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20 Questa è la storia. Un gruppo del distacca- mento “5 giornate”, facente parte della III Brigata GAP Rubini di Milano, decide di compiere un attentato alla sede del fascio di Sesto. Di questi una buona parte erano lavoratori della B reda Aeronautica. La data prescelta è il 10 febbraio. Parteci- pano molte persone, ma chi poi dovrà entrare nella sede saranno solamente in quattro. All’interno della sede c’è Felice Lacerra, un giovanissimo che lavora anch’esso alla Bre d a Aeronautica. I nserito nell’organizza- zione fascista, ma in ef- fetti fa il doppio gioco e sarà lui a dare il segnale al commando di entrare in azione. L’attentato riesce in parte, perché il gruppo di fascisti, lì per una riu- nione, si dividono improv- visamente in diversi loca- li. Due fascisti muoiono su- bito, altri due successiva- mente per le ferite riporta- te. Lacerra avrebbe dovuto sparire ma inspiegabil- mente, il giorno dopo, tor- na al lavoro. I sospetti su di lui sono forti e lo arre- stano. Torturato, fa diversi nomi e, con un effetto ca- scata vengono arrestate nei giorni immediatamente suc- cessivi, circa 50 persone. Molti arresti avvengono Le nostre storie Gli autori furono deportati. Uno finì davanti al plotone di esecuzione a Fossoli L’attentato dei partigiani della GAP “Rubini” alla sede del fascio di Sesto San Giovanni nelle case dei partigiani, altri avvengono in giorna- ta all’entrata dello stabili- mento Breda, su indicazioni di delatori. Arresti eff e t- tuati dalla G.N.R. e da te- deschi. Alcuni di costoro vengono incarcerati a Monza, nel- l’ex macello, altri diretta- mente a S. Vittore e poi tut- ti convergono nel carcere milanese. All’ex macello e a S. Vittore diversi di loro vengono torturati. Magni Carlo, di Cinisello, è quel- lo che subisce le maggiori torture. Il 27 aprile vengo- no tutti inviati a Fossoli. Qui convergono altri arre- stati, compresi vari inge- gneri della Breda, colpe- voli di avere permesso che nelle loro sezioni della fab- brica, soprattutto l’Aero- nautica, si effettuasse lo sciopero del marzo ’44, sen- za impedirne lo svolgi- mento. A Fossoli finirono anche, in quei mesi, altri se- stesi antifascisti, legati o allo sciopero del marzo ma anche per altre attività, co- me la falsificazione di tim- bri e carte d’identità, op- pure per passaggi d’armi nei retri di bar. Di tutti co- storo solo il povero Lacerra fu fucilato il 12 luglio 1944, assieme ad altri 66 patrioti. Tutti gli altri partirono il 21 giugno del ’44 da Fossoli per giungere con un grande trasporto a Mauthausen il 24 dello stesso mese. 475 furono i deportati im- matricolati dal 76210 al 76675 e inviati nei KZ sot- tocampi di Mauthausen (Gusen,Wien,ecc.). Altri (il numero esatto allo stato non è dato sapere ma non erano pochi), non su- birono nemmeno la spolia- zione, vennero fotografa- ti, rimasero a Mauthausen una decina di giorni e poi vennero dirottati in lager di lavoro. A Linz, alla Göringwerke- grossa fabbrica di carri ar- di Giuseppe Valota 475 e oltre partirono da Fossoli il 21 giugno’44 destinazione Mauthausen Due dei deportati sestesi. A sinistra il giovane Carlo Sesti, della Breda e a destra Carlo Magni, sempre della Breda, torturato a San Vittore

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Questa è la storia. Un gruppo del distacca-mento “5 giornate”, facente parte della IIIBrigata GAP Rubini di Milano, decide dic o m p i e re un attentato alla sede del fascio di

Sesto. Di questi una buona parte erano lavoratori dellaB reda A e ronautica.

La data prescelta è il 10 febbraio. Part e c i-pano molte persone, ma chi poi dovrà entrarenella sede saranno solamente in quattro .All’interno della sede c’è Felice Lacerra, un

giovanissimo che lavora anch’esso alla Bre d aA e ronautica.

Inserito nell’org a n i z z a-zione fascista, ma in ef-fetti fa il doppio gioco

e sarà lui a dare il segnaleal commando di entrare inazione. L’attentato riescein parte, perché il gruppodi fascisti, lì per una riu-nione, si dividono improv-visamente in diversi loca-li. Due fascisti muoiono su-bito, altri due successiva-mente per le ferite riporta-te. Lacerra avrebbe dovutosparire ma inspiegabil-mente, il giorno dopo, tor-na al lavoro. I sospetti sudi lui sono forti e lo arre-stano. Torturato, fa diversinomi e, con un effetto ca-scata vengono arrestate neigiorni immediatamente suc-cessivi, circa 50 persone.Molti arresti avvengono

Le nostres t o r i e

Gli autori furono deportati. Uno finì davanti al plotone di esecuzione a Fossoli

L’attentato dei part i g i a n idella GAP “ R u b i n i ”alla sede del fascio di Sesto San Giovanni

nelle case dei partigiani,altri avvengono in giorna-ta all’entrata dello stabili-mento Breda, su indicazionidi delatori. Arresti eff e t-tuati dalla G.N.R. e da te-deschi. Alcuni di costoro vengonoincarcerati a Monza, nel-l’ex macello, altri diretta-mente a S. Vittore e poi tut-ti convergono nel carceremilanese. All’ex macello ea S. Vittore diversi di lorovengono torturati. MagniCarlo, di Cinisello, è quel-lo che subisce le maggioritorture. Il 27 aprile vengo-no tutti inviati a Fossoli.Qui convergono altri arre-stati, compresi vari inge-gneri della Breda, colpe-voli di avere permesso chenelle loro sezioni della fab-

brica, soprattutto l’Aero-nautica, si effettuasse losciopero del marzo ’44, sen-za impedirne lo svolgi-mento. A Fossoli finironoanche, in quei mesi, altri se-stesi antifascisti, legati oallo sciopero del marzo ma

anche per altre attività, co-me la falsificazione di tim-bri e carte d’identità, op-pure per passaggi d’arminei retri di bar. Di tutti co-storo solo il povero Lacerrafu fucilato il 12 luglio 1944,assieme ad altri 66 patrioti.

Tutti gli altri partirono il21 giugno del ’44 daFossoli per giungere conun grande trasporto aMauthausen il 24 dellostesso mese.475 furono i deportati im-matricolati dal 76210 al76675 e inviati nei KZ sot-tocampi di Mauthausen( G u s e n , Wi e n , e c c . ) .

Altri (il numero esatto allostato non è dato sapere manon erano pochi), non su-birono nemmeno la spolia-zione, vennero fotografa-ti, rimasero a Mauthausenuna decina di giorni e poivennero dirottati in lagerdi lavoro. A Linz, alla Göringwerke-grossa fabbrica di carri ar-

di Giuseppe Va l o t a

475 e oltre partirono da Fossoli il21 giugno’44 destinazione Mauthausen

Due dei deportati sestesi. A sinistra il giovane CarloSesti, della Breda e a destra Carlo Magni, sempre dellaB reda, torturato a San Vi t t o re

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mati, oppure a Wels presso“Flugzeugwerke Wels”, -fabbrica di parti di aerei -oppure in altri luoghi di la-voro, di cui allo stato non èdato sapere. Addirittura aqualcuno fu data a Mau-thausen una matricola di 4cifre. Es. Alfaroli Osvaldo,Breda veicoli-matr.1553 - ;Mantegazza Secondo, BredaAeronautica – matr. 1 6 0 3 .Per tutti due non è noto illuogo dove sono finiti. Per altri invece vi sono altridocumenti: es. Sesti Carlo,Breda Aeronautica, è statofotografato e gli hanno for-nito l’ Arbeitsbuch fürAusländer –(A 3 7 9

W/00396); BonaccorsiWe r t h e r, della Falck Con-cordia finisce a Linz presso“Hermann Göring Werke”. Viceversa Peotta Luigi, anar-chico, facente parte dellabanda Pollastro e per que-sto ha subito 20 anni di con-danna, è stato tolto da PortoLongone, trasferito aFossoli, giunto a Maut-hausen, immatricolato76668 e deceduto a Ebensee. Tutti questi casi evidenzia-no la complessità delle de-portazioni, dove chi si ren-de responsabile di atti ecla-tanti contro il fascismo nonsubisce necessariamente ladeportazione nei KZ.

Non c’è un rapporto direttotra gli atti compiuti e la de-portazione conseguente. Tr al’altro tutti quelli che sonofiniti in lager di lavoro (no-miniamoli così) erano al-l’oscuro delle scelte opera-te dai nazisti. I deportati, aldi là di qualche caso speci-fico, venivano mandati inluoghi o fabbriche sulla ba-se della loro professionalità. Un ultimo caso: in PirelliBicocca, a Milano/Sesto fu-rono arrestati il 23 novem-bre 1944, 183 lavoratori in

Fossoli, 7-8-44Carissimi genitori la presente è per co -m u n i c a rvi che sto bene come spero divoi tutti.Domattina partirò da Fossoli la desti -nazione che vado non ne sono ancora ac o n o s c e n z a .Non appena arrivo a destinazione nonmancherò a darvi mie notizie, in tutti imodi non fatevi pensiero che sto moltobene, e spero sempre di rivedervi tuttinella nostra cara casa.Ho ricevuto una cartolina di Maria Olga,

A rrigo e Lina e sono rimasto contentis -simo nel vedere che i miei cari fratelli -ni si ricordano sempre di me.Mi saluterete caramente la zia Lina e lozio Peppino e le cugine, dicendogli chele ricordo sempre manderete i miei sa -luti anche a zio Gaetano e Lina e allapiccola Franca, gli direte che gli hoscritto una cartolina ma non ho ricevu -to risposta. Vi invio i miei piu affettuo -si saluti a voi tutti e agli amici che sem -p re ricord o .Vo s t ro figlio Felice

fabbrica dai nazisti duranteun ennesimo sciopero.166 di loro partirono per ol-tre confine, ma nessuno,tranne uno, finì a Maut-hausen. Eppure i trasportiverso Mauthausen sonocontinuati fino ai primi difebbraio del 1945. Non èquesta la sede per ap-profondire le problemati-che molto complesse delladeportazione, ma questi te-mi è ormai ora che venga-no affrontati, soprattutto ri-spettando la verità storica.

