie problematiche.

La conduzione del gruppo è un misto tra il gruppo tipo Balint e

l’ impostazione bioniana come abbiamo esposto sopra.

L’operatore interviene (per mettere in moto un processo di mediazione)

quando sente delle aggressività sottostanti nel gruppo. Quando ci sono

dei si lenzi comunicativi lascia spazio alla formazione di pensieri

mantenendo tale condizione.

All’inizio di ogni incontro l’operatore propone un riassunto per tenere il

f i lo tra i vari incontri .

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Il conduttore del gruppo non ha i l ruolo di insegnante o di risolutore dei

problemi delle famiglie. Egli si pone come una figura che cerca di

favorire il costi tuirsi nell’adulto della capacità emotiva di ascolto del

bambino per comprenderne i bisogni. Tale consapevolezza viene

raggiunta da ogni partecipante partendo dalla r ivisitazione dei propri

vissuti interiori.

All’inizio i l gruppo non accetta tale ruolo dell’operatore a cui demanda

funzioni differenti: si nota soprattutto una dipendenza marcata dal suo

sapere. La difficoltà nel pensare e la confusione possono poi r iversarsi in

una espulsione-negazione di ogni problema. Sta al conduttore essere

capace di contenere tali sentimenti e dare un senso a quanto accade

all’ interno del gruppo.

Questo processo permette l’emergere di emozioni e pensieri, f ino ad

allora nascosti , tramite i l dialogo e il confronto. I l gruppo si orienta così

verso quello che Bion definisce il “gruppo di lavoro”, grazie allo

sviluppo di un “apparato per pensare i pensieri” .

I l gruppo apre spazi di confronto che agiscono e si riflettono sul

rapporto genitore-figlio.

«All’inizio ero molto diffidente, mi domandavo come avrei fatto a

parlare di me davanti a persone sconosciute … chissà cosa avrebbero

pensato, come mi avrebbero giudicato … poi lentamente ho preso

fiducia, l’ansia che avevo dentro diminuiva, ero quasi più libera e

sicura» .

«Sento che il confronto è servito … le mie ansie, confrontate con quelle

di altre madri, mi hanno fatto capire che bisogna pensare a lungo prima

di agire e di affrontare i problemi» (un genitore adottivo) 1 .

Tramite un’intervista alla Dottoressa Confetti , conduttrice del gruppo,

è stato possibile estrapolare alcuni aspetti che meritano attenzione

emersi durante gli incontri mensili .

Si nota nei componenti del gruppo una grande euforia per il fatto di aver

avuto il bambino, ma anche una certa preoccupazione: emerge il

1 In Farri Monaco, M., Peila Castellani, P. (1994).

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

desiderio di dimostrare al gruppo di essere capaci di assumere il ruolo

genitoriale (soprattutto nell’attaccamento). Questo fatto può essere

ricondotto all’ impossibilità della coppia di creare il proprio bambino e

quindi di non avere potuto usufruire di tale evento per scandire il

passaggio all’adultità.

I bambini adottati mostrano alcuni comportamenti che possono far

propendere verso l’esistenza di alcuni processi disintegrativi e di un

attaccamento indifferenziato (non solo verso i genitori adottivi) .

I discorsi che vengono affrontati nel gruppo vertono spesso sull’ identità

individuale: pare che sentano di essere dei genitori diversi.

Essi sentono il bisogno di conquistare l’ identità di genitore nei confronti

dei genitori naturali del bambino e dei loro stessi genitori (nonni).

Questi ultimi mostrano di essere molto perplessi durante l‘ iter adottivo,

ma, dopo l’arrivo del bambino, appaiono più liberi e questo potrebbe

essere dovuto al fatto che non vivono la conflit tualità presente nei

genitori adottivi . Sono più distaccati anche se diventano ipercritici verso

i loro figli .

I genitori mostrano di faticare ad accettare la diversità della genitorialità

e la sofferenza del bambino. Non si sentono molto sicuri nel ruolo

genitoriale e tendono ad enfatizzare l’aspetto educativo.

Difficilmente i membri parlano delle difficoltà di l inguaggio. Hanno una

comunicazione primordiale coi loro bimbi, fatta di segni, come si fa di

soli to coi bambini molto piccoli: sembra ci sia paura di non capirsi.

I l fatto che i genitori adottivi sentano la necessità di confrontarsi con

altr i che hanno vissuto le stesse esperienze è una dimostrazione lampante

del fatto che questi non abbiano l’intenzione di restare ancorati ad una

fase della loro vita. Essi anzi dimostrano tutte le intenzioni di proseguire

verso un percorso di evoluzione familiare.

La formazione di tali gruppi negli ultimi anni può essere un esempio di

collaborazione tra genitori ed operatori e la forte motivazione dei

partecipanti dimostra come possano aprirsi percorsi di condivisione volti

a spezzare l’ idea di conflittualità insita nel rapporto con le istituzioni.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

2.

RICERCA

La nostra ricerca viene inquadrata come un’indagine qualitativa di t ipo

esplorativo allo scopo di formulare delle ipotesi che possano venire

sviluppate in seguito da ricerche successive. Si tratta cioè di una

osservazione preliminare che mira a fornire un ritratto del gruppo post-

adozione e che si presenta come aperta a svariate direzioni di indagine.

Date le sue caratterist iche, tale ricerca può fornire principalmente dei

r isultati di tendenza tali da far emergere alcune considerazioni validabili

in future ricerche.

I protagonisti di tale r icerca sono i genitori che, attraverso i

“Questionari” e le “Descrizioni” , raccontano la storia dello sviluppo del

loro bambino e del rapporto che con esso hanno instaurato. Si tratta

quindi di strumenti che si focalizzano sul vissuto genitoriale r ispetto

all’ incontro con il bambino reale.

Dallo spoglio delle cartelle eseguito nell’indagine presso i Servizi

Sociali di Carpi sono emersi alcuni strumenti interessanti. Ad alcuni

genitori adottivi , durante il percorso dell’indagine socio-psicologica (ex

istruttoria), sono stati somministrati strumenti innovativi con lo scopo di

approfondire il loro vissuto rispetto al bambino tanto desiderato e ai

cambiamenti che tale scelta comporta per la loro vita personale e di

coppia.

Lo strumento che più ci ha colpito è quello definito “Diario di una

giornata di 5 anni dopo” . Ai genitori viene chiesto di immaginare e

quindi descrivere in forma scritta una giornata trascorsa insieme al tanto

agognato figlio proiettandosi nel futuro. Tale proiezione consente di

verificare le caratteristiche del bambino immaginato e lo spazio che ad

esso viene dedicato nel corso della descrizione.

Avendo a disposizione un gruppo di genitori che hanno ottenuto il

bambino, abbiamo optato per una scelta differente. Lo strumento di

ispirazione rimane quello che abbiamo appena esposto, ma la descrizione

viene riferita ad eventi realmente vissuti e in un momento molto vicino

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

nel tempo. Questo proprio per far emergere l’altra componente

fondamentale nella costruzione del rapporto genitore-figlio: i l bambino

reale. Tutti i genitori devono fare i conti, al momento della nascita o

dell’abbinamento, con il bambino nella sua realtà e concretezza. Questo

viene posto di fronte a loro e alle fantasie che, f ino a quel momento,

avevano cullato su tale evento e sul bambino stesso: il fatidico passaggio

dal bambino “immaginario” a quello “reale” .

L’utilizzo delle “Descrizioni” costi tuisce solo una parte del nostro

lavoro. Abbiamo optato anche per l’uso di un questionario costruito da

Fagandini, Bevolo, Landini e Vaccari (1998) per indagare i genitori

sottopostisi alla procreazione medicalmente assistita. Anche in questo

caso emerge con chiarezza come i genitori si rapportano con il bambino

che hanno concretamente dinanzi agli occhi.

L’idea di base di tutta questa r icerca è proprio quella di andare ad

indagare tutte quelle componenti che vengono esplicitate dai genitori

nel momento in cui si rapportano con il bambino in “carne ed ossa”. Tale

aspetto è tanto più significativo nei genitori adottivi che per diverse

ragioni, che abbiamo esposto in precedenza, hanno costruito nella loro

mente un’idea molto pregnante e particolare del bambino immaginario.

Vediamo ora nel dettaglio la r icerca articolata nelle sue due diverse

parti e corrispondenti strumenti.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

3.

“QUESTIONARI”

Presentiamo in questa sezione il questionario util izzato nell’ indagine con

i genitori del gruppo del dopo adozione . Vedremo le caratteristiche di

tale strumento e la ricerca che con esso è stata eseguita da Fagandini,

Bevolo, Landini e Vaccari (1998) sui genitori che si sono serviti della

procreazione medicalmente assistita (PMA). Dedicheremo poi spazio alle

modalità di consegna del materiale e ai r isultati ottenuti attraverso

questa prima fase della r icerca.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Strumento utilizzato

Lo strumento utilizzato, lo abbiamo già accennato, è un questionario

costruito da Fagandini, Bevolo, Landini e Vaccari (1998), Autori della

r icerca che ha come oggetto un confronto tra genitori PMA e genitori

naturali . Nella costruzione gli Autori hanno preso spunto da uno

strumento già utilizzato da Palacio Espasa e Knaeur (1996) 1 e da Robert-

Tissot (1989) 2 per uno studio sui vissuti materni, rielaborandolo e

adattandolo allo scopo della r icerca. Tale nuovo questionario è formato

da 11 domande miste (aperte-chiuse), mirate all’esplicitazione di alcuni

punti considerati significativi ed è stato proposto ad entrambi i genitori.

Questo questionario non ha pretese di analisi statist ica, ma costituisce

comunque uno strumento capace di cogliere delle importanti dinamiche

nei genitori adottivi.

Innanzitutto l’ idea di base da cui si è partit i (e che accomuna anche il

nostro successivo lavoro che a questo si è ispirato) è il fatto di avere

necessità di conoscere i soggetti , ma nella consapevolezza che questi si

presentano, al momento dell’ indagine, già ampiamente frustrati da

diverse problematiche, una fra tutte la steril i tà. I l questionario quindi

deve garantire una certa delicatezza, ponendo le domande in termini

posit ivi, alla ricerca non della patologia, ma delle r isorse dei genitori. Si

tratta comunque di un questionario molto aperto che lascia quindi ampio

spazio all’emergere degli aspetti positivi .

Anche la lunghezza del questionario (molto breve, solo 11 rapide

domande) è sempre orientata allo stesso obiettivo.

Nella ricerca di Fagandini, Bevolo, Landini e Vaccari (1998) ci si è

dotati anche di un altro questionario, molto più approfondito che noi non

analizzeremo per motivi di spazio ed economia del discorso.

1 Palacio Espasa, F. , Knauer, D. (1996). Le Development de la Vie Fantasmatique et des Identifications du Bebè dans la Clinique de Psychoterapies Mères-Enfant. Psychotèrapies, 3, 13-21.Citato da La Sala, G.B. (a cura di)(1998).2 Robert-Tissot, C. et al. (1989). Le questionnaire Symptom Check List. In S. Lebovici, P. Mazet, J.P. Visier (eds) (1989). L’Evaluation des Interaction Précoces entre le Bébé et ses Partenaires. Genéve: Edition Eshel.Citato da La Sala, G.B. (a cura di)(1998).

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

L’idea di base rimane comunque, sia per la prima che per la seconda

parte, quella di somministrare uno strumento semplice, aperto, a scopo

conoscitivo.

Gli Autori sono partiti da una specie di pregiudizio secondo il quale i

genitori PMA presentano caratteristiche diverse dagli altri genitori

cosiddetti “normali”. Si tratta di un’ipotesi di partenza di cui questa

r icerca ha il compito di verificare la portata esplicativa. Grande

attenzione, è stato ribadito più volte, viene dedicata alla sola differenza

e non alla patologia. Questo è un punto che la nostra r icerca condivide,

come già espresso nel corso dell’analisi della letteratura nella prima

parte di questo lavoro.

Vediamo nel dettaglio le domande.

Innanzitutto su un piano più generale possiamo constatare come la

tendenza sia stata quella di proporre prima elementi posit ivi r ispetto a

quelli negativi. Questo fatto è ben evidente nei primi due quesit i in cui

prima si chiede “cosa piace” e poi “cosa non piace” del bambino. Lo

stesso avviene nella domanda n°5 proponendo di esplicitare i “desideri”

prima delle “paure”.

Nella terza domanda, quella relativa alle emozioni provate nei

confronti del figlio, viene usato il termine “più forti” che non indica

emozioni né in termini particolarmente positivi né particolarmente

negativi e anzi si presta molto all’ interpretazione dei singoli soggetti . È

un termine più ampio e largo da cui possono emergere elementi molto

significativi.

La quarta domanda è stata proposta allo scopo di verificare la

domanda precedente, specie nell’eventualità in cui i genitori non siano

stati in grado di trovare le parole dell’emozione. In questo modo si

aiutano i genitori a riflettere di più sui loro sentimenti: è un’occasione

di elaborazione.

La domanda relativa ai desideri e alle paure ( quinta domanda) è

importante per valutare se questi elementi sono più centrati sul bambino

o sui soggetti come genitori e per capire verso quali categorie si

muovono principalmente.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

La sesta domanda ha lo scopo di verificare se i genitori ammettono le

difficoltà del rapporto. Tale ammissione si manifesta attraverso i l

r icorso ad una doppia preferenza che consideri non solo la soddisfazione,

ma anche le componenti di fatica insite nella gestione del bambino.

La settima domanda si r iferisce alla precedente ed è interessante per

verificare le componenti immaginative dei soggetti .

La domanda n°8 è stata proposta per porre in evidenza la memoria

semantica. L’idea è che i genitori abbiano difficoltà a r icordare; però, se

gli viene concessa la possibilità di scrivere, e r iescono a far r iemergere

qualcosa dalla memoria, si tratta spesso di elementi significativi.

Nella nona domanda si cerca di verificare in che modo i soggetti si

percepiscono come genitori e quali sono gli aspetti problematici della

relazione. I l questionario di partenza a cui gli Autori si sono ispirati

(Palacio Espasa e Knauer, 1996; Robert-Tissot, 1989) è centrato solo

sull’analisi delle madri, mentre nella ricerca che stiamo analizzando è

rivolto ad entrambi i partner.

Le ultime due domande sono state aggiunte dal gruppo di ricerca

specificatamente per i genitori PMA. La decima nello specifico è stata

posta appositamente in modo ambiguo per verificare quale impatto aveva

la parola “nascita” sui genitori.

Nell’analizzare la ricerca sui genitori PMA ci siamo serviti , oltre che

dei contributi della letteratura, anche dell’aiuto personale della

Dottoressa Fagandini e di alcuni suoi collaboratori che mi hanno chiarito

molti dubbi e fornito alcuni elementi utili all’analisi non citati nelle

pubblicazioni esistenti della ricerca.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Ricerca sui genitori PMA

Lo scopo di tale r icerca è quello di effettuare un confronto per

r intracciare eventuali differenze tra genitori che hanno concepito un

figlio in modo naturale e genitori che invece hanno fatto ricorso alla

procreazione medicalmente assistita (PMA). Le differenze vengono

ricercate r ispetto a come i soggetti riferiscono soggettivamente la loro

esperienza genitoriale. La nostra analisi si concentrerà sul “questionario

PMA”, ovvero su una serie di domande che indagano come i genitori

considerano la loro relazione con il bambino da un punto di vista

cognitivo ed affettivo. I protagonisti della r icerca sono quindi i genitori

che raccontano tramite il questionario loro stessi, i loro bambini, e i l

rapporto che hanno creato con questi . Gli Autori si chiedono se sia

possibile per i genitori PMA riuscire a passare dal bambino ideale a

quello reale r iuscendo a pensare il legame con lui.

I soggetti sono stati divisi in due gruppi: uno formato dai genitori

PMA1 e uno costituito da genitori naturali 2 . Entrambi i gruppi sono stati

scelti in base all’età dei bambini che varia tra 0 e 5 anni.

Analizzando le caratteristiche demografiche del gruppo balza subito agli

occhi la differenza relativa all’età di entrambi i genitori nei due gruppi,

con i genitori PMA più anziani di circa 3 anni (età media: 34,8 anni

contro 31,5 anni) . Del resto è risaputo che le famiglie che ricorrono alla

PMA si trovano di fronte ad un iter diagnostico e medico che può

ritardare di alcuni anni il concepimento rispetto ai genitori naturali .

Questo aspetto può far r iflettere sull’esperienza del tempo che permette

di recuperare una dimensione di progetto della coppia e che spinge verso

la condivisione.

In entrambi i gruppi la percentuale di risposta ai questionari distr ibuiti si

è aggirata intorno al 50%.

L’idea di partenza è stata quella di non definire subito in modo

psicopatologico gli eventi traumatici evidenziati dai genitori PMA, bensì

1 Coppie (72 soggetti) che hanno avuto un bambino attraverso la procreazione medicalmente assistita presso il Centro per la Sterilità della Divisione di Ostetricia e Ginecologia dell’Arcispedale S.Maria Nuova di Reggio Emilia tra il 1992 e il 1996.2 Coppie (82 soggetti) che fanno riferimento a cinque pediatri del distretto di Reggio Emilia e che hanno concepito in modo naturale un bambino tra il 1993 e il 1997.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

cercare di capire quali sono le differenze tra una genitorialità di questo

tipo ed una “normale”. Si tratta quindi di una ricerca a scopo conoscitivo

e non psicodiagnostico.

«[…] i bambini nati con PMA non sono bambini speciali [mentre] i

genitori che hanno utilizzato la PMA a Reggio Emilia possono essere

considerati speciali , ma non in termini di “diversità”, inadeguatezza, o

addirittura patologia, piuttosto, speciali per la maggiore complessità e

forse profondità della loro esperienza genitoriale» . Questa è l’ipotesi di

lavoro formulata da Fagandini, Bevolo, Landini e Vaccari (1998), ed è la

stessa che muove l’ indagine coi genitori adottivi.

Brevemente vediamo quali sono stati i r isultati emersi nella r icerca sui

genitori PMA.

I padri PMA sembrano rispondere in modo più assoluto rispetto ai

genitori naturali alle domande riguardanti cosa piace e non piace del loro

bambino (domande n°1 e 2) . Mentre i padri naturali r ispondono in modo

più variabile, i padri PMA rispondono frequentemente usando le

espressioni “tutto” o “niente”.

Le madri naturali tendono ad enfatizzare la piacevolezza delle

caratterist iche emotive rispetto a tutt i gli altr i gruppi. Per quanto

riguarda le madri PMA esse forniscono, in modo simile ai padri, r isposte

più assolute r ispetto ai genitori naturali , alle domande riguardanti cosa

piace e non piace del loro bambino.

I genitori PMA sembra abbiano la tendenza a vedere i loro bambini in

modo più generalizzato, evitando i dettagli individuali e ponendo meno

attenzione alle caratteristiche negative. Il bambino sembra essere

apprezzato maggiormente per la sua stessa esistenza che risolve sia il

desiderio di avere un figlio sia la paura di non raggiungere tale

obiettivo. Pare esserci una certa difficoltà nei genitori PMA a pensare il

loro bambino reale anche negli aspetti più piacevoli del rapporto con lui.

