Le mansioni del lavoratore: ius variandi, mobilità ...VideoLavoro)/Dispense.12.04.2018.pdf ·...

28
VideoLavoro del 12 aprile 2018 Le mansioni del lavoratore: ius variandi, mobilità orizzontale e verticale, dequalificazione professionale dopo il D. Lgs. n. 81/2015 a cura di Alessandro Ripa Avvocato giuslavorista 1

Transcript of Le mansioni del lavoratore: ius variandi, mobilità ...VideoLavoro)/Dispense.12.04.2018.pdf ·...

VideoLavoro del 12 aprile 2018

Le mansioni del lavoratore: ius variandi, mobilità orizzontale e verticale,

dequalificazione professionale dopo il D. Lgs. n. 81/2015

a cura di Alessandro Ripa

Avvocato giuslavorista

1

2

Lo ius variandi e la mobilità orizzontale e verticale - Cenni alla precedente disciplina a) Il potere organizzativo del datore di lavoro. b) l’autentico diritto del lavoratore ad essere adibito “alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito o a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte” (la cd “mobilità orizzontale”); c) l’automatismo della promozione nel caso di assegnazione a mansioni superiori (la cd “mobilità verticale”). Un esempio pratico dal Tribunale di Milano; il declassamento del “responsabile tecnico e dell’organizzazione interna del reparto fumetti”

3

I correttivi introdotti nel tempo dalla giurisprudenza

a) La possibilità di adibire a mansioni inferiori; b) il principio del cd “male minore”: alcuni casi pratici; c) il principio fissato da Cass. Sez Un. n. 25033/2006:

“L’equivalenza tra le nuove mansioni e quelle precedenti deve essere intesa non solo nel senso di pari valore professionale delle mansioni, considerate nella loro oggettività, ma anche come attitudine delle nuove mansioni a consentire la piena utilizzazione o anche l’arricchimento del patrimonio professionale dal lavoratore acquisito nella pregressa fase del rapporto La contrattazione collettiva, muovendosi nell'ambito, e nel rispetto, della prescrizione posta dal comma 1 dell'art. 2103 c.c. - che fa divieto di un'indiscriminata fungibilità di mansioni che esprimano in concreto una diversa professionalità, pur confluendo nella medesima declaratoria contrattuale ed essendo riconducibili alla matrice comune che connota la declaratoria contrattuale - è autorizzata a porre meccanismi convenzionali di mobilità orizzontale prevedendo, con apposita clausola, la fungibilità funzionale tra le mansioni per sopperire a contingenti esigenze aziendali ovvero per consentire la valorizzazione della professionalità potenziale di tutti i lavoratori inquadrati in quella qualifica, senza incorrere nella sanzione della nullità comminata dal comma 2 del citato art. 2103 c.c. (Decidendo una questione di massima di particolare importanza, ai sensi dell'art. 374, comma 2, c.p.c., la S.C. ha confermato la decisione della corte territoriale che aveva ritenuto legittima la clausola di fungibilità espressa dall'art. 46 c.c.n.l. 26 novembre 1994 per i dipendenti postali, recante l'intercambiabilità delle mansioni, con esclusione delle mansioni tecniche, all'interno della stessa area operativa e di quella di base, sul verificato presupposto della ricorrenza delle necessità di servizio, la cui sussistenza, nella specie, non risultava contestata, se non in termini assolutamente generici, dalla lavoratrice)” (Cassazione civile, sez. un., 24/11/2006, n. 25033).

d) il ruolo – e la delega – alla contrattazione collettiva.