Dalla Pirelli Bicocca, Milano/Sesto183 arrestati per sciopero, 166 deportati

Felice Lacerra, operaio apprendista alla Breda, sedici anni, fucilato:l’ultima lettera ai genitori dal campo di concentramento di Fossoli

La brigata “Egisto Rubini”si riunisce alla LiberazioneP rese il nome delpatriota e combattentenella guerra di Spagnache, arrestato nelfebbraio 1944 a SestoSan Giovanni ei n c a rcerato a SanVi t t o re, si tolse la vita nelm a rzo successivoimpiccandosi con unlenzuolo alle sbarre dellap r i g i o n e .

La lettera fu scritta la notte dell’11 luglio 1944: per la terribile emozione il giovane Felice sbagliò la data

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In trentadue schizzi a colori ritrovati per caso nel 1947, opera di un anonimo

Le iniziali sono MM.Uno dei sei milioni diesseri umani stermi-

nati dal furore nazista.Sicuramente per la qualitàdel prodotto era un formi-dabile artista. Sull’esempio di RobertCapa, l’esule ebreo unghe-rese, che fece conoscere almondo con la sua “Leica” ela sua “Zeiss” le scene piùavvincenti della guerra ci-vile di Spagna, MM con unapovera matita e, qualche ra-ra volta, con la penna a in-chiostro e qualche spruzza-ta di colore, ha tramandatodal vivo, nel momento stes-

Le nostres t o r i e

La “bottiglia della memoria”ha conservato i disegni:un miracolo nell’infernodi A u s c h w i t z - B i r k e n a u

di Franco Giannantoni so in cui si compivano, i mo-menti più atroci nel campodi sterminio di Auschwitz. Molti disegnarono “dopo”,in primis il nostro inarriva-bile Aldo Carpi, mai, se sifa eccezione per i bimbi diTerezin, “prima”, cioè nel-l’attimo stesso in cui il filmdell’orrore si stava dipa-nando fra violenze inaudi-te. Si tratta di trentadueschizzi a colori contenuti inventidue fogli di un albuma spirali, formato 20,8 per13,5, che l’ignoto artista, in-goiato ad un certo punto nel-l’inferno di Hitler (ne fa fe-de l’ultimo schizzo rimasto

Non sapremo mai il suo nome, da che Paesevenisse, se fosse giovane o vecchio, un intel-lettuale o un autodidatta, un pro f e s s o re o unoperaio. Era ebreo, questo è certo.

“Forse non ci sarà mai possibile stabilire lasua identità”, ha commentato sconsolato,forse arreso il portavoce del P a n s t w o w eMuzeum A u s c h w i t z - B i r k e n a u , Jare k

Mensfelt. Certo un genio, dotato di immensa forz ainteriore che non si piegò alla barbarie sapendo man-tenere quel briciolo di lucidità per farsi testimone, coldisegno, del crimine più orrendo compiuto dall’uomo.

La prima immaginefissa l’arrivo deid e p o rtati ebrei allaJuden Rampe, Il bel signore sa dove è arrivato, vede la violenza chediventa legge, e p p u re mantiene lasua dignità, sfidacon il suo compor -tamento rigoroso esolenne, la barba -rie. Ai lati c’è unuomo anziano, coibaffoni e la stella diDavide sulla giac -ca...

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Tutto è raccontato nei minimi particolarida un testimone che ha visto tutto

d i s e g n a t o re, “raccontata” dal vivo la quotidianità del lager della mort e

”incompiuto, forse l’avvio diun trasporto alla camera agas all’interno del bloccocon il muso del camion inprimo piano) aveva infilato,ben ordinati, in una botti-glia, sotterrata fra un barac-ca ed un’altra, attorno allecamere a gas e i forni cre-matori n. 4 e n. 5 di A u s c h-wirtz 2-Birkenau.Viene allamente il messaggio che, af-fidato ad un’altra bottigliaritrovata sotto una monta-gna di sassi, ai lati delle ba-racche della morte, l’ebreopolacco Salmen Gradowskivolle tramandare ai “som-mersi e salvati” di PrimoLevi: “Caro scopritore fu-turo di queste righe, ti prego,cerca dappertutto, in ognicentimetro di terreno qui do-ve noi fummo. Qui troveraitanti documenti, ti dirannoquanto è accaduto qui, tra-manda tracce di noi milionidi morti al mondo che verràd o p o ” .In effetti gli scavi hanno ri-portato alla luce migliaia ditracce-oggetti, appunti, fo-tografie- che sono state or-dinate nel Museo. Gli schizzi di MM furono ri-

trovati nel 1947 dal deportatoJosef Odi (n. 61615) che liconsegnò ai custodi delMuseo. Ora sono tornati al-la luce e resi pubblici, benconservati e trattati mentreparte del mondo rilancia ilmessaggio della violenza diStato ripescando immaginie s t r e m e .Li ho ricevuti, su richiesta,da Jadwiga Pinderska-Leck,dirigente bibliotecaria delMuseo, l’istituzione inter-nazionale che cura la me-moria, riproposti in un libroche ha il valore di una reli-quia dal titolo “T h eSketchbook from A u s c h w i t z”a cura di Agnieszka Siera-dzka con sopra il timbro diOswiecim (A. in polacco) ela data 26 gennaio 2012. Fa impressione. La memo-ria che viaggia oltre mezzosecolo dopo e ti colpisce di-ritto al cuore. Costo, com-presa la spedizione, 18 euro.Denaro mai speso meglio.Chi volesse può ottenere ilvolume di 113 pagine (ognischizzo è accompagnato dauna descrizione in polacco ein inglese) dal Museo alw w w. e n . a u s c h w i t z . o r g.

Anche S p i e g e l ha diff u s osettimane fa un estratto esau-riente di dieci delle trentadueimmagini, siglate nel latodestro dall’autore MM, elen-cate dalla “A” alla “D”, nu-merate con un circoletto pro-babilmente dai primi colla-boratori del Museo che leebbero fra le mani negli an-ni ’60, provocando un’on-data di emozione.Dire che questi schizzi fac-ciano inorridire è poco. La prima immagine fissal’arrivo dei deportati ebreia l l a Juden Rampe, la “ram-pa di scarico” descritta piùvolte ma mai illustrata inmodo così perfetto diAuschwitz 2-Birkenau. Daivagoni le SS puntano il mi-tra MP 38 e il fucile Mauser9. I prigionieri sono “rac-contati” nei minimi parti-colari, il testimone li ha vi-sti, era probabilmente fra lo-ro: una famigliola borg h e-se spiccano prima, la madrecon un cappotto di buonafattura, il padre, un passo

avanti, col il figlioletto indivisa da marinaretto, il cap-pello a larga tesa, la giaccacon il fazzolettino nel ta-schino, il volto curato, frale mani una valigia e sulbraccio un “c o a t”. Il bel si-gnore sa dove è arrivato, ve-de la violenza che diventalegge, eppure mantiene lasua dignità, sfida con il suocomportamento rigoroso esolenne, la barbarie. Ai latic ’ è un uomo anziano, coib a ffoni e la stella di Davidesulla giacca. La verità i po-veretti la conosceranno su-bito dopo “alla separazionedelle famiglie”, la prima se-lezione per gli inadatti al la-voro destinati alle “docce”di Zyklon-B, il gas mortaleprodotto dalla Ig-Farben, lagloriosa fabbrica tedesca.Secondo schizzo anch’essoesemplare: il marinarettoche urla disperato strappatoal padre che tende le brac-cia nel vano tentativo di ria-verlo, il vecchio coi baff iche fa la stessa fine, gli al-

Secondo schizzo an -ch’esso esemplare :il marinaretto cheurla disperatostrappato al padreche tende le braccianel vano tentativo diriaverlo, il vecchiocoi baffi che fa lastessa fine, gli altri,incolonnati, in attesa della sele -zione. Sullo sfondo i camion Opel-Blitz della We h r m a c h tper il trasporto...

