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LE MALATTIE D’IMPORTAZIONE A CURA DELLA COMMISSIONE IMMIGRAZIONE OMCeO FERRARA EDIZIONE SPECIALE Settembre 2014 - Anno XXXI BOLLETTINO Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Ferrara Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Ferrara FNOMCeO Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri

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LE MALATTIE D’IMPORTAZIONE

A CURA DELLA COMMISSIONE IMMIGRAZIONEOMCeO FERRARA

EDIZIONE SPECIALESettembre 2014 - Anno XXXI

BOLLETTINOOrdine dei Medici Chirurghie degli Odontoiatridella Provincia di Ferrara

Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri

della Provincia di Ferrara

FNOMCeOFederazione Nazionale degli Ordini

dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri

Anno XXXI - EDIZIONE SPECIALE

DIREZIONE REDAZIONE:c/c Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Ferrara - Piazza Sacrati 11Tel. 0532/202247 - Fax 0532/247134Sito Internet: www.ordinemedicife.ite-mail: [email protected] [email protected]

DIRETTORE RESPONSABILEDott. Massimo Masotti

AUTORIZZAZIONE DEL TRIBUNALE DI FERRARAdecreto 17/04/1982 n. 299

INDICE

INTRODUZIONE

Dott.ssa Maria Gabriella Piccinini ........................................................ pag. 4

La forza del disagio socio-economico e la forza della violenza: contesti diversificati per il disagio psichico dei migranti.

Dott. Giuseppe Cardamone e Dott. Michele P. Mari ............................. pag. 6

Malattie infettive emergenti e riemergenti. Problematiche infettivologiche per i viaggiatori al rientro in italia. Ruolo del medico pratico e dello specialista.

Prof. Carlo Contini ................................................................................ pag. 13

Le Dermatosi di importazione

Prof.ssa Virgili Anna, Dott.ssa Toni Giulia, Dott.ssa Ricci Michela ....... pag. 63

Ringraziamenti .................................................................................... pag. 74

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INTRODUZIONE

La Globalizzazione assieme alla multi etnicità, caratterizzano l’evoluzione delle società. Il fenomeno migratorio, da sempre connaturato nella storia dell’umanità, è molto com-plesso in quanto interessa non solo l’individuo ma comporta la trasformazione dei paesi coinvolti ed ha assunto una velocità estremamente rapida, grazie alla notevole riduzione delle distanze fisiche, che permettono un maggior contatto e confronto tra le diverse culture; inoltre, in questi ultimi anni i viaggi per turismo o lavoro sono in continua forte espansione e di conseguenza assumono una sempre maggior importanza i problemi sanitari legati ai viaggiatori che si recano nei paesi in via di sviluppo.Allo stato attuale la “Popolazione Umana Mobile” si avvicina alla cifra di un miliardo e 500 milioni. In Italia la popolazione immigrata è cresciuta di quasi 20 volte.Dai dati dell’Osservatorio sull’immigrazione della provincia di Ferrara si evince che i cittadini non comunitari nella nostra provincia sono circa 23.243 (+ 526 unità rispetto al 2011), per quanto riguarda i paesi di provenienza, è possibile registrare notevoli aumenti dei pakistani (+ 9,5 %), dei cinesi (+ 9 %) e dei rumeni (+ 8,15 %).Questi ultimi sono diventati la popolazione straniera maggiormente presente in provincia di Ferrara supe-rando quella marocchina.Gli italiani che annualmente effettuano viaggi internazionali sono circa 18 milioni e di questi, più di 4 milioni si recano in paesi extraeuropei, sopratutto verso destinazioni esotiche.La tipologia del viaggiatore è molto ampia: migranti, anziani, bambini, malati, portatori di handicap, donne in gravidanza, etc ... ognuno con condizioni di salute differenti e anche complesse, per cui eventuali patologie infettive, contratte durante il viaggio, possono avere complicanze gravi che devono essere affrontate in ambiente specialistico.Per un corretto approccio alle possibili infezioni del viaggiatore bisogna tenere in con-siderazione anche fattori come la lunghezza del viaggio, le lunghe attese, le variazioni climatiche, i rapidi cambiamenti di orari e abitudini.Un altro fattore di rischio è indubbiamente dato dalla meta o destinazione del viaggio, ricordiamo ad esempio che la Larva Migrans si trova più frequentemente nei Caraibi mentre la Tungiasi nel Madagascar e come molti soldati in Afganistan siano stati colpiti dalla Leishmania.Quindi “viaggiare”, sia per necessità lavorativa, per turismo o per migrare, può rappre-sentare anche un rischio per la propria salute.I fenomeni migratori hanno da sempre rappresentato una sfida per gli addetti al controllo ed alla cura delle patologie trasmissibili, alla cui attenzione giungono malattie poco co-nosciute o, comunque, con presentazioni differenti rispetto a quelle tipiche e ben note della popolazione autoctona.La popolazione migrante rappresenta infatti quasi sempre una fascia debole, con diffi-coltà ad accedere al nostro S.S.N. per varie barriere (giuridiche, linguistiche, culturali) con il rischio di importanti ricadute sia sul singolo paziente che sulla collettività tutta.Le vicende di questi ultimi decenni ci invitano a riconsiderare il tema della migrazione nel nostro paese allungando lo sguardo oltre le ristrettezze di singoli approcci disciplinari,

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sappiamo infatti come sia l’internista che l’infettivologo come il dermatologo siano sem-pre più implicati in problematiche che riguardano patologie esotiche.Bisogna anche oltrepassare l’angusta prospettiva della dimensione psicosociale, infatti anche le discipline della salute mentale sono sempre più interessate ai mutamenti dell’e-cologia sociale ed alle evoluzioni del concetto di psiche prodotti dai flussi migratori inter-nazionali, così come dalle problematiche cliniche che ad essi si accompagnano.Il MMG deve quindi fornire ai propri pazienti viaggiatori adeguate indicazioni circa le corrette precauzioni, norme igieniche e di comportamento da mettere in atto durante il viaggio, in rapporto alla destinazione e individuando i soggetti esposti a maggior rischio per età o per patologie croniche o particolari condizioni di vita.L’obbiettivo della Commissione Immigrazione dell’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri di Ferrara è dare un aggiornamento clinico su varie malattie infettive e der-matosi d’importazione con le informazioni diagnostico-terapeutiche più recenti, le stra-tegia di prevenzione, chemioprofilassi e terapia, ma anche saper capire come il disagio socio-economico e la forza della violenza possono agire sulla salute mentale dei migran-ti e quindi mettere in atto meccanismi di conoscenze diagnostiche e terapeutiche, capa-cità di presa in carico territoriale e di diplomazia comunitaria, competenze organizzative e programmatiche.Nella società odierna dobbiamo cambiare la nostra mentalità e mostrare che si possono vivere molte vite in una vita, che il mondo ci spinge a rigenerarci, non c’è una situazione definitiva per nessuno.

Dott.ssa M. G. Piccinini Coordinatrice Commissione Immigrazione

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LA FORZA DEL DISAGIO SOCIO-ECONOMICO E LA FORZA DELLA VIOLENZA:

CONTESTI DIVERSIFICATI PER IL DISAGIO PSICHICO DEI MIGRANTI.

Dott. Giuseppe CardamonePsichiatra, Direttore DSM Azienda USL 9 Grosseto

Dott. Michele P. MariMedico di Medicina Generale

La migrazione è responsabile di una quota sempre più importante di incremento demo-grafico nelle regioni maggiormente industrializzate. Il 75% di tutti i migranti è concentrato nei 28 pesi più industrializzati, un quarto di questi vive in America Settentrionale ed un terzo in Europa. Si stima che il numero delle persone che vivono fuori dal paese d’origine sia raddoppiato negli ultimi 50 anni (191 milioni nel 2005, esclusi gli irregolari).1 Mai nella storia questo valore era giunto tanto in alto: se i migranti fossero riuniti in un unico “stato”, esso rappre-senterebbe il quinto più popoloso del mondo (dopo Cina, India, Stati Uniti e Indonesia).2

Quando parliamo dell’evoluzione del fenomeno migratorio e pensiamo ai cambiamenti dei bisogni, si deve compiere una prima operazione di contestualizzazione considerando tre aspetti ormai assodati: che ormai l’immigrazione non è più un fenomeno emergente, ma strutturale nella nostra società, che siamo di fronte ad una elevata differenziazione delle “tipologie” di percorsi o vicende/situazioni di migrazione (es. migranti economici, migranti forzati ecc.) e che tutto ciò produce un profilo sociale e culturale dei nostri ter-ritori sempre più variegato e articolato, cosa che si ripercuote sugli accessi ai servizi pubblici, anche di salute mentale, sulle domande di cura poste e sulle problematiche che l’operatore deve affrontare. Nel solo 2011 oltre 800.000 persone nel mondo hanno attraversato i confini del loro pa-ese in cerca di rifugio e cioè per migrazioni forzate.3 Nello stesso anno in Europa sono state presentate 301.000 domande di asilo (nel 2010 erano 259.000). La Francia è il pa-ese nel quale ne sono state presentate di più (56.000) seguita dalla Germania (53.260) e dall’Italia (34.000). Fonti Istat segnalano come in Italia fra il 2010 e il 2011 i nuovi ingressi siano fortemente diminuiti con un calo di quasi il 40% rispetto all’anno precedente. In particolare i permes-si di lavoro diminuiscono del 65%, mentre del 21% diminuiscono i titoli di soggiorno per famiglia, ma aumentano significativamente i permessi per motivi diversi (+58%) e tra questi, in particolare, quelli per “asilo e motivi umanitari”.4

1 Rapporto delle Nazioni Unite sulle migrazioni, 2006 Dip. affari economici e sociali, Segreteria Generale.2 Rapporto delle Nazioni Unite sulle migrazioni, 2003. Dip. affari economici e sociali, Segreteria Generale.3 Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, 2011.4 Fabio Bracci, Pisa University Press 2012, “Emergenza Nord Africa I persorsi di acco-glienza diffusa, analisi e monitoraggio del sistema”.

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La migrazione va intesa come fatto sociale totale, che investe cioè completamente ed inesorabilmente l’identità dell’individuo e trasforma sia la società d’accoglienza che quel-la d’origine. Per dirla con le parole di Abdelmalek Sayad “Non si può fare la sociologia dell’immigrazione senza delineare, allo stesso tempo e allo stesso modo, una sociologia dell’emigrazione. Immigrazione qui ed emigrazione là sono due facce indissociabili di una stessa realtà, non possono essere spiegate l’una senza l’altra”.Volendo concentrare la nostra attenzione sull’immigrazione, quindi più sul “qui”, possia-mo riconoscere alcune tendenze. Troviamo migranti che sono domiciliati o residenti ormai da molto tempo e che portano bisogni più complessi che in passato (anche in termini di aspettative, o esiti di disagio protratto nel tempo se le condizioni di vita non sono buone ecc). Abbiamo un’esplosio-ne di situazioni di gruppo familiare (donne e figli ricongiunti, nuclei familiari, seconde generazioni....). Troviamo sempre più situazioni variegate dal punto di vista sanitario, ma anche sociale, e relative a problematiche che non sono più sporadiche (come ad esempio i casi di handicap, persone accolte in strutture di accoglienza di vario tipo: CIE, CARA, strutture SPRAR, centri polifunzionali che hanno obiettivi e modalità di lavoro spesso molto diversificati). Si presentano sempre più vere o presunte “emergenze” di popolazione legate all’arrivo di persone in fuga da situazioni di guerra. Inoltre occorre sempre più riprendere in considerazione il ruolo della violenza politica nelle quote storiche della migrazione in Italia che non sono mai state considerate, o non lo sono più, come rifugiati politici e che tuttavia provengono da paesi in cui la violenza politica (e la tortura) è stata usata diffusamente come arma di governo (Paesi dell’ex blocco sovietico, Paesi dell’America Latina, ecc.). In questi casi bisogna andare anche a vederne gli effetti a lungo termine (es. effetti sulla seconda e terza generazione di alge-rini post-indipendenza rispetto alla repressione francese dei moti anticoloniali).Avendo chiara questa realtà che caratterizza le comunità dei migranti possiamo inserire la questione dei bisogni nell’ottica di una sempre più complessa differenziazione delle situazioni e delle problematiche. È necessario muoversi fra somiglianza e differenza, specie per quanto riguarda le risposte dei servizi del territorio. Somiglianza rispetto a

Arrivi sulle coste italiane e domande di protezione internazionale presentate, 2007-2010

Anno Arrivi via mare Variazione anno precedente

Istanze di protezione presentate

Variazione anno precedente

2007 20.165 -8,4% 14.053 35,8%

2008 36.951 +83,2% 30.492 +117%

2009 9.573 -74,1% 17.603 -42,3%

2010 4.406 -54,0% 12.121 -31,1%

Rapporto annuale del Sistema di Protezione Richiedenti Asilo e Rifugiati 2010/2011

Rapporto annuale del Sistema di Protezione Richiedenti Asilo e Rifugiati 2010/2011

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questioni come il diritto alla salute, il diritto alla dignità e alle possibilità di realizzazio-ne personale, l’impatto di variabili socio-economiche. Differenza rispetto alla specificità sia delle problematiche portate sia degli strumenti utili per la gestione delle stesse (es. attivazione di funzione di mediazione di sistema e mediazione linguistico-culturale; di-spositivi normativi ecc.).Le problematiche di salute nel contesto della migrazione forzata e in quello della migra-zione per motivi economici o familiari possono essere differenti. Queste due cause di migrazione rappresentano, infatti, contesti e cornici origine di vincoli e difficoltà, scenari iniziali da cui si tracciano possibili percorsi distinti.La posizione attuale e prevalente, nell’ambito degli studi di migrazione e salute è che il migrante raramente porta con sé malattie del paese di origine, ma si ammala nel paese meta di immigrazione. Sono infatti gli individui che stanno bene a migrare, coloro che hanno maggior possibilità di riuscita, per sé e per il nucleo familiare di appartenenza. Una volta giunti nel paese di destinazione si ha in genere un intervallo di benessere con periodi critici a 3-6 mesi, a 3-5 anni e a 10-15 anni dall’arrivo. Sono questi periodi di snodo nei quali, con maggior frequenza, si presentano nuove malattie o si aggravano patologie, anche leggere, precedenti all’emigrazione. Volendo dare una connotazione nosografica di massima, potremo definirle malattie del disagio e del degrado.Il presupposto per cui il disagio ed il degrado possano essere una causa peculiare di malattia, specialmente per il migrante, è che uomini e donne che da tempo sono im-migrati “qui”, vivono in modo più drammatico i fallimenti, lo stazionamento in forme di lavoro non corrispondenti alla loro formazione, l’eventualità di un ritorno non di successo al loro paese, ecc. Prendiamo in considerazione, per esempio, alcuni disagi lavorativi. Spesso si hanno situazioni di lunga durata, fatte di precarietà, di lavori in nero, ad ore o transitori. Altre volte uomini e donne vengono impiegati in lavori ritenuti umili e sovente non adeguati alla formazione conseguita nel paese di origine. La stessa maternità, per la lavoratrice immigrata, è un ostacolo alla formazione e al lavoro più che per le italiane. Esistono infi-ne problematiche di equipollenza dei titoli e sbarramento per i concorsi pubblici.Nel transitare dalle aspettative e dai desideri iniziali al duro impatto con la realtà sembra aprirsi sempre più una voragine fra capitale culturale e personale e possibilità di realiz-zazione. Permangono infatti meccanismi di segregazione professionale che permettono soltanto una mobilità orizzontale (da lavoro di cura a tempo pieno a quello a ore, al terzo settore, al lavoro subordinato ecc), piuttosto che una mobilità verticale (possibilità di ascesa a mansioni e posizioni più professionalizzanti, possibilità di carriera), per quanto siano in aumento le iniziative di lavoro autonomo. È inoltre riconosciuta come scarsa, anche per chi non lavora, la corrispondenza fra competenze e impegni (o opportunità d’impegno).Prendiamo in analisi un caso specifico legato al lavoro, la sinistrosi, che potrebbe esser considerata esito delle difficoltà legate al progetto migratorio e all’estrema associazione amministrativa fra lavoro e permesso di soggiorno. La sinistrosi, secondo la definizione di Brissaud del 1908, consiste in un “delirio struttu-rato fondato su una falsa idea di rivendicazione”. Sono soggetti che, dopo aver subito

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un incidente sul lavoro, presentano con modalità disfunzionali istanze di risarcimento spesso irrealistiche. Tale patologia colpisce il nucleo somatopsichico legato all’identità del soggetto in quanto forza-lavoro e può essere definita come un disturbo formale del pensiero basato su un’idea di rivendicazione che segue un incidente sul lavoro. La sini-strosi potrebbe esser considerata come un modo per conservare la propria individualità ed identità collettiva, o come possibile strategia per far fronte al conflitto generato dalla duplice appartenenza culturale, perno spesso invisibile e problematico dell’intero pro-getto migratorio.In fondo la convinzione d’esser scrutati e rifiutati può rappresentare il nucleo attorno al quale si organizzano vari comportamenti di rivendicazione che possono avere la fun-zione di riaffermare l’identità. Questi atteggiamenti si pongono su un continuum che va dalla posizione di giusta rimostranza a rivendicazioni persistenti e richieste inappropriate poste con durezza, fino ai disturbi psichiatrici veri e propri tipo la sinistrosi.La realtà del migrante è spesso quella di una persona isolata dal proprio gruppo etnico. Questo isolamento produce un’esperienza del proprio corpo come unità biologicamente individualizzata, cui conseguono ipocondria, maggior suscettibilità ad essere vittima di incidenti, cenestopatie, ecc, che sarebbero espressioni di un linguaggio del corpo che si fa portatore di rivendicazioni sociali, che esprime senso di rifiuto e messa in crisi dell’i-dentità. Un corpo che non è più soggetto materiale dell’individuo, ma diviene oggetto, o meglio ancora diviene mezzo espressivo del disagio. Lo stato di salute dei migranti sembra essere negativamente influenzato da un intreccio di: atteggiamenti e stili di vita non preventivi, precarie condizioni abitative, giuridiche, socio-economiche, scarsi riferimenti sul territorio, uso improprio dei servizi, scadenti condizioni lavorative e infortuni sul lavoro (“le 5 P”: lavori precari, pericolosi, pesanti, poco pagati, penalizzanti). Fra le patologie che possono esser messe in relazione a condizioni di vita precarie vi sono: disturbi dell’apparato digerente, malattie apparato respiratorio e muscolo-schele-trico, malattie cardiovascolari, infortuni sul lavoro, disagi ascrivibili all’area psicologica e psichiatrica (in costante aumento), sintomi medici inspiegabili (MUS).Rispetto alla violenza collettiva dobbiamo considerare tre soggetti: la vittima, il tortu-ratore (o persecutore) e il sistema della tortura (o persecuzione). Quest’ultimo sarà un sistema tecnico efficace a perseguire gli obiettivi con strumenti e metodi altamente tra-sformanti. Sostanzialmente è simile in tutte le parti del mondo, anche se cambiano gli oggetti a partire dai quali tale sistema si organizza. Da un punto di vista etnopsichiatrico, il lavoro fondamentale è rivolto a rintracciare gli effetti del sistema complesso della tortura sulla vittima più che andare alla ricerca di una visione intrapsichica. Questo sistema viene analizzato come apparato di lavorazione e trasformazione dell’umano a partire dagli oggetti di attaccamento, dalle appartenenze, dalla manipolazione dei tabù culturali, ecc, al di là delle tracce visibili sul corpo (tortura bianca). Il “carnefice”, attraverso una formazione e addestramenti specifici, specializzati e sa-pienti è colui che prima della “vittima” viene trasformato dal sistema.Sempre più discipline psicologico-psichiatriche in generale, ed i servizi di salute mentale

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in particolare, devono considerare le specificità culturali e storico-politiche delle persone che pongono una domanda di cura, poiché dalla loro presa in considerazione dipendo-no sia la possibilità di comprendere la configurazione clinica della domanda presentata (diagnosi), sia la possibilità di avviare e mantenere una relazione di cura (terapia).Primo elemento di specificità culturale è la lingua e più in generale la comunicazione. In che maniera i sintomi vengono indagati dall’operatore e raccontati dal paziente? In che maniera vengono formulate, strutturate, comunicate le diagnosi da una parte e come vengono comprese dall’altra? Come vengono vissute e interpretate le sofferenze dal terapeuta e come le sente invece il paziente? L’incontro con un paziente straniero interroga spesso le teorie e le pratiche del medico. Sono possibili tre posizioni: 1. l’esotismo, in cui l’altro è visto come portatore e ricettacolo di malattia;2. lo scetticismo, secondo cui è un “lavativo”, un “perditempo”, e un “malato immagi-

nario”;3. il criticismo, in cui l’altro apre un dibattito sulle visioni di salute e di malattia.

Le Linee di indirizzo nazionali per la salute mentale che il Ministero della Salute ha pub-blicato nel 2008 definiscono obiettivi generali e specifici, suggeriscono indirizzi operativi e criteri di valutazione utili per la presa in carico di individui e famiglie migranti, in una prospettiva di lavoro più ampia che non coinvolge soltanto i singoli Dipartimenti di Salute Mentale. Per obiettivi generali e specifici si intendono, da una parte, lo sviluppo della sensibilità culturale generale e dell’attenzione alla variabile migratoria come qualità ne-cessarie dei processi organizzativi, e dall’altra, lo sviluppo di competenze professionali e di strategie operative nell’ambito della clinica transculturale e del lavoro intersettoriale e comunitario in contesti multiculturali. Gli obiettivi vengono perseguiti favorendo la comunicazione tra i diversi attori istituzio-nali, garantendo equità nell’accesso e nella fruizione dei servizi, promuovendo gruppi di iniziativa per lo sviluppo di interventi di salute mentale transculturale, utilizzando media-zioni linguistico-culturali, formando i mediatori al lavoro di equipe e disseminando gli esiti delle sperimentazioni. Alcuni presupposti delle linee guida sono già stati accolti come punto di partenza dai ser-vizi di salute mentale. In particolare la crescita quantitativa e l’incremento dell’incidenza d’accesso ai servizi da parte della popolazione migrante, che si accompagnano ad una diversificazione qualitativa della richiesta di cura, in conseguenza della pluralità di vis-suti legati all’evento migratorio (es. rifugiati politici). Gli operatori sono quindi chiamati a far fronte a forme finora inedite di relazioni che assumono termini come acculturazione, integrazione ed inclusione sociale. Si vengono a trovare di fronte anche a problematiche specifiche e complesse riguardo alla cura, come la psicopatologia delle vittime di tortura.In accordo con Geoge Devereux la cultura va intesa come sistema operativo che trasfor-ma, lavora, fabbrica, costruisce individui di quella certa natura. È in questa pressione trasformante che l’ethos mostra la propria forza. Che cosa accade quindi quando si abbiano più ethos a confronto?