4

IL NUOVO ART. 2103 COD. CIV. Le mansioni assegnabili in via ordinaria 1. “Il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è assunto”. Significa fissare il punto di partenza, e di confronto, di un apparato normativo che scatta con la prima assegnazione di mansioni, e che regolerà l’intero processo di mobilità orizzontale endo-aziendale Il rischio di assegnare all’inizio mansioni superiori se non si ha tempo di ideare un corretto percorso professionale. E’ lecito assegnare mansioni promiscue (Cass. sez un. 25033/06), e, per ragioni di economia del lavoro e di sicurezza, il lavoratore è tenuto a svolgere anche mansioni accessorie rispetto a quelle proprie della qualifica di appartenenza, pur se inferiori a queste ultime, purché ciò avvenga “incidentalmente e marginalmente” (Cass. n. 17774/2006) In difetto di questi presupposti si configura l’illegittimo demansionamento, atto idoneo a ledere la professionalità, la personalità e l’immagine professionale del lavoratore anche nel caso in cui si protragga solo per un breve periodo (Cass. 3 maggio 2016, n. 8709) 2. “Il lavoratore deve essere adibito alle mansioni [...] corrispondenti all'inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito” La locuzione “salvo diversa volontà del lavoratore” e le sue implicazioni La locuzione “ove la medesima non abbia avuto luogo per ragioni sostitutive di altro lavoratore in servizio” Le questioni che emergono al riguardo

5

3. “L'assegnazione a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria di inquadramento” L'attuale primo comma dell'art. 2103 dispone che il lavoratore possa essere adibito anche «a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte». E’ una rivoluzione: scompare la necessità della equivalenza con le mansioni «ultime effettivamente svolte» che, secondo il vecchio art. 2103 cod. civ. condizionava lo jus variandi orizzontale e che aveva prodotto una elaborazione giurisprudenziale i cui termini essenziali possono essere così riassunti: l’equivalenza tra le nuove mansioni e quelle precedenti significa = pari valore professionale delle mansioni nella loro oggettività (riconducibilità al medesimo livello di inquadramento) = attitudine delle nuove mansioni a consentire la piena utilizzazione o, addirittura, l'arricchimento del patrimonio professionale dal lavoratore acquisito nella pregressa fase del rapporto

6

L’unico sindacato possibile è quello formale, sull’appartenenza delle nuove mansioni alla medesima categoria e livello delle precedenti: “il giudizio di equivalenza, pertanto, deve essere condotto assumendo quale parametro non più il concreto contenuto delle mansioni svolte in precedenza dal dipendente, bensì solamente le astratte previsioni del sistema di classificazione adottato dal contratto collettivo applicabile al rapporto. Ne consegue che, a differenza che nel passato, è oggi legittimo lo spostamento del lavoratore a mansioni che appartengono allo stesso livello di inquadramento cui appartenevano quelle svolte in precedenza dallo stesso dipendente, non dovendosi più accertare che le nuove mansioni siano aderenti alla specifica competenza del dipendente (come ritenuto in passato dalla consolidata giurisprudenza di legittimità In sostanza il legislatore del 2015 ha esteso al settore del lavoro alle dipendenze di privati un regime analogo a quello previsto dall'art. 52 d.lgs. n. 165 del 2001 per il lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni: così come quest'ultima norma, disponendo genericamente che "Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni equivalenti nell'ambito dell'area di inquadramento (..)", assegna rilievo solo al criterio dell'equivalenza formale delle mansioni, con riferimento alla classificazione prevista in astratto dai contratti collettivi, indipendentemente dalla professionalità in concreto acquisita, senza che il giudice possa sindacare in concreto la natura equivalente della mansione (Cass. n. 7106 del 2014, n. 18283 del 2010, n. 11405 del 2010), alla stessa maniera il nuovo art. 2103 impone di arrestare la verifica dell'equivalenza delle nuove mansioni rispetto a quelle precedentemente svolte all'accertamento del formale livello di inquadramento del lavoratore interessato e alla riconducibilità delle nuove mansioni a quel livello.” Tribunale di Roma, 30.9.2015

