Le nobili ascendenze storiche confluite nella celebrazione...

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CASTELLANETA di Domenica Terrusi Strettamente connesse al ciclo produttivo, affidato dagli uomini alla Provvidenza insieme agli effetti delle fasi lunari ed all’azione del sole, del vento e della pioggia, le feste religiose rappresentano una cerniera tra epoche diverse e la memoria culturale di tempi lontani. In un paese come il nostro che è stato un importante crocevia attraverso il quale sono passati culture, personaggi, idee e religioni di diverse matrici, ciascuna presenza ha lasciato una traccia che, poi, è emersa nel vivere quotidiano, nell’espressione artistica di edifici sacri e civili, nell’evoluzione linguistica, nella memoria storica ed in una spiritualità composita che, col passare del tempo , ha raggiunto una fisionomia propria,ma con una prevalenza della componente greco- bizantina e romana. La lunga dimestichezza con la cultura greca ha permesso alla nostra gente di entrare in contatto con le suggestioni dell’etica e delle componenti socio- economiche di una società profondamente rispettosa degli dei e della religione. Queste nobili ascendenze storiche sopravvivono nelle nostre tradizioni religiose e, soprattutto, nel rituale dei miti che celebrano la rinascita della Natura, confluito nella celebrazione della Pasqua. E’ preceduta dalla Quaresima, un periodo di purificazione di 40 giorni, dal mercoledì delle Ceneri a Pasqua, (a ricordo dei 40 giorni trascorsi da Cristo nel deserto) durante il quale si osservava l’astinenza alimentare e sessuale, prescritte da antiche norme ecclesiastiche, e si meditava sulle pene della Passione. Questo lungo periodo di limitazione della carne e di tutti i prodotti d’origine animale, sostituiti da verdure, legumi, pesce , baccalà e, per condimento della pasta, mollica di pane sbriciolata tra le mani e fritta in olio d’oliva (u furmàgge da Quarèseme), preparava alla rinascita spirituale della Pasqua. Il rito d’estrazione naturalistica e pagana, (comune a tutte le tradizioni dell’area mediterranea, come del vicino Oriente) che celebra il passaggio dal vecchio anno all’equinozio di primavera, è diventato nel Cristianesimo sponsale unione della natura divina con la natura umana nella persona di Cristo che si sacrifica per consentire all’uomo di passare dalla morte alla vita, dal peccato alla grazia, dal dolore alla gioia. E’ questo lo spirito che anima i riti della Settimana Santa anticipati dalla celebrazione del fuoco purificatore, nei falò di San Giuseppe e dell’Annunciazione. Si bruciano sarmenti e rami d’ulivo provenienti dalla potatura e, dalla direzione del fumo e delle scintille di quei fuochi propiziatori, i contadini traggono ancora indicazioni circa l’andamento dell’annata agraria. Era credenza diffusa, in passato, che saltando su quei fuochi, ci si potesse purificare e immunizzare dai malanni. A queste ricorrenze è legato un dolce tipico “le falle” in cui confluiscono gli ultimi ingredienti stagionali (marmellate, soprattutto d’uva,mandorle e noci) prima della loro sostituzione con i prodotti del nuovo raccolto. Dolci molto gustosi che interrompono l’astinenza quaresimale insieme ai panzerotti di ricotta, consentiti per la domenica delle Palme, quando si festeggia l’ingresso trionfale di Cristo in Gerusalemme, accolto da una folla festante che agitava, in segno di omaggio, rami di palma e di ulivo. A memoria di questo evento, l’albero d’ulivo, simbolo di Cristo, è considerato l’albero della misericordia e della pace. In tutte le chiese, prima della celebrazione della messa, avviene la benedizione delle Palme, che si usa portare nelle case e scambiare, come pegno di riconciliazione. Il processo di purificazione intrapre- so sembra aver raggiunto il suo scopo. Infatti, in quel giorno, ci si sente più pronti a ricucire gli strappi ed a riconciliarsi con gli altri, come traspare da alcune strofette popolari: Jòsce so i Pàlme benedìtte (Oggi sono le Palme benedette) E nò jè tjìmde de stè nemìsce (e non è tempo di restare nemici), So i Tùrche e fàscene a pèsce (perfino im Turchi fanno la pace),Chèsse jè a Pàlme e ffè accòme te pisce (Questa è la palma e fai come ti pare). Quànne arrìve chèdda dìa sànde (Quando arriva quel giorno