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LE ORIGINI APPROFONDIMENTI I CACCIATORI DELLE GROTTE DI SAN DANIELE E SAN ROMUALDO LA CERAMICA AD IMPRESSO DELLA BASSA ISTRIA I CASTELLIERI I MONUMENTI FUNEBRI DELL’ETÀ DEL BRONZO MONCODOGNO GLI ISTRI: I CASTELLIERI GLI ISTRI: I TESORI DELLE TOMBE GLI ISTRI IN AMBITO ADRIATICO E CENTRO-EUROPEO NESAZIO CAPITALE DEGLI ISTRI L’ARTE DELLE SITULE A NESAZIO LE ORIGINI APPROFONDIMENTI 45

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LE ORIGINI

APPROFONDIMENTI

I CACCIATORI DELLE GROTTE DI SAN DANIELE E SAN ROMUALDO

LA CERAMICA AD IMPRESSO DELLA BASSA ISTRIA

I CASTELLIERI

I MONUMENTI FUNEBRI DELL’ETÀ DEL BRONZO

MONCODOGNO

GLI ISTRI: I CASTELLIERI

GLI ISTRI: I TESORI DELLE TOMBE

GLI ISTRI IN AMBITO ADRIATICO E CENTRO-EUROPEO

NESAZIO CAPITALE DEGLI ISTRI

L’ARTE DELLE SITULE A NESAZIO

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Durante l’ultima era glaciale, in un periodo compreso fra i 70 e i 10 mila anni fa, si alternarono cicli climatici più miti a cicli più rigidi e tutto l’Alto Adriatico, fino all’altezza di Zara all’incirca, era coperto dalla terraferma dato che il livello del mare era a quei tempi più basso di 97 metri. Risalgono al pleistocene superiore o alla fine della glaciazione Würm 2 - stadiale i primi insediamenti umani nella caverna S. Daniele II, che si trova nella Bassa Istria, a circa 5 km NE dal centro della città di Pola, e quelli nella grotta di S. Romualdo, che si apre sulla parete rocciosa del Canale di Leme, e a Vergottini, presso Villanova di Parenzo. L’analisi del carbonio radioattivo (C14) presente in diversi campioni di carbone e di ossa animali carbonizzate provenienti da S. Daniele II ha fornito un’età che varia da 27.800± 850 a 10.830±50 anni fa. Significa che la caverna di S. Daniele è stata intensamente frequentata dal-l’ultima glaciazione all’inizio del disgelo. Il clima secco e rigido,

I CACCIATORI DELLE GROTTEDI SAN DANIELE E SAN ROMUALDO

San Daniele II (Pola), inizio degli scavi

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con brevi periodi piovosi, è dimostrato dai reperti ani-mali ossei raccolti attorno al focolare. I reperti ci svelano che si trattava di un ambiente simile alla steppa con biotopi simili alla tundra, con enormi pascoli e limitate foreste, abi-tati da animali del tipo alpino e polare nord-europeo, assie-me a cavalli e asini selvatici, bovini selvatici, suini, cervi, uccelli, anfibi e pesci. Le ossa rinvenute appartenevano in prevalenza a individui giovani e rappresentano i resti dell’alimentazione dei cacciatori del tem-po. Sono spezzate e spesso bruciate. Dati analoghi sull’ambiente sono stati forniti anche dalla grotta di S. Romualdo nel Canale di Leme, che servì a lungo come tana all’orso delle caverne. Lì è stato scoperto il primo resto umano fossile in Istria: un dente, apparte-nente a un cacciatore molto giovane del paleolitico superiore del gruppo Homo sapiens fossilis. Nello stesso strato sono stati trovati manufatti silicei e un canino perforato di cervo, che doveva essere importante come trofeo o amuleto. I resti di cacciatori del paleo-litico inferiore, appartenenti allo stesso gruppo dell’Homo sapiens fossilis, scoperti nella grotta S. Daniele II, sono più abbondanti. Attorno a un rogo erano sparsi frammenti di ossa appartenenti al minimo a tre e al massimo a cinque persone, di ambo i sessi e di diversa età. Erano ominidi paleomediterranei con caratteristiche dell’uomo di Cromagnon.

Oltre ai resti umani, sono numerosi i manufatti di silice e di osso e le schegge non lavorate, rinvenuti nella caverna di S. Danie-le II, a rendere testimonianza di un ambiente in cui venivano ap-punto lavorati utensili di silice e di osso. Erano oggetti con cui gli ominidi si recavano a caccia e che servivano anche per preparare il cibo, per conciare le pelli, per lavorare l’osso e il legno. Qui l’uomo si stabilì soprattutto nel tardo paleolitico, circa 10.000 anni fa, quando incominciarono a manifestarsi grandi cambiamenti negli usi e nel comportamento umani.

San Romualdo, Leme, reperti

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LA CERAMICA AD IMPRESSODELLA BASSA ISTRIA

I primi recipienti di ceramica segnano una nuova era nello sviluppo storico dell’uomo, il neolitico. Si tratta di un fenomeno avvenuto durante il sesto millennio a. C. L’arte della lavorazione del vasellame di argilla mescolata a calcite e quarzite, ma anche a grossolane schegge di calcare o vegetali, giunse in Istria prove-niente da Sud. Si ricavavano semplici contenitori fatti a mano, ancora a imitazione delle forme presenti in natura, come zucche o contenitori ottenuti scavando pezzi di legno o intrecciando ar-busti. Le pareti levigate, di argilla ancora umida, venivano rico-perte da impronte impresse con oggetti acuminati: punteruoli di osso o di legno, giunture di piccole ossa animali, orli di conchiglie o di unghie. Questa tecnica decorativa e la relativa cultura sono state chiamate ceramica ad impresso. Nella sua fase iniziale le im-pronte finivano per ricoprire la superficie del vasellame senza or-dine alcuno. In Istria questa fase non ha ancora trovato riscontri, anche se è attestata alle spalle del Golfo di Trieste, nel Litorale sloveno e sulle isole quarnerine. In una fase successiva i ceramisti decoravano recipienti della stessa forma (grandi pentole ovali o sferiche, bacili emisferici) organizzando le impronte in modo da

creare motivi in serie, intrecciati, zigzaganti e ondulati. I giacimenti di questo tipo di vasellame a motivi im-pressi sono concentrati nella Bassa Istria. In seguito al fenomeno della trasgressione del mare, alcuni si trova-no oggi proprio sulla costa (Visola a Medolino, Monte Grosso-Debeljak a Promontore o Pradisel nei pressi di