7

Alcune questioni che il nuovo 1° comma dell’art. 2103 cod. civ. pone: a) I criteri di inquadramento contrattati in sede collettiva son sindacabili giudizialmente? No, la “razionalità” della scelta collettiva è intrinseca e discende dalla composizione del conflitto sindacale, dall'assetto gestionale che si sono date le parti per comporre i contrastanti interessi. Una diversa interpretazione nel senso del controllo giudiziale sul merito della regolamentazione dell'inquadramento dei lavoratori, è stata esclusa dalla giurisprudenza e sarebbe in contrasto con il principio costituzionale della libertà sindacale. b) E se l’azienda non aderisce ad alcun ccnl? Si può sostenere l'utilizzabilità dei parametri del contratto collettivo di riferimento anche nelle ipotesi in cui esso non trovi applicazione. Analogamente, cioè, a quanto avviene per la parte retributiva, per la quale proprio la determinazione contenuta nella scala classificatoria funge da misura per la quantificazione della giusta retribuzione ai sensi dell'art. 36 Cost., anche la valutazione delle mansioni rientranti nei diversi livelli contrattuali, riguardando la “qualità” del lavoro di cui alla norma costituzionale citata, potrebbe essere utilizzata come parametro

8

c) Il nuovo art. 2103 si applica anche ai rapporti di lavoro in corso alla data della sua entrata in vigore (25 giugno 2015). La giurisprudenza di merito è divisa: - in senso affermativo, Trib. Roma, 30 settembre 2015: Mancando una norma transitoria, novella legislativa si applica anche ai rapporti di lavoro già in corso alla data della sua entrata in vigore, resta da appurare se essa abbia rilevanza rispetto a mutamenti di mansioni disposti (come quello oggetto della presente controversia) prima del 25 giugno 2015 e in atto ancora dopo quella data. Ritiene il Tribunale che all'interrogativo debba darsi risposta affermativa. In effetti il demansionamento del lavoratore costituisce una sorta di illecito permanente, nel senso che esso si attua e si rinnova ogni giorno in cui il dipendente viene mantenuto a svolgere mansioni inferiori rispetto a quelle che egli, secondo legge e contratto, avrebbe diritto di svolgere (la giurisprudenza di legittimità ha adottato una simile concezione della dequalificazione allorché ha dovuto individuare il giudice munito di giurisdizione nelle controversie interessanti dipendenti pubblici contrattualizzati in caso di demansionamento iniziato prima e proseguito dopo il 30 giugno 1998, data che segna il discrimine tra la giurisdizione amministrativa e quella ordinaria nel contenzioso del lavoro pubblico ex art. 45, co. 17, d. lgs. n. 80 del 1998: v., ad esempio, Cass. n. 1141 del 2007). segue…..

9

Conseguentemente, la valutazione della liceità o meno della condotta posta in essere dal datore di lavoro nell'esercizio del suo potere di assegnare e variare (a certe condizioni) le mansioni che il dipendente è chiamato ad espletare va necessariamente compiuta con riferimento alla disciplina legislativa e contrattuale vigente giorno per giorno; con l'ulteriore conseguenza che l'assegnazione di determinate mansioni che deve essere considerata illegittima in un certo momento, può non esserlo più in un momento successivo. Orbene, applicando una simile impostazione alla fattispecie oggetto della presente controversia, occorre concludere per la sicura infondatezza delle doglianze sollevate dalla ricorrente con riferimento al periodo successivo all'entrata in vigore del d.lgs. n. 81 del 2015. Infatti, come già segnalato, dopo tale data è comunque legittima l'assegnazione di nuove mansioni che siano riconducibili al livello di inquadramento cui appartiene il dipendente. - in senso contrario, Trib. Ravenna, 30 settembre 2015: La prima questione da decidere attiene all'applicabilità della nuova più permissiva normativa in materia di ius variandi ex art. 2103 c.c. nel testo modificato dal d.lgs. 81/2015. La nuova normativa però non si puo' applicare alla fattispecie perché il fatto generatore del diritto allegato nel giudizio (il demansionamento) si è prodotto nel vigore della legge precedente. Ed il fatto che segna il discrimine tra una normativa e l'altra è proprio il prodursi del demansionamento. A nulla contando invece che esso continui net vigore della legge successiva; la quale peraltro non contiene alcuna norma di natura retroattiva e nemmeno di diritto intertemporale.