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L’ethos, abbiamo detto, fabbrica i suoi membri a partire da un dato sistema di coerenze, affiliandoli a gruppi, luoghi, oggetti, visioni. Ogni gruppo umano condivide e manifesta una specifica visione della salute, della malattia e della cura, per poi fabbricare sistemi terapeutici ed in generale strumenti in grado di rispondere ad una specifica domanda di cura. La violenza politica attacca le affiliazioni delle sue vittime, così come i suoi attac-camenti a gruppi (famiglia, partiti, ecc.) e divinità al fine di deumanizzarle (privarle cioè della loro modalità culturalmente specifica di esseri umani).Come potremmo integrare questo presupposto nella pratica quotidiana? In vari modi. Innanzitutto riconoscendo l’importanza del posizionamento degli operatori all’interno delle istituzioni in relazione alle loro attitudini e capacità. È poi necessario costruire dei setting e dei progetti adeguati attraverso i quali rispondere alla domanda di cura, in primo luogo assegnando uno spazio preminente alla lingua d’origine tramite l’in-serimento del mediatore e di una funzione di mediazione complessa. È infatti all’interno della lingua d’origine che si è costruita l’identità e che si può ritrovare la pregnanza del vivere. Inoltre facendo riferimento ad essa si possono comprendere le parole intraduci-bili e le teorie/visioni alle quali rimandano, i nuclei generativi specifici dell’esperienza e delle identità. Questo permette anche di articolare fraintendimenti, conflitti e divergenze di pensiero o vissuti.La funzione di mediazione non riguarda solo la figura del mediatore ma investe tutto il sistema clinico e/o dei servizi. Per questo bisogna essere in grado di lavorare ad un setting di mediazione complesso e saper usare questa possibilità. Da qui deriva la necessità di una formazione congiunta rivolta alla condivisione di una metodologia del lavoro insieme (operatori e mediatori, partner e collaboratori). Il mediatore dovrebbe appartenere allo stesso mondo di origine del paziente ed essere ben formato.In questa ottica occorre integrare le competenze di molte aree culturali (etnopsichiatria, psichiatria transculturale, etnologia, antropologia medica, etnografia, etnolinguistica, di-ritto internazionale, sistemi di mediazione, scienza delle religioni, sociologia e medicina delle migrazioni, ecc.) che consentono agli operatori di comprendere appieno il proble-ma presentato e all’utente di riceve una risposta altrettanto comprensibile ed efficace.Queste considerazioni hanno, quindi, ricadute dirette sulle operatività. In primo luogo nell’ambito delle discipline e delle pratiche psicologiche, psichiatriche e sociali.Ci troviamo di fronte ad un passaggio specifico e orientato dal punto di vista tecnico e metodologico, che richiede formazione e aggiustamenti peculiari nella relazione di cura, ma che ben si articola con la storia di deistituzionalizzazione e lavoro di comunità che già conosciamo (coerenza della prospettiva etnopsichiatrica). È necessario riconoscere e sostenere la complessità generata dalle esperienze di mi-grazione e delocalizzazione di individui, famiglie e interi gruppi umani, intesa sia nel suo più ampio senso sociologico e geo-politico (la pressione trasformativa esercitata sulle società di partenza e di arrivo), sia come complessità sostanziale rispetto alle logiche e alle visioni del mondo che transitano e si spostano insieme agli individui. Tali logiche e tali visioni del mondo diventando fonti ed elementi di forti pressioni culturali nel punto-momento di incontro e convivenza tra più popoli migranti e più “popoli” cosiddetti autoc-toni.

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In questo quadro, l’etnopsichiatria si occupa dei sistemi di pressioni e di forze che con maestria e dedizione, con architetture rituali complesse e sottili, fabbricano uomini e donne in ogni parte del mondo. Si occupa dei razionali e dei nuclei intenzionali che pre-suppongono tali architetture, degli obblighi, degli impegni e delle costrizioni che legano umani e non umani all’interno di vicende comuni e delle problematiche di rottura e frat-tura che possono verificarsi.

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MALATTIE INFETTIVE EMERGENTI E RIEMERGENTI. PROBLEMATICHE INFETTIVOLOGICHE PER I VIAGGIATORI AL RIENTRO IN ITALIA.

RUOLO DEL MEDICO PRATICO E DELLO SPECIALISTA.

Prof. Carlo Contini

- Professore Ordinario di Malattie Infettive- Sezione di Malattie Infettive, Dipartimento di Scienze Mediche Università di Ferrara

- Direttore U.O.C Malattie Infettive UniversitarieAzienda-Ospedaliero Universitaria Ferrara

INTRODUZIONE

Gli enormi progressi conseguiti nel campo dell’assistenza sanitaria nell’ultimo mezzo secolo, non hanno comportato un decremento delle Malattie Infettive, responsabili di circa il 25% delle morti a livello globale e del 45% di quelle nei Paesi a Risorse Limitate. Dei 57 milioni di decessi (oltre il 25%) che ogni anno si registrano nel mondo, circa 15 milioni (Figure 1-2) sono causati da Malattie Infettive (Morens et al, 2004).

Figure 1-2. Cause principali di morte e n. decessi annuali (circa 15 milioni) nel mondo, ascrivibili direttamente alle Malattie Infetti-ve. WHO http://www.who.int/whr/en

Oltre alle “vecchie patologie”, sempre presenti, l’umanità ha conosciuto le cosiddette “Malattie Infettive Emergenti”, definite, secondo un rapporto dell’Institute of Medicine of the National Academies (Microbial Threats to Health, 2003) quelle malattie che possono essere esistite in precedenza, ma la cui incidenza o diffusione geografica è in rapido au-mento ed è andata aumentando in aree del mondo circoscritte o a livello globale, nell’ulti-mo ventennio del XX secolo (Figura 3). Tra queste vanno ricordate le febbri emorragiche di Ebola, Luja, Marburg, Lassa, Dengue e Rift Valley, le infezioni da Coronavirus (SARS e CoV), Chickungunya, West Nile e Nipah virus), la MDR-XDR TB, i sierotipi di E. coli 0157:H7, e O104:H4, l’influenza aviaria, ecc.

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Figura 3. Malattie Infettive Emergenti e Riemergenti

Figura 4. Condizioni che hanno determinato la riduzione delle Malattie Infettive nel XX° secolo.

Attualmente infatti, nei Paesi in Via di sviluppo (PVS), le Malattie Infettive non sono state debellate, rappresenta-no ancora la prima causa di morte e spesso si tratta di pa-tologie infettive emergenti (Chavers et al., 2002). Inoltre, se è vero che vi sono fattori che hanno determinato la ri-duzione delle Malattie Infetti-ve nel XX° secolo, ve ne sono altri che di queste ultime ne hanno influenzato o accelera-to l’emergenza. Tra questi, l’imponente crescita della po-polazione, le variazioni clima-tiche, gli eventi naturali, il

commercio intercontinentale, i flussi migratori, i viaggi, la suscettibilità umana alle infe-zioni. Vi sono poi fattori socio-economici, fattori influenzanti la riduzione di misure di prevenzione ed infine il bioterrorismo che in qualche modo hanno concorso ad incre-mentarne l’incidenza.

Differenti quindi dalle Ma-lattie Infettive Riemergenti, ovvero quelle che divengo-no nuovamente frequenti dopo aver mostrato una diminuzione significativa di incidenza (Es. Tuberco-losi).Il XX secolo ha visto l’intro-duzione di antibiotici sem-pre più attivi, di vaccini ef-ficaci oltre all’applicazione

di idonee misure di igiene ambientale (Figura 4) che, a differenza di quanto accadeva nel secolo XIX, hanno contrastato con grande efficacia un crescente numero di Malattie Infettive. Eppure, l’idea che queste siano state sconfitte e che le patologie cronico-dege-nerative, come il cancro e le malattie cardiovascolari, rappresentino, allo stato attuale, la principale sfida della scienza medica secondo i Centers for Disease Control and Pre-vention (CDC) 1999, non appare fondata.

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Suscettibilità alle Infezioni, Evoluzione Microbica e Globalizzazione

Mentre la suscettibilità alle patologie da infezione non ha subito sostanziali variazioni nel corso di millenni, la seconda, in virtù della complessità e dinamicità dei microbi, è in costante evoluzione. I microrganismi si riproducono rapidamente e mutano altrettanto frequentemente; si adattano con relativa facilità a nuove situazioni ambientali e a nuovi ospiti; inoltre possono sviluppare resistenza ai farmaci utilizzati per combatterli. Ciono-nostante, da milioni di anni, esseri umani e microrganismi convivono ed interagiscono continuamente.Un ruolo di primo piano nella proliferazione e diffusione di questi agenti infettivi, spetta sicuramente al processo di globalizzazione, inteso come il flusso attraverso i confini na-zionali di beni e servizi, capitali, persone, tecnologie, idee e culture con le sue ripercus-sioni economiche, politiche, culturali, sociali ma anche sanitarie, che ha enormemente amplificato le possibilità dell’ incontro uomo-patogeni nuovi od emergenti che talvolta oltrepassano la stessa barriera di specie, veicolati spesso, da insetti vettori che si adat-tano o proliferano in aree geografiche indenni. Nuove Malattie Infettive compaiono al ritmo di una per anno e negli ultimi tre decenni ne sono comparse circa 39. Eppure, nel 1969, in occasione del “Congressional Testimony of the General Surgeons of the United States”, il chirurgo dr. William H. Stewart asseriva: “It is time to close the book on infec-tious diseases and declare the war against pestilence won”.

Flussi Migratori

Le migrazioni hanno sempre caratterizzato la storia dell’uomo, dal suo apparire sino ad oggi. I flussi migratori odierni si svolgono da Paesi a più alta vulnerabilità per l’emer-genza di infezioni (Paesi poveri) a Paesi a più basso rischio di diffusione infettivo. Ciò fa sì che i migranti tendano a portare con loro nei luoghi di arrivo anche una maggiore vulnerabilità alle infezioni.Definire l’immigrazione in Italia come elemento di un cambiamento epocale della nostra società potrebbe sembrare esagerato in un periodo storico di grandi modificazioni cultu-rali ed economiche quali la globalizzazione e di accelerare dinamiche sociali dettate da livelli di comunicazione sempre più veloci e diffusi. Negli ultimi anni “La Popolazione Umana Mobile” ha superato la cifra di un miliardo e 300 milioni. Si tratta di persone che provengono da Africa, America del sud, Asia ed Est Europa ed attraversano, definitivamente o temporaneamente i confini del proprio Paese d’origine per motivi turistici, politici, economici, professionali o per sfuggire a persecu-zioni politiche e religiose.L’Italia partecipa a questo fenomeno mondiale sia come paese di origine, che come paese di accoglienza. In poco più di venti anni l’Italia si è consolidata come meta più o meno definitiva per un flusso di cittadini stranieri in costante aumento. La popolazione immigrata è cresciuta infatti di quasi 20 volte. Secondo la stima del Dossier Caritas Mi-grantes, gli stranieri regolarmente soggiornanti sono oramai più di 5 milioni (1 immigrato ogni 12 residenti) contro il dato dell’Istat che all’inizio del 2010 ha registrato 4 milioni e 235 mila stranieri residenti in Italia, con una incidenza sulla popolazione residente di

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oltre il 6%, un punto in più della media dell’Unione Europea.Gli stranieri provengono nel nostro Paese da quasi 190 paesi diversi, principalmente dal Sud del Mondo. La comunità straniera più numerosa è quella romena, con poco meno di 1 milione di presenze, seguono albanesi e marocchini. Gli immigrati irregolari presenti in Italia sono 500-700 mila e tendenzialmente in calo (Figura 5).

Figura 5. Principali aree di emigrazione: Africa settentrionale e orientale, Paesi del Golfo di Guinea, Vicino Oriente, Asia occidentale e sud-orientale, America caraibica e meridionale. I Paesi di immigrazione sono in prevalenza quelli industrializzati tra cui Europa, Stati Uniti, Canada, Australia, Paesi Arabi.

Dai dati dell’Osservatorio sull’Immigrazione della Provincia di Ferrara si evince che nella nostra provincia sono residenti quasi 30 mila stranieri, di cui oltre 6 mila minori, con un’in-cidenza sulla popolazione residente totale pari all’8,4 %. La maggior parte proviene da Marocco, Romania, Albania, Ucraina, Pakistan e Moldavia. Gli stranieri che si rivolgono al nostro Centro Universitario di Malattie Infettive Tropicali e del Migrante, sono giovani (età media 41 anni) provengono dall’Europa dell’Est (in particolare Moldavia e Ucraina) e vivono in Italia da meno di 2 anni. Il profilo della popolazione immigrata (ottenuto da studi analitici provenienti dalle schede di dimissione ospedaliere (SDO) ed analisi multietniche, è generalmente contraddistinto da un buon patrimonio di salute testimoniato dal fatto che la maggior parte degli accessi alle strutture ospedaliero-universitarie sono legati ad eventi fisiologici quali quelli con-nessi alla gravidanza ed al parto o ad eventi traumatici accidentali. Eppure, svariati studi epidemiologici sottolineano ormai da tempo che il rischio di im-portazione di malattie infettive ricollegabile all’immigrazione è trascurabile. Gli esperti parlano di “effetto migrante sano”, una forma di selezione naturale all’origine per cui decide di emigrare solo chi è in buone condizioni di salute. Una volta arrivati in Italia gli immigrati, soprattutto in un primo periodo e se in condizione di irregolarità giuridica,

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vedono progressivamente depauperare il loro patrimonio di salute, a causa della conti-nua esposizione ai fattori di rischio rappresentati dalla povertà - precarietà alloggiativa, sovraffollamento, scarsa tutela sul lavoro, alimentazione carente – ai quali si aggiun-gono il disagio psicologico legato allo sradicamento culturale e le difficoltà di accesso ai servizi sociosanitari. Queste considerazioni epidemiologiche sono confermate anche dall’analisi dei ricoveri, che evidenzia un basso impatto del fenomeno migratorio sui servizi ospedalieri – inferiore all’impatto demografico – per motivi essenzialmente ri-conducibili a eventi fisiologici come il parto o accidentali come i traumi. Viene peraltro segnalato il crescente numero di ricoveri per malattie croniche (in particolare patologie cardiovascolari e tumori), a fronte di un calo in termini sia assoluti che relativi delle ma-lattie infettive: questi ultimi dati suggeriscono un cambiamento in atto nel profilo di salute degli immigrati, una sorta di transizione epidemiologica conseguente all’invecchiamento della popolazione e alle modifiche degli stili di vita. Il sistema della “globalizzazione” ha tuttavia rimesso in gioco il “determinismo delle Malattie Infettive”, con l’emergere di nuo-ve patologie e la ricomparsa di altre, che sembravano destinate a ridursi o addirittura ad estinguersi. L’intensificazione degli spostamenti delle persone rende infatti possibile che agenti patogeni dapprima confinati e limitati in una sorta di “geografia infettiva”, superino i confini nazionali e possano pertanto condizionare la comparsa di infezioni un tempo definite “tropicali” ma oggi sempre più frequenti anche alle nostre latitudini. Dall’analisi dei dati sanitari nazionali ambulatoriali e ospedalieri si evince che la maggior parte delle malattie infettive a carico degli immigrati sono rappresentate da infezioni respiratorie, gastroenteriche, cutanee e urogenitali, causate da germi largamente diffusi in Italia e influenzate dalle condizioni di vita dei migranti. Meno frequenti, ma comunque non meno importanti, sono invece le patologie infettive o tropicali potenzialmente conta-giose come la tubercolosi (TB), il cui rischio di contrarla è pari a 10-15 volte in più tra gli immigrati rispetto alla popolazione italiana, (quasi 8 milioni di nuovi casi nel mondo, circa 5.000-6.000 persone all’anno, in Italia) e la lebbra. Quest’ultima, che nell’immaginario riporta al Medioevo o al Terzo Mondo, è drammatica specialmente tra gli immigrati, per la mancanza di ogni controllo sanitario, sia al momento dell’ingresso che durante il loro soggiorno in Italia. Anche il numero delle Infezioni Sessualmente Trasmesse (IST) è enormemente aumentato negli ultimi anni. Inoltre, le condizioni di sfruttamento sessuale cui sono sottoposti donne e uomini immigrati, li espone al rischio di essere contagiati e quindi di diffonderle. Tra esse l’AIDS, la lue e l’epatite B. A proposito di HIV/AIDS, i dati del Centro Operativo AIDS dell’Istituto Superiore di Sanità indicano un progressivo aumento della proporzione di nuovi casi di AIDS nei soggetti di nazionalità straniera. Tale dato, tuttavia, appare riflettere un più ritardato accesso alla diagnosi ed alla terapia piuttosto che una maggiore prevalenza nella popolazione migrante generale, eccezion fatta per i gruppi a particolare rischio epidemiologico (prostitute) nei quali inoltre un nu-mero significativo di infezioni potrebbero essere state contratte in Italia piuttosto che nel Paese di origine.Oggi la popolazione immigrata è esposta a molti fattori di rischio. Tra questi, le con-dizioni precarie di vita, le situazioni connesse all’emarginazione sociale e le barriere linguistiche, culturali e socio-economiche, possono causare, tra gli immigrati, difficoltà di

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accesso ai servizi sanitari, oltre che scarsa informazione e bassa attitudine alla preven-zione, con inevitabili paure o pregiudizi che vengono percepiti come un rischio sanitario. In quest’ottica, la mediazione interculturale, non ancora presente capillarmente, ma che nella nostra città rappresenta un punto di forza, occupa un posto di primo piano. La ca-pacità di informare e orientare i cittadini stranieri per favorire l’accessibilità e la fruibilità dei servizi diventa quindi un requisito essenziale su cui si gioca la qualità dell’offerta sanitaria. Le innovazioni al sistema di assistenza che tengano conto dei nuovi bisogni sanitari sono, quindi, una risposta non solo alle questioni specifiche degli immigrati, ma a un’esigenza più complessiva di equità, di apertura e di attenzione all’appropriatezza.

Cambiamento Climatico

Tra le modificazioni ecologiche più importanti cui stiamo assistendo c’è il cambiamen-to climatico. L’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), organismo creato dall’ONU, nel suo quinto rapporto, ha previsto un rialzo termico a livello mondiale di circa 3 °C nel corso del 21° secolo (Tanser et al, 2003). Questa variazione, da sola sembra possa costituire per la salute umana una minaccia particolarmente grave perché favo-rirebbe l’espansione delle aree in cui colpiscono alcune malattie infettive trasmesse da animali (zoonosi). I microrganismi, infatti, si riproducono con una velocità proporzionale alla temperatura del luogo in cui si trovano. Sotto certe temperature la loro replicazione si arresta del tutto. Ma un aumento può anche far crescere il tasso di replicazione del vettore (Anopheles) e il numero di volte in cui punge (Figura 6). Va però detto che il timore dell’instaurarsi di infezioni a prevalenza parassitaria nel nostro Paese, risulta ingiustificato in quanto mancano attualmente le condizioni epidemiologiche necessarie alla realizzazione di tali eventi: assenza di insetti vettori, serbatoi, condizioni climatiche adeguate, abitudini di vita differenti.Figura 6. Effetti delle variazioni climatiche in relazione alla comparsa di Malattie Infettive e non Infettive

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Viaggi

Altre attività legate all’uomo sono quelle legate ai viaggi. Nel 2011 vi sono stati 2 miliardi e mezzo di viaggiatori; di questi, 50 milioni, dai Paesi Industrializzati varcano ogni anno le frontiere dei paesi Tropicali. Per quanto ci riguarda, 18 milioni di italiani si recano all’e-stero annualmente; il 10% ha come meta Paesi tropicali e subtropicali, dove condizioni igienico-sanitarie, abitudini alimentari, clima e stili di vita sono diversi dai nostri. In generale, il viaggio per piacere, ricreazione e vacanza ha inciso per più del 50% di tutti gli arrivi internazionali, in particolare per il 51%, ossia 446 milioni di arrivi. Circa il 15% dei turisti internazionali ha viaggiato per affari per scopi professionali ed un altro 27% di viaggiatori ha viaggiato per scopi specifici, per esempio per visitare amici e parenti (Visi-ting Friend Relatives -VFR), per ragioni religiose e pellegrinaggi, per trattamenti sanitari ecc. Poco più della metà dei viaggiatori è arrivata a destinazione utilizzando il mezzo aereo (51%) nel 2010, mentre i restanti viaggiatori hanno viaggiato con mezzi di super-ficie (49%) ed in particolare per strada (41%), ferrovia (2%) o mare (6%). Nel tempo, la quantità di arrivi per via aerea è gradualmente aumentata. Si stima che gli arrivi interna-zionali raggiungano 1,6 miliardi entro il 2020. Lo scopo del viaggio nel 70,9% dei casi è il turismo, nel 25,4% visita a parenti e amici, viaggi di lavoro nel 9,5%, ricerca/studio nel 2,8% e motivi religiosi nel 2,3%. Soprattutto cruciale è oggi, rispetto ai secoli scorsi, la velocità con cui si viaggia. Si stima, infatti, che la velocità media di spostamento degli esseri umani sul pianeta sia aumentata di circa mille volte negli ultimi due secoli e che il numero di passeggeri inter-nazionali sia andato rapidamente crescendo fino a superare il miliardo nel 2011. E’ oggi possibile, recarsi in ogni parte del mondo in un periodo di tempo inferiore al periodo di incubazione di moltissime malattie infettive (Wilson, 2003). Questa enorme accelerazio-ne nella possibilità di diffusione di un contagio è senz’altro riconducibile alla maggiore facilità e rapidità con cui viaggiano persone e merci, compresi gli animali e gli alimenti. Con le merci possono viaggiare anche insetti potenzialmente vettori di malattie e mi-crorganismi patogeni (globalizzazione dell’insetto vettore!). In tal modo si sono diffuse le zoonosi emergenti che possono avere impatti diretti e indiretti sulla salute umana, come la SARS, l’influenza aviaria, l’infezione da virus West Nile, la variante della malattia di Creutzfeld-Jakob (vCJD), malattia neurologica cronica degenerativa causata da un “agente infettivo” responsabile dell’encefalopatia spongiforme bovina, meglio conosciu-ta come malattia della “mucca pazza”. Recentemente infine, anche la Sindrome Respi-ratoria Medio-Orientale da Coranavirus (Mers-CoV).Un contributo essenziale nella mappatura e sorveglianza delle patologie infettive lega-te agli spostamenti intercontinentali è stato possibile grazie a GeoSentinel Istituito nel 1996, con 30 Istituti di Malattie infettive e Tropicali nel mondo, esercita una Sorveglianza globale delle patologie di importazione in viaggiatori/migranti (Networking tra GeoSenti-nel e Networks affini -TropNet Europe; WHO- Diseases Outbreaks News).

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Commercio

Il commercio globale (internazionale), soprattutto quello alimentare rappresenta un altro meccanismo di trasporto e disseminazione di microrganismi patogeni, di insetti vettori, come le zanzare, e di ospiti intermedi. I progressi nelle tecnologie di produzione e di con-servazione degli alimenti insieme alla globalizzazione dei mercati hanno determinato un incremento senza precedenti della complessità̀ e della lunghezza della catena alimen-tare, creando nuove opportunità di contaminazione e diffusione dei patogeni (Figura 7).Oggi c’è molta più attenzione all’interfaccia uomo-animale. Il motivo deriva dalla sempre maggiore richiesta di carne. Nell’era della globalizzazione come concetto di mercato, si deve entrare nell’ordine di idee che anche i virus/microrganismi sono globali.

