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1 Le nuove frontiere della didattica D AL MANIFESTO DELLE AVANGUARDIE E DUCATIVE LE LINEE GUIDA PER UNA DIDATTICA INNOVATIVA (di Marina Maffei) IC9 Bologna (Indire-Pino Moscato) All’interno del documento relativo alle otto “Competenze chiave per l'apprendimento permanenteemanato dalla Comunità Europea nel 2008, si legge che “Le competenze chiave sono essenziali in una società della conoscenza e assicurano maggior flessibilità ai lavoratori per adattarsi in modo più rapido a un mondo in continuo mutamento e sempre più interconnesso”. Basterebbe questa introduzione per comprendere quanto sia importante adeguare la scuola alla rapida evoluzione dei mezzi di acquisizione delle conoscenze cui stiamo assistendo nell’ultimo decennio. Spesso intendiamo “l’adattarsi” in chiave negativa, come qualcosa che subiamo, cui ci pieghiamo controvoglia. Tuttavia dobbiamo rammentare che la capacità di adattarsi ai cambiamenti, evolvere, è l’attitudine che permette a tutti gli esseri viventi, non solo all’uomo, di perpetrare la specie di appartenenza. Gli insegnanti dimostrano di avere acquisito questa consapevolezza; perciò si organizzano e si confrontano, creando gruppi di lavoro reali e virtuali, si formano e si informano,

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Le nuove frontiere della didattica DAL MANIFESTO DELLE AVANGUARDIE EDUCATIVE LE LINEE GUIDA PER UNA DIDATTICA

INNOVATIVA (di Marina Maffei)

IC9 Bologna (Indire-Pino Moscato)

All’interno del documento relativo alle otto “Competenze chiave per l'apprendimento

permanente” emanato dalla Comunità Europea nel 2008, si legge che “Le competenze

chiave sono essenziali in una società della conoscenza e assicurano maggior flessibilità

ai lavoratori per adattarsi in modo più rapido a un mondo in continuo mutamento e

sempre più interconnesso”. Basterebbe questa introduzione per comprendere quanto sia

importante adeguare la scuola alla rapida evoluzione dei mezzi di acquisizione delle

conoscenze cui stiamo assistendo nell’ultimo decennio.

Spesso intendiamo “l’adattarsi” in chiave negativa, come qualcosa che subiamo, cui ci

pieghiamo controvoglia. Tuttavia dobbiamo rammentare che la capacità di adattarsi ai

cambiamenti, evolvere, è l’attitudine che permette a tutti gli esseri viventi, non solo

all’uomo, di perpetrare la specie di appartenenza.

Gli insegnanti dimostrano di avere acquisito questa consapevolezza; perciò si organizzano

e si confrontano, creando gruppi di lavoro reali e virtuali, si formano e si informano,

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partecipando a corsi in presenza e online, si inscrivono a webinar organizzati da chi ha

sperimentato prima di loro e mette a disposizione le proprie conoscenze e i propri risultati.

Gli istituti di istruzione si stanno attrezzando con strumenti utili a rendere gli alunni

competenti, autonomi e integrati nel contesto sociale moderno, fin dalla scuola primaria.

In questa ottica si pone la corrente culturale di Avanguardie Educative, nata dall’iniziativa

congiunta dell’Indire e di 22 scuole capofila, che il 6 novembre 2014 a Genova ne hanno

firmato il manifesto, dando ufficialmente avvio al movimento. In poco più di un anno le

scuole sono diventate 473, sintomo che nei docenti della scuola italiana si sente pressante

la necessità di cambiare il sistema tradizionale, ancora per larga parte incentrato sulla

lezione frontale e sullo studio del libro di testo, poi da “ripetere” al temuto momento

dell’interrogazione: quasi unica occasione in cui lo studente ha un ruolo “attivo”.

Avanguardie Educative si propone di portare a sistema alcune delle pratiche, attualmente in

sperimentazione, al fine di creare un momento di rottura con i vecchi schemi tayloristici

della scuola e creare un modello organizzativo e didattico adeguato alla nuova generazione

di studenti 3.0.