10

d) C’è garanzia di trattamento retributivo?

La soluzione preferibile è nel senso affermativo ragionando ex art. 2103

quinto comma

e) Questione di legittimità costituzionale

La legge delega n. 183 del 2014 delegava ad adottare decreti di revisione

della disciplina delle mansioni, specificando, come criterio direttivo, la

presenza «di processi di riorganizzazione, ristrutturazione o conversione

aziendale individuati sulla base di parametri oggettivi» (art. 1, comma 7,

lettera e)

Al contrario, la nuova disciplina delle mansioni in caso di mobilità

orizzontale è svincolata da qualsiasi processo di riorganizzazione,

ristrutturazione o conversione aziendale

11

LE MANSIONI INFERIORI 4. L'assegnazione unilaterale a mansioni inferiori II COMMA ART. 2103: “il lavoratore può essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore, purché rientranti nella medesima categoria legale, in caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla sua posizione. lV QUARTO ART. 2103 consente alla contrattazione collettiva di prevedere ulteriori ipotesi di assegnazione a mansioni del livello inferiore, sempre nel rispetto della categoria legale di inquadramento.

12

5. L'assegnazione concordata di mansioni inferiori VI COMMA ART. 2103 prevede la stipula, nelle sedi protette di cui all'art. 2113, comma 4, e avanti le commissioni di certificazione, di accordi individuali di modifica delle mansioni, della categoria legale e del livello di inquadramento e della relativa retribuzione nell'interesse del lavoratore alla conservazione dell'occupazione, all'acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita. I dubbi di costituzionalità riguardanti tutte e tre le ipotesi I dubbi sulla natura transattiva degli accordi ex art. 2103 VI comma

LA DEQUALIFICAZIONE PROFESSIONALE La dequalificazione, o demansionamento, come noto, provoca danni - PATRIMONIALI - NON PATRIMONIALI (“sotto il profilo della lesione dell'integrità psicofisica secondo le modalità del danno biologico, o della lesione della dignità personale del lavoratore”, Cass. SU 26972/08)

13

1. I danni patrimoniali: il primo, la professionalità. “Questo danno può assumere aspetti diversi. Innanzitutto può consistere nel danno patrimoniale derivante dall'impoverimento della capacità professionale acquisita dal lavoratore e dalla mancata acquisizione di una maggiore capacità: un danno molto evidente e grave nell'esercizio di alcune particolari professioni, soggette a una continua evoluzione e quindi bisognose di continui aggiornamenti. Il danno professionale, peraltro, potrebbe essere costituito anche dal fatto che la minore qualificazione professionale ha impedito al lavoratore di sfruttare particolari occasioni di lavoro o, come preferiscono esprimersi alcune decisioni, ha determinato la perdita di chance. Si tratta in entrambi i casi di un danno patrimoniale con la differenza che nel primo il danno incide direttamente sulle capacità professionali del lavoratore, nel secondo deriva dalla perdita di una ulteriore possibilità di guadagno”. (Cass. 14 novembre 2001, n. 14199 Cass. 10405/95).

14

Nulla è cambiato anche dopo le Sezioni Unite del 2006 e del 2008: “il danno professionale, che ha contenuto patrimoniale, può verificarsi in diversa guisa, potendo consistere sia nel pregiudizio derivante dall'impoverimento della capacità professionale acquisita dal lavoratore e dalla mancata acquisizione di una maggiore capacità, ovvero nel pregiudizio subito per perdita di chance, ossia di ulteriori possibilità di guadagno. Ma questo pregiudizio non può essere riconosciuto, in concreto, se non in presenza di adeguata allegazione, ad esempio deducendo l'esercizio di una attività (di qualunque tipo) soggetta ad una continua evoluzione, e comunque caratterizzata da vantaggi connessi all'esperienza professionale destinati a venire meno in conseguenza del loro mancato esercizio per un apprezzabile periodo di tempo (Cass. SU 24.3.2006, n. 6572 in motivazione).

