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LE INNOVAZIONI RELATIVE AI PROCEDIMENTI POSSESSORI NUNCIATORI E AI PROCEDIMENTI DI ISTRUZIONE PREVENTIVA Antonello Cosentino giudice del tribunale di Firenze Il decreto legge 14 marzo 2005 n. 35, cosiddetto sulla competitività, nel testo risultante dalle modifiche apportate dalla legge di conversione 14 maggio 2005 n. 80, ha introdotto - con l'articolo 2, terzo comma, lettera e)bis, numeri 5,6,7 ed 8 - alcune significative innovazioni alla disciplina codicistica: a) dell’istruzione tecnica preventiva, mediante la modifica dell’articolo 696 cpc e l’introduzione nel codice dell’articolo 696 bis cpc. b) del procedimento possessorio, mediante la modifica degli articoli 703 e 704 cpc. La legge 80/05 non ha recato modifiche agli articoli 688 e 691 cpc, ossia agli unici due articoli che attualmente (dopo l’abrogazione degli articoli 689 e 690 cpc disposta dall’articolo 89, primo comma, della legge 353 del 1990) compongono la sezione III, dedicata ai procedimenti di denuncia di nuova opera e danno temuto, del capo III del libro IV del codice. Anche i procedimenti nunciatori, tuttavia, risultano modificati a seguito dell’entrata in vigore della legge 80/05, in quanto essi, per il disposto dell’articolo 669 quaterdecies, sono disciplinati dal rito cautelare uniforme e, pertanto, risentono delle modifiche che detta legge ha recato a tale rito. In particolare va sottolineato che i procedimenti nunciatori risultano espressamente indicati tra quelli ai quali, per il disposto del nuovo sesto comma dell’articolo 669 octies, non si applicano le disposizioni dello stesso articolo 669 octies e quelle di cui al primo comma dell’articolo 669 novies. Pertanto il provvedimento con il quale il giudice abbia: a) vietato o permesso la continuazione di una nuova opera, adottando le opportune cautele (1171 cc) b) provveduto ad ovviare ad un pericolo gravante da cosa a cosa (1172 cc) non deve più contenere un termine per iniziare il giudizio di merito ed è destinato a mantenere la sua efficacia a prescindere dalla introduzione di un giudizio di merito avente ad oggetto la tutela del diritto o del possesso minacciati dalla nuova opera o dal pericolo denunciati. Poiché la tematica della rottura del nesso di strumentalità tra provvedimenti nunciatori e giudizio di merito non presenta caratteristiche specifiche rispetto al tema generale della rottura del nesso di

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LE INNOVAZIONI RELATIVE AI PROCEDIMENTI POSSESSORI NUNCIATORI E AI

PROCEDIMENTI DI ISTRUZIONE PREVENTIVA

Antonello Cosentino

giudice del tribunale di Firenze

Il decreto legge 14 marzo 2005 n. 35, cosiddetto sulla competitività, nel testo risultante dalle

modifiche apportate dalla legge di conversione 14 maggio 2005 n. 80, ha introdotto - con l'articolo

2, terzo comma, lettera e)bis, numeri 5,6,7 ed 8 - alcune significative innovazioni alla disciplina

codicistica:

a) dell’istruzione tecnica preventiva, mediante la modifica dell’articolo 696 cpc e

l’introduzione nel codice dell’articolo 696 bis cpc.

b) del procedimento possessorio, mediante la modifica degli articoli 703 e 704 cpc.

La legge 80/05 non ha recato modifiche agli articoli 688 e 691 cpc, ossia agli unici due articoli

che attualmente (dopo l’abrogazione degli articoli 689 e 690 cpc disposta dall’articolo 89, primo

comma, della legge 353 del 1990) compongono la sezione III, dedicata ai procedimenti di

denuncia di nuova opera e danno temuto, del capo III del libro IV del codice.

Anche i procedimenti nunciatori, tuttavia, risultano modificati a seguito dell’entrata in vigore della

legge 80/05, in quanto essi, per il disposto dell’articolo 669 quaterdecies, sono disciplinati dal rito

cautelare uniforme e, pertanto, risentono delle modifiche che detta legge ha recato a tale rito.

In particolare va sottolineato che i procedimenti nunciatori risultano espressamente indicati tra

quelli ai quali, per il disposto del nuovo sesto comma dell’articolo 669 octies, non si applicano le

disposizioni dello stesso articolo 669 octies e quelle di cui al primo comma dell’articolo 669 novies.

Pertanto il provvedimento con il quale il giudice abbia:

a) vietato o permesso la continuazione di una nuova opera, adottando le opportune cautele

(1171 cc)

b) provveduto ad ovviare ad un pericolo gravante da cosa a cosa (1172 cc)

non deve più contenere un termine per iniziare il giudizio di merito ed è destinato a mantenere la

sua efficacia a prescindere dalla introduzione di un giudizio di merito avente ad oggetto la tutela del

diritto o del possesso minacciati dalla nuova opera o dal pericolo denunciati.

Poiché la tematica della rottura del nesso di strumentalità tra provvedimenti nunciatori e giudizio di

merito non presenta caratteristiche specifiche rispetto al tema generale della rottura del nesso di

strumentalità tra provvedimenti cautelari e giudizio di merito non mi soffermerò sull’ argomento,

trattato dalla relazione sulle modifiche ai procedimenti cautelari.

Dobbiamo invece esaminare le modifiche recate alla disciplina dei procedimenti possessori e alla

disciplina del procedimento di istruzione tecnica preventiva.

Procedimenti possessori.

I procedimenti possessori sono stati modificati con le disposizioni di cui al n. 7 (modificativa

dell’articolo 703 cpc) e n. 8 (modificativa dell’art. 704 cpc) della lettera e bis del terzo comma

dell’articolo 2 l. 80/05

Tali disposizioni sono le seguenti.

7) all'articolo 703 sono apportate le seguenti modificazioni:

7.1) il secondo comma è sostituito dal seguente:

«Il giudice provvede ai sensi degli articoli 669-bis e seguenti, in quanto compatibili»;

7.2) sono aggiunti, infine, i seguenti commi:

«L'ordinanza che accoglie o respinge la domanda è reclamabile ai sensi dell'articolo 669-terdecies.

Se richiesto da una delle parti, entro il termine perentorio di sessanta giorni decorrente dalla

comunicazione del provvedimento che ha deciso sul reclamo ovvero, in difetto, del provvedimento

di cui al terzo comma, il giudice fissa dinanzi a sé l'udienza per la prosecuzione del giudizio di

merito. Si applica l'articolo 669-novies, terzo comma»;

8) all'articolo 704, il secondo comma è sostituito dal seguente:

«La reintegrazione nel possesso può essere tuttavia domandata al giudice competente a norma

dell'articolo 703, il quale dà i provvedimenti temporanei indispensabili; ciascuna delle parti può

proseguire il giudizio dinanzi al giudice del petitorio, ai sensi dell'articolo 703»;

Come vedete si tratta di poche disposizioni che, tuttavia, meritano qualche riflessione perché vanno

ad incidere su un tema che è stato oggetto di un lungo e vivace dibattito dottrinario e

giurisprudenziale una decina di anni fa, in occasione della novellazione del codice di rito recata

dalla legge 353/90.