santo), Agghia preparè na bèlla Pàlme ( devo preparare una bella Palma). L’àgghia ‘ndreccè d’òre e d’argjìnde (La devo intrecciare con oro e argento) E ‘nge l’è purtè a ci me dè turmjìnde (e la porterò a chi mi procura tormenti), ‘Nge l’è purtè all’amòre mìj che fè a pèsce (La porterò all’amore mio per fare la pace). “Jìndr’a sta Palme stè u còre mìj (In questa palma sta il cuore mio), fascìme a pèsce che l’amòre de Ddìj” ()facciamo la pace per amore di Dio”). Ancora oggi, i contadini collocano rami d’ulivo benedetto sui pagliai, nelle stalle, in mezzo ai campi, negli orti e sulle testate dei letti. Sono ritenuti efficaci per tenere lontano malattie, tempeste, grandine, fulmini e per far morire talpe, topi e cavallette. Ma l’ulivo, albero cosmico che collega cielo, terra ed inferi, si trasforma in Croce quando il Salvatore dell’Umanità si offre in sacrificio. Dal giorno delle Palme, l’attesa di questo evento di salvezza diventa più intensa e partecipata. Il ciclo delle celebrazioni pasquali comincia il Lunedì Santo, ma è molto seguita dal popolo la Messa del Giovedì che rievoca l’Ultima Cena e la Lavanda dei piedi. In passato, il Vescovo, nella chiesa cattedrale, lavava i piedi a dodici poveri, rappresentanti i dodici apostoli, glieli baciava e congedava tutti, offrendo un pezzo di pane. Dopo questa cerimonia si esponeva l’Ostia consacrata, sull’altare maggiore, intensamente illuminato, adorno di fiori e attorniato da piatti di grano e legumi fatti germogliare al buio. Essi richiamano un antichissimo rito pagano in onore di Adone, bellissimo dio di origine siriaca, a cui gli antichi popoli del Mediterraneo offrivano piatti di semi,germogliati al buio, per propiziarsi un felice ritorno della primavera. Gli altari, così ornati, vengono chiamati erroneamente “Sepolcri” e sono tuttora meta di pellegrinaggio e di preghiere in tutte le chiese, che gareggiano nel renderli quanto più belli e suggestivi. Fino al 1954, nella chiesa cattedrale , dalle dodici alle quindici del Venerdì Santo si svolgevano le tre ore di agonia, durante le quali un valente predicatore commentava le frasi più significative riportate dai Vangeli riguardo alla Passione di Cristo: “Madre, ecco tuo figlio.” – “Figlio, ecco tua madre.” – “Ho sete!.” – “Padre perdona loro, perché non sanno quello che fanno.”- “ Dio mio, perché mi hai abbandonato?” – “Padre, nelle tue mani rimetto il mio spirito.” – “Oggi sarai con me in paradiso” ( rivolta al buon ladrone) “Tutto è compiuto.” Ogni frase rappresentava il tema di una predica, conclusa da canti eseguiti dal popolo. Al termine si leggevano le Lamentazioni di Geremia. Alla conclusione di esse , il priore della confraternita dell’Addolorata bussava con “la mazza” dietro la porta della Cattedrale e il predicatore diceva, ad alta voce: “ Entra, Maria!.”IL portone veniva aperto, entrava la statua dell’Addolorata portata a spalla, dai confratelli e si fermava davanti al pulpito. Il predicatore si sporgeva per deporre tra le braccia della Madonna il Crocifisso, dicendo: “Maria, ecco tuo figlio.” tra la commozione generale. Dopo questa suggestiva e coinvolgente cerimonia, cominciava la fun- zione liturgica definita dal popolo”messa sciuscète”durante la quale gli altari vengono spogliati de- gli arredi sacri ( a ricordo della rapina delle vesti di Cristo da parte dei soldati romani), si coprono le croci e si legano le campane. Da quel momento il loro suono viene sostituito dalle “Tocca,tocche” battole di legno, di forma rettangolare e terminanti a punta, munite su entrambi i lati, di maniglie metalliche, che vengono agitate ritmicamente, a loro si associano “le tròzzele” costituite da ruote dentate,.montate su un perno girevole, che producono un crepitio fragoroso nell’attrito con una lamina flessibile di legno. Con questi strumenti, confratelli e ragazzi fanno da battistrada per annunciare l’avvicinarsi delle processioni della Passione. La sera del Venerdì Santo esce dalla Cattedrale la processione dei Misteri (statue rappresentanti i Misteri Dolorosi) con tutto il suo carico emotivo tra ali di folla attenta e raccolta nel dolore della passione. Le statue sono portate, a spalla, da devoti che camminano scalzi, indossano un lungo camice bianco stretto in vita da un cordone ed hanno il capo coperto