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tri, incolonnati, in attesa del-la selezione. Sullo sfondo icamion Opel-Blitz dellaWehrmacht per il trasportodei morituri, a lato la torret-ta di ingresso con il faro ac-cecante e le mitragliatricipronte a fare fuoco verso chitentasse una fuga peraltroi m p o s s i b i l e .La “bottiglia della memo -r i a” ferisce senza off r i r escampo al lettore. Le SS ca-ricano i più deboli, gli sche-letri viventi, sui camion delsedicente “Servizio Medico

dei deportati” per finirli coniniezioni al cuore. C’è chitenta la fuga: o finisce con-tro le reti elettrificate sottoil cono di luce del guardia-no dalla torretta ed è ridot-to in cenere o se non ce la fa,viene catturato, percosso asangue e poi impiccato nel-la baracca sotto gli occhismarriti dei compagni. La precisione del disegnoaggiunge orrore ad orrore.MM conferma con la suaeroica impresa di aver vi-sto tutto, compresi i feroci

Kapò col loro bracciale diriconoscimento mentre congli stivali spezzano il colloalla vittima stesa per terra esono ripagati con un pastoeccellente. La camera a gasfunziona a regime, dai ca-mini esce il fumo bianco can-tato da Francesco Guccini,l ’ u fficiale di controllo pren-de fiato fumando tranquil-lamente una sigaretta nel pra-to vicino accanto ai moren-ti. Ecco, sono questi i parti-colari che ignoravamo. Laq u o t i d i a n i t à .

Le SS aiutate dai Kapò get-tano i cadaveri sui camiondiretti ai crematori; il tim-bro a fuoco sulle braccia deiprigionieri; l’ufficiale SS apasseggio con tanto di ba-stone ossequiato da due de-portati che si tolgono il lorocappello a basco; il collo-quio in baracca fra due ebrei,uno impiegato al Serviziomedico; l’appello, nellaspianata, con un prigionieroche presenta al comandan-te nazista il registro del bloc-co 12; la distribuzione del

Le nostres t o r i e

Le SS caricano i più de -

boli, gli scheletri viven -

ti, sui camion del sedi -

cente “Servizio Medico

dei deport a t i ” . . .

...l’appello, nella spianata, con un p r i g i o n i e ro che p resenta al comandantenazista il re g i s t ro del blocco 12 ...

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misero cibo che arriva dallecucine in speci di tinozzeportate su scale a uso di car-ri; il pestaggio del Kapò achi, trasportando le pietre,non regge e cade a terra; Sse un Kapò divertiti che get-tano un prigioniero in unapozza di fango, cercando diannegarlo; l’arrivo al cre-matorio fra SS schierate: c’èchi viene trasferito sui ca-mion, chi va a piedi in grup-po (c’è una intera famiglia,madre, padre, figlioletto conla valigia con sè per aver l’il-

lusione di una camminatanormale ma poi, prima del-la morte, la valigia viene ab-bandonata fuori della por-ta); esercizi sportivi, piega-menti, in realtà brutali aff l i-zioni; un ammutinamento:sparano le SS e lanciano icani-lupo contro i prigionieriche attaccano la persona masenza speranza; le SS checaricano alcuni scheletri vi-venti su una lettiga masche-rata da “Croce Rossa”; l’ar-rivo alla “rampa” dei treni

coi prigionieri che solleva-no sulle spalle i loro baga-gli e se ne vanno verso l’i-gnoto; le frustate all’ebreoche ha mancato alle regole,legato ad una trave che vie-ne fatta ruotare come un gi-r a r r o s t o .

Quando MM trovòtempo e lucidità suf-ficiente per i suoi

schizzi? Difficile solo il pen-sarlo. Nelle ore di “riposo”,nella penombra del blocco

piegato nella branda sulleginocchia con il suo qua-dernetto invisibile ai più, perprimi i Kapò, nascosto inqualche anfratto del campo.Quello che conta è che si pre-se con estremo coraggio unpezzo di libertà, non volledarla vinta ai suoi persecu-tori, a suo modo feceResistenza. Disegnò per ri-cordare, per vincere l’oblio,per sfidare la morte. C’è riu-scito in una memorabile, so-litaria impresa

. . . e s e rcizi sport i v i ,piegamenti, in realtà bru t a l iafflizioni;

... un ammutinamento:sparano le SS e lanciano i cani-lupoc o n t ro i prigionieriche attaccanola persona ma senzas p e r a n z a ;

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La “bottiglia della memoria”un miracolo n e l l ’ i n f e r n odi A u s c h w i t z -B i r k e n a u

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C’è un negozio nel centro di Roma (dal 1899) dove di giorno si assemblavano

Ipartigiani romani uccisiin combattimento, mortisotto la tortura o fucilati,

nei nove mesi che vanno dal9 settembre 1943 al 5 giu-gno del 1944 sono 1.735,oltre ad alcune migliaia dicittadini romani, ebrei e non,deportati nei campi di ster-minio in Germania e chenon sono tornati.Ma in questi stessi novemesi in Roma furono con-dotte azioni militari e disabotaggio che in numero ein qualità non hanno pari,nei limiti di quel periodo, innessun'altra città d'Italia. Fucosì che il nemico pagò carala sua permanenza a Roma,e si vendicò manifestando lasua brutale ferocia.

Le nostres t o r i e

La bottega dei Collalti,d e p o rtati a Mauthausen“ove la ferocia tedescaassurse a scienza”

di Franco Malaguti

Dall’antifascismo alla lottaarmata, tra i tanti è da ricor-dare la famiglia Collalti, chegestiva un negozio di bici-clette ancora attivo (e sem-pre condotto dalla famiglia)in via del Pellegrino alnumero 82. Potessero parla-re, i muri di questo negoziodel centro di Roma, raccon-terebbero di quando qui digiorno si assemblavano eriparavano biciclette e a ser-rande abbassate si stampava-no volantini antifascisti, poifatti uscire nascosti nelleselle delle biciclette. Oppuredi quando, a transitare inquesto luogo, erano le muni-zioni che servivano allaResistenza, magari celatenelle canne delle bici.

Qui nel 1943, c’era il depo-sito di armi, costituito du-rante i 45 giorni del gover-no Badoglio e che furono di-stribuite ai combattenti diPorta San Paolo da RinaldoCollalti e da suo figlio Luigi,entrambi partigiani.Triangolo Rosso ha raccon-tato l’odissea della famigliadopo l’arresto avvenuto perdelazione e la detenzione alcarcere di Rebibbia. Con unadeportazione «dimentica-ta», quella del 4 gennaio del1944, vennero deportate per-sone semplici, antifascistidi tutto l'arco della resistenza

al nazi-fascismo di quei me-si a Roma. Giovani reniten-ti alla chiamata alle armi del-la Repubblica SocialeItaliana, soldati sbandati do-po l'8 settembre 1943 e re-duci da vari fronti di guer-ra. Settanta, ottanta antifa-scisti noti all' Ovra ed inse-riti nel casellario politicoc e n t r a l e .Una lunga ricerca ha rico-struito il calvario dei 330 pri-gionieri. Quel giorno di gen-naio dalla stazione Ti b u r t i n apartirono su un treno dellamorte. Nel lager di Mauthausen do-

Abbiamo pagato cara questa nostraResistenza - scrive Rosario Bentivegna - con650 caduti, tra il il 9 e il 10 settembre 1943,nella battaglia per Roma. Oltre 50 furono i

bombardamenti alleati, dovuti alla presenza in città dicomandi, mezzi e truppe tedesche, altro che “città aper-t a ” !

Fame e miseria, deportazioni, rastre l l a m e n t iin tutti i quartieri, il coprifuoco alle 4 delpomeriggio; unica città in Italia, fu proibito aRoma in quel periodo l'uso delle biciclette

(altri mezzi, oltre quelli pubblici, non erano consentitiai civili): operavano in Roma ben 18 “polizie”, tedeschee italiane, pubbliche e “private”.

Dalla bottega cicli e armi per le azioni e la stampa clandestina della Resistenza

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ve furono immatricolati ar-rivarono in 257. To r n a r o n ovivi in 30, ma molti moriro-no poco dopo il rientro.Aldo Pavia e ad A n t o n e l l aTiburzi hanno già racconta-to su “Triangolo”, nell’apri-le del 2005, chi erano i com-ponenti questo sfortunatotrasporto. La mattina del 5gennaio 1944 i prigionieri,portati con dei camion allastazione Tiburtina e carica-ti su carri bestiame, venneroscortati da militi fascisti, pertutto il tragitto. Arrivati alKZ Dachau vennero stipati inuna baracca ove rimasero perdue o tre giorni. Senza man-giare. Per loro venne appli-cato il Blocksperr, ovvero lachiusura assoluta della ba-

racca. I deportati da Romanon ebbero modo quindi diconoscere la vita e le condi-zione di quel lager anche per-ché dopo questo periodo disosta e di segregazione ri-partirono con destinazioneMauthausen, Austria, dovearrivarono il 13 gennaio1 9 4 4 .Erano presenti veri e proprinuclei familiari, ad esempiole famiglie Collalti eClementi. Dei Collalti c’eraanche il padre di 59 anni. AMauthausen vengono lorodati numeri di matricola con-s e q u e n z i a l i .Collalti Fernando 42047Collalti Furio 42048Collalti Luigi 42049Collalti Rinaldo 42050

Franco Giannantoni eIbio Paolucci,

La bicicletta nellaResistenza.

Storie partigiane, Edizioni A r t e r i g e r e ,

pagine 248,euro 12,00

“Proibito l’uso della bicicletta”, era uno degliinnumerevoli e vani tentativi delle autorità nazifasciste percontrastare il veicolo più usato dalla Resistenza pertrasportare e recapitare ordini, armi, esplosivi. Per colpiree fuggire. Si può partire da questi divieti per raccontare dipiccoli e grandi eroismi, di battaglie, di lotte clandestine,di passioni, di paure e atrocità. Con un comune deno-minatore: la bicicletta. Storie, voci, vite, imprese, ricordi etestimonianze raccolte da Franco Giannantoni e IbioPaolucci, giornalisti, storici e ricercatori appassionati, chehanno pubblicato La bicicletta nella Resistenza. Storiep a rt i g i a n e (Edizioni Arterigere).