Pavici), ma anche tutti gli altri sono relativamente vicini al mare. I più distanti sono Monte Orsino presso

Butkovici (15 km circa) e S. Michele presso Valle (8 km circa). In tutti i casi sono stati trovati frammenti

di recipienti decorati con gli orli di conchiglia. L’argilla e gli altri in-

Visola presso Medolino, ceramica ad impresso

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gredienti venivano ricavati nei pressi dei villaggi. Una volta mo-dellati e in parte essiccati, i vasi venivano cotti a una temperatu-ra che probabilmente non superava i 750° C, com’è confermato dal predominante color rossiccio della ceramica cotta. Accanto a recipienti che servivano per le necessità quotidiane (trasporto di liquidi, preparazione dei cibi, ecc.), ne venivano prodotti altri, più particolari, con cura e attenzione. Dall’argilla ben mondata si ricavavano semplici recipienti ovali dalle pareti relativamente sottili, che venivano levigate accuratamente; a quel punto tutta la superficie era spalmata di argilla diluita, sulla quale con l’orlo dei cardi venivano tirate sottili linee o venivano impresse sequenze di piccole conchiglie della stessa specie. In questo modo si creavano complessi motivi di linee parallele e oblique. Non sappiamo quale effettiva importanza, significato o funzione avessero questi reci-pienti nella vita di ogni giorno per i pastori e gli agricoltori del primo neolitico nell’allora Istria meridionale, ma in ogni caso essi dimostrano abilità e destrezza nell’arte della ceramica.

Nel corso dei primi secoli del secondo millennio a. C., at-torno al 1800 a. C., in Istria sorsero i primi abitati fortificati, i castellieri. La loro apparizione è la conseguenza delle grandi mi-grazioni indoeuropee e della stratificazione sociale. L’Istria si tro-vava ai margini delle civiltà mediterranee, che dal mare si erano diffuse fino al centro del continente, e alla confluenza di territori e culture europee preistoriche, orientali e occidentali, che stava-no incamminandosi verso nuovi traguardi. Da quell’epoca l’Istria incominciò ad essere intensamente abitata. Erano tempi insicuri, motivo per cui i villaggi venivano costruiti in posizioni strategi-che, particolarmente protette, ed erano cinti da mura. Nonostan-te la mancanza di importanti materie prime, furono le condizioni

I CASTELLIERI

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naturali, climatiche e geologiche, a convincere le nuove numerose comunità patriarcali a rimanere sul posto, cercando riparo all’in-terno di abitati protetti da mura e a difendere i propri territori. I castellieri erano situati in cima a colli conici, sugli speroni sovra-stanti le valli di alcuni paleo-corsi d’acqua, su pianori circondati da profonde doline carsiche, lungo la costa marina e sulle isole. I loro numerosi ruderi sono oggi facilmente individuabili nel pae-saggio grazie alle cime tronche delle alture e alle pendici terraz-zate, senza dire che diverse città odierne, specie quelle in quota, si sono sviluppate dagli antichi castellieri. Lo confermano pure le numerose indicazioni topografiche tuttora in uso, come Gradina, Gradac, Gradišće o Gračišće, Stari grad, Castellier, Castelvenere,

Castelliere di Leme

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ecc. Nell’ elenco del 1903, C. Marchesetti ne conta, nell’area che comprende le isole del Quarnero, l’Istria fino alla Fiumara, la Carniola, il Litorale sloveno e la valle dell’Isonzo, ben 455 unità, di cui circa 350 nella penisola istriana. Non sappiamo quando tutti questi abitati nacquero, quanto a lungo vissero o quando la vita vi si spense. Solo in pochi di essi sono stati effettuati scavi archeologici, e nella maggioranza dei casi la datazione viene sta-bilita in base alle caratteristiche dei tanti reperti di superficie di frammenti fittili.

Una volta scelta l’ubicazione del futuro villaggio, il terreno veniva spianato e le pietre spaccate poi servivano per innalzare possenti mura a secco attorno a tutta l’area. I paramenti mura-ri erano formati da grossi blocchi di pietra, il cui interno veniva riempito di sassi più piccoli e del pietrame scartato durante lo spianamento delle sommità collinari. Di solito le mura seguivano circolarmente la configurazione del terreno, talvolta in più ordi-ni. Nei posti che erano già in buona parte naturalmente protetti, grosse mura e massicci argini venivano eretti solamente nei punti di più facile accesso. Nei pressi di alcuni castellieri si può nota-re un’ulteriore cinta difensiva esterna, prospiciente la linea delle mura, formata da blocchi di pietra verticalmente e saldamente conficcati nel terreno. In tal modo l’accesso all’abitato, che si gua-dagnava attraverso stretti e complicati passaggi, di-ventava ancora più arduo. Nelle prime fasi di costruzione delle mura i passaggi si presentano lar-ghi, ma ben presto vi si aggiungono vari muretti e divisori per intralciare o impedire il passaggio. All’interno dell’abitato erano dislocate case dalle fondamenta rettangolari in pietra, sulle quali veniva fissata una struttura di legno o di arbusti intrecciati e ricoperti

Nesazio,forno per la ceramica

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di argilla. E i tetti, con tutta probabilità, dovevano assomigliare a quelli che fino a pochi anni fa si potevano ancora vedere nelle campagne istriane, coperti di paglia, di tavole o di lastre di pietra. L’intera costruzione del tetto e delle pareti divisorie era sostenuta da massicce travi profondamente incastrate nelle fondamenta e puntellate con lamelle di pietra. Questi villaggi erano di diversa estensione ed erano probabilmente organizzati in particolari co-munità territoriali, gravitanti su un centro più grande, attraverso il quale comunicavano col resto del mondo.

Data la scarsità di materie prime, gli abitanti di quei villaggi dell’età del bronzo si occupavano principalmente di pastorizia e di agricoltura. Dalle analisi dei resti ossei risulta che prevaleva l’alle-vamento di bestiame minuto (pecore o capre) e più raro era invece quello bovino. I resti di animali selvatici, uccelli o pesci, che dimo-strano la pratica della caccia e della pesca, sono assai più scarsi. Gli animali domestici venivano allevati soprattutto per il latte e la lana o per essere impiegati nei pesanti lavori agricoli. Un reperto assai frequente nei castellieri sono le macine di pietra per i cereali.