Analizzando la parte dedicata alle emozioni suscitate dal bambino

(domande n°3 e 4) , vediamo come tali domande ci aiutino ad analizzare

più in profondità il processo di costruzione del legame genitore-figlio.

143

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Considerando i dati generali comuni ai due gruppi (genitori PMA e

naturali) è da notare la differenza nelle emozioni indicate

prevalentemente al primo, secondo e terzo posto.

L’emozione 1 in prevalenza vede la comparsa dei sentimenti di Amore ,

Tenerezza in entrambi i gruppi, sia nelle madri che nei padri .

L’emozione 2 quelli di Tenerezza , Dolcezza , Gioia sempre in entrambi i

gruppi e in entrambi i coniugi.

L’emozione 3 invece non ha fornito possibilità di r ilevare risposte

prevalenti: Felicità , Simpatia , Curiosità , Rabbia , Pazienza , Paura

mostrano l’emergere di sentimenti difficili e ambivalenti .

C’è una tendenza verso l’aumento di “varietà” nella descrizione delle

emozioni procedendo verso la terza posizione.

I papà PMA tendono ad esprimere emozioni maggiormente diversificate

r ispetto alle mamme PMA e ai padri naturali . L’ipotesi proposta dagli

Autori è che i papà PMA tendano a «“problematizzare” di più con un

coinvolgimento emotivo profondo e complesso, che non esce dalle altre

domande. Forse l’iniziale maggiore difficoltà a ri-conoscere il bambino

reale e sé come padre, se affrontata e non negata, può aprire spazi

emotivi in più. Sembra che la gestazione mentale più lunga per questi

papà abbia risvegliato anche emozioni e sentimenti più variegati » .

Facendo un’analisi delle parole-emozioni espresse solo nei singoli gruppi

(mamme e papà PMA/mamme e papà naturali) compaiono le

rappresentazioni emotive tipiche per ogni gruppo genitoriale.

L’emozione 1: per le mamme PMA Adorazione e Nascita , per i papà

PMA Nascita . Per le mamme naturali Protezione e per i papà Orgoglio .

I l r iferimento alla parola-evento globale Nascita sottolinea la presenza di

emozioni magiche legate a tale momento. Anche Adorazione pare un

sentimento molto idealizzato. I controlli esprimono emozioni più vicine

ai consueti ruoli materno e paterno.

L’emozione 2: Meraviglia , Entusiasmo , Commozione nelle madri PMA;

Commozione nei padri PMA; Orgoglio nelle madri naturali; Orgoglio ,

Responsabilità , Dolore e panico nei padri naturali . I genitori PMA

“cominciano a trovare le parole” per descrivere le emozioni provate. La

Commozione accomuna le madri e i padri PMA mettendo in evidenza le

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

componenti quasi di incredulità, di raggiungimento di un evento a lungo

sognato e f inalmente realizzato. Da notare come i papà naturali

aggiungano oltre all’Orgoglio un altro sentimento t ipico del ruolo

paterno ovvero la Responsabilità e inoltre cit ino un sentimento difficile

come Dolore e panico , aspetto che non ritroviamo negli altr i gruppi.

L’emozione 3: Entusiasmo , Senso di colpa per le madri PMA; Donarsi ,

Bellezza , Senso di Competizione per i padri PMA; Allegria , Ostinazione

per le madri naturali; Speranza , Curiosità per i padri naturali . Per la

prima volta compaiono nei PMA sentimenti difficili e tutti i gruppi sono

diversi, non ci sono cioè sovrapposizioni nelle risposte.

L’analisi di queste parole-emozioni è molto complessa e articolata. Gli

Autori pensano che l’esperienza della genitoriali tà per i genitori PMA

sia un evento nuovo tale da togliere le parole per poterlo definire. I

genitori PMA si trovano poi in difficoltà nel riconoscersi nelle categorie

tradizionalmente legate al ruolo materno e paterno e socialmente

condivise. Tali differenze possono essere dovute ad esperienze critiche

che richiedono un tipo di elaborazione particolare. I l percorso dei

genitori PMA appare quindi più complesso, ma anche più profondo.

Analizzando la domanda riguardante i desideri e le paure rispetto al

bambino (n°5) , vediamo che i padri PMA tendono ad essere più

preoccupati degli eventi r iguardanti le relazioni all’ interno della vita

familiare e meno di quelli relativi a pericoli f isici o sociali provenienti

dall’esterno della famiglia come accade per i genitori naturali . Questo

potrebbe essere, secondo gli Autori, un indicatore della paura di essere

inadeguati come genitori: sembra che la loro attenzione si focalizzi

maggiormente su eventuali difetti nell’abilità genitoriale ad interagire

con il figlio rispetto a quella di difenderlo dai pericoli esterni.

Le madri PMA mostrano di avere maggiori preoccupazioni per i pericoli

f isici e sociali rispetto ai padri PMA. In generale tutte le mamme, PMA e

naturali , manifestano maggiori preoccupazioni r ispetto ai padri in tale

categoria. Le mamme PMA inoltre differiscono dal gruppo di controllo

circa i loro desideri per il futuro del bambino, ma tale differenza non è

particolarmente forte. Esse mostrano desideri per i loro bambini rispetto

all’ intelligenza, all’indipendenza, all’autorealizzazione facendo poco

145

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

riferimento alla felicità e alle buone relazioni interpersonali così come le

madri naturali . Sembra che le madri PMA abbiamo un desiderio più forte

r iguardo all’elasticità e all’autonomia del bambino e lascino un po’ in

disparte il loro bisogno di offrire un supporto parentale. L’ipotesi in

questo caso potrebbe essere che queste madri abbiano un’immagine di sé

in cui la possibilità di essere un genitore fragile, debole e non

completamente capace deve venire esaminata e verificata molto più

spesso di quanto accada per i genitori naturali .

I l desiderio relativo alla salute è quello maggiormente presente in tutti i

gruppi.

Per quanto concerne la domanda n°8, relativa al r icordo di eventuali

avvenimenti significativi nel rapporto con il bambino, si riscontrano

maggiori differenze tra madri e padri che non tra i due diversi gruppi.

Si registra comunque una sorta di difficoltà a r icordare (50% del

campione). Gli Autori ipotizzano quindi che « la difficoltà ad

individuare i l bambino reale e la propria funzione genitoriale sia una

caratteristica propria dei primi anni di vita del bambino per tutti i

genitori» . Soprattutto i padri sono quelli che manifestano maggiori

difficoltà a ricordare e se lo fanno tendono ad avere ricordi più felici

r ispetto alle mamme. In questo caso gli Autori ipotizzano che

l’ idealizzazione per i padri si prolunghi maggiormente. Tali ricordi

posit ivi inoltre sono collegati a tappe della crescita, al momento della

r icongiunzione al ritorno dal lavoro, nei momenti di assenza della madre

rendendo manifesta l’esistenza di un legame che si connota però solo in

termini sostitutivi r ispetto al ruolo materno.

Le mamme virano verso ricordi più “difficili” concentrandosi

prevalentemente sul processo di attaccamento-separazione e accettando

gli aspetti ambivalenti del legame con il f iglio. I r icordi felici delle

madri sono strettamente legati all’esperienza fisica dell’allattamento al

seno.

Le mamme PMA tendono a ricordare e raccontare un minor numero di

r icordi felici r ispetto alle mamme normali. Gli Autori hanno interpretato

tale dato ipotizzando che « forse per le mamme PMA è più difficile

permettersi un “sospiro di sollievo”, lasciarsi andare alla

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

consapevolezza di un reale legame felice; quasi per un effetto di

“incredulità” di fronte al loro bambino reale, rimangono più legate

all’ idealizzazione e allo stupore» .

Passando alle ultime due domande ( n°10 e 11) , i padri naturali

r iportano una maggior propensione a parlare ai bambini della loro

nascita. Per dare significato a questo dato è stata estrapolato il modo con

cui i padri hanno interpretato la parola “nascita”. È stato scoperto che

più spesso i padri PMA rispondevano come se la “nascita”

corrispondesse al “concepimento” piuttosto che alla “gravidanza” e al

“parto” e più specificatamente sembrano fare riferimento alle circostanze

in cui sono implicate le procedure di fecondazione artificiale. Tale dato

può essere interpretato in termini di preoccupazione rispetto

all’ infertil i tà e come l’emergere di un valore aggiuntivo del ruolo

genitoriale nella storia del bambino.

I genitori naturali interpretano la parola “nascita” come il momento in

cui è venuto alla luce il bambino.

Le madri PMA affermano di non aver detto niente al loro bambino circa

la sua nascita più frequentemente rispetto alle madri controllo; esse

comunque non differiscono significativamente dalle madri controllo

nelle intenzioni di fare ciò. Come per i padri PMA, e addirittura con una

percentuale ancora più alta, l’ interpretazione del termine “nascita” usata

dalle madri PMA si riferisce al concepimento. Tale aspetto è ancor più

significativo considerando che tali genitori hanno avuto un’esperienza di

gravidanza e di parto diretta. I l focus rimane sul concepimento che ha

avuto successo attraverso un aiuto medico esterno. Sembra che il loro

contributo alla procreazione resti secondario o addirit tura

potenzialmente pericoloso per l’ integrità del bambino. L’ipotesi in

questo caso riguarda la possibili tà che i genitori PMA, anche dopo la

nascita del bambino, non abbiano ancora risolto l’evento critico della

scoperta della sterili tà. Tale evento potrebbe rimanere un trauma che

influenza e condiziona attivamente il loro modo di vedere sé stessi come

genitori “difettosi”. Questo è ancora più significativo considerando che

tali genitori manifestano abili tà genitoriali simili a quelle dei genitori

naturali e che i loro bambini manifestano uno sviluppo normale. Secondo

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

La Sala, Landini, Fagandini e Bevolo (2001) pare che per i genitori PMA

la gravidanza non si configuri come uno spazio di attesa e creazione del

bambino, ma piuttosto come un «“tunnel da attraversare per arrivare

finalmente al bambino”» , un tempo segnato dal rischio di perderlo. E

questo forse a causa di componenti mediche intrusive che vanno a

risvegliare sentimenti di t imore e fragilità r ispetto alla procreazione.

Vedremo come tali aspetti possano venire traslati nel campo

dell’adozione a proposito dei vissuti suscitati nei genitori dall’ iter

adottivo.

Nella domanda n°11 , r iguardante l’intenzione di parlare con il

bambino nel caso ciò non fosse stato fatto, i genitori PMA tendono a

procrastinare nel tempo tale evento, oppure non hanno intenzione di

farlo neppure in futuro. Questo ultimo aspetto è molto evidente nei padri

PMA. I genitori naturali non hanno invece problemi nel manifestare

l’ intenzione di parlare con il bambino della sua nascita.

Nella PMA i genitori vivono una gravidanza che ha conosciuto una

gestazione mentale molto più prolungata rispetto a quella che

sperimentano i genitori “normali”. Per essi esistono due nascite: oltre

alla nascita del bambino esiste la prima nascita che è quella del

concepimento che sancisce la loro capacità procreativa.

Le domande di cui non abbiamo approfondito i contributi delle

r isposte da esse suscitate (n°6 ,7 ,9) , secondo l’analisi degli Autori , non

hanno portato all’evidenziazione di differenze particolari tra i due

gruppi. Rispetto alle variabili prese in considerazione da tali quesiti i

genitori PMA e i genitori naturali sono considerati simili .

Gli Autori pensavano inizialmente che l’obiettivo principale dei

genitori PMA fosse tentare di superare l’ostacolo biologico e quindi

poter procreare come gli altr i genitori. Fatta tale premessa si è ipotizzata

una certa difficoltà da parte dei genitori PMA a confrontarsi

emozionalmente con il bambino reale rendendo più rischioso il processo

di elaborazione che conduce alla genitoriali tà. Si è però abbandonata tale

prospettiva propendendo per l’esistenza di un tipo di genitorialità

diversa e più profonda nelle sue componenti di complessità, specie nel

rapporto con il bambino. Tale complessità può essere una risorsa che

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

promuove una visione più sott ile e discriminata delle relazioni familiari

e dei suoi problemi. Potrebbe però anche essere una possibile fonte di

distorsione nella valutazione delle qualità di queste stesse relazioni,

manifestando una tendenza all’idealizzazione e la presenza di un

“segreto familiare” riguardante la nascita del bambino.

«[…] ogni nascita, PMA o “naturale” che sia, rappresenta l’incontro

con l’unicità del soggetto, i l bambino reale, una dimensione biologica e

psichica non conoscibile a priori» . […] «La PMA pone maggiormente in

evidenza gli interrogativi propri di tutte le nascite, cioè tutte le

diff icoltà di un padre e di una madre a soggettivare la venuta al mondo

di un bambino, il bambino reale, i l reale in quanto inconoscibile da ri-

conoscere»(Fagandini, Bevolo, Landini e Vaccari, 1998). Si tratta quindi

di un percorso comune ad ogni t ipo di genitoriali tà e in cui le difficoltà

fanno parte di un processo “normale” che può esplicarsi secondo

modalità differenti a seconda della specificità dell’esperienza genitoriale

vissuta.

149

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Consegna

La consegna dei “Questionari” , in quanto a tempi, luoghi e modalità,

r ispecchia quella dello strumento delle “Descrizioni” . Rimandiamo

quindi al paragrafo dedicato a tale argomento per le indicazioni

dettagliate.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Risultati

I soggetti sono genitori adottivi che partecipano ad un gruppo di

discussione, condotto dalla Dottoressa Confetti , sul tema della relazione

genitori-figli .

Cominciamo l’analisi con l’esplicitazione di percentuali e frequenze

relative alla composizione del gruppo.

Questo è formato da 20 persone (10 coppie eterosessuali) , con età media

al momento della compilazione del materiale della ricerca di 41,7 anni

(42,7 per i padri; 40,7 per le madri).

I l range d’età va dai 36 ai 49 anni (37-49 per i padri; 36-49 per le

madri).

L’età media è nettamente più alta r ispetto a quella sia dei genitori

naturali che a quella dei genitori PMA. Occorre però considerare che i

r iferimenti anagrafici a nostra disposizione sono riferiti al momento

della compilazione del materiale di ricerca. Questo gruppo di genitori

adottivi, nel momento della nostra r icerca, ha avuto l’abbinamento con il

bambino da circa tre anni che andrebbero così sottratti dal calcolo della

media per avere una stima più precisa. Rimane comunque una cospicua

differenza di età. Questo dato è facilmente spiegabile considerando le

lunghe trafile che i genitori adottivi devono affrontare per avere un

bambino, come abbiamo visto nelle prima parte di questa tesi. Come per

i genitori PMA tale dato può essere considerato come la spinta per

trovare insieme, madre e padre, un progetto di coppia da condividere.

Tale aspetto nei genitori adottivi è ancor più enfatizzato visto i l

maggiore dilatamento temporale nell’acquisizione della genitorialità e la

mancanza dell’esperienza della gravidanza. Si vede comunque come, già

in questo primo dato, si delinei una particolarità: la data di inizio della

genitorialità non corrisponde alla data della nascita del bambino. E i

genitori adottivi vengono accomunati non in base all’età del bambino,

come è successo per i gruppi precedenti, ma in base all’arrivo del

bambino nella famiglia, cioè alla “nascita” della coppia come genitori.

151

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Le occupazioni svolte sono tra le più diverse. Servendoci di una

divisione macroscopica secondo due categorie lavorative i l 60% fa parte

dei lavoratori dipendenti e il 40% degli autonomi.

La stragrande maggioranza (80%) delle coppie ha un solo figlio

(adottivo), 2 coppie hanno 2 figli (1 coppia entrambi adottivi, l’altra 1

adottivo e 1 naturale). I bambini sono quindi 12 (8 maschi e 4 femmine)

ed hanno un’età che varia dai 3 ai 5 anni, fatta eccezione per un caso in

cui la bambina ha già 11 anni. Anche in questo caso si tratta di dati

r iferiti al momento della r icerca e a cui occorre sottrarre 3 anni per

ottenere la situazione al momento dell’abbinamento.

La percentuale di risposta al questionario è stata del 100%: si tratta di

un dato molto significativo, indice di una forte motivazione presente

all’ interno del gruppo ad approfondire le tematiche dell’adozione e a

scoprire nuovi aspetti della propria esperienza genitoriale.

Analizzando i questionari compilati dai genitori adottivi abbiamo tratto

alcuni dati interessanti. L’uso di tale t ipo di strumento rende difficile

adottare un’ottica quantitativa in quanto ogni questionario si presenta

ricco di dati e sollecita in continuazione nuove domande e diverse

possibilità di lettura dei dati stessi. Nostra intenzione è quella di dare

una visione la più completa possibile dei genitori adottivi che hanno

partecipato alla nostra indagine per conoscere questo tipo alternativo di

genitorialità. Per fare ciò ci siamo proposti di mettere da parte, per

quanto possibile, qualsiasi t ipo di pregiudizio nei confronti

dell’adozione.

Innanzitutto, per quanto riguarda l’apprezzamento relativamente alle

caratterist iche del bambino (domanda n°1) , è stata rinvenuta una

differenza fondamentale. Mentre i genitori PMA avevano delineato

aspetti inquadrabili in tre categorie ( Tutto , Caratteristiche cognitive ,

Caratteristiche emotive) , i genitori adottivi hanno evidenziato un’altra

categoria totalmente nuova ovvero quella delle Caratteristiche fisiche :

“Quel faccino di color ambrato, con due occhioni grandi che sembrano due

perle, un sorriso stupendo…” (M1),

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

“Mi piace i l sorriso di A. …” (M2),

“I suoi occhioni neri” (M3), (P3),

“Il sorriso, gl i occhi , i l colore del la pel le, le mani …” (P2),

“La bellezza …” (P4).

A volte si tratta di lunghi elenchi di caratteristiche del bambino in cui

vengono menzionati attr ibuti fisici insieme ad altr i aspetti :

“La faccia, la sua dolcezza, la sua ingenui tà …” (M4),

“La dolcezza/ l ’al legria/ la svel tezza nel l ’apprendere le cose/ Il suo viso e i

suoi capell i …” (M6).

È un dato interessante in quanto si tratta di aspetti che piacciono, che

vengono cioè molto valorizzati e a cui i genitori PMA non avevano fatto

alcun riferimento. (I genitori PMA hanno dato risposte più generali ,

mentre i genitori naturali hanno sottolineato le caratteristiche emotive).

Può darsi che l’aspetto fisico dei bambini adottivi, aspetto che molto

spesso è totalmente differente da quello dei nuovi genitori, sia

percettivamente ed emotivamente più pregnante per i genitori adottivi

che ne enfatizzano le componenti di bellezza. È significativo che anche

un elemento come il colore della pelle, che comunemente viene

considerato una preoccupazione, venga qui invece inserito all’interno

delle caratterist iche piacevoli.

Un altro aspetto da prendere in considerazione riguarda l’emergere,

all’ interno della categoria delle Caratteristiche cognitive , di molte

caratterist iche che possiamo definire caratteriali , soprattutto quelle

legate alla vivacità, all’essere solare ed energico.