A L C O M PAGNO LUIGI COLLALTI D E P O RTATO NEL CAMPO MALEDETTO DI

MAUTHAUSEN OVE LA F E R O C I A T E D E S C AASSURSE A S C I E N Z A ED A RELIGIONE. CON

E R O I C A F E R M E Z Z A S O P P O RTÒ IL M A RT I R I O .GLI FU DI CONFORTO LA C E RT E Z Z A N E L L A

V I T TO R I A P R O L E TA R I A CHE ALIMENTÒ LE SUEE S T E N U ATE FORZE PER A R R I VARE IN ROMA

DOVE IL 13.7.1945 NELLE BRACCIAD E L L A MADRE S P I R AVA

GLI A B I TANTI DEL RIONE POSEROR O M A 1 3 . 8 . 1 9 4 5

Luigi tornò, sostenuto soltanto dalla “certezza della vittoria proletaria”L’anziano Rinaldo fu unodei più attivi capi del mo-vimento di resistenza nelcampo, dove si fabbrica-vano ben mille mitraglia-trici per turno. I detenutilavoravano dalle 12 alle 14ore al giorno. Il figlio delCollalti, Luigi quando fupreso pesava 84 chili, al ri-torno solo 39, sì da moriredi stenti. Poveretti, erano stati co-stretti a picchiarsi tra lorodai nazisti per divertimen-to degli aguzzini. In un an-no e mezzo padre e figlioper fame, hanno mangiato

50 chili di colla. Il Collaltipadre raccontò che i tede-schi passavano un pac-chetto di sigarette alla set-timana. Gli internati cede-vano le sigarette in cambiodella poca brodaglia chepassava il campo. Luigi riuscì a tornare allafine della guerra, ma tal-mente debilitato che morìpoco dopo aver riabbrac-ciato la madre. Era sopravvissuto al cam-po maledetto di Maut-hausen dove “…la fero c i atedesca assurse a scienzaed a re l i g i o n e”

A sinistra la bottega di biciclette fotografata oggi, in via del Pellegrino a Roma. Qui sotto la lapide che ricorda “il compagno LuigiCollalti...” a lato dell’insegna.

Pesce: “La bicicletta era come l'aria che re s p i r a v o . . . ”

e riparavano bici e a serrande abbassate si stampavano volantini antifascisti

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stesso dell'arrivo. Simone invece sopravvivee si saprà, a liberazioneavvenuta, che è luiil padre di Alba, il cui vero nome è Sara.L'incontro fra padre e fi-glia, dopo alterne vicende,avviene a Firenze e, dun-que, la conclusione di que-ste due storie è a lieto fine.Ma così non è nella realtà

L’incontro tra le due storie è a lieto finema non è stato così nella realtà

A u t o re del romanzo Roberto Riccardi colonnello dei carabinieri e dire t t o re

Cominciamo col direciò che accade adAlba, che poi di-

venta Sara e che infine si sache il vero suo nome èSissel, una bambina da po-co nata e poco dopo ucci-sa col gas nel campo disterminio di Oswiecim, unalocalità polacca, meglionota col nome orrendo diA u s c h w i t z .La vita di Alba trascorrefelicemente in una fami-

Le nostres t o r i e

R i c reata con la poesiala vita di una bambina,(che non c’è stata) distrutta dai nazisti

di Ibio Paolucci

glia medio-alta borg h e s eda lei ritenuta la propria.Tutto questo negli anni del-l'infanzia nel primo dopoguerra e successivamentein quelli dell'adolescenzae della giovinezza. Amicizie e amori, vacanzea Polignano sulla costa pu-gliese, acerbi turbamenti epoi una foto di quando erabambina sulla spiaggia, chele rivela che i suoi genito-ri erano altri.

Simone Viterbo, altro per-sonaggio centrale del ro-manzo, è un ebreo, che vie-ne deportato assieme allamoglie e alla piccola figlia,ad Auschwitz. A p p e n agiunti nell'inferno di quelcampo, dopo un lungo viag-gio allucinante in un vago-ne piombato, moglie e fi-glia vengono separate e as-sassinate col gas il giorno

perchè non sono mai esi-stiti né Alba-Sara néSimone. Nell'ultima pagina,in una nota, l'autore del

libro ne fornisce laspiegazione: “Invece chela morte, questo libro rac-conta la vita che poteva es-sere e non è stata. Perchèuccidere, anche nei modiatroci del lager, è un attorelativamente breve. Il dan-no maggiore è negli annisottratti. A Sissel, al milio-ne e mezzo di bambini ster-minati dai nazisti, a tutti i

“La foto sulla spiaggia” è il nuovo ro m a n z odi Roberto Riccardi, colonnello dei carabi-nieri e dire t t o re responsabile dell'organou fficiale dell'Arma.

Due le storie con percorsi che parre b b e roinavvicinabili e che, invece, si incontrano inuna felice magica irrealtà, con una conclu-sione sconvolgente che obbliga a mai dimen-

t i c a re ciò che è stato e ciò che avrebbe potuto essere .

L ' i d e adel romanzo mi

è venuta pensandoa Sissel

Vogelmann, unabambina morta ad A u s c h w i t z . . . .

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bambini travolti dagli or-rori della Storia è stato re-ciso il cammino. La Saradel romanzo poteva diven-tare Alba, una ragazza uni-ca al mondo e al tempo stes-so normale, che avrebbecoltivato sentimenti puliti.Un essere umano che nonavrebbe fatto del male anessuno, avrebbe chiestosolo di amare ed essereamato. L'idea del romanzomi è venuta pensando aSissel Vogelmann, unabambina morta adAuschwitz I suoi occhi sispensero il 6 febbraio 1944insieme a quelli della ma-dre Anna Disegni. Av e v asolo otto anni e mezzo. Ilpadre Schulim, comeSimone Viterbo, soprav-visse, tornò a Firenze, eb-be la forza di creare unanuova famiglia. Il figlio na-to dalle nuove nozze anco-ra oggi prova per la sorel-lina mancata la nostalgiapiù struggente, quella deigiorni mai vissuti”. Quanti di quel milione emezzo avrebbero potutoscrivere, dipingere, diven-tare scienziati, coltivatoridi piante, grandi atleti o an-che, semplicemente, buo-ni artigiani, operai, conta-dini? Che cosa avrebberofatto i nazisti di A l b e r tEinstein, fosse nato un mez-zo secolo dopo anziché nel1879, per il solo fatto di es-sere ebreo? Noi sappiamoche Anna Franck sarebbediventata una grande scrit-trice, il suo sconvolgente

Diario ne fornisce la pro-va. Ma quante altre avreb-bero potuto diventarlo? Seimilioni fra donne uominibambini di entrambi sessisono stati uccisi dai nazi-sti per il solo fatto di esse-re ebrei.Il campo di sterminio chepiù mi ha impressionatoquando ero in Polonia èquello di Maidanek, allaperiferia di Lublino. Lo vi-sitai in una sera d'invernoaccompagnato da una gui-da polacca, che mi mostròalcuni cumuli che mi eranosembrati di sabbia e che in-vece erano formati dalla ce-nere dei forni crematori:“Si sentiva la puzza dei ca-daveri bruciati – mi dissela guida - quando il ventoportava il fumo dei caminiin città”. La fine orrenda di quegliesseri umani è ben cono-sciuta e documentata. Nelgrande libro “Se questo èun uomo”, Primo Levi haspiegato magistralmentequale fosse la realtà nei la-ger della morte. RobertoRiccardi, in questo suo li-bro, in una limpida prosa, ciracconta quale avrebbe po-tuto essere ciò che invece èstato e che mai si deve di-menticare. Dedica il libroalla povera Sissel con pa-role che toccano il cuore achi crede in un altro mon-do dopo quello terreno eanche a chi, come a me, nonè credente: “Perchè se las-sù si può leggere possa trar-ne un sorriso”.

Roberto RiccardiLa foto sulla spiaggia.

Edizioni Giuntina,pagine 159,euro 15,00

responsabile dell'organo dell'Arma.

N I C H E L A N G E L OC I A M A R R A

iscri tto alla sezione diMilano. Arrestato a S.Anna di Cavour, giunge aMauthausen l’11 gennaio1945, matricola n.11 5 8 1 3 .

L I L I A N AMARANINI

Nata il 1/1/1919 iscrittaalla sezione della Spezia.Arrestata dalle SS., peraver espresso sentimentiantifascisti, il 31/8/1944mentre era in servizio dicuoca alle FF.AA. nell’i-sola di Palmaria, fu inviataal locale carcere di Vi l l aAndreino, quindi al car-cere Marassi di Genova epoi al Campo di Bolzano.Successivamente alCampo di Ravensbruck( m a t r. 77774) e Celle, poiSaltzgitten ed infine aB e rgen Belsen sino alla li-b e r a z i o n e .

EURELIO MONTI iscri tto alla sezione diMilano, fu deportato nelcampo di concentramen-to di Bolzano e immatri-colato con il numero 6513.

M A R I A MUSSO, iscri tta alla sezione diS a v o n a / I m p e r i a .Deportata a Ravensbrücke immatricolata con iln.77377. È trasferita aNeuengamme, matricolan . 0 9 4 7 3 .