L’Indire e le ventidue scuole fondatrici hanno individuato e descritto alcuni percorsi didattici su

cui hanno trovato fondamento le prime 12 “Idee per l’Innovazione” e sulla base delle quali è

stato redatto il Manifesto per l’Innovazione di Avanguardie Educative (Fig.1).

Fig. 1 – Manifesto delle Avanguardie Educative

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Avanguardie Educative è aperto alla partecipazione di tutte le scuole che colgono le

opportunità offerte dall’autonomia scolastica e sanno individuare nell’innovazione un valido

strumento di trasmissione del sapere, appropriandosene quale prerogativa del proprio

metodo educativo e rendendola fruibile, sostenibile e trasferibile ad altre realtà che partano

dagli stessi presupposti. Si rivolge alle scuole che considerano le tecnologie un efficace

strumento per superare gli ostacoli di un sistema scolastico ancora troppo spesso incollato

alla rigidità degli spazi e dei tempi previsti dai “tradizionali” metodi educativi.

Il Movimento coinvolge le scuole italiane in due diversi modi:

mettendo a disposizione una «Galleria delle Idee per l’Innovazione» per far sì che le

scuole possano replicare i processi di innovazione più idonei ad essere declinati

nella propria realtà (Adotta un’idea);

invitando ad ampliare l’offerta della galleria con nuove proposte (Proponi

un’esperienza di innovazione).

Nel primo caso, le scuole che aderiscono a una o più «Idee per l’Innovazione» entrano a far

parte di un percorso assistito. Avanguardie Educative sostiene il percorso delle scuole

aderenti al progetto, attraverso incontri online (webinar tematici, materiali multimediali,

interazioni asincrone, sportello online, ecc.) e in presenza, permettendo di confrontarsi con

l’Indire e con le scuole capofila, al fine di rendere replicabile il percorso di innovazione e

fornire assistenza in itinere a docenti e Dirigenti.

Nel secondo caso, sarà avviata una selezione di proposte di innovazione che dimostrino di

essere in linea con gli obiettivi del Manifesto e di avere un impatto sistemico a livello

scuola. Attraverso un lavoro di analisi e visite in loco, l’Indire e le scuole proponenti

produrranno nuove idee per incrementare la galleria.

Dal punto di vista del lavoro di studio e ricerca, l’obiettivo che si pone il progetto è

di sostenere la scuola nel suo percorso di cambiamento, individuando le possibili

strategie di diffusione e di messa a sistema dell’innovazione e cercando le tattiche più

idonee al superamento delle difficoltà e delle eventuali resistenze.

Come emerso dal discorso di Elena Mosa (ricercatrice Indire incaricata del progetto di

A.E.), durante il convegno di Vicenza del 20 aprile scorso, l’innovazione è strettamente

collegata alla creatività dell’individuo e sta nel suo significato intrinseco la necessità di

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apportare un cambiamento, non necessariamente sconvolgente, ma sicuramente

intenzionale e migliorativo dello stato esistente delle cose.

Il sistema scolastico si compone di diverse parti che, insieme, contribuiscono alla

formazione dell’ambiente di apprendimento. Queste parti sono: la didattica, gli spazi e il

tempo e nessuna può essere ignorata quando si decide di intraprendere un processo di

innovazione.

Gli spazi e i tempi, tuttavia, sono in funzione della didattica che intendiamo applicare; perciò

prima di avviare il nostro processo di cambiamento “globale”, dobbiamo avere ben chiaro

come vogliamo orientare il nostro metodo di insegnamento.

In questo primo inserto approfondiamo il tema della didattica, proponendo una panoramica

delle metodologie che ad oggi si stanno sperimentando nelle scuole italiane e valutando

quali siano più efficacemente attuabili nella scuola primaria, dove l’insegnante pone le basi

della scolarizzazione e ha la responsabilità di non disamorare il bambino alla scuola.

Ognuno dei nuovi metodi d’insegnamento punta alla trasformazione del processo di

apprendimento, abolendo il nozionismo fine a se stesso a favore della crescita individuale

attraverso l’empatia, la creatività, l’intraprendenza e il lavoro di gruppo.