da un cappuccio con due fori, in corrispondenza degli occhi, e fermato da una corona di spine. Dietro le statue, precedute dai lampieri, si snoda una doppia fila “la colonna” di uomini vestiti di nero su camicia bianca, con guanti neri la sera, bianchi la mattina del sabato e corona di spine sul capo. In gruppi di quattro per volta si alternano anch’essi nel trasporto delle statue, lungo le strade del paese. La statua dell’Addolorata è seguita da una doppia fila di donne vestite e velate di nero, che si alternano nel portarla a spalla, mentre cantano struggenti canzoni ispirate alla Passione, accompagnate dal suono della banda cittadina che riesce a trasmettere il pathos di questa avvincente manifestazione. Alle prime ore del Sabato Santo esce la processione di Gesù morto e dell’Addolorata, a cui partecipano concittadini venuti da lontano per sciogliere un voto o per dar corpo ad una tradizione cui sono profondamente legati. Preceduta dal crocifero che. a piedi scalzi, trascina faticosamente il suo carico appesantito, in passato, da una grossa pietra”a pesère” segue lo stesso rituale con gli stessi partecipanti della sera precedente. Al rientro di questa processione, molto seguita dalla popolazione, si celebra la messa del Gloria e si sciolgono le campane che annunciano la Resurrezione di Cristo. A quel suono festoso, ancora oggi, le donne anziane battono con mazze in tutti gli angoli della casa e sotto i letti, pronunciando la formula: “Jìsse trìste (diavolo) ca à trasì Crìste”. Le mamme liberavano i bambini dalle fasce, li coprivano con una tunichetta “a vestecèdde” e li portavano sull’altare maggiore. Sorreggendoli in piedi, pronunciavano l’invocazione: “Sepuldùra, sepuldùre, fè scapelè stù criatùre. I bambini più grandicelli, che avevano partecipato all’astinenza quaresimale, ricevevano in dono “i scarcèdde”, dolci di pasta frolla a forma di cavallucci per i maschietti, di colombe o panierini per le femminuc- ce, con uova incastonate nell’impasto, quando non erano ancora diffuse le uova di cioccolata..Per sollecitare la concessione di questo dolce molto atteso, i ragazzi cantavano la strofetta: “Pasqua, Pasque, vjìne currènne ,ca i criatùre vòne chiangènne, vòne chiagènne che tùtte u còre: scarcèdde che l’òve, scarcèdde che l’òve”. L’uovo, simbolo della Pasqua, della rinascita e della fecondità della natura, entra in tutte le pietanze e i dolci rituali della Pasqua, primi fra tutti i taralli con le uova nella cui preparazione si concentrava, in passato, l’impegno ed il punto d’onore delle donne nell’averli leggeri e gonfi:”sckattète”. La loro buona riuscita era considerata di buon auspicio, altrimenti diventava motivo di malumore e di ansia per eventuali malanni o ristrettezze economiche. Le uova strapazzate arricchiscono i timballi di cardoncelli selvatici,cotti in brodo d’agnello, le frittate di asparagi, i lampagioni e i carciofi fritti che compongono il menù di Pasqua insieme all’immancabile “benedìtte” : la carne d’agnello preparata in vari modi, come cibo propiziatorio. Non mancano, nelle vetrine delle pasticcerie, gli agnellini di pasta reale che vengono regalati, soprattutto alle fidanzate dai loro innamorati. Dopo averlo mostrato, con evidente compiacimento, a parenti ed amici, l’agnellino veniva diviso a metà e la parte della testa, in passato, veniva inviato a casa dei suoceri. In questi cibi, come nel “calzone” del Venerdì Santo, previsti in tutte le case, è ravvisabile una specie di aggregazione popolare e un diffuso sentimento religioso che annulla ogni discriminazione. Questa festa , che celebra il trionfo della vita sulla morte, della luce sull’oscurità, della sostanza sull’apparenza, arriva in un mondo in pena dove l’odio semina altro odio, l’ingiustizia altra ingiustizia, la miseria altra miseria e in cui tutti vorremmo essere consolati, con la prospettiva credibile di un futuro migliore. Le nobili ascendenze storiche confluite nella celebrazione dei riti Pasqua: il trionfo della vita sulla morte, della luce sull’oscurità, della sostanza sull’apparenza Un mondo in pena dove l’odio semina altro odio, l’ingiustizia altra ingiustizia, la miseria altra miseria e in cui tutti vorremmo essere consolati, con la prospettiva credibile di un futuro migliore 28 Sabato 15 marzo 2008

