LE PERSISTENZE CLASSICHE E PAGANE: UN … · Il caso della figura del buon pastore è indicativo 15...

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Aaldo Marcane LE PERSISTENZE CLASSICHE E PAGANE: UN INQUADRAMENTO GENELE Nel ricordo di Piero Scardig/i "Corri, corri! Fino a dove? Fin qui" 1 Questo microdialogo si può leggere su un sarcogo pagano di Efeso dove sono raffigurati tre giovani corridori che si lanciano verso il traguardo. Di tenore analogo è il messaggio di un'iscrizione cristiana di Nicea: "Tu corri. Fino a dove?". Anche alla luce di significativi casi paralleli non credo che si possa contrapporre all'affermazione perentoria dell' e- pigra pagana la domanda lasciata senza risposta in quella di Nicea. Essendo la mancanza di speranza inconciliabile con la con- cezione cristiana della vita il "fino a dove?" dovrebbe implicare come risposta "sino alla resurrezione" o qualcosa del genere. In realtà è preferibile vedervi la permanenza di formule tradizionali diffuse nel mondo antico, espressioni di pessimismo popolare. Tanto è vero che anche l'epigrafia cristiana latina non ignora il tema del "sino a qui". Così si legge in un'iscrizione romana: non fuimus et fuimus, non sumus, non desideramus, usque hic deducitur 2 C'è probabilmente stato un eccesso di fiducia nel riconoscere come esplicitamente cristiane e, al contrario, come manistazioni di credo pagano, delle raffigurazioni che invece, a una lettura più atten- ta e spassionata, possono essere interpretate con maggiore verosimi- glianza come manifestazioni di conservatorismo e di tradizionalismo culturale e sociale. Per questa ragione parlerei appunto di "persisten- za" di tradizioni classiche ma non di paganesimo in quanto religione - che implica per associazione automatica un'opposizione e una resi- stenza al cristianesimo - ma essenzialmente come quadro di riferì- * Sono particolarmente grato a Paolo Liverani e a Valentino Pace per aver discus- so con me i contenuti di questo lavoro. ' MAMA VII 284c. 2 JCVR II 4334. Traggo questa selezione di iscrizioni da FE1ssEL 1995. 19

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Arnaldo Marcane

LE PERSISTENZE CLASSICHE E PAGANE: UN INQUADRAMENTO GENERALE

Nel ricordo di Piero Scardig/i

"Corri, corri! Fino a dove? Fin qui" 1• Questo microdialogo si

può leggere su un sarcofago pagano di Efeso dove sono raffigurati tre giovani corridori che si lanciano verso il traguardo. Di tenore analogo è il messaggio di un'iscrizione cristiana di Nicea: "Tu corri. Fino a dove?". Anche alla luce di significativi casi paralleli non credo che si possa contrapporre all'affermazione perentoria dell' e­pigrafe pagana la domanda lasciata senza risposta in quella di Nicea. Essendo la mancanza di speranza inconciliabile con la con­cezione cristiana della vita il "fino a dove?" dovrebbe implicare come risposta "sino alla resurrezione" o qualcosa del genere. In realtà è preferibile vedervi la permanenza di formule tradizionali diffuse nel mondo antico, espressioni di pessimismo popolare. Tanto è vero che anche l'epigrafia cristiana latina non ignora il tema del "sino a qui". Così si legge in un'iscrizione romana: non fuimus et fuimus, non sumus, non desideramus, usque hic deducitur 2

C'è probabilmente stato un eccesso di fiducia nel riconoscere come esplicitamente cristiane e, al contrario, come manifestazioni di credo pagano, delle raffigurazioni che invece, a una lettura più atten­ta e spassionata, possono essere interpretate con maggiore verosimi­glianza come manifestazioni di conservatorismo e di tradizionalismo culturale e sociale. Per questa ragione parlerei appunto di "persisten­za" di tradizioni classiche ma non di paganesimo in quanto religione - che implica per associazione automatica un'opposizione e una resi­stenza al cristianesimo - ma essenzialmente come quadro di riferì-

* Sono particolarmente grato a Paolo Liverani e a Valentino Pace per aver discus­so con me i contenuti di questo lavoro.

' MAMA VII 284c. 2

JCVR II 4334. Traggo questa selezione di iscrizioni da FE1ssEL 1995.

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mento di un codice artistico condiviso. La creatività in questo campo è relativa. Forse è opportuno ricordare quanto ebbe a scrivere André Grabar una quarantina di anni fa: "it is important to keep in mind that creativity in this area consists in appropriating existing figurations by shifting the meaning of repeated formulas, by taking over known ico­nographic formulas, or composing similar ones by analogy". Non a caso "the same iconographic term - the orant, the Good Shephard -has different meanings according to the context" 3

C'è un'unità di fondo nella cultura tardoantica che sintetizza i valori comuni dei ricchi proprietari desiderosi di dare visibilità al proprio status sociale e, in taluni casi peculiari, anche alla loro personalità.

