Le leggende della nostra zona

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Il Salto degli Sposi Dalla Piazza del Comune di Castione si sale verso il Giogo della Presolana, seguendo la strada provinciale che si arrampica fino al Passo con una serie di tornanti. Dopo aver superato le località di Bratto e Dorga, uno scenario affascinante si presenta agli occhi del visitatore: sulla destra i boschi verdissimi dello Scanapà e i prati scoscesi, sede dei numerosi impianti di risalita, che durante la stagione invernale si animano di sciatori e turisti in cerca di un pò di sole sulle piste innevate; sulla sinistra la Presolana con la sua mole imponenete: il massiccio Dolomitico sulle cui rocce chiare si riflettono i raggi del sole al tramonto, creando un gioco di luci dai colori molto suggestivi. Poco oltre il culmine del Passo, parcheggiata la macchina, si segue l'indicazione della segnaletica che indica, sulla destra, il sentiero che si inoltra nel bosco fino al margine di una radura, dove la montagna scende a strapiombo verso la Valle del Dezzo, percorso dalla via Mala. Era l'anno 1871, la Conca della Presolana non conosceva ancora il turismo ma la bellezza di questo paessaggio alpestre era già nota anche all'estero. Infatti, negli anni precedenti all'unità di Italia, durante il dominio Austriaco diverse guarnigioni militari dell'Impero Asburgico soggiornanti nella zona, avevano avuto modo di apprezzare le bellezze di questi luoghi ancora incontaminati. Alcuni di loro si erano addirittura accasati nelle nostri valli e tra questi vi erano degli oriundi polacchi che avevano acquistato un terreno a Dorga anche oggi ricordato con il nome di "Pulunï". Nella corrispondenza che inviavano periodicamente ai loro familiari rimasti in terra polacca non mancavano gli encomi alle nostre montagne e tanto dissero che i pionieri del turismo vennero proprio d'oltralpe. Uno di questi, tale Massimiliano Prihoda, polacco, di professione musicista in Italia nella primavera del 1871 per un concerto della Scala, non volle perdere l'occasione per fare una visita ai suoi vecchi parenti di Dorga. Questi avevano da poco acquistato un grande possedimento terriero al Passo della Presolana: il "Maren" luogo amenissimo caratterizzato da dolci praterie orlate da boschi soprastanti una corona di dirupi. Ospite dei suoi parenti, Massimiliano passava qui ore ed ore a scrivere spartiti immerso nel silenzio e nella contemplazione delle montagne. Il suo luogo preferito era un pronunciato dirupo dal quale come una balconata poteva ammirare una vasta catena di montagne che vanno dalla Valle di Scalve alla Valle Camonica. La zona del Passo piacque talmente a Massimiliano che pensò di tornarvi con la giovane moglie, Anna Stareat, con la segreta speranza di stabilirsi qui definitivamente. Ritornati in Polonia sistemò i suoi affari e sul finire dell'estate insieme alla moglie era di nuovo in Italia e più precisamente nei pressi del Passo in località Donico dove prese alloggio in una vecchia ma distinta casa di signori della zona. Meta quotidiana delle passeggiate della giovane coppia erano i prati del "Maren" e particolarmente il dirupo preferito che data la frequentazione e la spettacolarità del panorama venne subito chiamato "Belvedere". Da questo incomparabile osservatorio la moglie, affermata pittrice, traeva ispirazioni per i suoi quadri mentre il marito musicava libretti di opere. La gente del posto li prese a benvolere e vedendoli sempre felici come sposi novelli li soprannominò semplicemente gli sposi. Il loro amore e la loro bontà diventarono presto proverbiali fra i contadini e gli alpeggiatori della zona, ma un giorno capitò l'irreparabile. Secondo le testimonianze raccolte in zona, verso fine settembre dopo un violento temporale, entrambi vestiti a festa, si recarono sul dirupo, in un panorama di singolare bellezza addolcito da un tenue arcobaleno; Anna dipinse il ritratto dello sposo con lo sfondo del Pizzo Camino, mentre Massimiliano completò una breve composizione dedicata alla moglie. Probabilmente verso sera quando ancora la luna stava sorgendo, raggiunto l'orlo dello strapiombo per qualche inspiegabile motivo i due sposi si gettarono nel vuoto, abbracciati, poichè tali furono