Naturalmente in questa sede non abbiamo il tempo per richiamare compiutamente i termini di quel

dibattito; tuttavia un minimo cenno alle problematiche che furono trattate su questo tema intorno

alla metà degli anni '90 dalla giurisprudenza dalla dottrina è indispensabile per cogliere il senso e la

portata delle modificazioni apportate agli articoli 703 e 704 del codice di procedura della legge

80/05.

Come ricorderete, prima della novella del ’90, il procedimento possessorio era disciplinato

mediante il richiamo al procedimento nuncitorio; il secondo comma dell'articolo 703 cpc

richiamava infatti, per l'azione di reintegra, gli articoli 689 e seguenti del codice e analoga

disciplina era dettata dal terzo comma dello stesso articolo 703 cpc per l'azione di manutenzione.

A propria volta l'articolo 689 cpc, poi abrogato dalla novella del '90, prevedeva che il pretore

adottasse i provvedimenti necessari con ordinanza resa nel contraddittorio delle parti

(eventualmente preceduta, in caso di urgenza, da decreto emesso inaudita altera parte) e quindi

procedesse, se competente, alla trattazione della causa, oppure rimettesse le parti davanti al

giudice competente.

Poiché le azioni possessorie rientravano, ai sensi dell'articolo 8 del codice, nella competenza per

materia del pretore, nei procedimenti possessori non poteva mai darsi luogo alla rimessione della

causa ad altro giudice e quindi in sostanza, dopo aver pronunciato i provvedimenti interinali con

ordinanza (eventualmente confermativa o modificativa o revocativa del decreto che fosse stato

emesso inaudita altera parte) il pretore procedeva alla cognizione piena sulla domanda

possessoria, definendo il giudizio con sentenza appellabile e idonea ad acquisire l'efficacia di

giudicato.

In definitiva quindi, sulla scorta del combinato disposto degli articoli 689 e 703 cpc il procedimento

possessorio:

- si articolava in due fasi, la prima sommaria e la seconda destinata a svolgersi nelle forme

del processo ordinario di cognizione;

- la domanda giudiziale idonea a sorreggere entrambe tali frasi era contenuta nel ricorso

introduttivo al pretore;

- la prima fase si concludeva con ordinanza resa in contraddittorio, destinata ad essere

assorbita dalla sentenza, revocabile o modificabile durante la seconda fase e la cui

efficacia veniva meno in caso di estinzione del giudizio durante la seconda fase.

Questa ricostruzione della disciplina processuale delle azioni possessorie fu rimessa in discussione

quando, con la novella del '90,

- fu introdotto il rito cautelare uniforme;

- furono abrogati gli articoli 689 e 690 cpc:

- i commi secondo e terzo dell'articolo 703 cpc vennero sostituiti con l'espressione: " il

giudice provvede ai sensi degli articoli 669 bis e seguenti ".

Emersero allora tre distinte ipotesi prospettive ricostruttive.

A) Secondo una prima ipotesi, il modello bifasico tradizionale doveva ritenersi invariato: il

procedimento si introduceva con ricorso, all'esito di una fase sommaria il giudice

pronunciava sull'istanza interdittale con ordinanza non reclamabile e, quindi, procedeva alla

trattazione del cosiddetto merito possessorio definendo il giudizio con sentenza appellabile.

Questo schema, recepito in giurisprudenza dal tribunale e dalla pretura di Roma, si

caratterizzava per un'assoluta fedeltà alla tradizione giurisprudenziale, ma si scontrava con

due difficoltà fondamentali:

a) per un verso, la mancanza di una disciplina codicistica del passaggio dalla fase

sommaria a quella ordinaria, con particolare riguardo al tema dell'operatività delle

preclusioni alla proposizione di domande, eccezioni ed istanze istruttorie;

b) per altro verso, la totale obliterazione del disposto degli articoli 669 setpties e octies

cpc. Tale obliterazione veniva peraltro giustificata con la considerazione della

natura non cautelare del procedimento possessorio, da cui sarebbe derivata la

necessità di interpretare il secondo comma del novellato l'articolo 703 cpc come teso

a disciplinare solo i poteri e le attribuzioni del giudice durante la fase sommaria,

dovendosi per altro verso ritenersi implicito, nel richiamo contenuto nel secondo

comma dell'articolo 703, il limite della compatibilità tra le norme di cui agli articoli

669 bis e seguenti cpc e il procedimento possessorio.

B) Secondo altra ipotesi, invece, il secco richiamo contenuto nel secondo comma dell'articolo

703 cpc agli articoli 669 bis e seguenti del codice di rito imponeva di ritenere applicabili

anche al procedimento possessorio l'intera disciplina del procedimento cautelare uniforme,

compresi gli articoli 669 septies e octies cpc. Si riteneva quindi che il procedimento

possessorio dovesse essere introdotto con ricorso; che il giudice si pronunciasse sulla

istanza di reintegrazione o manutenzione nel possesso con ordinanza emessa all'esito della

fase sommaria e soggetta reclamo; che, in caso di rigetto della domanda, detta ordinanza

pronunciasse anche sulle spese ai sensi dell'articolo 669 septies e definisse il procedimento;

per contro, in casa di accoglimento della domanda, detta ordinanza non contenesse alcuna

pronuncia sulle spese e assegnasse il termine per l'introduzione del giudizio di merito, salva

la perplessità in ordine e alla natura dell'atto ( ricorso o citazione ) con cui introdurre tale

giudizio.

C) Infine, secondo una terza ipotesi ( che si fondava sulla qualificazione dei procedimenti

possessori come processi sommari-semplificati-esecutivi a tutela di una situazione di

fatto di appartenenza giuridicamente rilevante solo in ipotesi di lesione, processi

insuscettibili di sfociare in provvedimenti di merito a cognizione piena con attitudine

al giudicato ) il procedimento possessorio veniva concepito come monofasico e

sommario, destinato a concludersi con ordinanza destinata a definire il procedimento senza

fissazione di alcun termine per l'instaurazione di un inesistente giudizio di merito a

cognizione piena. Ordinanza che in ogni caso regolava le spese, in base ai principi generali

di cui agli articoli 91 e segg. cpc, e poteva essere impugnata col mezzo del reclamo.

Ordinanza, infine, dotata di efficacia meramente esecutiva e dunque priva della efficacia di

accertamento caratteristica del giudicato, restando pertanto inidonea a dettare una

disciplina definitiva in ordine al godimento del bene.

Come già accennato non è possibile in questa sede dare conto delle ragioni e degli argomenti spesi a

sostegno di ciascuna di tali tesi.

