Le Avanguardie Del Primo '900

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LE AVANGUARDIE DEL PRIMO NOVECENTO Classe V L Liceo Scientifico Paolo Giovio- Como

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Sintesi delle Avanguardie storiche

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LE AVANGUARDIE DEL PRIMO NOVECENTO

Classe V L

Liceo Scientifico Paolo Giovio- Como

Docente: Giovanna Ugga

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Avanguardia è la denominazione attribuita ai fenomeni del comportamento o dell’opinione intellettuale, soprattutto artistici e letterari, più estremisti, audaci, innovativi, in anticipo sui gusti e sulle conoscenze, sviluppatisi nel Novecento ma derivanti da tendenze politico-culturali ottocentesche, e connotatisi come un gruppo di artisti riuniti sotto un preciso manifesto da loro firmato; Charles Baudelaire fu il primo ad applicare il termine avanguardia, tipico del linguaggio militare, in cui indica una pattuglia che va più avanti dell’esercito e che è quindi composta da soldati più arditi e spericolati per definire con ironia gli scrittori francesi di sinistra. Il termine, ancora oggi, si riferisce quindi a tutti i movimenti di opposizione e di sperimentazione di forme nuove sia nell’ambito letterario quanto in quello pittorico, musicale e artistico in genere.Il termine è impiegato anche per indicare i diversi movimenti artistici del primo Novecento, caratterizzati da una sensibilità più “avanzata” rispetto a quella dominante: che si chiamassero cubisti, futuristi, espressionisti, metafisici, surrealisti, dadaisti, gli artisti di questa generazione volevano cambiare tutto. Le loro battaglie artistiche diedero una nuova impronta a tutta l’arte del Novecento.

Espressionismo, Futurismo, Surrealismo, Dadaismo si succedono dai primi anni del secolo fino alla metà degli anni 20. I caratteri comuni di tutte le avanguardie sono:

• Opposizione al Naturalismo e Decadentismo: all’arte come rispecchiamento oggettivo della realtà si oppone l’arte come visione soggettiva ed espressione dell’inconscio; all’arte come contemplazione e manifestazione del sublime si oppone l’arte come produzione e come tecnica materiale. Ciò comporta l’idea della morte dell’arte che diventa oggetto e prodotto e rinuncia alla sua autonomia e alla sua stessa esistenza distinta e separata.

• Alla concezione di un’arte prodotta da una persona di eccezione, si contrappone l’arte come attività di gruppo. Il gruppo di avanguardia “usa” l’attività estetica in modo politico facendone strumento di rivolta anarchica. L’arte diventa attività totale, negandosi e autocriticandosi , si giunge fino alla dissacrazione dell’arte e alla proposta di distruggere i musei (futuristi).

• L’attività artistica delle avanguardie diventa internazionale e interartistica, si estende a ogni paese e attraversa tutte le arti (pittura, cinema, teatro..).

Possiamo considerare avanguardie anche movimenti sorti in questo stesso periodo, ma meno strutturati, come il Crepuscolarismo o quello relativo agli scrittori Vociani.

Per un approfondimento sul tema delle avanguardie, si può consultare il saggio di Mario De Micheli Le Avanguardie artistiche del Novecento , Universale Economica Feltrinelli

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L’EspressionismoIl primo movimento del ‘900 è l’Espressionismo, che sorge in Germania come reazione al naturalismo e all’impressionismo (francesi). Nel 1910-1920 si precisò in un vasto movimento che attraversò tutte le arti e diede origine a diverse correnti: alcune di ispirazione mistico-cosmica, altre politico-sociali: unite tutte da un radicalismo umanitario e anarcoide. Gli espressionisti si ribellavano soprattutto al materialismo della borghesia capitalistica e liberale, propugnando il ritorno all’uomo primigenio e l’avvento di una umanità libera e più consapevole delle proprie possibilità.

Temi dominanti sono la città mostruosa e tentacolare e l’angoscia, che si esprime attraverso sogni e allucinazioni; ogni singolo dettaglio è sciolto dall’insieme e può ingigantirsi fino a proporzioni inquietanti. Prevale il periodo breve, il verso libero, il linguaggio gergale e dialettale.