Dalla ricerca effettuata da Ashoka Italia, sono emerse 28 nuove metodologie e, di queste, 8

utilizzano come supporto le nuove tecnologie. Le restanti 20 si basano sia sulla diversa

distribuzione del tempo e degli spazi scolastici, sia su un approccio che mette al centro

dell’esperienza didattica l’individuo come protagonista del percorso di apprendimento, che

impara a lavorare in gruppo (cooperative learning) e si confronta con i compagni,

scambiando con loro conoscenze (peer to peer). Tutte, comunque, si interfacciano e

spesso si compenetrano. In classe si applicano frequentemente metodi combinati, senza

una netta linea di demarcazione fra l’uno e l’altro.

Di seguito una panoramica di alcuni dei metodi più innovativi che si stanno sperimentando

nelle scuole di diverso grado e più adatte ad essere applicate alla scuola primaria.

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Flipped Classroom (CLASSE

CAPOVOLTA)

La filosofia alla base della «flipped

classroom» prevede che gli studenti

utilizzino supporti didattici quali video,

software online, risorse multimediali,

libri o e-book sui quali lavorare fuori

dalla classe. L’attività in classe

proposta dall’insegnante comprende esercitazioni, verifiche e approfondimenti di quanto

appreso in autonomia. Gli obiettivi della «flipped classroom» sono:

sviluppo delle competenze in materia di cittadinanza attiva e democratica, il

sostegno dell’assunzione di responsabilità, l’educazione all’autoimprenditorialità.

Alfabetizzazione all’arte, alle tecniche e ai media di produzione e diffusione delle

immagini;

Sviluppo delle competenze digitali degli studenti;

Potenziamento delle metodologie laboratoriali e delle attività di laboratorio;

Prevenzione e contrasto della dispersione scolastica e di ogni forma di

discriminazione;

Potenziamento dell’inclusione scolastica e del diritto allo studio degli alunni con

bisogni educativi speciali, attraverso percorsi individualizzati e personalizzati;

Valorizzazione di percorsi formativi individualizzati e coinvolgimento degli alunni.

La didattica della «flipped classroom» si basa sull’utilizzo delle ICT, che alla scuola primaria

non può essere lasciato alla completa autonomia dei bambini. Avvicinandosi a questa

metodologia è bene pianificare accuratamente e in anticipo il tipo di lavoro che si vuole

attuare e preparare il materiale informatico che si intende fornire. Si possono realizzare

personalmente i supporti, utilizzando semplici programmi, come PowerPoint, Prezi o

Padlet, ma si possono utilizzare anche materiali già pronti, afferendo al grande contenitore

multimediale del web, soprattutto per quanto riguarda i video di YouTube.

Una volta preparato e accuratamente scelto il materiale da proporre ai bambini, bisogna

fare in modo che sia tutto riunito su una piattaforma di facile accesso, dove il materiale sia

ben organizzato e la consultazione da parte dei bambini possa avvenire in totale sicurezza.

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Le piattaforme disponibili ormai sono diverse, gratuite e il loro utilizzo si impara facilmente,

anche per la profusione di numerosi video tutorial, messi a disposizione da chi le ha già

sperimentate e che, spesso, ci illuminano anche sui loro pregi e difetti.

In questo modo creiamo al bambino le condizioni per navigare in un ambiente sicuro,

perché preselezionato e creato ad Hoc.

Didattica per scenari

La «didattica per scenari» è un approccio

metodologico promosso dal progetto europeo

iTEC. L’obiettivo è quello di inserire in parte del

programma curricolare, relativo a una o più

materie, uno “scenario”, ovvero un ambiente in

parte riprodotto in classe con l’aiuto della

tecnologia (immagini online e video da proiettare

in classe sulla LIM o con un videoproiettore), in

parte esplorabile realmente dagli studenti. In

questo approccio didattico l’insegnante propone una parte del proprio curricolo sotto forma

di narrazione, come un viaggio interdisciplinare all’interno dello scenario individuato.

Gli insegnanti scrivono in forma narrativa anche il piano delle attività didattiche da

sviluppare (Learning story), inserendo le iniziative che intendono svolgere sia fuori, sia

dentro la classe. Nella stesura del piano delle attività didattiche, il docente è libero di

scegliere e di organizzare le attività che ritiene più idonee al settore del proprio curricolo

che ha deciso di “narrare”.