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CASTELLANETA

di Domenica Terrusi

Strettamente connesse al cicloproduttivo, affidato dagli uomini allaProvvidenza insieme agli effetti dellefasi lunari ed all’azione del sole, delvento e della pioggia, le feste religioserappresentano una cerniera traepoche diverse e la memoria culturaledi tempi lontani. In un paese come ilnostro che è stato un importantecrocevia attraverso il quale sonopassati culture, personaggi, idee ereligioni di diverse matrici, ciascunapresenza ha lasciato una traccia che,poi, è emersa nel vivere quotidiano,nell’espressione artistica di edificisacri e civi l i , nel l ’evoluzionelinguistica, nella memoria storica edin una spiritualità composita che, colpassare del tempo , ha raggiunto unafisionomia propria,ma con unaprevalenza della componente greco-bizantina e romana. La lungadimestichezza con la cultura grecaha permesso alla nostra gente dientrare in contatto con le suggestionidell’etica e delle componenti socio-economiche d i una soc ie tàprofondamente rispettosa degli deie della religione. Queste nobiliascendenze storiche sopravvivononelle nostre tradizioni religiose e,soprattutto, nel rituale dei miti checelebrano la rinascita della Natura,confluito nella celebrazione dellaPasqua.E’ preceduta dalla Quaresima, unperiodo di purificazione di 40 giorni,dal mercoledì delle Ceneri aPasqua, (a ricordo dei 40 giornitrascorsi da Cristo nel deserto)durante il quale si osservaval’astinenza alimentare e sessuale,prescr i t te da ant iche normeecclesiastiche, e si meditava sullepene della Passione. Questo lungoperiodo di limitazione della carne edi tutti i prodotti d’origine animale,sostituiti da verdure, legumi, pesce, baccalà e, per condimento dellapasta, mollica di pane sbriciolata trale mani e fritta in olio d’oliva (ufurmàgge da Quarèseme), preparavaalla rinascita spirituale della Pasqua.Il rito d’estrazione naturalistica epagana, (comune a tutte le tradizionidell’area mediterranea, come delvicino Oriente) che celebra il