15

Segue: i criteri di risarcimento di tale danno patrimoniale Attribuendo valore anche alla prova per presunzioni, come richiesto dalla Cassazione dopo le Sez. Unite del 2006, son stati infatti valutati come fatti noti per risalire al fatto ignoto: - “la qualità e quantità della esperienza lavorativa pregressa, il tipo di professionalità colpita” (Cass. n. 24223/10; n. 4653/09; n. 8475/07); - “la durata del demansionamento” (Cass. n. 24223/10; n. 4653/09; 22551/06); - “l’età, preclusiva della ricostruzione ex novo di professionalità utile al proficuo reinserimento lavorativo” (Cass. n 10713/10); - “la frustrazione professionale” (Cass. n. 4063/2010); - “l'esito finale della dequalificazione e le altre circostanze del caso concreto” (Cass. n. 24223/10; n. 10713/10; n. 21223/09)

16

Due esempi “Circa la prova della esistenza di tale danno […] tale prova può essere fornita con tutti i mezzi che l’ordinamento processuale pone a disposizione, ivi compresa la prova per presunzioni sulla base di tali elementi di fatto relativi a qualità della esperienza lavorativa pregressa; tipo di professionalità colpita; durata del demansionamento; esito finale della dequalificazione; altre circostanze del caso concreto (v. oltre che la più volte citate Cass. Sez. Unite n. 6572/2006, anche Cass. n. 21223/2009; Cass. 4652/2009). Proprio applicando tale orientamento giurisprudenziale al caso oggetto di causa si deve concludere debitamente allegato e provato, quanto meno con l’utilizzo delle presunzioni di cui sopra, il danno alla professionalità lamentato dal M. Il demansionamento subito dal M. ha riguardato un lavoratore dotato di una indubbia ed elevata personalità, ritenuto idoneo al coordinamento e/o al controllo di altri lavoratori nell’ambito di unità operative o nuclei di lavoro di significative dimensioni, al punto che - proprio in piena coerenza con tale inquadramento, il M. si è visto assegnare, nel mese di dicembre 1994, un incarico di non certo poco conto quale la titolarità della Agenzia n. 1 di Forlì. Tale demansionamento non è stato di breve durata essendosi protratto per alcuni anni, dapprima in quel di Forlì e poi in quel di Rimini.

Segue… 17

Tale demansionamento si è caratterizzato in senso pesantemente negativo, per la attribuzione al M. di mansioni di tipo puramente esecutivo e/o ausiliario non richiedenti, per il loro corretto ed efficace esercizio, elevata preparazione professionale o responsabilità funzionale (omissis). Men che meno il M. ha in tale arco di tempo coordinato o controllato altri lavoratori nell’ambito di unità operative o nuclei di lavoro di significative dimensioni. Circa gli esiti finali di tale demansionamento, si può affermare che le prove sopra ricordate testimoniano di una altrettanto forte marginalizzazione del M. nell’ambiente di lavoro che lo ha portato dalla titolarità della Filiale n. 1 di Forlì a diventare un dipendente della Banca che offriva la propria collaborazione ad altri colleghi, a loro volta, benché oberati di lavoro, si sono visti «sconsigliare» da altri dipendenti dall’accettare tale disponibilità del M. Si può quindi ragionevolmente ritenere che una tale situazione di fatto non possa non avere inciso negativamente ed anche in misura decisamente sostanziale ed accentuata sulla preparazione professionale del M. che non solo non si è implementata ma è stata sicuramente impoverita dall’esercizio protratto negli anni delle predette dequalificanti mansioni. Ugualmente tale situazione di fatto ha inciso negativamente sulle concrete capacità di coordinamento e/o controllo del lavoro altrui non essendo state tali capacità mai esercitate nel periodo in esame, senza dimenticare che le responsabilità di coordinamento e/o controllo di altri lavoratori si accompagnano anche ad una sorta di prestigio personale correlato alla titolarità ed al concreto esercizio di tali responsabilità che non può essersi affievolito in un lavoratore come il M. (omissis). (Corte d’Appello di Bologna, 22 febbraio 2010, in Arg. Dir. Lav. 2010, 1377).