Il Futurismo Il Futurismo è stato un movimento artistico e culturale italiano del XX secolo, organizzato intorno a manifesti teorici che ne definiscono la linea in ogni campo.. Ebbe influenza su movimenti artistici che si svilupparono in altri Paesi, in particolare in Russia e Francia. I futuristi esplorarono ogni forma di espressione, dalla pittura alla scultura, alla letteratura (poesia e teatro), la musica, l’architettura, la danza, la fotografia, il cinema e persino la gastronomia. Nasce in un periodo - l’inizio del Novecento - di notevole fase evolutiva dove tutto il mondo dell’arte e della cultura era stimolato da numerosi fattori determinanti: le guerre, la trasformazione sociale dei popoli, i grandi cambiamenti politici e le nuove scoperte tecnologiche e di

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comunicazione, come il telegrafo senza fili, la radio, aeroplani e le prime cineprese; tutti fattori che arrivarono a cambiare completamente la percezione delle distanze e del tempo, “avvicinando” fra loro i continenti. Il XX secolo era quindi invaso da un nuovo vento, che portava all’interno dell’essere umano una nuova realtà: la velocità. I futuristi intendevano idealmente “bruciare i musei e le biblioteche” in modo da non avere più rapporti con il passato e concentrarsi così sul dinamico presente; esaltando la macchina, la tecnica, la grande industria, la velocità, intendono interpretare la tendenza al nuovo, al progresso meccanico e alla modernità della civiltà industriale tutto questo, come è ovvio, in senso ideologico. Il movimento venne fondato da Marinetti, nato ad Alessandria d’Egitto nel 1876, vissuto a Parigi e morto a Bellagio nel 1944. Il 20 febbraio 1909, pubblicò il primo manifesto del Futurismo sul quotidiano francese Le Figaro, affermando la necessità di abolire i musei, le accademie e le biblioteche, in quanto istituzioni che intendono salvaguardare i valori tradizionali e del passato. La nuova arte deve partire dal presente, dalla realtà industriale, deve capire e esaltare la bellezza della velocità e della macchina. La celebrazione del movimento induce a glorificare la guerra, la virilità, e a disprezzare la donna e il femminismo.

La prima fase va dal 1909 al 1912. In essa è molto forte l’influenza del simbolismo e la parola d’ordine è quella del verso libero. In questo periodo aderiscono al movimento Covoni, Palazzeschi, Buzzi. Contemporaneamente il movimento si estende a tutte le arti, dalla pittura alla scultura alla musica praticando il principio di interartisticità che è tipico delle avanguardie.

Una seconda fase del movimento va dal 1912 al 1915 ed è segnata da una serie di manifesti che pongono l’accento sul rivoluzionamento delle tecniche espressive e sulla proposta di un nuovo tipo di uomo completamente meccanizzato. Nei manifesti si esaltava la tecnica e si dichiarava una fiducia illimitata nel progresso, si decretava la fine delle vecchie ideologie (bollate con l’etichetta di “passatismo”). Si esaltavano inoltre il dinamismo, la velocità, l’industria e la guerra, che veniva intesa come “igiene dei popoli”. Il

rivoluzionamento delle forme espressive è radicale: si passa dalla proposta del verso libero a quella delle parole in libertà che presuppongono la distruzione della sintassi, l’abolizione della punteggiatura, l’uso dei verbi all’infinito, dell’onomatopea. Del 1914 è il volume Zang Tumb Tumb miglior esempio delle futuriste Parole in libertà. Attraverso una catena di analogie sarebbe possibile conseguire un lirismo multilineare capace di rendere la simultaneità di fenomeni diversi. Mondo industriale e mondo naturale non vengono più contrapposti ma sono concepiti come espressione di una stessa energia originaria.

La terza fase del futurismo (1915-20) si apre con l’avvicinarsi del primo conflitto mondiale. I futuristi sono interventisti e vedono nella guerra e nel conflitto un modo positivo di scatenare le energie primordiali, di selezionare i popoli e le nazioni più forti. Subito dopo la guerra i futuristi si organizzano

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in partito politico, oscillando fra posizioni anarchiche, democratiche anticlericali e antimonarchiche. Il futurismo continua fino agli anni 20 e 30 ma senza reale incidenza nella vita culturale e politica.