passaggio dal vecchio annoall’equinozio di primavera, è diventatonel Cristianesimo sponsale unionedella natura divina con la naturaumana nella persona di Cristo che sisacrifica per consentire all’uomo dipassare dalla morte alla vita, dalpeccato alla grazia, dal dolore allagioia. E’ questo lo spirito che animai riti della Settimana Santa anticipatidal la celebrazione del fuocopurificatore, nei falò di San Giuseppee dell’Annunciazione. Si brucianosarmenti e rami d’ulivo provenientidalla potatura e, dalla direzione delfumo e delle scintille di quei fuochipropiziatori, i contadini traggonoancora indicazioni circa l’andamentodell’annata agraria. Era credenzadiffusa, in passato, che saltando suquei fuochi, ci si potesse purificaree immunizzare dai malanni. A queste ricorrenze è legato un dolce tipico“le falle” in cui confluiscono gli ultimiingredienti stagionali (marmellate,soprattutto d’uva,mandorle e noci)prima della loro sostituzione con iprodotti del nuovo raccolto. Dolcimolto gustosi che interromponol’astinenza quaresimale insieme aipanzerotti di ricotta, consentiti per ladomenica delle Palme, quando sifesteggia l’ingresso trionfale di Cristoin Gerusalemme, accolto da una follafestante che agitava, in segno diomaggio, rami di palma e di ulivo. Amemoria di questo evento, l’alberod’ul ivo, simbolo di Cristo, èconsiderato l’albero della misericordiae della pace. In tutte le chiese, primadella celebrazione della messa,avviene la benedizione delle Palme,che si usa portare nelle case escambiare , come pegno d iriconciliazione. Il processo dipurificazione intrapre- so sembra averraggiunto il suo scopo. Infatti, in quelgiorno, ci si sente più pronti a ricuciregli strappi ed a riconciliarsi con glialtri, come traspare da alcune strofettepopolari:Jòsce so i Pàlme benedìtte (Oggisono le Palme benedette) E nò jètjìmde de stè nemìsce (e non ètempo di restare nemici), So i Tùrchee fàscene a pèsce (perfino im Turchifanno la pace),Chèsse jè a Pàlme effè accòme te pisce (Questa è lapalma e fai come ti pare). Quànne

arrìve chèdda dìa sànde (Quandoarriva quel giorno santo), Agghiapreparè na bèlla Pàlme (devopreparare una bella Palma). L’àgghia‘ndreccè d’òre e d’argjìnde (La devointrecciare con oro e argento) E ‘ngel’è purtè a ci me dè turmjìnde (ela porterò a chi mi procura tormenti),‘Nge l’è purtè all’amòre mìj che fèa pèsce (La porterò all’amore mioper fare la pace). “Jìndr’a sta Palmestè u còre mìj (In questa palma stail cuore mio), fascìme a pèsce chel’amòre de Ddìj” ()facciamo la paceper amore di Dio”).Ancora oggi, i contadini collocanorami d’ulivo benedetto sui pagliai,nelle stalle, in mezzo ai campi, negliorti e sulle testate dei letti. Sonoritenuti efficaci per tenere lontanomalattie, tempeste,grandine, fulmini e per far moriretalpe, topi e cavallette. Ma l’ulivo,albero cosmico che collega cielo,terra ed inferi, si trasforma in Croce quando il Salvatore dell’Umanità sioffre in sacrificio. Dal giorno dellePalme, l’attesa di questo evento disalvezza diventa più intensa epartecipata. Il ciclo delle celebrazionipasquali comincia il Lunedì Santo,ma è molto seguita dal popolo laMessa del Giovedì che rievocal’Ultima Cena e la Lavanda dei piedi.In passato, il Vescovo, nella chiesacattedrale, lavava i piedi a dodicipoveri, rappresentanti i dodici apostoli,glieli baciava e congedava tutti,offrendo un pezzo di pane. Dopoquesta cerimonia si esponeva l’Ostiaconsacrata, sull’altare maggiore,intensamente illuminato, adorno difiori e attorniato da piatti di grano elegumi fatti germogliare al buio. Essirichiamano un antichissimo ritopagano in onore di Adone, bellissimodio di origine siriaca, a cui gli antichipopoli del Mediterraneo offrivano piattidi semi,germogliati al buio, perpropiziarsi un felice ritorno dellaprimavera. Gli altari, così ornati,vengono chiamati erroneamente“Sepolcri” e sono tuttora meta dipellegrinaggio e di preghiere in tuttele chiese, che gareggiano nel renderliquanto più belli e suggestivi. Fino al1954, nella chiesa cattedrale , dalledodici alle quindici del Venerdì Santosi svolgevano le tre ore di agonia,