GIUSEPPE PODESTÀ

Nato il 5/2/1925 iscrittoalla sezione della Spezia.Catturato in Sarzana (SP),inviato alla locale CasermaXXI Reggimento Fanteria,quindi al carcere Marassidi Genova e al Campo diBolzano (Matr. 9907 E)sino alla liberazione.

ROMOLO PARISIO

iscri tto alla sezione diMilano. Arrestato aLimbiate, giunge aMauthausen l’11 gennaio1945, matricola n.11 5 6 3 9 .

GIUSEPPE REPPUCCIsegretario dell'Aned diTorino, infaticabile ed in-sostituibile collaboratoreed amico, figlio del cadu-to Raffaele deportato aSachsenhausen, ed ex con-sigliere Comunale.

GINO ROSSETTINato il 26/2/1925 iscrittoalla sezione della Spezia.Catturato il 21/11/1944 nelgrande rastrellamento diMigliarina, inviato alla lo-cale Caserma XXI reggi-mento Fanteria, poi al car-cere Marassi di Genova,quindi al Campo diBolzano (Matr. 9978 E) si-no alla liberazione.

BRUNO TA RTA R I N INato il 16/12/1925 iscrit-to alla sezione della Spezia.Arrestato il 17/09/1044 perappartenenza al movi-mento partigiano, inviatoalla locale Caserma XXIReggimento Fanteria, poial carcere Marassi diGenova, quindi al Campodi Bolzano ed infine aMauthausen (Matr. 11 4111) sino alla liberazione.

ARMANDO MILANIiscri tto alla sezione diSesto S. Giovanni (MI). Fuarrestato agli inizi di otto-bre '44, e rinchiuso nel car-cere di San Vi t t o r e .Deportato da Bolzano aF l o s s e n b ü rg, dove giungeil 23.1.1945, matricolan . 4 3 8 4 9 .

I NOSTRI LUTTI

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Maddalena Gazzetta di SestoCalende, nipoti di GiovanniFanchini, 26 anni, una dellegiovani vittime. La cittadina sul fiume Ti c i n orappresentava lo snodo cen-trale della lotta di Resistenzae la Savoia Marchetti, la fab-brica aeronautica, la mag-giore fucina partigiana. Dalì uscivano i coraggiosi chesi battevano in pianura e nel-le vicine Val d'Ossola eValsesia nelle formazioni“Garibaldi”, “Va l t o c e ” ,“Mario Flaim”, “Beltrami”,“Alto Milanese”, “Servadei”.

Le altre vittime erano più omeno della stessa età del po-vero Fanchini: Vi rg i l i oTognoli, 28 anni, comeOlimpio Parachini; BenitoPizzamiglio, Alberto Luc-chetta e Rinaldo Gattoni, 22anni; Francesco Tosi, il piùanziano, 30 anni; NicolaNarciso e Luigi Ciceri, 23anni; Andes Silvestri, 29 an-ni; Franco Cerutti e GiuseppeMeringi, i più giovani, 18 e19 anni. Un tredicesimo,Mario Piola, aggiunto per“compensare” il peso delquarto militare germanico

Un’udienza inseguita da una vita:“vogliamo solo giustizia e verità”

Da un fascicolo sepolto nel 1960 nell’”Armadio della vergogna” dal Pro c u r a

Il prossimo 15 maggio, asessantotto anni da queltragico 13 agosto 1944

quando un plotone di mili-tari tedeschi, per rappresa-glia, dopo il ferimento diquattro soldati del Reich in unscontro coi partigiani, fucilònella piazza principale diB o rgo Ticino davanti alla po-polazione costretta ad assi-stere alla tragedia, dodici gio-vani civili rastrellati alDopolavoro dov’era in cor-so una gara di bocce, ilTribunale Militare di Ve r o n a(2a Sezione) darà il via alprocesso penale. Il 10 feb-braio il Gip aveva deciso il

Le nostres t o r i e

Dopo 68 anni inizia a Ve rona il processo p e r la strage nazista diBorgo Ticino dell’agosto ‘44

di Franco Giannantoni

rinvio a giudizio. Non saràuna mera formalità ma co-munque un passo decisivoper la giustizia, ignorata col-pevolmente per responsabi-lità tutta italiana, politica egiudiziaria, da molti decen-ni. Il solo imputato ancorain vita di quell’eccidio, l’exsottotenente di vascello ErnstWadenpfuhl, oggi 97 enne,componente dell’80° Re-parto d’Assalto della Marinatedesca, sarà contumace.Chissà se qualcuno gli ri-corderà quell’assassinio ese un palpito di orrore e dipentimento ne scuoterà maila coscienza.

Tutti gli altri imputati, a co-minciare dal famigerato ca-pitano Krumar, artefice delmassacro, sono scomparsi.I parenti delle vittime, uni-tamente ai Comuni di SestoCalende e Borgo Ticino e al-la presidenza nazionaledell’Anpi, costituitisi ParteCivile, saranno assistiti da-gli avvocati Andrea Speran-zoni e Roberto Nasci (StudioGiuseppe Giampaolo) delForo di Bologna.

Rappresenterà l’accusa ilProcuratore Militare dottorBruni, già pubblico accusa-tore nel processo per la stra-ge di Marzabotto.“Non vogliamo né vendettané denaro ma solo giustiziae verità”, hanno commenta-to alla notizia della fissa-zione dell’udienza, insegui-ta per una vita con la costantecelebrazione del ricordo e ipressanti appelli alle auto-rità giudiziarie, Giovanna e

Dodici giovani innocenti-alcuni operai dellaSavoia Marchetti di Sesto Calende- fucilati inpiazza per r a p p resaglia. E’ rimasto in vita unsolo imputato allora sottotenente di vascello

della marina del Reich

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ferito gravemente, si salvòper puro miracolo. La strage ebbe tempi rapi-dissimi: a mezzogiorno del13 agosto 1944 un interpre-te tedesco giunto sul camionche portava i feriti, avvisò lapopolazione di radunarsi inpiazza, comunicando che ilComando supremo per il fe-rimento dei 4 militari tedeschia San Michele, un rione diB o rgo Ticino, avrebbe presodei severi provvedimenti.Alle 14 l’arrivo dell’unitàdi Krumar di stanza sul lagoMaggiore, appoggiata damarò della X Mas diOngarillo Ungarelli, uno de-gli ufficiali di Junio Va l e r i oB o rghese, impresse la svol-ta decisiva all’azione: dopoaver chiesto una somma di300 mila lire come garan-zia della vita dei possibilifucilandi (somma raccolta econsegnata ai boia nazisti),iniziò la razzia casa per ca-sa, una serie di incendi, fur-ti, la scelta fra gli uominisotto i 30 anni di coloro chenon fossero in regola coi do-cumenti. Fra i fermati fini-rono anche dei giovani re-golarmente iscritti al fasciorepubblicano, un paio furo-no liberati dall’intervento

della Decima Mas, uno finìal muro. Un fatto gravissi-mo che provocò giorni do-po la dura reazione del Capodella Provincia di Va r e s eEnzo Savorgnan di Brazzà(il fucilatore a Reggio Emiliadei fratelli Cervi) presso i su-periori, ammonendo che fat-ti del genere avrebbero ac-cresciuto il discredito popo-lare del regime di Salò. Non ce n’era bisogno.Eseguita la rappresaglia, por-tate a compimento altre vio-lenze, i corpi dei caduti era-no stati abbandonati per ungiorno sulla nuda terra, inav-vicinabili dai familiari. Unabimba di sei anni, Piera, nonaveva retto allo spettacoloferale, ed era morta.

Quella che è passata alla sto-ria come la “strage di Borg oTi c i n o”, fra le più atroci ac-cadute nel nostro Paese nei600 giorni della Rsi, fa par-te di uno dei tanti processi asuo tempo istruiti e poi ino-pinatamente infilati nel co-siddetto “Armadio della ver-gogna” dal ProcuratoreGenerale Militare di RomaEnrico Santacroce che nel1960, per “ragion di Stato”,aveva deciso, in accordo colpotere politico di “archivia-re provvisoriamente” (isti-tuto giuridico non previstodal nostro codice di proce-dura penale) tutti i delitticompiuti dalle forze armatedel Reich sul territorio ita-

liano. Una decisione clamo-rosa maturata, sin dal 1956,in base agli accordi intercorsifra i ministri della Difesa edegli Esteri Emilio Ta v i a n i(dc) e Gaetano Martino (pli)per non “indebolire” la cre-dibilità del rinascente esercitodella Germania Federale infunzione antisovietica.Nessun processo ai tedeschiné a quelli di Marzabotto néa quelli di Cefalonia. Né adaltri. Una coltre di omertà dovevaricoprire il sangue dei mar-tiri. L’Italia centrista, mez-za bianca e mezza atlantica,mentre sbandierava la “be-stia comunista” impediva chela verità di chi era caduto per