Tra i resti della cultura materiale predominano numerosi i frammenti di recipienti fittili, che in virtù di alcune forme parti-colari ci parlano delle affinità fra coloro che abitavano l’Istria nel-l’età del bronzo e gli abitanti delle isole alto-adriatiche e quelli del Carso (ad es. varie forme di recipienti con piastrina a linguetta sui manici a gomito o l’uso di piatti tripodi). Il vasellame veniva fatto a mano e spesso era accuratamente levigato e decorato con sempli-ci motivi plastici o ad impresso. Sono piuttosto frequenti anche i ritrovamenti di frammenti di piastre fittili con fori rotondi, che sono resti di forni per la cottura della ceramica. Negli abitati, oltre alle officine ceramiche, ve ne erano anche altre. Dalla lavorazio-ne di ossa animali si ottenevano aghi, punte o levigatoi. Venivano inoltre lavorate le pelli animali, la lana e il legno, i cui resti però, dato l’ambiente carsico, non si sono conservati.

Una particolare importanza la dovevano rivestire le fonderie, le cui materie prime - i metalli - provenivano da altre regioni. Sono stati trovati alcuni tipi di stampi per la fusione di oggetti in bronzo (Moncodogno, Vermo, Pola, Sermino), che dimostrano la presenza di fonditori. Si fabbricavano elementi di armi (punte di lancia, pu-gnali), arnesi (asce, coltelli, punteruoli, scalpelli) e semplici monili di fili metallici (orecchini spiraliformi, pezzi di collane).

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Grazie alla sua posizione geografica l’Istria era inserita nei grandi flussi e vie commerciali dell’epoca, ad esempio fra il Balti-co e il Mediterraneo, attraverso le quali giungeva da settentrione l’ambra. Nelle tombe istriane dell’età del bronzo sono state trova-te spesso perle di ambra.

La vita spirituale degli abitanti dei castellieri, a parte i riti fune-bri, ci è ignota. Ma c’è un’eccezione: la costruzione circolare in cima a S. Angelo Piccolo, alle spalle di Parenzo. I massicci blocchi di pie-tra disposti circolarmente, la scoperta di un piccolo canale scavato, che finisce con un incavo, e di un colatoio di ceramica sembrano indicare un’area cultuale posta fra due grandi abitati a castelliere.

Gli abitanti dei castellieri usavano seppellire i propri defunti in posizione fetale. I morti venivano rinchiusi in arche fatte di sot-tili lastre di pietra, spesso smussate (venivano scalpellati gli orli). Il fondo dell’arca veniva ricoperto di sottile ghiaia, che talvolta la riempiva tutta. Di solito un’arca conteneva i resti di più defunti. I corredi funebri erano di regola assai semplici (qualche orecchino di sottili fili di bronzo, delle armille dello stesso genere, o qualche perla di ambra, dei coltelli di bronzo). Più dei corredi funebri era forse significativa la struttura che ricopriva l’arca o la posizione della tomba stessa.

Lungo le mura e accanto alle entrate dei villaggi c’erano delle piattaforme recintate, nelle quali si trovava l’arca funebre con la lastra di copertura a vista. Gruppi di queste piattaforme compo-nevano una necropoli. Ne sono state scoperte alcune accanto al castelliere di Monte Orsino presso Butkovići a nord di Dignano, ma anche a Gradina sull’isola di Brioni Maggiore.

Nelle aree che circondano i castellieri sono sovente dissemi-nati, senza alcun ordine a noi comprensibile, numerosi, piccoli tumuli di pietra che contengono al centro un’arca formata da la-

I MONUMENTI FUNEBRIDELL’ETÀ DEL BRONZO

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stre di pietra. Essi si notano in particolare nei dintorni di Monte Orsino, quindi nella zona detta Paravia, fra la baia di Colone e Barbariga, o a Zabgnacco vicino a Villa di Rovigno, ma anche al-trove. I piccoli tumuli in questione spesso conservano tracce di un muro circolare, all’interno del quale è situata l’arca.

Di particolare significato dovevano essere i solitari, grandi tumuli di pietra posti proprio in cima alle alture. Con la loro posizione e grandezza sottolineavano l’importanza rivestita dai defunti in vita. Solo pochi sono stati esplorati (Monte Val Marin vicino a Pola, Bombiste presso Bagnole, Monte Gromaz-za a Cavrano) e fra questi il più importante è risultato essere quello di Maclavun nei pressi di Sossici. A giudicare dai ruderi della costruzione circolare e dal corridoio d’accesso, che ricorda un dromos, con tutta probabilità esso rappresenta i resti di una tomba con copertura a cupola (tomba a tholos), che all’epoca, verso la metà dell’età del bronzo, quando nella Grecia micenea si dedicavano tombe del genere a eroi e famiglie particolarmen-te illustri, doveva esprimere un tentativo di imitazione di quel mondo. Nello spazio all’interno del muro circolare furono tro-vate tracce di combustione e di modeste celebrazioni, mentre a nord dell’entrata si trova una tomba murata che conteneva i resti di diversi defunti. Si suppone che al centro potesse trovarsi la tomba principale, o che forse essa sia ancora in seno alla cinta circolare, di fronte all’entrata.

L’architettura delle tombe istriane dell’età del bronzo e alcu-ni coltelli bronzei, che in esse sono stati trovati, attestano i legami fra la penisola istriana e le culture del Mediterraneo orientale del-la stessa epoca, durante tutto il secondo millennio a. C. Un cam-biamento repentino, pressoché totale, avvenne durante l’XI sec. a. C., con il diffondersi di un nuovo modo di seppellire i defunti: l’incinerazione.

Albonese, punta di lancia di bronzo

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MONCODOGNO

Moncodogno è il nome di una collinetta (81 metri sul livello del mare) poco distante da Rovigno, dalla quale lo sguardo domi-na la costa dalle Brioni alle isole rovignesi e il mare aperto dell’Al-to Adriatico. Nel 1953 gli archeologi vi accertarono l’esistenza di un castelliere e ben presto vi iniziarono degli scavi. Quelle prime esplorazioni servirono a stabilire l’estensione dell’abitato, a pianta ovale (260 x 160 metri), circondato da mura concentriche. Torna-rono alla luce la porta occidentale, che conduceva al mare, e quel-la settentrionale, che portava verso la fossa “cultuale”. Al centro, sulla parte più elevata dell’abitato, particolari mura delimitavano l’area dell’acropoli. Qui, nel settore nord-orientale, furono sco-perte grandi costruzioni rettangolari. Gli scavi, ripresi nel 1997, hanno riportato alla luce innumerevoli altri reperti e novità su Moncodogno, ma anche sull’età del bronzo in Istria.