durante le quali un valente predicatorecommentava le frasi più significativeriportate dai Vangeli riguardo allaPassione di Cristo: “Madre, ecco tuofiglio.” – “Figlio, ecco tua madre.” –“Ho sete!.” – “Padre perdona loro,perché non sanno quello che fanno.”- “ Dio mio, perché mi haiabbandonato?” – “Padre, nelle tuemani rimetto il mio spirito.” – “Oggisarai con me in paradiso” ( rivolta albuon ladrone) “Tutto è compiuto.”Ogni frase rappresentava il tema diuna predica, conclusa da cantieseguiti dal popolo.Al termine s i leggevano leLamentazioni di Geremia. Allaconclusione di esse , il priore dellaconfraternita dell’Addolorata bussavacon “la mazza” dietro la porta dellaCattedrale e il predicatore diceva, adalta voce: “ Entra, Maria!.”IL portoneveniva aperto, entrava la statuadell’Addolorata portata a spalla, daiconfratelli e si fermava davanti alpulpito. Il predicatore si sporgevaper deporre tra le braccia dellaMadonna il Crocifisso, dicendo:“Maria, ecco tuo figlio.”tra la commozione generale. Dopoquesta suggestiva e coinvolgentecerimonia, cominciava la fun-z ione l i tu rg ica def in i ta da lpopolo”messa sciuscète”durante laquale gli altari vengono spogliati de- gli arredi sacri ( a ricordo della rapinadelle vesti di Cristo da parte dei soldatiromani), si coprono le croci e si leganole campane. Da quel momento il lorosuono viene sost i tu i to dal le“Tocca,tocche” battole di legno,di forma rettangolare e terminanti apunta, munite su entrambi i lati, dimaniglie metalliche, che vengonoagitate ritmicamente, a loro siassociano “le tròzzele” costituite daruote dentate,.montate su un pernogirevole, che producono un crepitiofragoroso nell’attrito con una laminaflessibile di legno. Con questistrumenti, confratelli e ragazzi fanno da battistrada per annunciarel’avvicinarsi delle processioni dellaPassione. La sera del Venerdì Santoesce dalla Cattedrale la processionedei Misteri (statue rappresentanti iMisteri Dolorosi) con tutto il suo caricoemotivo tra ali di folla attenta eraccolta nel dolore della passione.