“… la sua al legria, la sua spensieratezza” (M1),

“Il carattere al legro. Al suo risveglio è sempre sorridente e “pronto” al

gioco …” (M5),

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

“La vivaci tà, la spontaneità e l ’energia che sprigiona in tut ta la giornata

con tanta voglia di imparare” (M9),

“… i l suo carattere solare e gioioso” (M10),

“…la gioia e l ’al legria che sa trasmettere” (P1),

“Il suo carattere sempre al legro, mai tr is te, mai serio, mai musone, sempre

voglia di ridere, di giocare” (P5),

“… la gioia e l ’entusiasmo che vedo in lei” (P10).

Si enfatizzano molto anche le caratteristiche emotive e in particolare la

dolcezza:

“… il carattere forte, dolce, af fet tuoso, coccolone” (M8),

“… l’af fet to che sa dimostrare” (P6).

In questo caso si può ipotizzare in questi genitori un’attenzione

particolare verso quelle componenti che più di altre sono

costituzionalmente presenti nell’individuo e che si configurano come

aspetti molto piacevoli.

Emiliani e Molinari (1995) affermano che dai discorsi delle madri

naturali (soggetti della loro indagine) emerge l’ idea diffusa del carattere

inteso come dato oggettivo visibile f in dalla nascita e stabile nel tempo.

Tale idea, presente anche nei genitori adottivi, può essere una via per

entrare in rapporto con l’alterità del bambino, segnata, in questo caso, da

caratterist iche positive ed accattivanti. Anche la grande gioia per essere

riusciti a raggiungere la genitorialità potrebbe spingere ad apprezzare

tutto ciò che riguarda il bambino in una sorta di atteggiamento

riconoscente. La risposta di un padre a questa domanda ( n°1) è molto

significativa in tal senso:

“Mi piace i l fat to che mi essere un papà” (P1).

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Mi sembra che compaia in questa frase il desiderio profondo di

genitorialità che finalmente è giunto a suo compimento grazie all’arrivo

di un bambino “già nato”, quindi dotato di una sua individualità.

Per quanto concerne ciò che non piace ai genitori adottivi (domanda

n°2) non abbiamo rintracciato grosse differenze rispetto alle categorie di

analisi r invenute nei genitori PMA, eccetto una. Se manteniamo le stesse

categorie: Niente , Caratteristiche fisiche , Caparbietà/ostinazione , Scoppi

d’ira/collera , Altre caratteristiche del carattere, vediamo come le

Caratteristiche fisiche r ientrino per i genitori PMA (anche se in modo

trascurabile) tra le caratteristiche che non piacciono. Più marcata è la

percentuale di genitori naturali che nomina tali caratteristiche. I genitori

adottivi non indicano in questa risposta le caratteristiche fisiche, che,

come abbiamo visto, sono considerate in senso positivo.

Grande spazio è invece dedicato all’elencazione delle caratterist iche

legate alla testardaggine, all’ insistenza, ad atteggiamenti violenti e di

sfida o comunque ad aspetti che rendono difficile la gestione del

bambino:

“A vol te è molto insis tente e testardo. Quando fa dei giochi con al tr i

bambini vuol decidere sempre lui lasciando poco spazio agli al tr i” (M1),

“… a vol te picchia gl i al tr i bambini” (M2),

“La sua insistenza, i l parlare troppo, i l volersi sentire sempre al centro

del l’at tenzione” (M4),

“La testardaggine che dimostra, nonostante i r improveri , a cont inuare cert i

at teggiamenti sbagliat i e di s f ida nei nostri confronti” (M5),

“Le sf ide che mi lancia/ la testardaggine” (M6),

“L’iperatt ivi tà, i l disinteresse al rispet to del le regole” (M7).

Si assiste ad una specie di dato costante che accompagna la maggioranza

dei questionari. Vediamo così gli stessi aspetti menzionati dai padri:

“… l’ot tusi tà nel voler essere lei a decidere cosa fare” (P1),

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

“Le botte, i piant i senza spiegazione” (P2),

“È testardo a vol te non sempre” (P3),

“La sua insistenza” (P4).

La difficoltà nella gestione di tale aspetto viene anche sottolineata con

forza:

“La testardaggine, soprattut to questo” (P6),

“A volte quando gli s i nega qualcosa che vuole o vuole fare ha degl i

at tacchi di rabbia di cui non so darmi ragione” (P9).

Tale dato compare con frequenza anche nelle r isposte dei genitori

naturali e PMA, soprattutto per le madri di tutt i questi gruppi. Ciò può

essere dovuto al fatto che le madri trascorrono più tempo insieme ai

bambini e quindi si espongano maggiormente a loro comportamenti

negativi, i quali sembrano costituire una specificità generazionale

piuttosto che essere legata ad una particolare modalità genitoriale. Anche

se pare esserci una maggiore enfasi su questi aspetti da parte dei genitori

adottivi.

All’interno di un singolo questionario a questa domanda abbiamo

rintracciato una risposta significativa:

“Se fosse nato da me non era di certo così . È come lo avrei voluto al legro

tenace socievole ed una sf ida continua” (M9).

Non l’abbiamo inclusa all’ interno di alcuna categoria e la nostra

proposta è che sia inseribile all’ interno di una categoria a parte

definibile Caratteristiche emotive della relazione . Può darsi che

eseguendo un’indagine con un campione più ampio tale categoria possa

essere maggiormente espressa. Si nota in tale r isposta una sorta di

autosvalutazione in merito alle proprie capacità procreative denunciate

come difettose o non in grado di generare i l corrispettivo dei propri

desideri e un riconoscimento di qualità proprie del bambino.

156

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Da notare come i genitori adottivi si differenzino molto rispetto ai

genitori PMA nell’uso delle categorie generali “ tutto” e “niente”,

util izzandole pochissimo. Mostrano quindi un atteggiamento meno

assoluto e più attento agli aspetti particolari del loro bambino.

Non abbiamo riscontrato particolari diversità tra padri e madri adottivi.

Si potrebbe ipotizzare che tale mancanza di differenze sia dovuta ad un

percorso simmetrico dei coniugi nell’acquisizione della genitorialità,

cosa che invece non avviene né nei genitori PMA né in quelli naturali

che vivono percorsi differenti dovuti all’esperienza femminile della

gravidanza e del parto.

Per quanto riguarda i l t ipo di emozioni suscitate dal bambino

(domanda n°3) abbiamo util izzato due macrocategorie: emozioni positive

e negative . Vi è prevalenza di emozioni positive soprattutto Amore ,

Tenerezza e Gioia ed altre che a queste si r ichiamano come Felicità e

Dolcezza .

Emergono però anche emozioni negative soprattutto nelle madri che

presentano anche un rapporto fisso nelle risposte: le prime due risposte

r iguardano emozioni positive, la terza una negativa:

-Amore (con i l bisogno di abbracciarlo)

-Tenerezza

-Rabbia

(M4)

-Fel ici tà

-Dolcezza

-Rabbia

(M6)

-Dolcezza

-Soddisfazione

-Ansia-paura

(M8)

Quest’aspetto si r itrova anche nei genitori PMA ed è stato un punto

preso in considerazione nella costruzione dello strumento. Nei padri tale

157

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

rapporto viene mantenuto solamente in una minoranza di casi e sono solo

3 i padri che parlano anche di emozioni negative:

-Fel ici tà

-Desiderio di proteggerl i

-Rabbia/vergogna

(P2).

Questo fatto potrebbe essere dovuto alla maggiore quantità di tempo

trascorsa dalle madri con i figli , che può permettere di sperimentare un

rapporto più completo all’ interno del quale esprimere anche componenti

ambivalenti.

Per i padri forse il non poter disporre di tale tipo di esperienza tende a

precludere la possibili tà di inquadrare il loro rapporto anche in termini

di difficoltà che potrebbero legarsi al poco tempo passato insieme.

Tra le emozioni negative quella che compare maggiormente è la Rabbia,

mentre ve ne sono diverse relative a preoccupazioni di vario tipo come la

Paura , la Preoccupazione , l’Ansia .

Da notare che 2 padri e 2 madri non si sono espressi in termini di

emozioni servendosi invece di r isposte che fanno riferimento ad

avvenimenti:

-Quando la vedo dormire nel suo let t ino

-Quando dice Mamma t i vogl io bene

-Quando c’è qualcosa che non va farle le coccole

(M1)

o ad aspetti del bambino che suscitano emozioni:

-La sua al legria

-Il suo sorriso

-Essere socievole

(M3)

-La sua al legria

-Il suo carattere

158

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

-La sua vogl ia di creare e di costruire

(P3)

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

-Rivedere foto f i lmini ecc.

-Quando lo tosiamo si evidenzia i suoi trat t i

-I suoi sguardi molto profondi

(P4)

Ricordiamo che questa domanda chiedeva: “Quali sono le tre emozioni

più forti che le suscita i l suo bambino?” . Mi sembra significativo il fatto

che questi genitori non abbiano espresso i propri sentimenti in termini di

emozioni bensì utilizzando aspetti concreti ed esempi da cui si può

dedurre il t ipo di emozione. Da sottolineare che durante la consegna del

materiale alcuni genitori avevano espresso alcuni dubbi r ispetto a tale

domanda chiedendo chiarimenti , ma nonostante ciò alcuni si siano

comunque espressi in un modo diverso. La lettura di questo dato

potrebbe andare verso l’esistenza di una certa difficoltà incontrata nel

r intracciare ed esplicitare le proprie emozioni r ispetto al rapporto col

bambino.

Rispetto alle posizioni delle emozioni notiamo come quelle

maggiormente citate al primo posto siano Amore , Gioia e Felicità . Da

notare che in questa posizione non compare alcuna emozione con

caratterist iche “negative” (si tratta di un termine fuorviante che fa però

riferimento alle macrocategorie scelte per l’analisi) .

In seconda posizione prevale la Tenerezza e cominciano a comparire

emozioni negative come Paura e Apprensione .

Nella terza infine prevale nettamente la Rabbia e vi è comunque un netto

aumento delle emozioni negative, anche se rimangono molti genitori che

citano emozioni positive. Si assiste quindi ad una tendenza verso la

varietà e l’ambivalenza nell’espressione delle emozioni (come nei

genitori PMA e in minor misura in quelli naturali) .

Anche qui non si notano particolari differenze tra madri e padri adottivi

che manifestano le stesse tendenze di r isposta.

Nei genitori PMA si riscontra l’espressione di emozioni più diversificate

nei padri r ispetto alle madri, indice di un probabile coinvolgimento

emotivo più profondo e di una rif lessione interiore più partecipe. Si

160

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

mantiene comunque quella differenza legata allo specifico dei ruoli

materno e paterno rinvenuta nei genitori naturali .

Nella domanda n°5 abbiamo indagato i desideri e le paure dei genitori

per i loro bambini.

Nei desideri abbiamo utilizzato le stesse categorie d’analisi usate nella

r icerca sui genitori PMA ovvero Protezione dai pericoli , Salute ,

Autonomia , Intelligenza , Felicità , Moralità, Socievolezza ,

Autorealizzazione e Altro . Le punte più alte si trovano rispetto alla

Salute , al la Felicità (specie la Serenità e la Sensazione di essere amati) e

la Socievolezza (particolarmente un Buon rapporto con gli altr i e Buon

rapporto con la famiglia). L’aspetto legato alla Salute è comune a tutte

le categorie genitoriali (adottiva, PMA, naturale), mentre quello della

Socievolezza è più enfatizzato nei genitori adottivi. Forse essi temono

più degli altr i genitori che i figli possano avere dei problemi proprio a

causa della condizione adottiva:

“Che impari a giocare con i bambini …” (M5),

“Che abbiano un rapporto sereno con gl i al tri” (P2),

“Che si trovasse di più a suo agio anche al di fuori del l ’ambiente

famil iare, in mezzo al la gente …” (P5),

“Che si integrino bene nel la società” (P7).

Oppure i desideri sono relativi al bisogno di colmare la situazione di

carenza e abbandono precedente l’adozione:

“Vorrei r iuscire a darle quel le opportunità che non avrebbe potuto avere là

dove è nata” (P1),

“Che si avverino tut t i i suoi sogni” (M1),

“Che si senta sempre amato e “protet to” da noi , e che non tema più un

eventuale abbandono” (M5),

“Desidererei che ricevessero da tut t i l ’amore di cui necessi tano” (M7).

161

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Oppure temono che non riescano ad apprezzare la nuova famiglia e a

vivere felici all’ interno di essa:

“Amare la sua famiglia” (M3),

“Un buon rapporto con la sua famiglia” (P5),

“Una famigl ia sempre unita come siamo noi” (P10).

E a questo riguardo emergono dei dubbi r ispetto alla propria funzione

genitoriale:

“Che quando sarà grande riesca a vedermi come una buona madre” (M6),

“Che capisca quanto bene gl i vogliamo” (M9),

“Che vedano nei loro geni tori sempre un punto di r i ferimento” (P7).

Si potrebbe vedere in questo tipo di risposte l’emergere di una paura

rispetto al non essere riconosciuti dal figlio come buoni genitori o il non

riuscire ad esplicare al meglio il proprio ruolo genitoriale. Sembra

riaffiorare l’idea di una genitoriali tà che viene messa alla prova

continuamente e in questo forse si sentono i riflessi dei pregiudizi

sociali e della lunghezza e delle componenti valutative dell’iter adottivo

affrontato.

Nelle paure abbiamo trovato un insieme di r isposte che non rientra nelle

categorie valide per i genitori PMA ( Danni f isici o sociali , Malattie e

Altro) . Si tratta di un gruppo di risposte piuttosto consistente che noi

abbiamo deciso di raggruppare sotto la categoria Conseguenze

dell’adozione . Si tratta infatti di aspetti molto diversi tra loro e dei più

svariati t ipi che sono inerenti l’adozione come l’elaborazione del lutto:

“Paura che non riescano ad elaborare l’abbandono” (M2),

“La paura che un giorno possa riaf f iorare i l r icordo di un passato non

fel ice” (M7).

Il peso dell’essere adottato:

162

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

“Ho paura che sof fra quando da grande capirà, veramente, cosa signif ica

essere stato adottato” (M5),

“La paura che un giorno possano sentire i l peso di essere f igl i adottat i”

(M7),

“Che gl i venga fat to pesare l ’essere un bimbo adottato” (P5),

“Qualche frase che possa ferir la det ta da persone “ignoranti” in s i tuazioni

part icolari” (P10),

“Le forme di razzismo nei suoi confronti” (M1).

Il sentirsi diverso dagli altr i:

“Ho paura che si senta un po’ diverso dagli al tr i bambini” (M5).

Possibili problemi psicologici dovuti al suo passato o alla sua condizione

adottiva:

“Che nella sua adolescenza viva un momento cri t ico a causa del l’adozione”

(M4),

“Che i l loro passato possa in futuro creare problemi psicologici” (P7).

Il desiderio di conoscere le sue origini:

“Paura che un giorno non ci r iconosca più come genitori e che voglia

cercare le sue origini (so che sicuramente lo aiuterò ma mi fa paura)” (M9),

“Quando comincerà a fare domande precise sul le sue origini spero di dare

tut te r isposte soddisfacent i per lui” (P9).

Ed altr i ancora:

“Che un giorno la madre naturale me lo port i via” (M6).

Si può ipotizzare che tale dato sia ancora una volta un residuo

dell’esperienza dell’ iter adottivo lungo il quale i genitori sono stati

163

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

messi in guardia (a volte in modo eccessivo) sulle possibil i difficoltà del

f iglio derivanti dalla sua condizione adottiva. Oppure si possono

chiamare in causa i pregiudizi socioculturali legati a tale condizione, con

i t imori di esclusione o dell’emergere di sentimenti di diversità.

Per le restanti r isposte torna ancora una grande preoccupazione per le

malattie che è speculare ai tanti desideri di salute.

Abbiamo visto come i genitori PMA tendano ad avere minori

preoccupazioni r ispetto a pericoli provenienti dall’esterno. Al contrario i

genitori adottivi mostrano di essere più preoccupati proprio per ciò che

può minacciare il bambino all’esterno. In questo caso, oltre alla paura di

discriminazioni da parte dell’ambiente sociale attuale, troviamo anche i l

t imore per le sofferenze inferte dall’ambiente povero e degradato da cui

il bambino proviene. Sembra affiorare il t imore che l’ intervento dei

genitori non sia sufficientemente salvifico e che i l danno sia

irreversibile. L’ambiente familiare viene così caricato da questi genitori

di una responsabilità protettiva anche maggiore.

Rispetto ai Danni f isici o sociali le preoccupazioni possono venire divise

in due tronconi: quello che è comune a tutti i bambini ( incidenti , droga,

pedofil ia, brutti incontri…) e quelli invece legati alla condizione

adottiva (non essere accettato da altr i a scuola, razzismo). Per quanto

riguarda risposte come “adolescenza” e “apprendimento scolastico” sono

riferite alla condizione adottiva dalle affermazioni dei genitori stessi,

che temono particolari difficoltà dovute all’adozione.

Si avverte inoltre un senso di precarietà, insicurezza e di minaccia

proveniente dall’ambiente esterno che si può ripercuotere all’ interno del

nucleo familiare.

Un padre ha espresso le sue paure utilizzando la categoria Niente , mai

comparsa nei genitori PMA e naturali .

Nella domanda n°6 , quella relativa alla valutazione del rapporto con il

bambino, vediamo la netta prevalenza di un vissuto di grande

soddisfazione: 14 genitori su 20 affermano che il rapporto con il f iglio è

molto soddisfacente . Di questi però solo 6 affermano anche l’esistenza di

una componente di fatica. Nessun genitore afferma che i l suo rapporto

con il figlio sia solamente faticoso o molto faticoso se non accompagnato

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

ad una valutazione positiva molto soddisfacente o abbastanza

soddisfacente . Questo può essere indice di grande gioia per aver ottenuto

il bambino; una gioia così forte che può occultare quelle componenti

“negative” presenti in ogni rapporto interpersonale, specie quello tra

genitore e figlio. Oppure potrebbe trattarsi del r if lesso di componenti

valutative del ruolo genitoriale r iattivate dalla consegna del questionario

da parte di un futuro psicologo all’interno del gruppo post-adozione.

Più della metà del gruppo (12 soggetti) asserisce (domanda n°7) di

avere immaginato i l loro rapporto con il bambino proprio come lo stanno

vivendo ora. I restanti genitori affermano invece di non averlo

immaginato così, fornendo, in sporadici casi, spiegazioni circa tali

difficoltà. Esiste una corrispondenza fra le r isposte del nostro gruppo e

quelle dei genitori PMA e naturali indagati in precedenza.

La successiva domanda (n°8) si riferisce al ricordo di un avvenimento

ritenuto particolarmente significativo nella costruzione del rapporto con

il bambino.

Il dato più saliente, sempre facendo un confronto con la ricerca sui

genitori PMA, è i l fatto che i genitori adottivi non mostrino (tranne un

soggetto) alcuna difficoltà a r icordare. Tale difficoltà r iguarda ben il

50% dei soggetti appartenenti sia al gruppo dei genitori PMA che quello

dei genitori naturali (Fagandini, Bevolo, Landini e Vaccari, 1998).

Si potrebbe ipotizzare che i genitori adottivi, ottenendo il bambino non

immediatamente dopo la sua nascita, ma spesso in un periodo successivo,

non subiscano quel meccanismo di amnesia che riguarda, secondo gli

Autori, i primi momenti della genitorialità, e soprattutto l’esperienza

confusiva e traumatica del parto.