Segue… 18

“I nuovi compiti affidati al ricorrente denotano un palese svuotamento e impoverimento del patrimonio professionale dello stesso, un depauperamento qualitativo che risulta oggettivamente percepibile, non soltanto in virtù dell’assoluta diversità delle mansioni oggi assegnate (nelle quali è evidentemente precluso l’investimento del bagaglio professionale precedentemente maturato), ma anche in considerazione del fatto che questi stessi compiti lasciano il lavoratore inoperoso per gran parte della giornata lavorativa e lo escludono da qualsivoglia interazione esterna […]. Nel complesso, si tratta di attività compilative e ripetitive, in alcun modo equiparabili a quelle precedentemente svolte in qualità di venditore esperto, che hanno cristallizzato un notevole abbassamento del livello quali-quantitativo della prestazione richiesta e una contrazione dell’impiego effettivo [..]. Per il danno così patito, che è inevitabilmente soggetto a una valutazione ex art. 1226 c.c., ritiene questo Giudice equo riconoscere complessivamente un risarcimento pari all’80% della retribuzione globale di fatto per ogni mese di dequalificazione. (Tribunale di Milano, 11 gennaio 2011, n. 9, in motivazione; ns. doc. n. 81).

19

2. Il secondo danno patrimoniale: la perdita di chance “il danno professionale, che ha contenuto patrimoniale, può verificarsi in diversa guisa, potendo consistere sia nel pregiudizio derivante dall'impoverimento della capacità professionale acquisita dal lavoratore e dalla mancata acquisizione di una maggiore capacità, ovvero nel pregiudizio subito per perdita di chance, ossia di ulteriori possibilità di guadagno. (Cass. SU 24.3.2006, n. 6572). Successivamente, la stessa Corte ha ritenuto che: “In tema di risarcimento del danno da lesioni, il danno derivante da perdita di " chance " costituisce una voce del danno patrimoniale risarcibile, in quanto diretta conseguenza delle lesioni riportate, qualora il danneggiato riesca a provare, pur solo in modo presuntivo o secondo un calcolo di probabilità, la realizzazione in concreto di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato e impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile dev'essere conseguenza immediata e diretta”. (Cass. 17 aprile 2008, n. 10111; Cass. 12 giugno 2015, n. 12253).

20

3. Il danno non patrimoniale. Le regole per il risarcimento dei danni non patrimoniali dopo le Sezioni Unite del 2006 e del 2008: Il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno-conseguenza, che deve essere allegato e provato. Per quanto concerne i mezzi di prova, per il danno biologico la normativa richiede l'accertamento medico-legale, che non costituisce, però, strumento esclusivo e necessario; infatti, come è nei poteri del giudice disattendere, motivatamente, le opinioni del consulente tecnico, del pari il giudice può non disporre l'accertamento medico-legale, non solo nel caso in cui l'indagine diretta sulla persona non sia possibile (perché deceduta o per altre cause), ma anche quando lo ritenga, motivatamente, superfluo, e porre a fondamento della sua decisione tutti gli altri elementi utili acquisiti al processo (documenti, testimonianze), avvalersi delle nozioni di comune esperienza e delle presunzioni. Per gli altri pregiudizi non patrimoniali può farsi ricorso alla prova testimoniale, documentale e presuntiva. Il danno non patrimoniale da lesione della salute costituisce una categoria ampia ed omnicomprensiva, nella cui liquidazione il giudice deve tenere conto di tutti i pregiudizi concretamente patiti dalla vittima, ma senza duplicare il risarcimento attraverso l'attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici. Ne consegue che è inammissibile, perché costituisce una duplicazione risarcitoria, la congiunta attribuzione alla vittima di lesioni personali, ove derivanti da reato, del risarcimento sia per il danno biologico, sia per il danno morale, inteso quale sofferenza soggettiva, il quale costituisce necessariamente una componente del primo (posto che qualsiasi lesione della salute implica necessariamente una sofferenza fisica o psichica), come pure la liquidazione del danno biologico separatamente da quello c.d. estetico, da quello alla vita di relazione e da quello cosiddetto esistenziale. (Cass. Sez. Un. 11 novembre 2008, n. 26972).