Per apprezzare la dimensione del fenomeno del Futurismo, vale la pena forse ricordare un episodio emblematico: a seguito di una serie di articoli critici di Ardengo Soffici su La Voce vi fu una reazione violenta dei futuristi: Marinetti, Boccioni e Carrà raggiunsero Soffici a Firenze e lo aggredirono mentre sedeva al caffè delle “Giubbe Rosse”. Ne nacque una grande pubblicità e un grande tumulto rinnovatosi alla sera, alla stazione di Santa Maria Novella, quando Soffici, accompagnato dagli amici Giuseppe Prezzolini, Scipio Slataper e Alberto Spaini, volle rendere la contropartita.

La riconciliazione con i futuristi avvenne in seguito, grazie alla mediazione dell’amico Aldo Palazzeschi. Nel 1913 infatti, Soffici e Papini uscendo da La voce decisero di fondare la rivista Lacerba appoggiando così il movimento futurista. Gli esponenti più noti, oltre al Marinetti, sono Aldo Palazzeschi e Paolo Buzzi (almeno per parte della sua produzione). Anche Salvatore Quasimodo aderì, in gioventù, al futurismo (ricordiamo la sua poesia “Sera d’estate”).

Il Surrealismo

Il surrealismo è un movimento culturale molto diffuso nella cultura del novecento che nasce come evoluzione del Dadaismo. Ha coinvolto tutte le arti visive, anche letteratura e cinema, quest’ultimo nato negli anni venti a Parigi. Il movimento ebbe come principale teorico il poeta André Breton, che canalizzò la vitalità distruttiva del dadaismo. Breton fu influenzato dalla lettura de L’interpretazione dei sogni di Freud del 1899; dopo averlo letto arrivò alla conclusione che era inaccettabile il fatto che il sogno (e l’inconscio) avesse avuto così poco spazio nella civiltà moderna e pensò quindi di fondare un nuovo movimento artistico e letterario in cui il sogno e l’inconscio avessero un ruolo fondamentale. Nacque così il surrealismo.

Il primo Manifesto surrealista del 1924, definì così il movimento: Il surrealismo è quindi un automatismo psichico, ovvero quel processo in cui l’inconscio, quella parte di noi che emerge durante i sogni, emerge anche quando siamo svegli e ci permette di associare libere parole, pensieri e immagini senza freni inibitori e scopi preordinati.

I surrealisti si avvalevano di diverse tecniche per far in modo di attivare il loro inconscio, una di queste è il cadavre exquisi (cadavere squisito), tecnica basata sulla casualità e sulla coralità, che prevede la collaborazione di più artisti: uno di essi comincia l’operazione tracciando un disegno, una figura, che deve essere ignorata dagli altri, poi il foglio deve essere passato a tutti i partecipanti, uno per uno, i quali a loro volta faranno una

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figura, e così via. Questa tecnica era utilizzata dai surrealisti anche in ambito poetico, ovvero aggiungendo uno per uno una parola, ignorando lo scopo finale dei singoli. Il nome della tecnica deriva infatti da una poesia surrealista: “Il cadavere squisito berrà il vino nuovo”. Il surrealismo ha tre tematiche principali: amore, inteso come fulcro della vita sogno e follia, considerati i mezzi per superare la razionalità liberazione dell’individuo dalle convenzioni sociali. La caratteristica comune a tutte le manifestazioni surrealiste è la critica radicale alla razionalità cosciente, e la liberazione delle potenzialità immaginative dell’inconscio per il raggiungimento di uno stato conoscitivo “oltre” la realtà (sur-realtà) in cui veglia e sogno sono entrambe presenti e si conciliano in modo armonico e profondo. Il Surrealismo è certamente la più “onirica” delle manifestazioni artistiche, proprio perché dà accesso a ciò che sta oltre il visibile. Inoltre esso comprende immagini nitide e reali ma accostandole tra di loro senza alcun nesso logico.