D'altra parte "the reign of Constantine and his sons, which saw the foundations of the Christian Empire, are for the history of Chri­stian iconography nearly a tabula rasa" 4.

Risulta indicativa l'elusività di molti di quei manufatti che sono spesso presentati, forse con troppa facilità, come documenti di resistenza pagana, intesa come manifestazione consapevolmen­te agguerrita e religiosamente motivata di circoli di pagani irridu­cibili (in un convegno svoltosi nel 2006 a Francoforte Alan Came­ron ha fatto giustizia della presunta "reazione pagana" che alla fine del IV secolo avrebbe sostenuto l'usurpazione di Eugenio contro Teodosio) 5

• Si pensi alla Corbridge lanx, interpretata ora come tra­duzione iconografica di un mito sconosciuto, per quanto affine al giudizio di Paride, oppure come congresso di divinità in una sorta di sacra conversazione pagana in santuari localizzati in sedi diver­se, oppure ancora in altro modo. Come aveva già scritto a suo tempo Brendel: "the lanx tells no story and proclaims no myste­rious allegory" 6

Si tratta, in realtà, come è il caso del piatto di Castelvint, inter­pretato in genere, pur in mancanza di sicuri paralleli iconografici, come illustrazione dell'episodio di Tiresia che spia Atena al bagno (fig. 1) 7, di uno di quei grandi piatti decorati con scene mitologiche o di genere idilliaco-bucolico e marini diffusi in età tardoantica chesi ritrovano in diversi contesti (si pensi, ad esempio, al ninfeo sottola basilica di san Giovanni e Paolo) anche perché spesso prodotti

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3 GRABAR 1968, p. XLVIII. 4 GRABAR 1968, p. 38. 5 CAMERON c.s. 6

BRENDEL 1941 p. 126; LEADER-NEWBY 2004, pp. 144-145, 149-150. 7 Cf

r

. CALVI 1979.

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Fig. 1. Piatto di Castelvint: Tiresia spia Atena al bagno.

per occasioni festive nell'am­bito dell'aristocrazia senatoria e da ambienti vicini alle corti imperiali 8• Così pure pare dubbio che la lanx di Para­biago possa essere considera­ta - così come è stato sostenu­to - alla luce della eteroge­neità dei temi che vi compaiono "come un documento di fede, testi­mone dell'adesione del committente e/o destinatario ai misteri frigi" (interpretati peraltro in chiave cosmica), in particolare per celebrare gli Ilaria, la principale festa romana di Cibele 9

• E neppu­re "pacifica" mi sembra, malgrado gli studi di Andreas Alfòldi, la dipendenza della commissione della lanx dalla nobiltà senatoria impegnata nei medesimi anni nell'emissione dei contorniati, giudi­cati anch'essi uno strumento utilizzato a sostegno del "Kulturkampf pagano" 10•

Ancora sembra ragionevole lasciar cadere ogni ipotesi di con­flitto culturale a proposito dal piatto di Achille del tesoro di Kaise­raugst, in cui il medaglione centrale raffigura il ritrovamento di Achille a Sciro mentre lungo il bordo dieci scene di diversa ampiez­za separate da colonne a spirali raccontano la nascita e la fanciul­lezza e l'educazione di Achille. Risulta infatti persuasiva la rilettu­ra del pezzo fatta recentemente da Ruth Leader-Newby, approvata da Alan Cameron, e pensare in proposito a una riproposizione dei valori dell'educazione tradizionale dell' e lite greco-romana 11• E il conflitto religioso sembrerebbe pacificamente riassorbito nel cofa­netto di Proiecta del tesoro dell 'Esquilino riconducibile a membri conosciuti dell'aristocrazia pagana (i Secundi Turci). Qui abbiamo

' Cfr. BRANDENBURG 1983. 9 Cfr. Musso 1983, pp. 122-123. 10 ALFOLDI 1943 con Musso 1983, pp. 122-123." Cfr. LEADER-NEWBY 2004, pp. 126-130; CAMERON 2006.