All’inizio del secondo millennio a. C., verso l’anno 1800, una comunità di nuovi arrivati inaugurò enormi lavori all’asse-stamento della vetta di questo poggio. Furono estratti e spaccati grandi blocchi di pietra per creare uno spiazzo su cui estendere il villaggio. Enormi blocchi di pietra piatta servirono per costruire il paramento esterno del muro principale, alto fino a 3 metri e largo altrettanto. Sul lato occidentale c’era l’accesso principale al villaggio, un passaggio che dava sul mare, e che doveva provocare una grande impressione. Venne intramezzato a più riprese.

Percorrendo un viottolo a gradini si raggiunge una strozzatura che può essere attraversata solo da una persona alla volta, mentre un corridoio, che si svolge anch’esso a gradini, conduce a un ambiente più largo, antistante un altro stretto passaggio che sbocca sulla pri-ma terrazza dell’abitato. Accanto al principale passaggio occidenta-le sorgeva la necropoli, con le arche inserite in piattaforme cinte da mura, di cui se ne è conservata una dalla parte settentrionale, perché col tempo è stata dimenticata, tanto che sopra vi fu eretto un ante-murale alla cinta principale e poi un altro all’angolo meridionale dell’ingresso. Il secondo passaggio è situato sul lato settentrionale del muro di cinta che, tramite un sinuoso e stretto corridoio recin-tato, conduce verso la fossa alle pendici dell’altura.

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La zona centrale e la più elevata di Moncodogno è circondata da un analogo muro massiccio che chiude l’area rettangolare del-l’acropoli. Qui, nella zona nord-orientale, si trovavano le costruzioni più grandi, che avevano fondamenta rettangolari e che furono più volte tramezzate nel corso dei secoli. C’erano numerosi focolari e tutto attorno spazi aperti cinti da muricci. Davanti a una delle case si trovava una grande fornace per la cottura delle ceramiche. Verso ovest, a una quota leggermente inferiore rispetto all’acropoli, in uno spazio semicircolare recintato, sorgeva la città alta ovvero la zona artigianale dell’abitato, mentre sulle terrazze più in basso, lungo il muro principale, si estendeva la città bassa, dove le abitazioni più piccole si allineavano lungo il margine esterno. Di fronte alla porta occidentale si è scavato nelle fondamenta di una casa a due livelli. Vi si trovava una struttura forse simile agli odierni focolari aperti. Per tutte le costruzioni si usavano, oltre alla pietra, travi di legno che ve-nivano fissate in buche da palo di solito scavate nella roccia di base.

Il castelliere visse fra il 1800 e il 1200 a. C. Della sua vita quoti-diana sono rimasti soprattutto frammenti di vasellame di ceramica e di ossa animali (resti dei pasti). Il legame con il mare è rivelato dal ritrovamento di lische di grandi pesci che si possono catturare solo a grandi profondità. I reperti più importanti sono quelli che dimostra-no i legami di Moncodogno e dell’Istria con i lontanissimi territori danubiani e dell’Italia settentrionale (la scoperta di “oggetti enigmati-ci” - idoli in forma di panetti) o con il Mediterraneo orientale, Cipro e Creta (piatti tripodi) e Micene (frammenti di ceramica dipinta).

Moncodogno, il sito

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GLI ISTRI: I CASTELLIERI

Negli ultimi secoli del secondo millennio a. C., nel periodo della tarda età del bronzo, giunsero dai territori subdanubiani, dal-le Alpi sud-orientali e dalla fascia settentrionale dei Balcani genti nuove, che si espansero verso l’Europa occidentale e settentriona-le e il Mediterraneo orientale, e che si distinguevano soprattut-to perché cremavano i defunti. Durante l’XI sec. giunsero anche in Istria. In molti castellieri la vita allora cessò, ma in molti altri continuò. Forse vennero anche fondati nuovi insediamenti dello stesso tipo, su cui però oggi non possiamo ancora pronunciarci. Gli insediamenti protetti da mura, che sorgevano in posizioni strategiche, apparentemente continuarono a seguire le vecchie tradizioni dell’età del bronzo. In ogni caso, per un altro millennio la vita continuò all’interno delle mura a secco. Furono aggiunte - fenomeno notevole - alte mura parallele, che oggi si presentano come grandi argini a difesa dei lati più facilmente accessibili degli abitati. Strutture del genere sono documentate a Castellier presso Corte, sopra Isola, e a Nesazio.

Non sappiamo che aspetto avessero le case dell’età del ferro, ma alcune di quell’epoca sono state esplorate ai confini della pe-nisola, nel castelliere di Elleri sopra Muggia, a Cattinara, Mon-rupino e Duino. Hanno sempre una pianta rettangolare, con le fondamenta in pietra e sovrastrutture in legno ricoperto di argilla. I tetti erano probabilmente di paglia, ma dato il gran numero di travi portanti, documentate in un’abitazione del castelliere di El-leri, si suppone che per le coperture venissero usate anche sottili lastre di pietra. I pavimenti erano per lo più ricoperti da calcare frantumato e argilla pressata. La più interessante è un’abitazione documentata a Monrupino, il cui pavimento era ricoperto da fa-sce di ciottoli infissi nell’argilla. Alcune delle vecchie entrate negli abitati vennero chiuse: nei loro pressi e sulle terrazze all’interno delle mura si estesero le necropoli che accoglievano le ceneri dei defunti (Vermo, Castelliere di Leme, Pola, S. Martino di Torre). Nelle necropoli situate nelle immediate vicinanze degli insedia-menti sono state notate tracce di devastazioni delle vecchie strut-

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ture funerarie dell’età del bronzo, il cui materiale veniva poi reim-piegato per la costruzione di campi funerari molto simili, con piccole arche di pietra (Castelliere di Leme, Nesazio), in cui di solito venivano custoditi i resti di defunti accompagnati da corre-di funebri intenzionalmente rotti (frammenti di monili, di vesti) e contenuti in recipienti dalle forme particolari. Sono i corredi funebri e i numerosi rifiuti, rimasti dopo i rituali che si tenevano nelle aree delle necropoli, a fornirci il maggior numero di infor-mazioni sulla loro vita quotidiana. La loro sopravvivenza si fonda-va sull’allevamento del bestiame e la coltivazione della terra.