È sufficiente ricordare che, dopo alcuni anni di forti incertezze interpretative sull'argomento, la

Cassazione a sezioni unite - con una pronuncia (n. 1984 del 24 febbraio '98) che non è andata

esente da censura da parte della dottrina ma che, tuttavia, ha avuto indubbiamente il merito di

mettere una parola chiara a conclusione del dibattito giurisprudenziale, in tal modo soddisfacendo

appieno la funzione nomofilattica - ha recepito la tesi tradizionale della struttura bifasica del

procedimento, che quindi:

- si introduce con ricorso idoneo a sorreggere sia la fase sommaria che quella a cognizione

piena;

- prevede una prima fase, sommaria, destinata a concludersi con ordinanza ( eventualmente

confermativa o modificativa o di revoca di provvedimenti adottati con decreto emesso

inaudita altera parte ) di accoglimento o rigetto della domanda interdettale, soggetta a

reclamo, che non contiene alcuna pronuncia sulle spese né definisce il procedimento, ma

fissa l'udienza per la trattazione del merito possessorio;

- prevede poi una seconda fase di merito possessorio destinata a concludersi con sentenza

soggetta all'appello e idonea ad acquisire l’ efficacia di accertamento proprio del giudicato

sostanziale.

Rispetto alla sistemazione della materia offerta dalla cassazione il legislatore del 2005 ha ritenuto di

intervenire con le modifiche sopra riportate, che ora è necessario esaminare.

1) La modifica del secondo comma dell'articolo 703, con l’aggiunta delle parole " in quanto

compatibili" e

2) l'inserimento nel medesimo articolo di un terzo comma che prevede espressamente la

reclamabilità della ordinanza che conclude la fase sommaria, accogliendo o respingendo la

domanda di reintegra o di manutenzione sono di poco momento: vengono infatti recepite

nel testo del codice acquisizioni giurisprudenziali ormai pacifiche (nel senso che il

richiamo del secondo comma dell'articolo 703 agli articoli 669 bis e seguenti soggiaccia, già

nel testo ancora in vigore, al limite implicito della compatibilità, vedi anche C. Cost. 19

giugno 2000 n. 220; “questa Corte ha già ritenuto come la tradizionale struttura bifasica di

detto giudizio non sia rimasta modificata a séguito della riforma del codice di procedura

civile, attuata con la legge 26 novembre 1990, n. 353, ed ha altresì rilevato il carattere

selettivo del richiamo al procedimento cautelare uniforme, contenuto nell'art. 703 cod.

proc. civ., vòlto a consentire l'applicabilità delle sole norme della novella compatibili con

le caratteristiche del procedimento possessorio (v. ordinanze n. 203 del 1996, n. 125 del

1997)”.

Di notevolissimo rilievo, anche e soprattutto per le implicazioni teoriche che suggerisce, è invece

l'aggiunta di un quarto comma all'articolo 703 e, in particolare, del primo periodo di tale

comma, secondo il quale la prosecuzione del giudizio per la trattazione del merito possessorio

costituisce uno sviluppo non più necessario ma meramente eventuale, e rimesso alla richiesta

di ( almeno ) una delle parti, del procedimento.

In sostanza, secondo il nuovo quarto comma dell'articolo 703, qualora nessuna delle parti proponga

tempestivamente la richiesta di fissazione dell'udienza per la prosecuzione del giudizio di merito, il

processo resta definito con la semplice ordinanza emessa all'esito della fase sommaria;

ordinanza dotata di una efficacia meramente esecutiva ma certamente inidonea ad assolvere ad

una qualunque funzione di accertamento in ordine alla disciplina del godimento del bene.

Sembra in sostanza che il legislatore abbia ritenuto di fare propria la sistemazione ricostruttiva

sopra riepilogato sub C) - che, come già notato, riconduceva il procedimento possessorio al

modello dei procedimenti sommari-semplificati-esecutivi - prevedendo la possibilità che il giudizio

possessorio si concluda con un provvedimento non destinato a soddisfare alcuna esigenza di

accertamento, bensì esclusivamente esigenze di materiale attribuzione del bene; vale a dire un

provvedimento con funzione meramente esecutiva, tendente a reprimere la violazione possessoria

con il ripristino dalla precedente situazione di fatto, cioè con l'attribuzione al possessore spogliato o

molestato di " tutto quello e proprio quello " espressamente garantitoli dalla disciplina sostanziale

di cui agli articoli 1168 e 1170 del codice civile.

E’ però da rimarcare che lo stesso legislatore, quasi spaventato del proprio coraggio (il professor

Proto Pisani ha parlato di “pavidità” del legislatore ), ha ritenuto di non poter portare fino in

fondo la propria scelta, tagliando il nodo e riponendo il merito possessorio nella soffitta del

diritto; si è infatti limitato a rimettere alla volontà delle parti la scelta sulla prosecuzione o

meno del giudizio possessorio, in una fase a cognizione piena destinata a concludersi con sentenza

idonea ad acquisire efficacia di cosa giudicata.

In tal modo mi pare che la sistemazione teorica del giudizio possessorio operata dalle sezioni

unite della cassazione risulti sostanzialmente confermata; permane cioè, ancora, la tradizionale

struttura bifasica del giudizio, destinato a concludersi con una pronuncia avente forma di

sentenza e attitudine al giudicato; con la differenza, rispetto al testo attuale del codice, che per lo

sviluppo della seconda fase è necessario un atto di impulso di almeno una delle parti.

In difetto di prosecuzione permane integra l'efficacia esecutiva dell'ordinanza interdettale,

Dobbiamo allora chiederci quale sia la ratio di questo intervento legislativo.

Escluso che il legislatore avesse ambizioni di sistemazione dogmatica della materia - e del resto,

ripeto, questo intervento non incide sull'impianto di fondo del giudizio possessorio definito dalle

sezioni unite - appare verosimile il che il legislatore sia stato mosso da una intenzione deflattiva,

evidentemente ipotizzando che una parte significativa dei giudizi possessori sia destinata a

concludersi dopo la pronuncia dell'ordinanza interdettale, con conseguente risparmio delle energie

attualmente destinate alla ( eventuale ) istruttoria di merito ed alla pronuncia della sentenza.

Se questa era l'intenzione del legislatore, nutro più di qualche dubbio sull'efficacia della

soluzione scelta per realizzarla.

Personalmente infatti condivido solo parzialmente l'opinione, largamente diffusa tra i primi

commentatori, secondo cui solo la parte che non abbia ottenuto la decisione che si attendeva

avrà verosimilmente interesse a presentare l’ istanza per la prosecuzione del giudizio.

A mio parere, infatti, questa previsione è corretta solo con riferimento ai casi di rigetto della

domanda interdettale, perché il ricorrente che non è riuscito a dimostrare le proprie ragioni nella

fase sommaria potrebbe confidare nel maggiore approfondimento istruttorio ottenibile nella fase di

cognizione piena.