Non è da sottovalutare l’esperienza formativa e di r if lessione vissuta

negli incontri di gruppo che può aver notevolmente facil itato l’emergere

di tali r icordi.

I dati più significativi sembrano però forniti da affermazioni relative

alla nascita della consapevolezza di essere genitori: questo avviene in

momenti diversi da quello dell’arrivo del bambino, e in r iferimento a

particolari si tuazioni relazionali . Tali momenti sono molto significativi

165

Page 166: Percorsi dell’adozione - il rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

per il genitore adottivo che li designa come una specie di seconda

nascita: della famiglia, del genitore, del figlio:

“La prima grossa l i t igata perché ci ha aiutat i a s tabil ire i ruol i: genitori-

f igl io” (M8).

Soprattutto nel momento di espressione dei sentimenti di amore o

manifestazioni di affetto del bambino verso i genitori: si ha

l’ impressione che questo evento venga considerato come l’inizio del loro

rapporto:

“… quando per la prima volta mi ha det to «t i vogl io bene»” (M9),

“Un pomeriggio (quando aveva circa 3 anni) ho sgridato i f igl i dei vicini

perché lanciavano oggett i (pesant i) ol tre la s iepe nel nostro giardino

rischiando di colpirlo. L’ho preso in braccio mentre l i sgridavo e lui tut to

fel ice mi ha det to: «Mamma, mi è piaciuto, l i sgridi un al tro pochino? » .

Secondo me da quel giorno si è senti to ancora più protet to” (M5),

“Una sera mentre s tavo addormentando la mia bambina tra una coccola e

l ’al tra lei mi ha stret to forte e mi ha det to t i vogl io tanto bene. Per me è stata

una cosa molto emozionante” (M10),

“… Mi ha messo un braccio intorno al col lo e, senza dire nulla, mi ha

stret to forte. Mi sono emozionato per i l suo ringraziamento” (P5),

“… Quando mi vide scendere dal pulman mi corse incontro con un

abbraccio e bacio. … La cosa mi aveva commosso” (P10).

Oppure ancora è emblematica la frase di un padre che sottolinea

l’ importanza del momento in cui il bambino per la prima volta lo ha

chiamato papà:

“La prima vol ta che ri ferendosi a me ha det to a chi ci s tava intorno

«QUESTO È IL MIO PAPÀ»” (P9).

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Sembra che i genitori avvertano una sorta di difficoltà a r iconoscersi

come tali . Si ha l’ impressione che essi attendano una sorta di conferma,

un segno che sancisca un riconoscimento esterno.

I padri adottivi tendono a riferire si tuazioni relative al r icongiungimento

dopo il lavoro o a difficoltà che si sono risolte consolidando il rapporto:

“Nei primi due mesi C. non mi considerava molto, così con pazienza ho

dovuto meri tarmi la sua f iducia, ci sono al la f ine r iusci to” (P6).

Tali vissuti si avvicinano molto a quelli descritt i dalle madri adottive,

cosa che invece non accadeva nel confronto tra i padri e le madri PMA.

Anche questo può essere un indice di un percorso genitoriale molto più

simile tra i coniugi rispetto alla nascita a seguito di una gravidanza.

Nella domanda n°9 si chiede ai genitori cosa cambierebbero nel loro

rapporto con il bambino.

La madri adottive prevalentemente (6 su 10) r ispondono che non

vorrebbero cambiare nulla, considerando il rapporto attuale già molto

posit ivo.

“In questo momento non vorrei cambiare niente” (M1),

“Non ho un rapporto ideale nel la mia mente a cui per forza far ri ferimento.

Per ora mi piace così , s i cresce insieme e non sappiamo dove ci porterà”

(M4),

“Niente perché malgrado i momenti di rabbia, è un rapporto chiaro e

l impido con tut te le component i di un rapporto di madre e f igl io (per

adesso)” (M6).

Le restanti madri gradirebbero avere più tempo da trascorrere con il

f iglio oppure riuscire ad essere più severe:

“Vorrei avere ancora più tempo e sempre di più” (M3),

“Devo essere più severa” (M2).

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

I padri adottivi manifestano una minore tendenza a r ispondere in modo

assoluto e solo in 3 casi si esprimono affermando di non voler cambiare

nulla nel rapporto:

“Trovo di f f ici le voler cambiare qualcosa, va bene così ” (P9).

La maggior parte delle r isposte si focalizza sul proponimento di

migliorare tale rapporto attraverso, anche qui, una quantità maggiore di

tempo passato insieme e una maggiore severità e inoltre cercando di

partecipare di più al gioco e al dialogo con il bambino:

“Vorrei passare più tempo con loro. Vorrei parlargli di più e meglio.

Vorrei avere più pazienza” (P2),

“Vorrei che mi ascoltasse di più, che fosse più ubbidiente, che mi facesse

partecipare di più ai suoi giochi …. Vorrei essere più paziente ed

arrabbiarmi di meno” (P5),

“Vederla e potere stare insieme a lei qualche ora in più …” (P10).

L’ultimo aspetto indagato dal questionario (domande n°10 e 11) è

quello relativo alla r ivelazione della nascita del bambino e alle modalità

con cui ciò è stato fatto. Notiamo subito come la stragrande maggioranza

del gruppo (15 coppie su 20) ha già detto al bambino la verità circa la

sua condizione di bambino adottivo. Tra i cinque che invece non l’hanno

fatto una coppia ha adottato una bambina grande che già era a

conoscenza di tutto:

“… era già grande e lei sapeva già tut to” (P8).

Mentre un’altra coppia ha adottato una bambina molto piccola che, a loro

giudizio, non è ancora in grado di comprendere appieno tali significati :

“Vista l ’età non ancora. St iamo iniziando adesso” (P10).

Solo in un caso i due coniugi differiscono rispetto a tale r isposta: si

tratta però di un padre che afferma di aver trattato poco l’argomento

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

lasciando maggiormente l’incombenza alla moglie, ma nella

consapevolezza comunque che si tratta di un suo limite:

“Poco, spesso ci pensa la madre, è un mio l imite e me ne dispiace” (P6).

L’orientamento predominante è quello quindi di essere sinceri e aperti

verso il bambino, forse anche sotto la spinta della nuova legge e delle

indicazioni degli operatori.

Rispetto alle modalità utilizzate per la r ivelazione ne predominano

principalmente due: la prima è l’utilizzo di favole, cartoni animati,

f i lmini, foto che raccontano l’adozione o la storia del bambino. La

seconda, utilizzata soprattutto dalle madri, è il r iferimento alla pancia di

un’altra mamma che non poteva tenere il bambino.

L’utilizzo del termine “pancia” sembrerebbe un esempio di oggetto

parziale che è utile ad evitare l’ immagine di una persona intera con una

propria identità, storia, affett i , esistenza da cui deriva la nascita del

bambino: una persona intera con cui mettersi a confronto, con cui

paragonarsi. I l r icorso all’oggetto parziale risulterebbe essere una difesa

a cui genitori adottivi farebbero ricorso (ben 7 sui 15 che hanno fatto la

r ivelazione):

“Ho spiegato a mia f igl ia R. che lei è nata in India dal la pancia di un’al tra

Mamma” (M1),

“… Che è nata a Mosca, dal la pancia di un’al tra mamma.Che la cicogna ha

sbagliato s trada.…” (M4).

La paura del confronto con la mamma naturale è evidente nella risposta

di una mamma che utilizza l’espressione “bella signora” per indicare la

madre naturale del bambino e poi la svaluta affermando che questa non

era brava a fare la mamma come invece si sente lei:

“… Gli ho dato spiegazioni: che io non riuscivo ad avere bimbi con la

pancia ma mi sent ivo una buona mamma e la bel la s ignora che ha fat to

nascere lui non era brava a fare la mamma così lo ha portato in una scuola

insieme ad al tr i bambini che aspet tavano la mamma.…” (M6).

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

A volte questa rivelazione assume i connotati di una storia personale,

una specie di favola, dai contenuti dolorosi:

“…A 3 anni gl i ho spiegato che i bimbi crescono nella pancina del le

mamme ma, s iccome la mia era un po’ rot ta, ho dovuto farlo crescere nel la

mia mente e nel mio cuore per un po’ di tempo f inché non ho potuto

raggiungerlo. Lui sembra soddisfat to di questa sua storia e adesso quando gli

racconto favole a volte mi dice: «Adesso mi racconti la mia storia?»…” (M5).

Ancora un madre fa r iferimento alla pancia di un’altra mamma, ma mette

il termine tra virgolette come se si trattasse di un modo di dire o di una

frase fatta:

“… in diverse occasioni sono stat i loro ad introdurre l’argomento del la

loro provenienza da un al tro paese, da un’al tra “pancia”, da un’altra

mamma” (M7).

I due padri che parlano della pancia uti lizzano le medesime modalità

scelte dalle madri:

“… R. sa che è nata in India dal la pancia di un’al tra Mamma con l’aiuto di

un al tro Papà…” (P1),

“… Raccontando che è nato dalla pancia di una signora che quando è stato

i l momento di diventare mamma non ce l’ha fat ta e che l i ha portat i in una

grande casa con tanti bimbi e con del le tate che si prendevano cura di lui . … ”

(P9).

Donald Winnicott, in un suo contributo sull’adozione, utilizza parole

molto simili:

«Vi sarete domandati quando questo ragazzo abbia saputo di essere

stato adottato: penso che la cosa avvenne quando aveva circa tre anni:

gli era stato detto […] come nascono i bambini. La mamma gli aveva

detto: “Sai, tu vieni dalla pancia di un’altra mamma, non dalla mia. Io

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

t i ho preso con me perché la tua vera mamma non poteva occuparsi di

te» (Winnicott, 1953) 1 .

L’altra modalità (util izzo di foto, filmini, f iabe, cartoni animati…) può

essere dovuta a consigli degli operatori o comunque al fatto di legarsi a

tutta una serie di attività in cui i bambini trascorrono buona parte del

loro tempo, specie i cartoni animati e le favole:

“…Attraverso alcuni cartoni animati (Dumbo, Bianca e Bernie, ecc. ) e

tramite foto e le casset te di quando siamo andati a prenderlo.” (M4),

“Le racconto una favola che assomiglia un po’ al la sua storia …” (M10),

“… inizialmente riguardando foto, f i lm ecc. Anche con cartoni t ipo Dumbo

ed al tr i” (P4),

“… All’inizio era come una f iaba poi un po’ al la volta si è arricchita di più

part icolari . Ora molte volte la chiede lui” (P5).

In alcune risposte si enfatizza l’esito positivo di tale processo di

r ivelazione, semplice e lontano dall’incorrere in problemi di alcun tipo:

“… raccontando in modo semplice la veri tà” (M9),

“All’inizio era come un gioco poi man mano che lui cresceva ha capito di

che cosa si trat ta senza traumi” (P3).

Emergono anche frasi molto crude che evidenziano la precarietà della

situazione in cui viveva il bambino:

“… dicendo loro che sono nati in un posto dove non c’era da mangiare e

dove nessuno poteva occuparsi di loro” (M7).

Per fare un confronto con la r icerca sui genitori PMA rispetto

all’ interpretazione data al termine “nascita”, possiamo constatare come,

nella maggioranza dei casi , si faccia riferimento alla nascita biologica

1 Due bambini adottati.In Winnicott, D.H. (1987).

171

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

del bambino attraverso l’utilizzo, come abbiamo visto, della pancia di

un’altra mamma. Emerge però un aspetto interessante. Accanto a questa

nascita naturale se ne accosta un’altra, quella del viaggio per andare a

prendere i l bambino e della nascita della famiglia a partire da quel

momento:

“Mamma e Papà, che desideravano tanto un bambino, hanno preso l’aereo

per andarl i a prendere” (M2),

“… Abbiamo iniziato quasi subi to a raccontargl i la sua storia di come

eravamo andati a prenderlo …” (P5).

Sembra che i genitori adottivi siano consapevoli dell’esistenza di una

storia personale del bambino in cui si colloca l’evento nascita, ma che

vogliano anche enfatizzare quella che per loro è stata la vera nascita del

bambino, ovvero i l suo ingresso nella loro vita. Si tratta evidentemente

di un evento emozionalmente molto forte che riveste un significato

particolare per i genitori adottivi:

“… Gli ho spiegato che l’abbiamo tanto desiderato e tanto aspet tato che

f inalmente quel giorno i l nostro sogno si è avverato!…” (M5).

Così essi, nonostante abbiano la piena consapevolezza dell’ importanza

del passato del bambino, tendono a mettere tale esperienza un po’ in

secondo piano e, soprattutto, a fare r isaltare l’importanza positiva di

“una nuova vita” che possono condividere con il bambino.

Abbiamo tracciato un’immagine di genitorialità adottiva secondo gli

spunti fornitici dal questionario PMA. Si è ottenuta un’immagine di

genitori in parte differente da quella che possiamo definire “normale”. Si

tratta di un’immagine che presenta caratteristiche proprie che denotano

l’esistenza di un particolare it inerario di crescita. Tale diversità

crediamo possa essere vista come l’espressione di un’esperienza

relazionale molto complessa. Sappiamo infatti che l’adozione, per le sue

caratterist iche, richiede ai genitori una tempistica molto lunga in cui si

può dare spazio alla rif lessione e alla elaborazione di vari contenuti e

situazioni. Uno tra questi è certamente il proprio ruolo genitoriale e la

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

propria identità come genitore che può così configurarsi con componenti

molto profonde ed emotivamente diversificate r ispetto ad altr i t ipi di

genitorialità, specie nei padri adottivi.

I dati , lo abbiamo sottolineato più volte, indicano l’esistenza di possibil i

tendenze che non possono essere generalizzate data l’esiguità del

campione. Essi però forniscono una fotografia abbastanza dettagliata del

gruppo del dopo-adozione.

Abbiamo riscontrato alcuni dati che possono essere visti come segni di

difficoltà spesso esplicitate chiaramente.

Nell’ambito affettivo:

“…Ho avuto paura! Mi sono resa conto del la loro fragi l i tà” (M2),

“Ero ancora in una fase in cui la mia gelosia verso di lui era forte, . . .e lui

ha preferi to andare in braccio ad una mia amica piut tosto che a me. Ho avuto

bisogno di tante conferme per capire che sono io la sua mamma” (M4),

“All’inizio per ovvi motivi non si r iusciva ad avere un buon rapporto poi

pian piano con un po’ di serenità tut to è passato” (P3),

“La paura che si legasse ad al tri” (P4).

E in quello educativo:

“… Il più del le volte sembra non ascoltarmi neanche” (M5).

Non abbiamo riscontrato però ulteriori indicatori di sofferenza che non

fossero legati, come abbiamo visto, alle difficoltà incontrate all’inizio

di un rapporto nuovo e speciale come quello con un bambino adottivo.

Tali sensazioni possono essere legate alla complessità delle emozioni e

possono produrre una maggiore consapevolezza da parte dei genitori e

ulteriori r isorse da spendere nella relazione con il bambino.

In questo percorso l’esperienza del gruppo può avere contribuito a

sviluppare una maggiore consapevolezza delle difficoltà e delle

responsabilità proprie di tale rapporto, ma ha contribuito anche alla loro

elaborazione.

173

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

I genitori del gruppo post-adozione hanno manifestato il desiderio di

eseguire un incontro di restituzione al termine della r icerca. Questo ci fa

supporre che la possibilità di essere informati sui r isultati di un’indagine

che li r iguarda può rassicurarli sulle proprie capacità e funzioni

genitoriali e metterli al riparo dalla sensazione di vulnerabili tà rispetto

alla propria funzione genitoriale.

D’altra parte questo desiderio sembra essere la naturale conseguenza

dell’atteggiamento comunicativo con il quale i genitori hanno accettato,

affrontato e compilato il questionario. Esso è r isultato un’occasione per

confrontare e pensare l’esperienza della genitorialità, e ha permesso

l’emergere della r icchezza della funzione genitoriale, attraverso un

bisogno di raccontarsi che ci ha fatto riflettere su quanto la narrazione

possa essere considerata uno strumento capace di innescare

l’elaborazione di vissuti molto profondi.

174

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

4.

“DESCRIZIONI”

Presentiamo in questa sezione il secondo strumento uti lizzato nel corso

dell’ indagine con i genitori del gruppo del dopo-adozione : le

“Descrizioni” . Vedremo successivamente a quale strumento esso si ispira

e dedicheremo ampio spazio all’esplicitazione delle sue caratteristiche e

delle modalità di consegna del materiale.

Verrà poi presentata la griglia di analisi costruita appositamente per

estrapolare dati significativi da tali racconti e presenteremo un rapido

excursus riguardante i contributi narratologici che ne hanno ispirato la

creazione.

Infine passeremo in rassegna i r isultati ottenuti proponendo alcune

chiavi di lettura.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Strumento utilizzato

L’idea di somministrare le “Descrizioni” è nata dall’osservazione di uno

strumento molto simile per caratterist iche che è stato più volte usato dai

Servizi Sociali di Carpi durante l’ indagine socio-psicologica, ovvero il

“Diario di una giornata di 5 anni dopo” .

Mauro Favaloro (1990) lo definisce “Diario Futuro Commentato”

(DFC): «A ciascuno dei coniugi viene fornito un foglio di quelli

util izzati dal Servizio per compilare le cartelle e che opportunamente

riportano la dicitura “diario”. La coppia viene invitata a scrivere una

pagina di diario che si collocherà ad esattamente cinque anni nel futuro.

[…] si tratta di una normale pagina di diario nella quale si può scrivere

quello che accade durante la giornata, i propri pensieri e le proprie

rif lessioni» . La compilazione di tale strumento è personale, quindi ogni

coniuge compila separatamente le pagine del diario.

Nel nostro strumento abbiamo scelto di rinunciare alla componente di

proiezione nel futuro e quindi alla componente immaginativa, mentre è

r imasta intatta quella relazionale-affettiva.

È uno strumento aperto che fornisce molte informazioni e per questo

motivo diviene difficile analizzarlo: abbiamo però optato per questo t ipo

di analisi poiché l’altro strumento della nostra r icerca (il

“Questionario”) affronta alcune tematiche dell’adozione con domande e

possibilità di r isposta più mirate.

Naturalmente, trattandosi di uno strumento molto aperto che lascia ampia

possibilità di r isposta, non è possibile aspettarsi un’analisi di t ipo

quantitativo-statist ico. Lo scopo è quello di far emergere tutta la

r icchezza possibile dell’esperienza dei genitori adottivi per ottenere il

maggior numero di informazioni e per lasciare libertà di r isposta ai

genitori.

Le tipologie di r isposta sono le più svariate: si va dalle poche righe in

stampatello, alle quattro pagine scritte al computer (solo considerando

un criterio molto macroscopico e di immediata percezione come la

lunghezza degli elaborati) .

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Non si è trattato di un compito agevole e molti genitori si sono

confrontati con la Dottoressa Confetti , al momento della restituzione del

materiale, circa le difficoltà incontrate.