Nei primi secoli dal loro arrivo in Istria rimasero legati alle vec-chie tradizioni della cultura continentale dei campi di urne, ma già andava delineandosi un gruppo culturale che può essere identifica-to con gli Istri. Molto presto all’interno di quelle stesse necropoli apparvero sempre più spesso oggetti importati da aree limitrofe o più distanti, e anche nella modellazione dei loro prodotti, specie delle ceramiche funerarie, ben presto prevalse il gusto mediterra-neo. La grande quantità e varietà di merci straniere comprovano l’importanza dell’Istria nei commerci e nella mediazione fra grup-pi culturali differenti. L’abbondanza di prodotti d’oltremare itali-ci attesta la presenza degli Istri nell’Adriatico, Istri che gli scrittori antichi menzionano come pericolosi pirati. Dai corredi funebri traspaiono con evidenza i tentativi di imitare le usanze delle civiltà mediterranee (recipienti per banchetti o simposi, libagioni di vino, ventagli di bronzo). Oltre a praticare i mestieri tradizionali (lavo-

razione della ceramica, della lana, di ossa, legno, metalli), essi costruivano navi a cucitura.

Data l’abbondanza di merci prestigio-se e la monumentalità delle sue sculture di

pietra, molto presto Nesazio incominciò a emergere fra tutti gli altri castellieri, diven-tando il più importante centro economi-co, spirituale e politico. La stratificazione esistente nei rapporti sociali è testimo-

niata dalle differenze riscontrate nei cor-redi funebri, mentre il raggruppamento di

tombe singole indica chiaramente l’esistenza di comunità, famiglie e stirpi elitarie e distinte.Le fonti scritte degli ultimi secoli della vecchia era,

Nesazio, stamnos daunio(metà VI sec. a. C.)

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quando gli Istri entrarono direttamente in conflitto con i Romani, ci fanno sapere che i castellieri erano organizzati in una lega a capo della quale stava un sovrano ereditario (rex) e che le singole stirpi (populi, civitates) avevano ognuna un proprio duce (princeps).

GLI ISTRI: I TESORI DELLE TOMBE

Quasi tutto ciò che sappiamo degli Istri, delle differenze so-ciali e dei gruppi sociali privilegiati o dei mestieri di cui potevano occuparsi in vita, l’abbiamo appreso grazie ai corredi funebri tro-vati nei loro campi di urne. A far da urne cinerarie erano di solito contenitori appositi. Quelli più antichi (XI e X sec. a. C. ) aveva-no la forma di una tazza con un manico alto, erano lucidissimi, e se il defunto aveva goduto di uno status speciale, accanto ai suoi resti venivano collocati numerosi bracciali di bronzo, qualche ago, qualche pendaglio, torques o orecchino, tutti intenzional-mente danneggiati. Durante il IX e l’VIII sec. a. C., scompaiono ad un tratto i ricchi corredi, in compenso però le urne assumono una nuova forma di boccale panciuto o recipiente panciuto senza collo, e sono decorate con svariati motivi geometrici. La maggior parte dei recipienti veniva infatti decorata con rappresentazio-ni di meandri, spirali, linee ondulate e altri motivi semplici. In questo periodo i corredi funebri (coltelli, armille, spilloni) sono piuttosto rari, ma in compenso sono fregiati da raffinate incisioni con motivi simili a quelli dei recipienti, inoltre compaiono i pri-mi oggetti importati dal territorio italico. I più notevoli sono i grandi recipienti dipinti a motivi geometrici, che si fabbricavano nell’area della Daunia, ovvero dell’odierna Puglia, e altri che pro-venivano anche dall’area etrusca meridionale.

I crateri e gli stamnoi servivano per conservare il vino, che a quei tempi era un vero e proprio lusso, accessibile solo ai più ric-chi. Dalla fine dell’VIII sec. fino al IV e III sec. a . C. recipienti di

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varie forme, legati ai rituali della libagione del vino, fanno sempre più spesso parte dei corredi funebri presenti nelle tombe più ricche. È un fenomeno particolarmente evidente a Nesazio. Accanto ai cra-teri sferici per conservare il vino, compaiono dei boccali, gli oino-choe, per mescerlo, dapprima di origine etrusca e poi, dalla fine del VI sec., anche greca. Dal V sec. entrano in uso anche piccoli reci-pienti per bere vino: gli skyphoi e i kylikes. Venivano fabbricati nelle officine attiche e in quelle adriatiche dell’Etruria. Oggetti simili, di gran lusso e prestigio, giungevano in quelle comunità ancora prei-storiche attraverso doni, forse scambi commerciali o perfino atti di pirateria, come dicono le fonti antiche. Ricchezza voleva anche dire poter avere tanti recipienti bronzei, tra cui i più preziosi erano le situle decorate con figure. Spesso tutti questi oggetti venivano riparati e rabberciati con fili di bronzo o grappe di piombo. Una posizione elevata in vita era testimoniata anche dal possesso di og-getti particolari, come i pesanti manici di ventaglio, simili a scettri, o parte di scettri, che potevano appartenere alla padrona di casa o a qualche sacerdotessa. A quel tempo le donne che si occupavano del-la lavorazione della lana, della filatura e tessitura godevano di uno status speciale e il loro semplice simbolo era un pendaglio in forma di pettine, munito di denti corti, che usavano nella tessitura.

Assai raramente ci si imbatte in tombe di guerrieri. Sono stati trovati solamente tre elmi bronzei conici, adibiti a urne cinerarie per seppellirvi i resti di defunti. E raramente venivano accluse alle tombe lance o spade di ferro (le cosiddette mahaire) con lama ri-curva a un solo taglio, il tutto sempre apposta deformato e spezzato intenzionalmente. I frammenti di vestiario e di monili, come fibule, aghi, pendagli vari, perle di osso, di vetro e perfino di ambra, sono assai rari e modesti rispetto ai molti recipienti. I più numerosi sono i bracciali, di solito fatti di fili di bronzo piegati a spirale, a sezione rotonda o quadrata. Solo negli ultimi secoli a. C. in-

cominciano timidamente a comparire monili più pre-ziosi, dal nostro punto di vista, d’argento e per-

fino indorati, provenienti dalle officine liburniche.