In casa di accoglimento da domande interdettale, al contrario, anche il ricorrente vittorioso

potrebbe avere interesse a proseguire un giudizio di merito possessorio in cui può contare

sull'opinione a lui favorevole già manifestata dal giudicante ( soprattutto se confortata in sede di

reclamo ) e la cui pendenza ( fino al passaggio in giudicato della sentenza ) preclude al

convenuto il ricorso alla tutela petitoria, giusta il disposto del primo comma dell'articolo 705

cpc.

Qualche nota più strettamente procedurale sul quarto comma, primo periodo, del nuovo articolo 703

cpc.

A)

Il termine per presentare l'istanza di fissazione dell'udienza di prosecuzione del giudizio

(evidentemente da presentare con atto scritto da depositare in cancelleria, in calce al quale il

giudice fisserà la data dell’udienza di prosecuzione) è perentorio ed è di 60 giorni e decorre dalla

comunicazione del provvedimento che ha definito il reclamo o, in difetto di reclamo, dalla

comunicazione dell'ordinanza interdettale.

Il riferimento testuale alla comunicazione (che, ai sensi dell'articolo 136 cpc, si effettua mediante

biglietto di cancelleria) impone le seguenti precisazioni:

a) Evidentemente il legislatore ha considerato solo l’ipotesi di provvedimento pronunciato

fuori dall’udienza (per il quale, appunto, è prevista la comunicazione a cura del cancelliere,

art. 134, secondo comma, cpc). Nel caso di provvedimento emesso in udienza, in cui non è

prevista alcuna comunicazione, non mi pare si possa dubitare che il termine decorra

dall’udienza stessa.

b) Nel caso in cui, prima della comunicazione effettuata dalla cancelleria, una parte abbia

provveduto a notificare all'altra l'ordinanza che ha definito il reclamo o l'ordinanza

interdettale, ci si può chiedere se il suddetto termine non debba farsi decorrere dalla data

della notificazione, mediante la quale la parte ha avuto piena conoscenza del

provvedimento, in forma anche più completa che non con la comunicazione ex articolo 136

cpc. A mio giudizio, trattandosi di un termine perentorio che pone una preclusione

all'esercizio del diritto processuale, è preferibile un'interpretazione restrittiva e quindi

ancorerei la decorrenza del termine esclusivamente all'evento processuale espressamente

menzionato dalla legge, vale a dire alla “comunicazione”. È peraltro da sottolineare che,

quale che sia l'opinione su questo argomento, non dovrebbero sorgere problemi di

coordinamento tra il quarto comma dell'articolo 703 e il primo comma dell'articolo

669 terdecies, poiché il termine previsto da quest'ultima disposizione per la presentazione

del reclamo è di quindici giorni dalla pronuncia del provvedimento in udienza, ovvero

dalla comunicazione o dalla notificazione, se anteriore. Il termine di 60 giorni per la

presentazione dell'istanza di prosecuzione del giudizio possessorio è quindi comunque

destinato a spirare in epoca ampiamente successiva al momento di scadenza del termine per

la presentazione dell’eventuale reclamo avverso l'ordinanza che ha accolto o negato la

richiesta di tutela interdittale.

c) Nel caso che il resistente sia rimasto contumace nella fase interdettale, il termine di gg. 60

per la richiesta di fissazione dell’udienza per la prosecuzione del giudizio di merito decorre,

nei suoi confronti,

- dalla data dell’udienza, se l’ordinanza è stata pronunciata in udienza, o altrimenti dalla data

del deposito dell’ordinanza in cancelleria, con apposizione del visto del cancelliere sull’

originale (art. 292, secondo comma, cpc);

- o dalla data di notifica dell’ordinanza al contumace di persona, in applicazione analogica

del primo comma dell’articolo 292 cpc ?

B) La possibilità, ancorché eventuale, che l'ordinanza interdettale non sia seguita dalla prosecuzione

del giudizio nella fase cognizione piena rende a mio avviso inevitabile prevedere che in tale

ordinanza vengano regolate le spese maturate fino a quel momento.

Ciò può sostenersi in forza della diretta applicazione dell'articolo 669 septies, secondo comma, cpc

per quanto riguarda l'ordinanza di rigetto e in forza dei principi generali di cui agli articoli 91 e

seguenti cpc per quanto riguarda l'ordinanza di accoglimento. Una diversa l'opinione, del resto,

sarebbe in evidente contrasto con la ratio deflativa della disposizione in commento, riducendo

ulteriormente l'interesse della parte che sia risultata vittoriosa in fase sommaria a rinunciare alla

fase cognizione piena del giudizio.

Contro il capo di ordinanza relativo alle spese può ritenersi esperibile il rimedio di cui all’art. 669

septies, ancorando la decorrenza del termine di gg. 20 per la proposizione dell’esecuzione al

momento in cui sia inutilmente spirato il termine per chiedere la prosecuzione del giudizio per il

merito.

C)

Ci si può chiedere se nell'istanza per la fissazione dell'udienza di prosecuzione del giudizio di

merito sia ammessa la presentazione di domande od eccezioni non contenute negli atti

introduttivi. Al riguardo si è sostenuto che tale istanza non può avere altro contenuto che la

richiesta di provvedimento per far proseguire il giudizio, con la conseguenza che tutto il tema

del decidere resta fissato nel contenuto del ricorso introduttivo della comparsa di costituzione e

risposta.

Anche a me pare che l'istanza di cui al quarto comma dell'articolo 703 cpc non rappresenti la sede

per l'esercizio di poteri processuali di allegazione.

Resta semmai aperto il problema, che riguarda tutti i procedimenti che si articolano in una fase

sommaria ed una di merito, dell’individuazione del momento in cui scattano le preclusioni

connesse alla fase introduttiva ed alla fase di trattazione del processo.

Quanto alla fase introduttiva, una opinione dottrinaria (Cecchella) ha suggerito di applicare

analogicamente, nel rito possessorio, il meccanismo introdotto per i procedimenti di separazione

coniugale nel testo novellato dell’art. 709 cpc, con conseguente assegnazione alle parti, nel decreto

di fissazione dell’udienza di prosecuzione, di termini per integrare gli atti introduttivi e proporre,

per il convenuto, le domande riconvenzionali e le eccezioni non rilevabili di ufficio.

A me pare che - nonostante che il meccanismo di costituzione del contraddittorio nel procedimento

possessorio non garantisca al convenuto un termine per comparire predeterminato ex lege – sia

piuttosto arduo escludere l'operatività della previsione del nuovo testo dell'articolo 167, secondo

comma, cpc nel giudizio possessorio; anche in questo giudizio, quindi, penso che il convenuto abbia

l’onere di proporre già in comparsa di risposta le proprie eventuali domande riconvenzionali e

le eccezioni processuali o di merito non rilevabili di ufficio.

Ciò posto, si deve però rilevare che sicuramente nella fase di merito possessorio opera la disciplina

delle variazioni del tema di lite dettata dai commi quarto e quinto dell'articolo 183, nuovo

testo, cpc. Non vedo allora per quale ragione debba ritenersi preclusa alla parte la possibilità di

anticipare già nell'atto con cui presenta l'istanza di prosecuzione del giudizio difese che

avrebbe comunque la possibilità di svolgere nell'udienza di prosecuzione.