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pietosamente recuperati il giorno dopo alla base del dirupo da tale Dovina Bortolo, guardia boschiva di Angolo. Questo fatto, tutt'ora avvolto nel mistero nonostante le molteplici indagini effettuate, ma con ogni probabilità dettato dalla volontà di conservare per sempre intattto l'intenso ed appassionato sentimento che li univa, impressionò profondamente tutti. Le spoglie mortali dei due sposi vennero tumulate nel piccolo cimitero della sponda dove fino ai recenti restauri si poteva ancora osservare la lapide la cui epigrafe ormai stinta celebrava il loro eterno amore. Il nome del dirupo da quel momento in loro ricordo venne chiamato il "Salto degli Sposi" e divenne meta continua di innamorati ma anche di estimatori dei due artisti le cui opere sono sempre state oggetto di appassionate ricerche. Ricerche coronate da successo poichè pare che il quadro sia stato casualmente riscoperto a Bombay (India) al Prince of Wales Museum of Western India, con immaginabile commozione da un noto mercante d'arte bergamasco che aveva trascorso un periodo di vacanza al Passo della Presolana dove aveva appreso della pittrice e della tragedia del Salto degli Sposi. Pure lo spartito dovrebbe essere stato recentemente riscoperto nella biblioteca del Conservatorio Daitano Donizetti di Bergamo. Gnomi di pietra in una valle castionese rievocano leggende LE "VOCI DI PIETRA" del Duemila Di Guerino Lorini Stanno tutte in un'ansa impervia del torrente le voci di pietra delle incisioni rupestri dell'anno Duemila. Volti dalle espressioni misteriose e stupite che sembrano pronte a raccontare ed evocare chissà quali storie e vicende arcaiche avvenute sulla Grande montagna. Rocce parlanti che hanno scelto per conservare un angolo di terra castionese quasi sconosciuto, tagliato fuori dai soliti itinerari escursionistici e dove pare che il tempo si sia fermato ed imprigionato in una bolla d'aria. Incisioni che nulla hanno a che vedere con quelle del mesolitico. Appartengono ai nostri tempi. L'autore non è un capo tribù camuno vestito con pelli d'orso catturato a colpi d'ascia. A scolpirle è stato Michele De Campi, un elegante e sportivo signore milanese di mezz'età dalle origine trentine e con passione della scultura. Il De Campi passa le sue vacanze ed alcuni mesi dell'anno a Castione dove possiede una bella casa ed un grande parco. Un posto ideale per godere i benefici di una meritata pensione dopo quarant'anni di lavoro trascorsi come dirigente bancario. A Castione, alla sua gente, alle montagne ed ai suoi boschi questo singolare scultore rupestre è legato da un profondo rispetto. "Quando si va nel bosco o in montagna non si deve lasciar traccia della nostra presenza". Poi guai a prendere a calci un fungo anche se velenoso, né tantomeno spezzare i rami degli alberi. Semmai se vanno tolti lo si deve fare tagliandoli con delicatezza. Dopo circa un anno di corteggiamenti, finalmente nel mese di agosto il signor De Campi ha acconsentito di accompagnarci in questo tratto della valle, dove lui passa molte ore delle sue giornate. (Ed a volte anche molte notti). Al nostro arrivo in quel tratto di torrente scavato nel bosco, calò di colpo il silenzio. "E' sempre così quando arrivo con altre persone" ci ha confidato. Attorno a noi un ambiente naturale ancora selvaggio e suggestivo. Uno scenario fiabesco con raggi del sole che come tante sciabolate di luce passano attraverso i rami della fitta pineta rimbalzano sull'acqua e tra i massi. Qui, oltre alle timide salamandre che si nascondono tra la sabbia e le pietre del letto del torrentello, agli scoiattoli paffuti e rubicondi che saltano da un albero all'altro, sembra un luogo abitato da gnomi e da minuscoli elfi. Al De Campi, di dare un volto a questi sassi fu un desiderio che nacque all'improvviso dopo uno dei tanti momenti di contemplazione e di silenzio che ama trascorrere standosene seduto da solo sul bordo del corso d'acqua. Un senso istintivo che lo porta a intravedere tra le pieghe e le rugosità delle rocce, profili e ombre che sembrano lì da sempre. Impresse nella materia dalla pellicola invisibile del tempo in ere lontane. Negativi che De Campi sviluppa a colpi di martello e scalpello ricavando figure di altri mondi.Un mondo simile a quello delle favole che per secoli, genitori e nonni raccontavano ai loro figli ed ai nipoti, e che noi abbiamo dimenticato trppo