Pizzughi,collana di perle di vetro

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GLI ISTRI IN AMBITO ADRIATICO E CENTRO-EUROPEO

Per la sua posizione geografica, l’Istria con gli Istri venne a trovarsi al centro, a guisa di ponte, delle numerose rotte che par-tivano dal Mediterraneo e da varie direzioni dell’Adriatico ver-so l’Europa centrale e viceversa. Succede da sempre e succedeva anche durante l’ultimo millennio a. C. All’interno del proprio territorio peninsulare gli Istri conducevano in effetti una vita pressoché insulare. I numerosi oggetti rinvenuti nelle loro tom-be a urne cinerarie erano delle più diverse origini. Nell’XI e X sec. a. C. erano ancora legati alle lontane regioni settentrionali e orientali dell’Europa, da cui erano penetrati in Istria. I nume-rosi oggetti di bronzo rivelano le loro ascendenze nel territorio della Polonia meridionale (torques a più fili); d’altronde esiste-vano già contatti con l’insediamento della tarda età del bronzo di Frattesina, alla foce del Po, donde giungevano le cosiddette perle di palafitte, fatte di pasta di vetro. Solo dal IX e VIII sec. a. C. possiamo riconoscere qualche modesto recipiente a for-ma di boccale panciuto, tipico delle urne cinerarie istriane, nelle necropoli dei grandi centri del Veneto, come Este e Padova o S. Lucia (Most na Soči) centro della comunità culturale detta appunto di Santa Lucia.

Particolarmente vistosi sono i tanti, grandi recipienti, dipinti a motivi geometrici opachi, provenienti dalle officine daunie del Sud Italia. In Istria continuarono ad arrivare per secoli, ma ancora non sappiamo se per gli Istri erano importanti per se stessi o per ciò che potevano contenere. Oltre a quelli ora citati, è interessante un tipo di pentola panciuta, dall’imboccatura rivoltata e rinfor-zata sull’orlo, di ceramica ad impasto. È attestata nella Daunia e in Istria durante il IV e III secolo a. C., anche se non in misura così abbondante come la raffinata ceramica dipinta. Sono conte-nitori particolarmente interessanti per il loro aspetto disadorno, che si ritrovano a una tale distanza, e che sembrano un prodotto istriano. Forse anche in questo caso quello che contava non era la qualità della ceramica, ma il contenuto del recipiente, che per

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noi rimane sconosciuto. Sembra che l’Istria rivestisse un ruolo piuttosto significativo nei contatti fra l’area dell’odierna Bassa Carniola, i suoi centri di potere nell’età del ferro, e i territori del Piceno, sulla costa occidentale adriatica. Può darsi che gli Istri fossero, assieme ai Liburni, gli intermediari nel rifornimento dei vasi dauni dipinti - attraverso il Piceno - per la Bassa Carniola e che forse, d’altra parte, fornissero al Piceno armi di ferro della Carniola. Si suppone che gli Istri fabbricassero addirittura delle imitazioni dei costosi recipienti greci destinati a contenere be-vande, che poi piazzavano presso le genti insediate lontano dal mare (ad es. il kylix di Novo Mesto). In ogni caso, presso gli Istri sono di gran lunga più numerosi gli oggetti e le tecnologie di va-ria importazione rispetto a quelli provenienti dalla penisola nel-le regioni limitrofe. A Nesazio confluiscono i riverberi di tutti i contatti spirituali e politici dell’Istria con il mondo di allora. Le monumentali sculture di pietra esprimono il raccordo fra Orien-te e Occidente, mentre nell’arte delle situle c’è la narrazione epica delle gesta dei sovrani delle comunità prealpine e alpine, ancora preistoriche, ma giunte a contatto con le grandi civiltà mediter-ranee.

La lunga, frastagliata costa dell’Istria e la morfologia stessa della penisola consentono di mantenere da qualsiasi punto con-tatti diretti con il mare. L’interno dista al massimo 30 km dal-la costa, da quella sia orientale che occidentale. Quest’ultima è bassa, molto articolata, ricca di baie, insenature, golfi e isolette,

Nesazio, vasi di provenienza attica, apula e altoadriatica (IV sec. a. C.)

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mentre la costa orientale è ripida, meno accessibile, ma con al-cuni profondi canali dotati di approdi sicuri. Date queste con-dizioni naturali e la posizione di centralità nell’Adriatico, l’Istria è venuta a trovarsi in un punto dove passavano gli esploratori e i mercanti del mondo mediterraneo, e ciò ne ha favorito la na-vigazione. Il mare ha rappresentato sempre un’importante fonte alimentare nonostante in Istria siano rari i reperti ossei ittici; gia-cimenti di gusci di conchiglie marine sono stati invece scoperti anche lontano dal mare, in posti come l’odierna Vermo. Se nelle tombe istriche a urne cinerarie dell’età del ferro sono stati trovati in gran numero oggetti provenienti dalle officine italiche d’ol-tremare del Piceno, dell’Etruria, della Daunia, ecc., nondimeno le antiche fonti scritte attestano che gli Istri non solo partecipa-vano pariteticamente alla navigazione adriatica, ma avevano un proprio particolare tipo di imbarcazione. Scrittori antichi come Marco Verrio Flacco, Sesto Pompeo e Paolo Diacono illustrano il modo in cui le navi istriche furono costruite, cioè cucite, perciò furono chiamate serilla o serilia. Forse una di queste navi è quella che appare nella scena della battaglia navale raffigurata sulla situ-la di Nesazio (500 circa a. C.).

Già nel 303-302 a. C. lo spartano Cleomene, dopo aver dop-piato Capo Brindisi, continuò a navigare in mezzo all’Adriatico perché temeva, a sinistra, ciò che avrebbe potuto riservargli la co-sta dell’Italia, dove non c’erano approdi, e, a destra, aveva paura degli Illiri, Liburni e Istri, tribù alquanto famigerate per le loro gesta piratesche. Verso la fine del III sec., ovvero nel 221 a. C., i

Nesazio, dettagli della situla bronzea con battaglia navale, cca. 500 a. C.

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Romani presero a pretesto la difesa della propria flotta dalla pira-teria per muovere la prima guerra agli Istri.