D)

Per il richiamo al rito cautelare uniforme contenuto nel secondo comma dell’articolo 703 cpc,

l’ordinanza che definisce la fase sommaria senza che ad essa faccia seguito la prosecuzione del

processo di merito possessorio avrà il medesimo regime di stabilità previsto per i provvedimenti

cautelari. Pertanto:

a) Le ordinanze di declaratoria di incompetenza non determineranno alcuna preclusione

alla riproposizione della domanda (art. 669 septies, prima parte del primo comma, cpc).

b) Le ordinanze di rigetto non precluderanno la proposizione della domanda alla luce di

nuove ragioni di fatto o di diritto (art. 669 septies, seconda parte del primo comma, cpc;

non mi pare, invece, utilmente richiamabile, in materia di procedimento possessorio,

l’ipotesi di “mutamenti delle circostanze”, pure prevista in tale disposizione, perché l’azione

possessoria costituisce una reazione contro fatti di molestia o spoglio compiutamente

individuati e fissati nel tempo nello spazio).

c) Le ordinanze di accoglimento dell’istanza di reintegra o manutenzione potranno essere

revocate o modificate dal giudice che le ha emesse secondo la disciplina dell’articolo 669

decies, secondo comma, cpc; vale a dire (ferma restando, per le ragioni sopra indicate, la

non riferibilità della ipotesi di “mutamenti delle circostanze” ai procedimenti possessori) in

caso di allegazioni di fatti anteriori conosciuti successivamente all’emissione del

provvedimento.

d) In ogni caso, per il disposto dell’ultimo comma dell’articolo 669 octies, l’autorità del

provvedimento interdettale non sarà invocabile in un altro processo.

Qualora, per contro, il giudizio prosegua, riterrei in ogni caso applicabile, quale che sia il

contenuto dell’ordinanza interdettale, la disciplina dell’articolo 669 decies, primo comma, cpc.

Concludo con l'esame delle ultime due disposizioni introdotte dalla legge 80 in materia di giudizio

possessorio, ossia l'ultimo periodo del quarto comma dell'articolo 703 ( “si applica l'articolo 669

novies, terzo comma” ) e le variazioni apportate al secondo comma dell'articolo 704.

L'articolo 669 novies, terzo comma, cpc prevede la perdita di efficacia del provvedimento

cautelare in caso di mancato versamento della cauzione di cui all'articolo sui 669 undecies o nel

caso di dichiarata inesistenza del diritto a cautela nel quale il provvedimento stesso era stato

concesso.

Quanto alla cauzione ex art. 669 undecies, mi pare che nella prassi giurisprudenziale non venga

quasi mai disposta nei provvedimenti di reintegra o manutenzione del possesso, anche se non vi

sono ragioni per ritenere detto articolo incompatibile con il procedimento possessorio.

Quanto alla declaratoria di inesistenza del diritto, mi riesce abbastanza difficile coordinare tale

disposizione con un procedimento che ha ad oggetto la tutela di una situazione di fatto e non di un

diritto.

Vi sottopongo due diverse ipotesi intepretative:

a) La norma in commento tende a regolare la relazione tra interdetto possessorio e sentenza di

merito possessorio, assoggettandola al medesimo regime che regola la relazione tra

provvedimento cautelare e sentenza che definisce il giudizio di merito ai sensi del terzo

comma dell’articolo 669 novies; vale a dire, stabilendo la perdita di efficacia del

provvedimento di reintegra o manutenzione del possesso nei casi in cui, al termine del

giudizio di merito possessorio, non risulti accertato lo ius possessionis.

b) La norma in commento tende a regolare la relazione tra interdetto possessorio e sentenza

petitoria contenente l’accertamento negativo del diritto reale (ius possidendi)

corrispondente alla situazione possessoria tutelata con l’ordinanza interdettale.

Entrambi tali opzioni interpretative prestano il fianco a rilevanti obiezioni.

Contro la prima, militano gli argomenti che:

1) la lettera del terzo comma dell’articolo 669 novies parla esplicitamente di “diritto”,

cosicché appare una forzatura leggerla come riferibile al possesso;

2) Intesa in tal modo, la disposizione sarebbe inutile, perché in ogni caso l'ordinanza

interdittale viene superata dalla sentenza che definisce il giudizio di merito

possessorio e - accogliendo o respingendo la domanda di reintegra o manutenzione -

conferma o modifica o revoca (anche implicitamente) tale ordinanza, della quale

non vi sarebbe quindi ragione di prevedere la sopravvenuta inefficace.

Contro la seconda milita l’argomento dell’autonomia della tutela possessoria rispetto alla tutela

petitoria; autonomia ancora riaffermata dalla Cassazione nel 1998.

Consapevole della difficoltà del tema, ipotizzerei che con l'espresso richiamo all'articolo 669

novies il legislatore abbia inteso regolare i rapporti tra l’ ordinanza interdittale a cui non abbia

fatto seguito un giudizio di merito possessorio e l'eventuale decisione che accerti diritti reali o

personali relativi al medesimo bene oggetto della decisione interdettale.

In sostanza il sistema si ricomporrebbe nel senso di lasciare alla volontà delle parti la scelta tra una

tutela del possesso piena, con efficacia di accertamento, ed una tutela del possesso sommaria-

semplificata-esecutiva. Qualora la parti optino per questa ipotesi, non chiedendo la prosecuzione del

giudizio per il merito possessorio, il provvedimento di tutela interdettale del possessore sarà

destinato a cedere dinanzi ad un accertamento negativo, in sede petitoria, del suo ius possidendi.

La variazione del secondo comma dell'articolo 704 adatta la nuova disciplina dell'eventualità del

giudizio di merito possessorio alla ipotesi di domande possessorie nel corso di giudizio

petitorio. Qualora, per fatti avvenuti in pendenza di un giudizio petitorio, la parte abbia chiesto

tutela possessoria al giudice competente a norma dell’articolo 703 e quest’ultimo abbia dato i

provvedimenti indispensabili, la prosecuzione del giudizio possessorio davanti al giudice del

petitorio non avverrà più per la rimessione delle parti davanti al giudice del petitorio disposta

dal giudice del possessorio, ma avverrà in base all’iniziativa di una delle parti del giudizio

possessorio, che potrà riassumere il giudizio possessorio davanti al giudice del petitorio per la prima

udienza utile, verosimilmente senza necessità di apposita istanza di prosecuzione.

Procedimenti di istruzione tecnica preventiva

I numeri 5 e 6 della lettera e) bis del terzo comma dell’articolo 2 del decreto legge 35/05 hanno,

rispettivamente:

a) modificato il testo dell’articolo 696 cpc, che disciplina l’accertamento tecnico e l’ispezione

preventivi;

b) introdotto l’articolo 696 bis cpc, che introduce nel codice l’istituto della consulenza tecnica

preventiva ai fini della composizione della lite.

Le modifiche all’art. 696 cpc.