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un'iscrizione cristiana con un'iconografia paganeggiante: la toilette della dama, assistita dalle sue ancelle ha come modello quella di Venere, circondata da creature marine, Eroti e Nereidi, che non a caso è raffigurata in asse sulla parte superiore del cofanetto 12

• Né va dimenticato come Venere e Cupido abbiano un ruolo attivo nell'e­pitalammio di Claudiano per Onorio e la moglie 13

• E la stessa ete­rogeneità dei motivi mitologici presenti nell'anfora di Baratti indu­ce a considerare con prudenza un troppo preciso riferimento a un intento di propaganda religiosa 14

La ricerca dei valori simbolici può essere ingannevole. Il caso della figura del buon pastore è indicativo 15

• Per quanto si presti ad essere associata alla nota parabola evangelica della pecorella smar­rita, essa ha un chiaro modello nell'immagine di Hermes crioforo e psicopompo per passare quindi a impersonare la virtus filantropica. Lo stesso motivo dei tralci di vite carichi di grappoli, anche quando hanno valenza cristiana, è compatibile, in virtù delle assonanze dio­nisiache, anche con ambienti culturalmente tradizionalisti. In buona sostanza ci sono temi figurativi propri della tradizione classica che si adattano a essere recepiti e utilizzati con connotazioni cristiane. A cambiare, nella continuità del motivo iconografico, è la loro valenza semantica.

Proprio Aquileia può valere come caso esemplare dove sembra di potersi riconoscere la vicinanza tematica delle raffigurazioni pre­senti nei luoghi di culto a quelle delle domus private. Tra le ragioni che rendono così peculiari i mosaici della basilica aquileiese c'è l'attenzione che gli artisti dimostrano per degli aspetti minuti di vita quotidiana, di per sé non essenziali rispetto ai motivi fondamentali di ispirazione della loro opera 16

• D'altra parte nessun messaggio doveva essere più efficace per dei cristiani, soprattutto se di fresca conversione, del riproporre in una luce radicalmente nuova, si direbbe definitiva, soggetti che erano loro familiari.

Si può quindi prendere in considerazione la particolare fortuna degli idilli pastorali di derivazione ellenistica proprio in età tardoan­tica corrispondendo a una sensibilità diffusa che vedeva l'aldilà come una proiezione dell' otium campestre. Una fortuna che conti-

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12 Cfr. CAMERON 1985; CAMERON 1992; PAINTER 2000.

n Cfr. CAMERON 1970, p. 194. 14 Cfr. ARIAS 1986.

" Cfr. ScHuMACHER 1977. 16 Cfr. MENIS 1986; BERTACCHI 1980.

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nua, tra l'altro, anche in piena età bizantina come mostra l'elegante proveniente da Klimova e conservato all'Ermitage di san Pietro­burgo con pastore, cane e due pecore 11

• E ancora su una brocca, anche questa conservata all'Ermitage di san Pietroburgo, risalente alla metà del VII secolo, ritroviamo una scena marina e dionisiaca 18

Proprio la figura del crioforo, che poteva ricevere un arricchi­mento semantico dall'immagine mitologica di Hermes psicopompo, valeva come immagine sintetica ed evocatrice di ideali di umanità e di filantropia cui poteva corrispondere l'allegoria dell' aion con i quattro putti stagionali. E secondo uno slittamento semantico tutto sommato ben comprensibile il simbolismo stagionale del Sole è tra­sferito a Cristo che, così come il contadino, dà mano alle diverse occupazioni agricole a seconda delle stagioni, regola la successione degli anni, stagione dopo stagione. Vi si può vedere un completa­mento di quella "filantropica del buon pastore" che, come simbolo, poteva contare su un'iconografia consolidata.

La figura del pastore è quella che si incontra con maggiore fre­quenza nell'arte paleocristiana tanto è vero che si è arrivati a con­tarne sino a poco meno di novecento rappresentazioni. Tuttavia è bene ricordare come la figura del pastore non necessariamente coin­cide con quella del "buon pastore" per la quale la fonte evangelica è la nota parabola di Giovanni ( cap. 1 O). In realtà la metafora del pastore arrivava alla Chiesa cristiana anche attraverso altri canali, il primo dei quali è l'Antico Testamento ove è questione del Dio di Israele che è "pastore" del suo popolo. Dunque la fortuna dell'im­magine del pastore nell'iconografia paleocristiana si nutre di una tradizione complessa ( ebraica e pagana classica prima che cristiana in senso stretto) che l'ha favorita 19

Per menzionare qualche caso specifico è inevitabile fare alme­no un sommario riferimento al noto mosaico aquileiese raffiguran­te il cosiddetto "pastore dall'abito singolare" (fondo Cossar) sulle cui incongruenze si era soffermata già Luisa Bertacchi in un contri­buto di ormai trent'anni fa (fig. 2) 20

• La presenza nel mosaico di un recipiente pieno di latte e di una pecora e di una capra sembra con­notare il soggetto come pastorale anche se ci sono elementi, come il nimbo e la destra che è stesa in avanti in un gesto che fa pensare all 'adlocutio, che possono suggerire una combinazione di motivi

17 Cfr. LEADER-NEwBv 2004, p. 176, tav. 4. 3. " Cfr. LEADER-NEwBv 2004, pp. 174-177, tav. 4. 4. 19 Cfr. DuLAEY 1993. 20 Cfr. BERTACCI-II 1977.