21

Le sentenze successive a queste Sezioni Unite del 2006-08 si esprimono così: “nella disciplina del rapporto di lavoro, ove numerose disposizioni assicurano una tutela rafforzata alla persona del lavoratore con il riconoscimento di diritti oggetto di tutela costituzionale, il danno non patrimoniale è configurabile ogni qual volta la condotta illecita del datore di lavoro abbia violato, in modo grave, tali diritti: questi, non essendo regolati ex ante da norme di legge, per essere suscettibili di tutela risarcitoria dovranno essere individuati, caso per caso, dal giudice del merito, il quale, senza duplicare il risarcimento (con l'attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici), dovrà discriminare i meri pregiudizi - concretizzatisi in disagi o lesioni di interessi privi di qualsiasi consistenza e gravità, come tali non risarcibili - dai danni che vanno risarciti (cfr. Cass. n. 10864 del 2009). Nella specie, il danno risarcibile è esattamente identificato negli "aspetti di vissuta e credibile mortificazione derivanti all' A. dalla situazione lavorativa in cui si trovò ad operare", secondo una valutazione che si fonda sull'accertamento del nesso causale tra la condotta illecita datoriale e lo stato di mortificazione del lavoratore e che si sottrae, perciò, alle censure sollevate” (Cassazione civile sez. un., 22 febbraio 2010, n. 4063).

22

Oppure: “questa Corte, a Sezioni unite (sent. nn. 26972, 26973, 26974, 26975 dell'11 novembre 2008), dichiarando risarcibile il danno non patrimoniale da inadempimento contrattuale che determini, oltre alla violazione degli obblighi di rilevanza economica assunti con il contratto, anche la lesione di un diritto inviolabile della persona [...] Lo stesso Collegio dedica adeguato rilievo alla dignità personale del lavoratore che, in riferimento agli artt. 2, 4 e 32 Cost., costruisce come diritto inviolabile; descrive quale lesione di tale diritto proprio "i pregiudizi alla professionalità da dequalificazione, che si risolvano nella compromissione delle aspettative di sviluppo della personalità del lavoratore che si svolge nella formazione sociale costituita dall'impresa". Dunque dal riconoscimento costituzionale della personalità morale e della dignità del lavoratore deriva il diritto fondamentale di questi al pieno ed effettivo dispiegamento del suo professionalizzarsi espletando le mansioni che gli competono; la lesione di tale posizione giuridica soggettiva ha attitudine generatrice di danni a contenuto non patrimoniale, in quanto idonea ad alterare la normalità delle relazioni del lavoratore con il contesto aziendale in cui opera, del cittadino con la società in cui vive, dell'uomo con se stesso. Quanto alla liquidazione di tali danni, la non patrimonialità - per non avere il bene persona un prezzo - del diritto leso, comporta che, diversamente da quello patrimoniale, il ristoro pecuniario del danno non patrimoniale non può mai corrispondere alla relativa esatta commisurazione, imponendosene pertanto la valutazione equitativa, anche attraverso il ricorso alla prova presuntiva, che potrà costituire pure l'unica fonte di convincimento del giudice (ancora Cass. SS.UU. n. 26972/2008 Cit.). (Cass. 17 marzo 2015, n. 12253)