Il bambino ha una parte attiva in questa metodologia che, proprio perché si avvale della

capacità gestionale e discrezionale del docente, si presta ad essere applicata anche alle

prime classi della scuola primaria. I bambini sono indotti a riconoscere parti dello scenario

proposto e a collegarle alle attività che hanno svolto in precedenza nella stessa o in altre

materie. Applicano le loro conoscenze allo scenario e svolgono le attività in autonomia,

proprio perché queste sono pensate in modo flessibile, in relazione alle loro capacità, e

perché avranno a disposizione gli strumenti operativi da utilizzare durante le lezioni. La

Learning story non è un racconto chiuso; è una sceneggiatura che si riscrive continuamente

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in base ai cambiamenti e agli imprevisti che emergono nel corso dell’azione e che prende

forma definitiva soltanto a percorso concluso.

Anche nell’approccio a questa metodologia, come in quello alla flipped classroom, gli

insegnanti devono essere disposti a mettersi in gioco, ad approfondire la loro formazione

tecnologico-informatica e ad abbandonare lo schema classico della lezione frontale.

La tecnologia entra in gioco nella documentazione e nella condivisione della narrazione.

Durante le attività si acquisiscono immagini, si realizzano video, si rielabora e si organizza il

materiale raccolto. In seguito, l’esito finale della Learning story è condiviso con altre classi,

attraverso la rete informatica interna alla scuola, e con altre scuole, attraverso il web. Con

questo metodo didattico i bambini si sentono artefici e protagonisti del loro apprendimento

e, alla fine del percorso, raccontano e mostrano con entusiasmo quanto appreso nel loro

cammino.

Debate

La retorica è un’arte che affonda le radici

nella Magna Grecia e che consiste nel

sapere persuadere l’uditorio della veridicità

della propria tesi. Per riuscire nell’intento,

l’oratore deve avere la capacità di indurre nel

pubblico un assenso psicologico-emotivo e

l’abilità di realizzare costrutti logici

impeccabili, attraverso la connessione di asserzioni che inducano ad una naturale

conclusione della propria tesi.

Sulle regole di questa antica arte si basa una metodologia, molto utilizzata nelle scuole del

mondo anglosassone, delle quali costituisce materia curricolare, che è quella del «Debate»

che consiste nell’esercitarsi a dibattere, sostenendo la propria tesi.

Per impiantare un dibattito su un argomento assegnato, la classe è divisa in due gruppi,

ognuno dei quali deve documentarsi (fase imprescindibile nella pratica del debate) al fine di

essere pronto sia a sostenere una tesi pro, sia una contro. Il debater incaricato di sostenere

la tesi del gruppo ha un tempo prestabilito per articolare il proprio discorso. Dopo che

entrambi i gruppi hanno sostenuto le loro tesi, si passa al discorso finale, al quale non

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possono essere aggiunti nuovi elementi, ma ci si deve limitare a sostenere la tesi su cui è

imperniato, puntualizzando le fasi salienti sostenute nel dibattito.

I bambini cui è stato assegnato il ruolo della giuria, decidono quale dei due gruppi ha vinto il

dibattito. Ciò non significa che chi vince abbia ragione, ma che ha sostenuto con migliori

argomentazioni la propria tesi.

Questo metodo si presta ad essere attuato in ogni classe della scuola primaria, infatti è

l’insegnante che decide l’argomento del dibattito e, quindi, la complessità del tema da

discutere. Alcuni esempi di argomenti da proporre, potrebbero essere relativi all’opportunità

di utilizzare una divisa scolastica, di praticare sport dopo la scuola, di mangiare al fast food

due o tre volte la settimana, di guardare la televisione durante i pasti in famiglia, ecc.

Il «Debate» si inserisce trasversalmente in parti del curricolo, scegliendo dalle diverse

materie argomenti su cui dibattere. È un’arte, una disciplina, una scienza, a seconda di

come lo si voglia considerare, assolutamente lontana dal mero nozionismo.