Come i loro vicini Liburni, gli Istri si preoccupavano innan-zitutto di proteggere le proprie coste e litorali; all’epoca il tipo di navigazione sottocosta e le correnti marine costringevano in-fatti i lenti mercantili ad avvicinarsi o tentare gli sbarchi. Fino alla metà del VI secolo a. C. i Liburni riuscirono a impedire ai mercanti greci di penetrare nell’Adriatico, e in seguito, probabil-mente in alleanza con altri popoli della sponda adriatica orien-tale, ne approfittarono per entrare in possesso, in modo del tut-to naturale dati i tempi, ovvero con la rapina, di merci ricercate, come ceramiche dipinte, vino, oggetti di bronzo, ecc. Oggetti che potevano essere ottenuti anche come doni offerti ai capi, a garanzia di una navigazione tranquilla. Gli Istri probabilmente facevano da mediatori negli scambi commerciali, per esempio tra la zona del Piceno e la regione dell’odierna Bassa Carniola. Tenendo conto di ciò, è possibile che essi non fossero tanto dei “pirati pericolosi” nel vero senso del termine, quanto navigatori e mercanti che facevano di tutto per mantenere e proteggere il proprio ruolo sul mare.

Nesazio (latino Nesactium, greco Nεσakτιοv), in croato Vizače, presso Altura, era una città degli Istri che i Romani as-sediarono per ben due anni nel 178 e 177 a. C. La sua caduta e il suicidio dell’ultimo re Epulone sono ritenuti gli inizi della fase romana nella storia dell’Istria. Dopo la distruzione ad opera degli Avari e degli Slavi alla fine del VI secolo, si perdette la memoria di essa. Solamente nel tardo Ottocento, dopo una serie di studi su documenti medievali e dopo l’esplorazione dei vari castellie-ri, un gruppo di storici e archeologi istriani riuscì a identificare e a collegare il posto chiamato in croato Vizače, presso Altura,

NESAZIOCAPITALE DEGLI ISTRI

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con l’antica Nesazio. Gli scavi archeologici iniziarono nel 1900 e nel 1901 si scoprì un monumento dedicato all’imperatore Gor-diano III sul quale c’era un’epigrafe con scritto R(es) P(ublica) NES(actiensium). Con ciò si ritenne confermato che l’odierna Nesazio-Vizače sia la Nesactium preistorica.

Il castelliere di Nesazio si trovava in posizione riparata, sovrastante una profonda valle che è la continuazione della poco distante insenatura di Porto Badò (Budava), sulla costa sud-orientale istriana. Sorge su un vasto sperone, naturalmente protetto da profondi canaloni scavati da torrenti, e sul lato oc-

Nesazio, utensili d’osso

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cidentale, più esposto, da un grande argine che impediva la pe-netrazione nell’abitato. Il posto era abitato o frequentato sin da epoche remotissime, dal neolitico inferiore, poi nell’eneolitico, e molto intensamente nell’età del bronzo, quando furono erette le mura difensive. Il periodo più glorioso della sua storia ebbe inizio con l’arrivo dei portatori della cultura dei campi di urne nell’XI sec. a. C. Essi sopraffecero i precedenti abitanti dell’età del bronzo e rapidamente s’inserirono nei processi adriatici, gra-zie alla posizione geografica che permetteva loro di controllare i vivacissimi scambi commerciali tra il Mediterraneo e l’Europa centrale. Le vie di scambio si biforcavano infatti nel Quarne-ro, diventando da marittime a terrestri e viceversa, e mettevano in relazione il Mediterraneo orientale con l’Alto Adriatico, e la sponda occidentale italica con l’Europa centrale. Vie commer-ciali praticate in tempi lontanissimi per trasportare materie pri-me, ambra e altri prodotti. La varietà, la quantità e la ricchezza dei corredi funebri rinvenuti nella necropoli ad urne cinerarie di Nesazio comprovano l’eccezionale agiatezza di determinati gruppi sociali che potevano disporre di raffinate merci straniere. La quantità di vasi dipinti provenienti dal-

le officine daunie, etrusche e anche attiche e altoadriatiche su-

pera di gran lunga l’entità di

Nesazio, statua del cavaliere

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ritrovamenti simili in altre necropoli della penisola. Conferma-no inoltre l’usanza di bere vino, che già di per sé rappresentava un lusso.

Un altro fenomeno straordinario sono i colossali monumen-ti in pietra, che possono risalire al periodo fra l’VIII e il VI sec. a. C. Forse rappresentano i ruderi di monumenti di un santuario dedicato agli avi.

Di eccezionale importanza pure le situle di bronzo decorate a motivi figurativi, che ritroviamo solamente nei più importan-ti centri principeschi dell’Italia settentrionale e dell’area alpina e prealpina sud-orientale, fra il VII e il IV sec. a. C., e che attestano i legami esistenti fra i centri del potere economico, politico e spiri-tuale dell’epoca. Ne sono una testimonianza anche le raffigurazio-ni sulle situle, che esprimono la visione del mondo di comunità umane ancora preistoriche e i loro tentativi di imitare le civiltà mediterranee.

Sin dai primi scavi, all’inizio del XX secolo, nell’area dell’an-tica Nesazio, specie nel settore della necropoli preistorica ad urne cinerarie, lungo il margine occidentale dell’abitato, vennero alla luce numerosi frammenti litici scolpiti in rilievo e sculture, che formano un insieme straordinario e rappresentano un enigma. Sono di un calcare la cui qualità ne indica la probabile provenien-za da una cava, oggi abbandonata, presso Marzana.

I frammenti di lapidi sono scolpiti con precisione, con una tecnica che sembra derivata da quella della lavorazione del legno, a motivi variamente combinati di spirali, svastiche, delimitati da nastri a zig-zag, da strisce tratteggiate a “S” e a triangoli. Le spirali scolpite in rilievo appaiono anche nelle sculture a tutto tondo, sulle basi delle are sacrificali, e accanto alle figure antropomorfe in altorilievo. Le are erano dei “piedistalli” modellati in maniera particolare, di profilo ovale-lenticolare con una nervatura trasver-sale al centro. Accanto a un siffatto piedistallo si sono conservate modeste impronte dei piedi di una persona accosciata, che forse offriva un sacrificio.