Le modifiche all’art. 696 cpc sono le seguenti:

1) Previsione della possibilità di chiedere l’accertamento e l’ispezione non più solo su

luoghi e cose ma anche sulla persona dell’istante, nonché sulla persona di colui nei

cui confronti l’istanza è proposta, se il medesimo vi consente. Ciò, peraltro, sempre

che ricorra il requisito dell’urgenza, espressamente - e, mi pare, superfluamente,

visto l’esordio del primo comma dell’articolo 696 (“chi ha urgenza…”) - ribadito

nel periodo aggiunto dalla novella a detto comma.

2) La previsione della possibilità che l’accertamento tecnico riguardi "anche

valutazioni in ordine alle cause e ai danni relativi all'oggetto della verifica".

Punto 1).

La modifica di cui al punto 1) recepisce le conclusioni cui era giunta la Corte Costituzionale con

le sentenze 22.10.90 n. 471 (È costituzionalmente illegittimo - per contrasto con gli art. 13, 24 e

32 cost. - l'art. 696 comma 1 c.p.c., nella parte in cui non consente di disporre accertamento

tecnico o ispezione giudiziale sulla persona dell'istante) e 19.7.96 n. 257 (È costituzionalmente

illegittimo l'art. 696, comma 1, c.p.c., che, relativamente all'ispezione giudiziale e all'accertamento

tecnico in sede di istruzione preventiva, non prevede che tali misure possano essere disposte nei

confronti della controparte, purché questa consenta di sottoporvisi).

A proposito della istanza di ispezione o accertamento sulla persona altrui vanno sottolineati due

punti problematici:

a) Il nuovo testo del primo comma dell’art. 696 cpc non detta alcuna disposizione in ordine alle

forma con le quali deve venir acquisito il consenso di colui sulla cui persona si richiede

l’ispezione o l’accertamento. In proposito si deve tenere presente che la giurisprudenza

costituzionale formatasi sul vecchio testo dell’articolo 696 aveva espressamente precisato

che “Il consenso liberamente manifestato rispetto a questo atto di istruzione sulla persona,

deve essere quindi acquisito dal giudice prima dell'emissione del provvedimento,

condizionandone l'adozione e non la sola esecuzione” (così C. Cost. 257/96, cit.).

Penso che tale principio debba guidare anche l’interpretazione del nuovo testo dell’articolo

696, con la conseguenza che la sussistenza del consenso della persona su cui deve effettuarsi

l’ispezione o l’accertamento costituisce presupposto della stessa emissione del

provvedimento di accoglimento dell’istanza.

Resta tuttavia una dubbio; il consenso del destinatario della domanda di istruzione

preventiva deve essere manifestato nell’ambito del procedimento, vale a dire mediante una

dichiarazione resa in udienza o in un atto defensionale, o può essere manifestato

stragiudizialmente, salvo l’onere del ricorrente di offrire in giudizio la prova di tale

manifestazione ? E’ chiaro che:

- Se si aderisce alla prima ipotesi, il provvedimento che ordina l’ispezione o l’accertamento

tecnico sulla persona del destinatario dell’istanza non potrà essere emesso inaudita altera

parte, e non potrà essere emesso nemmeno qualora il destinatario della domanda non si

costituisca o non compaia personalmente in giudizio.

- Se, viceversa, si aderisce alla seconda ipotesi, dovrebbe ritenersi possibile concedere il

provvedimento

1) inaudita altera parte, ove la manifestazione stragiudiziale di consenso venga

documentata con un atto pubblico o con una scrittura privata autenticata;

2) dopo la celebrazione dell’udienza di comparizione delle parti, ma anche se a tale

udienza nessuno compaia per il destinatario della domanda, ove la manifestazione

stragiudiziale di consenso venga documentata mediante una scrittura privata ritualmente

prodotta in giudizio e dunque da aversi per riconosciuta ex art. 215 cpc.

Personalmente non vedo ragioni per escludere la seconda opzione interpretativa, soprattutto

perché non mi pare che dalla emissione del provvedimento che - sulla scorta di una

documentata manifestazione stragiudiziale di consenso - ordini l’ispezione o l’ATP sulla

persona del destinatario della domanda di istruzione preventiva possano a quest’ultimo

derivare conseguente pregiudizievoli.

Infatti è in ogni caso esclusa una esecuzione coattiva del provvedimento, il che vale a dire

che il consenso del destinatario della domanda deve permanere fino all’esecuzione del

provvedimento; ciò implica che colui sulla cui persona viene chiesta una ispezione o un

accertamento può sempre paralizzare la pretesa istruttoria del ricorrente, rifiutando di

assoggettarsi all’esecuzione dell’ordine giudiziale di ispezione o ATP e, in tale modo,

revocando (esplicitamente o implicitamente) il consenso antecedentemente prestato.

b) Il nuovo testo del primo comma dell’art. 696 cpc non collega alcuna conseguenza

processuale all’eventuale rifiuto di sottoporsi ad accertamento o ispezione che venga

opposto dalla persona nei cui confronti l’istanza è proposta; anche in ciò il legislatore del

2005 si è conformato alla giurisprudenza costituzionale, che aveva espressamente precisato,

nella già richiamata sentenza 257/96, che “Il consenso liberamente manifestato rispetto a

questo atto di istruzione sulla persona, deve essere quindi acquisito dal giudice prima

dell'emissione del provvedimento, condizionandone l'adozione e non la sola esecuzione,

sicché dall'eventuale diniego, manifestato in questa fase cautelare ed anticipata rispetto

all'eventuale giudizio, non può essere tratto alcun elemento di valutazione probatoria”.

Resta quindi tuttora irrisolto, nonostante la novella del 2005, il nodo dell’asimmetria tra le

conseguenze del rifiuto di sottoporsi ad ispezione o accertamento tecnico

- in sede di istruzione preventiva (nella quale tale rifiuto non ha alcun effetto processuale);

- in sede di giudizio ordinario (nel quale da tale rifiuto, se non sorretto da giusto motivo, il

giudice può desumere argomenti di prova ex artt. 116, secondo comma, e 118, secondo

comma, cpc).

Punto 2).

La modifica di cui al punto 2) supera la tradizionale concezione dell’ATP come mera “fotografia”

(verifica dello stato o della qualità o della condizione) di luoghi e cose introducendo la possibilità,

in sede di accertamento preventivo, di assumere "valutazioni in ordine alle cause e ai danni relativi

all'oggetto della verifica".

Anche sotto questo aspetto il legislatore del 2005 si è collocato in un solco già tracciato dalla

giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione, ma l’innovazione introdotta

con la previsione che la possibilità che l’accertamento tecnico riguardi "anche valutazioni in

ordine alle cause e ai danni relativi all'oggetto della verifica" supera le acquisizioni della

giurisprudenza.

Sull’argomento la Corte Costituzionale era intervenuta con due sentenze interpretative di rigetto,

la 20.2.97 n. 46 e la 22.10.99 n. 388.