23

in senso opposto: “in tema di risarcimento del danno non patrimoniale derivante da demansionamento e dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, non ricorre automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale e non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, dell'esistenza di un pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) provocato sul fare reddituale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all'espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno. Tale pregiudizio non si pone quale conseguenza automatica di ogni comportamento illegittimo rientrante nella suindicata categoria, cosicchè non è sufficiente dimostrare la mera potenzialità lesiva della condotta datoriale, incombendo sul lavoratore non solo di allegare il demansionamento ma anche di fornire la prova ex art. 2697 c.c. del danno non patrimoniale e del nesso di causalità con l'inadempimento datoriale" (Cass. 5 dicembre 2017, n. 29047).

24

Il Mobbing “[…] la condotta del datore di lavoro protratta nel tempo e consistente nel compimento di una pluralità di atti (giuridici o meramente materiali, ed, eventualmente, anche leciti) diretti alla persecuzione od all'emarginazione del dipendente, di cui viene lesa in violazione dell'obbligo di sicurezza posto a carico dello stesso datore dall'art. 2087 c.c. la sfera professionale o personale, intesa nella pluralità delle sue espressioni (sessuale, morale, psicologica o fisica); né la circostanza che la condotta di mobbing provenga da un altro dipendente posto in posizione di supremazia gerarchica rispetto alla vittima vale ad escludere la responsabilità del datore di lavoro su cui incombono gli obblighi ex art. 2049 c.c. ove questi sia rimasto colpevolmente inerte nella rimozione del fatto lesivo”.

25

Lo straining, come noto, è solo una variante del mobbing, riconosciuta dalla stessa Suprema Corte: “Lo straining, a differenza del mobbing il quale presuppone una pluralità di atti persecutori ravvicinati nel tempo e di gravità crescente, consiste nell'inflizione al lavoratore di uno "stress forzato" a mezzo di pochi atti distanziati nel tempo o anche di un atto singolo, compiuto appositamente e deliberatamente e che continua a far sentire per lungo tempo e in modo costante i propri effetti negativi sulla posizione lavorativa del dipendente. Lo straining compiuto tramite il demansionamento consistente nella sottrazione parziale di mansioni lavorative viola gli art. 2103 e 2087 c.c. nonché il generale principio di neminem laedere di cui all'art. 2043 c.c. e comporta il diritto del lavoratore colpito al risarcimento del danno patrimoniale per lesione della professionalità e del danno biologico, comprensivo sia della compromissione psicofisica subita che della sofferenza morale a essa connessa” (Trib. di Brescia, 15 aprile 2011, in DL Riv. critica dir. lav. 2011, 3, 637; Cass. pen. 3 luglio 2013, n. 28603, in ADL 2014, 182)

26

Mobbing e straining possono originare sia un danno patrimoniale, sia uno non patrimoniale Sia la dottrina che la giurisprudenza riconoscono tale danno: “La vittima del mobbing ha diritto - oltre al risarcimento del danno patrimoniale alla professionalità specifica - alla riparazione, ex art. 2059 c.c., di tutti gli aspetti non patrimoniali di danno sofferti, nelle tre componenti del danno biologico, morale ed esistenziale”. Trib. Agrigento, 1 febbraio 2005, in Resp. civ. e prev. 2005, 502 “Il danno che deve essere risarcito al prestatore dal datore di lavoro che lo abbia colposamente prodotto è sia quello patrimoniale, sia quello non patrimoniale, quest'ultimo costituito dalla componente biologica e da quella esistenziale. Non sussiste invece un'autonoma voce di danno da mobbing, intendendosi con tale espressione insieme di reiterati comportamenti attuativi di un progetto lesivo, riferibili ai vertici da questi tollerati” (App. Firenze, 6.52005, in RIDL. 2006, 314).

27

Arrivederci al prossimo incontro

Videolavoro

17 maggio 2018

Il controllo a distanza dei lavoratori

tra diritto di impresa e privacy

28