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in fretta. Oggi si preferisce dare quest'incarico alla TV o infilare una cassetta nel videoregistratore. I personaggi scolpiti in quest'ansa, continuano a raccontarsi chissà quali storie d'incantesimi, di fate buone e di streghearpie e cattive. Forse continuano a ricordare le vittoriose lotte di Ulr, il re degli stambecchi che troneggiava sulle cime di Bares e sulla Presolana fino ad un secolo fa. Oppure dalla storia del Gigante mangiapecore che vive in questi luoghi e che il buon Palamini amava raccontarci durante le visite che gli facevamo alla Malga Presolana. A tener costantemente informati questi singolari e grossi Gnomi di roccia di tutto quello che avviene più in alto, ci pensano le acque pettegole che scendono dalle sorgenti e dagli impluvi del vasto anfiteatro presolanese.. Tra una capriola e l'altra trovano il tempo di conversare con loro. La storia che pare sia più in voga , è quella dei terribili nanetti che pietrificarono le quattro belle ragazze di Colere. Erica, Gardenia, Genzianella e Rosina e che diedero vita alla leggenda delle Quattro Matte. Ad ogni primavera se ne stanno in silenzio per non disturbare il canto gioioso del Gallo Cedrone che ogni anno torna in questi luoghi per corteggiare la sua innamorata. Un rito d'amore che dura da chissà quanti millenni senza mai cambiare. Storie e leggende dimenticate in fretta, ma che per fortuna, c'è ancora chi riesce ad ascoltare facendo nascere sulla roccia quei volti che continueranno a ricordarcele. L’orso cattivo e i pastori della Presolana Gli ultimi orsi scomparvero dalle valli bergamasche sul finire dell’Ottocento, Cacciatori e montanari ne avevano abbattuti, nel corso dei decenni precedenti, un gran numero. Si tratta in parte di superstizione, di antiche credenze che attribuivano a questi animali, le loro carni, alla loro pelliccia poteri straordinari e qualità incredibili. Per il resto gli orsi venivano catturati perché considerati ferocissimi, sterminatori di greggi e nemici dell’uomo. Ad alimentare questa immagine crudele e l’inutile persecuzione dei plantigradi contribuivano diverse leggende. Nelle lunghe notti invernali della valle Seriana, della Val di Scalve e della valle Camonica, si raccontava, ad esempio, delle “bacche rosse di Castelorsetto”. Una vicenda ambientata sulle pendici della Presolana, dove, si narra, avesse trovato rifugio un terribile orso bruno, scampato ad una battuta di caccia, assetato di sangue, e in vena di scorribande tra le greggi della zona. “Gli alpigiani - scrive Giorgio Gaioni in <Leggende di Val Camonica e Val di Scalve> - ne erano atterriti e non osavano affrontarlo in campo aperto, limitandosi a tendergli trappole e lacci che il fiuto diabolico della belva riusciva sempre a scansare”. Solo un giovane più coraggioso degli altri, si decise a tenergli un agguato. Armato di scure si arrampicò tra gli altissimi campanili del Monte Scanapà e del Col di Lantana. L’orso ebbe ancora una volta la meglio: il cacciatore non fece mai ritorno e di lui non si seppe più nulla. Gli amici sconcertati si riunirono nella baita di Val Fada, ma lo sconforto era tale che non avevano alcuna idea sul da farsi. All’improvviso un scoiattolo, dal pelo straordinariamente bianco e lungo, fece irruzione nella stanza in cui si trovavano i pastori e, tra lo stupore generale, cominciò a parlare: “Amici - disse lo scoiattolo - io sono l’anima di colui che non fece più ritorno. Ebbene sappiate che c’è una sola maniera per far morire l’orso. Ascoltatemi bene ! Preparate una ciotola di legno piena di latte di capra rossa, misto a radici di genziana secca e sangue di falco ucciso prima dello spuntare del sole; lasciatela ai piedi della rupe dell’orso in una notte di luna morta quando tutti i campanili delle valli abbiano suonato l’Ave Maria. Guai a voi se vi sbaglierete in qualche modo o se farete ciò prima del tempo ! Guai a voi ! Guai a voi !” I pastori rispettarono tutto alla lettera. Uccisero il falco, raccolsero le radici e dopo giorni e giorni di ricerche scovarono anche la capra dal pelo rosso, da cui ottennero il prezioso latte. Una volta preparato lo strano miscuglio, Martì, uno degli amici del giovane scomparso, si diresse verso la rupe dell’orso attraversando il bosco dell’Abetona. Un viaggio terrificante: tutto sembrava trasformato ed il timore di vedersi comparire dinanzi l’orso da un momento all’altro ghiacciava il sangue nelle vene. Ciononostante il pastore depositò la tazza come stabilito. “ Il giorno seguente - scrive ancora Gaioni - I pastori si recarono ai piedi della rupe, credendo di trovarvi l’orso morto. Ma non ne videro neppure la traccia. Solo che nel punto preciso dove era stata deposta la ciotola di legno era spuntato uno strano cespuglio di bacche rosse: il sorbo selvatico. L’orso non fu più rivisto nemmeno nella vicina valle