Con la sentenza 46/97 si stabiliva che : “La q.l.c. dell'art. 696 comma 1 c.p.c. - proposta sotto il

profilo che la norma, nel prevedere che chi ha urgenza di far accertare lo stato dei luoghi o la

condizione di cose può chiedere un accertamento tecnico preventivo, non consentirebbe di

accertare la causa e l'entità dei danni, in vista di un giudizio di risarcimento, e quindi violerebbe il

principio di uguaglianza e il diritto di agire in giudizio - è inammissibile in riferimento all'art. 3

cost. (in quanto il giudice remittente assume come termine di comparazione una situazione che egli

stesso considera patologica nel processo, in quanto determinata dalla violazione del limite che si

vuole rimuovere) e non è fondata in riferimento all'art. 24 cost. (in quanto la norma deve essere

interpretata nel senso che l'accertamento tecnico comprende tutti gli elementi conoscitivi ritenuti

necessari per le valutazioni che dovranno essere effettuate nel giudizio di merito, e include quindi

ogni acquisizione preordinata alla successiva valutazione, anche tecnica, che in quel giudizio si

dovrà esprimere per determinare la causa del danno e l'entità di esso).

Con la sentenza 388/99 la Corte richiama espressamente la sentenza 46/97 e precisa che

l’interpretazione dell’articolo 696 indicata in tale ultima sentenza - in quanto idonea a consentire

“l'anticipata e tempestiva raccolta di ogni elemento di fatto necessario per il giudizio, anche in

vista della quantificazione del danno” - è sufficiente a salvaguardare l’esigenza costituzionale di

garantire il potere di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e aggiunge: “Nel processo civile

rispondono anche a questa esigenza i procedimenti sommari di istruzione preventiva, diretti a

raccogliere, ancor prima che sia instaurato un giudizio, gli elementi necessari per la formazione

della prova; ciò al fine di evitare che la modifica delle situazioni o gli eventi che si possono

verificare impediscano, poi, la formazione e l'acquisizione della prova nel giudizio di merito. Ma

l'accertamento tecnico preventivo, giustificato da questa finalità cautelare, non deve

necessariamente trasformarsi, perché si realizzi la garanzia del diritto ad ottenere in tempi

ragionevoli una decisione di merito, da atto di istruzione preventiva in sostanziale anticipazione

del giudizio, che verrebbe così ricondotto sino ad esaurirsi nella fase del procedimento sommario.

La Corte di Cassazione, a propria volta, aveva manifestato un indirizzo favorevole alla

conservazione degli accertamenti svolti in sede di ATP, purché risulti rispettato il contraddittorio,

affermando, sulla scorta del principio generale espresso dall’articolo 157 cpc , che eventuali

valutazioni espresse in sede di ATP sull'individuazione delle cause e dell'entità dei danni oggetto di

accertamento devono ritenersi utilizzabili nel giudizio di merito se non sia stata sollevata tempestiva

eccezione di parte. In proposito, tra le altre, vedi Cass. 1.4.04 n. 6390:

“In sede di accertamento tecnico preventivo l'individuazione delle cause e dell'entità del danno

lamentato, disposta "contra legem" dal giudice o effettuata d'iniziativa del consulente, deve

considerarsi "tamquam non esset", poiché, pure in mancanza di specifiche norme sanzionatorie,

siffatto sconfinamento integra una violazione del principio del contraddittorio, sicché una

sanatoria di tale trasgressione è configurabile soltanto quando l'estensione delle indagini sia

avvenuta nel rispetto di quel principio (per il che non è sufficiente la sola notifica di cui all'art. 697

c.p.c., ma è necessaria l'effettiva partecipazione delle parti per un reale e concreto contraddittorio),

ovvero allorché la relazione del consulente sia stata ritualmente acquisita agli atti senza

opposizione delle parti. E’ ritualmente acquisita la relazione rispetto alla quale la parte interessata

non abbia immediatamente eccepito la nullità, ai sensi dell'art. 157 c.p.c., nella prima istanza

successiva al provvedimento dell'istruttore che ha dichiarato ammissibile il mezzo istruttorio, con

la conseguenza che detta nullità non può essere fatta valere in sede di impugnazione, neppure dalla

parte contumace nel precedente giudizio, atteso che il contumace non è ammesso a compiere

attività oramai precluse, tra le quali rientra l'estinzione per decorso del termine del potere di

deduzione della nullità.

La novella del 2005, codificando il principio della possibilità che il consulente esprima valutazioni

in ordine alle causa e ai danni, rappresenta dunque l’approdo di un processo evolutivo che era già

evidentemente in atto e tendeva a valorizzare, in una prospettiva deflattiva, un istituto che

originariamente non aveva funzioni deflattive, ma strettamente cautelari.

L’introduzione dell’ articolo 696 bis cpc

La legge 80 del 2005 ha introdotto nell'ordinamento l'istituto della consulenza tecnica preventiva ai

fini della composizione della lite.

E’ stato rilevato che, ancorché inserito nel capo terzo del quarto libro del codice, ossia nel capo che

tratta dei procedimenti cautelari, l’istituto in esame non assolve ad una funzione cautelare ma

esclusivamente deflattiva.

Non si richiede infatti, a differenza da quanto previsto nell’articolo 696 cpc, la sussistenza di

ragioni di urgenza. Si tratta dunque di un istituto che tende:

a) o ad evitare una causa, consentendo alle parti di pervenire alla conciliazione della lite

giovandosi della valutazione tecnica di un soggetto qualificato ed imparziale, in quanto

nominato dal giudice nel rispetto delle disposizioni di cui agli articoli 191-197 cpc,

espressamente richiamate dall’ultimo comma dell’articolo 696 bis cpc;

b) o - in caso di mancato raggiungimento della conciliazione - ad alleggerire l’istruttoria della

futura causa, la quale sarà introdotta quando sulle questioni di fatto controverse saranno già

state acquisite le necessarie valutazioni tecniche.

Passando all’analisi delle possibili questioni interpretative, vanno evidenziati i seguenti punti.

Punto 1).

L'ambito applicazione dell’istituto è limitato a "l'accertamento e relativa determinazione dei crediti

derivanti dalla mancata esecuzione di obbligazioni contrattuali o da fatto illecito".

Non avrei dubbi nell’interpretare l’espressione “crediti derivanti dalla mancata esecuzione di

obbligazioni contrattuali” in senso estensivo, comprendendovi cioè anche i crediti derivanti da

inesatta (e non soltanto “mancata”) esecuzione di obbligazioni contrattuali.

E’ dunque certamente compresa l’intera area dei crediti aventi ad oggetto il risarcimento di danni,

sia in relazione a danni da illecito extracontrattuale che in relazione a danni da illecito

contrattuale; inoltre è compresa l’aera dei crediti che possono formare oggetto di azioni di

adempimento contrattuale e dunque i crediti di prestazioni formanti oggetto di obbligazioni

contrattuali non (o non esattamente) eseguite.