La critica si divide su dove collocare il punto finale del movimento surrealista: sicuramente, la fine della Seconda guerra mondiale (1945), e la morte di Breton (1966) hanno segnato dei punti di svolta importanti nella storia del surrealismo, che però continua ancora oggi ad essere una realtà artistica vitale. Interessante sarebbe approfondire l’argomento leggendo il saggio di Cirillo Silvana Nei dintorni del surrealismo. Da Alvaro a Zavattini umoristi balordi e sognatori nella letteratura italiana del Novecento, Editori Riuniti o quello, più complesso, di Franco Fortini e Lanfranco Binni Il movimento Surrealista, Garzanti Elefanti, da cui è tratta la seguente citazione:

“Tutte le ipotesi di liberazione della realtà borghese, che erano state formulate dai militanti surrealisti mezzo secolo fa, sono diventate pratica di massa (questa la «vittoria» dei surrealisti) ma in definitiva, strumenti di schiavitù per le masse: dalla abolizione dei nessi spazio- temporali all’automatismo, dall’uso della droga e dell’erotismo in funzione di perdita dell’identità e di estasi fino alla scomparsa - almeno apparente - di ogni distinzione tra arte e non arte”. “Eppure il Surrealismo (che in genere è considerato solo una frazione del complessivo fenomeno che viene chiamato Avanguardia), più di tutti gli altri movimenti, ha fornito non già a minoranze intellettuali ma alle grandi maggioranze delle società moderne gli schemi culturali entro i quali situare la propria presenza nel mondo, determinata e modellata da precisi rapporti di produzione, da modi di consumo e finalmente consegnata alla manipolazione quotidiana dell’industria culturale.” “Come è noto si è detto, né senza ragione, che buon parte del linguaggio degli studenti francesi del Maggio 1968 proveniva dagli archivi del Surrealismo, a cominciare dal motto «L’immaginazione al potere»”.

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Il Dadaismo Il termine dada significa ‘giocattolo, gingillo’. I dadaisti dichiararono di averlo scelto per gioco, aprendo a caso un dizionario. Il movimento inizia nel 1916 a Zurigo in Svizzera, dove sono riuniti profughi ed emigrati politici che avevano cercato rifugio nella neutrale Svizzera. Si apre qui il Cabaret Voltaire, «centro di intrattenimento artistico», cui partecipano molti artisti espressionisti, come il

rumeno Tristan Tzara, che fu il maggior teorico del gruppo, i tedeschi Huelsenbeck e Ball, l’alsaziano Arp. Più tardi si uniscono al gruppo il francese Marcel Duchamp e lo spagnolo Francis Picabia, artisti che negli Stati Uniti avevano già esperimentato la tecnica del “ready made” o degli oggetti d’uso (Duchamp espose in una mostra persino un orinatoio), e dell’“objet trouvé” (oggetto trovato), consistente nell’impiego di oggetti trovati, residui, materiali d’accatto, nella costruzione dell’opera. I caratteri di interartisticità e di internazionalità dell’avanguardia sono qui evidenti.

Nel 1918 Tzara scrive il Primo Manifesto del Dadaismo. I caratteri principali dell’avanguardia dadaista sono i seguenti: 1. rifiuto del culto della novità, della modernità e del futuro che caratterizzava il Futurismo («L’amore della novità è invecchiato»); 2. rifiuto dell’umanesimo, della concezione della superiorità dell’“humanitas”, sia di tipo etico (non esiste una sostanza “umana” positiva a cui riferire la morale), sia di tipo estetico (l’arte non ha alcun privilegio conoscitivo, e anzi coincide con la menzogna); 3. rifiuto del bello, critica dell’arte e della specificità estetica: il bello è morto perché l’estetizzazione è penetrata, attraverso la tecnica industriale, in ogni aspetto della vita contemporanea e perciò si trova dappertutto, anche nei manifesti di propaganda economica; qualunque oggetto è estetico e nel medesimo tempo non lo è più: l’estetizzazione diffusa, trasformando tutto in arte, ha ucciso l’arte; 4. rifiuto della comunicazione esistente, in quanto borghese e mercificata, e di qualsiasi concezione simbolista del linguaggio, il quale non rivela alcun assoluto e va considerato unicamente come cosa, sostanza materiale, suono, oggetto. In positivo il Dadaismo propone l’uso anticonformistico del linguaggio, suoni e fonemi in libertà, giochi linguistici parodici, onomatopee, deformazione morfologica e sintattica, accostamento casuale delle parole sino al “nonsense” (non-senso). La negazione e la distruzione prevalgono largamente sulle proposte costruttive.