Evidentemente tale indagine è andata a toccare degli aspetti molto

delicati , specie da un punto di vista emotivo, dei genitori adottivi che

non a caso hanno manifestato un’iniziale diffidenza, ma anche grande

interesse per i risultati di tale r icerca.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Consegna

La consegna è stata eseguita direttamente al gruppo durante una giornata

di incontro mensile, precisamente il giorno 13 aprile 2002 a Carpi. I l

gruppo era già stato preventivamente informato dalla Dottoressa Confetti

della r icerca e dell’ incontro fissato con il sottoscritto.

La consegna è consistita nella distribuzione del materiale all’interno di

alcune buste. Ogni busta conteneva il materiale per un singolo

componente della coppia e recava all’esterno un’etichetta che

identif icava il destinatario (per il papà , per la mamma) .

In ogni busta erano presenti:

-un foglio di presentazione della ricerca;

-un foglio per le notizie anagrafiche (nome, cognome, età, occupazione,

numero figli) ;

-un documento per la garanzia del diri tto di privacy;

-il “Questionario” (vedi sopra);

-un foglio bianco con l’ intestazione: “Descrivi una giornata con tuo

figlio” (che noi abbiamo definito “Descrizione”) .

Ogni singolo documento è stato analizzato chiarendo lo scopo e le

caratterist iche di ognuno.

Sono state poi date r isposte ai vari quesiti proposti dai genitori a seguito

di questa presentazione.

È stata inoltre ribadita la disponibilità ad una consulenza di t ipo

telefonico in caso di dubbi durante la compilazione del materiale (cosa

di cui nessuno si è servito).

Si è prestata attenzione ad eventuali difficoltà e si è sottolineata la

necessità di eseguire la consegna separatamente e non in coppia.

I genitori avevano un mese di tempo per compilare il materiale per poi

r iconsegnarlo nell’ incontro fissato per il mese di maggio.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Griglia per analisi dei dati

Data la complessità e la vasti tà dei dati ottenuti abbiamo dovuto

ricorrere ad una griglia di analisi che ci consentisse di raggruppare per

categorie l’ infinita mole di informazioni.

Ho elaborato questa griglia sulla base di alcuni suggerimenti del

professor Gian Luca Barbieri seguendo delle categorie narratologiche e

semiologiche e le indicazioni di vari Autori 1 .

La griglia si divide in tre macrocategorie di analisi:

1-ANALISI TEMATICA (di cosa si parla?)

2-ANALISI STRUTTURALE (come se ne parla?)

3-ANALISI LINGUISTICA (con quali parole?)

Ognuna di esse poi è costituita da varie sottocategorie:

1 A -personaggi

B -contesto (spazio e tempo)

C -eccezionalità/ricorsività di cellule narrative

2 A -disposizioni dei fatt i (collegamenti cronologici, logici,

causali)

B -ellissi

C - f lashback/anticipazioni

1 Apriamo una piccola parentesi riguardo la costruzione della griglia di analisi. All’interno di questa inizialmente è stato inserito il modello di Giancarlo Lai (1993; 1995). Si tratta di un modello, pensato ed utilizzato nell’ambito della terapia psicoanalitica, che cerca di rintracciare il motivo narrativo del racconto del soggetto per poter poi restituire allo stesso quanto è stato colto dal suo interlocutore. Il punto centrale del modello è che «non si va mai al di sotto della superficie testuale, non si cerca nessuna verità nascosta: tutto è già contenuto nel testo orale del paziente» (Arrigoni e Barbieri, 1998). Lai si affida quindi ad un mero spoglio lessico-grammaticale, alla ricerca di statistiche circa la frequenza di pronomi, tempi, verbi nel tentativo di rintracciare una corrispondenza che connetta tali elementi ai motivi narrati. Si tratta di un’analisi linguistica attenta e rigorosa della conversazione psicoanalitica registrata su nastro magnetico (nel nostro caso di un contenuto testuale) alla ricerca di quelle componenti lessicali suscettibili di aprire uno spiraglio nell’interiorità del soggetto in questione. Grazie alla registrazione e trascrizione il tutto può essere letteralmente sezionato tenendo conto solo del livello grammaticale-testuale e tralasciando invece le componenti extratestuali, personali e interpersonali: interessa solo la parola in sé, la parola che rimanda solo a se stessa. Abbiamo analizzato le “Descrizioni” servendoci di tale strumento, ma i risultati non sono stati soddisfacenti. Ci è sembrato un po’ eccessivo e del tutto non produttivo effettuare un conteggio numerico di frequenze rispetto all’uso di verbi o di pronomi all’interno di racconti spesso molto brevi. Lai si serve di queste procedure all’interno della sua pratica psicoanalitica in più incontri con lo stesso paziente. Attraverso la conoscenza reciproca che si viene a creare durante i colloqui riesce ad ottenere delle informazioni aggiuntive che lo aiutano ad interpretare meglio quanto ha estrapolato dal nastro magnetico. Possibilità che a noi è per ovvi motivi preclusa. La decisione è stata quindi quella di spostare maggiormente il nostro focus su altri elementi di carattere più prettamente semiologico-narratologico e meno legati all’ambito psicoterapeutico.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

D -dimensioni testuali

E -destinatario

F - focalizzazione

3 A -sti le

B -distanza narrativa (discorso diretto/indiretto/diretto

l ibero/indiretto libero)

C -nomi/ruoli

D - forme impersonali

E - tempi verbali

F -maiuscole

G -data e firma dell’autore

H -correzioni

I -parentesi

Al termine di questo t ipo di analisi i l nostro proponimento è stato

quello di individuare le costanti, le zone di intersezione che emergono

dallo spoglio accurato delle “Descrizioni” .

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Contributi narratologici

« I l sogge t to de l romanzo, i l luogo,

l ’ in terval lo cronologico,

la f requenza e la forza degl i accent i drammat ic i ,

la personal i tà e l ’ ideale de i protagonist i ,

l ’ampiezza e la natura de l conf l i t to ,

in una parola ,

la v i sione de l mondo de l l ’autore

conferi scono al racconto i l suo andamento spec i f i co »

(Bourneuf e Ouel le t , 1972) .

« I l Tasso scriveva che l ’opera le t t eraria

non è un eserc i to , non una c i t tà , ma un universo,

dove la re lazione f ra gl i e lement i è d inamica e genera v i ta »

(Cor t i , 1976) .

«L’opera d’arte è in e f f e t t i

un’organizzazione unica e i rripe t ibi le ;

spesso le si s ta davant i indugiando»

(Cor t i , 1976) .

Occorrono alcune precisazioni preliminari r ispetto ai concetti che ci

hanno aiutato nello stilare la griglia di analisi delle “Descrizioni” e che

quindi saranno d’aiuto per capire le direzioni del nostro lavoro.

Divideremo tale trattazione in alcuni argomenti principali: tratteremo

quindi del concetto di testo, dell’articolazione tra le caratteristiche di

autore, narratore e personaggi, della dinamica che intercorre tra mittente

e destinatario di un’opera. Ci soffermeremo poi sui concetti narratologici

di discorso, st ile, punto di vista e focalizzazione, tempi e spazi e infine

le concatenazioni tra fabula e intreccio.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Testo

Segre (1985) presenta quelle che a suo parere sono le operazioni che con

maggior util i tà si possono applicare ad un testo. Nel nostro caso, dato

l’oggetto di interesse di questo studio, per testo intendiamo un testo

scritto, anche se tale termine ha una pluralità di rimandi e di impieghi

che spaziano dalla composizione scritta ad ogni genere di enunciato

verbale. I l termine testo può designare anche un dipinto, una danza, una

rappresentazione scenica, un fi lm, una scultura (per spingersi agli

estremi significati) .

Designa un oggetto di comunicazione in cui le parole che lo compongono

sono viste come un tessuto (dal latino “textus”, tessuto). Ogni testo può

essere visto come una successione di strati o livelli : morfologico,

fonologico, sintattico, lessicale, simbolico, enunciativo, prosodico,

metrico.

L’analisi di Segre prende spunto dalle idee di vari autori che si sono

interessati all’ambito della comunicazione e della narratologia:

Jacobson, Benveniste, De Saussure, Hjelmslev, solo per citarne alcuni.

L’assioma di partenza è che « la letteratura è una forma di

comunicazione» (Segre, 1985).

Secondo Austin (1962) 1 in ogni enunciato occorre considerare tre

diversi aspetti che si realizzano contemporaneamente: l’atto locutivo

(atto linguistico in senso proprio), l’atto i l locutivo (atto che produce

mutamenti nei rapporti tra gli interlocutori) e l’atto perlocutivo (atto non

esplicitato l inguisticamente che cerca di influenzare l’ interlocutore).

I l testo letterario costituisce un tipo di si tuazione che, a differenza della

comunicazione dialogica o colloquio, è poco legata alla situazione

immediata di emissione e quindi, più che sulle caratteristiche

perlocutive, si concentra maggiormente su quelle locutive. Viene

comunque lasciato uno spazio sottile agli aspetti perlocutivi le cui

potenziali tà non vengono sviluppate ed esaurite subito, bensì assumono

una portata il l imitata.

1 Austin, J.L. (1962). How to do Things with Words. London: Oxford University Press. Citato da Segre, C. (1985).

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

«La nostra esperienza del mondo, che si attua almeno in parte per il

tramite di testi , scritti e orali, tende a trasformare in testo qualunque

conoscenza, perché ogni conoscenza raggiunge la razionalità solo

mediante la verbalizzazione» (Segre, 1985).

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Autore, narratore e personaggi

In ambito letterario occorre distinguere nettamente il fatto che chi parla

nel racconto, i l cosiddetto narratore , non corrisponde a chi scrive nella

vita reale, ovvero a colui che possiamo identif icare con lo scrittore . Si

tratta di ruoli che richiedono di essere tenuti ben separati .

I rapporti che si istaurano reciprocamente tra queste f igure, e tra

quest’ultime, i personaggi della storia e il lettore, sono un aspetto

cruciale in ambito narratologico. Essi costituiscono uno strumento

applicabile anche al nostro ambito di interesse. Si tratta di giochi di

reciproca identif icazione e distacco che possono fornire molte

informazioni interessanti: dipende dalla distanza che viene creata tra

questi attraverso la scelta del t ipo di discorso, argomento che

approfondiremo meglio in seguito.

Arrigoni e Barbieri (1998) fanno riferimento alla r icerca di quelle

quantità variabili di inconscio che emergono all’ interno dei racconti , dei

personaggi, soprattutto di quelli meno coinvolti con l’ identità dell’autore

e che quindi subiscono una minore censura da parte dell’autore stesso.

«Parola dell’autore, parola del narratore e parola del personaggio si

alternano e si intrecciano, rendendo a volte problematico individuare

chi è l’emittente del messaggio in quel preciso momento, e che rapporto

esiste tra i tre piani discorsivi» .

I l narratore, a seconda di dove va a posizionarsi all’ interno della

narrazione, assume caratteristiche differenti: può essere un narratore

omodiegetico o eterodiegetico in base alla sua posizione rispetto alla

storia; oppure ancora intradiegetico o extradiegetico in base al suo

livello narrativo.

Questi concetti si allacciano molto da vicino alla tematica della

focalizzazione , ovvero della prospettiva narrativa che il narratore adotta

nella sua narrazione. La focalizzazione, come vedremo in seguito più

dettagliatamente, può essere di diversi t ipi e sarà un punto fondamentale

nella nostra analisi , una chiave di lettura che ci fornirà interessanti

spunti di rif lessione.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

I l narratore, all’ interno della narrazione, può assolvere a funzioni di

vario tipo: da quella narrativa (che riguarda il narratore in quanto tale),

a quella di regia (r iferita alla messa in atto, da parte del narratore, di un

discorso metanarrativo tale da far r isaltare l’organizzazione interna del

testo); da quella di comunicazione (centrata sulla relazione narratore-

narratario) a quella testimoniale (relativa al rapporto affettivo tra il

narratore e la sua storia). Per finire la funzione ideologica (commenti

didattici ed esplicativi alla storia da parte del narratore).

I formalisti russi, tra i quali r icordiamo Sklovskij, Ejchembaum,

Tynjanov, Tomasevskij, hanno individuato le cosiddette “funzioni” ,

ovvero i ruoli fissi dei personaggi presenti nei racconti. Si tratta dei

ruoli attanziali r ivestiti dai personaggi i quali possono essere distinti in

alcune t ipologie a seconda degli approcci util izzati .

Secondo gli approcci “psicologisti” la dimensione del romanzo si

identif ica con quella della realtà del mondo reale: i l personaggio nel

testo viene visto come una persona reale, dotata di psicologia e carattere

propri, che entra in rapporto con altr i personaggi “reali”.

Secondo i formalisti russi invece il testo si discosta fortemente dal

mondo, è una realtà in sé: i personaggi sono subordinati alla narrazione,

al testo, ai meccanismi letterari.

Esiste poi un terzo approccio che si interessa all’ interazione testo-

lettore: i l personaggio viene visto in questo caso in modo dinamico e

pragmatico.

Riassumendo: ogni approccio propone una differente concezione del

personaggio, r ispettivamente come specchio della realtà, pura funzione

narrativa e riflesso dell’interazione testo-lettore. In quest’ultima

prospettiva è interessante la distinzione di Hamon (1972) 1 di tre

categorie di personaggi: referenziali (storici, sociali) , commutatori (spie

della presenza dell’autore nel testo) e anaforici (con funzione

organizzativa e di coesione del testo).

I l personaggio romanzesco può svolgere differenti funzioni all’interno

del racconto. Da elemento di decoro, a vero agente della storia, da

1 Hamon, p. (1972). Pour un statut sémiologique du personnage. Littérature, 6, 86-111. Citato da Bouneuf, R., Ouellet, R. (1972).

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

portavoce dell’autore ad essere umano fitt izio dotato di percezioni,

sentimenti, modi di esistere.

Souriau (1962) 1 distingue 6 tipi di forze o funzioni relative ai

personaggi:

-il protagonista ( la forza tematica, i l personaggio che dà all’azione il suo

primo impulso dinamico);

- l’antagonista ( la forza oppositrice, un ostacolo, un impedimento per il

protagonista);

- l’oggetto (la rappresentazione del valore, lo scopo a cui si tende oppure

l’oggetto temuto);

-il destinatore (l’arbitro che dirige l’azione: alla f ine del racconto decide

da che parte far pendere la bilancia);

- il destinatario (il beneficiario dell’azione, può eventualmente ottenere

l’oggetto anche se non è necessariamente il protagonista);

- l’aiutante (un aiuto o un impulso ad una nuova forza).

Queste sei funzioni non sempre si r itrovano all’interno dei personaggi di

ogni racconto. Alcune forze possono poi passare lungo il corso della

narrazione da un personaggio all’altro, oppure coabitare all’interno di

uno solo.

Ciò che a noi interessa nell’analisi di un romanzo sono i rapporti che

si vengono a creare e ad intrecciare, tramite gesti e parole, tra i

personaggi. Tali rapporti costituiscono un modo con cui il personaggio ci

parla di sé e degli altri a cui si relaziona.

Vi è un’interessante distinzione tra mimesi e diegesi (showing e telling):

nel caso della mimesi l’autore finisce per annullarsi nei personaggi

parlando con parole che escono dalle loro bocche; nella diegesi invece

l’autore gestisce egli stesso direttamente la narrazione, anche se la

diegesi pura non si realizza praticamente mai.

Nei testi è facile r invenire un alternarsi dei due tipi di enunciati ,

attraverso l’utilizzo di precise posizioni rispetto alla materia o tramite

l’uso della tecnica del romanzo epistolare.

1 Souriau, E. (1962). Grands problèmes de l’esthétique théatrale. Paris : CDU. Citato da Bouneuf, R., Ouellet, R. (1972).

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

La distanza che si viene a creare tra autore, materia trattata e la

posizione da cui si descrivono i fatti è determinata dall’asse che

congiunge narratore e personaggio. Si parla in questo caso di punto di

vista che può presentarsi in vari modi come vedremo successivamente.

Il rapporto interpsicologico che si istaura tra autore e personaggio è per

alcuni aspetti simile a quello che caratterizza la relazione tra medico e

paziente in ambito psicoanalitico (Arrigoni e Barbieri, 1998).

Nel mettere in scena i personaggi della storia l’autore può servirsi di

due differenti tecniche di imitazione poetica formalizzate da Aristotele.

La prima viene definita diretta: i fatt i si svolgono davanti ai nostri occhi

per il tramite degli attori; la seconda invece è quella narrativa: in questo

caso il tramite è costituito dal narratore. Molti critici anglosassoni hanno

ripreso e approfondito tale distinzione per poi applicarla all’analisi del

romanzo. I termini uti lizzati corrispondono rispettivamente a scena

(scene) e riassunto (summary) .

Per completare la gamma dei procedimenti narrativi a disposizione dello

scrittore occorre aggiungere la descrizione . A cosa serve la descrizione?

Essa può innanzitutto essere deputata a stabilire il r i tmo del racconto:

può creare distensione dopo l’azione, oppure partecipare alla creazione

della suspense, oppure ancora costituire una sorta di “ouverture” per

presentare i l tono dell’opera, può assumere valore simbolico attraverso

le pause ricorrenti nel testo che creano una sorta di complicità r itmica.

Inoltre, e forse è quella più evidente, essa fa vedere, si assurge a

funzione pittorica.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Mittente e destinatario

Anche per quanto riguarda il lettore occorre fare delle distinzioni

preliminari di importanza non secondaria (Eco, 1979). Possiamo avere un

lettore reale , ovvero chi legge realmente la storia, detto anche lettore

empirico, un lettore ideale (auspicato dall’autore), virtuale (che

potrebbe leggere i l romanzo) o f i t t izio (che entra all’ interno del

racconto).

Si può parlare anche di narratario , i l corrispettivo del narratore: non si

tratta di un individuo reale, ma di un essere di carta, un’istanza

discorsiva interna alla storia.

«L’opera contiene in se stessa l’immagine del lettore a cui è destinata »

(Corti , 1976). I l r iferimento al destinatario-lettore è d’obbligo.

Marion (2000) afferma che lo scrivere è un gesto che va verso l’altro e

per questo ha bisogno di un riconoscimento.

«Il versante comunicativo della scrittura risulta evidente se pensiamo a

quanto l’atto dello scrivere è sempre (dentro di noi) rivolto a un

interlocutore, i l “lettore immaginario”, destinatario del nostro atto

creativo» . E continua Marion: « l’ idea di comunicare è […]

inevitabilmente legata all’idea, sia pure globale e indistinta, di un

mondo esterno con il quale entriamo in contatto e che può suscitare un

sistema complesso di emozioni e di ansietà non sempre facili da

sostenere» .

Mittente e destinatario appartengono a tempi differenti che escludono

la loro possibile compresenza all’interno della comunicazione letteraria.

Si parla infatti di una comunicazione a senso unico caratterizzata anche

da un contatto molto lieve e da un contesto che spesso è ignoto al

lettore. Inoltre la mancanza di segnali paralinguistici quali gesti , tono

della voce, prossemica, mimica facciale, e la diversità di codice che si

crea tra chi scrive e chi legge, pongono ulteriori difficoltà.

Come contraltare abbiamo anche degli elementi nettamente positivi: la

possibilità di r ileggere più e più volte a piacimento consente di ottenere

una migliore comprensione del messaggio, non si creano vuoti di

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

attenzione ed è possibile effettuare verifiche su altre fonti dello stesso

autore.