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di Scalve ne nella valle Seriana, ma la rupe che per tanto tempo era stata il suo regno odiato e temuto, si erge ancora a sinistra della strada della Cantoniera, poco sopra la Casera, porta in Vareno ed è ancora indicata col nome di Castel Orsetto, cioè “Castello dell’orso”. Attorno ai suoi fianchi crescono in grande copia i sorbi e poco lontano sorge una baita dal tetto rosso: la baita di Castelorsetto. LA MONTAGNA INSEGNA SENTIERI, BOSCHI, PASCOLI, AL POSTO DEI BANCHI DI S CUOLA A PIEDI, AI “PIEDI” DELLA PRESOLANA, LUNGO DEL SENT IERO DEL “BOSCO PARLANTE”. Siete pronti? Per un pò dimenticate computer e videogiochi, calzate scarponcini comodi, togliete i libri dallo zaino, al loro posto metteteci la voglia d’andare alla scoperta di cose nuove, naturali e genuine da vedere, toccare e respirare a pieni polmoni. Ad esempio, lo sapevate che uno solo di questi alberi adulti che abitano nel bosco, è in grado di produrre una quantità d’ossigeno a far vivere due persone. Ve lo hanno già detto che un solo ettaro di bosco produce 24 mila litri d’ossigeno purissimo al giorno, e sempre in un giorno, un ettaro di pineta elimina dalla circolazione filtrano dall’aria purificandola, altrettanti 24 mila litri di anidride carbonica. Vi siete mai chiesti quant’ossigeno ognuno di noi respira quanta anidride carbonica produce in un solo giorno. Pensateci, la risposta la troverete alla fine di questo breve racconto. IL SENTIERO DEL BOSCO PARLANTE Una volta giunti a Castione, ed aver raggiunto la località zona della Passo della Presolana con le sue facili piste di sci, il nostro itinerario didattico del “bosco parlante” inizia nei pressi dell’Hotel Spampatti e seguendo le indicazioni, va verso la Malga Cornetto. Se volete usare la bussola, seguite le coordinate Est Ovest, gli stessi punti cardinali in cui il sole da prima nasce e dove poi scende per andare a dormire. Ed è lungo il saliscendi di questa comoda mulattiera che sono state installate le voci del bosco, ovvero una serie di bacheche. Ad ogni tappa, una bacheca collocata di fronte ad un albero o ad un cespuglio, vi farà conoscere la sua storia, la sua origine, la sua funzione ecologica e naturale, il suo impiego, il suo nome scientifico ed i vari soprannomi dati loro nel tempo dai valligiani. … ciao sono il maggio ciondolo… Nella vita e nella memoria di ognuno di noi adulti, ma anche di voi giovani, c’è sempre il ricordo di un maestro o di una maestra delle elementari. La Montagna è per noi tutti una grande maestra paziente e generosa d’ascoltare capace di parlarci con i segni e con il linguaggio semplice ed elementare dell’antica sapienza dei contadini delle “terre alte”. Quella del mandriano, ad esempio, è una professione ed un mestiere le cui origini si perdono nella notte dei tempi, che spesso, del secolo scorso, sapevano a malapena contare e scrivere, eppure, su come conservare la natura e la montagna, conoscevano tutto ciò che è servito loro per consegnarci un mondo ancora intatto e integro. Passo dopo passo, superando abetaie e pascoli rigogliosi, e antiche Baite, dove con antica sapienza, i malgari con tanta passione e fatica, continuano ad esercitare l’attività più antica dell’uomo, quella

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dell’alpeggio e del casaro. Se li incontrate, fermatevi, salutateli, parlate con loro. Questa è gente semplice, dedita alle fatiche e privazioni delle comodità, ma saranno ben felici di dialogare con voi dedicandovi un po’ del loro tempo per farvi vedere da vicino la loro “fabbrica del latte”, che non sono altre che le tranquille e docili mucche munte manualmente come tanti secoli fa. Se poi quel latte lo volete assaggiare, scoprirete che ha un sapore ben diverso di quello di città. Una volta arrivati alla Malaga Cornetto, la vostra lezione in ambiente termina su un pianoro panoramico di grande suggestione da cui potete spaziare su tutta l’Alta Valle. IL MISTERO DELLA MUCCA SEPOLTA Se siete degli appassionati di storie misteriose, qui c’è pane per voi. C’è il giallo mai risolto del ritrovamento dei resti di una