LE MALATTIE INFETTIVE AL RITORNO DA UN VIAGGIO

I rischi legati al viaggio variano in base alle caratteristiche del viaggiatore (età, stato di salute) e del viaggio stesso (destinazione, durata, scopo). A volte possono essere molto diversi, pur visitando lo stesso Paese.I numerosi cambiamenti che si verificano nel corso del viaggio, possono aumentare le possibilità di contrarre una malattia, soprattutto se non si è consapevoli, prima della partenza, di quali siano le situazioni più pericolose e come eventualmente prevenirle. In particolare, fonte di rischio sono gli alimenti e l’acqua, spesso non accuratamente depu-rata. Possono presentarsi anche problemi derivanti da condizioni ambientali (altitudine, siccità, temperature troppo elevate), dalla presenza di parassiti nell’ambiente e negli ani-mali con cui si può venire a contatto, dalla presenza di insetti infetti e da comportamenti sessuali a rischio.Si calcola che circa l’8% dei 50 milioni di viaggiatori diretti verso i paesi a risorse limitate,

Figura 7. Mappa delle rotte transcontinentali di alcuni prodotti alimentari

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più spesso in zone tropicali, acquisisca patologie di entità tale da richiedere una valu-tazione medica urgente una volta rientrati dal viaggio. Si stima anche che su 100.000 viaggiatori in un Paese in via di sviluppo per mese di soggiorno, 50.000 manifestano disturbi nel corso del viaggio, 8.000 ricorrono al medico, 5.000 saranno costretti a letto, 1.100 saranno limitati nelle attività, 300 saranno ricoverati nel corso del viaggio o a casa, 50 rimpatriati per ragioni sanitarie e uno morirà. E’ sempre più frequente l’osservazione di malattie tropicali, che pone importanti quesiti dal punto di vista diagnostico e terapeutico. Il medico che si trova di fronte a un pazien-te immigrato, a un bambino adottato all’estero, a un viaggiatore rientrato (di recente o meno) da un paese tropicale con patologie e problemi clinici di cui non ha esperienza.Considerando i continui spostamenti che si verificano per motivi turistici, economici e culturali, è quindi necessario, nell’approccio clinico a tali pazienti, conoscere l’epidemio-logia e le principali modalità di presentazione di numerose malattie infettive in relazione all’area geografica visitata. Non va dimenticato, inoltre, che alcune malattie che si rendono evidenti al rientro da un viaggio, possono non riconoscere un origine infettiva. In generale, i viaggiatori possono contrarre a seconda della zona visitata e della tipo-logia del viaggio, malattie in seguito a punture da insetto (Malaria, West Nile, Leishma-niosi, Febbri emorragiche virali [Dengue, Chikugunya], Rickettsiosi, Tripanosomiasi), ingestione di acqua o cibo contaminato (Febbre tifoide, Diarrea del Viaggiatore, epatite A ed E), contatto con animali (Leptospirosi, Tularemia, Brucellosi, Rabbia, Febbre Q, Istoplasmosi).Il 22% dei viaggiatori che lamentano disturbi dopo un viaggio in area tropicale riferi-scono l’insorgenza di una sintomatologia febbrile (The European Network on Imported Infectious Diseases Surveillance – TropNetEurope). Infatti, secondo recenti acquisizioni (Friedman et al, 2006), tra tutti i gruppi sindromici e le principali manifestazioni cliniche osservati in persone al rientro da un viaggio in Paesi a risorse limitate, la febbre rappre-senta il sintomo più frequente che richiede un’attenzione medica particolare, dal mo-mento che alcune infezioni responsabili di rialzo termico, possono evolvere rapidamente con esito anche letale. Una febbre che persiste per 15 o 30 giorni dopo il rientro, è spesso ascrivibile alla Ma-laria (27-42%), seguita dalla Dengue, anche se altre infezioni a carattere virale (HIV, EBV, CMV), batterica (Febbre tifoide, Brucellosi, TBC) o parassitaria (Schistosomiasi), devono essere sempre contemplate. Se insorge dopo 6 settimane dal viaggio, può far considerare la possibilità di una ma-laria da Plasmodium vivax/ovale, ma anche di Epatite Virale, TBC o Ascesso Amebico Epatico. Stratificando l’etiologia in base alla tipologia del soggiorno e del Paese visitato, si è po-tuto osservare che le diagnosi principali per i viaggiatori provenienti dall’Africa, sono so-prattutto la Malaria (35% da P. falciparum) e la Rickettsiosi (4%); per coloro provenienti dall’ Asia, Dengue (12%), Malaria (9%) e Febbre enterica (4%); Dengue (8%) e Malaria (4%) invece, per i viaggiatori che avevano effettuato un viaggio in America Latina.Non si devono inoltre tralasciare, sebbene meno frequenti, la leptospirosi, la Chikungun-

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ya, la Schistosomiasi in forma acuta (Katayama fever), nonché altre infezioni ubiquitarie quali la toxoplasmosi, la mononucleosi infettiva, l’infezione da Citomegalovirus ed HIV. Vanno anche incluse le infezioni acute delle vie respiratorie (influenza), urinarie anch’es-se potenzialmente febbrili.E’ ruolo fondamentale dello specialista quindi, che ai fini di una corretta e tempestiva diagnosi, venga intrapreso un approccio medico che tenga conto di un’anamnesi accu-rata relativa al viaggio e stile di vita del viaggiatore (che tenga anche conto delle proprie abitudini sessuali), alle attività svolte, allo stato vaccinale prima della partenza ed all’e-ventuale profilassi antimalarica. Assai importante inoltre, disporre di dati possibilmente indicativi del momento dell’esor-dio clinico in rapporto alla possibile esposizione, oltre all’eventuale presenza di segni o sintomi associati alla febbre (cefalea, manifestazioni cutanee, ittero, adenomegalie, epatosplenomegalia), che possono essere dirimenti nella diagnosi differenziale con le diverse patologie. E’ comunque doveroso asserire che salvo per alcune infezioni quali malaria, febbre tifoide, ascessi ed alcune forme sepsigene, raramente essa è patogno-monica di una malattia specifica.L’anamnesi deve sempre essere seguita da un esame obiettivo meticoloso e da indagini di laboratorio che contemplino sempre, oltre ai principali esami routinari, un esame emo-scopico (striscio sottile e goccia spessa) per la ricerca del parassita malarico, soprattutto per coloro che rientrano dall’Africa Subsahariana. La malaria va comunque sempre so-spettata in tutti coloro che al ritorno da zone malariche, presentano febbre persistente, spesso a carattere simil-influenzale. In tal caso, il recarsi presso un Centro specialistico di Malattie Infettive per effettuare un esame emoscopico volto ad escludere il parassita malarico, può evitare, l’insorgenza di gravi complicanze se non addiritura l’exitus. Il ruolo dello Specialista in Malattie Infettive in questo caso, è quello di riconoscere il parassita e definirne la specie secondo lo schema riportato nella Figura 8.

Figura 8. Impostazione diagnostica corretta per l’identificazione del parassita malarico in soggetto con diagnosi non confermata.

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La febbre può essere isolata oppure accompagnarsi a sintomi o segni d’organo (respi-ratori, neurologici, gastrointestinali, cutanei), secondo quanto riportato nella Tabella 1.

Tabella 1. Sintomatologia di accompagnamento potenzialmente associata ad una Malattia Infettiva.

*ubiquitarie

La coesistenza di sintomi respiratori può indirizzare verso la diagnosi di influenza (ri-schio da giugno a settembre per coloro che effettuano viaggi nell’emisfero meridionale), ma anche di legionellosi o, sebbene più raramente, di TB. La presenza di sintomi neu-rologici è spesso indicativa di un’emergenza medica. Le cause possono essere svariate soprattutto se l’insorgenza è avvenuta in aree tropicali. Oltre alla malaria cerebrale, da ricordare l’Encefalite da West Nile, da zecche e la giapponese (distribuzione estivo-au-tunnale), attribuibili a Flavivirus e l’encefalite in corso di malattia di Chagas dopo viaggi in America del Sud.Per l’approfondimento delle varie patologie si rimanda ai testi o ai trattati specifici di Malattie Infettive.

PRINCIPALI MALATTIE FEBBRILI LEGATE AI VIAGGI

Malattie a Trasmissione Vettoriale

Malaria

La malaria è una malattia infettiva diffusa nelle zone calde e tropicali, ma può anche verificarsi (molto di rado) nelle zone a clima temperato. 3 miliardi sono le persone che vivono in 107 paesi con endemia malarica, 250-500 milioni sono i casi/anno nel mondo di malaria con 700.000-1 milione di morti/anno (di cui 80% nell’ Africa Subsahariana con il 90% dei casi in bambini < 5 anni).L’infezione è tuttavia presente anche nell’Asia sud-orientale e nell’America centro-me-ridionale. Nei paesi occidentali invece la malaria è molto più rara: nell’ultimo decennio sono stati riportati circa 1.300 casi all’anno negli Stati Uniti: la maggior parte di essi si è verificata in persone che hanno intrapreso viaggi o militari ed immigrati che hanno con-tratto l’infezione fuori dagli Stati Uniti. Il numero dei casi di Malaria da importazione è andato aumentando negli ultimi anni per l’incremento dei viaggi internazionali e dei flussi migratori, oltre che per la diffusione e

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resistenza ai farmaci anti-malarici dei plasmodi in alcune aree geografiche. La maggior parte dei casi di malaria da P. falciparum nei viaggiatori si verifica a causa della non effettuazione di alcuna chemioprofilassi o per la scarsa aderenza ai regimi profilattici consigliati o per l’uso di inappropriati regimi di chemioprofilassi unitamente alla non at-tuazione di misure di prevenzione nei confronti delle punture di zanzara.La malaria è causata da uno dei cinque ceppi principali di parassiti monocellulari (proto-zoi) del genere Plasmodio (P. falciparum, P. vivax, P. ovale, P. malariae, P. knowlesi) e si trasmette tramite punture d’insetto, più raramente, da persona a persona: dalla madre al bambino (malaria congenita), oppure attraverso trasfusioni di sangue, donazione di organi o condivisione di siringhe infette. Un’altra possibilità è quella di infettarsi ad opera di zanzare trasportate da aree endemiche, negli aerei, con possibilità di infettare sogget-ti che risiedono in prossimità degli scali aeroportuali (malaria da bagaglio, da aeroporto).Il periodo di incubazione della malaria è il lasso di tempo che intercorre tra la puntura dell’insetto e il rilascio dei parassiti da parte del fegato: può variare, a seconda del tipo di parassita che causa la malattia, da 10 giorni a un mese. I sintomi e la loro gravità possono variare in relazione alla specie di plasmodio. Il sospetto di malaria, considerata la frequente aspecificità dei sintomi, va sempre posto di fronte a un paziente con febbre persistente e anamnesi di un viaggio recente in zone a rischio, anche quando è stata effettuata chemioprofilassi che può comunque essere inefficace perché inappropriata rispetto alla zona visitata o inadeguata perché fatta in modo discontinuo o incompleto. Di solito, una febbre insorta nei primi sette giorni dall’ar-rivo non è malaria. Di fronte ad un caso sospetto di malaria è sempre necessaria la con-ferma parassitologica effettuata mediante emoscopia (striscio sottile e goccia spessa) assieme all’esecuzione di tests diagnostici rapidi (Figura 8). La ricerca del plasmodio deve sempre essere ripetuta almeno tre volte (la cosiddetta legge del tre dei vecchi ma-lariologi). Se il sospetto clinico non è forte, una sola ricerca, se correttamente eseguita, è sufficiente. La positività del reperto emoscopico per Plasmodium, da sola, rende ne-cessario un trattamento tempestivo.Nella malaria da P. falciparum, da considerarsi in pratica sempre clorochino-resistente, la terapia deve essere strutturata in base alla gravità clinica, distinguendo forme non complicate da quelle complicate. Essa può essere fatale nel 20 % dei casi, soprattutto in caso di complicanze neurologiche gravi come quelle osservabili nella Malaria cerebrale (Tabella 2). Inoltre, è spesso mortale se non curata e richiede l’immediata ospedalizza-zione e cura mediante chinino idroclorico somministrato per via endovenosa.

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Nella malaria non complicata, la prima scelta (per tollerabilità ed efficacia) è la tera-pia di combinazione basata sulle artemisinine (Tabelle 3-4). Essa ha il vantaggio di un inizio d’azione molto rapido (consentito dall’artemisinina), sostenuto successivamente dall’azione prolungata nel tempo del secondo componente (lumefantrina, piperachina). Naturalmente, è necessario il controllo giornaliero di emocromo, funzionalità renale ed epatica e, a seconda della gravità, di test emocoagulativi, emogasanalisi, stick glicemici (3 volte al giorno), strisci periferici seriati (durante gli accessi febbrili o una volta al giorno a paziente stabilizzato e apiretico), tenendo presente che il riscontro di gametociti non significa necessariamente malattia. Va ripetuta la ricerca di antigeni rapidi durante la 1 settimana e quindi dopo circa 10 giorni, tenendo presente che in caso di terapia efficace la negativizzazione degli antigeni avviene di norma dopo 7 giorni. Se vi è ripresa febbrile e strisci negativi eseguire emo-colture ed urinocolture. Il paziente dovrà essere rivalutato mediante esami ematochimici (emocromo, epatici e renali) e parassitologici (striscio periferico e Ag rapidi) dopo 4 settimane.

Tabella 2. Manifestazioni severe di Malaria da P. falciparum (Askling E et al. 2012).

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Tabella 3. Gestione della Malaria dal punto di vista diagnostico e terapeutico in Europa

Iniziare Terapia I scelta con:-ACT (terapia di combinazione con artemisinine): es. Artemeter-Piperachina (Eurartesim®), 1 cp /die per 3 giorni secondo la schedula del commercio (http://www.sigma-tau.it)

in alternativa- Meflochina (Lariam) 15 mg/kg tempo 0 + 10 mg/kg dopo 6-12 ore (nei soggetti semi-immuni (soggetti originari di o residenti in zona endemica espatriati da <6 mesi) suffi-ciente 15 mg/kg), tranne soggetti provenienti da zone della Thailandia confinanti con Myanmar e Cambogia

oppureTerapia II scelta con:

-Chinino 600 mg x 3/die per os +/- doxiciclina 100 mg x 2/die per 7 gg-Atovaquone-proguanil (Malarone) 250/100 mg: 4 cp/die x 3 gg.

MALARIA IN GRAVIDANZAFarmaci antimalarici sicuri nel !° trimestre: chinino, cloro-china, proguanil, sulfa-pirimetamina-se Malaria non complicata: chinino +/- clindamicina-se Malaria Complicata: chinino e.v.se condizioni come punto 3: clorochinaValutazione parassitologica del neonato: se positiva terapia uguale a quella materna

La profilassi farmacologica è un mezzo importante per evitare il rischio di contrar-re la malaria. I farmaci maggiormente uti-lizzati sono la clorochina (in aree di non resistenza), la clorochina + il proguanil (scarsa efficacia), atovaquone-proguanil (ottima efficacia), la meflochina, la doxa-ciclina, o la sulfadoxina-pirimetamina, primachina (anemia emolitica in soggetti GSPD), in aree dove è stata trovata la re-sistenza del parassita alla clorochina. Tra i farmaci in fase di studio appare molto promettente (in profilassi) la tafe-nochina - un analogo della primachina che può essere somministrata una volta la settimana con efficacia protettiva so-vrapponibile alla meflochina.

Tabella 4. Terapia malaria da P. Falciparum non complicata (definita come: malattia sintomatica senza segni di gravità o evidenza di insufficienza di organi vitali). Si tenga presente che è sempre possibile passare dalla forma non complicata a quella complicata),

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Per i viaggiatori, la protezione dalla puntura degli insetti è la prima precauzione da pren-dere per prevenire la malaria. Questo si può attuare mediante una serie di abitudini comportamentali (alla sera e al mattino indossare indumenti ampi che giungano a copri-re polsi e caviglie), in certe zone adottare l’impiego di zanzariere che avvolgono il letto durante la notte, (meglio se impregnate di insetticida) o mediante l’uso di presidi chimici (repellenti ad uso cutaneo ad esempio a base di DEET, uso di spirali zanzarifughe al piretro, uso di altri piretroidi di sintesi e mediante fornelletti elettrici).La malaria, nel nostro Paese, è inclusa tra le malattie infettive di classe III e come tale soggetta a denuncia obbligatoria. I casi di malaria vengono classificati secondo la ter-minologia adottata dalla WHO come segue: “importato” se l’infezione è stata contratta in un Paese diverso da quello in cui viene diagnosticata; “autoctono”, quando contratta localmente. Tra i casi autoctoni vengono definiti “indotti”, quelli causati da trasfusioni o altra forma di inoculazione parenterale (trapianti, infezioni nosocomiali, ecc.), “introdot-ti” i casi secondari contratti localmente in seguito alla puntura di una zanzara indigena infettatasi su un caso d’importazione (portatore di gametociti) oppure contratto con la puntura di una zanzara infetta importata accidentalmente (malaria da bagaglio, da aero-porto). “Criptico” è un caso isolato di malaria che dopo un’adeguata indagine epidemio-logica non risulta classificabile in nessuna delle categorie sopra descritte.

Figura 9. Andamento dei casi di Malaria da importazione dal 2002 secondo i dati dell’OMS

Il numero dei casi di malaria importata in Italia, sta mostrando la tendenza verso una graduale riduzione sia tra italiani che tra gli immigrati, come già evidenziato nel biennio 2000-2001 ed in quello 2002-2006 (Figura 9). Eppure, si continua a morire per Malaria e le ragioni possono essere schematizzate nella Figura 10.

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Figura 10. Principali cause di decesso per Infezione Malarica in Italia

Allo stato attuale, il netto decremento dei casi tra gli italiani, turisti e lavoratori, è proba-bilmente il risultato dell’aumentata attenzione dedicata al “problema malaria” sia dalle strutture preposte del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) sia dai mezzi di comunica-zione e quindi di una maggiore consapevolezza da parte del viaggiatore dei rischi che si possono correre visitando Paesi a endemia malarica. Nel nostro Paese, quindi, la malaria d’importazione si conferma come un problema sanitario riguardante prevalente-mente gli immigrati, in particolare africani che, regolarmente residenti in Italia, tornano nel Paese nativo in visita a familiari e parenti.La maggior parte dei casi di malaria in soggetti stranieri riguardava infatti nuovi arrivi in Italia; negli anni successivi (soprattutto dal 2000 in poi) i casi sono stati osservati nei cosiddetti VFR (Visiting Friends and Relatives), dei quali una percentuale rilevante (circa un terzo) risiedevano già da oltre 10 anni nel nostro Paese prima del soggiorno nella patria d’origine nel quale contraevano la malaria. Gli immigrati tendono, dunque, ancora a ignorare o a sottostimare il rischio di contrarre la malaria recandosi nei Paesi d’origine, non ricorrendo ad alcuna profilassi o effettuan-dola in modo non corretto, come risulta dall’analisi delle schede di notifica.Sebbene la diminuita entità dei casi d’importazione in Italia sia un risultato piuttosto sod-

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disfacente, la malaria rappresenta ancora una fonte di preoccupazione per le autorità sanitarie per cui è necessario, che il livello di attenzione nei confronti della malattia, ri-manga elevato. Una corretta e mirata informazione dei viaggiatori diretti in zone tropicali e subtropicali circa l’entità del rischio malarico e le raccomandazioni sulla profilassi far-macologica e comportamentale da adottare, sono fondamentali per ridurre ulteriormente i casi di infezione e azzerare il numero di decessi.E’ probabile che in futuro ci si debba probabilmente aspettare una diminuzione ulteriore dell’incidenza di nuovi casi anche a causa degli sforzi crescenti per il controllo della ma-lattia nei Paesi endemici, ma verosimilmente un aumento relativo di casi gravi.

Chikungunya

L’epidemia di Chikungunya rappresenta un ulteriore esempio di come, in questo inizio nuovo secolo, la velocità degli spostamenti possa favorire l’espandersi di alcune epide-mie. La trasmissione avviene mediante puntura di zanzare appartenenti al genere Aedes aegypti ed Aedes albopictus, ed è frequentemente associata ai viaggi nelle Isole delle Riunione. La Chikungunya è una malattia trasmessa dalla puntura di artropodi. In parti-colare, a trasportare il virus (flavivirus) della malattia sono le zanzare del genere Aedes, quali Aedes Aegypti, o Aedes albopictus, ovvero la zanzara tigre (Figura 11-12).

Chikungunya in lingua bantu parlata in alcune zone della Tanzania (lo swahili), vuol dire «ciò che piega» ed è un termine introdotto durante un’epidemia che ha colpito il Paese africano nel 1952-53. A ‘piegare’ il malato sono i dolori particolarmente intensi alle ossa e alle articolazioni, che possono permanere per mesi dopo l’infezione. Oltre ai dolori, i sintomi della malattia comprendono febbre elevata con brivido, cefalea, nausea e vomito che si manifestano dopo un periodo di incubazione che va da 3 a 12 giorni. Le compli-canze più gravi sono rare e possono essere di natura emorragica, sebbene meno gravi della dengue, entro 3-5 giorni, o neurologica, soprattutto nei bambini. In rarissimi casi la Chikungunya può essere fatale, soprattutto in soggetti anziani affetti da comorbosità.

Figura 11-12. Distribuzione del vettore Aedes in Europa e modalità di contagio di Chikungunya e Dengue.

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Figura 13. Distribuzione del virus Chikungunya

Figura 14. Pattern sierologico e virologico della Chikungunya in rapporto alla clinica

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Fino agli anni Ottanta del XX° secolo la Chikungunya aveva colpito alcune zone dell’A-frica subtropicale e dell’Asia, tra cui India, Vietnam, Giava. Negli ultimi anni una grande epidemia si è registrata in Paesi che si affacciano sull’Oceano Indiano, in particolare sull’Isola francese della Riunione, dove tra il 2005 e il 2006 si sono avuti oltre 200.000 casi, pari a un terzo della popolazione (Figura 13). Nell’estate del 2007, tra Castiglio-ne di Cervia e Castiglione di Ravenna, sulle due sponde opposte dello stesso fiume romagnolo, si è verificato un focolaio epidemico di Chikungunya, il primo in un Paese occidentale, con 197 casi sospetti e 166 confermati nel periodo luglio-settembre. Nello stesso periodo, sono risultate positive all’infezione tre persone residenti nello stesso stabile a Bologna, che non avevano viaggiato all’estero né si erano recate nella zona del focolaio epidemico romagnolo. Gli epidemiologi hanno ricostruito che una persona infet-tata dal virus e giunta dall’India, sia stata punta da una zanzara tigre che poi ha punto altre persone trasmettendo il virus (globalizzazione della zanzara!). Il fatto che un virus trasmesso da artropodi inizi a diffondersi in una zona dove non è presente in origine, ma dove è presente un vettore capace di trasmetterlo, non è un fenomeno nuovo. Non si sa allo stato attuale se la Chikungunya riemergerà nuovamente in Italia. Ciò è teoricamen-te possibile se, al ripresentarsi della stagione calda, zanzare nate da uova infettate dal virus torneranno a pungere esseri umani (Rezza, Nicoletti, Angelini et al. 2007). Questo fenomeno, definito overwintering, è stato individuato negli Stati Uniti per il West Nile virus. Il fatto che un’epidemia locale si sia verificata in una specifica zona d’Italia e non in altre zone d’Europa, dove si sono verificati casi di Chikungunya in persone che torna-vano da zone endemiche. Tra le cause ipotizzate c’è la cosiddetta sincronia stagionale. Molti dei casi provenienti dalle isole dell’Oceano Indiano sono rientrati in Europa durante il nostro inverno, che in quelle zone corrisponde alla stagione umida e quindi al picco epidemico. Una volta rientrati in Europa, però, la probabilità di essere punti da zanzare era praticamente nulla. Per contro, la persona che avrebbe dato origine all’epidemia in Romagna proveniva dall’India, dove l’intensità epidemica e l’attività delle zanzare si erano mantenute costanti nel corso dell’anno, ed era rientrata in Italia in giugno, quando le zanzare sono in piena attività. Inoltre, ed è forse l’aspetto più rilevante, la densità di zanzare tigre nell’area colpita è particolarmente elevata. Se il paziente indiano avesse impiegato due mesi (invece di un giorno) per arrivare dall’India a Castiglione di Cervia, il virus sarebbe stato eliminato dal suo organismo ben prima di giungere a destinazione, e non si sarebbe quindi potuta innescare nessuna nuova catena di contagio.Per la diagnosi ci si avvale della clinica (febbre, poliartralgie, mialgie, astenia e rash), assieme alla conferma virologica (isolamento virale e biologia molecolare), sierologica (ricerca IgG-IgM mediante test rapido ICT, ELISA a cattura) (Figura 14) e ricerca dell’Ag (non disponibili kits commerciali). Non esiste vaccino nè cura specifica. La prevenzione, al pari della Dengue, prevede oltre all’individuazione precoce dei casi sospetti (SIP competente, notifica scritta), in-terventi del Dipartimento Sanità Pubblica, impiego di test sierologici e PCR da eseguire

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entro 7 gg dall’inizio dei sintomi. Inoltre devono essere attuati tutti gli interventi di disin-festazione straordinari, compresa la lotta alla zanzara tigre. Tra le misure di prevenzione individuali quella di consigliare ai conviventi e al paziente stesso l’uso dei repellenti per le zanzare (Tabella 5).