Stando a un’indagine del 2014 condotta dal CfBT Education Trust (ora Education

Development Trust) e dall’English-Speaking Union, nelle scuole delle grandi aree urbane

americane in cui si pratica regolarmente il dibattito, la motivazione allo studio tra gli

studenti è aumentato del 25%, percentuale che sale al 70% fra la popolazione studentesca

maschile afro-americana.

Questo potrebbe già essere un motivo più che valido per inserire questa metodologia fin dai

primi anni della scuola primaria, considerando che l’abbandono scolastico in Italia è una

realtà del tutto attuale, con una percentuale media del 28% e picchi del 36%. Tuttavia il

motivo principale a sostegno dell’inserimento di questa disciplina, è che insegnare a

dibattere significa insegnare una competenza che gli alunni applicheranno a tutti i settori

della vita (life skill), sia personali sia, soprattutto, professionali. Il debate, inoltre, favorisce il

cooperative learning e la peer education non solo tra studenti, ma anche tra docenti e tra

docenti e studenti, permettendo a questi ultimi di imparare a cercare e a selezionare le

fonti, a sviluppare competenze comunicative, ad autovalutarsi, a migliorare la propria

consapevolezza culturale e la propria autostima. Nella pratica del debate si è indotti a

considerare posizioni diverse dalle proprie e a non cristallizzarsi su personali opinioni,

immedesimandosi nel pensiero altrui anche per prevenire eventuali argomentazioni del

debater “avversario”.

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Nelle gare di debate, per gli obiettivi che la metodologia si prefigge, non sono consentiti

ausili di tipo tecnologico, utilizzati, invece, nella fase di documentazione.

Integrazione CD/Libri di testo

Dall’anno scolastico 2014-2015 gli istituti

scolastici, in conformità a quanto previsto

dalla legge n. 128/2013, possono

produrre autonomamente i propri

supporti didattici digitali, da utilizzare in

sostituzione dei libri di testo, e «strumenti

didattici per la disciplina di riferimento».

L’elaborazione dei testi di studio può

avvenire anche in orario curricolare e con la collaborazione degli studenti: «l’elaborazione

di ogni prodotto è affidata ad un docente supervisore che garantisce, anche avvalendosi di

altri docenti, la qualità dell’opera sotto il profilo scientifico e didattico, in collaborazione con

gli studenti delle proprie classi in orario curriculare» (comma 1, art. 6, legge n. 128/2013).

Le opere prodotte devono essere registrate e gratuitamente condivise: «l’opera didattica è

registrata con licenza che consenta la condivisione e la distribuzione gratuite e

successivamente inviata, entro la fine dell’anno scolastico, al Ministero dell’Istruzione,

dell’Università e della Ricerca e resa disponibile a tutte le scuole statali, anche adoperando

piattaforme digitali già preesistenti prodotte da reti nazionali di istituti scolastici e nell’ambito

di progetti pilota del Piano Nazionale Scuola Digitale del Ministero dell’Istruzione,

dell’Università e della Ricerca per l’azione Editoria Digitale Scolastica» (comma 1, art. 6,

legge n. 128/2013).

Non essendo state ancora divulgate linee guida che orientino la produzione dei testi digitali,

alcune scuole stanno avviando questa attività in via sperimentale.

Questa metodologia ha il vantaggio di coniugare diverse esigenze: innovazione dei metodi

educativi con l’uso delle nuove tecnologie, scollamento dagli schemi classici e rigidi degli

spazi e dei tempi della didattica, minor carico economico sulle famiglie per l’acquisto di libri

di testo. Tutti questi obiettivi si inseriscono nell’ottica di una scuola inclusiva.

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I supporti digitali, tuttavia, non sostituiscono in toto i testi in formato cartaceo, ma ne

costituiscono integrazione. Le scuole che stanno attuando il metodo in via sperimentale,

procedono a un sistema misto che prevede l’adozione di testi in formato cartaceo, integrati

da testi autoprodotti in formato digitale, per Grammatica e antologia, Matematica, Lingue,

Scienze e Storia; è invece possibile sostituire i testi cartacei con l’adozione alternativa

(ebook o pdf o raccolta di link fatta in accordo dai docenti della disciplina) per Geografia,

Religione e le educazioni, in linea con l’autonomia scolastica prevista dall’art. 4 comma 5

del DPR 275/1999.