la Patria fosse risarcito!Morale: tutto quello che lamagistratura italiana, “a cal-do” , subito dopo la guerra(1945-1950), era riuscita amettere a fuoco con indagi-ni supportate anche dalle au-torità di polizia anglo-ame-ricane (molti criminali diguerra erano infatti detenu-ti nei campi di prigioniaAlleati in Italia e all’estero)era stato accantonato e solonel 1994, casualmente, du-rante una ricerca coordina-ta dal Procuratore MilitareAntonino Infelisano per ilprocesso contro il capitanoPriebke, il killer delle FosseArdeatine, vennero ritrova-ti in un armadio con le anti-ne rivolte contro il muro aPalazzo Cesi ben 695 fasci-coli processuali che riguar-davano i massacri compiutidurante la guerra dagli oc-cupanti hitleriani.Uno scandalo che, dopo al-te grida e il capo cosparso dicenere, come capita spessoin Italia, durò poco. Il silen-zio lentamente ricoprì tuttomentre la Procura GeneraleMilitare, non più sottopostaal potere dell’esecutivo co-me al tempo del ProcuratoreSantacroce, provvide, nonsenza fatica, a sistemare i va-ri fascicoli, distribuendoliper competenza alle varieProcure territoriali peraltropoche seppur fornite distraordinari magistrati (il dot-tor Paolo Rivello di To r i n o ,per citare un nome).Purtroppo quasi tutti i re-sponsabili delle stragi eranonel frattempo deceduti o era-

no in tarda età, alcuni irre-peribili, altri al sicuro nei pa-radisi sud-americani rag-giunti a suo tempo con laconnivenza di amici poten-ti, anche prelati di alto ran-go, come nel caso diBormann e di Mengele. Ilpunto era che se processati al-lora, i criminali erano gio-vani uomini, ben individua-ti, colpiti da prove inoppu-gnabili ma soprattutto in mol-ti casi detenuti nei campi diraccolta per prigionieri, ita-liani e alleati.Qualcuno anni fa, dopo lascoperta romana, fu proces-sato e condannato all’erg a-stolo: Misha Seifert, il boiaucraino del campo di smi-stamento di polizia di Bol-zano-Gries, scoperto in Ca-nada ed estradato e T h e d o rSaevecke, il famigerato ca-po della Gestapo dell’HotelRegina di Milano, respon-sabile della fucilazione dei15 ostaggi a piazzale Loretoa Milano. Diverso il destinoper altri massacri. KarlFrederich Titho e HansHaage, comandanti dei cam-pi di smistamento di poliziadi Fossoli-Carpi e di Bol-zano-Gries, ad esempio, mo-rirono tranquillamente a ca-sa loro in Germania, mai di-sturbati dalla giustizia tede-sca. Così il “boia di Caiazzo”(Caserta), il tenente Wo l f-gang Emden, condannato al-l ’ e rgastolo a Santa MariaCapua a Vetere per la fuci-lazione di quindici contadi-ni e prescritto a Bonn.Ora la pagina atroce di Borg oTicino. Il processo ha soloun significato, quello sto-riografico. È quello che so-stiene a nome della colletti-vità l’ingegner FrancescoGallo, sindaco di Borg oTicino: “il processo è un at-to doveroso di giustizia ver-so le vittime, i loro familia-ri, tutti i cittadini colpiti da-gli incendi, dai saccheggi,dalla violenza immotivataed improvvisa. La ricercadella verità è un dovere mo-rale e un atto di fiducia nel-la democrazia e nel futuro”.

Chiesero (e ottennero) un riscatto poi fucilarono ugualmente 12 innocenti

tore Generale Militare di Roma Enrico Santacroce per “ragion di Stato”La stazione di Borgo

Ticino (Novara) nel1938. Nella pagina

accanto i dodici mart i r i .

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da ritagliare e conservare fino alla dichiarazione dei redditi

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E ’ in via di formazione l’Associazione, intitolata ad Angelo Castiglioni, per t e

Esponente di primopiano dell’Anpi nel-la sua zona, compo-

nente per decenni delConsiglio della sezione mi-lanese dell’Aned, da anniera diventato il custode uf-ficiale del Tempio Civico,una chiesetta dedicata asant’Anna che proprio sot-to il suo impulso da mez-zo secolo era stata trasfor-mata nella “casa della me-moria” di tutti i caduti e ditutti i deportati italiani.Castiglioni credeva fer-mamente nel valore del-l’impegno personale, dellapassione civile. Per oltre

Le nostres t o r i e

Angioletto: “La nostrasocietà ha oggi bisogno di quell’amore che ha vinto i campi di sterminio”

di Dario Ve n e g o n i

mezzo secolo, pur non es-sendo mai stato eletto con-sigliere comunale, ha par-tecipato in prima fila, tra ilpubblico, a tutte le sedutedel consiglio comunale del-la sua città. Ormai aveva il suo postofisso, e tutti lo definivano“il 41° consigliere” di unaistituzione che prevedreb-be, a rigore, solo 40 eletti.“Angioletto” Castiglioni erainsomma da decenni un pun-to di riferimento ineludibi-le per Busto Arsizio, ama-to e stimato da intere gene-razioni di ragazzi delle scuo-le, ai quali non si è stanca-

to di portare, fino all’ulti-mo, la sua testimonianza diresistente e di deportato, esoprattutto di uomo di pace.Forse nessun uomo,nell’Italia Repubblicana,ha avuto in vita e in mortei riconoscimenti che BustoArsizio gli ha riservato.Caso probabilmente uniconella storia nazionale, a luiil Consiglio comunale diBusto Arsizio – retto da unaGiunta di centrodestra – hadeliberato all’unanimità diintitolare il largo antistan-te il “suo” Tempio Civico,che dal 25 aprile dello scor-so anno si chiama, appunto,

L a rgo Angelo Castiglioni.Da tempo sofferente e am-malato, “Angioletto” trovòla forza di presenziare a que-sta incredibile cerimonia,nel corso della quale si inti-tolava una via a un vivente.Anche in quella occasionelui non si smentì, pronun-ciando con voce flebile so-lo poche parole: “La nostrasocietà – aveva detto – haoggi più che mai bisogno diamore; quell’amore che havinto i campi di sterminio eche oggi deve spingerci astringere la mano tesa di uo-mini, donne e bambini checi chiedono aiuto”.

È ’ passato ormai un anno dalla scomparsa diAngelo Castiglioni, “Angioletto”, come tuttilo chiamavano nella sua Busto A r s i z i o .

P a rtigiano, deportato politico nel campo diFlossenbürg, per o l t re sessant’anni è statonella sua città la figura di riferimento del-l’antifascismo, della lotta per la pace, per l a

democrazia, per il pro g resso sociale dei più deboli.

25 aprile 2011, l’intitolazione del largo "Angelo Castiglioni"

Il tuo cinqueper mille

( 5 %o) a l l aF o n d a z i o n e

Memoria d e l l a

D e p o r t a z i o n e

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Lo striscione con la scritta a pennello:‘Angelo, passi di una storia in cammino’

A suo nome l’aula magna del liceo, a suo tempo covo della Brigata Nera

n e re vivala memoria del il suo impegno Il ricordo a Isola della Scala (Ve ro n a )

Davanti a lui un gruppo diragazzi reggeva uno stri-scione con una scritta trac-ciata con la vernice rossa:“Angelo, passi di una sto-ria in cammino”.Venuto a mancare un mesedopo quella cerimonia, il24 maggio 2011, a ottan-totto anni, l’ex deportatodi Flossenbürg è stato alcentro di esequie memora-bili: si stima che in un paiodi giorni non meno di die-cimila persone abbiano re-so omaggio alla camera ar-dente, allestita proprio nelTempio Civico.

Nei giorni successivi si èsvolta una commossa com-memorazione in Consigliocomunale, guastata solodalle intemperanze di unosparuto gruppo di neofa-scisti. In quella occasione sidecise di dedicargli anchela sala del Consiglio co-munale, di cui lui fu certa-mente il frequentatore piùassiduo nel dopoguerra. Il suo fazzoletto di depor-tato, il fazzoletto del-l’Aned, è stato messo inuna cornice su una paretedell’aula consigliare, insuo imperituro ricordo.

L’ 11 novembre scorso, nel-l’anniversario del suo ar-resto, gli è stata intitolatal’aula magna del liceo cheha sede in quello che fu asuo tempo il covo dellaBrigata nera, nei cui sot-terranei anche A n g e l oCastiglioni, come altri par-tigiani, fu terribilmente tor-turato. Il giorno prima un altro li-ceo, a cui la famiglia hadonato i libri appartenutiallo scomparso, gli avevaintitolato la Biblioteca.Amici e compagni di Bustohanno assunto l’impegnodi custodire i l Te m p i oCivico in suo nome, se-

guendo i l suo insegna-mento, e si sono già fattipromotori di numerose ini-ziative di solidarietà.Oggi infine è in via di for-mazione a Busto l’asso-ciazione Angioletto Ca-stiglioni, che si prefiggedi tenere vivo il suo ricor-do e di fare proprio il suoimpegno. Aderiranno do-centi e studenti delle scuo-le cittadine, org a n i z z a z i o-ni ed enti no profit. L’Aned di Milano figuratra i soci fondatori di que-sto sodalizio che terrà vi-vo nel tempo il nome diquesto nostro straordina-rio compagno.

Gracco Spaziani, natonel 1884, avvocato, an-timilitarista, antifasci-

sta, deportato nel lager diMauthausen in cui morì nelfebbraio 1945. Avvocato, uo-mo di grande cultura, socia-lista, antifascista eAntimilitarista, le persone chelo conobbero lo descriveva-no come un uomo buono, congrande sensibilità d'animo.Dietro la sua scrivania cam-peggiavano i ritratti di Mazzini e Garibaldi e un'immaginedi Gesù con la scritta "Cristo uomo. Nel 1913 si iscrive alPartito Socialista, manifestando subito le sue idee contro laguerra. Durante il conflitto del '15-'18 rischia di essere de-ferito al Tribunale Militare e in seguito ripetutamente arrestato.