Dengue

La Dengue, è provocata da virus appartenenti al genere Flavivirus, genere cui appartie-ne anche il virus responsabile della febbre gialla. La trasmissione avviene mediante puntura di zanzare appartenenti al genere Aedes aegypti ed Aedes albopictus, ed è frequentemente associata ai viaggi nel Sud Est Asiati-co, America Centrale e Meridionale, Caraibi e Pacifico del Sud, Oceania, dove è presen-te allo stato endemico (Figura 15) meno comune nell’Africa Subsahariana. Le zanzare ben adattate negli ambienti tropicali urbani, pungono principalmente durante le prime ore dopo l’alba e durante il pomeriggio; la puntura non è dolorosa ma provoca prurito. Il periodo di incubazione può variare da 2 a 7 giorni dopo la puntura. La distribuzione mondiale dei vettori A. aegypti e A. albopictus rende possibile il rischio di importazione del virus Chikungunya in aree indenni, tramite viaggiatori infetti (CDC).Gli individui colpiti da dengue sono infettanti per le zanzare che li pungono da poco pri-ma della comparsa della febbre per tutta la durata del periodo febbrile (mediamente 5-7 giorni). Una volta infettate, le zanzare rimangono tali per tutta la durata della loro vita e possono trasmettere l’infezione alla progenie.La Dengue è una malattia virale acuta che può presentarsi, dal punto di vista sintomato-logico e prognostico, in due forme distinte: Dengue classica e Dengue emorragica (DE) o Dengue Haemorragic Fever (DHF), con o senza stato di shock. Si conoscono 4 tipi di virus della Dengue (Dengue-1, 2, 3, 4), con caratteristiche antigeniche diverse. La Dengue classica, forma benigna della malattia, a sua volta, può presentare una sinto-matologia più o meno spiccata a seconda dell’età: nei bambini piccoli si manifesta sotto forma di affezione febbrile lieve accompagnata da una eruzione cutanea di tipo maculo-papuloso (macchie e bolle poco sporgenti sul piano della cute), mentre nei ragazzi e negli adulti si presenta come un’affezione di tipo simil-influenzale, con febbre, cefalea, intensi dolori osteo-articolari e muscolari (febbre spaccaossa), disturbi gastrointestinali, con o senza comparsa dell’esantema maculo-papuloso. A volte nella dengue classica possono aversi lievi manifestazioni emorragiche, sotto forma di epistassi, gengivorragie, e di emorragie sottocutanee puntiformi (petecchie).La Dengue Emorragica è invece particolarmente frequente nelle regioni del Sud-Est Asiatico e del Pacifico, ma epidemie di questa forma sono state segnalate, in tempi re-centi, anche dalle regioni caraibiche e dall’America meridionale.

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Essa può avere un andamento bifasico, contraddistinto all’inizio, da rapido rialzo termico con puntate anche a 39°C, accompagnato ad inappetenza, disturbi a carico dell’ap-parato gastrointestinale e delle vie aeree superiori. Segue un periodo di apiressia, in concomitanza del quale le condizioni del paziente possono improvvisamente peggiorare con comparsa di astenia intensa, irritabilità, pallore, cianosi circumorale, ipotensione, ta-chiaritmia, rash cutaneo. Durante questa fase sono frequenti i fenomeni emorragici che si configurano in petecchie, ecchimosi, epistassi, gengivorragie, ematemesi e melena. Sono possibili complicazioni a carico del fegato e del sistema nervoso centrale. Nei casi gravi si può arrivare allo stato di shock ipovolemico che porta a morte entro 12-24 h se non vi è un tempestivo intervento medico. A maggior rischio sono i soggetti in precarie condizioni di salute e quelli in fascia d’età sino ai 15 anni. La letalità della DE nei casi non trattati o trattati in modo improprio può arrivare al 40-50%; nei casi trattati adeguatamente la letalità è inferiore al 2%. Segni predittivi di DE sono la leucopenia, piastrinopenia e il rash. La sintomatologia febbrile della Dengue spesso è indistinguibile da quella provocata dalla malaria, altre arbovirosi, leptospirosi, rickettsiosi, febbre tifoide, malattie acute bat-teriche o virali (dalle epatiti al morbillo alla scarlattina). Il rash, comunque, deve sempre indurre il sospetto della Dengue. Il test di Tourniquet (test al laccio) è grado di fornire valide indicazioni per valutare la resistenza dei capillari e riveste un valore predittivo per l’eventuale sviluppo della DE.In caso di febbre di qualsiasi natura, soprattutto se al ritorno da un viaggio in una zona a rischio di Dengue, è necessario rivolgersi immediatamente ad un medico o ad una struttura ospedaliera qualificata per effettuare gli esami di laboratorio per la conferma o l’esclusione della diagnosi. La conferma diagnostica viene effettuata inviando il siero presso un laboratorio di refe-renza per la ricerca di anticorpi specifici di tipo IgM; in alternativa, della sieroconversione

Figura 15. Distribuzione del Virus della Dengue

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su un secondo campione sierico (campione di convalescenza), al fine di evidenziare un incremento del titolo IgG di almeno 4 volte. Esistono però problemi interpretativi a causa della cross-reattività del virus Dengue con altri flavivirus (Febbre gialla, West Nile, En-cefalite giapponese). La ricerca sierologica può risultare utile anche a distanza di tempo (settimane o mesi) dall’attacco febbrile, per chiarire una diagnosi altrimenti dubbia.

In caso di sospetta Dengue, va accuratamente evitata ogni forma di autotrattamento farmacologico; in particolare, debbono essere evitati farmaci antipiretici a base di acido acetilsalicilico (aspirina) che, a causa della loro azione sulla coagulazione del sangue, potrebbero favorire la comparsa o determinare l’aggravamento di manifestazioni emor-ragiche.Nella Dengue non si verifica cross-immunità e l’immunità non è duratura. L’aver con-tratto la malattia, rende immuni solo per il sierotipo virale che l’ha causata. Poiché la Dengue è determinata da 4 tipi differenti, si può essere nuovamente contagiati da uno degli altri tre. Non sono ancora disponibili, al momento attuale, vaccini contro la Dengue.La prevenzione ed il controllo della malattia, a livello collettivo, risiedono, al pari della Chikungunya, nell’attuazione di tutte quelle misure volte ad eliminare o ridurre l’infe-stazione da zanzare e vanno dalla pronta rimozione dei rifiuti solidi urbani, al corretto allontanamento e smaltimento delle acque di fogna, agli interventi periodici di disinfesta-

Figura 16. Pattern siero-virologico della Dengue

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zione, alla eliminazione, soprattutto in prossimità delle abitazioni, delle raccolte d’acqua che possono essere usate per la deposizione delle uova e lo sviluppo delle forme larvali. Molto utile l’applicazione di zanzariere e altri mezzi protettivi alle finestre delle abitazioni (Tabella 5).

Tabella 5. Misure preventive per le punture di Anopheles, Aedes albopictus, Aedes Aegypti

- Evitare aree a rischio - Evitare di stare all’aperto al mattino presto o verso sera - Indossare vestiti con maniche lunghe e pantaloni lunghi, di colore chiaro, perché

i colori scuri attraggono le zanzare - Non usare profumi durante il giorno - Usare repellenti sulle parti del corpo scoperte, ricordando che il sudore ne riduce

l’effetto - Usare un insetticida (permetrina) su abiti, tessuti e scarpe - Alloggiare in stanze con reti alle finestre e utilizzare zanzariere impregnate di

insetticidi; le zanzariere impregnate offrono una buona protezione per coloro che dormono durante il giorno, soprattutto i bambini

- Per ridurre il numero di punture negli ambienti utilizzare serpentine antizanzare o insetticidi spray (piretroidi)

- Se possibile utilizzare l’area condizionata durante la notte

Morbo di Chagas

E’ endemica in Messico ed America centro-meridionale. Presente anche in paesi non endemici come gli Stati Uniti, il Canada e l’Europa, a causa dell’aumento dell’immigra-zione. I casi segnalati in Italia sono stati 114 nel periodo 2008-2009 di cui 112 stranieri e 2 turisti italiani. Le popolazioni a rischio sono i residenti, oppure gli immigrati provenienti da zone endemiche, in particolare dalle comunità rurali più povere, i trasfusi con sangue non testato in America Latina, i figli di madri infette. Si trasmette tramite le feci infette delle cimici alate (Triatomina, Vinchuca, o Kissing bug) che a contatto con minime lesioni cutanee, possono consentire al tripanosoma (proto-zoo emoflagellato del genere Tripanosoma Cruzii) di penetrare nell’organismo umano e di compiere poi il proprio ciclo biologico secondo le modalità riportate nella Figura 17. La cimice infesta tipicamente le costruzioni di fango, con tetti di paglia, particolarmente crepe e fessure nei muri e nei pavimenti. Si può trasmettere anche per via transplacen-tare, con l’allattamento e con le trasfusioni di sangue. Il periodo di incubazione varia da 20 - 40 giorni, di solito si manifesta con febbre di origine sconosciuta. Il morbo di Chagas è generalmente asintomatica ed è raro osservare la fase acuta. Quella cronica è con-trassegnata da cardiopatia, megaesofago, megacolon, bronchiectasie.

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L’infezione da T. cru-zi, una volta acquisi-ta, persiste indefini-tamente. In circa il 70% dei casi essa presenta decorso subclinico e rimane misconosciuta.La prognosi è se-vera in particolare nei pazienti immu-nocompromessi; in alcuni casi, è letale nella fase acuta. In America Latina, si

registrano 14.000 – 45.000 morti ogni anno. La mortalità è elevata in caso di trasmissio-ne tramite la trasfusione, quando i riceventi sono immunocompromessi. In questi ultimi ed in particolare in quelli affetti da infezione da HIV, la riattivazione della malattia di Chagas cronica è stata ben documentata, soprattutto in soggetti con linfociti T CD4+ < 200/mmc. In questa popolazione, il Chagas è definito dalla comparsa di manifestazioni cliniche non osservabili nell’infezione cronica dell’immunocompetente (SNC), dall’esa-me microscopico positivo del sangue o del liquor, da un elevato quantitativo di amastigoti di T. cruzi nel tessuto bioptico o autoptico, dall’ assenza di IgM circolanti o aumento del titolo delle IgG. Le localizzazioni più frequenti sono a carico del SNC e del cuore.La fase acuta di infezione, se presente, va differenziata dalla malaria, leishmaniosi visce-rale, TB e linfomi. La forma cronica deve essere Invece discriminata da tutte le affezioni che possono provocare cardiomiopatia. Il primo accertamento si basa sull’identificazio-ne del DNA protozoo nel sangue mediante PCR. Le prove sierologiche, volte alla ricerca delle IgM specifiche, hanno un ruolo modesto in quanto poco standardizzate. Le infezio-ni croniche invece vengono diagnosticate mediante la ricerca delle IgG. In fase acuta e cronica, sempre valido il Micro Hematocrit Tubes (MHT) test. Test validati dall’FDA per uso trasfusionale sono: IFA, EIA, Western Blot, RIPA, chemiluminescenza e NAT.Il nifurtimox è il farmaco utilizzato durante la fase parassitemica alle dosi di 8-10 mg/Kg/die per os in quattro dosi per quattro mesi (negli adulti);12,5-15 mg/Kg/die in quattro dosi per tre mesi (negli adolescenti di 11-16 anni). Dati gli effetti tossici, un preparato alter-nativo è il benzindazolo, che può essere utilizzato sia negli adulti che nei bambini, alle dosi di 5-7 mg/Kg/die in due dosi per 30-90 giorni. Nello stadio cronico invece la terapia farmacologica risulta essere inutile. Bisogna prendere in considerazione anche un even-tuale terapia cardiologica per controbilanciare il danno cardiaco indotto dall’infezione. La profilassi consiste soprattutto nella lotta agli insetti vettori e nel risanamento delle precarie abitazioni rurali sudamericane. Non si dispone di vaccini.

Figura 17. Ciclo vitale di Tripanosoma cruzi

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La malattia di Chagas nei soggetti immigrati ignari del proprio stato infettivo, costituisce un problema sanitario emergente nei paesi non endemici di destinazione. Al donatore andrebbe sempre chiesto se è nato in zone endemiche per il Chagas e se ha fatto viag-gi negli ultimi 6 mesi o comunque dall’ultima donazione ed ha soggiornato all’estero. In caso di soggiorno in zone endemiche, astensione dalla donazione per almeno 3 mesi dal rientro. In caso di malattia: non idoneità permanente.Gli individui infetti non trattati costituiscono possibile fonte di trasmissione della malattia per l’intera vita.Oggi la tripanosomosi americana si pone come problema sanitario emergente soprattut-to in paesi come Stati Uniti, Canada, Spagna e Australia che costituiscono la principale destinazione degli immigrati latino-americani, ma anche l’Italia, che conta oltre 4 milioni di presenze straniere regolari, si colloca tra i paesi europei di forte immigrazione. Il flusso migratorio dall’America Latina verso l’Italia ha subito un incremento pari a circa il 75%, dovuto prevalentemente a cittadini ecuadoregni, peruviani e salvadoregni. Per il suo potenziale infettivo, Chagas è stato definito “The New HIV/AIDS of the America” (Tarleton et al., 2012).

Rickettsiosi

Sono ritenute malattie emergenti nei viaggiatori. L’aumento considerevole dei casi fino-ra segnalati è anche attribuibile al miglioramento delle metodiche diagnostiche incluse quelle di biologia molecolare, oltre all’incremento dei viaggi in aree ad elevata endemici-tà con comportamenti a rischio. Si manifestano spesso con un esordio brusco, decorso febbrile da una a diverse settimane, cefalea, malessere, prostrazione, vasculiti periferi-che e, nella maggior parte dei casi, rash cutaneo.Molte di esse vengono trasmesse da zecche, pidocchi, mosche, acari. Le tre principali Rickettsiosi connesse ai viaggi internazionali sono quelle sostenute da Rickettsia conori, responsabile della febbre eruttiva del Mediterraneo, l’Orientia tsutsu-gamuschi, del tifo petecchiale e la Rickettsia africae, considerata, in Africa centro-meri-dionale, la seconda causa più comune di febbre dopo la malaria, accompagnata, talvol-ta, da sintomi influenzali.La triade contrassegnata da febbre, cefalea e mialgia in una persona che ha eseguito di recente un viaggio deve far sempre pensare a un’infezione da rickettsia. L’esame obiettivo deve includere un’attenta ricerca della presenza di tache noire per escludere la forma cutanea da R. conori.Alcune Rickettsiosi particolarmente severe possono evolvere in Coagulazione Intrava-scolare Dissiminata (CID) e simulare una febbre emorragica virale. Considerando che il tifo petecchiale e quello da morso da zecca africana, sono presenti anche in zone malariche, è necessario che venga effettuato uno striscio sottile nei pazienti con lesioni patognomoniche. Le patologie da Rickettsie rispondono positivamente alle tetracicline. E’ possibile anche una diagnosi sierologica. Il ritardo diagnostico può condurre a com-plicanze e a disabilità permanenti. Il trattamento precoce previene la maggior parte delle complicanze.ll precoce avvio di una terapia antibiotica ha ridotto significativamente la mortalità da

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circa il 20 al 7%. Non è disponibile alcun vaccino efficace. Non sono disponibili mezzi pratici per liberare intere aree dalle zecche, ma è possibile ridurre le popolazioni di parassiti nelle aree endemiche controllando le popolazioni che parassitano gli animali soprattutto di taglia piccola. Prevenire il contatto delle zecche con la cute include infi-lare i pantaloni negli stivali o nelle calze e indossare camicie con le maniche lunghe e applicare repellenti contenenti dal 25 al 40% di dietiltoluamide (DEET) sulla superficie cutanea che però può avere effetti tossici anche sul sistema nervoso.

Malattie a Trasmissione Oro-Fecale

Febbre tifoide

L’infezione è dovuta al consumo di acqua e alimenti contaminati. La trasmissione, per via oro-fecale, è elevata nelle zone dove le misure igieniche sono scarse e le fornitu-re idriche insicure ed inadeguate ed anche laddove sono presenti portatori cronici di Salmonella typhi (serbatoio di infezione). Una persona viene contaminata attraverso il consumo di frutti di mare crudi e verdura fertilizzata con scoli fognari e mangiati crudi, o dal latte e prodotti caseari contaminati dalle persone che li hanno manipolati. Le mosche possono contaminare gli alimenti, che quindi contaminano l’uomo. I viaggiatori che si recano nei PVS, dove la malattia è endemica, sono esposti a parti-colare rischio di contagio rispetto alle popolazioni indigene, soggette a ripetute infezioni subcliniche.La malattia è ubiquitaria; si ritiene che nel mondo l’incidenza di febbre tifoide sia di circa 17 milioni di casi all’anno, con circa 600.000 morti. La letalità è del 10% senza terapia, ma diventa <1% con un tempestivo trattamento antibiotico. La maggior parte degli studi mostra che l’incidenza è di 10 casi/100.000 viaggiatori diretti nel subcontinente indiano, in Africa settentrionale e occidentale (ad eccezione della Tunisia) ed in Perù. Altrove la percentuale è di circa 10 volte inferiore. I tassi d’incidenza in India e in Pakistan sono più elevati raggiungendo 10 casi/100.000 per settimana di soggiorno.Il periodo di incubazione può variare da 1 a 3 settimane. I segni caratteristici dei casi gravi sono rappresentati dalla febbre con esordio progressivo, cefalea, severa prostra-zione, anoressia e insonnia. La stipsi è più frequente della diarrea nell’adulto e nell’ado-lescente. In assenza di trattamento, la malattia evolve con febbre sostenuta, bradicar-dia, epatosplenomegalia, sintomi addominali, e in certi casi polmonite. Fino al 50% dei malati possono presentare sul dorso delle macchie rosse (roseole), che si attenuano sotto la pressione delle dita. Dalla terza settimana i casi non trattati sviluppano compli-cazioni gastro-intestinali che possono essere mortali. Di riscontro frequente sono splenomegalia, leucopenia, anemia, anomalie degli esa-mi di funzionalità epatica, proteinuria e una lieve coagulopatia da consumo. Possono verificarsi anche una colecistite acuta e un’epatite. Se non trattata, si assiste ad un peggioramento della febbre ed a comparsa di bradicardia relativa, epatosplenomegalia e complicanze potenzialmente fatali.La diagnosi differenziale comprende altre infezioni da Salmonella, Rickettsiosi, Lep-

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tospirosi, TBC disseminata, Malaria, Brucellosi, Tularemia, Epatite Virale, infezioni da Yersinia enterocolitica e linfomi. Anche se le emocolture non sempre risultano positive, soprattutto in fase acuta, le co-procolture lo divengono solitamente tra la 3a e la 5a settimana. Le urinocolture sono spesso positive. Le colture di biopsie epatiche o delle roseole possono anch’esse pro-durre talvolta la crescita del microrganismo.Un aumento di 4 volte del titolo di Ac anti-O e anti-H (Test di agglutinazione di Vidal), in campioni prelevati nel paziente a 2 settimane di distanza l’uno dall’altro suggerisce un’infezione da S. typhi. Tuttavia, questo test è solo moderatamente sensibile (il 30% dei casi con colture positive presenta una reazione negativa) e ha una scarsa specificità (molti ceppi non tifoidi di Salmonella hanno Ag O e H cross-reagenti; la cirrosi si associa a una produzione aspecifica di Ac che danno false positività nella reazione di Vidal). L’OMS raccomanda la vaccinazione a tutti i viaggiatori che si recano in Paesi a rischio, in particolare per:

- soggiorni di durata superiore ad un mese; - esposizione a scarse condizioni igieniche; - viaggi nel subcontinente indiano; - viaggi in zone ove possono essere presenti microrganismi antibioticoresistenti.

La vaccinazione protegge solo parzialmente nei confronti di S. typhi ma non offre alcu-na protezione verso Salmonella paratyphi. È disponibile infatti un vaccino per via orale (VivotifTM), vivo, attenuato (ceppo Ty21a) che possiede un’efficacia di circa il 70%. Deve essere somministrato quotidianamente per un totale di 4 dosi. E’ indicato per i viaggia-tori che si recano in paesi in cui il rischio di febbre tifoide è elevato, soprattutto se il loro soggiorno dura più di un mese o si svolge in condizioni igieniche mediocri. Il vaccino contiene organismi vivi di S. typhi ed è controindicato nei pazienti immunocompromessi. Esiste anche un vaccino polisaccaridico di S. typhi per via IM (Typhim Vi TM). Debbono essere osservate tutte le precauzioni nei confronti delle infezioni veicolate dagli alimenti e dall’acqua.Tutti viaggiatori che si recano in zone dove la febbre tifoide è endemica sono a rischio potenziale, per quanto questo sia generalmente limitato nei centri turistici e nei centri d’affari dove le condizioni di alloggio, le condizioni igienico sanitarie e l’igiene alimentare sono buone. Il rischio è particolarmente importante nel sub-continente indiano. Anche le persone vaccinate devono evitare di consumare alimenti ed acqua potenzialmente contaminati. Farmaci attivi nei confronti della febbre tifoide sono l’ampicillina e il cloramfenicolo. Di efficacia attualmente i chinolonici che non devono essere somministrati come terapia empirica in viaggiatori provenienti dall’India e dal Sud Est Asiatico. In alternativa si pos-sono impiegare il tiamfenicolo, o l’ampicillina 100 mg/Kg/die, oppure il cotrimoxazolo. Si accerta la guarigione clinica con 3 coprocolture consecutive negative.

Epatiti virali A ed E

L’incidenza per le epatite correlate ai viaggi ha subito un declino in seguito all’introduzio-ne del vaccino per l’epatite A e B. Non esistono vaccinazioni per l’Epatite E e C.