L’autore è il mittente del messaggio ed è un elemento imprescindibile

della comunicazione letteraria essendone il creatore e i l garante della

funzione comunicativa. Egli inoltre, per assumere tale funzione, deve

porsi in modo particolare rispetto al destinatario: l’autore quindi è,

ancor prima che scrit tore, vera e propria autorità nella sue valenze di

promotore e garante.

Dall’altra parte abbiamo il lettore che non va confuso con il destinatario.

A questi è lasciata ampia l ibertà in quanto non esiste alcuna lettura che

possa «emarginare la libertà di immaginazione» (Segre, 1985).

Si tratta comunque di due figure, l’autore e il lettore, difficilmente

definibili e circoscrivibili all’ interno di categorie precise. Ad esempio

spesso ci si trova di fronte non all’autore reale, storico, ma a quello che

si rivela nell’opera. Lo stesso dicasi per i l lettore. Si parla in questi casi

di autore e lettore implicit i che corrispondono rispettivamente al

destinatore e al vero destinatario.

Ogni discorso va considerato come un messaggio che passa da un

mittente ad un destinatario tramite un codice comune che consenta il

passaggio delle informazioni. I due soggetti mantengono le proprie

individualità indipendentemente dalle variazioni possibil i di contesto e

contatto. I condizionamenti culturali si inseriscono nella possibilità da

parte dell’emittente di formulare messaggi e in quella del destinatario di

comprenderli .

L’autore implicito viene anche definito costruttore dell’opera. Egli

trasforma in procedimento artistico le emozioni, gli avvenimenti, le idee

personali.

I l lettore, durante la lettura dell’opera, non può esimersi dal costruirsi

un’immagine di tale scrivente, qualunque sia il modo con cui questi si

presenta.

Il destinatario può avere rapporti con l’emittente, con l’opera e con altr i

destinatari. I l destinatario costruisce un nuovo tipo di rapporto con

l’opera in quanto finisce per partecipare allo sforzo creativo dell’artista.

Con l’opera però non intrattiene mai un rapporto lineare: al suo interno

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

finiscono per mescolarsi relazioni che si r ifanno a diversi l ivelli :

semiologico, storico, psicologico, socio-culturale ed altr i ancora. Quindi

le nostre letture non si possono mai definire autonome, ma risultano

sempre pesantemente condizionate. Ogni testo finisce per essere un

insieme di molti testi date le innumerevoli forme di decodificazione o

destrutturazione che si verificano ad ogni lettura.

La dinamica del testo non è mai sola: ad essa si accompagna sempre

quella della lettura che pone il problema delle modalità di costruzione

dell’ immagine dell’opera all’interno della mente del destinatario.

Ricordiamo però che la competenza del destinatario può essere anche

molto diversa da quella dell’emittente e che i codici di entrambi possono

variare in modo significativo. Quindi, per essere in grado di decodificare

un messaggio, non è sufficiente la sola competenza linguistica, ma

diviene indispensabile anche quella circostanziale: essere cioè in grado

di fare presupposizioni.

La lettura non può mai essere una lettura neutra, in quanta questa è

sempre condizionata e preceduta da un’ipotesi di interpretazione, anche

se magari inconsapevole. Vari Autori hanno dato un contributo a tale

aspetto:

« la lettura stessa […] è già impegno interpretativo, perché la

trasformazione che essa opera dei significanti in segni risulta da uno

scontro tra codici di emissione e codici di ricezione, da una scelta tra

valori possibil i dei segni che non può limitarsi strettamente alla

denotazione» (Segre, 1985). E continua lo stesso Segre: « la

realizzazione del testo è […] in uno stato di continua potenzialità. I l

testo resta materia scrittoria attraversata da righe di scrit tura, inerti

f inché non vengano lette. Il testo prende a significare, e a comunicare,

solo per l’ intervento del lettore»

«L’universo dei destinatari di un’opera letteraria è il precipitato di

incessanti e spesso incontrollabili relazioni col testo» (Corti , 1976).

«Il testo è una macchina pigra che esige dal lettore un fiero lavoro

cooperativo per riempire spazi di non-detto o di già detto rimasti per

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

così dire in bianco, allora il testo altro non è che una macchina

presupposizionale» (Eco, 1979).

I l testo è caratterizzato dal fatto di presentare al suo interno una

grande complessità resa ancora più grande dalla mole di non-detto, cioè

di non manifesto in superficie, nell’espressione. Tale complessità

costituisce i l fulcro del lavoro del destinatario a cui viene chiesta una

cooperazione attiva e cosciente. «Un testo vuole che qualcuno lo aiuti a

funzionare» (Eco, 1979).

Ogni testo ha bisogno per esistere di postulare i l proprio destinatario, sia

per poter comunicare, sia per poter esprimere tutte le proprie

potenziali tà.

I l testo viene costruito proprio in base all’ idea di “Lettore Modello”

(Eco, 1979) che l’autore si è costruito. Allo stesso tempo il “Lettore

Modello” viene costruito man mano che procede la stesura del testo.

I l narratore è una voce (“un essere di carta”). Quando l’autore scrive un

romanzo affida ad una voce il compito di raccontare la storia.

Non è sempre facile individuare il narratore, ma in ogni caso esiste in

ogni romanziere un narratore da non identif icare mai con l’autore. Ci

possono anzi essere casi in cui l’autore si distacca completamente dal

narratore.

Si può distinguere un narratore interno (personaggio della storia) da un

narratore esterno (non partecipa alla storia che racconta). Esiste poi un

narratore di primo grado (quello che racconta la storia direttamente) e un

narratore si secondo grado (quello che, come personaggio, racconta

all’ interno del racconto).

Al narratore corrisponde il narratario, ovvero alla voce che racconta la

storia corrisponde il destinatario di tale voce.

Ogni volta che si crea una storia letteraria si costruisce, come abbiamo

visto nel paragrafo precedente, un rapporto complesso tra autore-

narratore-personaggio. Si realizza un gioco di specchi, una serie di

rapporti complessi.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Discorso

Interessanti sono i diversi modi con cui vengono fatti parlare i

personaggi messi in scena dal narratore: le cosiddette «voci materiali

che attraversano il racconto» (Arrigoni e Barbieri, 1998). Abbiamo:

-un discorso diretto ( le parole del personaggio vengono riportate

fedelmente);

-un discorso indiretto ( i l narratore filtra le parole del personaggio

attraverso la sua voce);

-un discorso indiretto libero ( i l narratore coglie e r iporta in terza

persona anche le intenzioni e i pensieri del personaggio);

-un discorso diretto libero ( le voci del narratore e del personaggio si

sovrappongono perfettamente).

Per fare un esempio per ogni tipo di discorso abbiamo rispettivamente:

-Carlo pensa: ho freddo

-Carlo pensa che ha freddo

-Carlo aveva freddo

-Ho freddo

La scelta consente di stabilire una determinata distanza dal

personaggio che si r iduce man mano che si passa dal discorso diretto a

quello indiretto, indiretto libero e diretto libero. Sono indicatori

importanti della presenza a vari l ivelli dell’autore e della sua

interiorità.

Le parole assumono un differente significato a seconda del t ipo di

contesto in cui vengono pronunciate, a seconda del tipo di discorso

util izzato, del t ipo di formazione e concatenamento delle parole stesse e

delle frasi.

Analizzando nello specifico il discorso indiretto libero vediamo come

questo sia caratterizzato da contenuti di discorsi e pensieri non introdotti

da segni esplicit i , ma gestito invece dal narratore. Quest’ult imo

manifesta chiaramente il fatto che non si tratta di pensieri suoi, bensì del

personaggio di cui sta parlando in quel momento. Esso è caratterizzato

dalla mancanza dei verba dicendi (come succede nel discorso indiretto) e

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

dal fatto che l’autore degli enunciati non viene indicato col pronome io,

ma con quello di terza persona (come succede nel discorso diretto).

La scelta del t ipo di discorso non costituisce un meccanico passaggio

da una forma all’altra o una scelta causale. Essa nasconde ed implica

fortemente un determinato orientamento del mezzo di espressione

linguistica utilizzato: è come se il discorso disponesse di leggi proprie.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Stile

Un’altra distinzione interessante è quella che risale a De Saussure

(1916) 1 : langue e parole , ovvero codice e messaggio . Anche questo

concetto si collega alla distanza narratore-personaggio e in questo caso

parliamo di scarto dalla norma.

«La parole, nel momento in cui nasce dalla langue, la usa, la distorce,

la ricrea. Nello spazio che separa le due sfere del codice e del

messaggio, della lingua e dello stile, si materializza uno scarto che

sfugge al controllo della razionalità dell’autore, e che permette al suo

preconscio o al suo inconscio di lasciare tracce che aspettano di essere

colte e interpretate» (Arrigoni e Barbieri, 1998).

La distanza tra codice e messaggio si manifesta attraverso lo stile

util izzato dall’autore nella narrazione.

Tutti gli autori che si occupano di linguaggio fanno uso di tale

distinzione. Abbiamo quindi una langue definita lingua di comunicazione

come isti tuto sociale. Implica la volontà di comunicare, di farsi capire,

di usare un codice condiviso. È una comunicazione condivisa.

E poi la parole , ovvero l’aspetto individuale della langue:

appropriandosene la si attualizza. È quello che usiamo quando parliamo.

Non si dà l’una senza l’altra. Una dà per scontato che esista l’altra,

altr imenti entrambe non esisterebbero.

All’interno di un romanzo, o comunque all’ interno dei generi letterari,

è difficile, se non impossibile, fornire una definizione precisa e unitaria

dello stile uti lizzato.

«L’autore non comunica soltanto riflessioni e sentimenti propri, ma

inventa un mondo, con situazioni e personaggi, riferisce direttamente o

indirettamente discorsi» (Segre, 1985). Incontriamo così nei vari testi

una contaminazione continua di stil i gestit i dal narratore. Bachtin

(1963) 2 parla a questo proposito di “testo sti l isticamente pezzato” , che

11 De Saussure, F. (1916). Corso di linguistica generale. Bari: Laterza. Citato da Volli, U. (1994).2 Bachtin, M.M. (1963). Problemy poetiki Dostoevskogo. Moskva: Sovetskij Pisatel’. Citato da Segre, C. (1985).

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

varia in base alla persona che sta parlando e all’orizzonte visivo da cui

si guardano fatt i e luoghi.

Infine un romanzo può essere composto in due modi: orizzontalmente ,

in quanto successione di episodi nei quali si esplica una serie di eventi

r iguardanti vari personaggi, motivi e temi che possono in diversi modi

intersecarsi e trasformarsi; verticalmente , in cui ogni episodio organizza

gli elementi appena visti in proporzioni e ordini variabili .

La scelta dell’una o dell’altra modalità non è casuale e lascia trasparire,

come del resto anche rispetto allo sti le impiegato, le intenzioni

comunicative del messaggio di chi scrive.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Punto di vista e focalizzazione

Henry James (1947) 1 ha proposto alcune idee in merito al concetto di

punto di vista. Chi scrive, a suo parere, deve cercare di i l ludere chi

legge della presenza di un processo reale. Questo può avvenire

inquadrando i fatt i ora nella coscienza di un personaggio, ora in quella

di un altro. A suo avviso occorre cioè evitare la neutrali tà del narratore

che conosce tutto (onnisciente) molto usato nell’epopea classica.

Abbiamo quattro diversi modi di vedere e raccontare la storia. Può

esserci:

-un narratore omodiegetico: presente come personaggio nella storia;

-un narratore eterodiegetico: assente dalla storia;

-un narratore intradiegetico: che analizza gli avvenimenti dall’ interno;

-un narratore extradiegetico: che analizza gli avvenimenti dall’esterno.

Le prime e le ultime due categorie si possono incrociare fornendo varie

tipologie di narratore:

1-omodiegetico-intradiegetico: l’eroe racconta la sua storia

2-omodiegetico-extradiegetico: un testimone racconta la storia

dell’autore

3-eterodiegetico-intradiegetico: l’autore onnisciente racconta la storia

4-eterodiegetico-extradiegetico: l’autore racconta la storia dall’esterno.

Dopo il concetto di punto vista affrontiamo quello di prospettiva

narrativa, ovvero il rapporto che intercorre tra la quantità di

informazione di cui è in possesso il singolo personaggio e quella di cui

invece usufruisce il narratore. Esiste comunque una certa

sovrapposizione con il concetto di punto di vista e spesso i due termini

vengono confusi e util izzati come sinonimi.

Quando facciamo riferimento alla prospettiva narrativa parliamo di

focalizzazione ovvero, per dirlo con Genette (1972), « i l luogo o la

persona nella cui prospettiva o campo di visione la narrazione è

condotta» .

1 James, H. (1947). The art of novel. Trad.it. in A. Lombardo (a cura di)(1956). Le prefazioni. Venezia: Neri Pozza. Citato da Segre, C. (1985).

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Il punto di vista non si r iferisce solamente all’istituzione di personaggi o

modi, ma riguarda anche e soprattutto continui cambiamenti nella

focalizzazione operata dall’autore nel testo. Questi non può esimersi

dall’avvicinarsi di volta in volta ai vari personaggi e, così facendo,

limita la sua visuale a quella del personaggio stesso. Ciò avviene anche

nei casi in cui il testo parta con l’ intenzione di dotarsi di un narratore

onnisciente e imparziale. Si viene a creare quindi un meccanismo

continuo di avvicinamento-distanziamento rispetto ai personaggi: da una

parte l’autore lascia alle sue creature un’apparente piena autonomia di

parola e movimento, dall’altra vuole entrare nella storia per esplicitare

le proprie adesioni e dissensi.

I l discorso è per ovvie ragioni legato strettamente alla situazione in cui

avviene la sua emissione: si tratta del lato pragmatico della

comunicazione.

Tale situazione può subire messe a fuoco di vario genere a seconda della

distanza prescelta.

Genette ha condotto un’attenta analisi relativa al problema del “punto

di vista”. Si tratta di una problematica riferita alle tecniche narrative che

è stata molto studiata già a partire dalla f ine del diciannovesimo secolo.

Purtroppo però tali studi hanno portato a tentativi di classificazione che

manifestano una confusione di termini tra “modo” e “voce” . Ovvero non

vi è chiarezza nella distinzione tra il problema del punto di vista

propriamente detto, della prospettiva, di chi vede e il problema

dell’ identità del narratore, di chi parla: si tratta evidentemente di

questioni alquanto differenti che andrebbero tenute ben distinte.

Parlando quindi del “modo” Genette distingue tre t ipi di focalizzazione

rifacendosi alla terminologia già utilizzata da Jean Pouillon (1946) 1 :

parla di focalizzazione zero (visione alle spalle) , interna (visione con) ed

esterna (visione dal di fuori).

-zero/alle spalle : l’autore non si pone all’ interno dei personaggi, ma

cerca di distaccarsi da questi per cercare di considerarne obiettivamente

gli aspetti interiori (non per vederlo dal di fuori) . È usata in generale dai

1 Pouillon, J. (1945). Temps et roman. Paris: Gallimard. Citato da Bourneuf, R., Ouellet, R. (1972).

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

romanzieri dell’800, specie da Balzac e Manzoni. Il narratore sa tutto:

conosce i l passato, i l presente e il futuro dei personaggi, i loro pensieri.

Addirittura ne sa anche di più dei personaggi;

- interna/con : scelta di un solo personaggio che costi tuisce il centro del

racconto e dai cui occhi vediamo gli altr i . Si tratta di un narratore che

vede e sente gli avvenimenti narrati con gli occhi e i sentimenti di un

personaggio e che quindi conosce solamente ciò che conosce quel

determinato personaggio. Tale focalizzazione può essere di tre tipi: f issa

(tutto è visto da un solo personaggio), variabile (ci sono più personaggi

che diventano di volta in volta focali) e multipla ( lo stesso avvenimento

è visto successivamente con gli occhi di più personaggi);

-esterna/dal di fuori : si coglie nello stesso tempo il comportamento

osservabile, l’aspetto fisico del personaggio e il suo ambiente di vita.

Questi sono considerati i r ivelatori dell’interiorità psicologica del

personaggio. I l narratore descrive solo ciò che vede e null’altro e ha una

conoscenza inferiore a quella dei personaggi. È una focalizzazione tipica

dei racconti di Hemingway.

Ristringendo l’analisi possiamo riassumere e concludere affermando

l’esistenza di due diverse posizioni occupabili dal narratore: quella nella

storia oppure quella fuori dalla stessa.

«[…] la vanità di qualsiasi giudizio di valore espresso a priori su questo

o quel modo di narrazione. Ciò che chiamiamo onniscienza o il realismo

soggettivo non sono in sé tecniche inferiori o superiori , ma i soli mezzi

di rendere due dif ferenti visioni del mondo» (Bourneuf e Ouellet, 1972).

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Tempi e spazi

Un romanzo può accogliere al suo interno narrazioni r iguardanti

avventure, descrizioni, r if lessioni personali… il tutto scegliendo un

ritmo proprio, estremamente libero oppure seguendo un’organizzazione

rigorosa.

Weinrich (1964) 1 apre una discussione circa l’util izzo dei tempi

verbali. Egli distingue tempi narrativi ( imperfetto, passato remoto,

trapassato prossimo, condizionale) e tempi commentativi (presente,

passato prossimo, futuro). L’alternarsi di tali verbi lungo il testo serve

per distinguere le parti diegetiche da quelle descrit tive.

La scelta dei tempi quindi è un indicatore dell’atteggiamento dello

scrittore rispetto alla materia narrata.

Di fronte ad un romanzo occorre considerare tre diversi tempi: i l

tempo dell’avventura (riferita alla storia raccontata), della scrittura

(riferita all’intreccio) e della lettura .

È utile anche distinguere due tecniche narrative che consentono di

eseguire dei salt i temporali all’ interno del racconto: prolessi e analessi .

La prima è un’anticipazione di un avvenimento successivo al momento

della storia in cui ci si trova. La seconda, al contrario, è una

retrospezione, evocazione successiva ad un avvenimento anteriore a quel

momento. Tali tecniche saranno riprese rispetto alla distinzione tra

fabula ed intreccio.

Un’altra tecnica che può essere impiegata dal narratore è l’ ellissi

ovvero l’eliminazioni di qualcosa. Si tratta, a livello narrativo, di un

vero e proprio “salto” rispetto ad alcuni momenti della storia che non

vengono narrati . Ad esempio un personaggio si addormenta e si sveglia

la mattina dopo: in questo caso l’ellissi r iguarda tutto ciò che è accaduto

durante la notte. L’ellissi può anche essere di t ipo grammaticale e in

questo caso si tralasciano non avvenimenti, ma porzioni di frasi come il

soggetto o il verbo.

1 Weinrich, H. (1965). Tempus. Le funzioni dei tempi nel testo. Bologna: Il Mulino, 1978. Citato da Segre, C. (1985).

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Per quanto riguarda poi i t ipi di collegamenti che legano le

proposizioni di un testo, e di conseguenza le vicende narrate, possiamo

distinguere due tipi di collegamenti: abbiamo i collegamenti cronologici

in cui il legame tra gli avvenimenti viene fatto in base alla loro

successione normale nel tempo; e poi i collegamenti logici , in questo

caso i legami prescindono dal tempo e vengono costruiti sulla base dei

loro rapporti di significato o su altri aspetti che li collegano.