Nel 1922, con la cosiddetta “rivoluzione fascista” ar-rivarono a Casteldario le squadracce ad imporre conil manganello il loro “ordine”. Gracco Spaziani fu si-

stematicamente perseguitato, minacciato, osteggiato.Il 22 novembre del 1944, all'alba, militari della brigata ne-ra irrompono nella casa della famiglia Spaziani con le ar-mi spianate. L'accusa e' di aver organizzato il Comitato diLiberazione. Con altri dieci antifascisti e' condotto al vici-no comando tedesco ed interrogato. Il Comitato diLiberazione di Isola della Scala faceva capo alla Brigatapartigiana "Anita" ed era in collegamento con la MissioneR . Y.E. degli A l l e a t i .

Inizia il calvario, prima alla federazione fascista di Ve r o n ae poi nella sede delle brigate nere. Viene torturato, allapresenza del figlio. Chiuso in celle luride e fredde per un

mese di efferate torture ed interrogatori senza fine. Vi e n equindi trasferito al campo di concentramento di Bolzano.Con la Liberazione del 25 aprile Gracco Spaziani fu pro-clamato primo sindaco alla memoria di Isola della Scala( Verona). Pochi giorni dopo sua moglie Giuseppina e' in-tervenuta pubblicamente affinché i partigiani lasciasserolibero un capo locale delle brigate nere che stava per esse-re giustiziato con la fucilazione: "Basta! Fermi! Non vogliamopiù morti". La sua autorevolezza era tale in Paese per tut-to quello che aveva sofferto e sopportato in oltre vent’an-ni di persecuzione che riuscì nel suo intento, e al fascista fusalvata la vita.

Gracco Spaziani, a n t i f a s c i s t aa n t i m i l i t a r i s t am o rto a Mauthausen

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Il 7 aprile 1939 le truppe italiane sbarcano

Gli italiani nei Balcani

Il 7 aprile 1939 le trup-pe italiane sbarcano inAlbania, rispondendo

per ripicca all’ A n s c h l u s stedesco dell’Austria. Sel’occupazione dell’Albaniarisultò facile, non altret-tanto si può dire del tenta-tivo di occupazione deglialtri paesi dei Balcani, ten-tata dal governo diMussolini negli anni suc-

cessivi. Alla fine del 1940,sei mesi dopo l’entrata inguerra a fianco dellaGermania, le truppe ita-liane non avevano ottenu-ti grandi risultati, né con-tro la Francia, né in A f r i c aorientale e in Libia.L’occupazione della Greciadoveva garantire una pro-va di riscatto per il regimefascista. Fu una ulteriore

prova dell’ i m p r e p a r a z i o-ne e del dilettantismo deigruppi dirigenti dell’eser-cito italiano. Il 28 ottobre 1940, Mus-solini scatenò, all’insa-puta dell’alleato nazista,la guerra contro la Grecia. Il governo fascista fu cosìcostretto a ricorrere al-l’aiuto dei tedeschi per ri-solvere una drammatica si-tuazione che lo stessoHitler non aveva certa-mente voluta. Il 6 aprile 1941 gli eserci-

ti tedesco e italiano attac-carono di sorpresa laJugoslavia, con scopo diinvadere anche la Greciaprovenendo da Nord.

La Jugoslavia – dila-niata da contrasti in-terni – venne inva-

sa nel giro di poche setti-mane e altrettanto rapidafu la capitolazione dellaGrecia, per l’irrompere de-gli eserciti italiano e tede-sco. Fu proprio in questopaese che nacque il primo

di Bruno Enriotti

P e r meglio compre n d e re i misfatti dei battaglionifascisti in Jugoslavia si può leggere sul sito dellaFondazione R.S.I. - Istituto storico l ’ a rticolo diStefano Fabei dal titolo Camicie nere in Balcaniadatato 19 giugno 2011 .

Anche i fascisti lo ammettono:“ N e l l ’ e s e rcito c’eranore p a rti ostili al Regime”

Scrive Fabei: “Il corag-gio e la determinazionedi molte camicie nere,per il timore che potes-sero far sfigurare le altreunità italiane apparte-nenti al Regio esercito,spinse certi comandi afar rimpatriare reparti dianziani squadristi inviati

da alcune regioni italianee ciò contribuì ad ap-profondire, ancor primadel tradimento monarchi-co-badogliano e dell’ar-mistizio, il fossato tra imiliziani fascisti e i sol-dati dell’esercito non ingrado, secondo le camicienere, di fare la guerra se-

riamente e con la necessa-ria determinazione.Illuminante l’opinione deivertici della Milizia ri-guardo ai commilitonidell’esercito, emerg e n t ein modo particolare il 28aprile 1943, quando a pro-posito di uno dei ciclioperativi in Croazia, cosìsi espresse il comando ge-nerale della MVSN sulcomportamento della di-visione “Re”: “A s s e n z aassoluta di spirito com -battivo. Si è ripetuto quel -lo che in altre occasioniera stato detto e riferitoma che a stento si è cre -duto. Cioè che esistonore p a rti che non combatto -no. Che attaccati cedonoimmediatamente. Che la -sciano le armi pur di con -s e rv a re la vita. Si diceva

tra le nostre truppe, chedurante il ripiegamentodella “Re”, in qualcheoccasione i part i g i a n inon si siano nemmenop resi la briga di uccide -re i soldati, ma di rin -c o rrerli, disarmarli ep renderli a calci nel fon -do schiena. Viene logicoil pensiero che inC roazia non si sia fattomolto per serv i re degna -mente la Patria in guer -r a”. Questa sensazionedel tradimento più o me-no evidente dei repartidel Regio esercito, spes-so vigliacchi e ostili alRegime, contrari a unaguerra non sentita, fuuno degli elementi checontrapposero i pochi,più determinati e corag-giosi membri della

Segue

Elena Aga Rossi eMaria Teresa Giusti

Una guerra a parte – I militari italiani nei

Balcani 1940-1945Il Mulino (col-

lana Biblioteca storica)pagine 660,euro 28,05

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o in Albania

Una tragedia p e r quelle terre e per l ’ e s e rcito che le ha invase

Milizia a quanti si sareb-bero invece rifiutati diaderire alla RSILa situazione non cambiaper quanto riguarda laGrecia. Scrive infattiFabei: “Anche in que-st’area, come in quellajugoslava, la spaccaturafra i soldati del Regioesercito e quelli dellaMilizia si approfondì benprima dell’armistizio,rendendo più evidente ildisprezzo elitario con cuile CCNN guardavanoagli altri commilitoni, in-capaci di affrontare la fa-se più dura del conflittocon quel f u ror bellicusfascista che avrebbe do-vuto costituire, secondogli intenti del regime, ildna delle nostre forze ar-m a t e . ”

Una Camicia neradella miliziaperquisisce un cittadinocroato (1943)

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movimento partigiano an-tinazista e antifascistad’Europa, quasi contem-poraneamente a quello ju-g o s l a v o .

Dopo l’occupazionedella Jugoslaviaall’Italia fu asse-

gnata una parte dellaSlovenia (la provincia diLubiana) e la Dalmazia,mentre nella restante par-te del paese era dominatodai tedeschi. Il dissolvi-mento dello Stato jugo-slavo ebbe effetti partico-larmente gravi nello statoindipendente della Croazia,dove la guerra civile si tra-sformerà in una vera e pro-pria pulizia etnica. A n t ePavelic, capo del nuovogoverno croato e leader delpartito dei croati cattoliciustascia, che era stato unallievo esemplare del fa-

scismo e del nazismo, nelgiro di pochi anni riuscì adeliminare oltre il 16 percento della popolazione delsuo paese.“Gli ustascia - si legge inuna relazione dei rappre-sentanti del governo in-glese – erano ferventi cat -tolici. Ora che erano incondizioni di farlo, cerc a -rono di eliminare la chie -sa ortodossa dai loro do -mini. I villaggi furono sac -cheggiati e razziati. I loroabitanti massacrati, vec -chi e giovani, uomini, don -ne e bambini. I rappre -sentati del clero ort o d o s s o

Un rastrellamento di civili da parte di militari

Gli Italiani nei Balcani Una tragedia per

v e n n e ro torturasti e ucci -si, le chiese sconsacrate ed i s t rutte o bruciate cond e n t ro i fedeli (una tipicaspecialità degli ustascia)” .Di fronte all’estendersi del-la guerriglia gli eserciti oc-cupanti la Jugoslavia rea-girono sia con una brutalerepressione, sia con unaserie di operazioni milita-ri coordinate su iniziativatedesca che aveva lo scopodi “estinguere” tutte le for-se di resistenza.

Il 2 febbraio 1942 in unariunione dei comandiitaliani e tedeschi si pre-

parò un piano operativo,denominato “Trio” con l’o-biettivo di riconquistare ilcontrollo del territorio con-trollato dai partigiani e di-struggere il comando diTito. La prima azione ven-ne compiuta dal 15 al 25aprile, ma fu un fallimen-to. Una successiva fase del-l’operazione “Trio” fu av-viata il 7 maggio, ma an-che questa volta i parti-giani, dopo una serie discontri, riuscirono a sfug-gire all’accerchiamento. Ilmaggior numero di perdi-te subite dalle truppe ita-liane rispetto a quelle deitedeschi, dimostra quandogrande fu l’impegno delnostro esercito in questaoperazione antipartigiana.