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L’epatite da virus A (HAV), infezione a trasmissione oro-fecale, è presente in tutto il mondo, soprattutto in America Centrale, Sud America, Africa, Medio Oriente, Asia e Pa-cifico Occidentale. Nei PVS a scarso livello igienico-sanitario è un’infezione endemica e interessa soprattutto la prima decade di vita; nei Paesi industrializzati il contagio avviene in età adulta. HAV il più comune tipo di epatite riportato in Italia, dove la malattia è ende-mica soprattutto nelle Regioni meridionali.Il rischio di acquisire l’infezione da epatite A per i viaggiatori all’estero varia con le con-dizioni di vita, la durata del soggiorno, e l’incidenza della malattia nell’area visitata. I viaggiatori nel Nord America, eccetto il Messico, e nei Paesi sviluppati dell’Europa, Giap-pone, Australia, e Nuova Zelanda, non hanno un elevato rischio di infezione. Per i viag-giatori nei PVS il rischio aumenta con la durata del viaggio, ed è più elevato in coloro che vivono o visitano aree rurali, oppure mangiano o bevono frequentemente in situazioni di scarsa igiene. Molti casi di epatite A collegata al viaggio si verificano in persone dirette in PVS nonostante seguano itinerari turistici, abbiano alloggi adeguati e attenzioni nel consumo dei cibo. Nei viaggiatori e lavoratori non immuni che soggiornino in aree ende-miche, la malattia è 40 volte più frequente rispetto alla febbre tifoide e 800 volte rispetto al colera.Il virus dell’epatite A (RNA) è inattivato dall’ebollizione o dalla cottura a 85°C per circa 1 minuto. I cibi cotti potrebbero costituire un veicolo per la malattia se vengono contami-nati dopo la cottura. E’ raccomandata un’adeguata clorazione dell’acqua per inattivare il virus. Nei PVS i viaggiatori potrebbero minimizzare il rischio di epatite A e di altre malattie gastrointestinali evitando cibi e acqua potenzialmente contaminati: non devono bere acqua non sicura e bevande con ghiaccio né mangiare frutti di mare crudi, verdure crude, frutta che non può essere sbucciata.Il vaccino antiepatite A è raccomandato per tutte le persone suscettibili che viaggiano o lavorano in Paesi a media o alta endemia di infezione.Alcuni autori, in un indagine conoscitiva volta a saggiare la percezione del rischio di alcune infezioni (HAV, HBV, HIV e malaria) e l’attitudine a vaccinarsi, effettuata median-te questionario somministrato in sede aeroportuale, ha riscontrato che il 58.4% ed il 68.7% dei viaggiatori non effettuavano alcuna profilassi nei confronti di HAV ed HBV, rispettivamente. In generale, il rischio di contrarre l’epatite A è stato percepito come il più probabile tra le malattie infettive investigate, seguito da HIV ed epatite B.L’epatite di tipo E, anch’essa a trasmissione oro-fecale causata da un virus a RNA (HEV), rappresenta la seconda più importante causa di epatite acuta nell’adulto, soprat-tutto nel continenti asiatico e africano, dove si presenta spesso sotto forma di outbreaks, anche se questo pattern appare modificato negli ultimi anni per la comparsa di casi di epatite, HEV correlata, anche nei paesi industrializzati. L’epatite E, infatti, è endemica in molti Paesi dell’Asia e dell’Africa, dove la prevalenza della positività sierologica (IgG anti-HEV) può raggiungere il 50%. Più del 60% dei casi, che si verificano nel mondo, si verificano nell’est e sud-est asiatico dove la sieroprevalenza, in alcune fasce di età, rag-giunge il 25%. Le zone di endemia sono anche quelle in cui si verificano picchi epidemici in caso di importante contaminazione di una fonte di acqua.I Paesi industrializzati sono considerati non endemici ed i casi che vi si verificano sono

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sporadici e per lo più associati a viaggi. E’ stato recentemente stimato che il virus causa più di 3 milioni all’anno di infezioni acute sintomatiche, con circa 70.000 morti in tutto il mondo. Il virus E si presenta con quattro genotipi (1-4). I primi 2 causano epatite dell’adulto più frequentemente nell’età compresa tra i 15 e i 35 anni. La trasmissione è di tipo oro-fecale, con meccanismo sovrapponibile a quello dell’HAV nei PVS, Asia Africa e Ame-rica centrale. Sono assai virulenti ed associati a episodi epidemici in area endemica; si riscontrano spesso nelle epatiti del viaggiatore. I genotipi 3 e 4, propri dei paesi indu-strializzati, vengono trasmessi con meccanismo tipico delle zoonosi (il virus è presente nella carne di maiale, cervo, cinghiale) e come reservoir in animali selvatici (orsi) e sono responsabili di infezioni, spesso sub-cliniche ad andamento cronico. E’ stata dimostrata un’elevata prevalenza anticorpale nei confronti di HEV specialmente in Europa dove è più elevato il consumo di prodotti di derivazione suina crudi o per contatto diretto con suini (lavoratori del settore).

Diarrea del Viaggiatore

La diarrea del viaggiatore (DV) nota anche come “diarrea del turista” o “vendetta di Montezuma” è una sindrome diarroica generalmente benigna e autolimitantesi che nel 20-60% si manifesta nel viaggiatore internazionale che si reca in Paesi Tropicali. La DV è in grado di interferire profondamente con gli itinerari di viaggio, opportunità di lavoro e rivendicazioni sulle agenzie turistiche. L’importanza clinica della DV è ancora maggiore nella popolazione pediatrica dei PVS, dove causa annualmente circa due mi-lioni di decessi conseguenti al grave stato di disidratazione.

Numerosi fattori sembrano influenzare il rischio e la prevalenza della DV e la destinazio-ne del viaggio rappresenta sicuramente uno degli elementi più rilevanti. A seconda del livello di rischio si possono distinguere tre zone geografiche (Tabella 6).

La probabi-lità d’insor-genza della m a l a t t i a , indipenden-temente dal sesso, è subordina-ta ad altri fattori di ri-schio com-

pendiabili in durata del soggiorno, stagione (variazione stagionale nei paesi a clima più caldo anche in relazione all’incidenza dei diversi patogeni batterici), condizioni del viaggio (i viaggiatori che viaggiano in zone a basso controllo igienico e a clima caldo o che effettuano viaggi al di fuori delle normali rotte turistiche e permangono in strutture

Tabella 6. Rischio (%) di DV in relazione alla destinazione geografica

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dove gli standard igienici sono più precari, si espongono a maggior rischio; casi di DV possono verificarsi comunque anche in alberghi con standard elevati), età (maggior fre-quenza di DV nei giovani adulti che viaggiando più frequentemente e scegliendo mete più avventurose, si espongono ad un elevato rischio alimentare ed inoculo batterico), condizioni predisponenti dell’ospite quali ipo-acloridria (gastroresecati o neoplastici), uso di inibitori della pompa protonica, preesistenti patologie intestinali croniche (Morbo di Crohn e colite ulcerosa), deficit di IgA, immunodepressione (terapie steroidee prolun-gate, antiblastici, HIV-AIDS). In generale la diarrea si riscontra in oltre il 50% dei pazienti con AIDS negli USA ed Europa e in oltre il 90% dei casi in quelli dei PVS. L’HIV/AIDS, se associato a marcata riduzione dei CD4+ puo’ anche favorire infezioni protozoarie (Criptosporidium, Microsporidium, Isospora belli, Giardia) e/o batteriemie da salmonella. L’appartenenza al gruppo sanguigno di gruppo 0 renderebbe maggiormenrte suscettibili taluni individui alle infezioni da Shigella,Vibrio colerae e Norovirus. Vanno infine considerati fattori/concause quali: stress del viaggio, clima, altitudine, feno-meno del jet-lag, modificazioni dietetiche, alterazioni dei cicli circadiani, ecc.Gli agenti patogeni responsabili di sintomatologia diarroica possono essere trasmessi all’uomo per via oro-fecale, attraverso il consumo di acqua ed alimenti contaminati (frut-ta e verdura cruda, pesce e frutti di mare crudi, latticini, creme, maionese), ma anche attraverso la balneazione, soprattutto in acque dolci. Il contagio interumano diretto attra-verso il contatto con le mani sporche, è raro ma possibile; le mosche possono fungere da vettori passivi di agenti infettivi, trasportandoli direttamente dalle superfici contamina-te, agli alimenti. Il ruolo dei patogeni implicati varia comunque a seconda della regione visitata e della stagione.In generale, i patogeni responsabili della DV sono identificabili soltanto in una percen-tuale variabile tra il 40-60% dei casi e di questi, l’85% circa, è rappresentato da batteri ed in particolare da Escherichia coli enterotossigeno (ETEC). Nell’1-20% sono riconosciute cause virali, mentre i parassiti incidono in percentuale variabile (0-10%) di casi.La DV è una sindrome diarroica che si manifesta dopo un periodo di incubazione variabi-le da qualche ora a pochi giorni e comunque strettamente dipendente dalla natura dell’a-gente etiologico in causa, durante o immediatamente dopo il rientro da un viaggio. E’ caratterizzata da almeno tre scariche giornaliere di feci non formate, accompagnate da uno o più tra i seguenti segni e sintomi: febbre, nausea, vomito, crampi addominali, te-nesmo e talvolta, feci ematiche. La sintomatologia può essere considerata lieve, quando l’emissione di feci acquose non supera le 3 scariche, senza importanti segni o sintomi di accompagnamento, moderata, in presenza di 4-10 scariche acquose con scarsi sintomi o segni di accompagnamento, grave, quando le scariche superano le 10 o anche meno, ma sono accompagnate da sintomi e segni importanti come febbre (>38°C) o sangue nelle feci. La DV generalmente è autolimitante e risolve nella maggioranza dei casi in 3-7 giorni. Talvolta la durata può essere superiore e la sintomatologia può prolungarsi per oltre 2-4 settimane, configurando un quadro di diarrea prolungata o cronica. La pro-gnosi è normalmente benigna anche se nei bambini piccoli, negli anziani, o nei soggetti

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affetti da patologie croniche come diabete, cardiopatie, HIV o comunque negli immuno-compromessi, possono verificarsi complicanze a volte pericolose per la vita. Comunque, la DV determina frequentemente una limitazione funzionale al viaggiatore che spesso si deve rivolgere al medico.Difficile risalire all’etiologia sulla scorta delle manifestazioni cliniche. In generale, le forme di diarrea acquosa acuta non complicata, sono attribuibili a germi non invasivi produttori di tossina, principalmente ETEC; quelle accompagnate a febbre elevata e/o sangue nelle feci sono invece più probabilmente imputabili ad un agente causale ente-roinvasivo (Shigella spp, C. jejuni, Salmonelle spp. non tifoidee, V. parahaemolyticus, E. coli enteroinvasivo (EIEC) e Aeromonas spp. Per quanto riguarda la durata, una diarrea batterica non trattata si risolve mediamente in 3-5 giorni, una virale in 2-3 giorni, mentre una di origine protozoaria, senza trattamento, può persistere oltre le due settimane o anche mesi (Giardia, Entamoeba, Cryptosporidium spp., Cyclospora cayetanensis).Le indagini di laboratorio di solito sono superflue. Diventano necessarie se la DV è grave e/o prolungata, e se nelle feci vi è sangue. Per E. coli appartenente ai tipi sierolologi-ci enterotossigeni, esistono anche tecniche immunologiche (latex, coagglutination test, test immunoenzimatici (ELISA) o radioimmunologici) o di amplificazione genica (PCR) atte a identificare i ceppi produttori di enterotossina termolabile o termostabile del mi-crorganismo. In casi come la febbre tifoide o l’infezione da S. paratyphi, si ricorre alle indagini sierologiche e all’emocoltura specialmente se il malato è in fase settica.Il riscontro di leucociti nelle feci è importante per discriminare alcune forme di dissen-teria peculiari di DV infiammatorie invasive (es. Shigella, Campylobacter, EIEC, E. coli O157:H7 ed E. coli O104:H4 quest’ultima potenzialmente fatale - Radosavljevic et al, 2014), da altre non infiammatorie (ETEC, Colera). Il sospetto di una diarrea parassitaria deve essere sempre supportato da indagini spe-cialistiche, specialmente se protratta. Nell’ipotesi di un’amebiasi, dovranno essere ricer-cati i trofozooiti di Entamoeba histolytica all’esame microscopico diretto. La DV di gravità lieve e moderata è benigna e autolimitata e richiede al massimo l’impie-go di presidi esclusivamente sintomatici quali reidratazione, risalificazione, probiotici ed eventuali farmaci che diminuiscono la motilità intestinale o anti-secretori. La terapia anti-microbica diviene necessaria quando la sintomatologia appare pronunciata e/o protratta nel tempo. Un possibile algoritmo terapeutico è raffigurato nella Figura 18.In generale, in talune forme di DV lievi o moderate sostenute da batteri “non invasivi” o con ruolo minore ed in quelle da B. cereus e C. perfrigens, la terapia è esclusivamente sintomatica e prevede soluzioni contenenti Na-cloruro, K-cloruro, bicarbonato di sodio e glucosio (formula 3.5-1.5-2,5-20 g), diluiti in 1 litro d’acqua, per os.È importante, specialmente per i bambini, evitare la disidratazione. Quando la diarrea inizia, l’assunzione di fluidi deve essere mantenuta con liquidi sicuri (per esempio acqua imbottigliata, bollita o altrimenti disinfettata). L’allattamento non deve essere interrotto. La reidratazione orale con soluzione salina (ORS) è particolarmente importante per i bambini e gli individui anziani.

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La reidratazione e risalificazione per ev si praticano solo in caso di grave disidratazione o se presente vomito (impedisce la somministrazione per os) ed impongono un attento monitoraggio di parametri clinici e di laboratorio (PA, turgore cutaneo, protidemia, PVC, ematocrito, riserva alcalina ed elettroliti sierici). Data l’incapacità della soluzione fisio-logica di correggere l’acidosi, la soluzione idroelettrolitica maggiormente utilizzata è la “Ringer Lattato”. Probiotici selezionati (Lactobacillus GG e Saccharomyces boulardii), possono essere d’ausilo per migliorare l’equilibrio della flora microbica intestinale. Nei pazienti in cui l’alimentazione è conservata, sarebbe opportuno astenersi dall’as-sumere prodotti caseari (latte e derivati) a causa di un possibile concomitante deficit di lattasi, prodotto dalla transitoria infiammazione dell’intestino tenue. Il “tannato di gelatina”, recentemente approvato in Europa, puo’ ridurre i sintomi asso-ciati alla diarrea nei pazienti pediatrici. Anche i farmaci impiegati per ridurre la motilità intestinale (loperamide), ed farmaci antisecretori (salicilato di bismuto) rappresentano ulteriori sussidi terapeutici. La terapia antibiotica empirica si rende necessaria (Figura 18) nei casi di DV sostenuti da “batteri non invasivi” con sintomatologia particolarmente pronunciata e/o protratta nel tempo ed in quelle da “batteri invasivi”. Può essere impiegata da sola ovvero, nelle forme ad etiologia non invasiva, in associazione alla terapia aspecifica (loperamide). Gli antimicrobici di prima scelta nel trattamento empirico di adulti con DV, sono rifaximina e fluorochinoloni. In alternativa, possono essere utilizzati i macrolidi (azitromicina). La rifaximina, derivato semisintetico della rifamicina, è un antibatterico efficace e ben tol-lerato, a scarso assorbimento per via sistemica rispetto ad altri antibatterici, impiegato negli adulti nella gestione della DV sostenuta da batteri non invasivi ed in particolare da ETEC. Tra i fluorochinoloni, il più utilizzato è la ciprofloxacina di comprovata effica-cia nelle infezioni da Shigella, Salmonelle non tifoidee, Campylobacter, Yersine, talune forme di EIEC. I suoi effetti collaterali (tendiniti e rottura di tendini) ed il fenomeno della possibile insorgenza di resistenze (ceppi di Campylobacter resistenti ai fluorochinoloni e macrolidi nell’Europa meridionale e nel sud-est asiatico), ne limitano il loro impiego. Tra i macrolidi tuttavia, l’azitromicina può rappresentare, in taluni casi, una valida alternativa. Il trattamento delle forme da protozoi ed elminti si avvale di farmaci antiprotozoari ad azione sistemica o “tissutali” (cotrimossazolo e derivati imidazolici quali il metronidazolo) e/o di antiprotozoari “di contatto” o luminali (paramomicina e diloxanide furoato). Per gli elminti, il trattamento più idoneo è rappresentato da molecole ad attività antipla-telmintica (praziquantel, albendazolo ed ivermectina). La prevenzione della DV si fonda sulla scrupolosa osservanza delle norme igieniche alimentari. Nei paesi a rischio andrebbe sempre evitato il consumo di acqua e bevande non imbottigliate o non sterilizzate, ghiaccio, latte non pastorizzato, formaggi e gelati di produzione artigianale, verdura cruda, frutta che non può essere sbucciata, carne cruda. Il noto detto: “Boil It, Peel It, Cook It or Forget It ”, resta sempre valido ed efficace.

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L’uso di antibiotici nella profilassi della DV è dibat-tuto anche se recenti studi controllati hanno dimostra-to che l’antibiotico-profi-lassi riduce fino al 40% gli episodi di diarrea acuta nel viaggiatore. La chemiopro-filassi con fluorochinoloni, rifaximina, sconsigliata per i possibili effetti collaterali e, soprattutto, per il possi-bile incremento dei ceppi farmaco-resistenti, è invece raccomandata per viaggiatori a rischio elevato quali immunodepressi, diabetici, enteropatie infiammatorie croniche.Non sono ancora disponibili vaccini contro i ceppi di E. coli enterotossigena: una co-pertura parziale dalla diarrea del viaggiatore da ETEC tossina LT-mediata è fornita dal vaccino orale anticolera (Dukoral™), efficace anche in soggetti HIV+ sebbene possa de-terminare un aumento temporaneo della carica virale. A causa della sua limitata efficacia nella prevenzione della diarrea associata ai viaggi, tale profilassi non è raccomandata di routine come una priorità per i viaggiatori, ma può essere considerata in quei soggetti per i quali la DV sarebbe associata ad un aumento del rischio.

Eosinofilia

Le cause delle ipereosinofilie, al di fuori di quelle idiopatiche, possono essere ascrivibili a malattie allergiche, neoplastiche, ematologiche, connettivali e ad infezioni elmintiche/parassitarie. Sebbene la febbre associata a eosinofilia possa essere dovuta a tutte le condizioni suddette, la presenza di febbre ed eosinofilia in un viaggiatore, deve far pro-pendere sempre per una causa infettiva. L’eosinofilia parassitaria è un riscontro comune tra i viaggiatori e migranti. Le infezioni sono spesso asintomatiche o associate a sintomi non specifici. Essa sembra avere alla base un meccanismo fisiopatologico molto simile alle patologie allergiche. Un’eosinofilia periferica è caratteristica delle infezioni da elminti, nelle quali i vermi migrino nei tessuti: anchilostoma, ascaride o strongiloide. Ma bisogna pensare anche alla schistosomiasi, alla larva migrans viscerale (toxocariasi), alla filariasi linfatica e alla trichinosi acuta. L’e-osinofilia periferica si può trovare anche in persone con coccidiomicosi. E’ fondamentale innanzitutto determinare il numero assoluto degli eosinofili. Se maggiori di 500/mL, si parla di eosinofilia elevata, grave, se tra i 500 e 1000/mL. La diagnosi, per i viaggiatori che rientrano dai tropici, è di competenza specialistica e deve essere molto accurata.

Figura 18. Algoritmo terapeuti-co della Diarrea del Viaggiatore (Contini et al, 2014)

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Dovrebbe sempre contemplare: a. esami di 1° livello (esame coproparassitologico (3 campioni), esame uroparassitologi-co per la ricerca di Schistosoma hematobium, esame delle microfilarie diurne e notturne (leucoconcentrazione di 10 mL di sangue); b. 2° livello (sierologia Schistosoma, Strongiloides, Toxocara canis); c. 3° livello (eventuale biopsia per la ricerca di Oncocercosi, radiografia torace, ecografie e TAC. Fra gli esami da chiedere vanno anche ricordati: l’esame delle feci per la ricerca di uova e parassiti, le prove sierologiche per Strongiliasi, Schistosomiasi e altre infezioni da elminti, l’esame degli strisci di sangue, la biopsia cutanea per trovare le microfilarie, guidati dalla conoscenza delle aree geografiche oggetto del viaggio e dai reperti clinici.Non è infrequente che il quadro clinico strumentale sia negativo e che quindi sia neces-sario ripetere la conta degli eosinofili dopo 3-6 mesi.La terapia che viene intrapresa nei casi di parassitosi intestinali si basa sull’uso di an-tielmintici (Ivermectina).

1 Eosinofilia con sintomatologia respiratoria Schistosomiasi acuta (Katajama), Acaridiasi, Stron-giloidiasi, Anchilostomiasi, Larva migrans, Toxoca-riasi, idatidosi polmonare

2 Eosinofilia con sintomatologia gastroenterica Strongiloidiasi, Schistosomiasi * (S. mansoni, S. Japonicum) teniasi, trichinosi, anchilostomiasi, idatidosi epatica*

3 Eosinofilia associata a mialgie o lesioni cuta-nee

Oncocercosi, trichinosi, filariosi linfatiche e Loaiasi

4 Eosinofilia con sintomatologia neurologica Neurocisticiercosi, toxocariasi5 Eosinofilia con sintomatologia urinaria o

vescicaleSchistosomiasi (S. hematobium)

* in associazione con doloro ipocondrio dx.

Manifestazioni cutanee

Tumefazioni sottocutanee e noduli

Le cause comuni di tumefazioni sottocutanee dolorose e fisse comprendono la miasi, la tungiasi e i foruncoli. La miasi dal greco muia (mosca), è causata dall’invasione della cute da parte di larve di Diptera e Cordylobia (mosca). I ditteri adulti (ditteri ciclorrafi a parassitismo obbligato o accidentale), hanno il corpo di un colore giallo-grigiastro, con torace grigio a bande longitudinali nere. Le femmine vivono al massimo 3 settimane du-rante le quali depositano 300-500 uova in luoghi secchi contaminati da feci ed urina. Le larve schiudono in 1-3 giorni e dopo circa 10 ulteriori giorni, sono capaci di penetrare nel-la cute dell’ospite (uomo, animali), che accidentalmente vengono a contatto con esse.

Tabella 7. Principali eosinofilie da parassiti associate a sintomi generali o di apparato.

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Le lesioni assomigliano a un foruncolo, con un’a-pertura centrale attraverso la quale fuoriesce materiale sieroematico e attraverso il quale può emergere la larva (Figura 19). I pazienti avver-tono dolore e una sensazione di qualcosa che si muove all’interno della lesione. Le miasi forun-colose sono caratterizzate dallo sviluppo, nello spessore del derma o nel sottocutaneo, di un gra-nuloma reattivo. La terapia consiste nel rimuovere le larve me-diante ago, o comprimendo la parte (dopo averle uccise con insetticidi topici, oppure occludendo il foro cutaneo, da cui ricevono l’ossigeno, con un

unguento). Per le lesioni profonde è opportuna toilette chirurgica adeguata.

La tungiasi si osserva nei viaggiatori che provengono dall’America latina, dall’Africa e dall’India ed è dovuta allo sviluppo nella cute della pulce femmina della sabbia (Tunga penetrans) spesso vicino alle unghie e alle piante dei piedi.L’infezione da Loa Loa si manifesta dopo anni dall’esposizione, come invasione delle congiuntive e del sacco lacrimale o come aree migranti di angioedema, per le reazioni infiammatorie prodotte da verme adulto.La tripanosomiasi acuta dell’Africa orientale è caratterizzata da tumefazioni, relativa-mente indolori, eritematose, fisse che possono ulcerarsi; possono essere confuse con una cellulite focale.

Ulcere

L’ectima è l’ulcerazione più frequente dei viaggiatori. L’ulcera superficiale, dolorosa, pu-rulenta dell’ectima origina spesso da un trauma o da una puntura, che si è successiva-mente infettata con uno stafilococco aureo o con uno streptococco beta-emolitico grup-po A. Sebbene siano meno comuni, anche le lesioni della Leishmaniosi cutanea sono importanti da riconoscere. Queste ulcere dolorose, si allargano lentamente, su una base granulomatosa e crostosa e margini in aumento. La leishmaniosi si può manifestare an-che come una linfadenopatia isolata.Le escare possono essere osservate nella febbre bottonosa del Mediterraneo, nel tifo della boscaglia e nel tifo da zecca africana. L’escara nella sede nella quale l’artropodo, che ha trasmesso le rickettsie, si è alimentato, è usualmente piccola (meno di 1 cm), è asintomatica e spesso trascurata.