La dimensione temporale costituisce un asse d’analisi da non

sottovalutare e da cui l’atto linguistico non può assolutamente

prescindere in alcun modo.

L’elemento spazio presente nei racconti non può essere assolutamente

considerato un elemento accessorio. Anzi, al contrario, esso riveste una

molteplicità di significati e a volte, spinto alle sue estreme conseguenze,

può costi tuire addirittura il fulcro dell’opera. Abbiamo già visto gli

svariati significati della descrizione che nasconde differenti funzioni

narrative.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Fabula e intreccio

Secondo Segre (1985) con il termine fabula intendiamo «un insieme di

motivi nel loro logico rapporto causale-temporale» , mentre con quello

di intreccio si designa « l’ insieme degli stessi motivi nelle successione e

nel rapporto in cui sono presentati nell’opera» .

I l procedimento di cominciare a narrare i fatti di un racconto partendo in

medias res è molto antico, risalente alla tradizione letteraria più antica.

Consiste nel narrare i fatt i non seguendo l’ordine puramente cronologico,

ma cominciando da un punto centrale per poi comunicare gli avvenimenti

iniziali mano a mano che la narrazione prosegue tramite f lashback. Si dà

inizio al racconto quando l’azione ha già preso il via. Nel corso della

narrazione si tornerà per fini esplicativi all’epoca anteriore in cui sono

avvenuti i fatti precedenti non ancora raccontati , ma spesso dati per

scontati . I l r iferimento alle tecniche sopra esposte di prolessi e analessi

è abbastanza esplicito.

La differenza tra fabula e intreccio è stata ampiamente indagata dai

formalisti russi ( la critica anglosassone uti lizza i termini equivalenti di

plot e story) . Per intreccio intendono l’esposizione degli avvenimenti

narrati nell’ordine in cui sono proposti nel testo; per fabula invece fanno

riferimento all’esposizione degli stessi accadimenti ma in ordine

cronologico e logico, è una sorta di r iordinamento dell’intreccio che

tende a ricostituire quei nessi spezzati nella narrazione.

E ancora: l’ intreccio è la storia come viene effettivamente raccontata nel

testo, con anticipazioni e flash-back, descrizioni e rif lessioni; la fabula

costituisce lo schema cardine della narrazione, i l corso ordinato

temporalmente degli eventi, la logica delle azioni dei personaggi e non

(oggetti inanimati, idee…).

Oltre ad essere una forma di r iordinamento però la fabula è un vero e

proprio atto di individuazione del valore funzionale delle azioni e quindi

di costruzione del modello narrativo grazie ai concetti di ordine, durata e

frequenza (le tre manifestazioni fondamentali della temporalità) . L’uso

di questi espedienti fa parte dei poteri di cui il narratore si investe nella

stesura del racconto.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Quando si parla di intreccio non ci si r iferisce tanto ai personaggi quanto

alla concatenazione degli episodi e al montaggio della struttura

narrativa.

Scholes e Kellog (1966) 1 distinguono il termine storia da quello di

intreccio in modo diverso: il primo è più generale e distingue personaggi

e azione; il secondo è più specifico e fa riferimento alla sola azione.

L’intreccio è una concatenazione di fatti che poggia le sue fondamenta

su una tensione interna tra tali fatti . Essa esiste f in dall’ inizio della

narrazione, va mantenuta durante lo sviluppo e conclusa tramite una

soluzione nell’epilogo.

Al romanziere è demandato i l compito di decidere di quale forza e

intensità dotare tale tensione a seconda degli obiettivi estetici del

narratore.

L’intreccio ha lo scopo di preparare le attese del “Lettore Modello” a

l ivello della fabula, costruendo situazioni di attesa nelle vicende del

personaggio.

La scelta di qualunque tipo di intreccio, e quindi di determinati spazi e

tempi narrativi , comporta sempre ed inevitabilmente la r inuncia ad un

altro tipo di intreccio. Tale scelta fa parte della cosiddetta competenza

artistica. La competenza dell’artista ha come contraltare quella dei

destinatari i quali sono così in grado di comprendere l’ intreccio e magari

prevederne l’evoluzione. La fabula può essere considerata la struttura

profonda del racconto, mentre l’intreccio può essere visto come la

macrostruttura dell’opera stessa. «[…] ogni fabula possa essere

squartata e diversamente ricomposta, per cui ogni intreccio e di

conseguenza ogni racconto su di esso costruito è potenzialmente nella

coscienza di chi lo idea intercambiabile con altri» (Corti , 1976).

1 Scholes, R., Kellog, R. (1966). La natura della narrativa. Bologna: Il Mulino, 1970. Citato da Bourneuf, R., Ouellet, R. (1972).

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Risultati

Dall’analisi delle “Descrizioni” , servendoci della griglia esposta sopra e

delle indicazioni tratte dai contributi narratologici presentati , abbiamo

tratto alcuni aspetti ed elementi che ora andiamo a presentare.

Seguendo gli elementi inseriti nella griglia cominciamo con l’indagare la

parte relativa all’analisi tematica con le sottocategorie corrispondenti.

Partiamo con l’analisi dei personaggi. Quelli che vengono scelt i nelle

descrizioni sono pressoché in tutt i i casi membri della famiglia. Dal

nucleo familiare r istretto si fanno rapide menzioni di parenti o di

persone che gravitano intorno alla vita del bambino. I l protagonista

principale r isulta essere il bambino anche se non sempre si r iesce a

r icavarne un’immagine articolata e chiara. Appare più una figura

costante, ma quasi invisibile, come se fosse tenuta nascosta.

Indagando le caratteristiche dello spazio e del tempo (ciò che noi

abbiamo definito contesto) r isalta come in parecchie “Descrizioni” si

faccia molto riferimento ai momenti trascorsi nel “lettone”, sia al

r isveglio che al momento di coricarsi. Si tratta di momenti molto dolci e

di grande tranquillità che non a caso costituiscono le due forme di

equilibrio dei diari, quella di partenza e quella f inale. Torna spesso

anche la descrizione di spazi aperti solitamente coperti attraverso una

passeggiata o un giro in bicicletta. Per lo più gli spazi descritti sono

quelli casalinghi con le attività connesse ai vari ambienti della casa.

Il concetto di tempo, come abbiamo visto, è molto scandito, spesso

evidenziato e utilizzato quasi come il t i tolo di una porzione di testo. Si

tratta nella maggior parte di casi di un tempo lineare che comprende

tutta la giornata focalizzandosi sui momenti più significativi come i

pasti , i preparativi della mattina e della sera.

Le giornate descritte seguono poi due modalità ben distinte. Abbiamo

cioè “Descrizioni” che fanno riferimento a giornate “eccezionali” (week-

end, festività di vario tipo) ed altre che invece si rifanno ad una giornata

“standard”, per intenderci una classica giornata lavorativa

infrasettimanale. Su 19 descrizioni disponibili risulta molto omogenea la

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

distribuzioni dei due tipi di narrazione: 9 descrivono una tipica giornata

lavorativa, 10 una giornata di festa, solitamente il sabato o la domenica.

È interessante notare come la consegna sia molto libera e si presti a

svariati usi e interpretazioni da parte dei genitori. Essi sono liberi di

decidere se fare riferimento ad un tipo o all’altro di giornata e la loro

scelta è significativa. Optare per un giorno di festa o per una domenica

potrebbe essere un primo indicatore di idealizzazione, tutto va bene,

tutto è bellissimo e perfetto, oppure nascondere la paura del giudizio

altrui r ispetto magari al poco tempo trascorso con il bambino. La

consegna è stata effettuata dal sottoscritto in veste di futuro psicologo e

questo può avere riattivato nei genitori quelle dinamiche persecutorie e

valutative vissute durante l’ indagine socio-psicologica per l’ottenimento

del bambino. Visualizzare una giornata di festa, nei suoi connotati di

gioia, euforia e comunione familiare, sicuramente è molto più

rassicurante e fornisce un’immagine più positiva di genitore e di armonia

familiare r ispetto alle difficoltà che si incontrano durante il lavoro e la

vita quotidiana. D’altro canto potrebbe trattarsi anche di una scelta

mirata per poter fornire una descrizione più ricca aumentando in tali

frangenti la quantità di tempo trascorsa con il bambino.

I racconti poi presentano una grande differenza che possiamo

sintetizzare in due categorie. Ci sono genitori che dedicano un ampio

spazio a tutte le difficoltà che devono affrontare durante la giornata. Si

tratta spesso di elenchi lunghi, vissuti con stanchezza e nella speranza

continua di una piena risoluzione, specie per alcuni problemi specifici

del bambino.

Altre descrizioni invece appaiono totalmente solari e posit ive, senza il

minimo riferimento ad alcun tipo di problematica. Ogni momento della

giornata appare in tutta la sua gioia e naturalezza. La contrapposizione

tra le due tipologie di descrizioni è evidente e possono venire proposte

varie ipotesi esplicative. Innanzitutto la variabilità nel carattere dei

bambini, e nella percezione della fatica nei genitori. È però opinione

diffusa che il compito di genitore, naturale come adottivo, r ichieda un

carico di stress notevole e un mutamento delle abitudini precedenti

spesso drastico che si ripercuote su tutta l’organizzazione della vita

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

familiare. Un’altra spiegazione può rintracciarsi nel desiderio di non

voler far trasparire elementi che rimandano ad un qualche tipo di

difficoltà nella gestione del bambino. Un’altra ancora può essere dovuta

ad un meccanismo di idealizzazione che non consente di r iconoscere gli

aspetti faticosi ma ineliminabili dell’essere genitore.

Sottolineiamo come, nella maggior parte delle “Descrizioni” che

appartengono alla prima tipologia, la parte dedicata all’elencazione delle

difficoltà incontrate ha spesso come contraltare l’esternazione di un

grande sentimento di gioia e soddisfazione che ripaga ampiamente dei

sacrifici fatti . Gli abbracci e le manifestazioni di affetto sono elementi

che tornano nei racconti dei genitori e che spesso vengono identificati

come il momento clou della giornata, seppur nella sua brevità:

“i cinque minuti d’oro” (M5),

“al r isveglio è i l tr ionfo del la dolcezza nei nostri confronti” (P6).

Vediamo ora gli elementi legati all’analisi strutturale .

La struttura dei diari segue uno schema abbastanza standard: si parte

con la rottura di un equilibrio (solitamente il r isveglio del mattino), vi è

poi tutta una serie di eventi ed azioni svolte che sfociano nuovamente in

un’altra rottura che giunge infine ad una forma di riequilibrio tendente

al l ieto fine.

L’aspetto strutturale viene a volte evidenziato dal r icorso ad indicatori

di una lista di punti (-) , come se si trattasse di una scaletta da seguire o

di appunti da ricordare.

I collegamenti esistenti tra le proposizioni che compongono i testi

sono in stragrande maggioranza collegamenti di t ipo cronologico, con

grande enfasi affidata alla scansione temporale della giornata. I

collegamenti logici vengono utilizzati quando si vogliono precisare dei

punti o delle si tuazioni personali.

A volte la narrazione tende poi a configurarsi come una narrazione di

t ipo indiziario: sembra che i genitori vogliano seminare qua e là degli

indizi, delle informazioni che poi non vengono raccolte.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Alcuni genitori fanno uso della tecnica dell’ell issi omettendo porzioni

anche significative di racconto:

“Cena. Dopocena si gioca un po’” (P6).

Questo potrebbe essere un indicatore del tentativo di mettere in gioco il

destinatario del loro racconto, i l lettore che, come vedremo in seguito,

può venire ipotizzato in modo molto diverso da genitore a genitore.

Non abbiamo rinvenuto alcun tipo di analessi o prolessi e quindi

l’ intreccio proposto corrisponde sempre alla fabula. Emergono solo

sporadiche sospensioni del racconto dovute ad alcune descrizioni che

fungono da spiegazione per alcuni elementi significativi della vita

familiare.

Alcune “Descrizioni” sono molto prolisse, andando ad occupare tutte

le quattro facciate consegnate (anche se non vi è stata un’esplicita

indicazione riguardo la lunghezza del racconto e neppure una l imitazione

trattandosi semplicemente di ordinari fogli bianchi in formato A4); altre

sono estremamente sintetiche con racconti di poche righe a volte scritt i

anche in stampatello. In quest’ult imo caso possiamo ipotizzare

l’emergere di una certa difficoltà nell’esplicitare sentimenti e situazioni

che a questi sono strettamente collegati. Si tratta di racconti sintetici,

r idotti al massimo che contengono indicazioni spesso arbitrarie, non

richieste e che non sono molto legate al resto delle proposizioni scelte:

“Il maschio frequenta una scuola di calcio. La femmina una di judo” (P7).

Da sottolineare come la lunghezza dei testi sia spesso simile tra i due

coniugi.

Per quanto riguarda i l destinatario di tali descrizioni abbiamo

individuato tre tipi diversi di ipotetici lettori: un operatore/psicologo, un

genitore, sé stessi.

Abbiamo visto come alcuni racconti siano estremamente concisi, quasi si

avesse timore di esprimere qualcosa o di descrivere determinate

situazioni. Oppure abbiamo osservato descrizioni in cui è completamente

assente un riferimento a qualunque tipo di difficoltà nella vita in

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

famiglia con l’arrivo del bambino. Potremmo interpretare tale dato come

il t imore di un’ennesima valutazione da parte di un operatore, ruolo che

nelle menti dei genitori i l sottoscritto probabilmente ha esercitato.

Altre “Descrizioni” ci appaiono destinate ad altr i genitori, a persone che

possono condividere con loro le difficoltà e le gioie dell’essere genitore.

Altri ancora invece mi paiono delle rif lessioni personali, come fare il

punto della situazione, t irare le somme. Spesso i giudizi conclusivi che

riassumono un po’ lo stato d’animo dei genitori paiono rivolti più a loro

stessi che a qualcun altro. Si tratta in questo caso di una scrittura direi

r iflessiva, per fermarsi un attimo a pensare interrompendo i r itmi

frenetici imposti dalla giornata fuori e dentro la famiglia. Anche il t ipo

di lessico util izzato ci fornisce indicazioni rispetto al destinatario con

toni più o meno formali e ricercati a seconda che i l r iferimento sia ad un

ipotetico operatore o genitore.

L’aspetto più interessante di tutta la nostra analisi riguarda

sicuramente la focalizzazione. Come abbiamo già visto si tratta della

prospettiva da cui viene effettuata la narrazione che può essere di tre

tipi: zero , interna ed esterna . I genitori che hanno eseguito la consegna

mostrano una focalizzazione che possiamo definire di t ipo “misto”. Essi

non propendono né per l’uno né per l’altro tipo di focalizzazione bensì

passano da una all’altra manifestando forse una sorta di meccanismo

difensivo. In partenza tendono ad utilizzare una focalizzazione zero

ponendosi come narratori onniscienti. Poi passano ad una focalizzazione

di t ipo esterno con descrizioni che assomigliano molto ad un referto, a

volte con interpretazioni dei sentimenti, mescolata ad una

focalizzazione interna, simile a quella onnisciente ma con più cautela.

L’impressione è che tali soggetti mettano in atto delle difese perché

restii a mettersi in gioco in prima persona e ad andare a fondo nel

descrivere le emozioni del bambino. L’onniscenza verrebbe abbandonata

come per t imore di andare in quel modo a toccare delle verità difficili da

gestire, anche solo sulla carta.

«Il narratore mira ad una focalizzazione zero perché vuole avere i l

controllo totale della materia narrativa, ma sembra fermarsi un po’

prima, evidentemente perché ciò che sta indagando può nascondere

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

qualche aspetto inquietante che preferisce lasciare nascosto. Ed allora

ecco trovare la soluzione “in corner” della focalizzazione interna o più

spesso di quella, più rassicurante, esterna» (Barbieri, 2002,

comunicazione personale).

I l fatto che alcune descrizioni abbiano l’aspetto di una specie di

programmazione della giornata di un vil laggio turistico, con orari

scanditi r ispetto a determinate impegni ed azioni, è un altro indicatore

del tentativo di ottenere un senso di controllo sulla situazione.

Infine trattiamo la parte dedicata all’analisi l inguistica .

Ci ha colpito l’uso molto frequente di avverbi di tempo come “sempre”

e “mai” che hanno evidenti componenti estreme:

“è sempre fel ice” (P1),

“il mio bimbo è sempre al legro… la giornata comincia sempre bene” (M3).

Spesso tali avverbi si accompagnano a descrizioni idill iache che

rimandano a immagine di pace e tranquillità:

“tutto sembra speciale…in cui tut t i sono fel ici…è bello scambiarsi una

stret ta di mano” (P1),

“siamo tanto fel ici” (M3).

Per quanto riguarda i l t ipo di discorso utilizzato abbiamo visto che ne

esistono quattro tipologie: diretto , indiretto , indiretto libero , diretto

libero .

L’uso di quello diretto garantisce una maggiore distanza dalla persona di

cui si sta parlando e dalla situazione specifica con i connotati affettivi

che questa implica. I l discorso indiretto coinvolge maggiormente i

sentimenti dell’altro, ne riserva una spazio più ampio. Abbiamo notato

nel nostro gruppo di analisi come spesso il discorso diretto sia

accompagnato da un commento. Questo garantisce al genitore ancora una

volta una sorta di controllo.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Alcuni genitori lasciano spazio alle parole del bambino, spesso con frasi

infantili che ne amplificano gli aspetti di tenerezza:

“Mamma, lat te!…Mamma, via lacci…Io primo… È mia maglia bel la” (M2),

“Sì tata…Atte!! …Io biciclet ta papà… mamma mil la” (P2),

“Mammiii i i ina… Te l ’avevo det to che tornavo!! … Non ce l ’ho!…Non mi

serve!” (M5),

“Quando hai mangiato la pappa t i vengo a prendere… hai visto che sono

venuto a prendert i” (ripetendo le parole del padre) (P5),

“Perché io devo andare a let to e tu e papà state in casa a guardare la

televisione” (M6).

Per quanto riguarda l’uso dei nomi e dei ruoli vediamo spesso l’enfasi

posta sui termini mamma e papà.

Spesso i genitori parlano di sé stessi facendo riferimento a dei modelli .

Si tratta di modelli che possiamo definire “ibridi” e che risalgono spesso

al mondo delle favole e dei cartoni animati. Sembra che i genitori

vogliano cercare visioni alternative per definirsi e a cui fare r iferimento,

e in questo tentativo finiscano per travalicare nel mondo del fantastico e

dell’ immaginato. Tali modelli sembrano possedere caratteristiche

rassicuranti:

“dice che io sono come Mufasa cioè i l padre del leoncino” (M5),

“riesci ad arrampicart i sugl i alberi come Mogli” (M2),

“come nel la s toria di Cenerentola ” (P1).

Per quanto riguarda il modo con cui si fa r iferimento al bambino

compare spesso il pronome personale di terza persona lui/lei:

“lui non è mai musone neanche appena sveglio… lo vado a riprendere e lui

mi corre incontro fel ice” (M5).