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Fig. 2. Pastore "dall'abito singolare" (Aquileia).

iconografici diversi. Ad ogni buon conto l'abito del pastore, di fog­gia così chiaramente orientale, è davvero singolare, nel senso che potrebbe essere stata modificato rispetto alla sue caratteristiche ori­ginarie ( ci sono tracce di pesanti restauri già in antico) per propi­ziarne un'utilizzazione in senso cristiano: da quanti, come Gian Luca Grassigli, rifiutano ora quello che si considera un pregiudizio cristianizzante la scena, considerata di genere, come altre di sog­getto analogo di Milano e di Desenzano, è indicata genericamente come di "dominus in paesaggio agreste" 21

• Il fatto che il mosaico sia

21 Cfr. GRASSIGLI 1999, pp. 237-240.

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chiuso ai vertici dalle figure delle quattro stagioni, così come la pre­senza di due grandi pavoni e di due fagiani, sembra fornire una con­ferma di questa possibilità. Così pure sembra da rivedere il presup­posto che il locale in cui si trovava il mosaico, così come tanti altri ad Aquileia, fosse un "oratorio" e non piuttosto appartenere a un edificio residenziale 22•

Colpisce il confronto con il Buon Pastore dell'aula teodoriana meridionale che è raffigurato, con una certa ingenua semplicità da una mano di artista certo meno esperto di quelli che hanno lavorato agli altri ritratti, come un giovinetto, apparentemente librato a mezz'aria, che impugna una rozza siringa e regge sulle spalle un agnello mentre un altro, ai suoi piedi, lo guarda fiducioso (fig. 3).

La figura di Orfeo si prestava già nella cultura pagana a un interscambio con la figura di Apollo musageta e fu quindi assimila­to alla raffigurazione di Davide salmista. La compresenza di Cristo-

Fig. 3. Il "Buon Pastore" (Aquileia).

22 B1scoNT1 1996.

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Orfeo e di Davide nel cunicolo di Domitilla suggerisce l'intenzione di sottolineare la relazione tra Antico e Nuovo Testamento. I Padri della Chiesa si impegnano nella esegesi della figura di Orfeo fatto assurgere addirittura a simbolo del Logos che è il vero Orfeo capa­ce di ammansire le bestie feroci: così già Clemente Alessandrino, che lo paragona al Logos di Dio capace di ammansire le bestie fero­ci e, soprattutto Eusebio in un testo politicamente e ideologicamen­te impegnativo come le Laudes Constantini: "Se Orfeo con il suono della lira ammansì le fiere ... il Verbo di Dio fece di più: ammansì i costumi dei barbari e dei pagani" (Laud. Const. 14).

Nella pittura cimiteriale l'i1mnagine inizia a comparire nella seconda metà del III secolo. In un cubicolo di Callisto Orfeo è raf­figurato, nella volta, quasi a sottolinearne il valore simbolico di immagine di figura di Cristo, tra due ovini. Non mancano le varian­ti nella raffigurazione di Orfeo. Nell'arcosolio della catacomba dei santi Marcellino e Pietro, della seconda metà del IV secolo, per quanto Orfeo sia raffigurato seduto con gli strumenti musicali, non compie l'atto di suonare ma con le braccia aperte in un gesto che può apparire simbolico mentre lo sguardo è rivolto verso l'alto forse per suggerire un riferimento trascendente (fig. 4) 23

Fig. 4. Orfeo cantore (Roma, catacomba dei santi Marcellino e Pietro).

23 B1scoNT1 2000, tav. 2; CoRNELI 2006.

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È interessante come la figura di Orfeo risulti chiaramente fun­zionale in diversi contesti, con peculiari slittamenti semantici, alla celebrazione della figura del dominus per la quale doveva essere secondario lo stretto riferimento religioso. Basterà fare qualche esempio. A Rimini, nello scavo recente di piazza Ferrari, il cantore tracio è raffigurato al centro di un pavimento di una domus in cui in sei esagoni disposti intorno a lui sono rappresentati vari animali attratti dalla musica. Poiché, in ragione degli attrezzi chirurgici che sono stati ritrovati nella casa, si può ritenere che il proprietario fosse un medico sembra plausibile che le competenze del committente fossero messe in parallelo con quelle di Orfeo che, secondo una ver­sione del mito, era riuscito a strappare Euridice alla morte 24

• A Piaz­za Armerina la figura di Orfeo sembra presupporre una serie com­plessa di rimandi alla cultura del proprietario, idealmente concepito come mousikòs anér, con la musica celebrata per il suo potere spi­rituale 25