Figura 19. Miasi da Cordylobia antropophaga

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Lesioni da Larva Migrans

La larva migrans cutanea è la lesione serpiginosa più frequente nei viaggiatori. Essa è il risultato della migrazione di un nematode (Ancylostoma brasiliense, A. celanicum, Ancylostoma caninum) presenti nello stadio adulto in cani, gatti ed altri carnivori, nei tes-suti superficiali dell’uomo. Si acquisisce per diretto contatto della cute con il suolo o con la sabbia, contaminate con le feci di un cane o di un gatto contenenti le larve filariformi, soprattutto in America Centrale e nei Caraibi. Le lesioni, che all’inizio possono essere papulari o vescicolose, sono pruriginose e si ritrovano spesso ai piedi e alle natiche. La larva, incapace di attraversare la membrana basale per raggiungere il derma, si muo-ve nell’epidermide con una velocità di 2-3 cm al giorno evidenziando il suo passaggio con un percorso tortuoso e rossastro solitamente alla pianta dei piedi o natiche (Figura 20). Il farmaco di scelta è l’ivermectina. In alternativa, si usa l’albendazolo per os. Quest’ulti-mo si può utilizzare anche in forma topica dopo tritutrazione di una cp da 500 mg misce-lata con vaselina. Valido anche il tiabendazolo.

Lebbra

In Italia i focolai autoctoni della Liguria, Puglia, Sicilia e Sardegna sono praticamente estinti; permane alquanto attivo il focolaio calabrese. Oggi in Italia la lebbra, compresa tra le malattie rare con codice esenzione RA0010 (elenco malattie rare), può comparire in ogni parte del territorio e si presenta come patologia di importazione in italiani che hanno soggiornato in paesi con lebbra endemica e in immigrati provenienti da queste regioni. Attualmente infatti, la quasi totalità dei casi riscontrati sono relativi a pazienti immigrati. Si tratta di stranieri o italiani che rientrano dopo lunghi soggiorni all’estero. In generale l’80% delle diagnosi riguarda India, Brasile e Indonesia.Ogni anno si hanno fino a 9 casi diagnosticati in Italia. Tuttavia, la Primavera Araba veri-

Figura 20. Lesioni tipiche da larva migrans acquisite dopo viaggio in Brasile (Criado et al, 2007)

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ficatasi nel 2011, ha prodotto un aumento dei flussi migratori con conseguente ricompar-sa di rare malattie infettive e tropicali, tra cui lebbra, schistosomiasi, ulcera di Buruli, ecc, riproponendo con urgenza la questione del controllo dei confini dell’Unione e ponendo nuove sfide anche sanitarie, nelle relazioni con il Mediterraneo. La lebbra, malattia infettiva cronica causata dal batterio Mycobacterium leprae, non è molto contagiosa. Il contagio non avviene tramite semplice contatto occasionale con i malati, ma la maggior parte dei casi si verifica dopo un contatto protratto. Può colpire la pelle ed i nervi delle mani (Figura 21) e dei piedi, ma anche gli occhi e le mucose nasali (Maritati et al, 2012). In alcuni casi inoltre, può coinvolgere anche altri organi, come i reni e i testicoli. Se non trattata la lebbra può causare deformità delle mani e dei piedi, cecità ed insufficienza renale.

Il contagio della Lebbra può anche avvenire, sep-pur raramente, mediante goccioline di Flügge rilasciate nell’aria dal malato che tossisce o star-nutisce. La stragrande maggioranza delle perso-ne che entrano in contatto con il Mycobacterium leprae non si ammala; tuttavia i pazienti immuno-compromessi o compromessi da disturbi cronici (diabete, patologie cardiache, ecc) sono a mag-gior rischio, soprattutto i bambini. Per il tratta-mento della lebbra è necessario è opportuno ri-volgersi presso il Centro di Riferimento del Morbo di Hansen (Laboratorio Sovraregionale per il

Morbo di Hansen Sezione di Dermatologia Tropicale, Azienda Ospedaliera Ospedale San Martino Largo Rosanna Benzi, 10, Genova).

Tripanosomiasi Africana

Da non trascurare la tripanosomiasi africana causata da T. brucei gambiense in Africa centro-occidentale e da T. brucei rhodesiense in Africa orientale, entrambi trasmessi da mosche tsetse. Caratteristica è la papula che può svilupparsi entro pochi giorni o 2 set-timane nel punto della puntura della mosca tsetse che diventa gradualmente un nodulo duro (nodulo tripanosomiale) di colore rosso scuro e dolente, che si risolve poi spon-taneamente. Questo è più comune nelle infezioni da T. bucei rhodesiense ed è meno comune tra gli africani che tra le altre popolazioni.La fase successiva della malattia si sviluppa dopo vari mesi nei pazienti africani ma può iniziare bruscamente e precocemente nei pazienti non africani. Febbre intermittente, cefalea, rigidità ed edema transitorio si verificano quando i tripanosomi si diffondono nel sangue, nei linfonodi e nel midollo osseo. Ci può essere anche un rash eritematoso cir-cinato di breve durata che si verifica da 6 a 8 settimane dopo l’infezione, più facilmente visibile nelle aree scoperte della cute. È spesso presente una linfoadenopatia generaliz-

Figura 21. Neuropatia ulnare sinistra (atteggiamento in flessione di IV e V dito mano sinistra, associato a deficit sensitivo)

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zata. Il segno di Winterbottom (linfonodi ingrossati nel triangolo cervicale posteriore) è caratteristico della malattia del sonno del Gambia.Nonostante l’invasione precoce del SNC, il coinvolgimento di questo, si verifica da mesi a diversi anni dopo l’esordio della malattia acuta nella forma rodesiana. Segni caratteri-stici sono la persistente cefalea, alterazioni della personalità come stanchezza progres-siva e indifferenza, sonnolenza diurna fino all’atassia e coma terminale.Nella fase precoce di malattia, la diagnosi viene effettuata mediante ricerca dei tripano-somi nei vetrini o in preparati sottili colorati con Giemsa o goccia spessa o in aspirato linfonodale.La Suramina e la Pentamidina sono efficaci contro gli stadi ematici di entrambe le forme da T. brucei ma non curano le infezioni del SNC curate invece con l’impiego di Melarso-prolo. L’Eflornitina è efficace sia contro gli stadi precoci che quelli tardivi gambiani (non rodesiani) della tripanosomiasi. Viene somministrata EV con dosaggi di 400 mg/kg/die in 4 dosi frazionate per 14 giorni, seguita da terapia orale con 300 mg/kg/die per 3-4 settimane.

Manifestazioni Neurologiche nel viaggiatore

Si possono assimilare in manifestazioni meningee, meningoencefalitiche e derivanti da lesioni occupanti spazio. Vanno ricordate la meningite meningococcica, associata all’an-nuale pellegrinaggio alla Mecca (la certificazione di avvenuta vaccinazione anti-menin-goccoccica obbligatoria è richiesta dall’ Arabia Saudita) e la meningite asettica, che può insorgere in corso della leptospirosi. Una meningite eosinofila può far pensare alla coccidiomicosi a alla angiostrongiliasi; quest’ultima, causata dall’invasione dello spazio meningeo da parte di un verme del ratto (Angiostrongylus contonensis), è stata ritrovata fra i viaggiatori che avevano visitato i Caraibi. Da ricordare anche la meningoencefalite da Tripanosoma brucei ghambiense dell’Africa orientale, trasmesso dalla mosca tse-tse. Da non trascurare, il rischio di contrarre la meningite da Neisseria meningitidis B, in par-ticolare per quei viaggiatori diretti nelle aree indicate come “cintura della meningite”, nei paesi dell’Africa Sub-sahariana, dal Senegal all’Etiopia, in particolare in Burkina-Faso, Niger, durante la stagione secca, a cui è consigliata la profilassi vaccinale, in particolare per i bambini. Il rischio per i viaggiatori diretti in aree endemiche è minimo; considerando però l’assenza di una sorveglianza organizzata e di segnalazioni tempestive delle ma-lattie infettive da parte di alcuni di questi Paesi. Recentissima l’introduzione sul mercato di vaccino singolo coniugato anti-meningococ-co B che si potrebbe aggiungere all’ attuale offerta attiva vaccino coniugato anti-menin-gococco C (13°-15° mese di vita).Fra le numerose situazioni nelle quali si verifica un’ associazione con segni neurologi-ci vanno considerate nei viaggiatori anche l’ encefalopatia malarica esitante in coma, la febbre tifoide, le infezioni da rickettsie, la poliomielite, la rabbia e le encefaliti virali (inclusa quella giapponese, di West Nile, da morso di zecca (TBE) e l’encefalite rabica (prevenibile con la vaccinazione per coloro che si recano in aree a rischio quali America

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centro-meridionale, India, Sud-Est asiatico, parte dell’Africa). La diagnosi deve preve-dere la rachicentesi, la TAC in caso di sintomi focali o crisi comiziali al fine di escludere lesioni occupanti spazio, RMN (nel sospetto di encefalite) definizione dello stato di co-scienza (Glasgow Coma Scale). La terapia è etiologica.

Manifestazioni respiratorie

Febbre con Sintomi Respiratori

La comparsa di sintomi respiratori in un viaggiatore con febbre deve suggerire la pre-senza di un comune patogeno respiratorio come lo Streptococcus pneumoniae, il vi-rus dell’influenza, il micoplasma e la Legionella pneumophila. I viaggiatori internazionali sono anche a maggior rischio di TB, che può divenire evidente dopo mesi o anni dal viaggio, e d’Istoplasmosi e Coccidiomicosi, per chi ha compiuto un viaggio in Messico.La presenza di febbre, polmonite ed epatite deve fare anche pensare alla febbre Q (do-vuta alla Coxiella burnetii e associata all’esposizione ad animali domestici quali ovini, bovini), mentre la tosse, la presenza d’infiltrati polmonari non specifici all’RX associata ad eosinofilia periferica, deve far venire in mente la sindrome di Löffler, dovuta alla trasmigrazione occasionale delle larve di elminti (ascaridi, anchilostoma e strongiloide) attraverso gli spazi alveolari. La tosse può essere anche presente nella malaria, nelle febbre tifoidea, nella febbre tifoide e nella Dengue.

SARS

La SARS (Sindrome Acuta Respiratoria Grave) è una malattia infettiva acuta emergente che interessa prevalentemente l’apparato respiratorio presentandosi come una polmo-nite atipica. Individuata nella regione cinese di Guandong, dove sono stati registrati i primi casi a partire dal novembre 2002, ha come agente responsabile un coronavirus (RNA), SARS-CoV. Dal 2002 e fino al luglio 2003 furono diagnosticati 8098 casi e 774 decessi con un tasso di letalità del 9.6%.Dopo quella data non sono stati più segnalati casi di SARS nel mondo. Il virus è probabilmente passato dal pipistrello, il proprio ospite naturale, all’uomo, magari amplificato dai piccoli mammiferi che venivano venduti nei mercati di animali vivi nel Guangdong. Sembra che proprio in uno dei passaggi della catena alimentare il virus si sia trasferito da un animale selvatico, probabilmente uno zibetto, all’uomo e con capacità di trasmettersi da una persona all’altra (salto di specie). Il virus della SARS isolato durante l’epidemia del 2003 è risultato diverso da tutti i coro-navirus conosciuti fino a quel momento, tanto che alcuni virologi proposero di inserirlo in un nuovo gruppo di coronavirus, il quarto. In molti si chiesero da dove venisse questo virus sconosciuto. Generalmente la malattia si manifesta dopo un periodo di incubazione di 2-7 giorni, massimo 10 giorni, con febbre superiore a 38°C, tosse secca e difficoltà respiratorie. A volte si associano brividi o altri sintomi che includono cefalea, dolori muscolari e senso

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di spossatezza. Nel 10-20 % dei casi i pazienti possono andare incontro ad un aggrava-mento dei sintomi respiratori tale da richiedere la ventilazione assistita. L’ECMO o Extra Corporeal Membrane Oxygenation è una tecnica di circolazione extracorporea utilizzata in ambito di rianimazione per trattare pazienti gravi con SARS affetti da insufficienza cardiaca e/o respiratoria acuta grave potenzialmente reversibile ma refrattaria al tratta-mento farmacologico e medico convenzionale. Le metodologie diagnostiche elettive sono rappresentate dalla sierologia, RT- PCR, Ibri-dazione in situ, immunoistochimica. I corticosteroidi e la Ribavirina a dosi elevate rap-presentano i cardini su cui si fonda la terapia.

Influenza aviaria

Malattia di interesse veterinario nota dall’ottocento che è stata caratterizzata per molti anni da epidemie circoscritte che si autolimitavano. Un tempo chiamata peste dei polli, era stata riconosciuta dal veterinario Perroncito nel 1878 come una grave malattia dei volatili di allevamento.Se il 2003 è stato l’anno della SARS, il 2005 e il 2006 sono stati gli anni dell’influenza aviaria. In quei ventiquattro mesi si è infatti concentrato il numero maggiore di casi tra gli esseri umani: 213. L’aviaria conferma quello che si era visto con la SARS: un virus può evolvere e acquisire capacità nuove, come quella di infettare e fare ammalare la specie umana. E questo ‘salto’ avviene laddove la promiscuità tra animali e persone è più alta. Nel 1955 è stato dimostrato che la malattia è causata da un virus A dell’influenza e da allora, virus A di diversi sottotipi sono stati individuati in oltre 90 specie di uccelli selvatici apparentemente sani.Gli uccelli acquatici, in particolare le anatre, sono i principali serbatoi del virus; sembra che lo abbiano portato per migliaia di anni senza sviluppare sintomi significativi: un otti-mo esempio di adattamento di un agente patogeno al suo ospite. Un serbatoio stabile, ma anche molto mobile: gli uccelli portano il virus per grandi distanze e lo distribuiscono in grandi quantità con la saliva, le secrezioni respiratorie e le feci (Capua et al, 2003). Le più comuni forme di contagio sono quella oro-fecale, quella diretta o il contatto con acqua contaminata da feci infette. Del resto, il virus può sopravvivere a lungo nelle feci, soprattutto a basse temperature.Alla fine del XX sec. qualcosa cambiò. Il virus dell’influenza aviaria, chiamato H5N1 (Hemagglutinin 5 Neuroaminidase 1), fece il salto di specie diventando capace di colpire anche l’uomo. Quel momento storico è documentato: nel maggio del 1997 un bambino di tre anni venne ricoverato in un reparto di terapia intensiva di Hong Kong con una patologia respiratoria acuta e febbre alta. Pochi giorni dopo il bambino morì, ma il virus presente nel suo apparato respiratorio fu isolato e analizzato. Si scoprì così che si trat-tava di un virus dell’influenza A, ma di un sottotipo nuovo, mai isolato negli esseri umani: appunto, H5N1. Fino a quel momento, nessun virus di quel tipo aveva mai infettato

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esseri umani; inoltre, non era mai capitato che un virus di solito presente negli uccelli contagiasse direttamente l’uomo. Normalmente, affinché questo avvenga, deve entrare in gioco il maiale. I maiali, infatti, vengono infettati facilmente sia dai virus umani sia da quelli degli uccelli acquatici. Nel loro organismo dunque può avvenire la ricombinazione, ovvero lo scambio di materiale genetico tra i due virus che ne fa emergere un terzo in grado di infettare l’uomo e di far scoppiare la pandemia. Così è accaduto, per es., per le pandemie influenzali più recenti, come l’asiatica e quella di Hong Kong. Tuttavia, non è impossibile che un virus aviario diventi capace di passare direttamente all’uomo, tanto che esiste già un precedente: la spagnola (Taubenger et al, 2005). Le indagini geneti-che sul virus che provocò la famosa pandemia del 1918-19, uccidendo circa 50 milioni di persone in un anno, hanno dimostrato che si trattava di un virus interamente aviario.L’influenza aviaria, comunque, è ricomparsa all’inizio del 2004 in Vietnam. Il 5 gennaio il governo vietnamita avvertì la WHO che, a cominciare dall’ottobre precedente, negli ospedali di Hanoi e dintorni era in atto un forte flusso di persone con problemi respiratori. In particolare, furono i bambini a essere colpiti. Tra il 2004 e il 2005 il virus uscì dall’Asia e colpì alcuni Paesi europei, diffondendo il panico in tutto il mondo. Al 31 dicembre 2009 risultano infettate da H5N1 in 50 Paesi 397 persone. I numeri non sono elevati, ma la mortalità si è rivelata molto alta: 249 casi. In molti pazienti, la malattia causata da H5N1 ha un decorso particolarmente aggressivo. Fino a oggi la WHO ha registrato una letalità del 61%, ma conosciamo ancora molto poco di questa malattia e soprattutto non sap-piamo come si presenterà in futuro, visto che il virus è portato a mutare rapidamente e in modo imprevedibile (Writing committee 2008).Proprio questa capacità del virus di mutare rapidamente rappresenta la maggiore mi-naccia per gli esseri umani e il numero dei casi di influenza aviaria nell’uomo è rimasto limitato perché l’agente patogeno non ha compiuto il secondo salto, ovvero non è di-ventato capace di trasmettersi da persona a persona. Attualmente, per contagiarsi si deve entrare in contatto con le secrezioni di uccelli infettati e per questo si ammalano soprattutto le persone che vivono a stretto contatto con gli animali. La ricerca degli antigeni virali (ELISA) e la PCR (RT-PCR) assieme alla sierologia (dimostrazione della sieroconversione in campioni ottenuti in fase acuta e di convalescenza) rappresentano i cardini diagnostici. Zanamivir (Relenza TM) e Oseltamivir (Tamiflu TM) rappresentano i farmaci utilizzati per l’influenza aviaria. E’ però evidente che con il loro uso si sviluppa resistenza.

Mers-CoV (Sindrome respiratoria Medio-Orientale)

La maggior parte dei casi si è verificata in Arabia Saudita, con casi autoctoni sono anche negli Emirati Arabi e in Giordania. L’Arabia Saudita, in vista dei Pellegrinaggi alla Mecca, ha predisposto misure per il controllo dell’infezione.Casi di Mers sono stati identificati anche in Europa o negli USA ma in persone prove-

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nienti da aree affette o on contatti ospedalieri e familiari. Globalmente, al 14 giugno 2014, sono stati segnalati ufficialmente all’OMS 701 i casi confermati di infezione da Mers-CoV, di cui almeno 249 decessi (Figura 22). Mers-CoV, al pari della SARS, è una malattia emergente che può causare Sindrome Acuta da Distress Respiratorio (ARDS), gravi forme di polmonite fatali che colpiscono soprattutto soggetti anziani con altre co-morbosità, essendo nei giovani più mite ed asin-tomatica. E’ possibile che il coronavirus venga continuamente reintrodotto nella popo-lazione umana a seguito di contatti con animali infetti. Questo grazie anche al riscontro di anticorpi specifici anti Mers-CoV nei dromedari diffusi in Arabia Saudita e nei Paesi limitrofi. Inoltre, sequenze virali sono state riscontrate nelle secrezioni respiratorie degli stessi animali con cui erano venute in contatto persone che poi si sono ammalate; il che fa presupporre che essi fungano da amplificatori dell’infezione del virus. I dromedari comunque potrebbero essere ospiti intermedi, in quanto il vero e proprio serbatoio è il pipistrello. Come la SARS, Mers-CoV è l’esempio di salto di specie e adattamento del virus all’uomo. Occorre quindi stabilire il suo potenziale epidemico.Le misure di prevenzione e controllo delle infezioni sono fondamentali per prevenire il diffondersi di Mers-CoV nelle strutture sanitarie. Non sempre è possibile identificare subito i pazienti con Mers-Co-V perché, come altre infezioni respiratorie, i primi sintomi sono aspecifici. Pertanto, gli operatori sanitari dovrebbero applicare sempre le precau-zioni standard con tutti i pazienti, indipendentemente dalla loro diagnosi. Alle precauzio-ni standard dovrebbero essere aggiunte le mascherine quando si presta assistenza a tutti i pazienti con sintomi di infezione respiratoria acuta. Le mascherine più gli occhialini devono essere indossati quando si assistono casi probabili o confermati di infezione Mers-CoV. Le precauzioni respiratorie sono indicate durante l’esecuzione di procedure che generano aerosol. Fino a quando non si saprà di più sulla infezione da Mers-CoV, le persone con diabete, insufficienza renale, malattie polmonari croniche, e le persone immunocompromesse sono considerate ad alto rischio di contrarre una forma grave di malattia. Di conseguenza, queste persone dovrebbero evitare il contatto ravvicinato con gli animali, in particolare i cammelli, quando visitano fattorie, mercati o fienili dove è provato che il virus sia potenzialmente circolante. Le misure igieniche generali, quali il lavaggio regolare delle mani prima e dopo aver toc-cato animali, evitando il contatto con animali malati, devono essere rispettate.Devono essere osservate corrette pratiche di igiene alimentare. La gente dovrebbe evi-tare di bere il latte crudo o l’urina di cammello, o mangiare carne che non è stata ade-guatamente cotta.L’OMS non raccomanda di eseguire alcun test ai viaggiatori nei punti di ingresso dei Paesi membri né, attualmente, alcuna restrizione a viaggi o a rotte commerciali.

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Influenza

E’ un’infezione ubiquitaria. Nelle regioni temperate, essa è una malattia appartenente alla stagione principalmente invernale; è presente nell’emisfero nord da novembre a marzo e in quello sud da aprile a settembre. Nelle aree tropicali non esiste un chiaro andamento stagionale, e l’influenza può avvenire in qualsiasi momento dell’anno. La diagnosi si effettua soprattutto con test rapidi che ricercano antigeni virali dal tampo-ne faringeo o nasale. Tali test hanno una sensibilità di circa il 75% e specificità superiore al 90%. La diagnosi mediante colture virali e/o identificazione dell’incremento del titolo anticorpale specifico non hanno nessuna utilità nella pratica clinica. I viaggiatori, cosi come i residenti locali, sono sempre a rischio influenza in qualsiasi paese durante la stagione invernale. Soprattutto quelli che visitano paesi nell’emisfero opposto durante la stagione invernale corrono un rischio speciale in particolare se non hanno acquisito alcun tipo di immunità tramite regolare vaccinazione. Gli anziani, persone con pre-esi-stenti patologie croniche e i bambini sono i soggetti più a rischio. E’ raccomandata la vaccinazione prima dell’inizio della stagione influenzale. Tuttavia, i vaccini per i visitatori dell’emisfero opposto sono difficili da ottenere prima dell’arrivo a destinazione. Per i viaggiatori dei gruppi a più alto rischio che non sono stati o non possono essere vacci-nati (Tabella 8), è indicato, in paesi in cui sono disponibili l’uso profilattico con farmaci antivirali come Zanamivir e Oseltamivir. Nella profilassi post-esposizione, Oseltamivir ha mostrato un’efficacia del 58.5% per le famiglie e del 68-89% nei contatti dei casi indice. Possono anche essere utilizzati Amantidina e Rimantidina. Ove possibile, evitare spazi chiusi e lo stretto contatto con persone sofferenti di infezioni respiratorie acute.

Figura 22. Distribuzione dei casi di Mers-CoV dal 2013 al 2014

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Tabella 8. Individui per cui la vaccinazione è invece sconsigliata:

- Bambini al di sotto dei sei mesi (per mancanza di studi clinici controllati che dimostrino l’innocuità del vaccino in tale fascia di età);

- Anamnesi positiva per reazioni di tipo anafilattico ad una precedente vaccina-zione o alla somministrazione di uno dei componenti o eccipienti del vaccino;

- Allergia alle proteine dell’uovo; - Presenza di malattia acuta di media o grave entità, con o senza febbre, (con-

troindicazione temporanea a tutti i vaccini); - Soggetti con anamnesi positiva per sindrome di Guillain-Barrè.