Sottolineo che, dovendo l’accertamento incidere su “crediti derivanti dalla mancata esecuzione di

obbligazioni contrattuali”, non sembrerebbe ammessa la consulenza preventiva per la

quantificazione di crediti contrattuali non ancora scaduti; non mi pare cioè possibile, ad esempio,

il ricorso alla consulenza preventiva per l’appaltatore che, ricevuta dal committente una denuncia

di vizi dell’opera, voglia far accertare il proprio credito per corrispettivo prima ancora della

scadenza del relativo termine di pagamento.

Sono poi esclusi i crediti che non abbiano fondamento né in un contratto, né in un fatto

illecito; si pensi, per fare qualche esempio, ai crediti derivanti da diritti reali, come il diritto del

condomino al rimborso delle spese anticipate perché urgenti (art. 1134), ai crediti derivanti da

status personali (si pensi al diritto dei figli al mantenimento), ai crediti aventi ad oggetto la

ripetizione dell’indebito (per esempio in materia di equo canone); pensando a questa casistica vien

fatto di dire che legislatore è stato forse un po’ “avaro” nella definizione dei limiti dalla consulenza

preventiva.

Punto 2).

Qualche problema nella ricostruzione dell’istituto della consulenza preventiva può sorgere dalla

duplice finalità dell’istituto stesso, che, come abbiamo visto, tende sia alla conciliazione della parti,

sia alla istruzione anticipata della causa che tra le stesse parti si possa instaurare.

A fini conciliativi può infatti essere necessario che il CTU affronti anche questioni di ordine non

esclusivamente tecnico ma anche questioni relative a fatti storici (si pensi alla prova della

tempestività della denuncia di un vizio) o, addirittura, questioni di diritto (si pensi alla validità di

una clausola che sollevi una parte da responsabilità risarcitorie).

A me pare che il Consulente non possa sottrarsi, nell’esperimento del tentativo di conciliazione,

dall’onere di affrontare, nel contraddittorio delle parti, anche tali profili; salvo però, verificato il

fallimento del tentativo di conciliazione, ricondurre l’oggetto della sua relazione alle questioni

meramente tecniche.

Punto 3).

Il procedimento della consulenza preventiva è fissato, tramite il richiamo al terzo comma

dell’articolo 696 cpc, negli artt. 694 e 695 cpc, relativi all’assunzione preventiva della prova

testimoniale.

Il mancato richiamo anche all’articolo 692 non mi pare impedisca di individuare nel primo comma

di quest’ultima disposizione, interpretata analogicamente, la regola attributiva della competenza

(giudice che sarebbe competente per la causa di merito).

Dalla mancata natura cautelare del procedimento discende che al giudice non compete alcuna

verifica in punto di fumus boni iuris, né in punto di periculum in mora.

In sostanza l’interesse alla consulenza tecnica preventiva deve ritenersi in re ipsa e il compito del

giudice mi pare limitato alla verifica della propria competenza, della sussistenza delle condizioni

generali dell’azione, dell’ integrità del contraddittorio e dell’ammissibilità del procedimento

sotto il profilo della sufficiente individuazione della domanda di merito e, quindi, della

riconducibilità di tale domanda nell’ambito di quelle concernenti "l'accertamento e relativa

determinazione dei crediti derivanti dalla mancata esecuzione di obbligazioni contrattuali o da

fatto illecito”.

Punto 4).

L’ultima parte del primo comma dell’articolo 696 bis cpc prevede che il CTU tenti la conciliazione

delle parti prima del deposito della consulenza (ma, evidentemente, dopo aver effettuato le

operazioni peritali, così da poter condurre il tentativo di conciliazione avendo già chiaro il quadro

della situazione).

Se la conciliazione riesce, si forma processo verbale (sottoscritto dalle parti e dal Consulente, come

si argomenta dall’art. 199 cpc), al quale il giudice attribuisce con decreto efficacia di titolo

esecutivo "ai fini dell'espropriazione e dell'esecuzione in forma specifica e per l'iscrizione

ipotecaria"; in tal modo viene estesa all’intera area della consulenza preventiva la disciplina che,

con riferimento alla CTU, opera soltanto per l’esame contabile (artt. 198 e 199 cpc).

L’espressa previsione della idoneità del verbale di conciliazione a fungere da titolo esecutivo anche

ai fini della esecuzione in forma specifica costituisce deroga alla lettera dell’articolo 612 cpc (che

si riferisce testualmente alla sola “sentenza”) e sostanzialmente codifica quanto già affermato dalla

Corte Costituzionale con la sentenza interpretativa di rigetto 12.7.02 n. 336: “Non è fondata, nei

sensi di cui in motivazione, la q.l.c. dell'art. 612 c.p.c., sollevata, in riferimento agli art. 3, 10, 24,

111 e 113 cost., nella parte in cui, secondo il diritto vivente, non prevede l'esecuzione degli obblighi

di fare e non fare sulla base di un verbale di conciliazione giudiziale sotto il controllo del giudice

dell'esecuzione, in quanto - premesso che la conciliazione giudiziale è un istituto preordinato alla

definizione delle liti, che eventuali ragioni ostative all'esecuzione degli obblighi di cui all'art. 612

c.p.c. devono essere valutate non "ex post", e cioè nel procedimento di esecuzione, bensì, se esse

preesistono, in sede di formazione dell'accordo conciliativo da parte del giudice che lo promuove e

sotto la cui vigilanza può concludersi solo se la natura della causa lo consente, mentre eventuali

ragioni di ineseguibilità sopravvenute alla conciliazione giudiziale o preesistenti, nel caso di

conciliazione conclusesi al di fuori del controllo del giudice, possono essere oggetto di opposizione

- l'art. 612 c.p.c. può essere letto nel senso che esso consenta il procedimento di esecuzione

disciplinato dalle disposizioni che lo seguono anche se il titolo esecutivo sia costituito dal verbale

di conciliazione; una diversa interpretazione negherebbe il valore di accelerazione della

definizione della controversia, che costituisce la principale caratteristica della conciliazione e

comporterebbe un irragionevole seppur parziale sacrificio del diritto di difesa, nonché una

protrazione altrettanto irragionevole dei tempi del processo.

L’esenzione del "processo verbale" di conciliazione dall’imposta di registro, prevista dal quarto

comma dell’articolo in commento, costituisce ulteriore dimostrazione della ratio deflattiva

dell’istituto.

Punto 5).

Il quinto comma dell’articolo 696 bis cpc attribuisce a ciascuna delle parti, in caso di mancata

conciliazione, la facoltà far l’acquisire la relazione del Consulente nel giudizio di merito.

Pur in mancanza di un espresso richiamo, non dubiterei che l’acquisizione della consulenza

preventiva ex art. 696 bis cpc soggiace pur essa alla disciplina dettata dal secondo comma

dell’articolo 698 cpc, con la conseguenza che il giudice del merito dovrà valutare l’ammissibilità e

rilevanza dell’indagine svolta alla luce delle domande effettivamente proposte dalle parti e potrà in

ogni caso disporre la rinnovazione della consulenza.