Le statue sono portate, a spalla, dadevoti che camminano scalzi,indossano un lungo camice biancostretto in vita da un cordone ed hannoil capo coperto da un cappuccio condue fori, in corrispondenza degli occhi,e fermato da una corona di spine.Dietro le statue, precedute dailampieri, si snoda una doppia fila “lacolonna” di uomini vestiti di nero sucamicia bianca, con guanti neri lasera, bianchi la mattina del sabato ecorona di spine sul capo. In gruppi diquattro per volta si alternanoanch’essi nel trasporto delle statue,lungo le strade del paese. La statuadell’Addolorata è seguita da unadoppia fila di donne vestite e velatedi nero, che si alternano nel portarlaa spalla, mentre cantano struggenticanzoni ispirate alla Passione,accompagnate dal suono della bandacittadina che riesce a trasmettere ilpathos di questa avvincentemanifestazione. Alle prime ore delSabato Santo esce la processione diGesù morto e dell’Addolorata, a cuipartecipano concittadini venuti dalontano per sciogliere un voto o perdar corpo ad una tradizione cui sonoprofondamente legati. Preceduta dalcrocifero che. a piedi scalzi, trascinafat icosamente i l suo car icoappesantito, in passato, da unagrossa pietra”a pesère” segue lostesso rituale con gli stessipartecipanti della sera precedente.Al rientro di questa processione, moltoseguita dalla popolazione, si celebrala messa del Gloria e si sciolgono lecampane che annunciano laResurrezione di Cristo. A quel suonofestoso, ancora oggi, le donneanziane battono con mazze in tuttigli angoli della casa e sotto i letti,pronunciando la formula: “Jìsse trìste(diavolo) ca à trasì Crìste”. Lemamme liberavano i bambini dallefasce, li coprivano con una tunichetta“a vestecèdde” e li portavanosull’altare maggiore. Sorreggendoliin piedi, pronunciavano l’invocazione:“Sepuldùra, sepuldùre, fè scapelè stùcriatùre. I bambini più grandicelli, cheavevano partecipato all’astinenzaquaresimale, ricevevano in dono “iscarcèdde”, dolci di pasta frolla aforma di cavallucci per i maschietti,di colombe o panierini per le

femminuc- ce, con uova incastonatenell’impasto, quando non eranoancora d i f fuse le uova d icioccolata..Per sol leci tare laconcessione di questo dolce moltoatteso, i ragazzi cantavano lastrofetta: “Pasqua, Pasque, vjìnecurrènne ,ca i criatùre vònechiangènne, vòne chiagènne che tùtteu còre: scarcèdde che l’òve,scarcèdde che l’òve”. L’uovo, simbolodella Pasqua, della rinascita e dellafecondità della natura, entra in tuttele pietanze e i dolci rituali dellaPasqua, primi fra tutti i taralli con leuova nella cui preparazione siconcentrava, in passato, l’impegnoed il punto d’onore delle donnenell’averli leggeri e gonfi:”sckattète”. La loro buona riuscita era consideratadi buon auspicio, altrimenti diventavamotivo di malumore e di ansia pereventuali malanni o ristrettezzeeconomiche. Le uova strapazzatearricchiscono i timballi di cardoncelliselvatici,cotti in brodo d’agnello, lefrittate di asparagi, i lampagioni e icarciofi fritti che compongono il menùdi Pasqua insieme all’immancabile“benedìtte” : la carne d’agnellopreparata in vari modi, come cibopropiziatorio. Non mancano, nellevetrine delle pasticcerie, gli agnellinidi pasta reale che vengono regalati,soprattutto alle fidanzate dai loroinnamorati. Dopo averlo mostrato,con evidente compiacimento, aparenti ed amici, l’agnellino venivadiviso a metà e la parte della testa,in passato, veniva inviato a casa deisuoceri. In questi cibi, come nel“calzone” del Venerdì Santo, previstiin tutte le case, è ravvisabile unaspecie di aggregazione popolare eun diffuso sentimento religioso cheannulla ogni discriminazione. Questafesta , che celebra il trionfo della vitasulla morte, della luce sull’oscurità,della sostanza sull’apparenza, arrivain un mondo in pena dove l’odiosemina altroodio, l’ingiustizia altra ingiustizia, lamiseria altra miseria e in cui tuttivorremmo essere consolati ,con la prospettiva credibile di un futuromigliore.

Le nobili ascendenze storiche confluite nella celebrazione dei riti

Pasqua: il trionfo della vita sulla morte, della luce sull’oscurità,della sostanza sull’apparenza

Un mondo in pena dove l’odio semina altro odio, l’ingiustizia altra ingiustizia, la miseria altra miseriae in cui tutti vorremmo essere consolati, con la prospettiva credibile di un futuro migliore

28Sabato 15 marzo 2008