Assieme all’attivitàmilitare gli italianifurono protagonisti

1941: il confine tra Regnod’Italia, Regno di Croazia eTerzo Reich

Soldati italiani della divisione Siena in Macedonia nel 1941.

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37italiani (Dalmazia marzo 1943.) Prigionieri catturati da un battaglione di Camicie nere.

r quelle terre e per l’esercito che le ha invase

di azioni di repressione checoinvolgevano spesso an-che i civili. In una circo-lare a firma del generaleMario Roatta – coman-dante della IIa Armata ita-liana in Jugoslavia - di-stribuita ai comandanti dibattaglione, e nella qualesi autorizzavano rappre-saglie sugli ostaggi in ca-so di attentati i cui autorifossero rimasti ignoti, silegge “il trattamento daf a re ai ribelli non deve es -s e re sintetizzato nella for -mula “dente per dente”,bensì in quella “”testa perd e n t e” .Nelle lettere dei soldati ita-liani ai familiari – pubbli-cate nel volume “U n ag u e rra a parte – I militariitaliani nei Balcani 1940-1 9 4 5” di Elena Aga Rossie Maria Teresa Giusti - sitrova la testimonianza di-

retta di queste atrocità.

Scrive un caporale diCapranica (Vi t e r b o ) ,alla fidanzata “Noi se -

mo andati prima abbiamosaccheggiati tutte le casee poi subito infiamme, do -ve c’erano tante sorte dirobba vestiti lenzuola mac -chine da cucire inzommatutto infiamme, ma ce chiapotuto portar via allasvelta, ma io non potevoc o l l a re tanta robba e così

e preso quel poco potevop o rt a re e semo tornati alsolito posto e li granatie -ri cilanno comperato maio non lavolevo vendarep e rché pensavo che silap o rtavo a casa quanto eram e g l i o .

Il turbamento di tanti mi-litari italiani di frontea tante atrocità lo si può

leggere nella testimonian-za di un capitano dei

Il battaglione Gramsciformato da partigianiitaliani sfila nelle vie diTirana liberata (novembre1944)

Cacciatori delle Alpi : “M isento un boia. A furia dibarbarie incattivisco nonho pietà nemmeno adesso.Comincio a re s t a re im -passibile dinanzi alla ro -vina. Penso che io sia quiper colpa loro. Io non amola guerra e non ho nullada guadagnare dalla guer -ra. Non mi sembra di la -v o r a re qui per la gran -dezza della patria. Mi sem -bra meschina l’idea cheq u a t t ro ribelli, possano in -f l u i re nei destini della miat e rra e che io contribuen -do ad eliminarli, salvi lasituazione del domani”

Anche in Albania -come del resto inGrecia dove l’eser-

ci to italiano si rese re-sponsabile di vere e pro-prie stragi come nel paesedi Domenikos - gli inva-

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sori dovettero fare i conticon il movimento parti-giano che faceva capo alPartito comunista albanesediretto da Enver Hoxha.Annotava nel suo diario ilgenerale Ambrosio nell’e-state del 1943: “La situa-zione interna si va facendosempre più grave. L’ A l b a n i ameridionale è in aperta ri-volta e la ribellione dilagaverso nord.

Ènecessario intensifi-care al massimo leoperazioni contro i

ribelli, per domare com-pletamente o ridurre al-meno le zone in rivolta”All’annuncio dell’armi-stizio, l’8 settembre 1943,la situazione dei militariitaliani si fece ancor piùdrammatica, come vienedescritta in queste stessepagine dall’esperienza diGianfranco Maris, attualepresidente nazionale del-l’Aned qui di seguito. Sono stati molti i militariitaliani che si unirono alle

formazioni partigiane inJugoslavia, in Grecia e inAlbania. In rimpatrio diquesti militari fu estrema-mente difficoltoso. Dalla Jugoslavia, alla finedel 1945 era stati rimpa-triati poco più di 47.000militari. Ne restavano an-cora 30.000 che si trasfor-marono in una sorta di mer-ce di scambio per il nuo-vo governo della Jugo-slavia che rivendicavaTrieste e la Venezia Giulia.

Fu necessaria una lun-ga e delicata opera dimediazione del go-

verno italiano di allora, dicui facevano parte tutti ipartiti antifascisti, per farritornare in Italia tutti i no-stri soldati. Solo nel 1949il rimpatrio di quel che re-stava dello sconfitto eser-cito italiano poteva dirsiconcluso. Restarono nellecarceri jugoslave soltantoqualche decina di italianiritenuti responsabili di gra-vi reati politici.

Io, ufficiale in Jugoslavia,c o n t ro i part i g i a n ie nelle mani dei tedeschi

di Gianfranco Maris

Pubblichiamo la testimonianza del presidente nazionaledell’Aned e della Fondazione memoria della deport a-zione, sulla sua esperienza di ufficiale dell’esercito ita-liano in Jugoslavia

Sono arrivato in Croazia all’inizio del ’42 e ci sono ri-masto fino all’8 settembre ’43, un anno e otto mesi.Ero sottotenente di fanteria e comandavo un gruppo

abbastanza composito, soltanto due cannoncini anticar-ro, alcuni mortai preda bellica francese del ’41, un cen-tinaio di soldati e una ventina di muli. Il mio battaglionenon aveva compiti di rastrellamento, ma quello di capo-saldo e di garantire che militari, muli, armi e munizioninon cadessero nelle mani dei partigiani. Come reggimento abbiamo avuto due sole grandi batta-glie contro i partigiani nelle quali abbiamo perso moltis-simi uomini. La prima nell’ottobre del 1942 a Brodnakuti,un paese che aveva un ponte sul fiume Kupa; l’altra, in unpaese che si chiamava Malabelasten, nel marzo del ’43.

ABrodnakuti ci furono più di 150 morti, tra cui unaventina di ufficiali tra i quali il nostro tenente me-dico e diversi comandanti di battaglione. Caduta la

notte, potemmo soltanto raccogliere i nostri morti. I par-tigiani si erano naturalmente ritirati. Fui mandato a “ra-

Gli Italiani nei Balcani Una tragedia per

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strellare” il terreno non tanto per catturare i nemici maper vedere cos’era accaduto. Trovai moltissimi morti, an-che partigiani. Era uno scenario terribile che in me su-scitava riflessioni profonde.L’altro scontro avvenne come ho detto a Malabelasten.Eravamo in montagna e il reggimento si trovò circonda-to dai partigiani. Riuscimmo a sganciarci ma ci furono tragli italiani circa duecento morti.Il mio stato d’animo era di profonda angoscia. Fin dal-l’arrivo in Jugoslavia avevo visto bruciare i paesi e io midicevo “Ma noi qui cosa facciamo? Bruciamo i paesi, uc-cidiamo le persone, razziamo il bestiame”.

Il nostro reggimento era formato solo da pochi soldatiche avevano alle loro spalle una discreta cultura, qua-si tutti operai che erano addetti ai pezzi. Tutti gli altri,

il 90 per cento, erano contadini, ma non quelli "ricchi"della Valle Padana o dell’Emilia, erano soprattutto sardie siciliani. Molti di loro non erano più giovanissimi, ave-vano superato la trentina, erano pastori già sposati condue, tre, quattro, cinque figli, molti erano analfabeti. Perquesto il ruolo di un giovane ufficiale che comandava unreparto di quel genere era molto particolare: soprattuttoleggere e scrivere le lettere per chi era analfabeta.

Si entrava così in contatto con una umanità straziata,una umanità di fame, di miseria, di sopraff a z i o n e .Erano uomini miti, obbedienti, disciplinati che ave-

vano fiducia nel loro giovane ufficiale, al quale poneva-

no domande alle quali però era difficile dare una risposta.

Venne il 25 luglio e la situazione si fece ancor piùcomplicata. I soldati mi chiedevano: “Ma perché laguerra continua?” e io non sapevo cosa risponde-

re. Covavo dentro di me un vulcano di rabbia, ma nonsapevo cosa fare. Mi ordinarono di recarmi presso una com-pagnia della Milizia fascista per inglobarla nel nostro plo-tone, secondo le disposizioni del governo Badoglio. Non era cosa facile e c’era il rischio di uno scontro ar-mato tra soldati italiani e militi fascisti. Ci riuscii, anchegrazie alla collaborazione del loro comandante che erauna persona di buon senso.In questo clima venne l’8 settembre. Lo seppi da un sol-dato addetto alla radio che uscì urlando: L’armistizio! Laguerra è finita!”.

Non sapevamo cosa fare. Decisi di tornare versol’Italia, distante qualche centinaio di chilometri.Fu una lunga marcia di circa 500 soldati e io era l’u-

nico ufficiale in divisa. Ovunque scene dell’abbandono:camionette sul ciglio della strada, vettovaglie abbando-nate, la traccia evidente di uno sfacelo militare.Camminavamo senza sapere dove andare. A l l ’ i m p r o v v i s o ,poco lontano da Trieste, i tedeschi ci hanno circondati erinchiuso subito nei carri bestiame. È iniziato così unviaggio durato sette giorni verso Berlino. È stato il mio pri-mo internamento in Germania. Riuscii a tornare fortuno-samente in Italia, divenni partigiano, fui catturato e de-portato nel lager di Mauthausen.

r quelle terre e per l’esercito che le ha invase

Foto all’estrema sinistra:la resa delle truppe italianein Grecia (9 settembre1943). Qui a lato:partigiani albanesi ebersaglieri italianinell’autunno 1944. A destra: il generaleAdolfo Infante,comandante della divisione Pinerolo, con i comandanti dei partigiani greci.