Secondo i dadaisti stessi, il dadaismo non era arte, era anti-arte. Tentava, infatti, di combattere l’arte con l’arte. Per ogni cosa che l’arte sosteneva, Dada rappresentava l’opposto. Se l’arte prestava attenzione all’estetica, Dada ignorava l’estetica; se l’arte doveva lanciare un messaggio implicito attraverso le opere, Dada tentava di non avere alcun messaggio, infatti l’interpretazione di Dada dipende interamente dal singolo individuo; se l’arte voleva richiamare sentimenti positivi, Dada offendeva. Attraverso questo rifiuto della cultura e dell’estetica tradizionali i dadaisti speravano di distruggere loro stessi, ma, ironicamente,

Come si scrive dunque una poesia dadaista? Prendete un giornale. Prendete un paio di forbici. Scegliete nel giornale un articolo che abbia la lunghezza che voi desiderate dare alla vostra poesia. Ritagliate l’articolo. Tagliare ancora con cura ogni parola che forma tale articolo e mettere tutte le parole in un sacchetto. Agitate dolcemente. Tirate fuori le parole una dopo l’altra, disponendole nell’ordine con cui le estrarrete. Copiatele coscienziosamente. La poesia vi rassomiglierà. Ed eccovi diventato uno scrittore infinitamente originale e fornito di una sensibilità incantevole, benché, s’intende, incompresa dalla gente volgare.

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(Tristan Tzara, da Manifesto sull’amore debole e l’amore amaro, 1920)

Nel 1919-20 il gruppo si trasferisce a Parigi e ha il suo organo nella rivista «Littérature». A esso aderiscono Breton e Aragon. Si profila però un dissidio sempre più profondo fra Breton, che non condivide il furore distruttivo del Dadaismo, e Tzara. La polemica provoca la disgregazione del gruppo. Nel 1922 Tzara ne pronuncia l’orazione funebre. Contemporaneamente Breton dà vita al movimento surrealista.

Il Dadaismo non può essere considerato soltanto (come è stato fatto per molto tempo) una premessa del Surrealismo, il quale anzi ne rinnega alcuni presupposti fondamentali. Sul piano teorico ha avuto il merito di porre sul tappeto il problema dell’estetizzazione diffusa; sul piano pratico ha anticipato tecniche che hanno influenzato profondamente il Novecento nella letteratura e soprattutto nel teatro, nella pittura, nella scultura, sino, per esempio, alla pop-art.

La poesia crepuscolareLa poesia crepuscolare fiorì tra il 1905 e il 1915, in piena età giolittiana. La denominazione è dovuta al critico A. Borgese che pubblicò nel 1910 un saggio dal titolo “Poesia crepuscolare”. Vi si esaminava l’opera dei poeti Marino Moretti, Fausto Maria Martini e Carlo Chiaves. A Borgese parve che la stagione della grande poesia si fosse conclusa con la pubblicazione delle “Laudi” e dei “Poemetti” e che ormai la letteratura andasse spegnendosi in un mite e lunghissimo crepuscolo. Il termine incontrò fortuna e nell’ambito di questo indirizzo furono successivamente inclusi anche altri poeti tra cui Guido Gozzano, Sergio Corazzini, Corrado Govoni, Enrico Thovez, A. Silvio Novaro. Il Crepuscolarismo pertanto non fu una vera e propria scuola poetica, ma un movimento costituito da personalità diverse e tuttavia accomunate da atteggiamenti psicologici e da orientamenti poetici. La condizione esistenziale comune ai crepuscolari fu quella caratterizzata da una certa stanchezza interiore, da una volontà di non apparire, di rimpicciolirsi e considerarsi uomini di poco conto (atteggiamento questo che porterà per esempio G. Gozzano a nominarsi in una sua lirica come “guidogozzano”, o Corazzini a dire: “Perché tu mi dici: poeta? / io non sono un poeta. / Io non sono che un piccolo fanciullo che piange”, o Moretti ad intitolare una sua raccolta “Poesie scritte col lapis”) da una condizione di velata e tenue tristezza, per cui Moretti può confessare: “Io sento in me la tristezza / del giorno domenicale / del giorno crepuscolare / nel quale l’anima prova / il bisogno d’una nuova / solitudine…Oh dolcezza del mio cuore / dei miei sensi un poco stanchi”. Il poeta crepuscolare avverte una sensazione di stanchezza, un peso che grava sulla sua anima che lo porta ad un ripiegamento interiore, a un analizzare se stesso e a percepire quasi in sé una malattia, per cui Corazzini può dire: “Oh, io sono veramente malato! / E muoio, un poco, ogni giorno”. E c’è poi il desiderio di annullamento, di riduzione a cosa, di sparire, così Corazzini ancora dirà: “voglio / raggomitolarmi al sole / come un gatto a dormire / fino alla consumazione / de’ secoli!”. Espressero poi i crepuscolari una visione nostalgica del  passato; vissero il disagio dell’eclissamento dei grandi ideali dell’età risorgimentale, della perdita di entusiasmo per la fede, per la scienza e per il progresso. Distrutti pertanto gli ideali, le fedi, le ragioni dell’operare, spenta ogni facoltà di adesione piena, di impegno profondo, di partecipazione totale, rimase in loro un residuo di nostalgia, di rimpianto, che si manifestò in una rinunzia a vivere e la vita e in una volontà  di osservarla e descriverla.