Tubercolosi

E’ tra le malattie infettive ri-emergenti. 9 milioni di persone ogni anno vengono colpiti dalla malattia e circa 2 milioni muoiono per cause correlate. L’Italia è un Paese a bassa prevalenza (< 10 casi per 100.000 abitanti), anche se esistono significative differenze tra Nord e Sud del Paese e tra persone nate in Italia e persone nate all’estero. Negli ultimi venticinque anni il trend è stato sostanzialmente stabile (intorno ai 7 casi per 100.000 abitanti). Il tasso di incidenza nel 2008 era 7,66 casi per 100.000 residenti. Nell’ultimo decennio si sono osservati una progressiva diminuzione dell’incidenza negli ultrases-santacinquenni (8 casi per 100.000) e un lieve e progressivo incremento tra i giovani (classe di età 15-24 anni: 9 casi per 100.000). Gli immigrati hanno un rischio relativo di andare incontro alla TB che è 10-15 volte superiore rispetto alla popolazione italiana e contraggono la malattia nei primi 3-5 anni di soggiorno in Italia. Il tasso grezzo annuale di incidenza della TB registrato nel 2009 è stato pari a 7,1 casi per 100.000 abitanti con un totale di casi notificati pari a 4.246 (Ministero Salute) (nel 2007 era di 7,7 casi per 100.000 abitanti, con un totale di casi notificati pari a 4.527) e per il 70% dei casi si tratta di TB polmonare. Il tasso grezzo di mortalità nel 2006 era di 0,7 decessi per 100.000 residenti e circa il 55% dei decessi totali si è verificato in soggetti di sesso maschile.Negli ultimi anni si è registrato, inoltre, un lento ma progressivo aumento delle resisten-ze ai farmaci antitubercolari. La percentuale di TBC multiresistente (MDR) in Italia nel 2008 è lievemente aumentata rispetto al 2007, attestandosi al 3,7% del totale dei ceppi analizzati.Una recente revisione sistematica effettuata con il test cutaneo alla tubercolina (TST) usato come un surrogato per l’Infezione Latente Tubercolare (ITBL), ha evidenziato che l’ incidenza a lungo termine (mediana 11 mesi) di quest’ultima nei viaggiatori, è stata pari al 2%, valore inferiore o simile a quello che ci si poteva aspettare tra le popolazioni locali in molti PVS.

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Infezioni Sessualmente Trasmesse

Uno dei fenomeni più preoccupanti legato ai viaggi è la globalizzazione dello sfruttamen-to sessuale e le sue conseguenze sulla salute. Il turismo rappresenta infatti una delle attività più redditizie, anche per i paesi del terzo mondo: i paesi tropicali e subtropicali attraggono moltitudini di turisti, invogliati dalle bellezze naturali e dai bassi prezzi. In molti di questi paesi, l’industria del turismo è inscindibile dallo sfruttamento sessuale di bambini, adolescenti e adulti. Molti viaggiatori raggiungono le loro destinazioni pro-prio per le opportunità sessuali che offrono; tra queste, il Brasile, i Caraibi, la Tailandia (Phuket, considerato uno dei massimi centri di turismo sessuale), l’Indonesia e diversi stati africani, con evidenti conseguenze riguardo la diffusione dell’AIDS e di altre IST (Lue, HBV, ecc), oltre ai danni mentali e personali derivanti dall’abuso sessuale di bam-bini, adolescenti e donne e della stretta connessione con il crimine organizzato. Si è visto che il 5% dei viaggiatori europei ha rapporti sessuali casuali e senza protezioni nel 50% dei casi (S. Carter et al, 2002). La prevalenza dell’HIV (rischio maggiore se si va in Africa, seguito dal sud-est asiatico), della sifilide, dell’epatite B e della gonorrea, supera spesso il 50% tra le prostitute. Quando si viaggia aumentano la promiscuità sessuale ed i rapporti casuali. L’alcol e l’uso voluttuario di droghe può ulteriormente aumentare il rischio di IST che si osservano soprattutto tra i giovani adulti che viaggiano senza un partner abituale e tra coloro che hanno rapporti con diverse persone anche a casa propria. Altre frequenti IST sono l’Herpes genitale, i condilomi da HPV, le infezioni da Chlamydia trachomatis, la Tricomoniasi. E’ necessario rivolgersi sempre ad un cen-tro specialistico per le IST http://www.contattosicuro.it/; http://www.iss.it o telefonare a numeri dedicati (02-85781).Per la prevenzione delle IST può essere utile anche la completa astinenza sessuale durante il viaggio oltre all’adozione di comportamenti sessuali più sicuri, come il corretto uso del preservativo maschile e femminile.

Malattie a Sintomatologia Polimorfa

Ciguatera

Con questo termine si indica una intossicazione alimentare causata dall’ingestione di alcuni pesci della scogliera corallina (400-500 specie), tipica delle regioni circumtropica-li, comprese tra 35 latitudine Nord e 34 latitudine Sud. La più grande concentrazione di pesci ciguatossici si ha nei Caraibi e nel Sud Pacifico. L’alga (marine microalgae Gam-bierdiscus toxicus) sarebbe inizialmente mangiata, attorno alle scogliere tropicali, dai pesci erbivori e da quelli detritivori i quali a loro volta sarebbero preda dei più grossi pe-sci carnivori ed omnivori che accumulano in maggior quantità la tossina e di cui l’uomo si ciba. La dimensione dei pesci quindi, vista la possibilità di concentrare e conservare la tossina, rappresenta un fattore di rischio. Si considerano quasi sempre tossici i pesci di peso superiore ai 5-6 kg; nel 69% dei casi se superano i 2,8 kg; solo nel 18% dei casi se pesano meno di 2,8 kg.

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La sintomatologia della Ciguatera è polimorfa; la diagnosi clinica si basa unicamente sugli aspetti clinici non essendovi tests di laboratorio indicativi della malattia. Pur nella loro complessità e nel loro vario grado di combinazione, i sintomi sono inqua-drabili in tre gruppi, facendo riferimento ai tre apparati interessati: digestivi, neurologici, cardiovascolari. La malattia esordisce con una gastroenterite (diarrea acquosa, nausea, vomito, dolore addominale) in genere 3-6 ore dopo l’ingestione del pesce contaminato; tale intervallo può ridursi ad un’ora od essere superiore alle 24 ore. Solitamente un più breve periodo di latenza si associa ad una sintomatologia più grave. I disturbi gastrointestinali general-mente regrediscono in 1-2 giorni. Le manifestazioni neurologiche compaiono in media 12 ore dopo il pasto con parestesie periorali, malessere, dolore e debolezza degli arti inferiori talora così spiccati da impedire la deambulazione. A questi si aggiungono, in maniera caratterizzante, il prurito e la disestesia termica che si manifesta con inversione della sensazione del caldo e del freddo: oggetti, cibi e bevande calde sono percepite fredde e viceversa. I sintomi neurologici e in particolare le parestesie possono persiste-re a lungo (in media tre settimane ma talora mesi od anni) rendendo talora il paziente inabile al lavoro. Tali parestesie potrebbero suggerire la possibilità di una malattia neu-rologica autonoma. Ciò può accadere quando i sintomi gastrointestinali compaiono du-rante la vacanza ed i disturbi neurologici al ritorno a casa: si crea una falsa impressione che i due disturbi non siano correlati. La normalità della visita neurologica pone però gli opportuni suggerimenti diagnostici. Anche la cefalea, le vertigini, la sensazione di gusto metallico o cattivo in bocca e segni di ipereccitabilità (ansietà, nervosismo, irrequietez-za, rigidità e spasmi muscolari, iperreflessia, allucinazioni ecc), arricchiscono il quadro neurologico. A questo ricco corredo sintomatologico possono associarsi disturbi cardio-vascolari quali bradicardia, ipotensione, disturbi della conduzione sino al blocco cardia-co, oppure tachicardia e ipertensione. La Ciguatera può risultare mortale: infatti sono riportati decessi per paralisi della muscolatura respiratoria oppure a seguito della grave disidratazione che può accompagnare il vomito e la diarrea. Terapia non esiste antidoto specifico per la ciguatera: il trattamento è sintomatico e di supporto. Fortunatamente la malattia, nella maggioranza dei casi, è di breve durata ed autolimitantesi. L’intossicazio-ne non conferisce immunità ma si ritiene che si crei una sensiblizzazione alla tossina, come suggerito dai più gravi sintomi che alcuni pazienti hanno mostrato a seguito di un secondo episodio di intossicazione.Non esistono test di laboratorio indicativi della malattia. E’ sempre consigliabile prima del viaggio, approfondire le conoscenze sugli usi e le abi-tudini della zona da visitare.

Malattie trasmesse da contatto con animali

Leptospirosi

La leptospirosi costituisce un problema globale che coinvolge regioni tropicali e tem-perate e che colpisce migliaia di individui ogni anno (500.000 casi/anno in Cina). La

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malattia è ubiquitaria, ma zone di maggiore prevalenza sono quelle rurali, soprattutto nelle regioni più umide ed in occasione di piogge abbondanti. Sono a particolare rischio coloro che per attività di lavoro o di svago (entrano in contatto con acque di fiumi, laghi, zone paludose o coltivate (riso, canna da zucchero). L’epidemiologia riflette la relazione ecologica tra gli esseri umani e gli ospiti cronicamente infetti (in particolare roditori). L’incubazione dura in media da 7 a 14 giorni. La malattia può presentarsi in molte forme, alcune delle quali benigne. Nella sua forma tipica la leptospirosi esordisce in modo bru-sco con febbre elevata accompagnata da brivido, cefalea, dolori muscolari, e addomi-nali, congiuntivite, esantema, risentimento meningeo che spesso mimano altre infezioni anche a carattere tropicale. Le forme più gravi, tutt’altro che eccezionali, possono carat-terizzarsi per la comparsa di ittero, insufficienza renale, emorragie e shock; la letalità di queste forme si aggira intorno al 10%. La malattia è classicamente bifasica ed è associata a meningite asettica, uveite, iper-transaminasiemia ed iperbilirubinemia, proteinuria ed ematuria microscopica. Talvolta, in un modesto subset di individui, possono insorgere ittero, emorragie congiuntivali. Il “gold standard” per la diagnosi è l’isolamento e l’identificazione delle leptospire in campioni di sangue, liquido cerebrospinale ed urine nei primi 7-10 giorni di malattia, e in campioni di urine durante la seconda e terza settimana di malattia. Tuttavia, l’isolamento può essere difficoltoso e può richiedere fino a 16 settimane e poi, la sensibilità dell’e-same colturale è ritenuta bassa. Pertanto, si ricorre, anche, ai test sierologici (MAT ed ELISA) dimostrativi delle IgM o di un aumento di 4 volte o più del titolo di anticorpi sierici nella fase di convalescenza rispetto alla fase acuta ed alle tecniche molecolari (PCR). Il trattamento della forma moderata-severa prevede l’uso della penicillina G (1.5 milioni/U) o dell’ampicillina (0.5-1 g.) ogni 6 ore; nella forma lieve è possibile usare doxiclina (100 mg. x 2) per os, ampicillina o amoxicillina 500 mg. ogni 6 ore. Qualunque sia la forma, tale trattamento deve essere iniziato tempestivamente. La prevenzione si basa sulla vaccinazione degli animali domestici e sul controllo dei roditori.Non è ancora largamente disponibile un vaccino efficace e privo di effetti collaterali. Il solo modo per evitare di contrarre la malattia consiste nell’evitare l’esposizione; occorre quindi astenersi da fare bagni in acque di fiume, lago o palude ed in zone di irrigazione ed evitare contatti con animali o con ambiente potenzialmente contaminato (acque infet-te, in particolare da ratti).

Per altre malattie a carattere zoonotico non trattate nella relazione del 12 Settembre 2013 quali West Nile, Rabbia, Febbre Q, Tularemia, Brucellosi, Istoplasmosi, si rimanda ai testi o trattati specifici.

CONCLUSIONI

Sono numerose le malattie cui un soggetto può andare incontro durante un viaggio. Il rischio di insorgenza di un’infezione tende ad aumentare significativamente per chi si di-rige da Paesi industrializzati verso paesi in via di sviluppo in cui, sia per le caratteristiche climatiche che per la persistenza di situazioni di carenze igienico-sanitarie, è maggiore

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il rischio di contrarre una malattia infettiva. Il problema riguarda anche i cittadini italiani che scelgono mete esotiche per le loro vacanze e quelli impegnati in attività lavorative e in progetti di cooperazione e di sviluppo.Il Ministero della Salute ha avviato con l’Unità di Crisi del Ministero degli Affari Esteri un progetto per l’offerta di informazioni sulle caratteristiche e sulle modalità di prevenzione di alcune patologie infettive particolarmente frequenti in PVS o che hanno mostrato se-gni di emergenza e riemergenza negli ultimi anni.Il raggiungimento di questi obiettivi richiede, dunque, un costante impegno da parte delle diverse strutture del nostro SSN nel potenziare le attività di formazione del personale sanitario e nel rendere ancora più accessibili gli ambulatori specializzati in Medicina dei Viaggi, soprattutto alla popolazione immigrata. Nel complesso delle attività di prevenzio-ne, è anche indispensabile il coinvolgimento degli operatori turistici affinché informino i viaggiatori dell’eventuale rischio malarico o di altre infezioni a partenza da vettori alati legato al luogo e al tipo di viaggio e li indirizzino verso le strutture sanitarie competenti.Otre alle misure di profilassi indiretta e specifica (quando esistenti), vengono forniti an-che consigli pratici per interventi di emergenza in caso di impossibilità di un intervento medico immediato. Sono state inviate schede specifiche alle Rappresentanze Diplomatiche per la succes-siva distribuzione ai nostri connazionali residenti o diretti in zone a rischio. Questa ini-ziativa si inserisce in un più vasto progetto di educazione sanitaria riguardante, oltre alle malattie dei viaggiatori, la prevenzione delle malattie infettive a trasmissione alimentare, oro-fecale, vettoriale e a carattere zoonotico.

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Referenze Essenziali

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LE DERMATOSI DI IMPORTAZIONE Dott.ssa Anna Virgili, Dott.ssa Giulia Toni, Dott.ssa Michela Ricci

Dipartimento di Scienze Mediche, Sezione di Dermatologia, Università degli Studi di Ferrara

Oltre all’internista e all’infettivologo, anche il dermatologo è sempre più implicato in pro-blematiche che riguardano patologie esotiche o d’importazione. Nell’ambito della pato-logia esotica, la dermatologia tropicale si occupa soprattutto dello studio delle dermatosi peculiari delle regioni geografiche a clima arido o caldo-umido, comprese nella fascia terrestre circoscritta tra i due tropici. Negli ultimi anni questo tipo di affezioni è andato aumentando notevolmente, sia a causa della sempre maggior facilità di rapidi sposta-menti da un continente all’altro e da una latitudine all’altra per necessità di lavoro, stu-dio, o turismo, sia a causa della notevole pressione immigratoria cui quotidianamente assistiamo.Gli spostamenti hanno reso possibile la diffusione di malattie infettive primitivamente localizzate in particolari aree che erano inesistenti o rare nel nostro paese. Questo fe-nomeno è certamente la conseguenza dell’immigrazione che vede milioni di persone partire dal Sud del mondo nella speranza di trovare un futuro in Europa e della forte espansione del turismo di massa.Si vuole pertanto fornire, se non risposte definitive, almeno un approccio clinico alle problematiche più frequenti nel nostro paese legate alla dermatologia d’importazione.L’obiettivo è produrre un aggiornamento clinico su Lebbra, Leishmaniosi, Tungiasi, Scabbia, ed altre dermatosi d’importazione con le informazioni diagnostico-terapeutiche più aggiornate.

Leishmaniosi

La Leishmaniosi è un’infezione, cutanea o viscerale, causata da protozoi del genere Lei-shmania. Il principale serbatoio dell’infezione è rappresentato da roditori, cani, conigli, e volpi. La trasmissione è abitualmente mediata da un ospite vettore intermedio rappre-sentato da un insetto del genere phlebotomus o Lutzomia. I flebotomi o pappatacci sono piccoli ditteri di lunghezza variabile da 1,5 a 4 mm, pelosi con dorso ricurvo e di colore chiaro, solo la femmina è ematofoga ed è in grado di trasmettere la malattia.In Italia i flebotomi (psicodidi) sono distribuiti su tutto il territorio nazionale sotto i 1200 m di altitudine e sono attivi soprattutto di notte.La leishmaniosi cutanea, si caratterizza clinicamente per la comparsa del Bottone d’o-riente che si localizza principalmente in sedi scoperte.La lesione iniziale è rappresentata da una papula di piccole dimensioni eritematosa che nell’arco di settimane tende ad evolvere fino a diventare un piccolo nodulo di consisten-za duro elastica. Il colorito assume una nuance giallastra e sulla superficie compare una fine desquamazione furfuracea che diviene sempre più evidente con formazione di squame fortemente aderenti ai piani sottostanti, con il passare del tempo la lesione va

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incontro ad ulcerazione. Non si ha sintomatologia dolorosa associata né linfoadenopatia locoregionale. Le lesioni possono essere uniche o multiple e generalmente tendono alla guarigione spontanea nell’arco di 6 mesi, esitando in una cicatrice depressa.Il rischio di vedere emergere o riemergere la malattia in Europa è legato principalmente a 4 fattori:

- introduzione di specie di leishmania esotiche attraverso viaggi internazionali o le migrazioni di popoli

- diffusione naturale della leishmaniosi cutanea e viscerale causata da L. Infantum e Tropica dal bacino meditteraneo, dove queste specie sono endemiche, alle aree temperate vicine, dove sono presenti i vettori ma non la malattia

- riemergere della malattia nelle regioni mediterranee causata da un aumento delle persone immunodepresse a seguito dell’infezione da HIV

- cambiamenti climatici che possono agire sul cambiamento della distribuzione del-le leishmanie in maniera diretta, per effetto della temperatura sullo sviluppo del parassita femmina o, in modo indiretto, sull’abbondanza stagionale della specie vettore.

In Italia sono presenti due tipi di Leishmaniosi, la forma viscerale zoonotica e la forma cutanea sporadica, provocate da ceppi viscerotropi ed epidermotropi di Leishmania In-fantum. Entrambe le forme sono presenti a focolai discontinui su tutta la fascia costiera tirrenica nelle zone rurali o periurbane e nelle aree collinari ad ovest della dorsale ap-penninica, fino ad un’altitudine di 500-600m. E’ inoltre diffusa nelle regioni costiere e sub-appenniniche dello Ionio e del basso Adriatico fino al Gargano, ed in tutte le isole maggiori e minori. In Abruzzo, alcune aree calabresi e a nord della Sardegna invece sono presenti dei focolai di sola leishmaniosi cutanea. Focolai sporadici e di lieve entità sono riscontrabili nel medio ed alto Adriatico e, più in generale, ad est della dorsale ap-penninica centro-settentrionale. L’incidenza annuale di 30-50 casi sembra essere largamente sottostimata.Molte forme di leishmaniosi sono autolimitanti e, infatti, la maggior parte delle forme in Europa guarisce spontaneamente e i pazienti non sono contagiosi; tuttavia, in Africa le infezioni presentano un rischio significativo di evolvere in una forma cutanea diffusa e devono essere trattate. Farmaci sistemici di prima scelta sono i composti pentavalenti di antimonio, quali l’antimoniato di N-metilglucamina al dosaggio di 20 mg/kg/die per circa 1 mese. Questi farmaci devono essere iniettati intramuscolo e presentano un’elevata incidenza di effetti collaterali (dolori localizzati e trombosi, nausea,malessere, artralgie, cefalee ecc.). Un farmaco di seconda scelta è l’amfotericina B per via endovenosa, che viene usata specialmente nelle forme muco-cutanee, associata o meno alla paromomi-cina. Itraconazolo e chetoconazolo per via orale sono delle valide alternative.Nelle forme comuni di leishmaniosi in Italia la cura standard consiste in infiltrazioni in-tralesionali di 1-2 mL di antimoniato di N-metilglucamina 1 volta alla settimana per 3-6 sedute.La prevenzione si basa sul controllo del serbatoio canino, screening sierologico, abbat-

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timento dei casi sintomatici e trattamento farmacologico degli animali infetti paucisinto-matici.

Lebbra

La lebbra è una malattia infettiva che si manifesta, in individui suscettibili, dopo il con-tatto con il Mycobacterium leprae. La speciale affinità di questo micobatterio per i nervi periferici e la sua localizzazione cutanea si estrinsecano, dopo un lungo periodo di in-cubazione, in manifestazioni cliniche neuro-cutanee che rappresentano il risultato della reazione tissutale dell’organismo.II Mycobacterium leprae (ML) è un bacillo acido-resistente (BAR), individuato da Hansen nel 1872 e considerato un parassita a vita intracellulare obbligata.All’esterno, in clima caldo umido, il bacillo può sopravvivere vitale ed infettante per circa 1 mese. Le lesioni cutanee ulcerate ed il latte materno rappresentano altre vie di elimi-nazione del microrganismo.I fattori che vengono considerati rilevanti nel determinare il tipo di immunità cellulo-mediata (ICM) verso il M. leprae sono la via di penetrazione del bacillo nell’organismo, i precedenti contatti con micobatteri ambientali e i fattori genetici.Dall’interazione di questi fattori nasce la dicotomia della lebbra:

1. la limitata carica bacillare che può penetrare per via transcutanea induce una forte risposta della ICM creando un ambiente ostile al ML, per sfuggire all’aggressione il ML si rifugia in strutture protette (muscolo erettore pelo, ghiandole sudoripare, cell di Schwann), qui il battere si moltiplica e si diffonde attraverso il SNP cutaneo con un periodo di incubazione di circa 5 anni.

2. Il bacillo penetra in grandi quantità attraverso le vie aeree, non essendo aggredito dal sistema immunitario può localizzarsi in siti ottimali per la sua crescita (plesso vascolare superficiale dermico). In questa situazione di ipo-anergia immunologica la carica bacillare aumenta senza provocare reazioni da parte dell’organismo ed i bacilli si diffondono per via ematica su tutto l’ambito cutaneo e su organi interni. Con questa modalità si sviluppano le forme multibacillari in cui le lesioni cutanee rap-presentano l’effetto del lento e continuo accumulo di bacilli. Questo meccanismo di formazione delle lesioni spiega il lungo periodo d’ incubazione che può raggiungere i 15 anni.

Ridley e Jopling basandosi sul grado d’immunità cellulo-mediata hanno raggruppato i vari quadri clinici componendo uno spettro che comprende 5 forme, queste si estendono da un polo iperergico (forma tubercoloide) a un polo ipoanergico (lepromatosa).In ogni forma i parametri istopatologici, batterici e clinici riflettono il grado di ICM dell’or-ganismo ospite. Tra le 2 forme polari si colloca un gruppo intermedio: borderline tuber-coloide (BT), borderline borderline (BB), borderline lepromatosa (BL).