Questa metodologia prevede l’utilizzo di devices e software con una certa dimestichezza di

base, nonché la padronanza dei contenuti da elaborare. La tipologia di lavoro, al fine di

realizzare un testo scolastico, non è immediata e richiede un background formativo già

sviluppato, caratteristiche di cui i bambini della scuola primaria non possono, ovviamente,

essere dotati.

Questo non significa però che la metodologia debba essere scartata a priori; infatti si

possono realizzare, senza sconvolgere il curricolo, progetti che abbiano l’obiettivo di

confezionare raccolte di elaborati ad integrazione dei libri di testo, utilizzando semplici

supporti informatici, per esempio pc dotati di un programma di scrittura come Word.

Esistono anche software gratuiti, come Didapages (opensource solo per scopi educativi)

che permettono la realizzazione di semplici e-book, anche solo digitalizzando il lavoro

cartaceo dei bambini che sarà elevato a rango di “libro per la scuola”, aumentando

esponenzialmente la loro motivazione al lavoro scolastico, allo studio e all’apprendimento.

Dentro/Fuori la scuola

La scuola non deve essere un

edificio le cui mura isolino,

fisicamente e idealmente, ciò che

sta dentro da ciò che sta fuori. La

scuola deve essere un luogo

integrato con lo spazio e con le

attività del territorio che la ospita.

L’acquisizione delle prime

competenze nasce nella realtà in cui si vive e con cui quotidianamente si interagisce. La

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scuola e il territorio agiscono simultaneamente sull’educazione e sulla formazione degli

individui, fin dalla prima infanzia.

L’autonomia scolastica, l’Accordo Stato Regioni ed Enti Locali e le indicazioni europee,

incentivano la creazione di una rete sinergica composta da scuola, famiglia, enti locali,

associazionismo, strutture ricreative e mondo del lavoro, fattori che, seppure in misura

diversa, intervengono sui processi educativi degli studenti. Il rapporto fra la scuola e il

tessuto sociale, economico e culturale del territorio, deve essere biunivoco. La scuola,

infatti, usufruisce delle occasioni educative fornite dalla città, ma contestualmente si

propone come laboratorio di idee e di iniziative utili alla comunità e al mondo del lavoro.

La scuola può configurarsi come elemento aggregante, propulsore e trainante, sia

suggerendo e organizzando iniziative alle amministrazioni locali, sia mettendo a

disposizione risorse, nell’ottica di cooperare alla lettura e alla soddisfazione dei bisogni

culturali e formativi del territorio.

Questa metodologia didattica, che integra le lezioni dentro la scuola con le opportunità

offerte dal territorio, sta trovando ampia applicazione a tutti i livelli scolastici. Nella scuola

primaria è una metodologia fondamentale che deve essere applicata in tutte le classi. Gli

insegnanti devono mantenersi aggiornati sulle iniziative proposte dal territorio e integrarle,

di volta in volta, nel curricolo. Il supporto delle tecnologie può essere inserito in modo più o

meno incisivo, a scelta dell’insegnante e a seconda dell’itinerario che si intende seguire.

Rispetto al panorama delle metodologie innovative, questa è una di quelle su cui si ha già

una discreta gamma di esperienze cui ispirarsi. Realtà particolarmente attente hanno

realizzato sul proprio territorio Centri di Servizi e Consulenza per la scuola che agiscono in

concertazione con enti e istituzioni del territorio, coordinando l’attività tra questi e le scuole

di ogni ordine e grado. Dai Centri Servizi sono proposti itinerari educativi “scuola-città” e

raccolte di esperienze di istituti scolastici, che le mettono a disposizione sulla piattaforma

del Centro Servizi di riferimento.

Questa metodologia si affianca in modo efficace alla “Didattica per scenari”, dove è previsto

che lo scenario proposto nella Learning story sia anche realmente visitabile e che gli

studenti facciano esperienze tangibili anche fuori dalla classe.

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ICT Lab

Nella didattica dell’ «ICT Lab» intervengono diverse realtà

che si avvalgono della tecnologia più moderna applicata alla

realizzazione di oggetti fisici (Artigianato digitale), talvolta

programmabili in modo che interagiscano con la realtà

(Physical computing), oppure di supporti digitali, software,

grazie all’acquisizione del pensiero computazionale che

permette di dominare la macchina, istruendola a “fare cose” (coding).