I soggetti latamente mitologici, che possono essere sottoposti a processi di desemantizzazione o di risemantizzazione in quanto uti­lizzati a celebrare la persona del committente, sono i più vari. Pren­diamo il caso di una domus di IV secolo recentemente scavata a Faenza in piazza Dogana di cui sono venuti alla luce degli ambienti di rappresentanza 26

• A noi interessa la scena che adorna­va un vestibolo che precedeva una sala absidata, probabil­mente di ricevimento. Nella fascia perimetrale si susseguo­no una serie di figure virili in armi, alternate da altre femmi­nili. La raffigurazione princi­pale è incentrata su un perso­naggio maschile, parzialmente coperto da un mantello ferma­to sulla spalla destra, seduto su una sorta di trono, circondato da uomini in armi mentre ai suoi piedi si vedono corazze e scudi (fig. 5). Sembra accetta- Fig. 5. Mosaico con Achille (Faenza - RA).

24 Cfr. 0RTALLI 2000.

25 Cfr. MARROU 1968. 26 Cfr. MAIOLI 1990.

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bile l'ide?, di vedervi un'immagine riassuntiva delle imprese di Achille. E naturalmente impossibile immaginare quale concreto legame ci potesse essere tra il proprietario e la scena mitologica da lui voluta riprodurre con tanta evidenza nella sua casa. Ma certo lascia intendere le sue ambizioni culturali per le quali il tradizionali­smo del quadro di riferimento non ha di per sé nette implicazioni religiose.

Basterà solo un cenno al mosaico aquileiese di Licurgo e Ambrosia, che sembra da attribuirsi a botteghe locali 27, della domus

del fondo CAL, che rappresenta una delle testimonianze più tarde della persistenza di soggetti classici - a prescindere dall'eventuale intenzione religiosa dei committenti che, in mancanza di un conte­sto, è difficile da valutare - in un'Aquileia ormai cristianizzata ( escluderei interpretazioni di tipo psicologico sulla crisi del mondo antico: se mai mi sembra vero il contrario e, cioè, che ci si possa vedere ut_1a consapevole affermazione di identità nel riproporre temi colti) 28

• E evidente che i medesimi artigiani servivano indifferente­mente i ricchi proprietari, ancora sensibili ai richiami della tradizio­ne classica, e l'importante committenza cristiana nella quale dove­vano essere comunque ben presenti coloro i quali si compiacevano di riproporre i temi mitologici colti, per i quali presumibilmente si prescindeva dalla valenza religiosa.

D'altra parte l'utilizzazione del mito in chiave personale, con evidenti riferimenti alla cultura dei committenti, ha un riscontro nel noto mosaicò della domus conosciuta come di Caliendo e Iovina, raffigurati come Amore e Psiche, un tema favolistico idoneo, attra­verso un processo di <;:ristianizzazione, a essere reso compatibile con la nuova fede 29

• E interessante come il significato di questa scena, che suggerisce un immediato rimando al romanzo di Apu­leio, datata in genere alla seconda metà del III secolo, possa risulta­re rafforzato da quello delle Stagioni nel vano accanto.

Che, d'altra parte l'arte cristiana attingesse al repertorio di quella classica è ben comprensibile soprattutto nel campo dell'i­deologia della gloria e del trionfo (ma anche a quella del circo) 30 per la quale la nuo-ya religione mancava di espliciti e fruibili modelli iconografici 31

• E il caso della Vittoria che compare nella moneta-

28

27 Cfr. Gt -lEDINI 1992. " Cfr. BERTACCl-11 1974-75. 29 Cfr. GRASSIGLI 1996; GRASSIGLI 1999, pp. 231-232. JO Cfr. GRABAR l 968, pp. 16-17. 31 Cfr., peraltro, MATHEws 2005.

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Fig. 6. La "Vittoria Eucaristica" (Aquileia).

zione di IV secolo per celebrare la vittoriosità degli imperatori in virtù della loro adesione al culto cristiano. L'uso allegorico della Vittoria, soprattutto in ambito funerario, nel senso del premio della vita eterna riservato al buon cristiano al termine della sua esistenza terrena, è in qualche modo un corollario di un tema ben presente nell'immaginario tardoantico. È dubbio che si possa leggere la nota raffigurazione della basilica aquileiese della "vittoria", raffigurata come una fanciulla che reca la palma e una corona di alloro con ai

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suoi piedi un canestro con pani e forse un altro con spighe, come "Vittoria eucaristica" (fig. 6) 32

• Appare preferibile vedervi un'im­magine di genere, familiare, e dunque facilmente apprezzabile, al di là di un immediato ed esplicito riferimento religioso, che si presta­va a una rilettura in chiave cristiana.