Oltre a pezzi più o meno grandi di lapidi litiche scolpite a rilievo, sono state trovate anche alcune sculture monumentali. Per grandezza e per l’originalità del motivo si distingue il blocco (lun-ghezza: 2,18 metri, altezza 0,48-0,85 metri, larghezza 0,30-0,41 metri) raffigurante una donna partoriente o che ha appena parto-

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rito e sta allattando un bambino. La rappresentazione è molto na-turalistica. La donna nuda ha indosso, ai polsi, solamente una paio di larghe armille costolate. L’altra scultura collegata a quella della donna è parte di una statua equestre raffigurante un cavaliere nudo itifallico, che calza stivaletti. A una scultura del genere potevano appartenere anche una testa equina, un frammento raffigurante la palma di una mano e un altro riproducente una gamba, simili a quelli del cavaliere. Di grandezza superiore a quella naturale è la rappresentazione di un paio di gambe in altorilievo (altezza:1,30 metri, larghezza della base 0,58 metri, profondità 0,38 metri) e interessante è un piccolo frammento raffigurante una testa con le trecce e un grande orecchino a cerchio all’orecchio, ma una parti-colare importanza rivestono i frammenti di sculture riproducenti i corpi nudi di giovani uomini.

Tutti questi lacerti di monumenti sono stati trovati in po-sizione secondaria, per lo più tra le tombe a urne cinerarie del-l’età del ferro, ma anche disseminati per l’abitato e lungo mura, fatto che ha complicato la loro interpretazione e datazione. Ini-zialmente essi sono stati presentati al pubblico come monumenti della cultura micenea, e tuttavia, dopo averli confrontati con altri fenomeni culturali, la maggioranza degli studiosi ha ritenuto che risalgano al periodo fra l’VIII e il VI secolo. Per quanto non ci siano analogie dirette, specie per ciò che attiene alla partoriente, si ritiene che questi monumenti si debbano all’influenza esercita-ta dalle aree etrusca e italica centro-adriatica, specie picena, dove sono presenti sculture litiche raffiguranti guerrieri e stele scol-pite a spirali continue. D’altro canto, le riproduzioni dei giova-netti itifallici, con una mano posata sul petto, hanno riscontro in un’analoga scultura di Hirschlanden, posta in cima a un tumulo mortuario.

Oltre all’enigma della datazione, nei monumenti di Nesazio è altrettanto misteriosa la funzione primeva. Di solito essi ven-gono designati come parti di arche, di monumenti funebri, ma anche come elementi, nell’ambito della necropoli, di un eventuale sacrario dedicato al culto dei defunti-avi. Tutte queste incertezze sussistono pure nell’interpretazione delle sculture delle comunità preistoriche italiche, che, come gli Istri di Nesazio, esprimevano e spiegavano alla loro maniera il proprio potere, pregi, credenze e visioni del mondo.

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L’ARTE DELLE SITULEA NESAZIO

Con arte delle situle si intende un metodo dell’ornamenta-zione a sbalzo e incisione degli oggetti fatti di sottili lamine di bronzo; la situla è un vasetto conico, l’oggetto appunto in cui tale arte ha raggiunto l’apice.

La forma a vaso conico, decorata con serie di sferette e pun-tini sbalzati, appare per la prima volta nella cultura dei campi di urne. L’unica rappresentazione figurativa che vi si possa identifi-care è il simbolo del carro solare fra due protome di volatili. Con la penetrazione della cultura dei campi di urne dall’area danubia-na ai territori delle Alpi sud-orientali e dell’Italia settentrionale e centrale, si diffuse anche la tecnologia della lavorazione delle lamine di bronzo. In Istria, il precursore dell’arte delle situle è attestato da un vaso del tipo Hajdúböszörmény, che viene datato al IX-VIII sec. a. C., e che è decorato proprio con il motivo della nave solare. Nell’area venetica dell’Italia settentrionale, con la diffusione dell’arte orientalizzante del Mediterraneo orientale, appaiono del resto i primi oggetti decorati figurativamente, e

Nesazio, situla bronzea (IV sec. a. C.)

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proprio l’influenza del primo stile di Este nell’arte delle situle è riscontrata nei frammenti di un grande coperchio trovato a Nesa-zio. Esso è inciso e lavorato a sbalzo con motivi che riproducono grifoni, palmette, rosette e altri motivi stilizzati, e potrebbe risali-re al 600 a. C. circa.

Durante il VI secolo a. C. l’arte delle situle cominciò a fiorire nel territorio compreso fra Bologna, Este, le Alpi Retiche, fino all’area di S. Lucia e la Bassa Carniola. I posti in cui i suoi reperti sono stati scoperti rivelano quali erano i centri principeschi, tra cui anche Nesazio, unico giacimento istriano di situle decorate a figure. Furono trovate come corredo in due delle tombe più ric-che, in quella indicata come I/12 e in un’altra, esplorata nel 1981. Nella prima c’erano ben sette situle decorate con differenti figure, e nell’altra quattro. Risalgono al periodo fra il VI e il IV sec. a. C. Vi sono rappresentati, in fregi orizzontali, racconti di solenni cor-tei di carri e pedoni, di cerimonie con libagioni e vasi sacrificali, di gare, cacce e arature della terra. Le situle probabilmente conte-nevano bevande che venivano versate, con mestoli, nelle coppe; di certo, le raffigurazioni ci permettono di conoscere i dettagli sul vestiario, sui mobili (sedie o troni, giacigli, mensole per recipien-ti), sugli strumenti musicali o sulle armi. Fra le situle di Nesazio c’è anche una, la più pregevole, che riproduce una battaglia navale. È l’unico caso in cui, in una grande scena, una nave con rematori e guerrieri ricopre in larghezza due fregi.

Le situle apparvero ai margini delle civiltà mediterranee, in un mondo ancora arcaico, che attraverso le figure raccontava i propri miti e la propria storia, parlava della vita e della morte. Per i dettagli ornamentali i maestri dell’epoca si ispiravano ai modelli della ceramica dipinta attica che, durante il VI e V sec., si diffuse fino all’Alto Adriatico. Sulle situle più recenti, realizzate durante il IV sec., rimangono solo le raffigurazioni di animali cornuti al pascolo; animali che sui modelli più antichi risultano spiati da belve, oppure cacciati con frecce e lance. Le situle trasferivano nell’aldilà la storia dei loro proprietari, personaggi illustri delle comunità di quel tempo.

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