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La forma indeterminata rappresenta uno stadio iniziale di lebbra a immunità incerta dove, solo in una fase successiva l’ICM assume una propria individualità che nella mag-gior parte dei casi porta all’autorisoluzione, mentre in misura minore evolve verso forme più gravi.Numerose sono le lesioni cutanee con cui si esprime la malattia attiva: macule, papu-le, placche, noduli, infiltrazione diffusa, queste lesioni sono variamente presenti nelle diverse forme di lebbra. L’ICM oltre che determinare la distribuzione delle lesioni e il tipo di lesione, ne condiziona anche le caratteristiche morfologiche. I bordi netti, a volte rilevati, sono propri delle forme iperergiche paucibacillari, mentre i bordi sfumati sono una caratteristica delle forme ipo-anergiche multibacillari. La ricerca di bacilli acido re-sistenti (BAR) viene effettuata in lesioni cutanee e in zone ”fredde”, es. nei lobi aurico-lari, mediante lo striscio cutaneo. I vetrini si colorano con la metodica di Ziehl-Nielsen, successivamente gli strisci vengono osservati al microscopio ottico in immersione. Il M. leprae si colora in rosso; appare di forma bastoncellare, sia isolato che raccolto in mazzi o in globi.La ricerca della sensibilità (tattile, termica, dolorifica) viene effettuata su lesioni o in aree di innervazione dei tronchi nervosi colpiti dal processo morboso. La sensibilità termica è generalmente compromessa per prima; segue la dolorifica e poi la tattile.L’esame obiettivo deve essere completato dalla ricerca, con la palpazione in siti di repe-re di nervi ipertrofici o di consistenza fibrosa. I punti di repere corrispondono al tragitto superficiale di un nervo o alla parte prossimale dei tronchi nervosi.Nella forma polare iperergica lungo il decorso dei nervi possono essere percepibile no-duli che evolvono verso la caseosi. La zona sovrastante il nodulo è dolente e la sua pressione fa irradiare il dolore lungo il decorso del nervo.

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Nelle forme avanzate di lebbra i nervi si palpano come cordoni di consistenza fibrosa.Durante il decorso cronico della lebbra possono apparire fenomeni infiammatori acuti immunomediati: le leproreazioni. Le leproreazioni in genere si manifestano in corso di malattia, ma possono rappresentare anche il sintomo d’esordio. La diagnosi di leprorea-zione deve essere precoce per evitare il costituirsi di danni irreversibili ai nervi periferici. Nel 1982 l’OMS ha proposto per la cura della lebbra due schemi polichemioterapici: con 2 farmaci (Dapsone e Rifampicina) per un totale di 6 mesi per i malati paucibacillari e con 3 farmaci (Dapsone, Rifampicina e Clofazimina) per 24 mesi per i multibacillari. Questo schema è stato adottato dalle “Linee guida per il controllo del morbo di Hansen in Italia”.

Borrelliosi di Lyme

La specie Borrelia appartiene all’ordine delle Spirochete e causa all’uomo due importanti malattie infettive: la febbre ricorrente e la borelliosi di Lyme. La borelliosi di Lyme è un’in-fezione cutaneo-sistemica causata dalla La trasmissione all’uomo avviene tramite pun-tura di zecca, che nei Paesi europei è principalmente mediata dall’Ixodes ricinus, anche se altre specie, pur di minore importanza non possono essere escluse. Perché la ma-lattia si diffonda sono necessari oltre ad animali vettori (zecche), animali reservoir che sono generalmente rappresentati da grossi mammiferi (cervi, caprioli, daini), ma anche roditori ed uccelli come merli, tordi e pettirossi, possono fungere da animali reservoir.La zecca s’infetta succhiando il sangue di un ospite portatore e successivamente tra-smette l’infezione al soggetto ospite, l’infezione viene trasmessa dopo il pasto, con il rigurgito per cui è necessario che l’acaro rimanga attaccato all’ospite per almeno 24 ore perché avvenga la trasmissione della spirocheta.Clinicamente la borelliosi di Lyme si suddivide in 3 fasi: fase precoce, fase precoce disseminata e fase tardiva. L’eritema migrante cutaneo è tipico del primo stadio e può essere considerato come l’unica manifestazione patognomonica e compare dopo 4-30 giorni dalla puntura di zecca infetta su cute apparentemente indenne. L’eritema migrante cutaneo è un eritema circolare rapidamente progressivo che può raggiungere anche 50 cm di diametro, può localizzarsi in qualsiasi parte del corpo ed associarsi a linfadeno-patia, febbre, altralgie e cefalea. L’eritema migrante cutaneo non trattato può regredire spontaneamente, ma altre volte può persistere per mesi inducendo al suo interno un’e-voluzione atrofica del tessuto cutaneo. Il secondo stadio si caratterizza per la comparsa di eritemi migranti multipli ed eruzioni orticarioidi ricorrenti, che si associano spesso a microlinfoadenopatia diffusa. Tali lesioni indicano una diffusione precoce della spiroche-ta per via ematogena e si osserva più frequentemente nei bambini. Il linfocitoma benigno rappresenta l’altra manifestazione tipica della fase precoce disseminata, si manifesta come un nodulo eritemato-angiomatoso che si localizza solitamente al lobo auricolare, all’areola, allo scroto e alla piramide nasale. In questa fase può essere presente un’im-portante sintomatologia sistemica caratterizzata da meningopolineuriti, mialgie, artral-gie, disturbi della conduzione cardiaca ed artrite.Dopo mesi o anni dall’avvenuta infezione si passa alla fase tardiva caratterizzata der-

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matologicamente dall’acrodermatite cronica atrofizzante, che insorge insidiosamente con una fase infiammatoria precoce caratterizzata dalla comparsa di placche eritemato-cianotiche, a livello dalla superficie estensoria delle estremità. Le lesioni tendono pro-gressivamente ad allargarsi, coinvolgendo l’intera superficie degli arti; poco comune è l’interessamento del tronco e volto.Le lesioni infiammatorie possono persistere per anni e gradualmente diventano atrofi-che, nello stadio finale può comparire anche un’atrofia maculosa. Alla manifestazione cutanea si associano polineuropatie motorie e/o sensitive con parestesie distali o dolori radicolari, la poliartrite e l’encefalomielite progressiva con perdita della memoria.La diagnosi di borreliosi di Lyme, anche se spesso difficile, è strettamente clinica, i test sierologici sono disponibili solo per confermare una diagnosi clinica altamente sospetta: la sieropositività non è sinonimo di malattia come la sieronegatività non esclude la dia-gnosi.Il trattamento deve essere effettuato solo in presenza di manifestazioni cutanee e/o neuologiche e/o articolari riconducibili all’infezione. Diversi sono i farmaci impiegabili per il trattamento di questa patologia (penicilline, tetracicline, cefalosporine), ma la preven-zione rimane sempre l’obiettivo primario.

Dermatiti da celenterati

I celenterati sono animali a semplice struttura radiale simmetrica, delle 9000 specie identificate, circa 100 sono offensive anche per l’uomo.Queste appartengono alle classi degli Scyphozoa (meduse), Anthozoa (tra cui gli ane-moni) e Hydrozoa.Alla classe degli Scyphozoa (a forma di tazza) appartengono molto specie di meduse diffuse nei nostri mari e nel mediterraneo.Sulla superficie del corpo e dei tentacoli i celenterati sono provvisti di organuli micro-scopici detti cnidociti. I cnidociti contengono nel citoplasma un particolare corpicciolo di forma globosa chiamato nematociste. In seguito al contatto con un corpo estraneo, gli cnidociti espellono con violenza le nematocisti; queste penetrano nel corpo della preda ed iniettano le tossine composte da diverse sostanze tossiche, non tutte noteLe reazioni da medusa si presentano con diversi quadri clinico-morfologici e differenti meccanismi patogenetici. Le reazioni più comuni sono rappresentate da quelle ortica-rioidi tossiche localizzate. L’istantaneo dolore (persistente per un tempo di 30 minuti) è seguito da una eruzione cutanea immediata, figurata, caratterizzata da lesioni ortica-rioidi della durata variabile da pochi minuti a diverse ore. Le manifestazioni possono essere anche vescicolose, emorragiche o necrotizzanti. In caso di contatto con gli occhi possono insorgere congiuntiviti, ulcerazioni corneali ed edema palpebrale. Sono state riportate anche reazioni ritardate che insorgono dopo 4-7 giorni dal contagio, sono di tipo granulomatoso e persistono per mesi.Le attinie appartengono al phylum dei celenterati, sono tutte specie provviste di nemato-cisti, a causa della varietà dei loro colori questi animali hanno spesso un aspetto simile a quello del fiore anemone e per questo sono chiamati anemoni di mare. Le specie di

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attinie più comuni nei nostri mari sono l’Actina Equina e l’Anemonia Sulcata. Questi diversi anemoni ricoprono con i loro tentacoli il fondo marino. Gli anemoni di mare pos-sono indurre gli stessi quadri cutanei indotti dalle meduse, anche se si presentano con sintomatologia più imponente. Fra le reazioni locali sono più comuni quelle tossiche. Dal punto di vista morfologico oltre le lesioni eritemato-edematose sono più spesso vescio-lose o bollose, talora necrotizzanti, l’edema è di frequente imponente sino a realizzare quadri angioedematosi.A causa della maggiore entità clinica, il decorso dell’affezione dura dai 15 ai 20-30 giorni e si accompagna a sintomi soggettivi e sistemici imponenti. Il dolore e il bruciore sono a volte intollerabili e le reazioni sistemiche (astenia, malessere, crampi muscolari) sono quasi sempre presenti. Risolve molto spesso con sequele.Nel caso di contatto con celenterati il trattamento locale può essere effettuato con ace-to, alcool, ammoniaca o acqua salata calda; si raccomanda di evitare l’uso di acqua dolce che attiverebbe le nematocisti; in caso di manifestazioni gravi diviene necessario ricorrere ad un trattamento sistemico basato sull’utilizzo di corticosteroidi, antistaminici, analgesici, epinefrina.

Larva migrans cutanea

La larva migrans cutanea, descritta per la prima volta nel 1874 da Lee con il nome di creeping eruption, è una dermatosi dovuta alla penetrazione transcutanea di larve di ne-matode Ancylostoma brasiliense, un comune parassita di cani, gatti ed animali selvatici, endemico in alcune aree geografiche dell’America Centrale, del Sudamerica, nelle aree tropicali e subtropicali di tutti i continenti, con una maggior incidenza nelle zone costiere a clima caldo-umido.L’Ancylostoma caninum, un nematode parassita del cane, così come l’Uncinaria ste-nocephala, la variante europea dello stesso verme, e il Bumostomum phlebotomum, parassita dei bovini, sono più raramente causa di larva migrans cutanea. Il ciclo vitale dei parassiti inizia nel momento in cui le uova passano dalle feci animali a un suolo sabbioso, caldo-umido dove le uova si schiudono e maturano. Le larve si nutro-no inizialmente di batteri presenti nel suolo e si trasformano due volte prima di arrivare al terzo stadio nel quale diventano infettive. Nell’animale la larva è in grado di penetrare nell’epidermide ed essere trasportata trami-te il linfatico ai polmoni da qui passa alla trachea da dove poi viene deglutita. Nell’intesti-no dell’animale avviene la maturazione sessuale della larva e le uova vengono espulse con le feci. Gli uomini sono ospiti accidentali. Attraverso delle proteasi le larve possono penetrare nei follicoli piliferi e nelle soluzioni di continuo della cute. L’uomo si contagia per contatto con il suolo inquinato dalle deiezioni animali. Le lesioni si localizzano a livello della parte del corpo che è stata a contatto con il ter-reno contaminato; le sedi tipiche sono piedi, mani e glutei, ma può essere interessata qualsiasi sede cutanea perché i costumi da bagno e gli asciugamani possono essere attraversati dalle larve di anchilostomi. La manifestazione cutanea più tipica è una lesio-ne lineare serpiginosa, urticata, isolata, circondata da alone eritematoso. Dopo alcune

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settimane la larva muore causando la guarigione clinica.La diagnosi è essenzialmente clinica; la biopsia cutanea è deludente perché presenta elementi indicativi, ma non patognomonici della malattia, eccezionale è il riscontro della larva.Le larve muoiono senza alcun trattamento entro 2-8 settimane. La malattia è quindi au-tolimitante, ma talvolta alcuni pazienti possono sviluppare uno stato di ipersensibilità con orticaria e angioedema o modesti sintomi respiratori, con infiltrato polmonare transitorio ed eosinofilia periferica (Sdr di Loffler). Il trattamento, che si basa essenzialmente sull’u-so di Albendazolo, viene effettuato per evitare l’insorgenza di complicanze. La preven-zione è difficile, si raccomanda comunque di frequentare spiagge in cui venga negato l’accesso agli animali.

Tunga penetrans

La tungiasi è un infestazione causata dalla penetrazione nella cute della femmina gravi-da della pulce Tunga penetrans, conosciuta con numerosi nomi nei diversi stati e in Italia chiamata anche pulce della sabbia o del deserto. Gli ospiti naturali sono rappresentati più frequantemente da topi, ratti, animali da cortile (cani, gatti, maiali…), ma si ritiene che qualsiasi mammifero possa essere serbatoio della pulce. Queste pulci si possono trovare nella sabbia delle spiagge, nel terreno secco e polveroso di stalle, cortili e pian-tagioni.Mentre i maschi saltano sull’ospite solo per il pasto ematico e poi si allontanano, la femmina gravida penetra nell’epidermide dell’ospite per completare il suo ciclo vitale. La pulce si posiziona con la testa alla giunzione dermo-epidermica mentre il segmento addominale distale arriva fino alla superficie cutanea. La cavità in cui è accolta la tunga comunica con l’esterno attraverso un foro nello strato corneo dal quale sporge l’orifizio addominale terminale: da qui fuoriescono feci e uova. In 7-10 gg sono emesse nell’am-biente 100-200 uova.Nel terreno ideale le uova si schiudono passando in 3-4 gg dallo stadio di larva a quello di pupa e i parassiti diventano adulti in 2-3 sett. Il ciclo vitale dura circa 1 mese. Dopo la disseminazione delle uova la pulce muore. L’infestazione da tunga si manifesta con la lenta comparsa di una lesione papulo-nodulare dovuta al rigonfiamento della pulce. La pulce gravida una volta penetrata nella cute aumenta enormemente di volume: dopo il pasto ematico, maturando le uova, l’addome si rigonfia fino a raggiungere un diametro di oltre 1 cm e assumendo forma sferica; tale fenomeno si chiama fisiogastria. La lesione si caratterizza per la presenza di un punto bruno-nerastro centrale che corrisponde alla porzione posteriore dell’addome della pulce.La sede tipica sono i piedi per le ridotte abilità saltatorie della pulce, ma ipoteticamente qualsiasi sede cutanea può essere interessata.La diagnosi è prettamente clinica ed anamnestica. La terapia si basa sull’estrazione della pulce mediante curettage; in caso di sovra infezione si può ricorrere all’antibiotico terapia sistemica. Raccomandata è la profilassi antitetanica.

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Scabbia

La scabbia è un’infestazione da penetrazione nell’epidermide della femmina gravida dell’acaro Sarcoptes scabiei var. hominis.Secondo molti autori, i rapporti sessuali rappresentano la modalità di diffusione più fre-quente della malattia tra gli adulti. Per questo motivo la scabbia può essere considerata, a tutti gli effetti, una malattia a trasmissione sessuale, è comunque anche possibile un contagio indiretto attraverso uno stretto contatto con la biancheria e gli abiti dei soggetti infestati.Colpisce tutti i gruppi etnici, tutte le età ed entrambi i sessi, indipendentemente dalle condizioni economiche e sociali. Tuttavia, è più frequente nei paesi poveri, nelle comu-nità (collegi, caserme, carceri, ospedali, ospizi), nei pazienti immunodepressi e la sua diffusione è favorita dalla scarsa igiene ambientale e personale.L’acaro della scabbia è un endoparassita obbligato e ospite-specifico, che compie l’in-tero ciclo vitale nella cute dell’uomo, quest’ultimo rappresenta quindi l’unico serbatoio. Morfologicamente l’acaro ha forma rotondeggiante od ovoidale e colore variabile dal giallastro al grigio-brunastro, il maschio adulto è lungo fino a 0.25 mm, mentre la femmi-na adulta può raggiungere i 0.45 mm. Il capo della femmina presenta una sorta di corto rostro centrale che le permette di scavare nello strato corneo una vera e propria galleria, chiamata cunicolo. Il Sarcoptes scabiei var. hominis vive nell’epidermide a temperature comprese tra 25 e 35°C, ottimali per la sua sopravvivenza sono le temperature superiori a 31°C, sotto i 20°C e sopra i 55°C, l’acaro muore in pochi minuti. Fuori dall’epidermide, a temperatura ambiente e con una umidità del 40-80%, l’acaro sopravvive da 1-2 ore a 2-3 giorni.I cunicoli rappresentano le lesioni caratteristiche della scabbia, ma risultano difficilmen-te identificabili ad occhio nudo, per cui si ricercano lesioni da grattamento, essendo il prurito molto intenso, specialmente nelle ore notturne, nelle sedi tipiche di annidamento dell’acaro (spazi interdigitali, superfici volari dei polsi, cavi ascellari, zona cintura, area genitale). Si distinguono clinicamente diverse varietà di scabbia: infantile, atipica, cubana (nodu-lare), norvegese.Nella forma infantile, secondo alcuni autori il cuoio capelluto, soprattutto la regione occi-pitale e le pieghe retro-auricolari, e il volto sono caratteristicamente colpiti, specialmente nel lattante, presumibilmente a causa dell’allattamento, in seguito a un contatto diretto e prolungato con le areole mammarie delle madri colpite dall’infestazione. È frequente an-che la localizzazione alle mani e ai piedi, in particolare alle piante, sotto forma di lesioni papulo-vescicolose e papulo-pustolose, in alcuni casi anche francamente bollose, che esitano in squamo-croste. Tuttavia, nel neonato può essere coinvolta tutta la superficie cutanea. La specificità topografica delle lesioni è inversamente proporzionale all’età del bambino: quanto più il bambino è piccolo, quanto meno le lesioni hanno una predilezio-ne di sede.Nel neonato, il prurito, a causa dell’impossibilità a grattarsi, si estrinseca sotto forma di irrequietezza, irritabilità e insonnia.

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La scabbia atipica o delle persone pulite, si riferisce a una varietà di scabbia che si os-serva in soggetti che si lavano molto: il lavaggio, e la successiva asciugatura, asportano meccanicamente i cunicoli, per cui questi pazienti hanno un quadro clinico caratterizzato solamente da scarse lesioni eritematose, accompagnate peraltro da prurito. Spesso in questi pazienti si arriva alla diagnosi tardivamente, solo dopo aver escluso altre malattie caratterizzate da prurito.La varietà di scabbia cubana ha avuto, una quindicina d’anni fa, una notevole diffusione, soprattutto in Caucasici di sesso maschile, di età compresa tra 25 e 55 anni, di livello economico-sociale medio-alto, in ottime condizioni generali di salute, immunocompe-tenti ed eterosessuali: questi soggetti si recavano a Cuba prevalentemente per turismo sessuale. La scabbia cubana è caratterizzata da un tempo di incubazione molto variabile, spesso lungo (oltre due mesi), dalla frequente assenza di cunicoli e di vescicole perlacee, dalla presenza di lesioni da grattamento e di noduli più o meno infiammatori, a insorgenza precoce, soprattutto al pene e allo scroto. Il prurito compare tardivamente rispetto al momento del presunto contagio, è diffuso, intenso, spesso in aree non comunemente interessate dalla scabbia classica, come le cosce e le gambe. È più probabile che questa forma di scabbia sia una dermatite infiammatoria cronica dovuta a una reazione irritativa-allergica a prodotti metabolici degli acari in individui iper-reattivi o francamente allergici.La scabbia norvegese invece, colpisce prevalentemente pazienti immunodepressi e de-fedati, si caratterizza clinicamente per la comparsa di lesioni nodulari diffuse.La diagnosi di scabbia si basa su

1. anamnesi 2. clinica (lesioni+sedi+prurito).

Dirimente è l’esame microscopico diretto (KOH 30%, Clorallattofenolo) che permette di evidenziare acari, uova e deiezioni.La terapia della scabbia si avvale di:

- Permetrina: è in commercio in Italia in crema al 5%, può essere usata in gravidan-za ed allattamento, le DIC sono frequenti ma lievi.

- Crotamitone crema al 10% , è meno efficace della permetrina ma le DIC sono rare e lievi.

- Zolfo a concentrazioni comprese tra il 3 e il 20 % in vaselina, viene usato soprattut-to per il basso costo, meno efficace della permetrina e le DIC sono frequenti

- Bis Butil Carboetilene in soluzione al 50%, ha una scarsa compliance - Benzoato di Benzile è molto utilizzato in Italia, le DIC sono frequenti e talvolta gravi - Raro è l’utilizzo di terapie sistemiche.

Ulcera venerea

L’ulcera venerea (UV), chiamata anche ulcera molle o chancroid, è un’infezione batterica a trasmissione sessuale e che si manifesta con la comparsa, nel punto di penetrazione

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del germe, di una lesione ulcerativa molle e dolente alla palpazione, spesso seguita da un’adenopatia regionale a tendenza suppurativa. A lungo confusa con la sifilide prima-ria, l’UV è stata riconosciuta come entità clinica autonoma nel 1852 e la descrizione del microrganismo responsabile risale solo al 1889 ad opera del microbiologo napoletano Augusto Ducrey. Negli ultimi 20 anni sono stati segnalati anche in America del nord e in Europa piccoli focolai epidemici.Come ogni altra ulcerazione genitale l’UV favorisce la trasmissione dell’ HIV.La diagnosi prevede la ricerca dell’Haemophlis Ducreyi (Gram negativo) nel materiale raccolto dall’ulcera o dal linfonodo o sull’isolamento colturale che richiede particolari ter-reni selettivi ed arricchiti. I test di amplificazione dell’acido nucleico sono eccellenti per dimostrare l’Haemophilus nei campioni biologici. Il trattamento si avvale di antibiotico-terapia sistemica (ceftriaxone, azitromicina, cipro-floxacina o eritromicina).

Linfogranuloma venereo

Si tratta di una malattia batterica, sessualmente trasmessa, che si manifesta con la comparsa, nel punto di penetrazione del germe, di una lesione papulosa, erosiva o ul-cerativa, abitualmente fugace seguita da adenopatia regionale ad evoluzione cronica, con possibile coinvolgimento dei tessuti circostanti. Confuso a lungo con la sifilide e con l’ulcera venerea, solo nel 1913 il linfogranuloma venereo è stato riconosciuto come enti-tà clinicopatologica autonoma. Risulta endemico nell’africa nordorientale ed occidentale e con discreta frequenza viene osservato in India e in alcune zone del sud-est asiatico. E’ causato dai sierotipi L1, L2 ed L3 della Chlamydia trachomatis. Clinicamente si rico-noscono 3 fasi successive di malattia:

- la fase primaria, compare dopo 3-7 giorni dal contagio e si caratterizza per la com-parsa di una lesione papulosa fugace nella sede di penetrazione del microrgani-smo;

- la fase secondaria, che si manifesta da 10 a 30 giorni dopo il contagio, si caratteriz-za per un progressivo coinvolgimento del sistema linfatico del distretto interessato, più colpiti sono i linfonodi inguinali ed iliaci, l’adenopatia è dolorosa e con il tempo si costituisce un piastrone duro, talora con un caratteristico solco trasversale a livello del legamento di Poupart, noto come segno della puleggia;

- la terza fase si caratterizza invece per l’estensione dell’infezione ai tessuti ed agli organi adiacenti ai linfonodi colpiti.

Possono associarsi disturbi sistemici generali come febbricola, astenia, anoressia, al-terazioni del sonno. La diagnosi è essenzialmente clinica, più raro è il ricorso all’esame colturale o alla PCR. La terapia si basa sull’antibioticoterapia a base di doxiciclina ed eritromicina, è infine consigliabile proporre accertamenti sierologici per escludere la con-comitanza di altre malattie sessualmente trasmesse.

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Ringraziamenti

Si ringraziano i Relatori per aver prontamente accolto l’invito ai nostri “ Giovedì dell’Or-dine”.

Ringraziamenti sono dovuti al Dott. Bruno Di lascio, Presidente dell’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri di Ferrara per aver sempre condiviso ed approvato il nostro lavoro ed al Consiglio tutto che ci ha sempre seguito in questo percorso.

Grazie al Personale dell’Ordine, sempre disponibile e collaborante.

Dott.ssa M. G. Piccinini

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