In proposito merita di ricordare il contenuto di un dialogo, per­venutoci solo parzialmente, che oppose probabilmente nella secon­da metà del IV secolo un pensatore cristiano, Macarius Magnes a un pagano ( è incerto se si tratti di un interlocutore fittizio o meno). Per il nostro discorso è interessante che Macarius, quasi presuppo­nendo criticamente le tesi di studiosi moderni come Panofsky, Strzygowsky, Saxl e molti altri, per i quali l'angelo non è altro che una vittoria cristianizzata, difenda il culto cristiano da paralleli con il paganesimo che il suo interlocutore tentava di stabilire soprattut­to per quel che riguardava gli idoli e la rappresentazione degli ange­li 33

• Ogni accostamento è impossibile perché i cristiani sanno che l'essenza della divinità è incomprensibile e inattingibile con le sole risorse naturali 34

Un esempio notevole di cmmnistione di temi e motivi cristiani con altri per i quali è innegabile la derivazione classica si ha nei mosaici dell'arco trionfale di Santa Maria Maggiore risalenti al pontificato di Sisto III, dunque tra il 432 e il 440: "Probably the most extensive and most suggestive example of the iconographic influence of imperial art" 35

• All'interno di un ciclo raffigurante l'in­fanzia di Gesù nella scena dell'Annunciazione Maria è abbigliata in modo insolitamente sontuoso. Vi si può vedere l'influenza del ceri­moniale imperiale. Vero è che la Vergine è presentata come una matrona romana intenta a filare. Ma la sua immagine risulta perfet­tamente compatibile con quella di una clarissima femina dell'ari­stocrazia senatoria (fig. 7): Simmaco, l'oratore appartenente all'éli­te senatoria pagana di fine IV secolo, in una lettera caratterizza la figlia, moglie di uno degli ultimi leaders del paganesimo romano, Virio Nicomaco Flaviano, nei termini tradizionali della matrona lanifìca 36

• Al di sopra di Maria compare la colomba dello Spirito Santo e l'arcangelo Gabriele con le ali spiegate e accanto sono tre

30

32 Cfr. M1AN I 975. " GouLET 2003, IV 27-29. 34 Cfr. PEERS 200 I, pp. 65-69.35 GRABAR 1968, p. 47. "' SvMM., ep. VI: cfr. MARCONE 1983.

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Fig. 7. L'"Annunciazione" (Roma, S. Maria Maggiore).

angeli con nimbo e ali. Si aggiunga che i mosaici dell'arco trionfa­le pongono una stretta relazione tra gli eventi della Bibbia ebraica, che sono narrati nelle navate laterali, con quelli associati con la nascita di Cristo 37

: al centro c'è il tema teologico della celebrazio­ne della Vergine Theotokos. In santa Maria Maggiore una potente istituzione sociale, politica e religiosa reinterpretava la storia ebrai­ca e il popolo ebraico come precursori, tipi e segni della realizza­zione delle promesse divine nel cristianesimo 38

La letteratura colta offre suggestivi e interessanti punti di con­tatto e di confronto. Il caso di Nonno di Panopoli, uno dei poeti greci più ricchi di erudizione della Tarda Antichità, appare esem­plare. Come ha suggerito uno dei più acuti esegeti della sua poesia, Enrico Livrea, l'intenzione di Nonno sembra essere stata quella di raccogliere tutti i miti che si riferiscono "a una delle più nobili ed elevate soteriologie elleniche, quella del Dionisismo" 39

• Il pubblico cui si rivolgeva doveva comprendere, con i cristiani ancora impre­gnati di cultura ellenistica, quegli ultimi pagani che vedevano pro­prio nel tradizionalismo culturale il baluardo della loro identità. Né va sottovalutata la contiguità che si può presupporre tra le scene dei

37 Si veda il senno 24, I di Leone Magno. 38 Cfr. MILES 1993. 39 Cfr. LIVREA 2000; L1EBESCHUETZ 1996.

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Fig. 8. La "Danza delle Stagioni" (Ravenna).

davvero, come è stato proposto da Gabriele Canuti 47, la danza

cosmica delle stagioni di Ravenna possa essere riconducibile a una qualche rappresentazione teatrale o dionisiaca o non sia preferibile presupporre semplicemente un proprietario di notevoli mezzi eco­nomici e di cultura tradizionalista, che magari aveva portato con sé dall'Oriente un'ispirazione ancora radicata nel tardo Ellenismo bizantino 48

• Nel settore est del complesso, risalente a una fase ante­riore, in una stanza abbiamo un emblema quadrato all'interno di un tappeto a cerchi annodati. Vi è raffigurato un giovinetto con tunica

47 Cfr CANUTI I 999; cfr. anche LEADER-NEwsv 2004, p. 137 per il presupposto di raffigurazioni teatrali su piatti argentei.