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I temi prediletti dalla poesia crepuscolare furono così quelli che essi chiamarono de “le buone cose di pessimo gusto”: la periferia delle città, gli ambienti di provincia, le vecchie case, i vecchi quartieri, il suono degli organetti di Barberia, le corsie di ospedale, i giardinetti pubblici un po’ trascurati, le serate domenicali trascorse nelle case borghesi con “Loreto impagliato ed il busto d’Alfieri, di Napoleone / i fiori in cornice…/ il caminetto un po’ tetro, le scatole senza confetti / i frutti di marmo protetti dalle campane di vetro / un qualche raro balocco, gli scrigni fatti di valve, / gli oggetti col monito, salve, ricordo, le noci di cocco…”. E se la poesia dannunziana era stata dominata dalle donne fatali, lussuriose e di ineffabile bellezza, essi predilessero gli amori ancillari, le casalinghe dalle guance rosee, le donne non troppo belle, tanto che in una poesia Gozzano così scrive: “Sei quasi brutta, priva di lusinga / nelle tue vesti quasi campagnole / ma la tua faccia buona e casalinga / ma i bei capelli di color di sole / attorti in minutissime trecciuole / ti fanno un tipo di beltà fiamminga // E rivedo la tua bocca vermiglia / così larga nel ridere e nel bere / e il volto quadro senza sopracciglia / tutto sparso d’efelidi leggere / e gli occhi fermi, l’iridi sincere / azzurre d’un azzurro di stoviglie”. A livello stilistico poi ritroviamo certi modi di Pascoli e di D’Annunzio, ma anche i versi realistici di Betteloni e di Stecchetti, così come certe reminiscenze scapigliate. Per dirla con A. Pasquali “nel Pascoli i crepuscolari trovarono in gran parte il modello del verso franto, con voluti abbandoni tonali, della parola allusiva, il tema della poesia delle piccole cose; nel D’Annunzio, quello del Poema Paradisiaco, il modello del verso che spezza e dissolve le chiuse strutture classiche per attuare una più intensa atmosfera musica…Della poesia decadente essi insomma accolgono quei temi, quei motivi, quegli spunti che si prestano alla espressione dei loro particolari contenuti, quotidiani e dimessi, della loro stanchezza di vivere, della loro incapacità di entusiasmi, della loro condizione di naufraghi sballottati e travolti dall’onda nel mare della vita”.