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

I coniugi tendono a riferirsi l’un l’altro con il termine moglie e marito:

“lo sveglio io mentre mia moglie… quel lo che speriamo io e mia moglie ”

(P5).

Ci si riferisce ai bambini, nella stragrande maggioranza dei casi, oltre

che con il pronome di terza persona (lui/lei) , anche con il termine

“bimbo”/”bambino”. Solamente in quattro descrizioni, tutte eseguite da

padri, compare l’indicazione del ruolo di figlio (P1, P8, P9, P10). Solo

7 genitori utilizzano il nome proprio del bambino (P1, M2, P2, P3, P4,

P5, P9) e anche in questo caso c’è una netta prevalenza da parte dei

padri.

In alcuni casi l’altro coniuge non trova spazio non essendo nemmeno

nominato o dato implicitamente per scontato (M3, P3, M4, P7, M8, P8).

Nelle restanti “Descrizioni” invece si fa r iferimento al partner

util izzando perlopiù i termini di ruolo mamma e papà. Da notare che solo

i padri fanno riferimento alle madri con il termine “mia moglie” (P1, P2,

P4, P5) mentre non avviene lo stesso a ruoli inverti ti fatta eccezione per

un caso (M5): le madri cioè tendono ad enfatizzare maggiormente

l’aspetto paterno più che quello coniugale.

Abbiamo rinvenuto l’uti lizzo di molte forme impersonali:

“si sa che i bambini amano… si fa un po’ merenda, s i gioca, o s i esce se

c’è i l sole” (M4),

“si fa la doccia, ci si r i lassa un poco e dopo ci si prepara per la cena”

(P4),

“si va tut t i sul let tone” (M6),

“si decide cosa fare e spesso tut t i insieme ci si muove” (P6),

“si parte per la scuola… si pranza al le… si va tut t i e tre nel nostro

negozio” (M8),

“si prova a riaddormentarsi… si esce insieme… tutto quel lo che si ha

voglia di fare” (M9),

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

“si sta bene… si sa” (P1).

Tali frasi potrebbero fungere da “deresponsabilizzatori” e garantire la

sensazione di essere appoggiati da un pensiero condiviso.

Frasi impersonali tornano nelle chiusure dei racconti quando si

esprimono giudizi che spesso sono fortemente connotati emotivamente:

“anche se non si fa niente di part icolare stare tut t i e tre insieme è

importante” (M9),

“le giornate con F. sono molte piene e si arriva al la sera anche stanchi , ma

riconosco che si trat ta di una stanchezza carica di fel ici tà” (P4).

Troviamo anche conclusioni che non trattano di momenti particolari e

manifestano la difficoltà nell’esprimere i sentimenti:

“mi dispiace non trasmettere tut t i quei momenti pieni di emozioni e fel ici tà

che comunque si creano anche in una normale quotidiani tà” (P6).

Oppure ancora si manifestano speranze per miglioramenti futuri r ispetto

alle problematiche legate al bambino e ai ritmi della vita:

“con la speranza che ci siano dei passi in avant i” (M5),

“Questo almeno è quel lo che speriamo” (P6).

Torna quindi la necessità di sentirsi uguali agli altr i , di r ientrare

all’ interno di una genitorialità cosiddetta normale.

A volte al posto di frasi impersonali i genitori si servono di frasi che

hanno per soggetto un oggetto o un’azione ottenendo lo stesso risultato:

“Colazione tranquil la…Una videocasset ta al giorno è concessa” (M9),

“cominciano i giochi… la doccia è un al tro momento molto bel lo…il r i torno

a casa per preparare” (P9),

“viene l’idea… l’accoglienza è calorosa… qualcuno guarda l ’ora ” (P1),

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

“i l lat te viene bevuto tut to… la vogl ia di cambiarsi i l pannolino e di

vest irsi non c’è … quattro occhi tr is t i tr is t i che mi guardano” (M2).

Analizzando il t ipo di utilizzo dei tempi verbali eseguito dai genitori

non abbiamo riscontrato particolari aspetti significativi, con azioni

descritte perlopiù al tempo presente. Tale scelta, oltre ad essere molto

frequente in una narrazione, può essere dovuta al fatto che i genitori

descrivano una situazione che viene a ripetersi nel tempo, un modello di

giornata, sia essa lavorativa o di festa, che non ha una collocazione

temporale definita.

Per quanto riguarda l’uti lizzo delle lettere maiuscole non abbiamo

rinvenuto nessuna tendenza significativa. Solo all’ interno di una

“Descrizione” (P1) vi è l’uso quasi sistematico della lettera maiuscola

per indicare nomi e ruoli corrispondenti, ma anche in quel caso non ci

sembra un indicatore significativo.

Alcune “Descrizioni” presentano la firma dell’autore. Nell’inserire

tale aspetto all’ interno della griglia abbiamo ipotizzato che la firma

potesse essere un indicatore uti le rispetto ad alcuni fattori: ad esempio la

responsabilità, i l r iconoscimento dell’autore del racconto. Le sole

quattro firme rinvenute però non permettono di trarre alcuna conclusione

in merito a tale scelta. È significativo però i l caso di una “Descrizione”

(M3) in cui la madre si f irma non con il proprio nome, ma con il ruolo

da lei assunto, ovvero “La mamma”. Sarebbe interessante poter

verificare se con un campione più numeroso tale dato compare con

maggiore frequenza. Esso potrebbe essere un indicatore del desiderio di

r iconoscimento genitoriale come abbiamo visto rispetto all’uso dei nomi

e dei ruoli.

Abbiamo esaminato anche le correzioni che sono state apportate alle

“Descrizioni” dagli stessi genitori . Esse potevano fungere da indicatori

di possibil i difficoltà nell’esplicitare emozioni o argomenti. Ne abbiamo

rinvenute pochissime anche perché alcuni genitori si sono serviti di altri

fogli che hanno elaborato al computer impedendo la verifica di eventuali

correzioni. Anche questa ipotesi quindi non ha dato i frutti sperati

r isultando le correzioni un aspetto irri levante.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Abbiamo constatato poi la presenza di svariate frasi parentetiche e

anche di frasi esplicitamente messe tra parentesi:

“(grandi risate)…(questo invece devo lavarlo io tra tant i brontolamenti)”

(M2).

Queste possono essere lette come un meccanismo difensivo che permette

di controllare le emozioni oppure come un altro espediente uti lizzato dai

genitori per fornire ulteriori specificazioni alla narrazione.

Alcune parti delle “Descrizioni” sono dedicate alla spiegazione di alcuni

elementi familiari o di caratteristiche specifiche dei bambini, cosa che

non viene assolutamente richiesta dalla consegna. Traspare quindi il

tentativo di porsi come narratore con funzione di regia, come un

mediatore che possa portare alla luce alcuni elementi importanti, che

possa spiegare.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

5.

OSSERVAZIONI CONCLUSIVE

«Com’è st rano vero?

Sembra che i problemi a vol te

fanno incont ra re l e pe rsone»

(Mart ina) 1

La nostra indagine ha cercato di fornire un’immagine della genitorialità

adottiva attraverso le r isposte e le narrazioni dei genitori del gruppo del

dopo-adozione.

Abbiamo già più volte inquadrato la nostra r icerca come un’indagine

qualitativa di t ipo esplorativo e a tal proposito le parole di Guariento

(1995) ci sembrano riassumere al meglio i l nostro proposito: «obiettivo

dell’ indagine non è stato affermare delle certezze o fare delle

conclusioni categoriche, quanto piuttosto sollevare dubbi, proporre degli

interrogativi , aprire spazi per studi futuri. Con il suggerimento di

avvicinarsi alla materia senza ipotesi rigidamente precostituite, di cui

cercare conferma nei dati , ma di saper attendere ed osservare, con

critica curiosità, quanto dai dati emerge» .

Analizzando la letteratura sull’argomento abbiamo constatato come

l’adozione sia accompagnata da una visione critica che intravede in tale

ist ituto un fattore di rischio per tutti i soggetti implicati . Vari Autori si

esprimono con toni forti e con frasi molto nette dal carattere quasi

normativo, sottolineando non tanto chi sono i genitori adottivi, ma ciò

che dovrebbero fare per essere buoni genitori. I l confronto con la

normalità sembra essere un destino ineludibile per i genitori adottivi e

purtroppo, a volte, anche frustrante.

Ho cercato di porre tutta la mia analisi da un altro punto di vista, più

aperto verso la differenza e la specificità dell’esperienza genitoriale

vissuta attraverso l’adozione.

La somministrazione del “Questionario” ci ha fornito informazioni

che abbiamo potuto confrontare con quelle fornite dai genitori naturali e

1 In D’Andrea, A. (2000).

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

dai genitori PMA. Le differenze che abbiamo riscontrato ci sono parse il

frutto di esperienze particolari ed emotivamente molto forti . Esperienze

che trovano punti di contatto con quelle tipiche degli altri t ipi di

genitorialità, ma che portano con sé un bagaglio di vissuti in certi aspetti

diversi.

L’esperienza della gravidanza è certamente un elemento cruciale, a cui i

genitori adottivi non possono accedere. «Tutti sappiamo quanto è

gratificante, anche per gli adulti , l’esperienza quasi fusionale, f isica,

tatt ile, corporea con un neonato, quanto attraverso contatto e sguardi

“viaggi” la maggior parte della comunicazione non verbale; come tutto

questo concorra allo stabilirsi di un’intesa, una complicità, base

fondamentale per una conoscenza reciproca e profonda; come queste

precoci esperienze affett ive siano ritenute essenziali per una relazione di

attaccamento» (D’Andrea, 2000). I l percorso di genitori adottivi ha

inizio in un punto differente della vita del bambino, quando questo è già

un’entità a sé stante, che ha già oltrepassato quei delicati momenti

fusionali che si realizzano nei primi momenti della vita, con i primi

contatti e l’allattamento.

Tutto è posticipato e assume significati diversi . Così il primo sorriso,

che per un genitore naturale è un segno della crescita del bambino, per

un genitore adottivo diventa il segno di un moto affettivo e di un

riconoscimento a sé stesso come genitore.

È questo uno dei punti che ci ha maggiormente colpito: come gli atti del

bambino assumessero, nelle parole dei genitori, i l valore di att i di

legittimazione della propria funzione genitoriale:

“Quando avevano tre mesi , abbiamo lasciato i bimbi sol i con i nonni per la

prima volta … A. ha pianto per due ore consecutive e si è calmato solo

quando sono ri tornata e l ’ho abbracciato. Mi sono senti ta veramente la sua

mamma” (M2).

Una genitoriali tà che si costruisce giorno per giorno, attraverso incontri

prima incerti e poi sempre più ravvicinati , tesi al superamento di quella

quota di estraneità creata dal “vuoto” delle origini. Uno spazio in cui i

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

soggetti non si conoscevano e che rimane patrimonio privato e in qualche

misura misterioso.

Il lavoro mentale richiesto ai genitori adottivi sia dai servizi ai quali si

r ivolgono, sia dalla si tuazione-adozione, rende questo tipo di

genitorialità più complessa, r icca e profonda. Questo dato si riscontra

soprattutto nei padri adottivi che dimostrano maggiori propensioni alla

r iflessione e conseguenti elaborazioni rispetto alle emozioni provate e al

proprio ruolo genitoriale.

Attraverso la compilazione dello strumento delle “Descrizioni”

abbiamo rinvenuto anche qualche elemento che può essere letto come

indicatore di un disagio nei genitori adottivi. Essi sembrano enfatizzare

l’aspetto del controllo, i l desiderio di mantenere sotto la propria capacità

di gestione molti degli aspetti legati al loro ruolo genitoriale e al

rapporto con il bambino. Può trattarsi di ansie legate al contesto

socioculturale nel quale viviamo che tende a svalorizzare la genitoriali tà

adottiva e alla lunghezza e a volte durezza dell’ iter adottivo. Ma è anche

possibile che si tratti della difficoltà di stare di fronte al vuoto, con un

atteggiamento di r ispetto e di disponibili tà, sapendo che possono solo

dare un contributo alla sua trasformazione nella mente del bambino,

attraverso la “tolleranza del dubbio”.

Essi inoltre appaiono in difficoltà nell’esprimere le proprie emozioni

nella stesura delle “Descrizioni” , come se si andassero a riatt ivare dei

condensati affett ivi difficili da gestire.

I l fulcro della nostra analisi , come evidenziato dal t i tolo del lavoro, è

stato il tentativo di valutare come si pongono i soggetti r ispetto al

bambino, il loro rapporto genitore-figlio specie nel passaggio

dall’ immaginazione alla realtà.

Abbiamo visto come sia considerato un passo essenziale che i genitori

adottivi giungano al r iconoscimento del bambino reale rinunciando

all’onnipotenza immaginativa. La coppia, per assumere il ruolo di

genitore, ha bisogno di immaginare il bambino indirizzandosi verso un

vero e proprio concepimento mentale. Questo non può essere pensato

semplicemente come un prolungamento del sé privo di potenzialità

autonome.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Credo che tale gruppo di genitori abbia a lungo elaborato tale passaggio,

sia durante la fase dell’ indagine socio-psicologica, sia durante gli

incontri di gruppo. Mi è parso di constatare una certa capacità di

pensarsi e di pensare i l proprio bambino negli aspetti felici come in

quelli di difficoltà.

Nei “Questionari” infatti compaiono spesso risposte che fanno

riferimento all’ambivalenza del rapporto con il bambino e molte

domande hanno suscitato vissuti riferi ti ad emozioni “negative” vicino a

quelle posit ive.

Nelle “Descrizioni” poi più volte abbiamo trovato proposizioni che si

concentrano sulle difficoltà nell’organizzare la vita quotidiana intorno al

nuovo membro della famiglia. L’idealizzazione è emersa a tratt i , ma non

con modalità tali da far propendere per l’ ipotesi di una difesa

eccessivamente rigida.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Credo che per i genitori adottivi r imanga fondamentale il periodo

trascorso nell’attesa del bambino, soprattutto i l rapporto con gli

operatori e con l’ iter dell’adozione che indicano le difficoltà incontrate

in generale nel rapporto con il bambino, specie quello adottivo.

Molto spesso l’i ter adottivo appare come connotato da eccessivo rigore e

sospetto nei confronti dei richiedenti. C’è in questi ultimi la netta

impressione che gli operatori che hanno il compito di giudicarne

l’ idoneità siano affetti da una serie di pregiudizi nei loro confronti.

Pare che il desiderio di avere un figlio e divenire genitori venga tanto

apprezzato nella coppia “normale” quanto colpevolizzato in quella

sterile. Per questo la coppia adottante viene sottoposta ad un vero e

proprio processo.

Forse si dimentica e non si pone la giusta attenzione sul fatto che i

bambini adottivi derivano da coppie biologiche che non sono state in

grado di prendersene cura. Ma allora perché questi genitori non

subiscono le inquisizioni che devono patire i genitori adottivi? Questa è

la domanda ricorrente di chi si r ivolge ai servizi per realizzare il

desiderio di avere un bambino.

Tilde Giani Gallino (1994), nella presentazione al l ibro “Il Figlio del

desiderio” , afferma che oggi è molto difficile distinguere nettamente

genitori naturali e adottivi poiché i bambini non nascono più per caso,

ma sono consapevolmente desiderati . «Tutti i genitori sono oggigiorno

“adottanti”, in quanto tutti hanno deciso in maniera cosciente di

dedicare il loro impegno alla crescita di un bambino » . E ancora Giani

Gallino chiude il suo intervento con una domanda molto accattivante:

«come possiamo decidere quali debbano essere i criteri validi per i

genitori adottivi, se ancora nessuno conosce a fondo, o ha formulato, i

parametri corrett i da richiedere ai genitori biologici? » . Una risposta

forse può venire dai contributi psicoanalit ici che identificano alcuni

parametri fondamentali del compito genitoriale: dare amore e speranza,

contenere le sofferenze e sostenere lo sviluppo del bambino.

Se vogliamo cercare di comprendere l’adozione e i suoi problemi

abbiamo la necessità di familiarizzare con le storie umane nella loro

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

infinita varietà. In quanto un’adozione ben riuscita non è né più né meno

di una normale storia umana.

Questo non significa però che l’adozione possa essere equiparata alla

normalità. Esiste sempre qualcosa al suo interno di diverso sia per i

genitori che per i bambini che vi sono implicati . Ci piace pensare che

questa diversità sia qualcosa di speciale e che come tale possa finalmente

essere valorizzata e vista come una ricchezza, come un elemento

particolare della complessità del generare.

Pensiamo che il compito primario dei genitori adottivi sia quello di

r iuscire ad autolegitt imarsi come genitori , sganciandosi dall’aggettivo

“adottivi”: questo sembra essere i l passo determinate per potersi sentire

genitori a pieno titolo e adoperarsi come tali . Concepire il bambino come

“mio figlio” richiede il passaggio attraverso una fase intima che come

tale va salvaguardata. I due tipi di genitorialità analizzate r ispetto a

quella normale (PMA e adottiva) mostrano come spesso tale intimità

venga in qualche maniera violata dalla intrusività medica, burocratica,

valutativa. Diviene così difficile far nascere nella propria mente i l

bambino come una parte di sé e come manifestazione della propria

capacità creativa, che genera attraverso gli affetti e le relazioni umane.

Non esistono ricette semplici per essere dei buoni genitori adottivi,

come non esistono manuali per essere genitore naturale. Si tratta di

scelte importanti, in entrambi i casi difficili e delicate. Credo che i l

punto di partenza da cui i genitori possano muovere sia la

consapevolezza di essersi posti con la genitoriali tà una meta molto

ambiziosa che richiederà loro dei sacrifici.

Penso che questo sia un buon punto di partenza: la consapevolezza delle

difficoltà, che accompagnano da sempre la realizzazione di ogni impresa

umana, e della necessità di mettersi in gioco, aprendosi all’altro e al

mondo con il cuore e con la mente. E in questo caso mi sembra non

esistano delle categorie, ma solo i genitori e i loro figli .

In conclusione ci sembra sia possibile per ora solo “cercare di capire”:

è questo lo spunto che ci sentiamo di fornire ai tecnici che affrontano

l’adozione, perché pensiamo che questo sia l’atteggiamento mentale che

può essere trasmesso e rinforzato anche nei genitori.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

Del resto l’esperienza dell’adozione è ancora lontana dal permettere di

trarre conclusioni definitive e certe. Siamo solo all’ inizio di un lungo

processo conoscitivo. È un fenomeno in continuo mutamento ed in

grande espansione e proprio per questo richiede un’attenzione particolare

e la capacità di saper attendere, di rimanere in attesa. Non abbiamo

portato quindi dati definitivi, ma una serie di rif lessioni da cui partire

per conoscere meglio il fenomeno adozione.

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori

RIFERIMENTI LEGISLATIVI

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dell’affidamento dei minori” : Gazzetta Ufficiale n° 133, 17/05/83

Legge 31 dicembre 1998 n° 476, “Ratifica ed esecuzione della

convenzione dell’Aja del 29 maggio 1993 sui diritt i dei minori” :

Gazzetta Ufficiale n° 8, 12/01/99

Legge 1 dicembre 1999 n° 492, “Regolamento per la costituzione,

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Legge 28 marzo 2001 n°149, “Modifiche alla legge 4 maggio 1983

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