48 Questa possibilità mi sembra trovare riscontro in BowERsocK 2006.

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Fig. 9. "Giovinetto tra due pecore" (Ravenna).

corta fra due pecore di cui ne accarezza una. All'albero di destra è appesa una siringa (fig. 9). Non ci sono elementi per vedere nel mosaico una raffigurazione del Buon Pastore e, quindi, nell'edificio un ambiente di culto.

I versi di Nonno sembrano illuminanti di una temperie cultura­le, di un atteggiamento mentale rispetto al quale è possibile pre­scindere anche da contesti regionali: "Le quattro Stagioni sono salu­tate dalle figlie del Tempo che volano a formare una corona intorno al seggio fiammante dell'auriga infaticabile, le dodici Ore cicliche, ancelle del Sole, che scortano il suo carro fiammeggiante, sacerdo­tesse che si alternano nei misteri dell'Anno; al celeste dominatore di tutto l'universo hanno piegato il collo come sudditi" (Dionisia­che, �II, vv. 15 ss. trad. D. Gigli Piccardi).

E notevole come da questo passo si evinca che il trascorrere ciclico del tempo sia sentito come una sorta di celebrazione di un

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mistero. Non dimentichiamo che il cristianesimo adatta e applica a Cristo la "metafora solare" ed alcuni aspetti soteriologici della teo­logia solare. Il simbolismo delle stagioni in rapporto al sole è tra­sferito a Cristo. Zeno di Verona nel suo De nativitate Domini et maiestate, trattato scritto non a caso per il 25 dicembre, giorno della nascita del Salvatore ma anche Natalis Solis Invicti, è paragonato al Sole che sorge e tramonta così come i 12 apostoli sono equiparati ai dodici segni dell'anno, ai dodici segni dello zodiaco, alle 12 ore del giorno. I cristiani si preoccupano comprensibilmente di differenzia­re l'immagine di Cristo, che è sole di giustizia e luce spirituale. Ambrogio nel suo inno Splendor paternae gloriae ha cantato Cristo come verus Sol 4

9•

Resta illuminante della complessità dei valori semantici dell'i­conografia cristiana e dei suoi presupposti classici e, più specifica­mente, tardoantichi il mosaico con Cristo-Helios nel sepolcro dei Giulii nella necropoli Vaticana per il quale, con tutta la cautela del caso, una datazione di inizio IV secolo, forse all'inizio del regno di Costantino, sembra plausibile ( fig. 1 O) 50

• Si tratta di una raffigura­zione di particolare interesse anche perché si tratta di una delle prime testimonianze di mosaico parietale di soggetto cristiano. Di per sé l'i1mnagine di Helios, inserita in un contesto dominato dal motivo dei tralci vitinei, non ha nulla di specificamente cristiano. Al contrario gli elementi che la caratterizzano ne sottolineano la conti­nuità con la sua raffigurazione tradizionalmente pagano-classica: il nimbo radiato, il globo, la quadriga. Si tratta, d'altra parte, di un'im­magine dalle importanti valenze ancora per l'ideologia imperiale nell'Impero costantiniano: si pensi, per limitarsi all'esempio forse più evidente, alla raffigurazione del sole sulla quadriga sul lato orientale dell'arco di Costantino a Roma, che è un'immagine del potere dell'imperatore sugli elementi naturali. Si aggiungano le significative analogie che si riscontrano tra la raffigurazione nei due tondi dell'arco con quella della lanx di Parabiago nel cui campo superiore Helios ascende sulla quadriga preceduta da Phosphoros mentre a destra Selene dirige verso il basso la corsa della biga tira­ta da due tori davanti a cui vola Hesperos.

Non è fuori luogo ricordare come la compartecipazione al divi­no fosse già sviluppata in età tetrarchica e che era stata sviluppata

49 Cfr. WALLRAF 2001, p. 164. '° Cfr. MENNA 2006 e la bella riproduzione in Rivoluzione del! 'immagine 2007, p.

44, tav. 9.

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proprio da Costantino in particolare grazie al concetto di numen che poi sarebbe stato identificato con una divinità solare: non a caso Costantino è talvolta celebrato, all'inizio del suo regno, come colui che, con la vittoria, dissipa le tenebre e riporta la luce.

Fig. 10. Sepolcro dei Giulii: Cristo-Helios (Roma).