I VocianiSi chiamano “vociani” i poeti che collaborarono alla rivista fiorentina «La Voce» (in particolare durante la direzione di Giuseppe Prezzolini, tra il 1908 e il 1914). Si tratta, tra gli altri, di Piero Jahier, Giovanni Boine, Camillo Sbarbaro, Clemente Rebora, Dino Campana. La loro produzione in genere è caratterizzata, sul piano formale, dal poemetto in prosa o dall’oscillazione tra verso e prosa poetica, dall’uso icastico del linguaggio (impiego intensivo del verbo, invenzione di nuove espressioni attraverso l’accostamento con una lineetta di due epiteti, stile nominale e stile verbale), da procedure dirette, violente, aggressive e, sul piano tematico, dalla contraddizione fra un’esigenza anarchica di rottura, di disordine e di affermazione individuale e un’altra morale d’ordine, di sacrificio, di solidarietà. Per quando riguarda l’aspetto stilistico e linguistico, il più espressionista è Rebora, mentre Sbarbaro, più tradizionale nella forma poetica (e cioè nella metrica e nel linguaggio), è il portatore dei motivi più tipici dell’Espressionismo (il tema della città mostruosa, della spersonalizzazione del poeta, del suo sdoppiamento, del vagabondaggio, ecc.). Infine Campana oscilla fra soluzioni ispirate al simbolismo decadente e altre più nuove e avanguardistiche. Se si esclude Onofri, che persegue una via più tradizionalmente lirica, tutti gli altri conoscono una stagione letteraria assai breve e di fatto coincidente con quella dell’avanguardia. Gli scrittori vociani mettono in discussione l’unificazione di verità e di bellezza compiuta dalle poetiche decadenti. La critica all’estetismo induce molti di loro al “moralismo”, che contrappone alla centralità dell’estetica quella del momento etico. Nei “moralisti” vociani (Slataper, Jahier, Boine, Rebora) il rifiuto del punto di vista estetico comporta anche una netta presa di distanza da Croce e dalla

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concezione idealistica dell’autonomia dell’arte. Appunto in polemica con Croce, uno dei vociani, Giovanni Boine, scrive: «Il punto di vista estetico è un punto di vista astratto, irreale, comodo per schemi pratici, ma falso e inconcreto». I vociani avvertono fortemente il bisogno di una espressione immediata della soggettività, non ridotta però al sentimento lirico, ma colta nelle sue varie manifestazioni, anche morali e politiche. Questo bisogno di immediatezza, di fare dell’arte una trascrizione della vita, li induce a un rifiuto radicale del sistema dei generi letterari, del romanzo, della novella, talora anche della poesia. A tali generi contrappongono il frammento, in cui poesia e prosa si fondono, in cui i confini fra i generi vengono aboliti, e si mescolano momenti lirici e riflessivi. Il frammento diventa la forma privilegiata di una modalità espressiva tipica dei vociani, l’annotazione diaristica o l’autobiografia lirica. Esso appare teorizzato per la prima volta dal programma di «Lacerba» nel 1913 («Lacerba» è, almeno all’inizio, prima dell’adesione al Futurismo, la rivista artistica della maggior parte dei vociani). L’importanza storica del frammentismo è duplice: esso riconosce e accelera la crisi dell’io come capacità unitaria e sintetica, come centralità unificante delle esperienze; e riconosce, nello stesso tempo, il carattere frantumato della realtà, la sua disgregazione, la mancanza di organicità e di ordine della vita moderna, vista nel suo carattere convulso, caotico, dispersivo. A una realtà disgregata, in cui non esiste più un senso oggettivo (come ritenevano invece i positivisti e i naturalisti), corrisponde un io non meno disgregato, in cui la coscienza non è più unità di misura del reale, né luogo dell’integrità e del valore.

Fonti:

https://it.wikipedia.org/wiki/Avanguardiahttp://www.treccani.it/enciclopedia/espressionismo/http://it.wikipedia.org/wiki/Futurismohttp://www.classicitaliani.it/futurismo/manifesti/manifesto_lett_futurista.htmwww.classicitaliani.it/ futurismo / manifesti / manifesto _lett_ futurista .htm http://www.fareletteratura.it/2012/02/21/video-marinetti-legge-zang-tumb-tumb/www.parodos.it/letteratura/breve/11.htm

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http://www.isikeynes.it/ipertesti/arte_cinema/manifestodada.htmlhttp://www.novecentoletterario.it/correnti/crepuscolarismo.htmhttp://www.parodos.it/letteratura/breve/65.htm