Come prevedibile, questo approccio necessita di conoscenze informatiche approfondite,

poiché mette in campo l’uso di software specifici. Occorre, perciò, individuare strutture

esterne alla scuola che offrano un’adeguata formazione al personale docente oltre

all’attrezzatura (troppo specifica perché sia acquistabile dall’istituto scolastico).

In particolare si può fare riferimento ai Fab Lab che stanno nascendo ovunque sul territorio

nazionale e che organizzano corsi di formazione a vari livelli, e si può coinvolgere l’INDIRE,

che attua il supporto ai docenti, attraverso incontri con loro esperti, in presenza e online,

per guidare alla realizzazione e alla condivisione del progetto.

I Fab Lab sono luoghi in cui studenti appartenenti a gradi di istruzione superiori alla

primaria, si recano per scopi hobbistici, apparentemente avulsi dalla scuola, dove trovano

un ambiente collaborativo e aperto, basato sulla filosofia del «tinkering» a cui possono

essere associati concetti di assoluto interesse della scuola, quali: «didattica laboratoriale»,

«apprendimento autonomo» e «apprendimento cooperativo».

Alla scuola primaria è possibile attuare l’ICT Lab, per esempio per la realizzazione di

oggetti fisici a supporto della didattica tradizionale (geometria, storia, arte, …). Esistono in

rete, gratuiti, software di disegno tridimensionale studiati appositamente per i bambini, con i

quali è possibile progettare oggetti da realizzare fisicamente con la stampante 3D. Ne sono

un esempio Doodle e Tinkercad. Questo tipo di didattica, oltre a raggiungere gli obiettivi già

citati, permette ai bambini di imparare a progettare, a fare e a migliorare sia il materiale

didattico di cui necessitano sia i semplici strumenti per la vita quotidiana. La didattica

laboratoriale stimola la creatività e l’intraprendenza, rende il bambino autore del proprio

apprendimento e introduce all’autoimprenditorialità in un settore innovativo.

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TEAL

(TECNOLOGIE PER L’APPRENDIMENTO

ATTIVO)

Sviluppata dal professor Peter

Dourmashkin, del Dipartimento di Fisica

del MIT (Massachusets Institute of

Technolgy) di Boston, nel 2003, il «TEAL»

(Technology Enhanced Active Learning) è

una metodologia di apprendimento che si avvale dell'utilizzo delle nuove tecnologie,

alternate a lezioni frontali, simulazioni, attività laboratoriali su computer o reali, basata sul

cooperative learning.

La classe deve essere organizzata, anche dal punto di vista spaziale, in modo che vi siano

delle isole sulle quali i gruppi possano lavorare confrontandosi e avendo a disposizione i

devices necessari per la documentazione, la simulazione e l’elaborazione del lavoro

richiesto; le isole di banchi dovrebbero essere disposte intorno alla postazione, centrale, del

docente. L’aula dovrebbe essere dotata di LIM, proiettore o lavagna a fogli mobili, in modo

che l’insegnante possa raccogliere, nella prima fase di brainstorming, gli input suggeriti dai

diversi gruppi.

Il docente illustra il tema da sviluppare o la situazione problematica da risolvere, dà le

indicazioni per un incipit all’impostazione del lavoro, pone domande, mostra grafici e

immagini, raccoglie i suggerimenti della classe; poi lascia che gli studenti si consultino, si

organizzino e trovino la strada più opportuna per portare a termine la consegna.

Per favorire l’istruzione tra pari, i gruppi sono costituiti da componenti con diversi livelli di

competenze e di conoscenze, favorendo l’inclusione in un gruppo all’interno del quale ogni

componente può apportare il proprio contributo, esprimendo le proprie personali

inclinazioni.

Quest’ultimo aspetto è particolarmente importante alla scuola primaria, dove l’individuo

forma il carattere ed è quindi essenziale acquisire la consapevolezza delle proprie capacità,

al fine di sviluppare un adeguato livello di autostima.