grossa mucca, rinvenuti sul fondo della malga durante i lavori di restauro. Cosa ci facesse e perché si trovasse li sotto, nessuno lo ha mai saputo ne dato una ragione. Qualcuno ha azzardato l’ipotesi che potesse trattarsi dei resti di un antico sacrificio pagano, legato alla presenza su questa montagna dei guerrieri Alani e del suo terribile Re Biorgor . Se aguzzate la vista, cementata con l’intonaco della facciata della Malga c’è ancora l’osso di una sua gamba, chissà mai che riusciate a risolvere questo giallo. Da questo promontorio panoramico, a sud avrete l’abitato di Castione, con la gobba del Monte Pora, e dietro di voi a nord, l’imponente massiccio della Presolana, una montagna che in passato è stata teatro di epiche e leggebndarie conquiste alpinistiche, in vetta alla quale, oltre un secolo fa è salito anche il Papa. Il resto lo dovrete scoprire voi. La risposta che vi avevamo promesso, non ce la siamo dimenticata , eccola: ogni giorno una persona espelle mediamente ben 300 litri di anidride carbonica, e ne respira 350 di ossigeno. Con la scarpinata che farete, d’ ossigeno ne consumerete parecchi litri anche voi, niente paura, sul vostro percorso ci sono tanti “distributori” naturali felici d’avervi riempito i polmoni con tanta aria pura. (Gigi e Guerino) San Peder La celebre millenaria chiesa di San Peder sorge su un picco roccioso in prossimità di Rusio; ai tempi della sua costruzione si narra di fatti curiosi che investirono il luogo in cui si realizza. Attorno al secolo XII sul Colle di Passeraia gli operai provvedevano a depositare il materiale necessario alla costruzione della chiesetta, sabbia pietre ecc. Notte tempo, il materiale scompariva lasciando interdetti gli operai che salivano al colle per iniziare i lavori; senza perdersi d’animo, e pensando ad uno scherzo, in pochi giorni altro materiale fu depositato nello stesso posto confidando questa volta di potere finalmente iniziare i lavori; ma per la seconda volta il materiale sparì ed i lavori non poterono incominciare. A questo punto la caparbietà suggerì di riprovarci curando però attentamente il “ladro” che di notte faceva sparire i materiali per la costruzione. Fu così che una notte alcuni operai di guardi al materiale videro una colomba posarsi sulla cima del colle, afferrare con il becco una pietra e rialzarsi in volo per tornare dopo pochi minuti e ripetere infinite volte il gesto; all’indomani e dopo estenuanti ricerche si accorsero che tutto il materiale era stato depositato un pò più su del colle di Passeraia, sul colle di San Pietro in cima ad uno sperone roccioso che domina la Valle dei Mulini e Castione. L’episodio fu interpretato come intervento Divino inteso a far costruire la Chiesetta sul Colle di San Peder anziché su quello di Passeraia. La chiesetta è stata restaurata dal locale Gruppo Alpini Presolana nel 1974. Cavra besula Il concetto di terrore ha da sempre arricchito le pagine della leggenda un pò ovunque e quella della cavra besula è sicuramente tipica ed originaria delle nostre montagne. Il contesto nel quale si sviluppa la vicenda è inevitabilmente pastorale ed agricolo; pare infatti che pastori e contadini ( ma

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certamente un pò tutti in paese) nutrissero una forte paura per la presenza della “cavra besula”. Di notte infatti, a luna piena, i pastori presenti nelle malghe sentivano un campanaccio dal suono opaco e d’improvviso il latrare dei cani si scatenava facendoli sobbalzare nel sonno. Una notte un mandriano che si trovava nei Pressi di uno dei canaloni ai piedi della Presolana udì i cani abbaiare come impazziti e contemporaneamente anche il solito campanaccio conosciuto per sentito dire il nome del terrore. Il mandriano rimase impietrito allorquando si trovò di fronte “una capra” gigantesca dagli occhi di fuoco; e così prese a correre terrorizzato tanto che nessuno in paese riuscì più a vederlo nè altri si imbatterono più nella terribile bestia, tanto che la cavra besula è rimasta più nella leggenda delle nostre pagine che nel terrore sulle nostre montagne. Le ragioni dell’esistenza della cavra besula pare che si possano ricondurre ad una specie di “vendetta” da parte della stessa, una vendetta per il cosiddetto “tiro al capretto” una curiosa gara che si disputava nei pressi di Bratto, ma anche su questo ogni ricerca di realtà nella leggenda non può che alimentare la fantasia.