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Vero è, d'altra parte, che quanto più centrale è la figura del dio solare nella composizione, tanto più è verosimile che sia visto come un salvatore e che quindi possa essere messo in relazione con Cri­sto da parte di un committente cristiano o da un semplice osserva­tore 51

• Sembra in realtà plausibile supporre che la decorazione del sepolcro dei Giulii sia espressione di un quadro di riferimento figu­rativo eclettico, per il quale la connotazione cristiana deriva dalla giustapposizione di elementi di origine diversa.

Abbiamo a che fare con una concezione di fondo che non sem­bra diversa da quella che all'origine del pavimento musivo della basilica aquileiese dove l'ispirazione generale, tradizionalmente paradisiaca, è come riorientata in senso cristiano dalla storia di Giona e dalla figura del Buon Pastore 52

• Credo che per un osserva­tore medio fosse spontaneo prescindere, almeno a un primo sguar­do, dalla lettura allegorica della storia di Giona e non vedere la raf­figurazione di lui beatamente dormiente sotto un pergolato da cui pendono delle zucche nell'ultima campata dell'aula teodoriana meridionale come quella di una scena realistica e, tutto sommato, banale di ozio campestre (fig. 11) 53

• E lo stesso mare, in fondo, è troppo ricco di pesci, e di pescatori impegnati nella pesca, perché essi non richiamino in primo luogo su di loro l'attenzione. Non è fuori luogo ricordare come in una coppa in vetro di Cartagine del IV secolo la tradizionale i1mnagine di idillio marino sia cristianizzata con l'aggiunta dei nomi degli apostoli Pietro e Giovanni ai pescato­ri che vi sono raffigurati 54

I possibili livelli di lettura delle scene dei mosaici sono diversi ma è del tutto plausibile che la fonte di ispirazione fosse condivisa e tradizionale (si pensi, ad esempio, al mosaico di Oderzo) 55

• In realtà la pluralità dei motivi iconografici che sono alla base dei temi sviluppati nei mosaici delle due aule della basilica aquileiese è oltremodo eloquente: essi derivano, oltre che da fonti vetero e neo­testamentarie, dall'iconografia aulica e imperiale, dalla mitologia pagana, da repertori generici ellenistici e, addirittura, dalla cripto-

" WALLRAF 2001 p. 161. 52 Cfr. S1CHTERMANN 1983. 53 La fortuna del tema nell'iconografia cristiana tardoantica emerge bene nel cata­

logo della mostra Rivoluzione delle immagini 2007, 8, tav. 15, p. 132). Merita di segnala­re, in particolare, la sua presenza nella parte inferiore della copertura di Evangelario detta "dittico di Murano" (p. 214, tav. 55). Cfr. B1scoNT1 2007.

54 V1LLETTE 1952, tav. 15. Cfr. BRANDENBURG 1983, p. 253. 55 Come risulta dal mosaico di Oderzo (cfr. G1lAss1Gu 1999, pp. 307-308).

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Fig. 11. "Mosaico di Giona" (Aquileia).

grafia misterica 56• Tale pluralità suggerisce, a mio modo di vedere,

non tanto la spregiudicatezza intellettuale dell'ambiente ecclesiasti­co aquileiese quanto il forte radicamento nella tradizione antica di

56 Così è talvolta interpretato il motivo della lotta del gallo con la tartaruga: cfr. MENIS 1986, p. 489.

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un messaggio iconografico che proprio ad essa attingeva la sua forza per farsi recepire. In questo io vedo la persistenza di quello che più che "paganesimo" chiamerei tradizionalismo culturale e la forza del suo valore di tessuto connettivo anche in ambiente cristia­no s1_

Si deve accettare l'idea che a taluni aristocratici premeva che il cristianesimo apparisse il più "classico" possibile e che, comunque, soprattutto taluni oggetti di particolare pregio, come i grandi piatti in argento, valessero prevalentemente come espressione di paideia, intesa come conoscenza di tradizioni culturali e religiose classiche, e non come adesione a un culto specifico. Una raffigurazione mito­logica non è di per sé manifestazione di professione religiosa: in questo senso i Saturnali di Macrobio possono dare un'idea di come la religione potesse essere oggetto di discussione all'interno di un gruppo di aristocratici per i quali gli ideali di paideia si combinano con la conoscenza, più che con l'appartenenza, delle tradizioni reli­giose 58

• Si tratta di un complesso ed affascinante processo di storia culturale prima ancora che religiosa in cui avranno interagito le intenzioni dei committenti, le competenze delle maestranze e le aspettative dei destinatari.

57 Questo non significa naturalmente affern1are che "Si assiste così, nel corso del IV secolo, a uno straordinario rinnovamento e arricchimento del patrimonio di immagini utilizzato dagli artigiani di lusso, ma senza alcuno strappo con la tradizione classica" (SENA C1-11ESA 2007, in part. p. 76).

" LEADER-NEwBv 2004, p. 142 e 153.

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