Le possibilità per attuare una didattica TEAL alla scuola primaria, sono diverse e la

tecnologia interviene a livelli variabili, a discrezione dell’insegnante.

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Il tipo di consegna o situazione problematica sono adattabili alla classe, al programma

curricolare e alla materia di insegnamento; questa metodologia permette di sviluppare un

apprendimento attivo, basato sul confronto continuo fra pari e fra studenti e insegnanti.

Conclusioni

Nell’ultimo decennio stiamo assistendo a una rapida evoluzione del modo di acquisire

conoscenze nei bambini compresi fra sei e undici anni, della quale, come insegnanti,

dobbiamo prendere atto, per evolvere le nostre competenze parallelamente alle esigenze

dei nostri alunni.

L’innovazione deve abbracciare le nuove metodologie didattiche e non può prescindere

dalle nuove tecnologie, quali potente mezzo di comunicazione, strumento di ricerca e

piattaforma di elaborazione di contenuti. Sarebbe profondamente anacronistico continuare

a pensare che la scuola possa servirsi solo dei libri di testo per formare la cultura di

bambini che, fin dalla prima infanzia, manipolano gli strumenti informatici con naturalezza,

consapevoli che spesso da quegli stessi strumenti ottengono risposte ai loro quesiti e alle

loro curiosità più disparate, oltre che soddisfazioni ai loro bisogni primari. Le conoscenze

dell’insegnante non possono competere con il mare magnum di informazioni che si trovano

in rete le quali, tuttavia, possono divenire strumento di didattica e migliore alleato della

comunicazione e della trasmissione del sapere.

Per guidare i bambini alla consapevolezza degli strumenti digitali che hanno a disposizione,

l’insegnante deve mettersi fortemente in gioco e divenire, quando non lo sia già, esperto

nell’utilizzo della tecnologia. Non è sufficiente conoscere la teoria delle regole stradali o il

funzionamento del motore per saper guidare un’automobile; occorre fare pratica sulla

strada, sperimentare incroci, semafori e divieti. Quanto detto assume un significato ancor

più evidente se si tiene in considerazione il fatto che oggi insegnare vuol dire anche

abituare i bambini a padroneggiare un mezzo che può essere potente (ma anche

disorientante) come il web.

Noi insegnanti dobbiamo per primi conoscere a fondo i mezzi informatici, per guidare al

meglio i nostri studenti e creare le migliori condizioni di apprendimento. Dobbiamo fornire i

mezzi necessari a renderli autonomi nel sapersi gestire il tempo, gli spazi e le informazioni

utili a sviluppare il loro personale know-how, cioè dobbiamo fornire loro le competenze per

“fare da soli”.

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Alla scuola primaria questo può essere possibile? I bambini devono imparare a studiare e

acquisire un metodo di studio. Non è fuorviante introdurre così precocemente le tecnologie

informatiche? Il punto è che se non li guidiamo noi insegnanti, procederanno per tentativi e

senza una reale capacità di discernimento sui contenuti.

È altrettanto vero che alla scuola primaria occorre procedere per gradi, affiancando metodi

tradizionali di apprendimento a metodi più innovativi. Nei primi tre anni della scuola primaria

ci si concentra sulla scolarizzazione e sull’apprendimento delle abilità di base, ma si ha

anche la possibilità di realizzare diversi laboratori pratici, dentro e fuori la scuola, che

permettono di introdurre con grande soddisfazione le nuove metodologie, senza dovere

stravolgere completamente la didattica. Nell’ultimo biennio i bambini hanno già un loro

background informatico e si possono guidare a un lavoro più autonomo, fatto di

progettazione, coordinamento del lavoro di gruppo, ricerca, sperimentazione ed

elaborazione nell’ottica di uno sviluppo della creatività, dell’intraprendenza e

dell’autoimprenditorialità.

Abbiamo visto che nel panorama delle innovazioni didattiche ci sono diverse proposte

metodologiche che si possono applicare nella scuola primaria; non se ne deve mai

abbracciare una in modo assolutistico, ma di volta in volta, a seconda dell’argomento o

della materia, si deve valutare quale sia la migliore da utilizzare, tenendo sempre al centro

dell’educazione il bambino con le sue caratteristiche individuali.